1 Il governo e la manovra della nave

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Il governo e la manovra
della nave
Corso di Allestimento Navale
1. Le capacità manovriere
I mezzi marini devono possedere, seppure in diversa misura gli uni dagli altri,
capacità manovriere adeguate ai compiti previsti in relazione alle possibili
destinazioni d’uso. Si tratta di requisiti marinareschi che concorrono a
determinare la capacità operativa della nave e sono quindi strettamente legati
alla sua funzione commerciale. Sistemazioni e impianti per la manovra,
l’ormeggio e ancoraggio, l’imbarco e trasporto delle merci costituiscono
parte essenziale delle doti di un’imbarcazione. Una loro buona progettazione
costituisce un valore aggiunto rispetto alle qualità essenziali di robustezza,
stabilità e velocità.
Le capacità manovriere di un mezzo marino rappresentano l’attitudine a
rispondere prontamente e con precisione all’azione dei sistemi di governo e
manovra, anche in condizioni meteo-marine avverse. Essenzialmente i
sistemi di controllo del movimento della nave devono garantire la manovra
sia in mare aperto sia in acque ristrette. Si possono evidenziare due distinte
necessità:
• controllo del moto d’avanzo in mare aperto – la nave ha l’esigenza
di possedere un sistema di controllo della rotta alle velocità di
crociera (sistema di governo), in grado di mantenerla sul percorso
programmato, sia controllando il moto rettilineo con piccoli
aggiustamenti necessari per bilanciare le azioni perturbative generate
dal mare, sia modificando la rotta rettilinea con manovre d’accostata;
• controllo delle manovre in acque ristrette – esiste anche l’esigenza
di effettuare manovre a bassa velocità in acque ristrette, quali per
esempio l’avvicinamento ad una banchina; nel caso in cui il sistema
di governo non sia in grado di gestire le manovre a bassa velocità,
può essere installato un sistema di manovra complementare, che
funzioni eventualmente in maniera coordinata con il primo.
Nel caso di unità speciali, le capacità manovriere devono includere
anche requisiti particolari, quali l’attitudine al mantenimento di una
posizione fissa in mare aperto (supply vessels, navi idrografiche, cacciamine,
navi per ricerche petrolifere, FPSO – floating production and storage tankers,
shuttle tankers), oppure la capacità di spingere o rimorchiare altri mezzi
marini controllandone lo spostamento tramite la generazione di forze su
direzioni convenienti (rimorchiatori, spingitori), oppure la capacità di
effettuare operazioni collegate alle attività di dragaggio (draghe).
In alcuni casi è l’ambiente a determinare modalità di navigazione che
richiedono qualità di manovrabilità specifiche, come nel caso della presenza
di ghiacci (rompighiaccio e navi mercantili per la navigazione fra i ghiacci).
In altri, il tipo di servizio spinge a optare per soluzioni specifiche
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Il governo e la manovra della nave
dell’impianto di governo e di propulsione, come per le navi che devono
invertire il moto d’avanzo su brevi rotte, eventualmente anche in spazi
ristretti (traghetti bidirezionali).
Il corretto funzionamento dei sistemi di controllo è essenziale per
garantire la sicurezza della nave in mare. Una nave non manovrabile diventa,
infatti, passiva nei confronti delle azioni del mare e del vento, col risultato di
trovarsi in balia delle onde e di essere esposta al rischio di perdere stabilità o
addirittura di veder compromessa la sua integrità strutturale.
2. Il timone convenzionale
Negli impianti convenzionali, le forze per il controllo dei movimenti della
nave nascono dall’effetto di interazione tra le superfici idrodinamiche
orientabili e l’acqua che lambisce l’opera viva della nave per effetto del suo
moto di avanzo. E’ sottinteso che il controllo dei moti è realizzato in acqua
piuttosto che in aria, essendo la forza scambiata proporzionale alla massa del
fluido nel quale essa è generata. Infatti, la massa specifica dell’acqua di mare
è pari a circa 800 volte quella dell’aria: nelle condizioni standard –
temperatura di 15°C e salinità del 3,5 % – la massa specifica dell’acqua di
mare è di 1026 kg/m3, mentre la massa specifica dell’aria secca è pari a
1,226 kg/m3.
Le forze necessarie per fare evoluire la nave sono ottenute tramite una
superficie idrodinamica in grado di generare, se opportunamente orientata,
una forza orizzontale trasversale. Si tratta della più importante superficie di
controllo della nave e costituisce la pala del timone verticale, il cui asse di
rotazione, come suggerisce il nome, è appunto verticale. Sui mezzi marini di
superficie è detto semplicemente timone.
Dal punto di vista storico gli antichi navigatori manovravano le loro
navi servendosi di uno o più remi opportunamente azionati dalla forza
dell’uomo e posti nella zona poppiera dell’imbarcazione. L’evoluzione dal
remo di manovra al timone ebbe luogo in una data di difficile identificazione
negli anni che vanno dal 1200 al 1500 (e rappresentò la più importante
evoluzione del disegno navale di quegli anni). In quel tempo il remo di
governo sporgente dal giardinetto di dritta della nave venne sostituito da un
timone di legno pendente dal dritto di poppa. Sembra ragionevole ipotizzare,
in base alle fonti storiche, che l’evoluzione del timone pendente dalla poppa
abbia avuto luogo nelle acque baltiche o tedesche (forse le cocche della Lega
Anseatica).
Fino a quegli anni il remo-timone pendeva usualmente dalla fiancata di
dritta della nave e rendeva questo lato inadatto all’avvicinamento alla
banchina, sia per questioni di manovrabilità, sia per la protezione
dell’impianto da scontri contro la banchina. Questa è la ragione per la quale
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una fiancata della nave, quella di sinistra, ha mantenuto la funzione
dominante di fiancata di attracco, mentre l’altra, quella di dritta, è rimasta
nella memoria come fiancata di manovra, proprio perché un tempo
equipaggiata con il remo timone. Al giorno d’oggi la storia di questa
evoluzione rimane nel termine anglosassone con cui si indicano i due fianchi
della nave: port side (PS) è il fianco di sinistra e starboard side (STB) è
quello di dritta (starboard ≈ steering side), indipendentemente dal fatto che la
nave abbia o no un fianco ottimizzato per l’ormeggio e l’imbarco delle merci.
Oggigiorno le appendici di carena che costituiscono le superfici di
governo sono poste nella volta di poppa e, quando possibile, nel flusso
dell’elica, quindi sul piano di simmetria della nave o, se la nave è bielica, su
piani simmetrici rispetto al diametrale. Un caso particolare è costituito dai
traghetti bidirezionali, dotati di timoni e propulsori sia a poppa sia a prora,
per i quali tuttavia la propulsione ed il controllo vengono effettuati sempre
dalla poppa relativa.
La pala è collegata al sistema di comando da un’asta verticale che, oltre
a sorreggere il timone, ne controlla posizione e rotazione. L’asse di rotazione
può essere leggermente inclinato rispetto alla verticale, in modo da far
lavorare la pala con maggior omogeneità nel flusso di carena, come nel caso
delle grandi navi bielica con due timoni. Gli assi sono inclinati anche per
ridurre la distanza fra la losca ed il tubo di flusso dell’elica.
Nei mezzi marini che possono navigare completamente immersi in
acqua nasce anche la necessità di poter variare l’immersione rispetto alla
superficie del mare. Per questo motivo i sottomarini sono dotati anche di un
timone orizzontale, detto timone d’immersione, atto a controllare, per
rotazione attorno ad un asse orizzontale, i soli movimenti verticali. In
alternativa, per ottenere un’omogenea distribuzione delle forze sulle pale, i
timoni dei sottomarini sono anche disposti ad “X”, ossia con assi inclinati di
45° rispetto alla verticale. Tali timoni vengono azionati in maniera
coordinata per controllare assieme cambiamenti di rotta e di immersione.
Le superfici di controllo convenzionali sono dette superfici passive
poiché il loro azionamento è inefficace se avviene a nave ferma o a velocità
di avanzo molto basse, come nel caso di manovre in acque ristrette, perché
viene a mancare proprio quel flusso che sta all’origine delle forze
idrodinamiche di controllo. Per questo motivo una nave non può manovrare
efficacemente con il timone per accostare alla banchina; eventualmente, può
solo effettuare manovre di allontanamento della poppa dal punto di
ormeggio, deviando il flusso dell’elica tramite la pala del timone. Una
manovra di questo tipo si realizza con più efficacia se la pala del timone è
dotata di flap, perché si riesce ad ottenere una deviazione del flusso prossima
ai 90°; il risultato della manovra è ancora migliore se la nave ha due eliche e
due timoni, in questa circostanza, infatti, la generazione di flussi di verso
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Il governo e la manovra della nave
opposto sulle due eliche e la manovra coordinata dei timoni concorrono a
generare a poppa una forza quasi perfettamente trasversale. D’altra parte, la
prora può essere allontanata dalla banchina solo se è presente un bow
thruster.
3. Gli impianti
Gli impianti per il controllo dei movimenti della nave possono essere di
diversa tipologia in funzione del particolare compito che devono espletare
(governo, manovra, stabilizzazione), ma in generale essi sono costituiti da
una serie di elementi funzionali così identificabili:
• l’unità di potenza, ossia un dispositivo atto a fornire al sistema la
potenza necessaria ad imprimere o smorzare un certo movimento
della nave; si tratta solitamente un motore elettro-idraulico che riceve
il comando impartito da un dispositivo automatico o da un operatore;
• l’attuatore, in altre parole un meccanismo in grado di trasformare la
potenza fornita dal motore primo in potenza disponibile all’asse;
• la superficie di controllo, l’elemento con cui il sistema interagisce
con l’ambiente generando la forza voluta per effetto della deviazione
del flusso che lo lambisce.
Tali impianti sfruttano energia prodotta a bordo. In genere, l’energia
meccanica è ottenuta da energia elettrica, eventualmente passando per una
fase intermedia di trasformazione in energia di pressione, associata al fluido
di un impianto oleo-dinamico. L’energia meccanica è disponibile all’asse del
timone per creare le forze di controllo con un tasso di crescita opportuno.
4. I principi di progetto
Gli impianti devono essere in grado di espletare il proprio compito in
qualsiasi condizione operativa richiesta alla nave, garantendo così la
sicurezza del mezzo marino. Per questo motivo l’insieme dei macchinari e
degli elementi strutturali deve essere estremamente affidabile in ogni parte e
conseguentemente deve essere il più possibile semplice, con opportuna
ridondanza negli elementi più delicati, e tale da garantire facilità di interventi
manutentivi ed accessibilità sia per controlli sia manovre di emergenza (fino
al controllo diretto delle casse valvole).
In particolare, gli elementi fuori scafo, costituiti dalla superficie di
controllo e dagli elementi di supporto e di comando, non essendo
generalmente duplicati per motivi economici, devono essere caratterizzati da
elevati margini di sicurezza di progetto (ossia progettati con elevati
coefficienti di sicurezza strutturale). Tali parti sono, infatti, esposte alle
azioni sia di carichi marini di difficile determinazione sia di carichi
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accidentali dovuti a corpi galleggianti e per di più si trovano in posizioni
disagiate per gli interventi di riparazione.
Al giorno d’oggi l’attenzione per la sicurezza è però tale da giustificare
sempre più spesso l’installazione di un doppio timone, soprattutto sulle navi
alle quali sono associati alti rischi di gestione, per esempio le navi che
trasportano merci pericolose come le navi petroliere o le chimichiere, oppure
ancora le navi di maggior valore quali le passeggeri. Inoltre, le navi militari
hanno spesso un doppio timone per garantire una certa continuità di servizio
anche se le timonerie sono parzialmente danneggiate. Il numero dei timoni
varia comunque in funzione delle esigenze di manovrabilità della nave ed è
subordinato alla capacità della singola pala di contribuire alla generazione
della forza evolutiva richiesta.
L’efficienza idrodinamica della pala è un fattore essenziale. Ogni
appendice di carena, positiva o negativa, comporta, infatti, una modifica del
flusso attorno alla carena e quindi un incremento della resistenza all’avanzo
(la cosiddetta resistenza aggiunta) che, anche ammontando a pochi valori
percentuali, provoca sensibili costi aggiuntivi per l’esercizio della nave. Il
timone va perciò collocato con attenzione nella scia di carena.
Il rendimento della macchina di timoneria è altrettanto importante.
Fattori generici che condizionano il progetto complessivo sono infine, come
sempre a bordo, il peso e l’ingombro, soprattutto per le piccole imbarcazioni.
5. I sistemi attivi
Quando il flusso utilizzato per la generazione delle forze sulla pala non è
prodotto dal sistema di governo e manovra, le superfici di controllo si dicono
passive, poiché per generare le forze evolutive sfruttano un flusso già
esistente, quello che deriva dal moto d’avanzo della nave. I sistemi passivi
non utilizzano energia per produrre il loro flusso di lavoro.
Le superfici di controllo si dicono invece attive se sono dotate di mezzi
propri per la generazione del flusso necessario al loro funzionamento.
Diventano così indipendenti dall’avanzo della nave. Esse possono utilizzare
il flusso prodotto, a nave ferma, dall’elica propulsatrice o da un’elica
dedicata: in entrambi i casi lavorano orientando il flusso nella direzione
voluta, producendo, attraverso questo getto, una forza utile al movimento
della nave. I timoni attivi sostituiscono o integrano i sistemi passivi per
gestire in sicurezza le manovre a basse velocità.
Mentre negli impianti di controllo passivi la forza utile aveva origine
nella portanza generata dalle superfici di controllo, nei sistemi attivi la forza
utile matura essenzialmente per effetto della spinta generata da una
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Il governo e la manovra della nave
macchina dinamica (elica, idrogetto, pompa) utilizzata a tale scopo. Nella
pratica, si possono avere due tipi di sistemi attivi:
• quelli in cui la macchina che genera il getto ha l’asse fisso e il flusso
è deviato dalla superficie di controllo;
• quelli in cui la macchina che genera il getto è orientabile rispetto ad
un asse verticale in modo da poter fare a meno della superficie
deviatrice.
Ciò significa che i sistemi attivi possono essere anche privi di superfici di
controllo. Talvolta la superficie di controllo è presente anche su macchine
orientabili per la regolazione e il raddrizzamento del flusso.
Per quanto detto i sistemi di controllo attivi possono essere classificati,
in base alla modalità di generazione della forza, nelle seguenti categorie:
• timoni passivi e attivi, che lavorano come quelli passivi quando la
nave è in movimento con una sufficiente velocità, ma che in
manovra a basse velocità generano una forza utile grazie all’elica che
portano fissata sulla superficie di pala (in pratica l’elica viene
orientata muovendo la barra del timone in modo da generare spinte
trasversali), oppure grazie ad un generatore di portanza (cilindro
rotante) che sfrutta l’effetto Magnus;
• timoni attivi a mantello orientabile, che generano spinte trasversali
semplicemente deviando il flusso dell’elica di propulsione (ad asse
fisso) utilizzata come elica di spinta a punto fisso;
• timoni-propulsori, che possono essere identificati con i propulsori
azimutali di diversa tipologia e con i sistemi cicloidali; in tali sistemi
integrati viene orientata la macchina che genera la spinta per la
propulsione.
Esistono diverse configurazioni di propulsori azimutali, ognuno adatto
ad espletare un determinato servizio. I propulsori azimutali con eliche in
flusso libero vengono utilizzati sulle navi adibite a lunghe tratte di
navigazione ma che necessitano anche di una notevole manovrabilità in
acque ristrette (navi da crociera, navi mercantili). I propulsori azimutali con
eliche intubate vengono invece utilizzati su mezzi per i quali l’efficienza in
manovra è preponderante rispetto all’efficienza del sistema propulsivo nella
navigazione in mare aperto (imbarcazioni portuali, rimorchiatori, supply
vessels).
Il sistema di propulsione azimutale ha un rendimento complessivo basso
a causa delle elevate perdite correlate al sistema meccanico di trasmissione
della potenza, costituito da due rinvii con ruote dentate. Effettivi vantaggi si
ottengono inserendo il motore di propulsione (un motore elettrico) nella
gondola di supporto dell’elica: tale sistema prende il nome di Pod ma è
spesso indicato con il nome commerciale di Azipod. La modifica della
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catena di trasmissione della potenza si traduce in una forte modifica delle
forme del supporto dell’elica. Le configurazioni idrodinamiche delle due
tipologie sono, infatti, molto diverse.
Una particolare tipologia di timone-propulsore è quella rappresentata dai
sistemi cicloidali (sistema brevettato Voith-Schneider). Si tratta di sistemi
costituiti da una serie di pale verticali fissate lungo la circonferenza di una
ruota che le porta in rotazione. Le pale sono libere di ruotare attorno al loro
asse di supporto e vengono manovrate in modo da assumere, rispetto alla
circonferenza, angoli variabili. Nel complesso si ottiene una spinta netta in
qualsiasi direzione. Questo sistema è quello che garantisce in assoluto le
migliori doti di manovrabilità, anche se a scapito del rendimento propulsivo.
Anche i costi di istallazione sono elevati. Il propulsore Voith-Schneider
trova applicazione su rimorchiatori e su navi che si muovono costantemente
in acque ristrette.
Tra i sistemi attivi si possono annoverare anche i propulsori di manovra,
costituiti da eliche con asse trasversale fisso, che generano una spinta
esclusivamente trasversale. Tali sistemi non sono dotati di superfici di
controllo poiché sono adatti alla generazione di soli moti trasversali.
Va osservato che due eliche trasversali, una a prora ed una a poppa,
garantiscono sia una forza netta trasversale sia un momento evolutivo,
rendendo possibile, eventualmente in coordinazione con la spinta dell’elica
propulsatrice, qualsiasi sequenza di movimenti utili all’approdo. La presenza
di questi impianti dedicati garantisce l’indipendenza della nave da mezzi
esterni di ausilio alla manovra. Dal momento che il costo per l’intervento dei
rimorchiatori non è generalmente trascurabile, la gestione della nave diventa,
a fronte di un maggiore costo iniziale, più economica.
6. Le configurazioni tipiche
In funzione delle esigenze operative le navi vengono equipaggiate con i
sistemi di controllo più opportuni. In generale, le navi che spendono maggior
parte della loro vita in mare aperto (oceangoing vessel) possiedono
prevalentemente sistemi di controllo della rotta del tipo passivo, mentre
quelle adibite a servizi del tipo feeder, o che prevalentemente navigano in
acque ristrette, sono equipaggiate sempre più spesso con eliche di manovra,
più raramente con apparati di governo e propulsione integrati (timonipropulsori). Nella configurazione classica, l’elica di manovra viene installata
solo a prora (bow thruster). Navi con grandi esigenze di manovra o di
controllo dello scarroccio sono dotate di più eliche trasversali poste sia a
prora sia a poppa.
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Il governo e la manovra della nave
Va comunque osservato che i timoni passivi possono assumere svariate
configurazioni e possono essere ottimizzati per il controllo della rotta in
mare aperto o della manovra in acque ristrette.
Soluzioni alternative a quella appena presentata sono costituite
dall’utilizzo di sistemi di propulsione con direzione della spinta orientabile, i
cosiddetti sistemi azimutali. Tale stratagemma permette di eliminare l’elica
trasversale di poppa per la manovra in acque ristrette. Tuttavia la coppia di
eliche trasversali di poppa e di prora può essere mantenuta per aumentare la
capacità di manovra della nave, ed è questo il caso di recenti grandi navi da
crociera che effettuano spesso navigazione in acque ristrette.
7. Un cenno ai moti nave
Con l’espressione “movimento della nave” si è finora inteso il movimento
roto-traslatorio della nave indotto dall’azione dei sistemi di controllo,
movimento consistente generalmente in un moto di avanzo rettilineo o in
accostata.
In termini più generici la nave è soggetta a movimenti, detti
propriamente “moti nave”, indotti essenzialmente dalle azioni del mare e del
vento. Rispetto ad una terna solidale alla nave essi sono così definiti:
• moti di traslazione: sono detti moto di abbrivio (surge) quello lungo
l’asse longitudinale della nave, moto di scarroccio (sway) quello
lungo l’asse trasversale ed infine moto di sussulto (heave) quello
lungo l’asse verticale;
• moti di rotazione misurati rispetto alla terna che identifica gli angoli
di Eulero: sono detti moto di rollio (roll) quello attorno all’asse
longitudinale, moto di beccheggio (pitch) quello attorno all’asse
trasversale ed infine moto di imbardata (yaw) quello attorno all’asse
verticale.
I movimenti oscillatori, e tutti quelli non stazionari, riducono il comfort
a bordo del mezzo marino. Inoltre possono essere all’origine di accelerazioni
elevate, tali da generare pericolose forze inerziali aggiuntive sulle strutture
della nave. Per tali motivi le navi vengono anche equipaggiate con impianti
di controllo atti a smorzare i moti nave, assicurando una stabilità di
piattaforma adeguata alle esigenze di abitabilità o di servizio e sufficiente a
garantire la sicurezza rispetto agli sbandamenti trasversali e alla capacità
strutturale.
Detti impianti possono essere interni alla nave (per esempio le casse
antirollio) oppure esterni allo scafo, in quest’ultimo caso si tratta di superfici
di controllo fisse o mobili che vengono aggiunte sull’opera viva del mezzo
marino. Questi impianti, molto simili a quelli di governo, sono
prevalentemente utilizzati per la riduzione del moto di rollio e, meno
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Corso di Allestimento Navale
frequentemente, di quello di beccheggio. Va rammentato a riguardo che lo
smorzamento del rollio è previsto su navi che mostrano una carenza di
stabilità trasversale per le condizioni operative richieste dal tipo di servizio
(navi veloci) o che necessitano di stabilità di piattaforma (supply vessels,
navi militari, navi passeggeri), mentre la riduzione del moto di beccheggio è
indispensabile per consentire l’operatività delle navi veloci con mari mossi
(navi veloci mercantili e militari).
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La manovrabilità della nave
Corso di Allestimento Navale
1. Introduzione
Il funzionamento dei sistemi di manovra della nave, ovvero dei timoni, può
essere pienamente compreso solo approfondendo la conoscenza delle
modalità con cui essi interagiscono con la carena nel determinare l’effetto
evolutivo. La disciplina che tratta questi argomenti va sotto il nome di
manovrabilità della nave.
Nella trattazione che segue si porrà l’attenzione sulle forze che nascono
sul timone e sulla nave durante una manovra di correzione o di variazione
della rotta, allo scopo di chiarire la cinematica della nave. Ciò permetterà di
porre le basi per la comprensione dei meccanismi che concorrono a
determinare l’efficacia del timone in relazione alle qualità evolutive della
nave, nonché l’attitudine della nave stessa ad essere governata dal timone.
Benché in quanto segue si faccia riferimento al timone classico (il
timone passivo), le considerazioni che verranno espresse sulla manovrabilità
della nave valgono, in massima parte, anche per navi equipaggiate con i
timoni attivi, compresi i timoni-propulsori. In effetti, il meccanismo di
interazione fra organo di manovra e nave, nei due tipi di controllo, mantiene
molte caratteristiche in comune. Inoltre, l’efficacia del sistema di governo,
qualunque esso sia, e l’attitudine della nave alla manovra vengono misurate
con gli stessi parametri e le stesse modalità di prova.
2. L’azione del timone
La forza idrodinamica che si genera sul timone al variare dell’angolo di
attacco del flusso può essere studiata con riferimento alla teoria dei corpi a
profilo alare aventi allungamento finito, considerando in particolare che il
timone è investito da un flusso non omogeneo sia per l’effetto di interazione
con altri corpi – ovvero la carena e l’elica –, sia per l’effetto della vicina
superficie marina. La risultante delle pressioni idrodinamiche agenti sul
timone è una forza applicata nel centro di pressione che viene usualmente
scomposta nelle due componenti di resistenza e portanza.
Nel corso degli anni la superficie della pala (del timone passivo) ha
sperimentato, entro una serie di vincoli progettuali, un’evoluzione continua
che l’ha portata dalla configurazione di semplice lastra piana solo lievemente
arrotondata sui bordi a quella dell’odierna superficie idrodinamica, ossia una
superficie ottimizzata per creare alte forze utili alla manovra e per contenere
nel contempo le forze parassite. Al giorno d’oggi, la pala è sagomata a
semplice o doppia curvatura, ottimizzata per il flusso non omogeneo cui è
soggetta e formata eventualmente da più parti dotate di movimento reciproco.
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La manovrabilità della nave
Dal momento che il timone deve generare con la stessa efficacia una
forza trasversale alternativamente verso dritta o sinistra nave, la superficie
idrodinamica è generalmente realizzata con carenature aventi sezioni a forma
di profilo alare simmetrico. È pur vero che si utilizzano anche profili
asimmetrici, ma solo in soluzioni particolari, per esempio per effettuare un
accoppiamento migliore fra il timone e il flusso non omogeneo dell’elica,
oppure, nelle navi con due timoni, per consentire ai timoni accoppiati,
posizionati simmetricamente rispetto al piano diametrale della nave, di
funzionare come deviatori di flusso.
L’angolo di attacco del flusso sul timone assume una grande importanza
nella generazione delle forze utili alla manovra e si definisce come l’angolo
compreso fra il piano di riferimento della pala e la direzione media del flusso
sulla pala. Il piano di riferimento della pala identifica la direzione rispetto
alla quale un flusso omogeneo non genera portanza. Per le pale con
carenatura simmetrica è quello diametrale.
L’angolo di barra α [°] del timone è l’angolo con cui si valuta la
posizione della pala rispetto allo scafo e corrisponde all’angolo formato fra il
piano di riferimento della pala ed un piano fisso sulla nave. È usuale indicare
come angolo di barra nullo (α = 0°) quello che corrisponde alla posizione del
timone a riposo e misurare gli angoli di barra rispetto a detta posizione. La
posizione di timone a riposo è quella in cui si trova il timone quando non è
chiamato a generare alcuna forza utile alla manovra.
Nel caso delle navi bielica l’azione dei propulsori è simmetrica e la
posizione di riposo del timone centrale o dei timoni laterali può essere
identificata come quella che assicura la minima resistenza aggiunta nella
condizione di navigazione di progetto. Il piano di riposo del timone viene
perciò ricercato attraverso lo studio del flusso che lambisce il timone durante
l’avanzo su rotta rettilinea, flusso che risente sia della scia della carena, sia
di quella dell’elica. Una volta identificata la direzione dei filetti fluidi in
corrispondenza della zona ove va posto il timone, il piano di riposo è presto
definito, infatti la pala va disposta parallelamente alla direzione media dei
filetti fluidi in modo da disturbare il meno possibile il flusso e generare
quindi la minima resistenza aggiunta. Nel caso del timone centrale, la
posizione di riposo del timone è chiaramente quella in cui il piano di
riferimento della pala coincide con il piano diametrale della nave.
Su navi monoelica, dal momento che il piano di riposo dipende
dall’asimmetria dell’azione dell’elica propulsatrice e cambia al variare del
regime dell’elica, il riferimento per l’angolo di barra è fatto al piano di
riposo ad elica ferma. Se il timone è centrale, il piano di riposo coincide con
il piano diametrale della nave. Al pilota (timoniere) viene poi fornito il
valore dell’angolo di barra che annulla l’effetto trasversale del propulsore,
definito come angolo neutro αN.
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Corso di Allestimento Navale
Quando la nave si trova in moto rettilineo, procede cioè alla via, il
timone deve compensare le eventuali asimmetrie dovute all’elica (e alla
carena). L’effetto evolutivo da imputarsi all’elica ha origine dalla
componente trasversale della spinta, che crea una traslazione laterale della
poppa sia per azione diretta, sia perché induce sulla pala uno scarto fra
l’angolo di barra e l’angolo di attacco. Nel caso di una nave monoelica con
elica destrogira, l’angolo neutro αN è tipicamente dell’ordine di 1° ∼ 2° a
dritta e il timone in questa posizione è detto “alla via”. Nel caso di navi
bielica, le espressioni timone diritto e timone alla via sono equivalenti
perché il timone centrale (o i timoni laterali) genera una forza (complessiva)
puramente longitudinale.
Nelle navi bielica l’azione dei propulsori è simmetrica e, fintanto che il
flusso proviene dalla direzione prora-poppa, l’angolo di attacco e l’angolo di
barra coincidono. Nelle navi monoelica i due angoli differiscono di una
piccola quantità che agli effetti pratici, per esempio nel calcolo delle forze
idrodinamiche, viene spesso trascurata. Nelle trattazioni di manovrabilità
rimane tuttavia importante evidenziare il valore dell’angolo neutro, tanto che,
generalizzando, si può affermare che sulle navi bielica vale αN = 0°.
Si consideri una nave che percorre una rotta non rettilinea, è possibile
osservare che la direzione della linea di fede non coincide con la tangente
alla traiettoria del baricentro. Nelle navi convenzionali, la prora è mantenuta
all’interno della traiettoria, ossia dalla parte del centro di rotazione. L’angolo
formato tra la linea di fede della nave e la tangente alla traiettoria descritta
dal baricentro della nave G è definito angolo di deriva (della nave) e viene
indicato con β [°]; come si vedrà oltre, un grande angolo di deriva dalla parte
del centro di rotazione favorisce un’accostata stretta.
Un certo angolo di deriva si manifesta anche in corrispondenza del
timone. Si consideri infatti la traiettoria percorsa sul piano orizzontale dal
punto che rappresenta la traccia dell’asse di rotazione del timone: l’angolo
fra questa traiettoria e la linea di fede è detto angolo di deriva al timone βR.
Se il timone non risentisse della presenza dell’elica e della carena, in
accostata vedrebbe un flusso proveniente dalla direzione tangente alla
traiettoria percorsa dal timone, di conseguenza in accostata l’angolo di
attacco sulla pala risulterebbe ridotto, rispetto all’angolo di barra, di una
quantità pari a βR. In realtà, si manifesta un effetto di raddrizzamento del
flusso nella direzione prora-poppa indotto da due fattori:
• la carena, che genera un forte raddrizzamento quando il timone è
nella sua scia ed è accentuato dalla presenza di uno skeg.
• l’elica, che fornisce un buon effetto di raddrizzamento al timone che
si trova nella sua scia, soprattutto se è molto caricata, ossia se è basso
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La manovrabilità della nave
il coefficiente d’avanzo J [-], definito come il rapporto fra la velocità
del flusso libero e quella tangenziale all’apice.
L’angolo di attacco effettivo αE che si manifesta durante l’accostata
risulta pari all’angolo di attacco su rotta rettilinea ridotto di una quantità
proporzionale all’angolo di deriva al timone βR. La riduzione ideale βR è in
parte compensata dall’effetto di raddrizzamento del flusso dovuto all’azione
dello scafo e dell’elica, effetto espresso in proporzione all’angolo di deriva
utilizzando il coefficiente di raddrizzamento del flusso κ [-]. In generale
l’angolo di attacco effettivo viene ad essere:
α E = α − κ βR
[°]
(2.A)
in cui si trascura l’effetto di asimmetria del flusso dell’elica. Il coefficiente
di raddrizzamento assume i seguenti valori limite:
• κ = 1 quando non si manifesta alcun effetto di raddrizzamento,
• κ = 0 quando l’effetto di raddrizzamento del flusso è massimo.
Il complesso delle forze trasversali che agisce sulla carena quando la
nave è su rotta rettilinea ha risultante nulla e non si manifestano moti di
deriva e d’imbardata, a meno di azioni dinamiche sull’opera viva prodotte da
correnti marine e colpi di mare o dell’azione del vento sull’opera morta e
sulle sovrastrutture. Si osservi per inciso che con il termine rotta si intende
la traccia del percorso della nave, o meglio di un suo punto identificativo
come, per esempio, il baricentro di massa G, descritto come percorso
vettoriale consistente in uno o più segmenti rettilinei o curvi, oppure come
percorso per punti consistente in un insieme di punti identificati dalle loro
coordinate.
In queste condizioni ideali, la simmetria delle pressioni esercitate sullo
scafo viene alterata solo per effetto della rotazione del timone di un certo
angolo rispetto alla posizione alla via. Per effetto del nuovo angolo di barra,
il flusso dell’acqua genera sulla pala una pressione che ha risultante
prevalentemente orizzontale ed inclinata di un certo angolo rispetto al piano
diametrale della nave. La nave esce così dalla traiettoria rettilinea ed entra in
accostata.
La forza orizzontale generata ha una componente utile FT [N] nella
direzione normale al piano diametrale della nave – orientata dalla parte
opposta del timone rispetto alla mezzeria nave – ed una componente
longitudinale parassita, detta componente ritardatrice RT [N] poiché ha verso
contrario rispetto alla spinta dell’elica propulsatrice e costituisce una
resistenza aggiunta di carena. Il momento verticale generato dalla forza del
timone rispetto al centro di massa G della nave costituisce il momento
evolutivo ME [Nm].
5
Corso di Allestimento Navale
Nella pratica il momento evolutivo viene convenzionalmente calcolato
sulla sola componente trasversale FT come prodotto della forza per il braccio
rappresentato dalla distanza longitudinale tra l’asse di rotazione della pala ed
il baricentro della nave. Tale braccio può quindi essere scritto in funzione
della lunghezza tra le perpendicolari della nave LPP [m] e della posizione del
centro di massa rispetto alla perpendicolare al mezzo xG [m] (ascissa positiva
se G è a proravia della perpendicolare al mezzo):
M E = FT (0,5LPP + xG )
[Nm]
(2.B)
In tal modo si ammette la piccola approssimazione derivante dal trascurare
sia l’effettiva posizione del centro di pressione, molto vicino all’asse di
rotazione della pala, sia la componente longitudinale della forza generata dal
timone, che lavora in realtà con un piccolo braccio. Essendo la principale
artefice del momento evolutivo, la componente trasversale è detta
componente attiva.
Appare subito evidente l’effetto cinematico prodotto dall’azione del
timone nella fase iniziale di un’accostata. Infatti, considerando il sistema
equivalente di forze ottenuto spostando nel baricentro di massa della nave le
forze FT ed RT ed aggiungendo il momento di trasporto ME, si ha che:
• il momento evolutivo ME genera una rotazione attorno ad un asse
verticale, ossia un moto di imbardata;
• la forza trasversale FT produce uno spostamento trasversale della
nave, ovvero un moto di deriva;
• la forza longitudinale RT causa infine una riduzione della velocità
della nave.
Va però osservato che la singola forza generalizzata genera, oltre al moto
corrispondente, anche i moti ad esso accoppiati.
3. Il controllo e la manovra della nave
La nave deve possedere particolari attitudini marine che permettano al pilota
il controllo sicuro e facile dei sui movimenti sulla superficie del mare.
Il controllo è esercitato dal timoniere o dall’autopilota che, conoscendo
il percorso che deve essere seguito (rotta impostata) ed osservando il
percorso reale della nave (rotta reale), sono in grado di valutare l’errore di
percorso e di stabilire le procedure necessarie per l’esecuzione delle
manovre di correzione della rotta.
Nota l’entità dello scarto, il pilota interviene sul macchinario del timone
trasmettendo un comando di variazione dell’angolo di barra, sì da causare la
variazione della forza trasversale FT generata dalla pala del timone. Ne
consegue la modifica dell’intensità del momento evolutivo ME ed infine la
6
La manovrabilità della nave
modifica della traiettoria della nave. L’operazione può constare di una serie
di aggiustamenti successivi e termina quando la nave si porta a seguire la
rotta desiderata. Il pilota rimane poi inattivo fino all’istante in cui non stima
di nuovo uno scarto apprezzabile fra rotta impostata e reale, oppure finché
non riceve un comando di variazione della rotta.
La bontà del controllo dipende da una serie di fattori molto diversi.
Vanno considerate infatti le variabili correlate all’intera catena di controllo:
• il fattore umano, intendendo con ciò che la qualità del controllo
dipende non solo dal grado di preparazione del pilota, ma da una
serie di variabili inerenti alla natura umana stessa;
• la disponibilità di strumentazioni di plancia per la gestione della
rotta (per la stima della posizione nave, la misura dell’angolo di
barra, il coordinamento dei sistemi di governo e di manovra, etc.);
• la disponibilità di informazioni sulle caratteristiche di manovrabilità
della nave (pilot card, wheelhouse poster, manoeuvring booklet);
• l’efficacia del sistema di governo della nave, che si misura con la
prontezza con cui la timoneria muove il timone, la velocità di
rotazione del timone e la capacità della pala di generare forze
idrodinamiche sufficientemente elevate;
• l’attitudine della nave a farsi manovrare ovvero il comportamento
della nave in risposta alle forze indotte dai sistemi di governo
(dipende dalle caratteristiche intrinseche di manovrabilità della
nave).
I fattori ingegneristici da cui dipende la bontà del controllo sono studiati
in seno alla disciplina che prende il nome di manovrabilità. La capacità di
analizzare questi fattori porta alla comprensione delle modalità di reazione
della nave ai sistemi di governo ed apre quindi la via alla progettazione
razionale di questi ultimi.
Tutte le navi dovrebbero possedere qualità di manovrabilità tali da
consentire loro di effettuare le procedure di controllo del moto in maniera
soddisfacente, ossia in sicurezza riguardo alle condizioni operative previste,
e, per quanto possibile, indipendentemente da ausili esterni, quali, per
esempio, i rimorchiatori. Una nave è sicura solo se è controllabile, ovvero se
è manovrabile.
In generale, la manovrabilità di una nave si misura nell’attitudine della
nave ad eseguire con precisione manovre di regolazione sia della traiettoria,
sia della velocità. Il controllo della traiettoria sottostà ad esigenze diverse a
seconda che la nave si trovi nella situazione di navigazione in mare aperto o
di atterraggio:
7
Corso di Allestimento Navale
• durante la navigazione in mare aperto la nave deve poter eseguire, ad
alta velocità di avanzo, manovre per il mantenimento o la variazione
della rotta rettilinea;
• in fase di atterraggio la nave, giunta in prossimità della costa, deve
poter compiere le manovre per andare alla fonda o per entrare in
porto, muovendosi su tragitti anche tortuosi ed a basse velocità; in
questa fase deve essere in grado di eseguire manovre di evoluzione
che le permettano di raggiungere o abbandonare una banchina e, non
da ultimo, deve riuscire ad estinguere il suo moto, in direzione sia
longitudinale, sia trasversale
Le qualità manovriere che devono possedere le navi si distinguono fra
quelle intese al mantenimento di una traiettoria, alla variazione della
traiettoria e al controllo della velocità. Si creano perciò tre diversi ambiti:
• lo steering o governo della nave, che comprende tutte quelle qualità
manovriere che sono relative al controllo della rotta in navigazione;
• il manoeuvring o attitudine alla manovra, che raccoglie le qualità
correlate all’esecuzione di manovre di variazione della traiettoria per
la modifica della rotta o per l’esecuzione di evoluzioni;
• lo speed changing è l’attitudine alla variazione della velocità di
avanzo, intendendo con ciò, in genere, la capacità di estinguere il
moto di avanzo.
Il primo aspetto riguarda la capacità di mantenimento della rotta (course
keeping), con riferimento ad una traiettoria rettilinea predeterminata. Questa
attitudine è strettamente correlata alla facilità di mantenere una nave sulla
propria rotta contro l’azione delle forze ambientali (colpi di vento, correnti,
onde) che sono fonte di perturbazioni del moto.
Va infatti osservato che, una volta impostato l’angolo di rotta, la nave,
sotto l’azione del pilota, segue il percorso rettilineo in maniera imperfetta,
compiendo un movimento ondulatorio attorno alla traiettoria ideale. Il
mantenimento (o controllo) della rotta consiste nell’attenuazione del
movimento ondulatorio trasversale e si effettua variando, quasi con
continuità, l’angolo di barra del timone. In una nave con buone
caratteristiche di course keeping, la correzione della rotta si ottiene, a fronte
di piccoli angoli di barra del timone, con piccoli angoli di deriva della nave.
In altre parole, l’angolo formato fra la direzione prora-poppa e il percorso di
un punto caratteristico della nave (si può fare, per esempio, riferimento al
centro di massa della nave G) rimane piccolo. In quanto segue, sarà usuale
indicare l’asse della nave steso sulla direzione prora-poppa con il termine
“linea di fede”.
Il secondo aspetto concerne la capacità della nave di eseguire una
variazione della traiettoria in maniera veloce e con piccoli spazi di manovra,
8
La manovrabilità della nave
sia per modificare l’angolo di rotta attraverso una leggera accostata, sia per
invertire la rotta eseguendo un’evoluzione completa.
Appare evidente che una nave che mostra facilità all’accostata avrà
maggiori difficoltà a mantenersi su una traiettoria rettilinea, infatti le due
qualità sono antitetiche. Il progetto della manovrabilità della nave deve
soddisfare il compromesso fra le due caratteristiche, tenendo conto anche
della tipologia della nave ed in particolare del tipo di servizio espletato dalla
nave. Nelle navi per navigazioni su lunghe tratte (oceangoing vessel) è
sicuramente preferibile migliorare la qualità di controllo, mentre nelle navi
che si muovono su rotte di lunghezza limitata con frequenti soste in porto
(piccole imbarcazioni, navi che fanno servizio feeder) è preferibile puntare
su una buona manovrabilità.
Il terzo aspetto è slegato dalle prerogative di manovrabilità in senso
stretto, perché concerne non tanto un’attitudine della nave ad eseguire un
determinato movimento, ma piuttosto la capacità della nave di estinguere il
movimento di avanzo. Questo aspetto della manovrabilità è correlato
all’esecuzione di attracchi o di manovre di emergenza. Raramente si
indagano qualità legate ad altre modalità di controllo della velocità.
Per i mezzi sommergibili, in aggiunta alle caratteristiche sopra elencate,
va anche considerata la capacità di controllare il movimento di immersione o
di emersione, movimento realizzato tramite l’azione dei timoni orizzontali.
Per questi mezzi il moto avviene infatti in uno spazio tridimensionale.
4. L’evoluzione del concetto di manovrabilità
Storicamente, la prassi dei progettisti è stata quella di non prendere in
considerazione il problema della manovrabilità della nave, demandando alle
risorse dei piloti la risoluzione di problemi legati alle scarse qualità
manovriere che la nave poteva palesare una volta costruita e messa in
navigazione. Una nave era considerata manovriera semplicemente se aveva,
rispetto a navi simili, qualità “nella norma”. Questo atteggiamento era frutto
dell’incapacità di definire le qualità manovriere di una nave.
Il problema della valutazione delle qualità manovriere è subordinato a
quello dell’identificazione di parametri oggettivi, capaci di riassumere gli
aspetti significativi di una manovra. I valori assunti da detti parametri
costituiscono una misura delle doti di manovrabilità della nave.
A partire dagli anni ’60 gli enti preposti a garantire la sicurezza della
navigazione, sotto l’impulso dei rischi connessi alla navigazione delle grandi
navi cisterna, hanno cominciato a definire criteri minimi in relazione alle
doti di manovrabilità delle navi. Le grandi navi cisterna tendono infatti ad
9
Corso di Allestimento Navale
avere scarse caratteristiche di manovrabilità (e conseguentemente il rischio
di incidenti aumenta).
Un primo passo fu quello di puntare sulla qualità del sistema di governo,
aspetto riguardo al quale l’IMO (International Maritime Organization,
agenzia delle Nazioni Unite per la sicurezza della navigazione) ha elaborato
una serie di raccomandazioni inerenti alle caratteristiche principali delle
sistemazioni per il governo della nave. Queste indicazioni, recepite dagli
Enti di Classificazione, erano, fino a pochi anni fa, gli unici standard cui
poteva fare riferimento il progetto della manovrabilità delle navi. Tali linee
guida contenute nella SOLAS sono così riassumibili:
• deve essere garantita una sufficiente visibilità dal ponte di comando;
• l’area della pala del timone deve garantire la generazione di una
forza idrodinamica sufficientemente elevata; a tal fine l’area di pala
deve essere maggiore di un valore minimo fissato in funzione delle
caratteristiche della nave;
• il macchinario di timoneria deve possedere una potenza tale da
garantire, alla massima velocità della nave, una velocità di rotazione
dell’asta del timone di almeno 2⅓° al secondo;
• l’intero apparato deve avere un’alta affidabilità sia strutturale sia
funzionale.
Il continuo crescere delle dimensioni delle navi (ad esempio le navi
portacontenitori) e delle loro velocità (ad esempio i traghetti veloci), assieme
all’esigenza di garantire la sicurezza in aree portuali sempre più trafficate (e
dove, a causa dell’effetto di shallow water, la manovrabilità è ridotta), hanno
ulteriormente stimolato la ricerca nell’ambito della manovrabilità. Si poneva
il problema di definire un metodo di analisi per:
• classificare le qualità manovriere facendo frutto dell’esperienza e
della sensibilità maturata dai piloti;
• misurare le qualità manovriere attraverso parametri oggettivi;
• verificare le qualità manovriere di una nave nuova attraverso prove
in mare atte a valutare i valori di detti parametri.
Si è così pervenuti alla messa a punto di una serie di parametri
caratterizzanti la prontezza e la precisione della risposta della nave durante
le manovre, tali da essere significativamente rappresentativi delle qualità
manovriere della nave e atti a misurare le qualità intrinseche della nave
indipendentemente dalle capacità del pilota e dalle condizioni ambientali.
I parametri di risposta sono costituiti da tempi di risposta e da spazi di
manovra che vengono misurati durante specifiche prove al vero eseguite in
accordo con standard internazionali. Oggigiorno, le linee guida prodotte
dall’IMO (e dagli enti di ricerca) definiscono nei particolari le tipologie di
prove al vero atte a saggiare la manovrabilità di una nave.
10
La manovrabilità della nave
L’esperienza maturata negli ultimi anni – sia con prove al vero, sia con
procedimenti matematici di previsione delle attitudini manovriere delle navi
– permette ora di valutare le qualità marine di una nave già in fase di
progetto. La maturità raggiunta in quest’ambito ha legittimato gli Enti
preposti alla vigilanza sulla sicurezza della navigazione, primo fra tutti l’IMO,
a suggerire standard minimi di manovrabilità. Sono stati così fissati i valori
minimi dei parametri con cui si misura la manovrabilità delle navi. Tali
standard, ancora in fase embrionale, non appaiono particolarmente severi e
sono piuttosto generici (non sono infatti specifici per le diverse tipologie di
nave).
L’attività dell’IMO nel campo della manovrabilità non si limita
definizione degli standard minimi ma è rivolta al controllo di tutti quei
fattori che concorrono a determinare qualità e sicurezza. Nello specifico, gli
ambiti di indagine dell’IMO sono i seguenti:
• la manovrabilità delle navi allo stato integro, con lo scopo di
stendere standard di manovrabilità cui il progettista deve attenersi;
• la manovrabilità delle navi cisterna in condizioni di avaria o di falla
(situazioni in cui la governabilità è ridotta), in modo da fornire linee
guida per la gestione delle emergenze (e con lo scopo principale di
minimizzare il rischio di inquinamento);
• l’istruzione del personale di plancia responsabile del governo della
nave, in modo da garantire una condotta sicura del mezzo marino
attraverso la conoscenza sia delle procedure sia delle qualità
manovriere della nave.
Anche le società armatrici richiedono sempre più frequentemente che la
nave possegga buone prestazioni di manovrabilità, soprattutto con
riferimento alle manovre in acque ristrette. Tale politica non è intesa a
garantire la sicurezza quanto piuttosto a ridurre i costi di gestione delle navi,
costi legati all’uso dei rimorchiatori in acque portuali.
5. La stabilità del moto della nave
Nello studio dell’attitudine della nave a mantenere o modificare la sua
traiettoria, sia essa rettilinea o curva, è importante definire innanzitutto il
concetto di stabilità del moto.
Come noto, un corpo si trova in condizione di equilibrio stabile se, dopo
la cessazione di una causa esterna che lo ha spostato dalla sua posizione (una
forza o un momento), esso torna nella stessa posizione iniziale. In maniera
analoga si stabilisce la stabilità dell’equilibrio della nave. Si consideri una
nave che inizialmente si trova su rotta rettilinea percorsa a velocità costante
(moto rettilineo uniforme) e che subisce poi l’azione di una causa
perturbatrice (un colpo di vento o il moto ondoso) che la fa deviare su una
11
Corso di Allestimento Navale
traiettoria curva. Si dice che la nave gode di equilibrio stabile durante il
moto di avanzo, ovvero possiede stabilità dinamica di rotta, se, al cessare
della causa perturbatrice, la nave torna nello stato iniziale di moto rettilineo
uniforme, ovvero torna su una rotta rettilinea.
In relazione al moto della nave si definiscono diversi gradi di stabilità
del moto:
• stabilità di percorso,
• stabilità direzionale,
• stabilità di rotta rettilinea.
Si dice che il moto si realizza in condizioni di perfetta stabilità se, a
partire da una rotta rettilinea percorsa a velocità costante, dopo la cessazione
di un disturbo esterno che modifica le condizioni del moto viene ripresa
esattamente la stessa rotta iniziale senza alcun intervento correttivo da parte
degli organi di controllo (ossia con timone fisso). Tale stabilità si indica
come stabilità di percorso. Ovviamente un comportamento perfetto come
quello descritto non è realizzabile perché non esistono forze di richiamo
verso la rotta iniziale. Il mantenimento della traiettoria retta sullo stesso
percorso si può ottenere solamente con l’ausilio di un sistema di governo
manuale o automatico.
Se la nave riuscisse a riprendere – senza intervento esterno da parte del
pilota – il suo moto rettilineo su una rotta parallela a quella iniziale, si
parlerebbe di stabilità direzionale. Anche la stabilità direzionale si può
ottenere solamente con l’ausilio di un sistema di controllo manuale o
automatico.
Nella realtà, la nave può riuscire a riprendere – sempre senza intervento
esterno da parte del pilota – solamente il moto rettilineo, in una direzione
che dipende dalla durata ed intensità della causa perturbatrice e dalle
caratteristiche intrinseche della nave. Se, dopo la cessazione della
perturbazione, la nave si porta su una nuova rotta rettilinea, si dice che
possiede stabilità di rotta (rettilinea). In questo contesto la stabilità va
quindi intesa come la capacità di mantenere una rotta rettilinea senza
l’intervento del timone ed è indicata in maniera concisa come controls-fixed
straight-line stability. Non tutte le navi la posseggono e, in ogni caso, le navi
possono essere stabili o instabili in diversa misura.
Quando una nave è instabile mostra il suo comportamento anomalo
deviando dalla traiettoria rettilinea per portarsi su una traiettoria curva sotto
l’azione di cause perturbatrici generate dall’ambiente. La nave instabile, alla
fine della perturbazione, devia sempre più dalla rotta iniziale, accostando
con il timone in posizione neutra. Ciò comporta per il pilota evidenti
problemi di controllo della nave perché non vi è più una corrispondenza
biunivoca fra l’angolo di barra del timone (l’angolo neutro αN) e la curvatura
12
La manovrabilità della nave
1/R della traiettoria percorsa (ove con R [m] si indica il raggio della
traiettoria di un punto significativo della nave, per esempio il baricentro G),
che non è più nulla ma assume due valori diversi, a seconda che la
perturbazione provochi un’accostata verso dritta (1/RPS > 0) o verso sinistra
(1/RSTB < 0). Si osservi che l’accostata (raggio di curvatura, angolo di
rotazione e velocità di rotazione) e l’angolo di barra sono per convenzione
positivi a dritta (starboard side − STB) e negativi a sinistra (port side − PS).
Una piccola instabilità dinamica è generalmente accettata, perché le
manovre del timone necessarie per arginarla si confondono con quelle
effettuate per compensare i disturbi esterni che via via agiscono sulla nave,
mentre una elevata instabilità deve essere corretta.
6. Analisi della stabilità dinamica
Le prestazioni manovriere della nave si saggiano, come già accennato,
misurando parametri di tempo e spazio in modo da avere informazioni
sull’abilità della nave ad eseguire le manovre con prontezza e su tragitti
brevi. La misura degli spazi impegnati, o meglio, delle traiettorie percorse,
dà inoltre informazioni sulla precisione di risposta della nave.
La precisione di risposta è garanzia dell’univocità di corrispondenza fra
l’intervento del pilota (ossia l’azione idrodinamica che nasce sul sistema di
controllo) ed il moto della nave. La precisione di risposta è la prima
caratteristica di manovrabilità che deve essere valutata su una nave. Se la
nave non risponde con precisione all’azione del timone, la manovra diventa
infatti incerta e assume quindi un’importanza secondaria saggiare l’attitudine
della nave a rispondere con prontezza e su tragitti brevi.
Si è già visto che, se la nave ha stabilità di rotta rettilinea, all’angolo di
barra neutro (α = αN) si associa un solo raggio di curvatura (R = ∞), mentre
se è instabile all’angolo di barra neutro corrispondono due traiettorie: quella
iniziale (R = ∞) e quella finale (R = RPS/STB). Un analogo ragionamento può
essere fatto anche a partire da una traiettoria iniziale circolare (R = RI ≠ ∞)
percorsa a velocità costante: in questo caso la stabilità della rotta si misura
saggiando la corrispondenza biunivoca fra l’angolo di barra impostato (α =
αI ≠ αN) e il raggio della traiettoria. Il concetto di stabilità di rotta rettilinea
può essere quindi esteso anche alla rotta su traiettoria circolare.
La precisione di risposta può essere correlata alla stabilità dinamica di
rotta, valutando l’esistenza o meno di una corrispondenza biunivoca fra il
raggio di curvatura della rotta R e l’angolo di barra del timone α:
• la corrispondenza biunivoca (α, R) garantisce la massima precisione
della risposta;
13
Corso di Allestimento Navale
• la mancanza di detta corrispondenza biunivoca implica una risposta
imprecisa, il cui grado di imprecisione è misurabile attraverso lo
scarto fra i raggi di curvatura ottenuti con lo stesso angolo.
L’esperienza mostra che se una nave è instabile su rotta rettilinea
presenta, in diverso grado, difficoltà di controllo della rotta anche in
accostate realizzate con alti raggi di curvatura.
I dati relativi alla stabilità di rotta della nave vengono dedotti da
specifiche prove al vero e consistono in coppie ordinate di valori (α, R).
Queste coppie vengono raccolte in un diagramma che prende il nome di
“diagramma del moto circolare uniforme” (il diagramma si indica più
propriamente con il termine steering diagram, oppure ancora con il nome di
spiral loop curve). In ascissa sono riportati gli angoli di barra ed in ordinata i
corrispondenti raggi della traiettoria circolare, in genere adimensionalizzati
sulla lunghezza della nave L [m]. Ciascuna curva così definita si riferisce ad
una prefissata velocità di avanzo posseduta dalla nave all’ingresso delle
manovre.
In detto diagramma, la curva presenta due bracci, uno relativo ad angoli
di barra a dritta (α+) ed uno relativo ad angoli di barra a sinistra (α–). I due
bracci mostrano due possibili andamenti:
• nel caso di stabilità dinamica le curve hanno asintoto verticale
comune in corrispondenza dell’angolo neutro del timone: all’angolo
di barra αN corrisponde la rotta con raggio R = ∞;
• nel caso di instabilità dinamica, al diminuire del valore assoluto
dell’angolo di barra, le curve sono ancora una volta crescenti ma
raggiungono un valore massimo finito in corrispondenza di αN e
continuano a crescere anche dopo averlo attraversato; solo dopo un
certo tratto manifestano repentinamente il cambio di segno del raggio
di curvatura della traiettoria.
In quest’ultimo caso, la zona di sovrapposizione che viene a crearsi rende
conto dell’instabilità di rotta, infatti ad ogni fissato angolo di barra
corrispondono due valori del raggio della traiettoria. L’area inscritta fra i due
bracci prende il nome di area di isteresi.
Il diagramma di una nave instabile indica perciò che, se la nave parte
con il timone all’angolo neutro, si può impostare inizialmente una rotta
rettilinea (R = ∞) dal momento che le forze trasversali generate dalla pala e
dall’elica sono equilibrate. Un colpo di vento la farà poi deviare su una
traiettoria circolare stabilizzata (R costante) il cui raggio di curvatura, letto
nel diagramma in corrispondenza dell’angolo di barra neutro, è positivo o
negativa a seconda che la forza perturbatrice provenga da sinistra nave o da
dritta. Analogo discorso vale anche per tutti quei valori dell’angolo di barra
che sono compresi nella zona di sovrapposizione delle due curve.
14
La manovrabilità della nave
Nello steering diagram, in luogo delle curve che rappresentano i raggi di
curvatura R delle traiettorie, è usuale riportare le curve che rappresentano i
valori della velocità angolare di corpo rigido della nave ψ [rad/s]. Si passa
quindi dalla rappresentazione α−R alla rappresentazione α−ψ.
Il diagramma α−ψ si ottiene dal primo richiamando la relazione che
lega la velocità angolare e la velocità tangenziale. Indicando con V [m/s] la
velocità di traslazione del baricentro G della nave durante l’evoluzione di
raggio R, vale:
V
= ψR
[m/s]
(6.A)
La velocità ψ, trovandosi la nave in moto circolare uniforme, coincide con la
velocità di imbardata. La velocità V è la somma della velocità di avanzo
della nave e della velocità di deriva misurata al baricentro G.
Nel diagramma α−ψ l’intercetta della curva sull’asse delle ascisse
indica l’angolo di barra neutro. La stabilità dinamica di rotta si manifesta nei
termini di una funzione monotona crescente del tipo ψ = ƒ(α). L’instabilità è
evidenziata da due bracci che si sovrappongono su una certa fascia di valori
dell’angolo di barra.
Lo steering diagram non dice quanto deve essere intensa la causa
perturbatrice per provocare la stabilizzazione del moto a partire da una
situazione di equilibrio instabile. D’altra parte, la presenza nel diagramma di
un’area d’isteresi mette in allerta il pilota (o il progettista), avvisandolo che
sussiste la possibilità che la nave si porti su una traiettoria circolare, senza
alcun intervento sul timone, solo perché le cause perturbatrici dell’equilibrio
sono cresciute fino a vincere l’inerzia della nave stessa.
Come illustra il diagramma, l’instabilità, quando si manifesta, concerne
solo gli angoli di barra prossimi all’angolo di barra neutro. Per tale motivi
essa si indica anche con il termine di instabilità iniziale. Dal momento che i
bassi angoli di barra sono tipici del controllo della rotta in navigazione,
l’instabilità è fonte di difficoltà nelle fasi di governo della nave e non
interessa, se non marginalmente, le fasi di manovra.
Dallo steering diagram è possibile valutare il grado di instabilità di una
nave misurando la larghezza e l’altezza dell’area di isteresi. In particolare,
con riferimento al diagramma α−R, raggi di curvatura piccoli nella zona di
instabilità sono indice di un’alta propensione della nave all’instabilità di
rotta. Tali valori indicano infatti che la nave, poiché è incline a stabilizzare
evoluzioni molto strette sotto l’azione di piccoli angoli di barra del timone,
può anche essere spinta fuori rotta con facilità per effetto di un “leggero”
colpo di mare o di vento. In una famiglia di curve α−ψ di navi instabili,
15
Corso di Allestimento Navale
quelle che nella zona di instabilità assumono, a parità di α, valori maggiori
indicano proprio questa propensione.
Oltre a fornire un indice delle attitudini di manovrabilità della nave, lo
steering diagram mostra anche implicitamente quale è l’efficacia del timone.
Si considerino le curve ψA−α e ψB−α relative alla stessa nave allestita con
due soluzioni alternative di timone (configurazioni A e B) e ottenute con
prove di manovrabilità eseguite alla stessa velocità di ingresso in manovra.
Si supponga che le due curve, per un certo valore dell’angolo di barra del
timone, abbiano raggi di curvatura RA ed RB che stanno, l’uno rispetto
all’altro, nella relazione RA > RB. Ciò implica che, per tale valore di α, la
nave con configurazione B accosti in uno spazio minore. In genere, la
configurazione che si mostra più efficace per un determinato valore di α lo è
anche su tutto il campo. In conclusione la curva ψ−α più alta (in questo caso
la curva ψB−α) identifica il timone più efficace.
Le curve dello steering diagram mostrano un gradiente di crescita che,
almeno su navi di forme tradizionali manovrate da timoni convenzionali, via
via si riduce all’aumentare del valore dell’angolo di barra. In altre parole,
nella zona quasi piatta del diagramma (da circa 30° ∼ 40° in poi), un
incremento dell’angolo di barra non comporta una significativa riduzione
dello spazio di manovra. È quindi inutile manovrare il timone agli angoli
corrispondenti a questa zona e il valore standard dell’angolo di barra
massimo è fissato in 35°.
Le curve sinora discusse indicano che, quando la nave è instabile, le
rotte caratterizzate da alti valori di R, ossia quelle prossime alla rotta
rettilinea, non possono essere percorse in condizione di equilibrio stabile.
Tali rotte si possono impostare solamente facendo oscillare il timone di
pochi gradi e con continuità attorno ad una posizione media αm.
In alcuni steering diagram le situazioni di equilibrio instabile appena
descritte − corrispondenti alla fascia di valori di ψ non realizzabili con
timone fisso su navi inizialmente instabili − sono indicate attraverso una
curva tracciata all’interno dell’area di isteresi, curva che identifica, per ogni
raggio di curvatura R della traiettoria, il valore medio αm dell’angolo di barra
necessario a realizzarla. Tale tratto aggiuntivo di curva, come è logico
aspettarsi, viene a raccordare i due bracci precedentemente ottenuti,
formando nel complesso un’ampia curva ad “S”. L’intercetta della curva
sull’asse delle ascisse si ha in corrispondenza dell’angolo neutro αN.
Le coppie (αm, ψ) definiscono, all’interno dell’area di isteresi, una curva
che fornisce informazioni aggiuntive sul grado di instabilità di rotta della
nave.
Lo steering diagram che riporta le curve relative alle due situazioni
estreme di navigazione in shallow water e deep water fornisce informazioni
16
La manovrabilità della nave
sull’effetto del fondale. La variazione della velocità di ingresso in manovra
definisce un ulteriore grado di libertà. Il confronto di dette curve mostra che:
• a parità di profondità del fondale, la maggiore velocità fa generare al
timone forze utili più elevate che producono evoluzioni più strette
della nave;
• a parità di velocità della nave, il timone mantiene un’efficacia
pressoché invariata tranne che ai piccoli valori dell’angolo di barra
quando la resistenza aggiunta di shallow water annulla l’azione del
timone e rende la nave instabile.
Nelle manovre in shallow water la nave sperimenta una minore
predisposizione alla manovrabilità, sia perché l’efficienza del timone
diminuisce in seguito ad una velocità di incidenza inferiore sia perché la
carena stessa evoluisce con maggiore difficoltà (la nave ha una minore
steering efficiency).
7. L’equilibrio dinamico della nave in accostata
L’instabilità di rotta di una nave si può spiegare analizzando le forze che su
di essa si manifestano quando si trova a percorrere una traiettoria circolare
con moto uniforme.
Si consideri inizialmente la nave che avanza su una traiettoria rettilinea
con velocità costante (moto rettilineo uniforme). Le forze che agiscono sulla
nave sono, in condizioni ideali (ossia in assenza di cause perturbatrici), solo
forze longitudinali: la spinta T0 [N] dell’elica, la resistenza idrodinamica W0
[N] agente sull’opera viva e la resistenza aggiunta generata dal timone RT0.
Nella condizione di equilibrio descritta vale:
T0 + W0 + RT0 = 0
[N]
(7.A)
ove non si considera esplicitamente l’azione asimmetrica dell’elica (la forza
trasversale del timone all’angolo neutro e la forza trasversale dell’elica sono
forze autobilanciate).
In seguito all’azionamento del timone nasce sulla pala la forza utile
trasversale che è all’origine del momento evolutivo e si instaura sulla nave
una nuova condizione di equilibrio in presenza di forze idrodinamiche
modificate rispetto al caso precedente, oltre che di forze inerziali. Le forze,
agendo a diverse altezze, causano lo sbandamento della nave.
Il moto di corpo rigido della nave durante l’accostata si realizza sui 6
gradi di libertà ma l’accoppiamento tra moti orizzontali e moti verticali è
debole, perciò lo studio può essere condotto in prima approssimazione con
riferimento ai soli moti di traslazione longitudinale (avanzo), traslazione
trasversale (deriva) e rotazione attorno ad un asse verticale (imbardata, anche
17
Corso di Allestimento Navale
se più correttamente il moto va indicato con il termine di “variazione di
rotta”). In realtà, lo sbandamento può essere rilevante e può avere influenza
sull’accostata, ma non altera qualitativamente il meccanismo con cui si
instaura l’equilibrio fra le forze orizzontali.
Durante l’accostata le forze che agiscono sulla nave possono essere così
classificate:
• la spinta dell’elica T appartenente al piano diametrale della nave e
agente nella direzione prora-poppa (la componente trasversale,
bilanciata dall’angolo neutro del timone, non è considerata
esplicitamente);
• la reazione idrodinamica complessiva W [N] che sostituisce la
resistenza all’avanzo su rotta rettilinea; è la risultante delle forze
idrodinamiche che nascono sulla carena e si può pensare applicata
nel centro di pressione della carena (si osservi che ora la resistenza
ha anche una componente trasversale); a detta forza idrodinamica si
associa un momento di reazione idrodinamica MW [Nm];
• la forza generata dal timone, nelle sue componenti trasversale FT
(forza utile dedotta della frazione per la compensazione dell’effetto
asimmetrico dell’elica) e longitudinale RT (resistenza aggiunta),
applicate nel centro di pressione CP della pala;
• la forza centrifuga FC [N] agente sulla retta congiungente il centro di
istantanea rotazione C e il baricentro G della massa della nave
comprensiva della massa aggiunta;
• la forza d’inerzia FIN [N] nelle direzioni coniugate, applicata nel
centro di massa G, accompagnata da un momento delle forze
d’inerzia MIN [Nm].
Quando la nave percorre una traiettoria circolare con velocità costante
(moto circolare uniforme) l’equilibrio dinamico alla traslazione sul piano
orizzontale è dato dalla seguente relazione:
T + W + FT + R T + FC = 0
(7.B)
[N]
Il moto complessivo della nave sulla superficie marina può considerarsi
la risultante di un moto traslatorio e uno rotatorio, perciò il moto piano su
traiettoria circolare può essere studiato coma la somma dei due seguenti moti:
• un moto di traslazione del centro di massa G caratterizzato dalla
velocità V [m/s] e definito rispetto ad un sistema fisso (inerziale);
• un moto di rotazione del corpo attorno a G caratterizzato dalla
velocità di variazione di rotta ψ [rad/s] valutata rispetto ad un
sistema solidale con il centro massa e avente orientazione invariabile
rispetto a quello fisso.
18
La manovrabilità della nave
Per valutare la dinamica del corpo rigido si aggiunge al già utilizzato
teorema del centro di massa la seconda equazione cardinale della dinamica,
scritta rispetto all’asse verticale baricentrico. Nelle suddette condizioni di
stazionarietà del moto, trascurando l’azione evolutiva della forza RT e
considerando che le forze T e FC hanno braccio nullo rispetto al baricentro G,
vale:
(7.C)
[Nm]
ME + MW = 0
ove MW [Nm] è il momento complessivo delle forze idrodinamiche.
L’espressione del momento evolutivo ME è nota (Eq. 2.B), mentre per
esplicitare il momento delle forze idrodinamiche MW si può fare riferimento
alle modalità con cui si realizza il moto della nave:
• alla traslazione è associata una reazione idrodinamica avente una
componente longitudinale resistente all’avanzo e una trasversale
resistente alla deriva, la cui retta d’azione interseca il piano
diametrale della nave a proravia o a poppavia del centro di massa
determinando il momento verticale MW,A+D [Nm];
• alla rotazione è associata una reazione idrodinamica che genera un
momento verticale resistente MW,Y [Nm].
I due moti di traslazione e di rotazione sono strettamente accoppiati ed
esiste quindi una forte interazione reciproca. Se le forze e i momenti
idrodinamici sono calcolati considerando l’accoppiamento fra i due moti, si
può indicare con MW,Y la somma dei due momenti sopra introdotti, mentre,
come già indicato, la forza complessiva è W.
Il momento resistente idrodinamico, che all’equilibrio è sempre di segno
opposto al momento evolutivo (ME /MW > 0), è dato dalla somma di MW,Y che,
opponendosi sempre al moto di rotazione della nave, è sempre un momento
di reazione e di MW,A+D che può opporsi al moto di rotazione oppure
favorirlo. La forza che genera MW,A+D può infatti intersecare il piano
diametrale a proravia o a poppavia del baricentro G. Richiamando
l’equazione di equilibrio (Eq. 7.C) vale ME = MW e, esplicitando i segni dei
momenti idrodinamici parziali, si può scrivere:
M W = M W,Y ± M W,A+D
[Nm]
(7.D)
da cui risulta che il segno del momento idrodinamico totale dipende dalla
relazione fra i due momenti parziali. Ed infine:
M E − M W,Y ∓ M W,A+D = 0
[Nm]
(7.E)
19
Corso di Allestimento Navale
ove il segno positivo di fronte a MW,A+D indica che il moto di avanzo e deriva
crea un momento idrodinamico che favorisce la variazione di rotta. Dalla
relazione risulta che, all’equilibrio, il verso del momento evolutivo dipende
dalla relazione fra i due momenti parziali.
Tipicamente, sui corpi affusolati immersi in un flusso variamente
inclinato la risultante delle forze idrodinamiche agisce in un centro di
pressione che si genera nella parte prodiera. Così è anche nel caso della
carena in movimento di avanzo con deriva. Ciò comporta che, in genere,
detto centro di pressione, nelle fasi iniziali dell’accostata, venga a trovarsi a
proravia del centro di massa di nave e massa aggiunta, relegando così il
timone ad un ruolo marginale. Successivamente, durante l’accostata, in
seguito allo spostamento verso poppa del centro di applicazione della forza
W, l’azione destabilizzante si riduce e può anche trasformarsi in un’azione
stabilizzante.
L’Eq. 7.E mostra che l’equilibrio dei momenti in accostata si può
realizzare secondo due diverse modalità. In altre parole, la stessa condizione
cinematica può realizzarsi sotto condizioni dinamiche molto differenti. Nella
trattazione che segue, senza perdere in generalità, si farà riferimento al caso
di nave in accostata a dritta (ψ > 0) .
Nel primo caso, che chiameremo “normale”, il momento evolutivo è
equiverso rispetto all’angolo di rotazione e quindi è positivo. Questa
circostanza si manifesta quando FT è orientata verso l’esterno della
traiettoria, ovvero quando l’angolo di attacco effettivo mantiene lo stesso
segno dell’angolo di barra. Ne consegue che il momento delle forze
idrodinamiche è negativo, ovvero che i due momenti parziali o sono
equiversi o sono tali che quello relativo alla rotazione prevale su quello
correlato alla traslazione. In formule:
ψ>0
α > κ βR
ME > 0
MW < 0
⇔
⇒
⇔
ME > 0
MW < 0
M W,A+D < 0 opp. M W,Y > M W,A+D
(7.F)
Nel secondo caso, che chiameremo “anomalo”, il momento evolutivo è
contrapposto al verso di rotazione (e quindi negativo) perché l’angolo di
attacco effettivo cambia di segno rispetto all’angolo di barra (FT è rivolta
verso l’interno della traiettoria). Ne consegue che il momento delle forze
idrodinamiche è equiverso rispetto all’angolo di rotazione, ossia che il
momento idrodinamico correlato alla traslazione è positivo e prevale in
modulo su quello relativo alla rotazione. In formule:
20
La manovrabilità della nave
ψ>0
α < κ βR
ME < 0
MW > 0
⇔
⇒
⇔
ME < 0
MW > 0
M W,A+D > 0 e M W,A+D > M W,Y
(7.G)
In questa condizione il momento MW,A+D , prevalendo su quello indotto dalla
rotazione, favorisce la variazione di rotta. L’equilibrio “anomalo” che si
instaura in questo secondo caso è il frutto di due cause concomitanti:
• da una parte, la presenza di un angolo di deriva tanto elevato da
comportare un angolo di attacco effettivo di segno opposto rispetto a
quello geometrico;
• dall’altra parte, una carena di forme tali da comportare un momento
di avanzo con deriva negativo MW,A+D e, in valore assoluto, superiore
a quello dovuto all’imbardata; ciò è possibile se la carena favorisce
la nascita di un centro di pressione delle forze WA+D a prora del
centro di massa.
In base alle osservazioni fatte è usuale definire momento destabilizzante
quello generato nel moto di avanzo e deriva MW,A+D , in quanto può favorire
l’uscita della nave dalla traiettoria rettilinea, e momento stabilizzante il
momento idrodinamico generato nel moto di imbardata MW,Y, in quanto
ostacola sempre la rotazione della nave. Al crescere del rapporto fra
momento destabilizzante e momento stabilizzante la nave percorre traiettorie
con raggio sempre più piccolo.
Il momento stabilizzante è sempre presente nel meccanismo di
generazione dell’accostata. Il suo ruolo può essere minimo, come nel caso
delle navi con grande stabilità di rotta, ma può anche arrivare ad essere
preponderante rispetto a quello del timone nelle navi con bassa stabilità di
rotta. In quest’ultimo caso, si può affermare che il ruolo del timone è limitato
all’attivazione del momento idrodinamico MW,A+D che fa effettivamente
ruotare la nave.
La situazione fin qui descritta può essere messa in relazione con la
stabilità di rotta della nave. Infatti, se per una definita condizione cinematica
identificata da R oltre all’equilibrio normale può instaurarsi anche quello
anomalo, ossia le due tipologie di equilibrio possono coesistere, allora la
nave è instabile per quegli angoli di barra in cui si manifesta tale
comportamento, venendo a mancare la corrispondenza biunivoca tra angolo
di barra α e raggio della traiettoria R. E’ inoltre evidente come la coesistenza
delle due forme di equilibrio possa manifestarsi solo finché l’angolo di
deriva riesce a superare l’angolo di barra, ovvero per angoli di barra
sufficientemente piccoli. L’instabilità di rotta è infatti un’instabilità iniziale.
21
Corso di Allestimento Navale
La relazione tra lo steering diagram e la tipologia dell’equilibrio dei
momenti in accostata (normale o anomalo) è di seguito descritta indicando
con ∆α gli angoli di barra misurati rispetto alla posizione neutra (∆α0 è
l’angolo di barra iniziale e ∆α1 quello finale).
Se, durante l’accostata a partire da una condizione di equilibrio
normale, il timone viene mosso e portato dall’altra parte rispetto alla
posizione neutra (∆α1/∆α0 < 0), si avrà una variazione nel verso del
momento evolutivo ed inizialmente il momento evolutivo ME e quello
idrodinamico MW si troveranno ad essere equiversi (ed equilibrati dal
momento inerziale). Ciò significa che il momento idrodinamico favorisce il
raddrizzamento della rotta.
Nel caso di condizione di equilibrio iniziale anomala, se, durante
l’accostata, il timone viene portato dall’altra parte rispetto alla posizione
neutra di un qualsiasi valore (∆α1/∆α0 < 0), il momento evolutivo non
cambia di segno e rimane opposto a quello idrodinamico, il quale ostacola
perciò il raddrizzamento della rotta. Il nuovo momento evolutivo ME
crescerà con l’angolo ∆α1 e la nave percorrerà rotte sempre più strette.
Quindi, il verificarsi di almeno una condizione di equilibrio anomalo è segno
di instabilità dinamica.
Una forte instabilità dinamica si manifesta se il momento destabilizzante,
che favorisce l’accostata, tende ad essere molto più grande di quello
stabilizzante che tende invece a trattenere la nave sulla rotta rettilinea. Ciò
conferma ancora una volta che le qualità di stabilità di rotta e di evoluzione
sono antitetiche.
In conclusione, se ad almeno un valore di ∆α1 (a partire da ∆α0 e con
∆α1/∆α0 < 0) non corrisponde una variazione di segno dell’angolo di rotta,
allora la nave è dinamicamente instabile. L’ampiezza del regime di
instabilità dipende dal valore massimo di |∆α0| per il quale si manifesta
questo comportamento. Viceversa, se qualsiasi variazione ∆α1 comporta la
variazione di segno dell’angolo di rotta, allora la nave è dinamicamente
stabile.
8. Le prove di stabilità dinamica
La stabilità dinamica viene testata al vero con una prova piuttosto onerosa in
termini di tempo, che va sotto il nome di spiral test e che permette di
tracciare per punti lo steering diagram raccogliendo una dopo l’altra le
coppie (α, ψ), dalle quali si possono eventualmente valutare le coppie (α, R).
Vista l’onerosità di questo test, è conveniente condurre una prova
preliminare per vedere se l’instabilità si manifesta o meno, ed in pratica si
segue un procedimento di questo tipo:
22
La manovrabilità della nave
• per prima cosa si esegue il pull-out test (prova di disimpegno
dall’evoluzione), che permette di evidenziare la presenza di
instabilità, della quale fornisce però una valutazione incompleta;
• successivamente, qualora vi siano segnali di instabilità dinamica, si
può eseguire uno spiral test secondo uno dei procedimenti standard.
Il pull–out test è una semplice prova che consiste in due fasi. Nella
prima fase il timone viene portato e mantenuto ad almeno 20° di barra finché
la nave stabilizza la sua rotta su una traiettoria con velocità di rotazione ψ
costante. Nella seconda fase il timone viene portato al centro (α = 0) finché
la nave non presenta una nuova traiettoria stabilizzata con velocità di
rotazione ψ0. In questa seconda fase la nave si può portare su una traiettoria
rettilinea oppure può mantenere una velocità residua di imbardata.
Il test viene effettuato con manovra sia a dritta sia a sinistra. Durante
l’esecuzione si registra la variazione di ψ in funzione del tempo:
• se le curve ψ(t) ottenute con le due manovre convergono allo stesso
valore ψ0 vuol dire che la nave è stabile, perché la velocità residua
con timone al centro è la stessa, ed il suo eventuale valore non nullo
è imputabile solo alla differenza tra l’angolo neutro e l’angolo di
barra nullo;
• se invece le due curve non convergono allo stesso valore ma a valori
differenti (ψ0,STB > 0 per manovra a dritta e ψ0,PS < 0 per manovra a
sinistra) si è messa allora in evidenza l’instabilità della nave, poiché
per lo stesso angolo di barra (timone al centro) corrispondono due
diverse velocità di rotazione e quindi due diverse curvature della
traiettoria.
Questa prova consente di valutare l’altezza dell’eventuale area
d’isteresi dello steering diagram, che è infatti pari alla differenza (ψ0,STB –
ψ0,PS).
Esistono due procedure per l’esecuzione dello spiral test. La differenza
di approccio tra i due metodi consiste nella scelta del parametro dipendente e
di quello indipendente. Se ci si aspetta di avere una nave stabile si può
ricostruire completamente la relazione biunivoca α−ψ scegliendo come
variabile indipendente l’angolo di barra α oppure la velocità di variazione di
rotta ψ. In entrambe i casi si ottengono le informazioni sufficienti a
ricostruire completamente lo steering diagram in termini di coppie (α, ψ). Se
si prevede invece di avere una nave dinamicamente instabile è necessario
fissare come variabile indipendente la velocità di variazione di rotta in modo
da misurare, per ogni valore di ψ, un valore univoco di α. Così facendo si fa
implicitamente riferimento alla funzione α = ƒ(ψ). Solo con questo secondo
23
Corso di Allestimento Navale
procedimento si ottiene lo steering diagram come una curva continua a
forma di “S”, completo anche del tratto entro la zona di isteresi.
Il metodo che prevede di ricostruire lo steering diagram come funzione
ψ = ƒ(α) fornisce solo le coppie (α, ψ) di equilibrio stabile ed è perciò adatto
a rappresentare compiutamente il comportamento di una nave che ha
stabilità di rotta. Il test eseguito con questo procedimento è denominato
direct spiral test. Si tratta di una prova che fornisce informazioni molto
accurate ma è dispendiosa in termini di tempo perché si deve permettere alla
nave di raggiungere una serie di velocità di imbardata stabilizzate. Inoltre, la
prova è molto sensibile alle condizioni meteomarine.
Il metodo che fornisce lo steering diagram come funzione α = ƒ(ψ)
fornisce informazioni complete qualunque sia il comportamento della nave
nei riguardi della stabilità di rotta. Il test eseguito con questo procedimento è
denominato reverse spiral test. Questa manovra è piuttosto rapida perché le
evoluzioni non vengono stabilizzate con il timone bloccato, ma vengono
ottenute con continue correzioni dell’angolo di barra. Si ottengono così sia le
coppie (α, ψ) che individuano stati di stabilità sia quelle interne all’area
d’isteresi. L’angolo assume il significato di “angolo di barra medio” di
equilibrio. Per l’esecuzione di questa prova è necessario poter leggere con
precisione le posizioni dell’angolo di barra.
Il direct spiral test (prova secondo il metodo di Dieudonné) consiste nel
portare la nave in moto circolare uniforme impostando un alto angolo di
barra del timone (fino a 25°). Successivamente, l’angolo di barra del timone
viene ridotto di 5° alla volta (e di 1° alla volta quando si raggiungono angoli
di barra di 5°–10°), stabilizzando la nave su rotte circolari via via più larghe,
quasi a voler percorrere a gradini una traiettoria a spirale.
Ogni volta che il moto si stabilizza vengono lette le coppie (α, ψ). La
manovra procede almeno sino al raggiungimento dell’angolo neutro. Il test
viene effettuato preferibilmente con manovra sia a dritta sia a sinistra, in
modo da evidenziare l’angolo neutro del timone o la dimensione dell’area di
isteresi. Si ottengono quindi, in successione, i due bracci ψ = ƒ(α) per
manovra a dritta e a sinistra. L’utilizzo di questa procedura di prova su una
nave instabile permette di individuare la zona di instabilità sia in altezza sia
in larghezza. La precisione nella misura della larghezza dipende
dall’ampiezza degli incrementi dell’angolo di barra. Il test non consente però
di individuare l’inclinazione della curva in corrispondenza dell’angolo di
barra neutro se la nave è dinamicamente instabile.
Il reverse spiral test (prova secondo il metodo di Bech) consiste in una
serie di prove indipendenti l’una dall’altra. In ciascuna prova viene
predefinita la traiettoria circolare che si vuole ottenere e il timone viene
continuamente manovrato (nella pratica con escursioni di ± 2°) finché non si
24
La manovrabilità della nave
raggiunge la stabilizzazione del valore di ψ. Il valore medio dell’angolo di
barra attorno a cui si manovra il timone permette di registrare la coppia (α, ψ)
con la quale ricostruire, punto dopo punto, la funzione α = ƒ(ψ). Il test viene
effettuato con manovra sia a dritta sia a sinistra, in modo da evidenziare
l’angolo neutro del timone. Si ottengono quindi, in successione, tutti i punti
dei due bracci della curva (e per navi instabili la curva completa ad “S”). Il
grafico ottenuto con questa metodologia evidenzia l’inclinazione della curva
in corrispondenza di αN anche per le navi che hanno instabilità di rotta.
Per individuare e quantificare sommariamente l’instabilità vengono
utilizzati anche altri metodi, che non sono però finalizzati a ricostruire lo
steering diagram. In particolare, la manovra a spirale semplificata viene
condotta per valutare tre soli punti dello steering diagram, ottenuti portando
il timone successivamente alla banda da un lato, al centro ed infine alla
banda dal lato opposto.
9. Soluzioni per l’instabilità dinamica
Dalla manovra a spirale si ottengono i tre parametri fondamentali per la
misura delle qualità della nave nei confronti della stabilità di rotta:
• la larghezza dell’area d’isteresi,
• l’altezza dell’area d’isteresi (misurata sull’angolo neutro αN),
• l’inclinazione della curva in corrispondenza di αN.
Se la nave è stabile, la pendenza della curva ψ(α) in corrispondenza
dell’angolo neutro misura il grado di stabilità dinamica e viene indicata
come indice di manovrabilità.
In generale, qualunque sia il comportamento della nave, si definisce
indice di stabilità di rotta il valore di ψ misurato per angolo di barra nullo e
si indica con il termine indice di abilità evolutiva il valore di ψ per l’angolo
di barra massimo.
I valori ammissibili delle grandezze che danno una misura della stabilità
alla rotta non sono fissati da alcuna norma, ma è usuale ritenere accettabili
valori bassi, o addirittura nulli, per navi veloci e valori leggermente più alti
per navi lente. Nella pratica, è usuale fare riferimento al parametro detto ship
time constant (STC) definito come:
STC =
L
Vmax
[s]
(9.A)
ove L [m] è la lunghezza della nave e Vmax [m/s] è la sua velocità massima di
servizio. In funzione di questo parametro viene stabilito il valore minimo
della larghezza del ciclo di isteresi.
25
Corso di Allestimento Navale
Un valore basso di STC indica un’imbarcazione che alle piccole
dimensioni, e quindi alla bassa inerzia all’accostata, associa alte velocità di
avanzo. Un’imbarcazione come questa, se instabile, tende a diventare
ingovernabile perché accosta molto velocemente ed è quindi particolarmente
pericolosa in quanto può collidere con eventuali ostacoli prima che il pilota
la riporti sulla rotta, inoltre è anche meno confortevole. Di conseguenza, a
bassi valori di STC si associano bassi valori limite di instabilità. In basa alle
indicazioni IMO, è conveniente infatti che la larghezza del ciclo di isteresi sia:
• nulla per imbarcazioni con STC < 9 s (imbarcazioni piccole e veloci),
• inferiore a 12° per STC > 45 s (navi grandi e lente).
• inferiore al valore limite calcolato con interpolazione lineare fra
quelli sopra esposti per navi con STC compresi fra 12 e 45 secondi.
Per quanto riguarda l’altezza dell’area di isteresi, come valore limite
ammissibile si fissa il 30 ÷ 40 % del valore di ψ valutato per il massimo
angolo di barra. La combinazione dei limiti su altezza e larghezza dell’area
d’isteresi fornisce un’indicazione per il valore limite della pendenza della
curva.
Altri limiti sono quelli che suggeriscono che la nave instabile si porti,
con il timone al centro (o all’angolo neutro), su rotte stabilizzate aventi al
più un certo raggio di rotazione. In base a queste indicazioni, il rapporto fra
il raggio di rotazione R e la lunghezza L della nave deve essere almeno pari a
20 per navi con cB < 0,8 e almeno pari a 10 negli altri casi.
Quando la nave ha un’accentuata instabilità di rotta, l’azione del timone
diventa incerta e, anche se il timone è stato correttamente dimensionato per
conferire alla nave buone doti di manovrabilità, le qualità manovriere della
nave non sono accettabili.
Se il problema viene evidenziato già in fase di progetto, la soluzione va
ricercata nella modifica dei parametri macroscopici che influenzano la
manovrabilità. Si rileva infatti che un elevato valore del coefficiente di
finezza totale cB [-], così come una poppa dalle forme piene, tendono a
favorire la separazione del flusso a poppa e quindi a far lavorare male i
timoni, favorendo quindi l’instabilità. Per quanto riguarda le proporzioni
della carena, va osservato che queste incidono sul rapporto fra le componenti
del momento idrodinamico MW ed influenzano quindi la propensione della
nave all’instabilità. Si ha che un alto valore del rapporto L/B rende la nave
più stabile, mentre un alto valore del rapporto B/T la rende meno stabile
(essendo B [m] la larghezza della nave e T [m] l’immersione di progetto).
Un efficace ausilio alla valutazione preliminare della qualità di stabilità
di rotta di una nave è offerto dal grafico che mette la stabilità di rotta in
relazione ai parametri (L/B, B/T e cB). Questo grafico è ottenuto dall’analisi
di navi di diverse tipologie, che riporta, in funzione di L/B e di B/T, una serie
26
La manovrabilità della nave
di curve limite parametrizzate con il coefficiente di finezza totale di carena
cB. Ogni curva indica, per un determinato valore di cB, il confine fra la
condizione di stabilità e quella di instabilità di rotta, dando quindi una chiara
indicazione sul possibile comportamento della nave.
Ovviamente i primi interventi correttivi che si applicano dopo aver
scoperto che il progetto può portare all’instabilità sono quelli meno invasivi e
corrispondono, nell’ordine:
• all’aumento dell’area del timone (a scapito di un sicuro aumento di
resistenza aggiunta);
• alla modifica della posizione del timone, per esempio esponendolo
maggiormente al flusso dell’elica;
• alla modifica delle forme della volta di poppa, per esempio passando
da una poppa ad “U” ad una a “V”.
Per una correzione da effettuarsi a nave costruita, piuttosto che
intervenire sul timone per farlo lavorare meglio, può essere più fattibile
migliorare le caratteristiche idrodinamiche di carena con l’aggiunta di
superfici di stabilizzazione. In altre parole, si aumenta l’area del piano di
deriva a poppa con appendici di carena formate da pinne poste ai lati del
timone. L’aggiunta di superfici fisse di stabilizzazione vicino alla pala del
timone comporta due effetti utili al miglioramento della stabilità di rotta:
• il raddrizzamento del flusso che incide sul timone durante l’accostata,
circostanza che, da una parte, disinnesca il meccanismo in base al
quale si instaura l’equilibrio anomalo, dall’altra favorisce l’insorgere
di una più elevata forza utile al timone (con l’aumento di ME).
• lo spostamento del centro di deriva verso poppa, con la conseguente
riduzione del momento destabilizzante MW,A+D.
Appare evidente che il timone costituisce di per se stesso una pinna di
stabilizzazione che, con la sua grande superficie, è sicuramente d’aiuto nella
realizzazione della stabilità dinamica. Questa funzione del timone è
stigmatizzata nell’affermazione che “The rudder serves the twofold function
of stabilizing a straight motion by fin effect and controlling the ship in
steering and maneuvering” (Norrbin, 1960). Risulta quindi evidente come, ai
fini della stabilità di rotta, è conveniente che il timone venga progettato con
un’area tanto maggiore quando più piene sono le forme di carena e quanto
maggiore è il cB della nave.
Nel caso in cui il progettista sia chiamato ad aumentare l’area poppiera
del piano di deriva, due sono le vie che possono essere percorse: l’aumento
dell’area mobile del timone oppure l’aumento o l’aggiunta di un’area fissa.
Delle due, la prima soluzione è sempre la migliore, dal momento che, oltre a
migliorare la stabilità di rotta, rende disponibile un’area aggiuntiva per la
generazione del momento evolutivo (con il conseguente aumento della
27
Corso di Allestimento Navale
portanza e del suo gradiente di crescita – anche se a scapito di una resistenza
maggiore). Naturalmente, oltre una certa misura non è più vantaggioso
disporre di area mobile a poppa, perciò l’aumento dell’area della pala
suggerito da sole esigenze di stabilità di rotta va armonizzato con l’aumento
dell’area dello skeg poppiero della carena.
Sulle navi bielica è usuale inserire già in fase di progetto ampi skeg sia
per prevenire l’insorgere dell’instabilità di rotta sia per disaccoppiare i flussi
delle due eliche sia ancora per realizzare un comodo sostegno per lo scafo in
bacino.
Sulle navi con timone-propulsore, a causa delle forme di poppa molto
aperte e della mancanza di un prolungato skeg di poppa, che ostacolerebbe il
funzionamento del sistema agli alti angoli di orientazione, si registra una
maggiore tendenza all’instabilità di rotta. Va però osservato che tale carenza
è compensata dagli alti valori del momento evolutivo che si possono ottenere
con bassi angoli di barra del timone-propulsore e quindi l’instabilità, se non
è elevata, può venire facilmente controllata. In conclusione, su queste navi è
necessario che lo skeg sia il più lungo possibile.
Per quanto detto riguardo al funzionamento delle pinne, una nave risulta
più propensa alla stabilità dinamica se, a parità di immersione media, naviga
appoppata piuttosto che con galleggiamento diritto. Per questo motivo le
prove al vero comprovanti la stabilità di rotta di una nave devono essere
condotte nella condizione di galleggiamento più prossimo possibile a quello
di progetto per non fornire informazioni fuorvianti.
Ogni correzione finalizzata al miglioramento della stabilità di rotta non
deve essere eccessiva, perché una nave molto stabile è di per sé poco prona a
manovrare in spazi ristretti. Ciò si evince anche dallo steering diagram, ove
una curva α−ψ caratterizzata da un basso indice di stabilità ψ(α = 0) o da un
basso indice di manovrabilità (dψ/dα)α=αN (nave molto stabile) indica la
necessità di effettuare forti movimenti del timone per effettuare una sensibile
accostata dalla rotta rettilinea.
10. Le attitudini della nave alla manovrabilità
Gli odierni standard internazionali definiscono con precisione quali devono
essere le qualità manovriere delle navi, qualità che è usuale classificare nelle
seguenti categorie di attitudine alla manovra:
• l’attitudine a mantenere la rotta (course-keeping ability),
• l’attitudine a controllare l’accostata (yaw-checking ability),
• l’attitudine a uscire dalla rotta (initial-turning ability),
• l’attitudine a eseguire l’evoluzione (turning ability),
• l’attitudine a estinguere il moto (stopping ability).
28
La manovrabilità della nave
La course-keeping ability è l’attitudine della nave a mantenere una rotta
rettilinea senza che il pilota debba ricorrere, a causa dell’azione perturbatrice
del mare e del vento al traverso, ad eccessive correzioni dell’angolo di barra
attorno alla posizione neutra. Non esiste un parametro che definisca una
correlazione diretta fra le correzioni dell’angolo di barra e lo spostamento
della nave dalla rotta, perciò questa attitudine viene correlata alla stabilità di
rotta, alla quale è comunque strettamente legata. L’esperienza insegna infatti
che tanto più una nave è stabile, tanto migliori sono le doti di mantenimento
di rotta. Nella pratica, si verifica addirittura una soddisfacente capacità di
mantenimento della rotta anche su navi leggermente instabili (in questo caso
le correzioni dell’angolo di barra da associare all’instabilità della nave si
confondono con quelle da associare alle forze ambientali).
La yaw-checking ability rappresenta l’attitudine della nave a controllare
l’accostata. Con ciò si intende la capacità della nave di raddrizzare la
traiettoria quando il timone è manovrato in modo da contrastare l’effetto
evolutivo iniziale. In altre parole, misura la risposta della nave all'inversione
del timone. Anche in questo caso si tratta di un’attitudine fortemente
correlabile alla stabilità di rotta.
È possibile ottenere valutazioni qualitative delle qualità sopra descritte
attraverso una prova specifica, ossia la manovra di zig-zag.
La initial-turning ability rappresenta l’attitudine della nave a uscire da
una rotta in seguito all’azionamento del timone. Con questa qualità
manovriera si saggia la capacità della nave di rispondere prontamente al
timone quando si esegue un’accostata molto larga (alto valore di R) o
quando si modifica la rotta rettilinea di un piccolo angolo, nel qual caso si
pone l’attenzione della nave sulla prima fase della manovra di modifica della
rotta, manovra che viene ripetuta costantemente durante la navigazione (con
riferimento a questa circostanza si usa il termine course-changing ability).
Tale caratteristica, l’initial-turning ability, è quindi sinonimo della capacità
di modificare la rotta durante la navigazione in acque aperte. La misura di
questa abilità viene fatta tramite la manovra di zig-zag.
La turning ability indica la capacità di realizzare variazioni di rotta più
consistenti, ossia evoluzioni. Tali manovre sono effettuate usualmente nelle
aree portuali per accostare ad una banchina, ma sono anche eseguite in
condizioni d’emergenza durante la navigazione con lo scopo di evitare un
ostacolo. Una serie di parametri, desunti dalla prova di evoluzione, misurano
la turning ability.
La stopping ability è l’abilità della nave di spegnere il proprio moto di
avanzo ricorrendo all’inversione della spinta del propulsore. La prova di
arresto è la manovra con cui si misurano le caratteristiche di stopping ability.
29
Corso di Allestimento Navale
La collisione con un ostacolo che si viene a trovare sulla rotta della nave
può essere evitata essenzialmente in due modi: con una forte variazione di
rotta, in modo da passare a lato dell’ostacolo, oppure arrestando il moto della
nave, in modo da non arrivare fino all’ostacolo. Delle due manovre, la prima
è la più sicura ma non è sempre effettuabile in acque ristrette, mentre la
seconda costituisce in genere l’ultima chance. Vi si ricorre solo in caso di
estrema necessità, quando la nave non è più governabile o quando non c’è
spazio per manovrare.
Tutte le citate qualità marinaresche sono influenzate, sebbene in diversa
misura da due fattori essenziali:
• l’entità della massima forza utile disponibile al timone FT,max;
• il gradiente di crescita della forza dFT/dt quando il timone è
manovrato alla massima velocità; tale grandezza dipende sia dal
gradiente della forza utile generata dal timone al variare dell’angolo
di barra dFT/dα sia dalla velocità di manovra del timone dα/dt.
Fa eccezione la stopping ability, che dipende invece dalla velocità di
inversione del moto al propulsore e dall’efficacia del propulsore in marcia
addietro.
11. Le prove di manovrabilità: lo standard IMO
Una prima raccolta ragionata dei diversi test utili alla valutazione della
manovrabilità delle navi è quella contenuta nel Manoeuvring Trial Code
proposto dalla 14th International Towing Tank Conference (ITTC 1975). In
questo documento sono state elencate le prove al vero più significative, per
le quali è stata anche proposta una standardizzazione delle procedure di
esecuzione e di raccolta dei dati caratterizzanti la risposta della nave.
La storia dell’impegno dell’IMO nella direzione di incrementare la
sicurezza delle navi in relazione alle loro attitudini di manovrabilità si
concreta per la prima volta nel 1985 con la circolare MSC-389 riguardante le
modalità di esecuzione delle prove di stabilità di rotta. Dopo una serie di
documenti emanati dal comitato MSC e dall’Assemblea, oggi si è giunti a
disciplinare l’intera materia con le seguenti Risoluzioni:
• MSC.137(76) “Standards for Ship Manoeuvrability”, che indica i criteri
di valutazione delle qualità manovriere delle navi, standardizza le
prove al vero e fissa i limiti cui devono sottostare i parametri da esse
ottenuti; il contenuto della Risoluzione è illustrato dettagliatamente
nella circolare MSC/Circ.1053 “Explanatory Notes to the Standards for
Ship Manoeuvrability”;
• A.601(15) “Provision and Display of Manoeuvring Information on
Board Ships”, che stabilisce quali informazioni devono essere messe
30
La manovrabilità della nave
a disposizione del comando della nave e con quale formato queste
ultime devono essere esposte in plancia.
A queste va poi aggiunta la Risoluzione MSC.35(63) - “Guidelines for
Emergency Towing Arrangements on Tankers” che definisce quali devono
essere le installazioni per il rimorchio in emergenza, sia a prora sia a poppa,
di ogni nave cisterna avente una portata lorda di almeno 20.000 tonnellate.
Nel complesso, gli standard IMO si occupano della manovrabilità
definendo nei particolari le prove con cui misurare i parametri essenziali
della manovrabilità delle navi. Alcuni parametri sono registrati con lo scopo
di essere forniti al comando della nave, altri per essere confrontati con i
valori limite. Le prove di manovrabilità proposte dagli standard IMO sono le
seguenti:
• manovra di evoluzione (turning test),
• manovra di zig-zag (zig-zag test),
• manovra di arresto (stopping test).
Le prove al vero non sono obbligatorie ma sono eseguite solo se
richieste dall’armatore per saggiare la manovrabilità della nave. Ad esse
vanno aggiunte delle manovre opzionali specifiche:
• manovra di pull-out (pull-out test),
• manovra a spirale semplificata, diretta o inversa (spiral test),
• manovra di zig-zag ai piccoli angoli (very small zig-zag test),
miranti a saggiare l’instabilità della nave qualora quest’ultima sia messa in
luce durante l’esecuzione delle prove principali.
Le prove al vero regolate dall’IMO sono per esplicita attestazione
“semplici, pratiche e veloci” e sono intese a testare sia le caratteristiche della
nave, sia i metodi di previsione, servono cioè a creare una banca dati utile
per la validazione delle prove su modello e delle simulazioni al calcolatore.
Tutte le prove sopra esposte sono indicate per navi di lunghezza tra le
perpendicolari superiore a 100 metri (ma per navi chimichiere e gasiere non
c’è un limite inferiore di lunghezza), e devono essere eseguite a velocità al
90% della velocità corrispondente all’85% della massima potenza
continuativa del motore (MCR). Quest’ultima non corrisponde
necessariamente alla velocità alla quale si prevede che la nave si muoverà
nelle aree in cui devono effettuate le manovre, tant’è vero che manovre
aggiuntive vengono proposte proprio per saggiare il comportamento della
nave alle velocità tipiche delle evoluzioni, in genere non superiori a 12÷15
nodi.
Tutte le prove vanno condotte in mare aperto ma protetto, di sufficiente
profondità (pari ad almeno 4 T ), in assenza di correnti (al limite è accettata
una corrente uniforme per la prova di evoluzione, tollerata perché il suo
31
Corso di Allestimento Navale
effetto può essere facilmente scorporato dai risultati delle prove), di vento
(al massimo Beaufort 5, ossia con velocità del vento inferiore a 19 nodi,
corrispondenti a circa 35 km/h) e di onde (al massimo mare Forza 4, ovvero
mare con altezza significativa d’onda non superiore a 1,90 m e periodo
medio non superiore a 8,8 secondi), con nave non assettata e ad
un’immersione il più possibile prossima a quella di progetto. La nave deve
entrare in manovra da una rotta rettilinea percorsa a velocità costante e dopo
che le condizioni di avanzo della nave sono state stabilizzate
(indicativamente dopo qualche minuto). Le prove di stabilità dinamica
richiedono condizioni meteomarine particolarmente buone, per esempio un
mare al massimo di Forza 2 o 3.
Alcune prove vengono eseguite sia a dritta sia a sinistra per mettere in
rilievo eventuali asimmetrie di comportamento della nave, asimmetrie da
imputarsi prevalentemente al funzionamento dell’elica propulsatrice.
Oltre ad annotare i dati relativi alle condizioni ambientali e alle
caratteristiche della nave, per ogni prova vanno registrati in funzione del
tempo trascorso i seguenti parametri:
• la posizione (a prefissati intervalli di tempo oppure per ogni
prefissato intervallo di variazione di rotta),
• la direzione della linea di fede della nave (ship heading), rispetto ad
un prefissato sistema di riferimento,
• la velocità della nave, sia in termini di velocità di avanzo con deriva
V, sia in termini di velocità di variazione di rotta ψ,
• l’angolo di barra ed eventualmente la velocità di rotazione del
timone,
• i giri del motore e dell’elica (RPM) ed eventualmente il passo
dell’elica
• la velocità del vento.
I parametri sopra elencati vanno registrati con un sistema automatico almeno
ogni 20 secondi. Oggigiorno, la frequenza di registrazione dei sistemi
automatici di rilevamento viene fissata usualmente in 0,5÷2,0 campioni al
secondo.
Come noto, le manovre vanno condotte a pieno carico in quella che si
ritiene la condizione più severa per misurare le doti di manovrabilità della
nave, sia per la maggiore inerzia posseduta dalla nave, sia per la minore
propensione della carena a generare un grande momento destabilizzante. Se,
durante le prove, la nave ha un assetto maggiore di quello di progetto, i
risultati, in termini di qualità evolutive, saranno migliori di quelli attesi. I
dati misurati durante le prove vanno corredati con:
• informazioni sullo stato della nave (immersione media, assetto,
dislocamento),
32
La manovrabilità della nave
• informazioni sulle condizioni ambientali (profondità del fondale,
stato di mare, presenza di onde di swell, velocità e direzione del
vento e della corrente, angolo di rotta all’ingresso nella manovra).
Quando le prove sono condotte in situazioni di carico diverse da quelle
di progetto, devono essere corrette per essere portate alla situazione di nave
a pieno carico. Ciò viene usualmente fatto sfruttando i dati ottenuti da prove
su modello o da simulazioni numeriche, ipotizzando una proporzionalità
lineare nel comportamento della nave e del modello (trascurando cioè gli
effetti scala). In altre parole, se il parametro p è stato calcolato per le
condizioni A e B (con valori rispettivamente pA e pB) ed è stato poi misurato
al vero nella condizione A (ottenendo il valore pAS) allora il suo valore al
vero pBS dedotto per la condizione B può essere calcolato in proporzione
lineare:
pA : pAS = pB : pBS
(11.A)
12. La manovra di evoluzione
La prova di evoluzione è condotta, a partire da una traiettoria rettilinea
percorsa alla velocità prestabilita, portando la nave in moto circolare
uniforme con il massimo angolo di barra del timone (secondo lo standard
IMO pari a 35°). Lo scopo è quello di misurare gli spazi di manovra della
nave, per valutare sia la sua capacità di modificare la rotta, sia la capacità di
effettuare manovre di emergenza per evitare una collisione.
La nave viene mantenuta sulla traiettoria circolare per almeno un giro e
mezzo (540°) – ma è meglio se vengono percorsi almeno due giri –, in modo
da poter correggere i valori registrati tenendo conto delle deviazioni
provocate dalla corrente e dal vento. I parametri utili alla valutazione della
manovrabilità sono raccolti dal momento in cui viene dato l’ordine di
azionamento del timone (COMEX, ovvero commence execution) fino alla fase
di rotazione uniforme, che si conclude quando la nave torna su rotta
rettilinea in seguito all’azionamento del timone (FINEX, ovvero finish
execution). Risulta evidente come la manovra di evoluzione possa
rappresentare la prima fase di una manovra di pull-out.
Le traiettorie descritte dalla nave a dritta e a sinistra vengono
diagrammate; esse mostrano, nelle navi monoelica, una evidente asimmetria
dovuta all’azione dell’elica, mentre per le navi bielica (eliche rotanti in verso
opposto) sono praticamente uguali. Oltre alla traiettoria del baricentro è
anche usuale riportare sul grafico uno schizzo della nave nelle posizioni
assunte nei diversi istanti, se non addirittura l’indicazione dell’intera
superficie spazzata, in modo da fornire un’informazione aggiuntiva sugli
spazi minimi di manovra.
33
Corso di Allestimento Navale
La prova di evoluzione può essere scomposta nelle seguenti fasi:
• la fase di entrata,
• la fase di evoluzione,
• la fase di girazione.
La nave viene inizialmente portata alla cosiddetta velocità di “ingresso
in manovra” su rotta rettilinea (fase di entrata) e quando il moto è uniforme
viene dato l’ordine al timone: a questo punto inizia l’accostata della nave.
L’accostata è caratterizzata da due differenti fasi: una fase di evoluzione
propriamente detta ed una fase di girazione. Nella fase di evoluzione la nave
compie un percorso a spirale con centro di istantanea rotazione variabile e
raggio di curvatura della traiettoria sempre più piccolo. Nella fase di
girazione la curvatura della traiettoria si stabilizza e la nave prosegue la sua
corsa con moto circolare uniforme su una circonferenza avente diametro
detto diametro di girazione.
L’evolversi della manovra può essere analizzato osservando le forze che
agiscono sulla nave.
L’origine dell’accostata è da imputarsi alla variazione della forza al
timone che, oltre ad imprimere un moto di rotazione, genera un moto di
traslazione trasversale e riduce la velocità di avanzo. Come già discusso, il
timone innesca la nascita di un momento destabilizzante che favorisce,
almeno inizialmente, l’evoluzione della nave.
Nell’istante in cui il timone è messo alla banda, si genera un moto
trasversale ed una rotazione, entrambi ad elevata accelerazione ma bassa
velocità: nell’istante iniziale l’azione del timone è praticamente bilanciata
dalle sole forze d’inerzia, in assenza di forze di resistenza idrodinamica che
devono ancora manifestarsi a causa della bassa velocità di deriva e di
imbardata. Successivamente, le forze d’inerzia diminuiscono d’intensità
mentre crescono le forze di resistenza idrodinamica. Quando la nave entra
nella fase di girazione le forze al timone sono equilibrate esclusivamente
dalle forze idrodinamiche e dalla forza centrifuga.
Lo svolgersi della manovra (la cinematica dell’evoluzione) può essere
anche descritto dall’andamento della velocità di rotazione ψ e della velocità
trasversale VT [m/s], assieme alle relative accelerazioni. In particolare si può
notare che, mentre la velocità di avanzo ed il raggio di curvatura della
traiettoria si riducono, la velocità di deriva ha una crescita continua fino a
stabilizzarsi mentre invece la velocità di rotazione, prima di stabilizzarsi,
può mostrare un picco (dovuto al meccanismo di bilanciamento fra i
momenti esterni e il momento delle forze d’inerzia.
I dati raccolti durante la prova riguardano gli spazi percorsi in diversi
istanti dell’evoluzione:
34
La manovrabilità della nave
• quando la direzione prora-poppa della nave è variata rispetto a quella
iniziale di 90°, lo spostamento trasversale della nave viene definito
trasferimento (transfer) e quello longitudinale viene detto avanzo
(advance). Le due distanze vanno misurate, con riferimento alla rotta
rettilinea iniziale, rispetto alla posizione assunta dalla nave
nell’istante in cui è stato dato il comando di timone alla banda.
• in maniera analoga viene definito il diametro tattico DT [m] (tactical
diameter) che coincide con lo spostamento trasversale effettuato
dalla nave quando la linea di fede è variata di 180°.
• il raggio di girazione RG [m] (steady turning diameter) corrisponde
infine al raggio della traiettoria nella fase stabile dell’accostata.
Tutte queste grandezze sono legate fra loro ed esistono semplici formule
empiriche che le esprimono in funzione delle caratteristiche principali della
nave e per ogni tipologia di nave. Per esempio, è usuale mettere in relazione
il diametro tattico con il rapporto di snellezza di carena (rapporto fra la
lunghezza nave L e la radice cubica del volume di carena ∇ [m3]) al quale
risulta proporzionale. Il diametro tattico è il parametro più importante
misurato in questa prova ed assume valori che mediamente oscillano fra 4,5
÷ 7,0 L per navi snelle (navi che hanno una buona stabilità di rotta) e 2,4 ÷
4,0 L per navi piene.
L’angolo di deriva β è una grandezza fortemente correlata al raggio di
girazione RG. Esiste infatti una proporzionalità diretta fra il momento
destabilizzante MW,A+D e la velocità di deriva VT e tale legame è desumibile
dalle modalità con cui si genera il momento destabilizzante. D’altra parte,
per una prefissata velocità V in accostata, è immediato verificare che velocità
di deriva e angolo di deriva sono direttamente proporzionali:
β = sin (VT / V )
[°]
(12.A)
In conclusione, l’angolo di deriva è direttamente proporzionale al momento
destabilizzante e, poiché quest’ultimo è indice di buone doti di evoluzione,
ciò significa che un alto angolo di deriva è correlato ad un’elevata
propensione alla manovra. In pratica, se due navi simili (per esempio, di
uguale lunghezza) eseguono un’evoluzione con lo stesso raggio R e alla
stessa velocità V con angoli di deriva diversi (β1 > β2), significa che le due
navi hanno una diversa propensione all’accostata e che il timone genera un
momento evolutivo maggiore sulla nave che manifesta angolo di deriva
minore (ME2 > ME1).
Esistono varie formule di correlazione fra il raggio di girazione RG e
l’angolo di deriva β. Vale per esempio la seguente relazione:
35
Corso di Allestimento Navale
β = kβ
L
+ β0
RG
[°]
(12.B)
dove i parametri angolari kβ e β0 assumono i seguenti valori: per navi con
piccole appendici di deriva e grande area trasversale di poppa (navi
tendenzialmente meno stabili) kβ = 22,5° e β0 = 0 ÷ 1,45°; per navi con
grandi appendici di deriva e piccola area trasversale di poppa (navi più
stabili) kβ = 18° e β0 = 0°.
Per quanto riguarda la velocità di avanzo durante la fase di girazione, si
può osservare che, per ogni nave, essa è proporzionale al raggio della
traiettoria di girazione: l’equilibrio su una traiettoria stretta si stabilizza
infatti con forze di resistenza idrodinamica più elevate rispetto a quelle che
nascono su rotta rettilinea e quindi con una sensibile riduzione della velocità
di avanzo. Ad esse si aggiunge la componente longitudinale della forza
centrifuga.
Tale velocità decresce maggiormente, a parità di raggio di curvatura
della traiettoria, su navi con basso coefficiente di pienezza. Ciò si può
spiegare osservando che queste navi, essendo più stabili, fanno più fatica ad
accostare. In altre parole, l’accostata si realizza a fronte di più alti momenti
resistenti che a loro volta sono accompagnati da alte forze di resistenza
idrodinamica. Anche la resistenza aggiunta è maggiore a causa della
necessità di impostare un alto angolo di barra per ottenere un alto momento
evolutivo. Per manovre di evoluzione strette la riduzione di velocità di
avanzo può raggiungere il 50%.
Osservazioni interessanti si possono fare anche sull’angolo di deriva al
timone βR. A tale riguardo, sono stati effettuati interessanti esperimenti
comparativi su diverse navi mercantili monoelica della Serie 60. Gli
esperimenti danno una misura di come le diverse grandezze cinematiche
sono correlate e mettono in relazione il funzionamento del timone con la
cinematica del moto di evoluzione.
Un’ultima osservazione interessante è quelle relativa alla definizione del
punto giratorio ossia quel punto, fisso sulla nave durante l’evoluzione
stabilizzata, rispetto al quale la nave ruota senza subire spostamento
trasversale. I triangoli di velocità costruiti sui due punti estremi della nave,
ottenuti scomponendo la velocità assoluta in una componente trasversale ed
una longitudinale, mostrano infatti che la velocità trasversale a prora è
orientata all’interno della traiettoria e a poppa è orientata dalla parte opposta.
Ora, poiché la velocità trasversale varia linearmente tra detti punti, deve
esistere un punto in cui essa si annulla. Questo punto si identifica anche
tracciando la distanza del centro di istantanea rotazione dalla linea di fede
della nave.
36
La manovrabilità della nave
Per quanto detto, durante la fase di girazione un osservatore posto sul
punto giratorio sperimenta una velocità sempre rivolta nella direzione della
linea di fede della nave, infatti in corrispondenza di tale punto non vi è
deriva. Dal punto giratorio è quindi più agevole apprezzare il moto della
nave e per questo motivo la plancia per il pilota, quando possibile, viene
convenientemente sistemata in prossimità del punto giratorio, che si trova a
circa 0,15 ÷ 0,35 L da prora. Il punto giratorio si sposta infatti di poco al
variare della velocità e dell’angolo di barra mentre è fortemente influenzato
dall’attitudine della nave a manovrare, ossia dal valore dell’angolo di deriva.
La manovra di evoluzione viene anche eseguita in condizioni diverse da
quelle standard, ovvero con angoli di barra diversi da quello massimo (per
esempio 15°), con velocità ridotte ed eventualmente su bassi fondali.
13. Lo sbandamento in accostata
Per quanto riguarda lo sbandamento causato dall’accostata, si possono
osservare tre fasi, per ognuna delle quali il momento di sbandamento, riferito
al centro di massa della nave, è generato da forze diverse (ed è ovviamente
sempre equilibrato dalla coppia di stabilità).
In quanto segue, nella valutazione del momento sbandante causato
dall’accostata si applica la semplificazione, comunemente accettata, di
confondere la quota del centro di deriva dello scafo con quella del centro di
pressione della pala e di porre tale quota comune all’altezza di 0,5 T rispetto
alla linea di base.
Inizialmente, quando il timone viene messo alla banda, si verifica uno
sbandamento di saluto verso l’interno della traiettoria causato dalla forza del
timone (dedotta della forza d’inerzia della massa aggiunta) che lavora in
coppia con la forza d’inerzia alla deriva della massa nave FI [N] (applicata
sul baricentro della nave). In tale situazione, infatti, non sono ancora
maturate pienamente le forze idrodinamiche trasversali. Per il momento
sbandante iniziale MS [Nm] vale in prima approssimazione la relazione:
MSI ≈ FI ( zG − 0,5 T )
[Nm]
(13.A)
in cui zG [m] è la quota del centro di massa della nave misurato rispetto alla
linea di base.
Successivamente, durante l’evoluzione, maturano una forza di reazione
idrodinamica trasversale e una forza centrifuga. In questa situazione si
genera un forte sbandamento di evoluzione verso l’esterno causato
dall’azione della forza idrodinamica (applicata nel centro di deriva) e della
forza centrifuga (applicata nel baricentro nave). L’effetto di queste forze è
37
Corso di Allestimento Navale
quello di dare origine ad un momento di sbandamento verso l’interno. Il
nuovo momento sbandante vale:
MSII ≈ ( FC cosβ − FI )( zG − 0,5 T )
[Nm]
(13.B)
Infine, nella fase di girazione, le forze inerziali si annullano e si ha uno
sbandamento di girazione verso l’esterno causato dalla forza centrifuga che
lavora in coppia con la forza idrodinamica ridotta del valore della forza al
timone:
MSIII ≈ FC cosβ( zG − 0,5 T )
[Nm]
(13.C)
Nel valutare l’entità e la persistenza dell’angolo di sbandamento verso
l’interno o l’esterno durante lo svolgersi della manovra va considerato
l’effetto dell’inerzia alla rotazione. Lo sbandamento, durante la fase di
girazione, può essere, come descritto, di minore intensità rispetto a quello
che si era manifestato durante alla fase di evoluzione e ciò dipende dalle
modalità con cui crescono le forze idrodinamiche.
Lo sbandamento può essere pericoloso per navi che accostano ad alta
velocità. Il rischio di sbandamenti elevati è correlato alla velocità relativa
della nave e viene considerato alto per FN > 0,25. Proprio sulle navi più
piccole e veloci, la riduzione repentina dell’angolo di barra durante
un’accostata può essere rischiosa, facendo mancare l’azione bilanciante
dell’unica forza che si oppone allo sbandamento verso l’esterno, ossia la
forza utile del timone.
Un comportamento sostanzialmente diverso è quello mostrato dai
sottomarini in immersione. Questi mezzi, in immersione, hanno, per ovvi
motivi di stabilità, il baricentro al di sotto del centro di spinta. Inoltre, il
centro di applicazione delle reazioni idrodinamiche si trova, per le forme
dello scafo, in posizione verticale prossima al centro dei timoni. Per questi
motivi il primo sbandamento, quello di saluto, si manifesta verso l’esterno
della traiettoria e quelli di evoluzione e di girazione verso l’interno.
Anche le imbarcazioni di superficie possono mostrare un
comportamento diverso da quello sopra descritto. Ciò dipende dalla
posizione reciproca dei punti di applicazione delle forze. Per esempio, se il
centro di massa e il centro del piano di deriva sono circa alla stessa altezza
zG e si trovano al di sopra del punto di applicazione della forza utile alla
manovra, la nave sbanda sempre verso l’interno.
L’azionamento del timone comporta uno sbandamento della nave, dal
momento che la retta d’azione della forza utile ha un certo braccio rispetto al
centro di massa della nave. Questa circostanza può essere sfruttata per creare
un momento stabilizzante che sia di contrasto ad un momento sbandante
38
La manovrabilità della nave
preesistente. I timoni possono infatti essere utilizzati per stabilizzare la nave
nei confronti del rollio generato dal moto ondoso.
14. La manovra di zig-zag
La manovra di zig-zag si esegue a partire da una rotta rettilinea percorsa a
velocità costante con timone all’angolo neutro. La manovra inizia portando il
timone a dritta ad un prefissato angolo di barra +α0 e mantenendolo in tale
posizione finché la nave non ruota la prora di un angolo prestabilito +δ0
indicato come ship heading e definito come la differenza angolare fra la
linea di fede tenuta all’ingresso nella manovra e la linea di fede raggiunta.
Dopodiché, il timone viene ruotato dalla parte opposta della quantità –α0 e
su tale posizione viene mantenuto finché la nave non risponde con una
variazione di rotta, sempre misurata rispetto alla rotta rettilinea d’ingresso,
pari a –δ0.
Tale procedura, ripetuta per almeno cinque volte allo scopo di
stabilizzare la manovra, testare le condizioni di prova e raccogliere dati
aggiuntivi, viene caratterizzata dalla scelta della coppia di angoli (α0 , δ0), in
cui gli angoli di barra sono riferiti all’angolo di barra neutro. La manovra
viene indicata con la sigla “zig-zag α0 / δ0”. Lo standard è quello detto “di
Kempf” se α0 = δ0 mentre si dice che la manovra è uno zig-zag modificato se
α0 ≠ δ0.
Usualmente, anche se non è stabilito dalle norme, la prima accostata
viene fatta verso dritta per verificare il comportamento della nave quando
deve essere eseguita una manovra di disimpegno, in caso di emergenza,
rispetto ad una nave in rotta di collisione. Infatti, se la nave incrocia un’altra
imbarcazione che proviene in verso opposto, la collisione va evitata, secondo
le norme della navigazione, con un’accostata a dritta.
L’IMO ha standardizzato le manovre di zig-zag 10°/10° e 20°/20°, in
modo da valutare il comportamento della nave ad un angolo di barra medio e
ad uno elevato. In particolare, la prima è consigliata perché fornisce
indicazioni utili alla valutazione della stabilità di rotta, infatti saggia la
manovrabilità per angoli di barra e di accostata prossimi a quelli usuali di
controllo della rotta. Per navi di grandi dimensioni è anche consigliato di
effettuare le manovre di zig-zag con angoli di 15° e di 25°.
I dati registrati durante la manovra sono quelli usuali (tempi, angoli,
velocità, ecc.) ed i risultati vengono raccolti in un grafico che illustra, in
funzione del tempo, a partire dall’istante in cui è stato impartito il comando
al timone, l’andamento dell’angolo di ship heading e dell’angolo di barra del
timone. Se la manovra prevede angoli limite α0 e δ0 uguali, le intersezioni
39
Corso di Allestimento Navale
delle due curve α (t) e δ (t) indicano gli istanti di inversione dell’angolo di
barra.
In generale, il grafico mostra che la nave esegue l’accostata in accordo
con l’angolo di barra ma con un certo ritardo. Infatti, quando il timone viene
portato dalla parte opposta, la nave per inerzia continua a ruotare nel verso
iniziale ancora per un certo lasso di tempo, raggiungendo l’angolo massimo
di imbardata δmax dopodiché manifesta palesemente la risposta al timone. I
dati salienti identificabili nel grafico sono i seguenti:
• initial turning time (tI), corrispondente al tempo impiegato nella
prima accostata per raggiungere l’angolo di imbardata +δ0 .
• first overshoot angle (δS), calcolato come differenza fra l’angolo di
imbardata massimo δmax e l’angolo δ0 immediatamente dopo che è
stato impartito il secondo comando dell’angolo di barra (second
execute) – il pedice S sta ad indicare che l’angolo è positivo, ossia
che la nave ha eseguito una deviazione verso dritta (starboard side),
infatti la prima manovra è usualmente effettuata su questo lato e
l’angolo è anche detto overshoot starboard angle.
• time to check yaw (tC), corrispondente al tempo impiegato per ruotare
la prora dall’angolo δ0 all’angolo δmax successivamente al secondo
comando dell’angolo di barra.
• second overshoot angle (δP), calcolato come differenza fra l’angolo
di imbardata massimo –δmax e l’angolo –δ0 immediatamente dopo che
è stato impartito il terzo comando dell’angolo di barra (third execute)
– il pedice P sta ad indicare che l’angolo è negativo, ossia che la nave
ha eseguito una deviazione verso sinistra (port side) e l’angolo è
anche detto overshoot port angle.
Il parametro tI è significativo del comportamento della nave all’inizio di
una manovra di variazione della rotta. In particolare, rappresenta la velocità
di risposta al timone ed è correlato all’attitudine indicata con il termine
initial-turning ability. Tale valore fornisce, una volta nota la velocità
effettiva della nave in manovra V, il tragitto sI [m] percorso dalla nave prima
di rispondere alla variazione di rotta, infatti sI = V tI .
Gli altri parametri sono significativi del comportamento della nave nelle
fasi di controllo di una traiettoria curvilinea. In particolare, il parametro tC è
identificativo della velocità di risposta della nave al controllo dell’imbardata
e va quindi correlato all’attitudine indicata come yaw-checking ability.
Oltre ai tempi di controllo, anche gli angoli di overshoot danno una
misura della stabilità della rotta. Il primo angolo di overshoot e quelli
successivi forniscono informazioni simili anche se si riferiscono a condizioni
di ingresso alla manovra leggermente diverse. Nel primo caso la nave inizia
infatti l’accostata a partire da rotta rettilinea (angolo di heading nullo) con
40
La manovrabilità della nave
velocità di rotazione nulla; nel secondo caso (dal secondo angolo di
overshoot in poi), nell’istante in cui si annulla l’angolo di heading la nave
possiede già una certa velocità di rotazione. Di conseguenza, δP tende ad
essere maggiore di δS. Se la nave mostra stabilità di rotta, la ripetizione della
manovra fornisce per i successivi angoli di overshoot valori prossimi a δP. Se
la stabilità di rotta è debole (alto indice di manovrabilità) si verifica il
graduale aumento degli angoli di overshoot. Se per l’angolo α0 la nave è
instabile, non vi è risposta al timone già dal secondo comando e non è
possibile effettuare la manovra di zig-zag.
Manovre di zig-zag ai piccoli angoli sono previste per verificare il
comportamento della nave agli angoli di barra tipici del controllo di rotta.
Queste prove sono anche condotte per saggiare con maggiore precisione la
risposta della nave nei campi di possibile instabilità.
La manovra di zig-zag a piccoli angoli viene effettuata con angoli di
barra non superiori a quelli usuali di controllo della rotta (α0 < 5° ÷ 10°), per
esempio con la combinazione 5° / 1°. Un caso particolare è quello della
prova 5° / 0° iniziata con velocità di variazione di rotta non nulla, situazione
realistica quando la nave è intrinsecamente instabile. Tali test permettono di
valutare la risposta della nave in condizioni tipiche di controllo e variazione
della rotta. Il parametro più importante misurato durante queste prove è
l’angolo massimo di rotta δmax raggiunto dalla nave. Per ottenere un
parametro affidabile la prova è condotta per almeno 20 cicli o 20 esecuzioni
del timone.
Altri dati che vengono raccolti dalla prova sono quelli relativi agli spazi
impegnati dalla nave durante le accostate, illustrati in un grafico che riporta
la nave nelle diverse posizioni assunte dall’inizio della manovra o, in
alternativa, l’area spazzata dalla nave sulla superficie del mare. Con
riferimento al baricentro della nave, per ogni ciclo si definiscono: larghezza
massima del percorso il massimo scostamento trasversale del baricentro
nave misurato rispetto alla direzione della rotta di entrata nella manovra e
larghezza di overshoot del percorso il massimo scostamento trasversale del
baricentro nave misurato rispetto alla posizione raggiunta nell’istante in cui è
stato dato il comando di inversione del timone.
Durante l’esecuzione viene anche registrato il periodo delle singole
manovre. Inoltre, al posto del tempo t [s] si usa fare riferimento alle
lunghezze nave percorse t’ [-], calcolate con l’espressione t’ = t V /L [-] in cui
L / V rappresenta il tempo impiegato per percorrere uno spazio pari alla
lunghezza nave.
15. La manovra di arresto
41
Corso di Allestimento Navale
La manovra di arresto del moto di avanzo (stopping test o free stop) viene
eseguita esclusivamente per saggiare l’attitudine della nave a fermarsi per
evitare la collisione con un ostacolo che si trova sulla propria rotta. Questa
prova costituisce anche una verifica del funzionamento del sistema di
controllo del motore e del sistema di inversione del moto. L’arresto è infatti
realizzato con l’inversione dell’orientazione delle pale dell’elica o con
l’inversione del moto del motore primo.
La manovra standardizzata prevede che la nave venga portata
inizialmente in moto rettilineo uniforme e che ad un certo instante la spinta
generata dal propulsore venga invertita nella maniera più veloce possibile
con il comando “macchine indietro tutta” (full speed astern) fino a generare
la massima forza frenante. Prove non standardizzate vengono eseguite con
altre modalità di comando di inversione del moto (es.: half speed astern).
Come effetto dell’azione esercitata dal sistema propulsivo, la nave inizia
a percorrere una traiettoria curva con moto decelerato. Usualmente si
manifesta una deviazione laterale, anche se il timone viene tenuto al centro,
sia per l’asimmetria del propulsore (spostamento verso destra con elica
destrogira) sia per le condizioni ambientali.
Si registrano, a partire dal momento in cui viene dato il comando di
macchine indietro (astern order), i seguenti dati:
• la lunghezza del tragitto percorso (track reach),
• la distanza coperta nella direzione della rotta iniziale (head reach),
• lo spostamento trasversale da tale rotta (lateral deviation).
Il tragitto percorso è significativo dello spostamento complessivo ed è quello
a cui usualmente si riferiscono i valori limite degli standard. I dati raccolti
sono riportati in un grafico ove è tracciata la traiettoria descritta dalla nave,
con l’avanzo in ascissa e la deviazione laterale in ordinata. Anche i tempi di
risposta vengono registrati. Si tratta di tempi piuttosto elevati che dipendono
fortemente dalla tipologia di procedura per l’inversione del moto.
La prova può essere anche ripetuta per simulare l’arresto quando la nave
procede alla massima velocità in marcia addietro, ma in questo caso non è
tra quelle standardizzate. Quest’ultima manovra viene detta crash ahead test
e si esegue impartendo un comando di avanti tutta dopo che la nave era stata
portata ad una prefissata velocità in marcia addietro.
Una prova simile è quella di stopping inertia, nella quale,
contemporaneamente all’inversione della spinta del propulsore, si agisce
anche sul timone portandolo alla banda a 35°. In questo caso si misurano il
tempo trascorso e lo spazio percorso fino al momento in cui la velocità
residua ha raggiunto un valore minimo prefissato. Se nel free stop il timone è
portato alla banda a dritta, la manovra prende il nome di IMO stop.
42
La manovrabilità della nave
Si ricorda infine che un’altra serie di prove, simili alle precedenti in
quanto si effettuano a velocità variabile, sono quelle che prevedono di testare
l’accelerazione o la decelerazione della nave su traiettoria rettilinea (dette
acceleration test e deceleration test), prove eseguite con varie modalità di
comando alle macchine. In questi test si misurano spazi percorsi e tempi,
mentre il timone viene manovrato per mantenere la rotta rettilinea.
16. I parametri di manovrabilità e le prescrizioni IMO
Dalle singole prove si raccolgono una serie di dati utili a misurare le diverse
qualità manovriere della nave. In particolare, con riferimento alle manovre
IMO precedentemente illustrate, le attitudini di manovrabilità vengono così
correlate ai parametri misurati:
• stabilità dinamica
viene valutata attraverso le prove di pull-out (velocità angolare residua
ψO) e di manovra a spirale (larghezza e altezza del ciclo di instabilità e
indice di manovrabilità (dψ/dα)α=0, ma in maniera qualitativa anche
attraverso la manovra di zig-zag con gli angoli di overshoot δP e δS.
• course-keeping ability
la capacità di controllare la rotta è implicitamente correlata alla stabilità
dinamica ed è usuale dedurre questa caratteristica dalla manovra di zigzag attraverso gli angoli di overshoot.
• yaw-checking ability
la capacità di controllare l’imbardata è implicitamente correlata alla
stabilità dinamica ed è usuale dedurre questa caratteristica dalla
manovra di zig-zag attraverso il primo angolo di overshoot δS. Il time
to check yaw tC è il parametro specifico con cui si misura questa
attitudine.
• initial-turning ability (course-changing ability)
la capacità di modificare la rotta viene misurata con il valore dell’initial
turning time tI ottenuto dalla manovra di zig-zag (in alternativa si usa
l’equivalente parametro sI).
• turning ability
la capacità di effettuare forti accostate per variare la rotta si misura con
i parametri desunti dalla prova di evoluzione, principalmente l’avanzo
e il diametro tattico (ma anche il trasferimento).
• stopping ability
la capacità di arrestare la nave nello spazio più piccolo possibile si
misura con il track reach ottenuto dalla prova di arresto (e la deviazione
laterale).
Non tutti i parametri sopra indicati sono indispensabili a caratterizzare il
comportamento della nave. Si dimostra infatti, per esempio, che l’avanzo, il
trasferimento ed il diametro tattico possono essere facilmente correlati fra
43
Corso di Allestimento Navale
loro e quindi la conoscenza di uno solo di essi è sufficiente a valutare la
turning ability della nave. Inoltre, non tutti i parametri hanno la stessa
importanza nel definire la qualità del progetto.
In Tab. 16.A sono richiamati i valori limite previsti dalle Risoluzioni IMO
per i parametri di manovrabilità. Gli spazi misurati sono adimensionalizzati
con la lunghezza della nave tra le perpendicolari LPP , mentre con V si indica
la velocità di prova, ossia la velocità di ingresso in manovra della nave. Tali
valori si riferiscono ai risultati delle sole prove principali, ossia la prova di
evoluzione, le prove di zig-zag 10°/10° e 20°/20° e la prova di arresto.
La dipendenza dei valori limite degli angoli di overshoot dallo ship time
constant è da correlarsi al fatto che ad imbarcazioni piccole e veloci (bassi
valori di STC) sono richieste caratteristiche operative diverse da quelle delle
navi più grandi e lente (alti valori di STC). Infatti, una nave con basso valore
del rapporto STC deve essere controllabile con più facilità perché a parità di
celerità nell’intervento correttivo o a parità di accuratezza dei sistemi di
controllo della rotta, lo stesso errore porta a spostamenti maggiori e quindi è
in sé più rischioso.
In generale, va osservato che i valori limite imposti dalla normativa non
sono differenziati per i diversi tipi di navi e proprio per questo motivo sono
generalmente poco severi, dovendo adeguarsi ai valori ammissibili delle
tipologie meno manovriere. Solo per quanto riguarda il valore limite del
track reach desunto dalla manovra di arresto viene fatta una distinzione di
massima fra le tipologie di navi. Il valore standard di 10 lunghezze viene
aumentato del 30 % per le grandi navi, quelle con un dislocamento di
progetto superiore alle 100.000 tonnellate, per le quali il limite più restrittivo
appare ancora impraticabile. L’IMO fornisce anche una metodologia empirica
per la previsione del track reach in relazione alle grandi navi.
PARAMETRO DI MANOVRABILITÀ
avanzo (turning test)
4,5 LPP
diametro tattico (turning test)
5 LPP
distanza coperta durante l’initial turning time
(zig-zag test 10°/10°)
1° angolo di overshoot
(zig-zag test 10°/10°)
44
CRITERIO IMO
2,5 LPP
LPP / V ≤ 10 s
10°
10 s < LPP /V < 30 s
0,5 LPP /V + 5°
La manovrabilità della nave
2° angolo di overshoot
(zig-zag test 10°/10°)
LPP / V ≥ 30 s
20°
LPP /V ≤ 10 s
25°
10 s < LPP /V < 30 s
0,75 LPP /V + 17,5°
LPP /V ≥ 30 s
40°
1° angolo di overshoot (zig-zag test 20°/20°)
tragitto percorso (stopping test)
TABELLA 16.A
25°
15 LPP (20 LPP)
Valori limite IMO dei parametri di manovrabilità.
Questi valori limite possono essere resi ancora più restrittivi dagli
armatori – le caratteristiche di manovrabilità costituiscono infatti parte delle
specifiche contrattuali fra armatore e cantiere – soprattutto per navi che
hanno particolari esigenze di manovra. Molto spesso si richiedono infatti
prove atte a testare l’indipendenza della nave dai rimorchiatori nell’eseguire
le classiche manovre portuali di avvicinamento e allontanamento dalla
banchina.
Il rispetto della normativa può essere dimostrato con previsioni desunte
sia da simulazioni al calcolatore, sia da prove su modello. Le indagini
numeriche si basano su modelli che vengono messi a punto con i risultati sia
delle prove al vero su navi simili, sia delle prove su modello vincolato, nelle
quali cioè vengono concessi al modello solo alcuni gradi di libertà. Queste
ultime servono a calcolare i coefficienti idrodinamici da inserire nelle
equazioni che descrivono il moto della nave. Queste prove sono molto
laboriose perché richiedono un numero notevole di “corse” (per tutte le
combinazioni possibili dei gradi di libertà del sistema). Le prove su modello
in scala vengono effettuate anche con la modalità detta di modello libero e
servono a determinare direttamente le caratteristiche di manovrabilità della
nave. Sono condotte in vasche di grandi dimensioni con lo stesso modello
usato nelle prove di resistenza o di auto propulsione. Allo stato attuale delle
ricerche, le prove su modello forniscono risultati che vengono comparati
direttamente con i limiti di normativa (anche se per i piccoli modelli i
risultati di stabilità dinamica tendono ad essere conservativi).
Va infine osservato che nelle prime fasi del progetto (ossia in fase di
concept design) vengono spesso utilizzate formulazioni empiriche o
regressioni lineari ricavate da analisi su navi simili. In fase di preliminary
design può diventare necessario fare riferimento a simulazioni numeriche o a
45
Corso di Allestimento Navale
prove sperimentali, mezzi ai quali è sicuramente necessario ricorrere nelle
fasi successive del progetto (contract design e detail design).
I risultati delle prove, a nave costruita e certificata, vanno trascritti su
appositi stampati ed affissi in plancia assieme ai tracciati delle stesse, come
richiesto dalle Risoluzioni IMO. In pratica devono essere preparati:
• una tabella delle caratteristiche della nave ad uso del pilota (pilot
card) contenente le caratteristiche della nave, del sistema propulsivo
e dei sistemi di governo e manovra;
• una tabella delle caratteristiche evolutive della nave ad uso del
comando (wheelhouse poster), che illustri i risultati delle prove di
manovrabilità;
• un quaderno di manovrabilità (manoeuvring booklet), in cui siano
dettagliatamente descritte le qualità manovriere della nave.
17. Le prescrizioni dei Registri
Per quanto riguarda la manovrabilità, i Registri di classificazione non
avanzano richieste aggiuntive rispetto a quelle formulate dalle Risoluzioni
dell’IMO. Fanno eccezione i casi in cui lo spettro delle prove da eseguire
viene allargato per comprendere le manovre IMO opzionali o altre manovre
ancora, quali i test alle basse e medie velocità.
É questo il caso del Lloyd’s Register che stila una lista ampliata di
manovre da eseguire per conseguire una notazione aggiuntiva di classe
definita LMA – Lloyd’s Manoeuvring Assessment. Le norme in questione non
pongono limiti alle caratteristiche di manovrabilità, oltre a quelli previsti
dall’IMO, ma prevedono che, per ottenere la notazione di classe, i risultati
delle prove debbano essere considerati soddisfacenti dagli ispettori del
Registro.
Per acquisire questa notazione la nave deve eseguire, oltre alle tre
principali manovre stabilite dall’IMO anche le seguenti manovre:
• la manovra di pull-out (accoppiata alla manovra di evoluzione),
• la manovra di evoluzione a mezza velocità (half speed turning test),
• la manovra di arresto in marcia avanti a mezza velocità ed a bassa
velocità (half speed e slow speed stopping test),
• la manovra per il recupero di uomo in mare, eseguita con il metodo
cosiddetto di Williamson oppure con due mezze evoluzioni,
• la manovra di evoluzione a partire da nave ferma e con le sole eliche
di manovra in funzione.
Si osservi che i valori delle velocità sono quelli corrispondenti alle tacche
del telegrafo di macchina, rispettivamente full ahead, half ahead, slow ahead
and dead slow ahead per marcia avanti e dead slow astern, slow astern, half
astern and full astern per marcia addietro.
46
La manovrabilità della nave
Anche il RINA assegna una notazione di classe specifica per la
manovrabilità, indicata con la sigla MANOVR. Tale notazione viene assegnata
alle navi che eseguono le manovre principali stabilite dall’IMO e che
rispettano i valori limite ammissibili dei parametri di manovrabilità.
18. Le manovre secondarie
Oltre alle manovre standardizzate dall’ IMO, altre prove sono state definite da
vari organismi di ricerca (ITTC, SNAME, NSO, JSRA) allo scopo di permettere
indagini più approfondite sia sulla stabilità dinamica sia sulle capacità
manovriere delle navi.
Come noto, tre sono le manovre principali da eseguire secondo lo
standard IMO. In aggiunta a queste, le prove addizionali che l’IMO introduce
nelle sue linee guida sulla manovrabilità sono:
• la manovra a spirale diretta,
• la manovra a spirale inversa,
• la manovra a spirale semplificata (simplified spiral manoeuvre),
• la manovra di pull-out,
• la manovra di zig-zag ai piccoli angoli (very small zig-zag test).
che sono già state descritte in relazione ai metodi di valutazione della
stabilità dinamica e durante la descrizione delle manovre principali. Ad esse
vari standard fanno seguire altre manovre secondarie, derivate da quelle
principali per modifica di uno o più parametri di prova:
• la manovra di evoluzione a differenti velocità nave e diversi angoli di
barra del timone (ad esempio, α = 15°), la manovra di approccio
all’accostata (initial turning test);
• la manovra a zig-zag secondo Kempf ad angoli α0 = δ0 di 5° e 15°,
oppure lo zig-zag modificato (α0 ≠ δ0);
• la manovra di arresto a velocità di atterraggio, oppure a partire da
marcia addietro, oppure lo stopping inertia test (descritto in relazione
allo stopping test), oppure ancora le manovre di accelerazione o
decelerazione su rotta rettilinea a partire da nave ferma.
La manovra di approccio all’evoluzione (initial turning test) serve ad
acquisire informazioni sul transitorio che corrisponde alla prima fase di
un’accostata realizzata con un angolo di barra del timone moderato. In
pratica corrisponde alla prima fase di una manovra di evoluzione e si
conclude quando la nave stabilizza la sua rotta, ossia quando la velocità ψ
diventa costante. Si esegue con timone a 10° oppure a 20°.
Una manovra alternativa che permette di acquisire informazioni sulla
manovrabilità è quella di mantenimento della nuova rotta impostata (new
course keeping test).
47
Corso di Allestimento Navale
La manovra di mantenimento della nuova rotta impostata serve per
valutare la capacità della nave a mantenere una rotta rettilinea modificata,
rispetto a quella iniziale, di un piccolo angolo. Con questo test si ottengono
dati utili alla valutazione della qualità di variazione della rotta (coursechanging ability). Il test si effettua partendo da una rotta rettilinea ed
impostando un angolo di barra di 15° che viene mantenuto finché la nave
non ha modificato la linea di fede di 10°. A quel punto il timone viene
invertito (−15°) e portato successivamente all’angolo neutro nel momento in
cui la velocità di rotazione della nave si annulla. La manovra è eseguita a
dritta e a sinistra, con angoli di timone di 20° e di 30°.
Il risultato è espresso graficamente riportando la traccia dello
spostamento della nave e mettendo in evidenza l’avanzo e il trasferimento.
La distanza tra il punto nave relativo all’istante di COMEX e il punto
d’intersezione fra la vecchia e la nuova rotta è definito new course distance.
Esistono altre prove di manovrabilità standardizzate non tanto per
saggiare la sicurezza della nave, quanto invece per valutare l’efficacia dei
sistemi di manovra negli spostamenti in acque ristrette. Si tratta di prove
effettuate con lo scopo di misurare le caratteristiche di manovrabilità della
nave ferma o quasi ferma, si da valutare fino a che punto può essere
indipendente dai sistemi ausiliari esterni, ovvero dai rimorchiatori, il cui
costo per le normali operazioni di avvicinamento e allontanamento dalla
banchina non è trascurabile. Le prove di questo tipo si differenziano da
quelle standard perché sono eseguite a basse velocità, eventualmente in
shallow water e con l’utilizzo, anche coordinato, dei diversi sistemi di
governo, ovvero timone ed eliche trasversali.
Buoni risultati di manovrabilità nelle condizioni sopra indicate non
esimono il comando dal richiedere l’uso dei rimorchiatori in condizioni
estreme di manovra. In altre parole, la nave deve comunque possedere
opportune installazioni di coperta per stendere i cavi di traino verso i
rimorchiatori, così come sulle fiancate devono essere previsti e indicati i
punti di appoggio dei rimorchiatori.
Tra le varie prove rientranti in questa categoria si menzionano le
seguenti:
• la manovra di zig-zag a bassa velocità (zig-zag test at low speed), per
esempio lo zig-zag 35° / 1°, che serve a valutare la minima velocità
di avanzo alla quale la nave è ancora governabile;
• la manovra di evoluzione a partire da nave ferma (accelerating
turning test), che consiste in un’evoluzione completa fatta mettendo
macchine a mezza potenza o a tutta forza e timone alla banda, in
modo da simulare un distacco dalla banchina; la manovra si conclude
dopo un’evoluzione di almeno un giro e mezzo;
48
La manovrabilità della nave
• le manovre principali (di evoluzione, di zig-zag e di arresto) in
shallow water per misurare la riduzione nelle doti di manovrabilità e
governo dovuta all’effetto del fondale (le manovre sono condotte a
basse velocità);
• le manovre principali (di evoluzione e di zig-zag) condotte con le
sole eliche trasversali (thruster test).
Queste ultime si effettuano allo scopo di saggiare le qualità evolutive
ottenute con le eliche trasversali in funzione e con il timone alla via, sia a
partire da nave ferma sia con nave dotata di una bassa velocità di avanzo.
Comprendono la manovra di evoluzione, che viene fatta con velocità di
avanzo che vanno da 0 nodi a 8 nodi effettuando una variazione di rotta a
volte limitata a 30° oppure 90°, e quella di zig-zag, effettuata con velocità
comprese fra 3 nodi e 6 nodi e con riferimento ad una variazione massima di
rotta di 10°. Per eseguire queste prove le eliche devono essere
sufficientemente immerse, un valore minimo è quello di un’immersione al
mozzo di almeno 0,8 volte il loro diametro.
19. Le manovre di crabbing
Altre prove interessanti sono quelle che vanno sotto il nome di manovre di
crabbing e consistono nell’avvicinamento o allontanamento dalla banchina,
a velocità di avanzo nulla, con l’utilizzo di tutti i sistemi di governo. Tali
manovre si eseguono come di seguito specificato:
• se la nave possiede eliche trasversali sia a prora sia a poppa, esse
vengono azionate bilanciando le potenze in modo da ottenere una
traslazione trasversale della nave;
• se la nave possiede solamente l’elica trasversale di prora, essa viene
azionata in maniera coordinata con le eliche propulsatrici di poppa.
In quest’ultimo caso, le eliche vengono azionate in modo da dare spinte
contrapposte affinché la componente longitudinale della forza da esse
generata si annulli. Il timone dell’elica che spinge in avanti viene inclinato in
modo da deviare il flusso e generare quindi una forza trasversale che si
sommi a quella generata dall’elica che spinge verso addietro, il cui timone
può rimanere al centro poiché il flusso viene deviato dalla stessa carena. Se
lo scopo della manovra è quello di allontanare il fianco della nave dalla
banchina è importante, soprattutto se la banchina è costituita da una diga
continua, che l’elica di terra generi un flusso verso avanti in modo da evitare
di dar origine ad una depressione idrodinamica fra banchina e fiancata. Tale
fenomeno è accentuato da un fondale poco profondo.
Le manovre di crabbing assumono una particolare importanza per le
navi che svolgono un servizio caratterizzato da frequenti avvicinamenti alla
banchina. È questo il caso delle navi passeggeri che, durante le crociere,
49
Corso di Allestimento Navale
effettuano viaggi di breve durata al termine dei quali sostano in porti spesso
poco equipaggiati per riceverle. Esse, inoltre, si muovono usualmente in
acque ristrette (per esempio, in stretti bracci di mare fra le isole) anche in
presenza di venti trasversali.
La previsione della potenza delle eliche di manovra viene fatta con
opportune prove in vasca, simulando:
• il mantenimento della rotta in acque libere, per verificare quanto la
nave riesce a resistere a correnti, vento ed onde al traverso quando
naviga a bassa velocità;
• spostamenti trasversali in vicinanza a banchine di tipo diverso (su
pali o su muratura chiusa) per valutare la capacità della nave di
eseguire avvicinamenti o distacchi dalla banchina in presenza di
forze ambientali contrarie.
Tali prove vengono eseguite con riferimento a condizioni espresse dagli
armatori più che in base ad un vero e proprio standard. In particolare, diverse
sono le condizioni ambientali limite che possono essere considerate. Prove
tipiche per le navi passeggeri sono quelle di avvicinamento e di
allontanamento dalla banchina eseguite per diverse tipologie di banchina e
per diverse profondità del fondale con un vento costante di 35 nodi
(Beaufort 7) proveniente da qualsiasi direzione. In queste prove la nave deve
dimostrare di potersi muovere senza l’aiuto di rimorchiatori ad una
sufficiente velocità trasversale. Tale velocità è dell’ordine di qualche
centimetro al secondo e può arrivare anche a 25 cm/s.
Il risultato delle prove viene rappresentato graficamente da un poligono
delle forze di manovra i cui vertici sono i punti identificati dalle coppie di
valori della forza trasversale e del momento evolutivo caratteristici delle
diverse configurazioni degli apparati di manovra. In pratica, vengono
attivate in successione le eliche trasversali in coordinazione con i timoni (o i
timoni-propulsori) in modo da generare una forza trasversale crescente,
mentre il momento evolutivo spazia dal valore massimo al valore minimo.
Nello stesso grafico è riportati anche i poligoni delle forze ambientali
originate sulla nave dal vento e dalla corrente. Ognuna di queste curve
esprime la forza trasversale e il momento evolutivo generati sulla nave da un
vento (o da una corrente marina) di velocità prefissata proveniente da
direzioni diverse. Con riferimento ad una determinata velocità del vento (o
della corrente), le prove danno esito positivo se il poligono delle forze
ambientali è contenuto nel poligono delle forze di manovra.
Le prove di crabbing su modello si rendono necessarie per una corretta
previsione del fenomeno in quanto la simulazione delle interazioni
reciproche fra le eliche trasversali, il flusso da esse generato e quello delle
eliche propulsatrici e fra tutti questi apparati e la banchina è difficilmente
50
La manovrabilità della nave
effettuabile per via numerica. Queste prove servono anche per valutare gli
effetti, sulle strutture delle banchine, dei getti d’acqua prodotti dalle eliche.
20. Le manovre di emergenza
Le prove finora discusse sono finalizzate alla ricerca dei parametri di
manovrabilità delle navi. Fa eccezione la manovra di arresto che è correlata
alla valutazione della risposta della nave in una condizione di emergenza.
Esistono anche altre prove eseguite con l’intenzione di simulare particolari
situazioni di emergenza e tra queste si citano:
• la manovra di disimpegno (parallel course manoeuvre test),
• la manovra di recupero uomo in mare (man-overboard test).
La manovra di disimpegno dalla rotta consiste nel simulare una
situazione di emergenza in cui due navi si trovano in rotta di collisione. La
manovra consiste in una forte accostata a dritta ottenuta con timone alla
banda (α = +35°), seguita immediatamente da un’accostata a sinistra
realizzata con timone alla banda dalla parte opposta (α = -35°). L’inversione
del timone viene fatta quando lo ship heading è variato di 30° rispetto alla
rotta originaria. Successivamente, il timone viene manovrato in modo da
riportare di nuovo la nave sulla rotta originaria.
Dalla manovra di disimpegno dalla rotta si ottiene come risultato un
grafico che illustra la traccia della nave ed evidenzia gli istanti di
azionamento del timone. La manovra viene anche condotta con disimpegno
a sinistra. Per simulare altre situazioni di emergenza, la prova viene eseguita
anche invertendo il timone quando lo ship heading è variato di 60° o di 90°
rispetto alla rotta originaria. Un’altra variante è realizzata limitando la
rotazione del timone ad angoli di 25° o di 30°.
Con l’intenzione di fornire al comando della nave un’indicazione utile al
recupero di un uomo in mare (man overboard), l’IMO ha proposto la
cosiddetta manovra di Williamson (Williamson turn). Questa evoluzione è
stata studiata per fare invertire velocemente la rotta alla nave e farla tornare
esattamente sul punto in cui si trova la persona da recuperare. Al termine
della manovra la nave deve ritrovarsi sulla rotta iniziale ed avere una
velocità tale da consentire la messa a mare di un’imbarcazione per il
recupero veloce del naufrago.
In pratica, per recuperare un uomo caduto in mare da dritta, il timone
deve essere portato dapprima alla banda a dritta in modo da variare la rotta
di circa 20° ÷ 60° e successivamente, dopo un breve tragitto, deve essere
invertito (alla banda a sinistra) fino ad ottenere una variazione di rotta dalla
parte opposta di circa 120° ÷ 150°. Infine, il timone viene portato
gradualmente alla via, in modo da terminare l’accostata con un’inversione
51
Corso di Allestimento Navale
completa della rotta e in prossimità del punto in cui si trova l’uomo da
recuperare.
Il recupero di un uomo in mare può essere effettuato anche con un’altra
manovra denominata elliptical turning manoeuvre che consiste nell’eseguire
un loop completo. La nave esegue dapprima una mezza evoluzione
(variazione di rotta di 180°), percorre poi un breve tragitto parallelo a quello
originario ed infine, con una seconda mezza evoluzione, si riporta sulla rotta
già percorsa. Il tratto di tragitto fra le due accostate serve a stabilizzare la
velocità della nave per farla uscire, dopo la seconda evoluzione, esattamente
sulla rotta originaria.
21. Le manovre per il collaudo degli impianti
Altre prove sono effettuate per valutare il funzionamento degli organi di
propulsione e di manovra. Tra queste si ricordano:
• la manovra per la valutazione del numero minimo di giri sostenuto
dal motore primo di propulsione (minimum revolution test),
• la manovra di collaudo del timone (hard rudder test).
La prima si svolge in maniera molto semplice riducendo la velocità del
motore finché lo stesso riesce a mantenersi in moto per almeno un minuto,
producendo un seppur minimo avanzo della nave. La minima velocità di
avanzo viene registrata assieme al valore del minimo regime sostenuto dal
motore.
La manovra di collaudo del timone è una manovra molto importante per
la sicurezza della nave, definita dall’IMO all’interno dalla SOLAS
(precisamente, al Cap. II–1, Part C – “Machinery Installations”, Regulation
29). L’intento del test è quello di verificare la robustezza del timone e
dell’intera catena di comando e attuazione. Non prevedendo diversificazioni
per dimensioni e tipo di nave, il limite previsto dalla normativa non può però
ritenersi adatto alle diverse esigenze delle navi.
La manovra prevede che la nave, che deve essere nella condizione di
massima immersione, sia portata su rotta rettilinea percorsa alla massima
velocità. Successivamente, il timone, attraverso la timoneria principale, deve
essere angolato con la massima velocità di rotazione dell’asta, prima dal
centro fino a 35° su un lato e poi immediatamente fino a 30° dall’altra parte.
Il tempo totale impiegato per la successione da 35° a 30° sul lato opposto
non deve superare 28 secondi. La manovra va eseguita sia a partire da
sinistra sia a partire da dritta.
Nel caso che la timoneria sia composta da una macchina principale e da
una ausiliaria, una prova analoga deve poi essere svolta con la macchina di
governo ausiliaria, per la quale si considera – sempre con la nave alla
52
La manovrabilità della nave
massima immersione ma questa volta a velocità dimezzata e comunque
superiore a 7 kn – un ciclo dell’angolo di barra da 15° su un lato a 15° sul
lato opposto, da svolgersi in non più di 60 secondi. Anche in questo caso, la
manovra va eseguita sia a partire da sinistra sia a partire da dritta.
Questa prova serve per valutare il funzionamento dell’intero sistema
formato dalla timoneria di plancia, dalla linea di trasmissione del comando,
dal macchinario di agghiaccio e, infine, dal timone stesso. Durante dette
manovre infatti si saggia:
• il funzionamento del sistema di trasmissione del comando dalla
plancia;
• il funzionamento del macchinario del timone, sia come tempi
massimi di esecuzione, sia come valori angolari massimi raggiunti
dalla pala;
• la robustezza del sistema, ovvero del macchinario, dell’asta e della
pala.
22. Analisi dell’efficacia del timone
I modelli matematici per la manovrabilità sono piuttosto complessi sia
perché l’equilibrio dinamico della nave non è descrivibile con equazioni
differenziali lineari sia perché tali equazioni, esprimendo il moto della nave
sulla superficie marina, sono tra loro accoppiate.
Il sistema completo di equazioni di equilibrio è formato da tante
equazioni quanti sono i gradi di libertà della nave. Un modello semplificato
della cinematica della nave considera solo i gradi di libertà significativi,
ossia quelli corrispondenti allo spostamento longitudinale (avanzo), allo
spostamento trasversale (deriva) e alla rotazione attorno all’asse verticale
(imbardata).
Quando però ci si vuole limitare allo studio della sola variazione
dell’angolo di rotta senza voler descrivere il percorso della nave, si può fare
riferimento alla sola equazione di equilibrio relativa a tale grado di libertà
(imbardata). In aggiunta, tale equazione può essere semplificata eliminando i
termini di accoppiamento con gli altri gradi di libertà. Quest’impostazione è
in genere sufficientemente accurata per un’analisi preliminare della stabilità
dinamica e della manovrabilità della nave.
L’equazione di equilibrio del solo moto di imbardata si esprime
considerando le forze che lavorano con braccio non nullo rispetto al centro
di massa della nave, forze che danno i seguenti momenti:
• il momento evolutivo ME generato del timone;
• il momento prodotto dalle pressioni idrodinamiche sullo scafo, già
indicato come MW , e qui detto anche momento di smorzamento in
53
Corso di Allestimento Navale
quanto connesso alle forze associate alla dissipazione di energia in
mare (forze di attrito, forze di generazione del moto ondoso);
• il momento delle forze d’inerzia MI, eventualmente comprensivo
dell’effetto della massa aggiunta trascinata dalla carena durante la
rotazione.
Il momento generato dal timone può esprimersi in funzione dell’angolo
di barra ed indicarsi perciò come ME(α). Tale approccio trascura la
variazione dell’angolo di attacco durante l’accostata.
Il momento delle forze idrodinamiche è esprimibile come funzione della
velocità relativa fra la nave e l’acqua di mare. In termini macroscopici,
indicando con ψ la velocità d’imbardata, il momento si può scriver come
MW(ψ).
Il momento delle forze d’inerzia può essere espresso come prodotto fra
il momento d’inerzia della nave all’imbardata (relativo alla massa nave
comprensiva della massa aggiunta) J [kg m2] e l’accelerazione angolare
d’imbardata dψ/dt [rad/s2]. Il momento d’inerzia della nave rispetto alla
rotazione attorno all’asse verticale baricentrico può esprimersi attraverso il
raggio d’inerzia di massa i [m] che, per le navi mercantili di forme
tradizionali, è generalmente compreso fra 0,25 L e 0,30 L.
L’equilibrio della nave alla rotazione rispetto all’asse verticale
baricentrico può scriversi come:
− J ψɺ − M W (ψ) + M E (α) = 0
[Nm]
(22.A)
Nella sua forma più semplice tale equazione esprime un modello
completamente lineare qualora si ipotizzi che il momento di smorzamento
sia proporzionale alla velocità d’imbardata e che il momento generato dal
timone sia proporzionale all’angolo di barra. Si può scrivere allora:
− J ψɺ − mW ψ + mE α = 0
[Nm]
(22.B)
dove mW [Nm s/rad] è il momento di smorzamento che nasce a fronte di una
velocità d’imbardata unitaria ed mE [Nm/rad] è il momento d’evoluzione
generato dal timone per un angolo di barra unitario. Tali coefficienti possono
essere eventualmente corretti per includere gli effetti degli accoppiamenti
con i moti trascurati.
L’equazione di equilibrio così ottenuta è generalmente trascritta nella
forma seguente:
T ψɺ + ψ = Kα
54
[Nm]
(22.C)
La manovrabilità della nave
nella quale sono messi in evidenza due coefficienti detti indici di Nomoto e
definiti come:
J
mW
m
K= E
mW
T=
[s]
(22.D)
[s–1]
Nella forma adimensionale gli indici di Nomoto si scrivono come:
T′ =
V
T
L
L
K′ = K
V
[-]
(22.E)
[-]
Il significato di K e T può essere dedotto risolvendo l’equazione in un
caso particolare, corrispondente alla manovra in cui il timone venga portato
istantaneamente da 0° all’angolo di barra α0 e lasciato poi in tale posizione.
In questo caso, l’equazione di Nomoto porge infatti la seguente soluzione:
ψ = K α0 (1 − e− t / T )
[rad/s]
(22.F)
che mostra come la velocità d’imbardata aumenti esponenzialmente con il
tempo t [s] tendendo al valore stazionario K α0. Se alla nave è associato un
alto valore di K, la rotta si stabilizza su una traiettoria con un piccolo valore
del raggio di curvatura R. Un alto valore dell’indice K è quindi sinonimo di
alte prestazioni di manovrabilità (turning ability) perché evidenzia che serve
un basso angolo di barra per ottenere una predeterminata curvatura della
traiettoria. L’indice K è detto anche gain constant.
La soluzione di Eq. 22.F mostra anche che un basso valore di T è indice
di una risposta più veloce all’angolo di barra, infatti il tasso di crescita della
velocità di imbardata è inversamente proporzionale al valore del parametro T,
detto anche time constant. Di conseguenza, un basso valore di T è indice di
alte prestazioni di governo (course-changing ability e course-checking
ability). D’altro lato, ciò comporta, implicitamente, che la nave sia meno
stabile, infatti se T è basso la nave può uscire velocemente dalla rotta anche
sotto l’azione di piccole forze perturbative indotte dall’ambiente. Inoltre, si
dimostra che se T è negativo la nave è dinamicamente instabile.
Le caratteristiche manovriere della nave possono quindi essere così
riassunte in funzione degli indici di Nomoto:
• al crescere di K aumenta l’attitudine della nave alla manovrabilità;
• al crescere di 1/T aumenta l’attitudine al controllo/variazione di rotta;
55
Corso di Allestimento Navale
• al crescere di T aumenta la stabilità dinamica.
Un alto valore dell’indice T si realizza quando il momento d’inerzia è
elevato e il momento unitario di resistenza idrodinamica è basso, come nel
caso delle grandi navi cisterna. Una nave con K elevato e T piccolo risponde
velocemente al timone evoluendo subito con un’accostata stretta. Al
contrario, una nave con K piccolo e T elevato accosta lentamente e stabilizza
la rotta su una traiettoria più larga.
Gli indici di Nomoto costituiscono degli utili parametri di valutazione
delle qualità manovriere di una nave e possono essere desunti dalla manovra
di evoluzione o da quella di zig-zag con semplici elaborazioni analitiche. Il
confronto dei valori di K e T con gli indici di navi simili fornisce
un’indicazione della bontà del progetto.
In realtà, la risposta della nave non è lineare e l’approssimazione fatta
nell’approccio di Nomoto è troppo forte. Di conseguenza gli indici non
riescono ad essere una misura assoluta della manovrabilità delle navi. Noto
che le qualità manovriere delle navi dipendono dalle loro dimensioni e dalla
loro tipologia, per svincolare il valore degli indici da questi parametri si usa
adimensionalizzarli con il parametro STC, ottenendo i parametri K’ e T’ di Eq.
22.E. La raccolta dei dati relativi alle prove al vero di un gran numero di navi
mostra che:
• l’indice K’ si mantiene costante all’aumentare del dislocamento,
• l’indice T’ rimane dipendente dal dislocamento, a cui risulta
proporzionale anche se in maniera debole.
Se i due indici sono diagrammati l’uno verso l’altro, si mette in
evidenza una stretta correlazione che si esprime in un andamento
debolmente parabolico della curva media K’ = f(T’). Sulla base di questa
correlazione “quasi lineare” si può creare una misura diretta delle qualità
manovriere delle navi facendo riferimento alla relazione assoluta fra K’ e T’.
La fascia costruita attorno alla curva media, fascia compresa fra i valori del
75 % e del 125 % del valore medio, è usata per definire il confine fra una
zona che indica buone doti di manovrabilità (parte alta del grafico) ed una
che indica scarsa attitudine alla manovrabilità (parte bassa del grafico).
La relazione fra gli indici K’ e T’ è solo debolmente non lineare, perciò
il rapporto fra gli indici adimensionali è quasi costante. La costante di
proporzionalità tende cioè ad essere indipendente dal tipo di nave e dalla sua
dimensione. Su queste basi è definito il parametro di Norrbin P, che è
fissato pari al rapporto K’/(2T’). Un alto valore di questo indice di è
indicativo di una buona manovrabilità; il valore minimo di P è tipicamente
posto pari a 0,3 (0,2 per navi cisterna). In sostanza, il parametro di Norrbin P
possiede un certo grado di indipendenza dalle dimensioni e tipologia della
56
La manovrabilità della nave
nave e può essere considerato come un indice assoluto delle capacità
manovriere delle navi.
Tramite gli indici di Nomoto è anche possibile mettere in relazione le
caratteristiche di manovrabilità della nave con il momento evolutivo
generato dal timone e, più precisamente, con le caratteristiche
macroscopiche della carena e del timone. Se si considera, infatti, che il
momento evolutivo è proporzionale al rapporto fra l’area del timone AR [m]
e l’area del piano di deriva della nave, approssimabile con il prodotto LT, e
che il momento d’inerzia di massa J può essere indicato come proporzionale
al prodotto fra il coefficiente di carena cB e il rapporto B/L, si può dimostrare
che:
K mE AR L
=
∝
T
J
∇
[-]
(22.G)
Considerando che la relazione fra K’ e T’ è solo debolmente non lineare,
se nella formula appena scritta si inseriscono gli indici adimensionali K’ e T’
si ottiene la seguente espressione:
K ′ = kA
AR L
T ′ + kA0
∇
[-]
(22.H)
in cui kA può praticamente considerarsi una costante. In conclusione, noti i
valori degli indici adimensionali di Nomoto e note le caratteristiche
principali della nave, si può valutare il valore dell’area del timone che
garantisce buone doti di manovrabilità. Esistono al riguardo utili grafici,
ottenuti su basi sperimentali, che illustrano la relazione sopra descritta,
evidenziando rette di regressione valide per navi monoelica o bielica, oppure
per navi a pieno carico o in zavorra.
23. Osservazioni sull’efficacia del timone
L’analisi della prova di evoluzione e della prova di zig–zag risultano
particolarmente utili per mettere in rilievo le condizioni di funzionamento
estreme del timone.
Dall’analisi delle modalità di accostata della nave si è visto che la forza
utile generata dal timone varia considerevolmente durante la manovra, infatti
si riduce sia per effetto della diminuzione della velocità di avanzo della nave
sia per effetto dell’angolo di deriva al timone. In conclusione le forze sul
timone sono massime nell’istante di inizio della manovra di evoluzione ad
angolo di barra costante. Per questo motivo i dimensionamenti strutturali
vanno fatti considerando che la nave proceda alla massima velocità in marcia
57
Corso di Allestimento Navale
avanti o in marcia addietro e con riferimento all’istante in cui, all’inizio
dell’evoluzione, il timone abbia raggiunto il massimo angolo di barra.
Lo studio della prova di stabilità (steering diagram) mostra anche che,
all’aumentare dell’angolo di barra del timone, il diametro di girazione si
riduce con proporzionalità non lineare e tende ad un valore asintotico, infatti
quando l’angolo di barra al timone supera i 30°÷35° le qualità evolutive
sostanzialmente non migliorano. Di conseguenza i timoni non vengono
manovrati oltre tali valori limite, anche se in queste condizioni l’angolo di
attacco effettivo si trova ben al di sotto del valore dell’angolo di stallo.
A conferma di quanto osservato, possono anche essere ricordati i
risultati delle prove al vero condotte ad Indret sulla Loira da Joessel nel 1873.
Egli misurò la forza idrodinamica che nasce, durante l’accostata, su timoni
rettangolari a lastra semplice. Si tratta certamente di pale dalla geometria
obsoleta, ma i risultati confermavano già allora che il valore di circa 35º
dell’angolo di barra è quello che fornisce il massimo momento evolutivo.
Un’altra osservazione interessante è quella che chiarisce quali sono i
motivi, legati alla manovrabilità, che giustificano il posizionamento del
timone nella volta di poppa invece che a prora.
La collocazione del timone a poppa risponde ad una esigenza
fondamentale di sicurezza rispetto alle collisioni ed all’impatto con corpi
estranei, ma risulta anche la più funzionale dal punto di vista dell’efficacia
nei confronti dell’accostata. Nel caso di timone a prora si ha infatti che la
forza trasversale utile FT:
• è orientata all’interno della traiettoria,
• ha un’intensità ridotta rispetto al caso del timone a poppa.
Il fatto che la forza trasversale utile FT sia orientata all’interno della
traiettoria comporta che si crei un maggior momento di resistenza
idrodinamica MW. Infatti, in questa circostanza la forza idrodinamica WA+D
(agente ora a prora e verso l’esterno della traiettoria) genera, all’inizio di
un’accostata, un momento verticale MW,A+D dello stesso segno del momento
MW,Y, al contrario di quanto avveniva quando il timone era a poppa. In altre
parole, WA+D tende a chiudere l’angolo di deriva. Di conseguenza, la nave
richiede un momento evolutivo maggiore per eseguire una manovra di
accostata.
Inoltre, la forza trasversale utile FT si riduce in intensità a causa della
riduzione dell’angolo effettivo d’attacco, infatti non si manifesta alcun
effetto di raddrizzamento del flusso, raddrizzamento che si aveva invece
nella scia della nave e dell’elica. Di conseguenza il momento evolutivo ME
tende ad essere di minore intensità.
58
La manovrabilità della nave
Il caso di nave con timone a prora è molto simile, per certi versi, a
quello di nave con timone a poppa che procede all’indietro per esigenze di
manovra. Se infatti la nave si muove in marcia addietro, con o senza velocità
di deriva, la nave è praticamente ingovernabile.
59
3
Il progetto del timone
3.1 Introduzione
Il progetto del timone deve essere sviluppato in due ambiti differenti, quello
idrodinamico e quello strutturale.
In quanto segue, ad una descrizione della geometria della pala seguirà
un’analisi qualitativa del campo fluido in cui il timone si trova a lavorare.
Successivamente si forniranno le basi per poter stilare il progetto, sia da un
punto di vista idrodinamico, sia strutturale, analizzando la robustezza della
pala e degli elementi di controllo e sostegno.
3.2 La superficie idrodinamica
La forma della pala di un timone è frutto di una serie di considerazioni
progettuali che sottostanno a valutazioni di origine sia idrodinamica sia
strutturale. Benché diverse siano le possibili forme assunte dalla pala, la
superficie del timone può essere descritta compiutamente attraverso un certo
numero di parametri geometrici che ne definiscono sia gli aspetti principali
sia quelli di dettaglio.
La pala, nella sua configurazione più semplice, è sostenuta solamente da
robuste strutture interne alla carena. Molto spesso, quando le forze in gioco
sono più elevate, è necessario predisporre anche appendici di carena che
costituiscano un ulteriore sostegno. Si tratta in genere di strutture poste
lungo il bordo di attacco della pala. Nel primo caso, si ha una superficie di
manovra completamente mobile (all-movable), nel secondo caso si ha una
parte mobile, la pala vera e propria, ed una parte fissa, il supporto esterno
allo scafo. In entrambi i casi viene realizzato un corpo avviato, che
costituisca un corpo idrodinamico unico, esposto al flusso proveniente
dall’avanzo della nave e dall’elica.
La nomenclatura della pala si riferisce perciò in maniera indistinta ai
due casi, sottintendendo che va poi eventualmente definita quale parte è
mobile e quale è fissa. Le definizioni che seguono possono applicarsi a tutte
le superfici idrodinamiche presenti sulla nave, quali, per esempio, le pinne
stabilizzatrici utilizzate per lo smorzamento del moto di rollio.
Le dimensioni geometriche principali della pala sono definite con
riferimento alla proiezione della pala sul piano di riferimento, identificato
dalla direzione dell’asse di rotazione e dalla direzione dalla quale deve
provenire un flusso omogeneo senza che vi sia generazione di una portanza
netta. La direzione di questo flusso omogeneo costituisce un riferimento
molto utile per la definizione della geometria della pala, in quanto permette
di identificare le grandezze geometriche direttamente correlate al
meccanismo della generazione delle forze idrodinamiche.
La superficie idrodinamica proiettata sul piano di riferimento identifica
lo sviluppo planare della pala, ossia la forma del timone. In particolare,
l’area del timone AR [m2] (profile area) è l’area della superficie proiettata – il
pedice R si riferisce al termine inglese per indicare il timone (rudder). Il suo
profilo tracciato sul piano di riferimento viene scomposto in tratti come di
seguito specificato:
• bordo di ingresso (leading edge) e bordo di uscita (trailing edge)
sono i due tratti del profilo affacciati rispettivamente al flusso in
ingresso ed a quello in uscita;
• bordo alla radice (root, r) e bordo all’apice (tip, t) sono i due spigoli
della pala rispettivamente vicino allo scafo e all’estremità opposta;
trattandosi di superfici di controllo a sviluppo verticale, si parla
usualmente di spigolo superiore e spigolo inferiore.
La generica distanza dallo spigolo di ingresso a quello di uscita,
misurata sul piano di proiezione nella direzione del flusso, è detta corda
(chord) e viene indicata con c [m], mentre la generica distanza del bordo
inferiore a quello superiore, misurata sullo stesso piano e nella direzione
ortogonale, è detta campata b [m] (span) oppure comunemente altezza nel
caso dei timoni verticali.
Per quanto riguarda la terza dimensione, è necessario identificare i
parametri geometrici utili ad descrivere univocamente la distribuzione degli
spessori della pala. A tale scopo si fa riferimento al profilo idrodinamico che
viene definito, con riferimento alla generica corda, da un sezionamento
ortogonale al piano di proiezione. Il profilo è caratterizzato da una legge di
distribuzione degli spessori che può essere nota in forma discreta o analitica.
Tale legge indica gli spessori misurati non nella direzione ortogonale al
piano di riferimento, ma nella direzione ortogonale alla linea mediana del
profilo idrodinamico.
I valori di corda, campata e spessore possono essere valutati su diverse
sezioni della pala, ma assumono particolare importanza quelli definiti nel
modo seguente:
• la corda cr [m] e la corda ct [m] misurate rispettivamente alla radice e
all’apice, eventualmente con riferimento alle linee orizzontali di
compenso dell’area quando gli spigoli della pala sono inclinati, curvi
o discontinui.
• la campata media bm [m] misurata come distanza fra la corda alla
radice e quella all’apice, e la corda mediana cm [m] misurata a metà
della campata bm; sulla base di questi parametri, quando la legge di
variazione della corda lungo la campata è, come usualmente sulle
navi, di tipo lineare, l’area del timone può essere espressa tramite il
prodotto:
AR = bm cm
[m2]
(2.A)
• lo spessore tM [m] valutato come lo spessore massimo del profilo
idrodinamico in corrispondenza della corda mediana.
Un’altra caratteristica significativa dal punto di vista idrodinamico è
l’angolo di abbattimento medio Λ (sweepback angle), detto anche angolo di
freccia, corrispondente all’angolo medio di inclinazione, misurato rispetto
alla direzione della campata, della curva formata dai punti di ogni corda
posti a 0,25 c dal bordo d’ingresso, ove con c si indica la lunghezza della
generica corda. Un altro angolo misurato rispetto alla direzione della
campata è quello dell’asse di rotazione, che non è necessariamente
ortogonale alla direzione del flusso libero.
Sulla base delle grandezze fin qui definite si introducono alcuni rapporti
adimensionali classici che, oltre a facilitare l’approccio allo studio delle
caratteristiche idrodinamiche della pala per confronto fra diverse soluzioni,
permettono di tenere sotto controllo le dimensioni principali entro campi di
usuale impiego e sperimentata efficienza. I più importanti rapporti tra le
dimensioni principali del timone sono i seguenti:
• l’allungamento geometrico λG della pala (geometric aspect ratio),
pari al rapporto tra bm e cm:
λG =
bm
cm
[-]
(2.B)
che assieme all’area della pala AR costituisce uno dei parametri
fondamentali per il progetto preliminare del timone. La conoscenza
della coppia (AT, λG) permette infatti di fissare i valori di bm e cm ,
infatti:
bm =
AR λG
cm =
AR
[m]
(2.C)
λG
• il rapporto di rastremazione (taper ratio), definito come il rapporto
tra la lunghezza della corda all’apice ct e quella della corda alla
radice cr.
• il rapporto tra lo spessore massimo tM e la corrispondente corda cm
(thickness chord ratio), che usualmente viene mantenuto costante
lungo la campata allo scopo di ottenere superfici a generatrici
rettilinee.
• il grado di compenso, pari al rapporto tra l’area della pala a proravia
dell’asse di rotazione (ARF [m2]) e l’area totale del timone.
Anche in relazione al profilo idrodinamico si definiscono una serie di
parametri adimensionali significativi. Con riferimento ad un profilo di forma
nota, caratterizzante la pala in corrispondenza di una generica corda, si
definisce:
• il rapporto tra lo spessore massimo tM e la corda c (thickness ratio);
• il rapporto tra la freccia della linea mediana di distribuzione degli
spessori e la corda (camber ratio);
• il rapporto fra il raggio di raccordo del profilo sul bordo di attacco e
la corda (nose radius ratio)
Le grandezze ed i rapporti sopra definiti trovano applicazione sia sulle
pale simmetriche, aventi cioè simmetria rispetto al piano di proiezione, sia su
quelle asimmetriche.
Rapporti adimensionali del timone
Valori tipici
allungamento geometrico λG = bm /cm
thickness chord ratio tM /cm
rapporto di rastremazione ct /cr
grado di compenso ARF / AR
1,5 ÷ 2,5
0,06 ÷ 0,25
0,5 ÷ 1,0
0 ÷ 0.25
TABELLA 2.A
Rapporti adimensionali tipici per timoni convenzionali.
In Tab. 2.A si forniscono i valori indicativi dei rapporti adimensionali
tipici di un timone verticale convenzionale, validi sia per piccole
imbarcazioni, sia per navi di grandi dimensioni.
3.3 L’interazione tra flusso e superficie idrodinamica
In generale, un corpo immerso in un fluido e dotato di moto relativo
rispetto ad esso sperimenta sulla sua superficie degli sforzi, sia normali sia
tangenziali, che possono essere ridotti ad un sistema equivalente costituito
da una forza risultante F [N] agente lungo una determinata retta d’azione.
L’orientazione ed il valore di tale forza dipendono sia dalle caratteristiche
del fluido e del corpo, sia dalla velocità relativa tra fluido e corpo, in ogni
caso si definisce portanza (lift), indicata con L [N], la componente della
forza totale nella direzione normale al flusso e resistenza (drag), indicata con
D [N], la sua componente nella direzione e nel verso del flusso.
Una volta definita la forma del corpo idrodinamico e fissate le
caratteristiche del fluido e del flusso, le forze scambiate dipendono
fortemente dalla direzione del flusso rispetto al corpo.
I due tipi di forza non sono sempre presenti contemporaneamente.
Infatti, mentre la resistenza all’avanzamento è sempre presente, e può
considerarsi come una forza di base, ed in genere parassita, la portanza, la
cosiddetta componente nobile, non sempre si manifesta. Per generarla,
almeno in modo efficace, si richiede una classe speciale di corpi disegnati e
utilizzati in maniera opportuna, i cosiddetti corpi idrodinamici (o superfici
idrodinamiche). In realtà, tale forza non può esistere senza la prima, e più
che di forze di natura diversa è più opportuno pensare a un diverso equilibrio
delle componenti della forza idrodinamica complessiva.
Le superfici di controllo della nave sono superfici idrodinamiche, ossia
corpi relativamente sottili e affusolati che hanno uno sviluppo planare ed un
profilo ottimizzati proprio per generare un’elevata portanza tenendo sotto
controllo l’insorgere della resistenza.
La forza idrodinamica totale F è il risultato di complessi fenomeni
d’interazione fra il corpo ed il fluido, che possono essere messi in luce
considerando le due diverse condizioni di flusso ideale (incompressibile non
viscoso) e flusso reale (incompressibile e viscoso). Come noto la viscosità è
alla base della trasmissione degli sforzi tangenziali fra due strati limitrofi di
particelle del fluido in movimento reciproco. Precisamente, si definisce
coefficiente di viscosità dinamica µ [kg/ms] il rapporto fra lo sforzo
tangenziale trasmesso fra i due strati adiacenti e il gradiente di velocità
calcolato fra i due strati. Il suo rapporto con la massa specifica ρ [kg/m3] del
fluido è detto viscosità cinematica ν [m2/s].
Procedendo secondo questo schema, si consideri inizialmente un corpo
immerso in un fluido non viscoso e sottoposto ad un flusso ideale. Dal
momento che non possono nascere forze viscose, non vi è attrito sulla
superficie e gli sforzi che maturano sul corpo hanno componente normale
alla superficie. Per effetto dell’azione combinata della velocità e dell’angolo
di attacco si induce una depressione sulla superficie del corpo non esposta al
flusso (dorso) e un aumento di pressione sulla superficie del corpo esposta al
flusso (ventre). Tale situazione viene schematizzata con una circolazione
della velocità attorno al corpo. Le risultanti delle pressioni forniscono le
forze di portanza e di resistenza:
• l’integrale degli sforzi di pressione nella direzione ortogonale al
flusso rappresenta la forza di portanza L;
• l’integrale degli sforzi di pressione nella direzione parallela al flusso
rappresenta la forza di resistenza D che, nel caso di fluido ideale,
risulta nulla.
Nel caso di un corpo sferico, questa situazione esprime il noto
paradosso di D’Alambert, per il quale un corpo siffatto immerso in un flusso
ideale omogeneo non subisce alcuna forza da parte del fluido.
In realtà, poiché il fluido è sempre viscoso, sulla superficie del corpo si
generano sia sforzi tangenziali, sia sforzi di pressione. I primi sono
all’origine di una resistenza d’attrito. I secondi, oltre ad essere all’origine
della portanza, forniscono ora anche una risultante netta nella direzione del
flusso, detta resistenza di pressione di origine viscosa, che consta di due
contributi diversi:
• la resistenza di forma (o resistenza di scia),
• la resistenza indotta.
La prima è legata all’area della sezione trasversale del corpo, ossia al
tipo di profilo, e causata dalla formazione di vortici nella zona poppiera del
corpo (distacco dello strato limite) con il conseguente mancato recupero
delle pressioni al bordo di uscita della superficie idrodinamica.
La seconda ha origine dal fatto che la pala non ha allungamento infinito
e quindi, per effetto della sua particolare fisionomia, mette in contatto alle
estremità della campata le due zone (dorso e ventre) caratterizzate da
pressioni diverse. Questo contatto comporta una minore differenza di
pressione fra dorso e ventre (con conseguente riduzione della portanza) e
causa inoltre una corrente indotta nella direzione della campata. Il flusso, da
bidimensionale diventa, nella zona vicina al corpo e alle sue spalle,
tridimensionale. Questa corrente indotta si combina con quella del flusso di
base che lambisce la pala e determina la formazione di una scia vorticosa
nella quale si disperde energia: a questa energia è associato l’aumento delle
perdite.
L’effetto indotto dalla dimensione finita della campata non si manifesta
in maniera evidente quando il flusso possiede alcune caratteristiche di
omogeneità e il corpo immerso ha uno sviluppo costante con allungamento
molto elevato. In queste condizioni si può ritenere che il flusso sia
bidimensionale, ovvero che le forze idrodinamiche vengano scambiate tra
fluido e profilo alare in un contesto in cui i vettori della velocità e della forza
hanno caratteristiche invariate nella direzione perpendicolare al flusso e
appartengono tutti a piani paralleli. Si vedrà più avanti che il modello di
campo bidimensionale viene considerato valido, sebbene con opportune
correzioni, anche in presenza di corrente indotta.
3.4 Le forze sulla pala
La risultante degli sforzi tangenziali e normali trasmessi alla pala immersa
nel flusso reale è la forza F che agisce su una retta d’azione essenzialmente
contenuta nel piano del profilo, ha infatti componenti di portanza L e di
resistenza D ma è trascurabile la componente nella direzione della campata.
L’angolo di abbattimento della forza F misurato rispetto alla normale alla
corda viene indicato con ϕ [°]. L’efficacia idrodinamica della pala, detta
anche rendimento, è definita come rapporto il rapporto fra portanza e
resistenza L / D.
La retta d’azione della forza F interseca il piano di riferimento in un
punto detto centro di pressione ed indicato con la sigla CP, in esso si
considera applicato il vettore della forza. Le coordinate del centro di
pressione, misurate lungo le direzioni della corda e della campata, sono
fornite rispetto al bordo di attacco sulla corda mediana (distanza CPC) e
rispetto allo spigolo superiore (distanza CPS).
Di pratico interesse sono anche le due componenti orizzontali della
forza F calcolate nella direzione del piano di riferimento della pala, la forza
assiale FA [N], e nella direzione ad essa ortogonale, la forza normale FN [N],
facilmente calcolabili in funzione di L e D:
FA = D cosα − L sin α
FN = D sin α + L cosα
[N]
(4.A)
che permettono l’immediata valutazione delle forze scaricate sull’asta del
timone.
Il momento torcente Q [Nm] generato sul timone dalla forza
idrodinamica si può calcolare una volta che è nota la distanza tra il centro di
pressione CP e l’asse di rotazione della pala. Indicando con d la distanza,
misurata all’altezza di CP, tra il bordo d’ingresso e l’asse del timone, il
braccio con cui lavora la forza attiva FN vale (d – CPC), cosicché il momento
torcente sull’asta risulta fornito dalla relazione:
Q = FN ( d − CPC )
[Nm]
(4.B)
Il momento torcente generato dal flusso è negativo per definizione se il
centro di pressione si trova a poppavia dell’asse di rotazione. È questo il
caso di timone stabile, così definito perché, a riposo al centro, è in
condizione di equilibrio stabile, infatti, se in pieno flusso viene spostato dalla
posizione neutra e lasciato poi libero, torna nella posizione iniziale. Per
definizione, risulta positivo il momento generato dal macchinario di
agghiaccio.
Il centro di pressione non è in genere fisso al variare dell’angolo di
barra, ma tende a spostarsi verso poppavia con l’aumentare dell’angolo di
attacco. Di conseguenza, si può verificare la situazione di timone
inizialmente instabile se, ai piccoli angoli di barra, il centro di pressione si
trova leggermente a proravia dell’asse di rotazione. Infatti, al crescere
dell’angolo di barra il centro di pressione può venire a trovarsi a poppavia
dell’asse di rotazione.
La situazione di timone instabile favorisce la movimentazione agli
angoli tipici del controllo di rotta, operazione per la quale il timone è
fortemente utilizzato. In questo caso, infatti, al macchinario è richiesto un
momento minore rispetto al caso di timone stabile. Rispetto al caso di timone
stabile, quello instabile offre l’indubbio vantaggio del contenimento delle
forze di controllo e di riduzione dello sforzo di torsione sull’asta, anche se
un malfunzionamento del macchinario può comportare la perdita del
controllo della posizione del timone. D’altra parte, posizionando l’asse di
rotazione più indietro rispetto alla pratica usuale, ossia accettando un’iniziale
instabilità, si ottiene il vantaggio di ridurre le forze di controllo e gli sforzi di
torsione in marcia addietro.
L’instabilità iniziale è accettata sulle navi per navigazione oceanica, così
come sulle navi che eseguono frequenti manovre in marcia addietro. In
alternativa, se l’obiettivo è quello di avere un timone sempre stabile, si fa in
modo che il centro di pressione si trovi sempre a poppavia dell’asse di
rotazione e ad esso più vicino possibile. Tale bilanciamento si definisce
attraverso il valore da assegnare al grado di compenso della pala.
3.5 I coefficienti idrodinamici della pala
Per facilitare il confronto fra le prestazioni di timoni che hanno forme e
dimensioni diverse ma che sono immersi in flusso omogeneo, le forze
idrodinamiche vengono usualmente adimensionalizzate.
Le quantità dimensionali significative che caratterizzano il fenomeno
della generazione della forza idrodinamica F sulla superficie di controllo in
condizione di funzionamento ideale equivalente (pala isolata e immersa in
un flusso stazionario omogeneo), sono:
• caratteristiche della pala – l’area della superficie idrodinamica AR
[m2], la forma della superficie, che può essere individuata da una
serie di N parametri geometrici, qui indicati genericamente come s1,
..., sN [m], e la forma del profilo idrodinamico, espressa
analogamente da una serie di M parametri geometrici, qui indicati
genericamente come sN+1, ..., sN+M [m];
• caratteristiche del fluido – la massa volumica ρ [kg/ m3] e la
viscosità dinamica µ [kg/ms];
• caratteristiche del flusso – la velocità media VR [m/s] e l’angolo di
attacco α [rad].
La valutazione della legge di similitudine relativa alla generazione della
forza F sulla pala può essere effettuata applicando il Teorema di Vaschy alla
funzione omogenea che rappresenta il fenomeno fisico in termini esatti:
ψ[F , AR , (s1 , ..., sN+M ), ρ, µ, VR , α]=0
[-]
(5.A)
In tali indagini è usuale trascurare l’effetto della viscosità dinamica µ
del fluido, sebbene al prezzo di introdurre un effetto di scala. Si ritiene infatti
che tale parametro possa considerarsi secondario, in quanto o facilmente
controllabile o meno influente. La funzione si riscrive perciò nella forma
seguente approssimata:
ψ [F , AR , (s1 , ..., sN+M ), ρ, VR , α]=0
[-]
Inoltre, con l’intenzione di analizzare il comportamento di pale
geometria completamente definita, le M+N grandezze fisiche s1,...,
potranno essere considerate delle costanti ed essere perciò trascurate
definizione dell’equazione che governa il fenomeno di generazione
forze idrodinamiche.
(5.B)
dalla
sN+M
nella
delle
Ragionamento analogo può essere fatto per l’angolo di attacco α, che
potrà essere considerato, volta per volta, come un parametro prefissato
dell’indagine.
In altre parole, eliminando le variabili appena indicate, il fenomeno
fisico può essere studiato in maniera esatta valutando esclusivamente la
correlazione fra le grandezze fisiche rimanenti. Ciò consentirà, ad esempio,
di trattare la similitudine geometrica di una pala dalle caratteristiche
prefissate, oppure di confrontare pale che hanno forme diverse e che
lavorano agli stessi angoli di attacco del flusso.
Nell’ipotesi di trascurare l’effetto della viscosità e di considerare le
grandezze [(s1,..., sN+M), α] come parametri dell’indagine, ovvero parametri
fissati a priori, la legge di similitudine si riscrive nella seguente forma
ridotta:
ψ [F , AR , ρ, VR ]=0
[-]
(5.C)
Dallo sviluppo dell’analisi dimensionale delle grandezze fisiche che
compaiono nell’Eq. 5.C, essendo 3 le grandezze fondamentali coinvolte e 4 le
quantità dimensionali caratterizzanti il fenomeno, si può ottenere una
relazione esplicita fra tali quantità, ed in particolare si può scrivere la
relazione:
F = k AR ρ VR2
[N]
(5.D)
in cui la funzione adimensionale di proporzionalità k dipende dalle
grandezze utilizzate come parametro, ossia dall’angolo di attacco e dalla
forma della superficie e del profilo della pala. In altre parole si può scrivere
che k = k[(s1,..., sN+M), α].
Usualmente, nell’espressione della forza idrodinamica F di Eq. 5.D viene
introdotto il fattore 0,5 in modo che il prodotto (½ ρ VR2) corrisponda alla
pressione dinamica q [Pa] nel punto di ristagno che si crea sul bordo di
attacco del profilo. Di conseguenza, nell’espressione di F, la funzione di
proporzionalità si modifica e viene indicata, per ogni pala di forme note, con
il termine c(α) per mettere in evidenza la dipendenza dall’angolo di attacco.
In conclusione, per una pala di forme note, la similitudine che si instaura, nel
calcolo delle forze idrodinamiche, è espressa dalla relazione:
F = c(α) q AR
[N]
(5.E)
La legge di similitudine appena introdotta consente di ricavare la forza
idrodinamica F di una pala di forma e profilo noti partendo dalla conoscenza
della funzione di proporzionalità c(α) ottenuta per un qualsiasi valore delle
grandezze ρ, VR ed AR. D’altro lato, se per una pala di forma e profilo fissati
la funzione c(α) è stata misurata sperimentalmente, ossia sono noti i valori
del cosiddetto coefficiente idrodinamico c al variare dell’angolo di attacco α,
è nota anche la forza idrodinamica F che su di essa matura. In base a quanto
finora detto, c può essere determinato con prove in scala, perché è
indipendente dalle dimensioni assolute del timone; inoltre le prove possono
essere condotte a qualsiasi velocità ed in qualsiasi fluido. In realtà la
viscosità, anche per valori bassi (l’acqua e l’aria sono fluidi poco viscosi), ha
una sua importanza nel fenomeno di generazione delle forze idrodinamiche.
La legge di similitudine di Eq. 5.E consente altresì di confrontare le
forze prodotte da soluzioni diverse, in quanto a forma della pala e del
profilo, semplicemente confrontando i coefficienti c(α), ovviamente
nell’ipotesi che le pale abbiano la stessa area AR e il flusso la stessa velocità
VR .
É comunque da intendersi che tali operazioni di similitudine devono
essere eseguite a parità di condizioni del flusso, vale a dire con riferimento
ad un flusso omogeneo. Le correzioni per conteggiare gli effetti della carena
e dell’elica devono essere effettuate successivamente. Infatti, i coefficienti
delle forze idrodinamiche effettive (condizioni di funzionamento reali nella
volta di poppa) vengono usualmente dedotti con procedimenti semi-empirici
dai valori ottenuti su pale isolate (condizioni di funzionamento ideali
equivalenti).
Nella legge di similitudine appena delineata, l’area della pala ha la sola
funzione di fornire un’informazione sulla scala geometrica del corpo.
Qualsiasi altro parametro geometrico, purché con la stessa dimensione fisica
(ossia [m2]) potrebbe essere posto a sostituzione dell’area AR. Ciò non appare
però conveniente, perché l’area della superficie di pala è il parametro
geometrico più importante della pala e consente di scrivere una formulazione
di immediata comprensione.
I coefficienti idrodinamici correlati al funzionamento del timone (si
veda la Tab. 5.A) sono quelli relativi alla portanza cL, alla resistenza cD, alla
forza assiale cA e alla forza normale cN. Dalla definizione delle forze
idrodinamiche si ricavano le seguenti relazioni:
cF = cD2 + cL2
cA = cD cosα − cL sin α
[-]
(5.F)
cN = cD sin α + cL cos α
Un altro coefficiente molto usato è quello relativo al momento generato
dalle forze idrodinamiche rispetto all’asta del timone. L’utilità di questo
coefficiente risiede nel permettere veloci considerazioni sul momento di
controllo e sul momento torcente generato sull’asta.
Il coefficiente del momento cQ è ottenuto in maniera formalmente
analoga a quanto fatto per le singole forze idrodinamiche. In questo caso,
l’analisi dimensionale delle grandezze fisiche porge una relazione in cui il
parametro geometrico ha la dimensione di una lunghezza alla terza, nel
sistema internazionale [m3]. La grandezza geometrica usualmente utilizzata
per definire il coefficiente del momento è (AR cm), da cui:
Q = FN (d − CPC ) = cQ (α) q AR cm
[Nm]
(5.G)
Nelle prime fasi di un progetto può non essere definita la posizione
dell’asta. Perciò, con lo scopo di generalizzare l’informazione sul momento,
vengono date definizioni alternative:
• momento Q’ calcolato rispetto ad un asse passante per il bordo di
attacco della corda mediana e ad essa ortogonale;
• momento Q” calcolato rispetto ad un asse passante ad un quarto da
prora della lunghezza della corda mediana e ad essa ortogonale.
In base a queste definizioni si ottengono le seguenti relazioni:
Q ′ = FN CPC = cQ′ (α) q AR cm
Q ′′ = FN ( cm / 4 − CPC ) = cQ′′ (α) q AR cm
[Nm]
(5.H)
Spesso, in luogo del coefficiente idrodinamico cQ caratterizzante il
momento torcente, viene diagrammato il rapporto adimensionale CPC /cm che
permette di valutare il braccio, rispetto all’asse di rotazione, con cui lavora la
forza FN, consentendo quindi di risalire al momento torcente Q. Meno
frequentemente è disponibile il rapporto adimensionale CPS /bm che permette
di valutare la posizione del centro di pressione lungo la campata. La
relazione fra CPC /cm e il coefficiente del momento cQ è la seguente:
cQ = cN
d − CPC
cm
[Nm]
(5.I)
In Tab. 5.A sono riportati i coefficienti idrodinamici relativi al momento.
Forza/momento
idrodinamica
di
origine
Coefficiente
forza totale F
cF = F /( q AR )
portanza L
cL = L /( q AR )
resistenza D
cD = D /( q AR )
forza assiale FA
cA = FA /( q AR )
forza normale FN
cN = FN /( q AR )
momento Q
cQ = FN ( d − CPC ) /( q AR cm )
momento Q’
cQ′ = FN CPC /( q AR cm )
momento Q”
cQ′′ = FN ( cm / 4 − CPC ) /( q AR cm )
TABELLA 5.A
Coefficienti idrodinamici di pala.
I coefficienti relativi alle forze di portanza e di resistenza sono calcolati
e diagrammati in funzione dell’angolo di attacco e mostrano andamenti
tipici:
• la curva relativa al coefficiente di portanza ha inizio dallo zero, è
quasi lineare per bassi angoli e giunge ad un massimo seguito da una
più o meno brusca caduta, l’angolo per il quale si verifica il valore
massimo viene indicato come angolo di stallo;
• la curva relativa alla resistenza parte da un valore diverso da zero
indicato come cD0 ed è monotona crescente.
Anche il rapporto L /D tra la portanza e la resistenza, che definisce il
rendimento della pala, viene spesso diagrammato assieme ai coefficienti
idrodinamici. L’efficienza presenta in genere un andamento parabolico con
concavità verso il basso.
In luogo dei grafici, vengono talvolta forniti valori tabulati. I dati
essenziali sono i valori dei coefficienti idrodinamici cL e cD e del rapporto
CPC /cm calcolati agli angoli di attacco di 10°, 20° e all’angolo di stallo,
corredati dalla pendenza di cL all’origine e dal valore iniziale del coefficiente
di resistenza cD0.
E’ utile ricordare che le grandezze standard relative alle caratteristiche
fisiche dell’acqua dolce, dell’acqua di mare e dell’aria sono fissate da uno
standard ITTC. Per applicazioni pratiche, le caratteristiche fisiche dell’acqua
possono essere considerate costanti, ovvero indipendenti dalla temperatura e
dalla pressione; in Tab. 5.B sono riportate le grandezze fisiche d’uso più
frequente riferite alla temperatura standard di 15 °C.
Fluido
acqua dolce
acqua di mare (salinità
3,5%)
aria secca (patm = 101325
Pa)
TABELLA 5.B
massa volumica
ρ [kg/m3]
viscosità cinematica
ν [m2/s]
1000
1,14 —10-6
1025
1,19 —10-6
1,23
1,46 —10-5
Valori standard delle grandezze caratteristiche dei fluidi.
3.6 – Lo studio dei profili idrodinamici
Per mettere in luce la dipendenza delle forze di portanza e resistenza dai
parametri di forma che caratterizzano la geometria delle superfici
idrodinamiche, è necessario analizzare il campo di pressioni e velocità che
matura attorno al corpo immerso nel flusso. Tale indagine può essere
convenientemente effettuata in due fasi successive indicate come:
• studio del profilo,
• studio della pala.
Lo studio del profilo riguarda l’analisi del campo fluido 2D che si
instaura attorno ad un profilo idrodinamico considerato appartenente ad una
superficie ideale, caratterizzata da sviluppo planare rettangolare con
allungamento infinito. Questa indagine permette di analizzare il
comportamento del profilo indipendentemente dalla forma della pala, e di
ottenere le cosiddette caratteristiche idrodinamiche del profilo.
Lo studio della pala riguarda l’analisi del campo fluido 3D che si
instaura attorno ad una pala caratterizzata da un certo profilo e da una certa
forma. Questa indagine consente di determinare le caratteristiche
idrodinamiche della pala.
L’effetto di portanza di un profilo idrodinamico ha origine dal campo di
pressioni che si viene a generare grazie alla forma del corpo e all’angolo di
attacco del flusso. Il campo di pressione attorno al corpo mostra, rispetto al
campo indisturbato, una sovrappressione dinamica in corrispondenza del
ventre e una depressione dinamica in corrispondenza del dorso. Entrambe le
distribuzioni mostrano un picco nella zona prodiera. Il picco delle due
distribuzioni è spostato verso il bordo di attacco, con la conseguente
localizzazione del centro di pressione nella zona prodiera del profilo. Tale
distribuzione è tipica dei corpi affusolati. Il campo del dorso è più accentuato
di quello del ventre, la depressione dinamica sul dorso è infatti all’origine
della maggior parte della portanza.
Il campo idrodinamico può essere messo in evidenza visualizzando il
campo cinematico attraverso le linee di flusso, ossia curve immaginarie che
non vengono attraversate dal flusso ed esprimono quindi le tangenti delle
velocità puntuali. Attorno al corpo si distinguono due zone: sul dorso si
manifesta un’alta velocità e quindi una raccolta delle linee di flusso; sul
ventre una bassa velocità e conseguentemente un allontanamento delle linee
del flusso. Come noto, la portanza viene correlata alla distribuzione di questo
campo di velocità, identificato dalla somma di una velocità di trasporto e di
una circolazione di velocità.
Sulla superficie del corpo si generano, oltre agli sforzi di pressione,
anche sforzi tangenziali, per effetto dei quali la pellicola di fluido a contatto
con il corpo si muove in maniera solidale allo stesso. Se il moto si realizza
con un valore elevato del Numero di Reynolds Re = Vcm/ν, e questo è il caso
dei timoni navali, si possono identificare nel campo fluido due zone
caratteristiche:
• la zona a contatto con il corpo, detta strato limite,
• la zona esterna.
Nello strato limite si ha il passaggio della velocità dal valore relativo
nullo ai valori dettati dal moto esterno. Lo strato limite è uno strato sottile
confinato sulla superficie del corpo e ha uno spessore che, nella parte
poppiera del corpo, raggiunge tipicamente il 2-3 % della lunghezza della
corda. Sulla superficie esterna dello strato limite si esauriscono gli sforzi
tangenziali. A poppa del corpo, lo strato limite degenera nella scia viscosa.
Al di fuori dello strato limite il campo di velocità non risente
praticamente degli effetti della viscosità e il fluido può essere considerato
perfetto e il flusso irrotazionale. In questa zona infatti il flusso è governato
dalla pressione e non più dagli sforzi tangenziali.
La distribuzione delle pressioni e, in particolare modo, la posizione del
punto di minima pressione hanno un notevole effetto sul flusso nello strato
limite, soprattutto sul dorso del profilo. Si possono infatti individuare due
zone a comportamento ben distinto:
• la zona prodiera, nella quale la velocità locale all’esterno dello strato
limite aumenta e contemporaneamente la pressione diminuisce; in
corrispondenza della sezione massima del profilo la velocità
raggiunge il suo massimo e la pressione il suo valore minimo.
• la parte poppiera, ove il flusso all’esterno dello strato limite è
decelerato e la pressione aumenta fino a portarsi al valore della
pressione in corrente libera in prossimità del bordo di uscita.
La diminuzione della pressione, che si trasmette fino a contatto della
parete all’interno dello strato limite, nella zona prodiera ha la tendenza a
contrastare l’azione ritardatrice degli sforzi d’attrito sulla parete stessa. La
pressione ha una funzione di accelerazione del flusso lungo il profilo. Di
conseguenza, viene contrastato il naturale aumento dello spessore dello
strato limite dal bordo di attacco a quello uscita. In altre parole, lo sforzo
tangenziale si esaurisce a breve distanza dalla superficie e lo strato limite
rimane confinato ad uno spessore limitato. Entro questa regione, il flusso
nello strato limite tende a restare ordinato e strettamente stazionario (flusso
laminare).
Nella zona poppiera, l’aumento della pressione si associa alla resistenza
viscosa nel diminuire l’energia cinetica dello strato limite. Infatti, i filetti
fluidi devono percorrere un campo caratterizzato da due tipi di resistenza:
l’attrito sulla superficie del profilo alare e il gradiente di pressione
sfavorevole nella direzione del flusso. In questa regione al flusso di trasporto
si somma una componente instabile di turbolenza a media nulla nel tempo,
tipicamente con valori fino al 20 % della velocità di trasporto. Entro questa
regione, in corrispondenza della parete, il flusso rimane laminare entro una
regione detta sottostrato limite laminare, mentre nello strato limite assume
un aspetto turbolento.
I gradienti di velocità misurati entro la zona governata dagli sforzi
tangenziali mostrano una velocità che va dal valore nullo (a contatto il corpo,
le particelle rimangono intrappolate nelle rugosità della superficie) al valore
a regime nel campo a potenziale. Nel caso del flusso turbolento l’andamento
è meno teso rispetto al caso di flusso laminare, infatti la turbolenza favorisce
il raggiungimento di velocità di trasporto più alte nelle particelle più vicine
alla parete. Nel caso di strato limite turbolento, il gradiente di velocità sulla
parete è più alto e quindi gli sforzi tangenziali aumentano e concordemente
aumenta anche la resistenza di attrito.
Il passaggio del regime dello strato limite da laminare a turbolento è
governato dal valore di Re. Oltre il valore di circa 0,5·106 è sempre
turbolento, anche se il valore esatto di transizione è regolato da altri fattori,
quali la rugosità superficiale e il grado di turbolenza del flusso incidente. La
turbolenza propria del flusso incidente sul corpo ha rilevanza nel
determinare le modalità di transizione, infatti un flusso turbolento favorisce
il passaggio dallo strato laminare a quello turbolento.
Nel caso di strato limite turbolento, se i picchi sono sempre contenuti
nel sottostrato limite, la superficie si dice idrodinamicamente liscia. Se la
superficie si mantiene idrodinamicamente liscia, il coefficiente di resistenza
d’attrito viscoso (definito come cf = τ/q) tende a diminuire all’aumentare di
Re. Nel contempo, con l’aumentare della velocità incidente sul corpo, il
sottostrato limite si fa sempre più sottile e, se i picchi della rugosità ne
escono, la superficie perde la sua caratteristica e il coefficiente di resistenza
viscosa si stabilizza. Il coefficiente d’attrito si stabilizza su valori più alti se
maggiore è la rugosità, conseguentemente, la resistenza d’attrito sul corpo
aumenta. La rugosità superficiale governa il fenomeno della trasmissione
degli sforzi tangenziali.
Il diagramma di Moody, che riporta il coefficiente di resistenza d’attrito
cf in funzione di Re, riassume questo comportamento. Poiché per i timoni
navali il valore minimo di Re si mantiene generalmente attorno a 106, se la
superficie della pala è priva di corrosione e di fouling, può essere considerata
liscia ai fini dell’analisi idrodinamica. Per una prima valutazione della
resistenza d’attrito si possono usare le formule approssimate riportate in Tab.
6.A.
Il valore del numero di Reynolds del timone di una nave mercantile
ricade tipicamente nel campo 1,0÷5,0·107 (con valori massimi prossimi a
1,0·108). I valori più bassi corrispondono alle piccole imbarcazioni, dove si
registrano Re prossimi dell’ordine di 106.
Re [-]
Strato limite
laminare (formula di Blasius)
1,328 Re−1/ 2
turbolento (superficie liscia)
0,072 Re−1/ 5
turbolento (superficie liscia, formula
ITTC)
TABELLA 6.A
0,075/(log Re − 2)2
Spessore dello strato limite.
A causa del rallentamento del flusso lungo la parete, nel tubo di flusso
costituito dallo strato limite la velocità media diminuisce sempre più. Di
conseguenza, aumenta lo spessore dello strato limite e, di pari passo, il
gradiente di velocità si riduce. Ad un certo punto, a contatto con la parete il
gradiente arriva ad annullarsi. Ciò significa che in corrispondenza di quel
punto il flusso si arresta. A valle del punto di arresto dello strato limite lo
spessore della zona di stagnazione aumenta e si registra anche un forte
ispessimento dello strato limite. La superficie esterna della regione di
stagnazione sostituisce ora la parete del corpo e la linea di flusso di confine
viene detta linea di separazione, intendendo con ciò che il flusso si è
staccato dal profilo. Analogamente, il punto di arresto dello strato limite è
detto punto di distacco.
La zona di stagnazione ha un carattere spiccatamente instabile e
degenera in formazioni vorticose. Lo strato vorticoso che abbandona il corpo
prende il nome di scia vorticosa. Il fatto che il flusso lasci il corpo indica che
i filetti fluidi non sono chiamati a seguire il profilo, ossia che la zona
vorticosa di stagnazione fa da cuscinetto fra la linea di separazione e la
parete. Il fenomeno descritto prende il nome di separazione della corrente
ed è all’origine del mancato recupero delle pressioni a poppavia del profilo e
quindi sia della resistenza di forma, sia dell’abbattimento della portanza sul
dorso. In sostanza, a valle del punto in cui il flusso si distacca dalla
superficie, sul corpo non si trasmette più la depressione idrodinamica di
dorso che dava origine alla portanza. Sulle superfici idrodinamiche è quindi
essenziale che il flusso scorra con regolarità in prossimità della superficie in
modo da mantenere la differenza di pressione dinamica e da realizzare
quindi un campo di pressione favorevole al mantenimento della portanza.
Il profilo con strato limite laminare è più prono a distacco perché il
flusso a contatto con il corpo ha meno energia (il maggior gradiente di
pressione sulla parete è indice di una minore propensione all’arresto del
flusso). Il corpo su cui lo strato limite si mantiene laminare più a lungo ha
una minore resistenza d’attrito viscoso ma una maggiore resistenza di forma.
Con l’aumento dell’angolo di incidenza del flusso, il punto di
separazione della scia si sposta verso il bordo di attacco. Il punto di distacco
si muove in avanti perché il gradiente sfavorevole di pressione si fa sempre
più forte con l’aumentare dell’angolo di attacco. L’effetto dell’aumento
dell’angolo di attacco è quindi quello di contrastare l’insorgere della
portanza. Il gradiente di crescita della portanza del profilo in funzione
dell’angolo di attacco tende a calare (la portanza manifesta un andamento
sotto-lineare): a uguali incrementi dell’angolo di attacco corrispondono
incrementi sempre più ridotti della portanza.
In concomitanza si ha un campo di pressione sempre più sbilanciato in
avanti con un picco che si riduce d’intensità e che pesa sempre meno nella
generazione della portanza lungo la corda. Di conseguenza, il ruolo del
ventre nel generare la portanza diventa sempre più dominante e, poiché il
campo del ventre ha una distribuzione più omogenea, il centro di pressione
tende a spostarsi a valle.
Se il punto di distacco si mantiene a poppa, anche ad elevati angoli di
incidenza, allora la riduzione del gradiente di portanza è contenuta. Se
invece il punto di separazione del flusso si estende in avanti verso il bordo
attacco, può verificarsi una forte riduzione del gradiente di portanza, tale
addirittura da far diminuire la portanza all’aumentare dell’angolo di
incidenza, anche in maniera drastica: si è raggiunto lo stato di stallo,
caratterizzato dalla separazione a corda completa, ossia sull’intera zona del
dorso del profilo. Tipicamente allo stallo la portanza si riduce del 50 % e
rimane la componente di portanza generata sulla sola faccia esposta al
flusso.
Anche la resistenza è chiaramente influenzata dalla posizione del punto
di distacco. Se lo strato limite si mantiene attaccato al profilo la resistenza è
soprattutto dovuta all’attrito, in caso contrario si somma anche la
componente dovuta al mancato recupero delle pressioni.
3.7 L’analisi dei profili idrodinamici
Si è visto che il comportamento di un profilo idrodinamico è governato da
leggi comuni. Nel contempo, ciascun profilo, in virtù della sua particolare
configurazione geometrica è in grado di modificare alcuni parametri del
meccanismo di interazione con il flusso. Ai fini dello studio delle forze
scambiate, tre sono i parametri macroscopici della geometria che hanno un
effetto sulla modifica del campo idrodinamico:
• l’allungamento del profilo, ossia il rapporto fra lo spessore massimo
e la corda
• la posizione della sezione di spessore massimo (sezione massima),
• la forma dei fianchi.
In relazione all’influenza dell’allungamento sul funzionamento del
profilo, si possono evidenziare due modalità: il comportamento di profilo
sottile tipico dei profili ad alto allungamento e quello di profilo spesso, tipico
dei profili a basso allungamento.
Nei profili a comportamento sottile, o perché il gradiente favorevole di
pressione permane per un lungo tratto della corda, favorito dalla forma
affusolata e slanciata, o perché il picco di depressione sul dorso è meno
accentuato, e quindi anche il gradiente sfavorevole meno forte, il punto di
distacco rimane verso il bordo di uscita determinando lungo la corda
un’estesa zona utile per la generazione della portanza. La curva di portanza è
caratterizzata da un andamento prossimo alla linearità e la resistenza si
mantiene su valori bassi, grazie al contenimento della componente di forma.
Il comportamento descritto si manifesta fino ad un angolo di attacco
limite, oltre il quale, sul dorso subito a valle del bordo di attacco, a causa
dell’eccessiva curvatura del bordo di attacco, tipica dei profili con basso
allungamento, si ha il distacco del flusso e la generazione di una zona di
stagnazione simile a quella di poppa. Il profilo affusolato innesca la
formazione della cosiddetta “bolla” prodiera.
La crescita di questa regione di stagnazione viene contrastata dal campo
esterno, che tende a far riattaccare la corrente alla parete. Se ciò avviene, si
forma la bolla e solo una ristretta zona prodiera del corpo si scarica. Se il
distacco si protrae fino alla zona di separazione di poppa, a sua volta favorito
dal distacco prodiero, il dorso del profilo si scarica completamente. Questo
meccanismo si manifesta così bruscamente da determinare una repentina
condizione di stallo.
La forma del bordo di attacco è caratterizzata dal rapporto fra il raggio
di curvatura del bordo di ingresso e la lunghezza della corda. Questo
parametro, fortemente legato all’allungamento del profilo, gioca un ruolo
fondamentale nel favorire la formazione della bolla.
Ai piccoli angoli di incidenza, le curve di portanza dei profili a
comportamento sottile e di quelli a comportamento spesso sono praticamente
coincidenti. Quando l’effetto della bolla si manifesta, il profilo sottile
manifesta lo stallo in maniera immediata, mentre su quello spesso l’ampio
raggio di curvatura preserva dalla formazione della bolla. Ciò si verifica a
scapito di andamenti di portanza che mostrano una progressiva riduzione del
gradiente di crescita, riduzione che si manifesta pienamente agli alti angoli
di attacco, a causa di un lento ma progressivo spostamento in avanti del
distacco all’aumentare dell’angolo di attacco.
Sui profili spessi il distacco è tenuto sotto controllo dall’effetto della
curvatura, la quale favorisce il passaggio da laminare a turbolento dello
strato limite, passaggio che comporta minor tendenza alla separazione grazie
al più elevato gradiente che si instaura a contatto con il sottostrato limite
laminare. I profili spessi hanno infatti uno strato limite prevalentemente
turbolento, a differenza di quelli sottili.
I profili spessi sono in grado di generare campi di pressione più spinti,
grazie alle maggiori riduzioni di pressione che si ottengono sul dorso e
grazie al fatto che lo stallo si realizza ad un maggior angolo di incidenza. La
portanza raggiunge quindi valori maggiori.
D’altra parte, la resistenza di forma è più elevata sui profili spessi, sia
perché la componente di attrito è maggiore per effetto del flusso turbolento
nello strato limite, sia perché è alta la resistenza di forma. In generale, il
rendimento del profilo spesso è minore di quello del profilo sottile.
La posizione del centro di pressione in generale è meno stabile sui
profili sottili, in quanto alla formazione della bolla si ha un veloce
spostamento indietro del baricentro delle pressioni.
Il confronto delle caratteristiche di risposta fra profili aventi la stessa
legge di distribuzione degli spessori (famiglia di profili NACA–00) e diverso
allungamento è mostrato in Tab. 7.A. È evidente il trend sopra descritto,
ovvero una portanza massima più alta nei profili spessi, accompagnata da
una maggiore resistenza. I valori indicano anche che, quando l’allungamento
aumenta oltre un certo limite, la forma troppo piena diventa inadatta alla
generazione della portanza.
Tipo di profilo
NACA-0006
NACA-0009
NACA-0012
NACA-0015
NACA-0018
NACA-0021
NACA-0025
(dcL/dα) α = 0
(cL) α = α
(cD) α = 0
0,102
0,101
0,101
0,100
0,098
0,094
0,089
0,88
1,27
1,53
1,53
1,40
1,38
1,20
0,006
0,007
0,008
0,009
0,011
0,012
0,014
S
TABELLA 7.A Confronto fra profili a diverso allungamento appartenenti
alla famiglia NACA 4-digit (λ = ∞, Re = 3,2·106, valori misurati).
In genere, i profili standard hanno lo spessore massimo ad una distanza
dal bordo di attacco variabile tra il 20 % e il 40 % della lunghezza della
corda. La posizione della sezione massima gioca un ruolo molto importante
nel meccanismo di generazione della portanza. Profili con lo stesso
allungamento hanno caratteristiche idrodinamiche genericamente migliori se
la sezione massima si allontana dal bordo di attacco, infatti si prolunga il
gradiente favorevole di depressione dinamica. Se però la sezione di massima
area si allontana troppo dal bordo di ingresso, il bordo di attacco rischia di
diventare troppo affusolato e, conseguentemente, il profilo tende a
comportarsi come un profilo sottile.
Un alto allungamento e una sezione massima spostata a poppavia
favoriscono, ai bassi angoli di attacco, la permanenza di una lunga zona a
gradiente di pressione negativo. Ciò promuove l’instaurarsi di uno strato
limite laminare, con il vantaggio di una resistenza frizionale contenuta. Tale
comportamento è caratteristico dei cosiddetti profili laminari, che mostrano
un’alta efficienza ai bassi angoli e una repentina caduta di rendimento
quando si innesca il meccanismo della bolla.
I profili con spessore massimo spostato verso poppa sono da preferirsi
se si presenta il rischio di cavitazione, infatti comportano distribuzioni di
pressione più omogenee caratterizzate da un esteso plateau in luogo di un
accentuato picco prodiero. In caso di rischio di cavitazione sono quindi
preferibili i profili ad alto allungamento, meno caricati, e con sezione
massima spostata indietro.
In Tab. 7.B sono posti a confronto due profili aventi allungamento
uguale e posizione diversa della sezione massima. Il profilo con spessore
massimo al 40 % della corda, rispetto a quello con spessore massimo al 30%
della corda, genera, a parità di condizioni di lavoro: una maggiore portanza
ai bassi angoli accompagnata da uno stallo ad un angolo minore, una minore
resistenza e un centro di pressione leggermente più a poppavia.
NACA-0015
tM @ 0,3c
Caratteristiche
portanza
(cL) α = 5°
(cL) α = 10°
(cL) α = α
0,534
1,062
0,564
1,138
1,841
1,736
αs
(cD) α = 0°
(cD) α = 5°
(cD) α = 10°
(cD) α = α
21,0°
0,779
0,846
1,204
19,0°
0,765
0,794
1,176
4,201
3,511
(cQ’) α = 5°
(cQ’) α = 10°
(cQ’) α = α
0,136
0,264
0,148
0,292
0,401
0,412
S
angolo di stallo
resistenza × 102
S
momento
NACA-643-015
tM @ 0,4c
S
Confronto fra profili NACA con sezione massima a 0,3c e
0,4c dal bordo di attacco (λ = ∞, Re = 5,0·107, valori calcolati).
TABELLA 7.B
Un’altra caratteristica che ha molta influenza sulle prestazioni
idrodinamiche è la forma stessa del profilo, ossia la legge di distribuzione
degli spessori. La forma dell’area trasversale del profilo rimane
essenzialmente quella di una goccia più o meno allungata per la quale, come
precedentemente indicato, risulta molto importante il raggio di curvatura del
bordo di attacco. I profili convenzionali hanno fianchi piani o superficie
convessa, ma esistono anche profili con fianchi concavo-convessi, ossia con
mantelli a doppia curvatura.
I profili concavo-convessi sono così realizzati per favorire l’instaurarsi
di una forte accelerazione del flusso nella zona prodiera, in modo da
esasperare il picco di pressione in corrispondenza del bordo di ingresso del
flusso. Tale fenomeno è accentuato con uno spostamento in avanti della
sezione di massima area.
Tali profili hanno, al bordo di uscita, mantelli paralleli che possono
essere chiusi con un taglio netto di coda sia per ragioni di robustezza sia per
motivi costruttivi. L’effetto idrodinamico di un bordo di uscita spesso è
quello di creare un allungamento virtuale che influenza positivamente il
campo di pressioni sul dorso. Infatti, lo strato limite viene aspirato dalla scia
che si forma in coda, ritardando così la separazione che è favorita dal cambio
di curvatura. Questo fenomeno viene accentuato con un bordo di uscita
concavo, il cosiddetto fish tail.
Rispetto ad un classico profilo a goccia, nei profili concavo-convessi,
dal forte picco di depressione sul dorso e dall’attaccamento del flusso deriva
una portanza maggiore, anche se a scapito di uno stallo ad angoli minori. Per
contro, l’alta resistenza di forma è causa di un basso rendimento. Di
conseguenza, questo tipo di profilo è preferibile quando sono richiesti
coefficienti di portanza elevati anche se a scapito di una minore efficienza.
In Tab. 7.C è illustrato il confronto fra un profilo convenzionale e due
profili concavo-convessi appartenenti a due differenti famiglie, a parità di
allungamento e di condizioni di lavoro.
NACA-0015 HSVA-MP71-15 IfS-61-TR15
tM @ 0,3c tM @ 0,45c
tM @ 0,2c
Caratteristiche
portanza
(cL) α = 5°
(cL) α = 10°
(cL) α = α
0,534
1,062
1,841
0,574
1,160
0,603
1,189
1,915
1,983
αs
(cD) α = 0°
21,0°
0,779
20,5°
17,0°
0,830
1,213
(cD) α = 5°
(cD) α = 10°
(cD) α = α
0,846
1,204
4,201
0,862
1,352
1,316
1,787
4,150
3,402
(cQ’) α = 5°
(cQ’) α = 10°
(cQ’) α = α
0,136
0,264
0,401
0,156
0,307
0,150
0,294
0,475
0,477
S
angolo di stallo
resistenza ×
102
S
momento
S
Confronto fra profili di famiglie diverse aventi uguale
allungamento (λ = ∞, Re = 5,0·107, valori calcolati).
TABELLA 7.C
Di tutte le tipologie illustrate di profili il progettista dispone in generale,
oltre dei coefficienti idrodinamici, anche delle distribuzioni lungo la corda
delle depressioni idrodinamiche causate dal solo effetto dello spessore. Tale
informazione è fornita dai coefficienti di pressione cp riferiti ad angolo di
attacco nullo. Il coefficiente di pressione cp [-] è un parametro puntuale
definito come il rapporto fra la pressione idrodinamica ∆p misurata ad una
certa ascissa lungo la corda, e definita come differenza fra la pressione del
flusso indisturbato e la pressione puntuale, con la variazione di pressione q
nel punto di ristagno:
cp =
∆p
q
[-]
(7.A)
Il coefficiente di pressione cp assume valori positivi o negativi se nel punto
del campo dove è calcolato la pressione è rispettivamente inferiore o
superiore rispetto a quella del campo indisturbato. Quando il coefficiente di
pressione comprende anche l’effetto dell’angolo di attacco è usuale
esprimerlo nei termini delle velocità. Una volta riscritto in funzione delle
velocità del campo a potenziale che lambisce il profilo, diventa:
cp = (V / V∞ ) 2 − 1
[-]
(7.B)
in cui V∞ è la velocità del flusso indisturbato e V è la velocità indotta lungo la
corda sia dalla distribuzione degli spessori (nella sua componente indicata
usualmente con Vt), sia dall’angolo di attacco (nella sua componente indicata
usualmente con δVa):
V = Vt
+ δVa
[-]
(7.C)
L’analisi delle curve dei coefficienti di pressione è utile per valutare la
predisposizione del profilo sia a generare portanza, sia a cavitare sul dorso.
3.8 – I profili per timoni navali
I profili di più largo uso in campo navale sono quelli simmetrici convessi,
che presentano l’indiscutibile vantaggio di avere una geometria meno
elaborata e di essere quindi di più facile ed economica costruzione. Va
considerato inoltre che uno spessore più elevato lungo la coda conferisce
quella maggiore robustezza alla pala necessaria sui timoni di grandi
dimensioni. Tra i profili simmetrici convessi, quelli più diffusi appartengono
alle famiglie NACA-00 e NACA-643.
Per quanto riguarda i profili concavo–convessi, esistono essenzialmente
due tipologie denominate IfS e HSVA:
• i profili delle famiglie IfS-58, IfS-61 e IfS-62 sono profili molto spinti
e, fra quelli commerciali, presentano le più alte curve di portanza e la
minore efficienza;
• i profili HSVA delle famiglie MP-71 e MP-73 sono profili che hanno
caratteristiche idrodinamiche intermedie fra quelle dei profili NACA e
quelle dei profili IfS, essi costituiscono perciò un buon compromesso
fra le esigenze del governo e quelle della propulsione.
Nella pratica, si usano profili diversi dai NACA-00 quando è necessaria una
maggiore portanza specifica cL. Quando invece c’è rischio di cavitazione si
utilizzano in genere profili con lo spessore massimo spostato verso poppa
delle famiglie NACA-643 oppure, se si desiderano portanze specifiche
maggiori, del tipo HSVA. Rimane comunque valido, come principio di base
che, se la portanza specifica della pala non è oggetto di particolare
attenzione, la scelta deve cadere sui profili che hanno il rendimento
idrodinamico migliore. Se invece l’attenzione è posta alla riduzione dei costi
di costruzione della pala e se la pala ha dimensioni contenute, la scelta può
ricadere sulla configurazione senza carenatura, ossia sulla lastra piana.
Nell’uso di profili con sezione massima spostata verso poppa va prestata
attenzione alla posizionamento dell’asse di rotazione. L’asta di comando del
timone è infatti posta in corrispondenza della sezione massima allo scopo di
utilizzare profili più allungati e quindi a più alto rendimento. In secondo
luogo, è noto che per tenere sotto controllo il diametro dell’asta e per ridurre
i costi di esercizio è conveniente minimizzare il valore del momento torcente
e di controllo Q. Perciò, la posizione migliore dell’asta è quella sulla sezione
massima del profilo se il centro di pressione si mantiene prossimo a detta
sezione. Ora, poiché sui corpi idrodinamici il centro di pressione rimane
vicino al bordo di attacco, se la sezione massima è molto più a poppavia si
può manifestare, oltre all’instabilità, lo svantaggio di un momento Q elevato.
Dei famiglie di profili citati sono disponibili le leggi di distribuzione
dello spessore, assieme ai valori dei coefficienti idrodinamici e, talvolta, dei
coefficienti di pressione lungo la corda. Storicamente i profili NACA sono
stati tra i primi ad essere stati studiati, esiste perciò una consolidata
esperienza ed una vasta documentazione a riguardo. Anche per questo
motivo si sono imposti nella pratica navale. Di conseguenza, se lo scopo del
progetto non è quello di cercare soluzioni innovative per affrontare
problematiche particolari, essi rappresentano un ottimo compromesso tra
funzionalità e affidabilità.
Tra le diverse famiglie dei profili NACA, quella indicata con la sigla
“00” costituisce usualmente la base per il progetto delle superfici di
controllo. I profili di questa famiglia sono caratterizzati da un bordo di
attacco arrotondato, una superficie convessa, una sezione massima al 30 %
della corda dal bordo di attacco e un bordo di uscita affilato o comunque
molto sottile. Tali profili vengono identificati da un codice di quattro cifre e
per questo sono detti “4 digit”:
• la prima cifra indica il rapporto, moltiplicato per 100, tra la freccia
massima f della linea media di distribuzione degli spessori e il valore
della corda cm;
• la seconda cifra indica il rapporto, moltiplicato per 10, tra l’ascissa
della freccia massima e il valore della corda cm;
• la terza e quarta cifra indicano il rapporto, moltiplicato per 100, tra il
valore dello spessore massimo tM e quello della corda cm.
Nel caso di profili simmetrici della famiglia 4 digit, le prime due cifre del
codice sono nulle. A titolo d’esempio, la sigla NACA-0020 significa che la
legge di distribuzione degli spessori è quella della famiglia di profili
idrodinamici 4 digit, che la distribuzione avviene su una linea mediana
rettilinea (ossia a freccia nulla) e che il rapporto di forma vale 0,20.
Le curve caratteristiche dei profili della famiglia 4 digit sono fornite per
allungamenti compresi fra 0,06 e 0,24 e le caratteristiche idrodinamiche sono
spesso riferite alla serie di valori: (0,06 0,09 0,12 0,15 0,18 0,21 0,24).
Tra questi i rapporti più bassi configurano profili molto affusolati con
comportamento di profilo sottile, i rapporti medi rappresentano il migliore
compromesso tra portanza e rendimento, mentre i più elevati hanno
rendimenti bassi e vanno presi in considerazione solo se lo impongono le
esigenze strutturali legate alla scelta del diametro dell’asta.
Si verifica spesso che l’asta di comando del timone debba essere
progettata con un diametro piuttosto elevato, a causa delle alte sollecitazioni
cui è soggetta, soprattutto di flessione. Ciò comporta di per sé l’esigenza di
prevedere una corda media piuttosto lunga per non far salire eccessivamente
il valore del rapporto di forma del profilo. Ma tale via non è in genere
praticabile a causa delle ristrette dimensioni della volta di poppa, e di
conseguenza si deve accettare un fattore di forma del profilo piuttosto
elevato, spesso anche superiore al valore limite di 0,24. In tali circostanze, è
usuale considerare come limite il rapporto di forma di 0,25 e per valori
superiori si ricorre ai seguenti accorgimenti:
• la realizzazione dell’asta con un acciaio più resistente, avente una
maggiore tensione di snervamento;
• l’esecuzione del collegamento dell’asta con la pala attraverso un
accoppiatoio più largo del profilo, accettando un ringrosso non
avviato con il mantello;
• una modifica sostanziale del progetto del timone che preveda, per
esempio, l’aggiunta di un supporto esterno allo scafo.
La legge di distribuzione degli spessori della famiglia 4 digit è di tipo
polinomiale. È usualmente scritta con riferimento ad un profilo avente corda
di lunghezza unitaria e semi-spessore massimo pari ad 1/10 della corda
(ossia per un profilo NACA-0020). Se con y0 si indica il semi-spessore
all’ascissa x0, l’espressione analitica polinomiale del profilo NACA-0020
avente corda unitaria è la seguente:
y0 ( x0 ) = 0,29690 x01/ 2 − 0,12600 x0 − 0,35160 x02
+ 0,28430 x03 − 0,10150 x04
[m]
(8.A)
Per ottenere poi la distribuzione degli spessori relativa ad una prefissata
coppia di valori della corda c e dello spessore massimo tM è sufficiente
calcolare per similitudine le coppie (x, y) tramite le espressioni:
x = x0c
y = y0tM / 0,20
[m]
(8.B)
Anche i profili NACA-643 possono trovare applicazioni in campo navale,
si tratta di profili della Serie 6 (la prima cifra della sigla), aventi estensione
del gradiente di pressione favorevole fino al 40% della corda (la seconda
cifra della sigla esprime tale lunghezza in decimi della corda) ed alta
efficienza entro cL = 0,3 (il pedice della sigla esprime tale valore moltiplicato
per 10). Come i profili della serie 4 digit, al codice identificativo della
famiglia seguono alcuni dati sulla freccia e sul rapporto di forma: per quelli
simmetrici, dopo uno “0” che indica il valore di cL per angolo di attacco
nullo, viene riportato il rapporto, moltiplicato per 100, tra il valore dello
spessore massimo tM e quello della corda c (per esempio: NACA-643-018).
Le caratteristiche dei profili NACA sono state determinate tramite prove
in galleria del vento effettuate su pale aventi allungamenti molto elevati. I
dati sono raccolti in funzione dell’allungamento, per diversi valori del
numero di Reynolds Re e per diversi valori della rugosità di superficie. I
grafici disponibili forniscono i coefficienti idrodinamici di portanza e
resistenza e la posizione del centro di pressione al variare dell’angolo di
attacco.
Relativamente alla famiglia di profili 4-digit le caratteristiche
idrodinamiche sono disponibili anche per Re tipici dei timoni navali. Quando
invece i dati sono riferiti ad Re diversi, nel progetto del profilo si introduce
inevitabilmente un errore per effetto scala. Spesso le prime prove in
laboratorio erano effettuate ad Re più bassi di quelli utili in campo navale e
ciò era dovuto alla maggiore attenzione che veniva data al settore
aeronautico.
Con riferimento ad un prefissato profilo, all’aumentare di Re lo strato
limite tende a passare da laminare a turbolento, con ciò favorendo
l’attaccamento dello strato limite. Conseguentemente si ha.
• l’aumento dell’angolo di stallo e conseguentemente l’aumento della
portanza massima generata dal profilo;
• il controllo della resistenza di forma che assieme alla riduzione del
coefficiente di frizione cf, e quindi al contenimento della resistenza
frizionale, va a favore dell’efficienza del profilo;
• il mantenimento del centro di pressione verso il bordo d’attacco.
La variazione delle caratteristiche idrodinamiche appare forte passando
da Re dell’ordine di 105 a Re dell’ordine di 106. In generale, comunque, gli
esperimenti in galleria del vento effettuati in campo aerodinamico forniscono
risultati conservativi per le applicazioni navali (si confrontino i valori di Tab.
8.A). Nel progetto del profilo, gli effetti di Re appaiono trascurabili con
riferimento ai piccoli e medi angoli di lavoro.
Re [-]
Caratteristiche
portanza
6
0,20—10
0,35
0,55
0,72
0,29
0,62
0,27
0,60
1,06
1,26
αs
(cD) α = 10°
35,0°
0,125
33,8°
38,5°
0,040
0,037
(cD) α = 20°
(cD) α = α
0,310
0,605
0,141
0,141
0,461
0,573
(cQ’) α = 10°
(cQ’) α = α
0,28
0,43
0,18
0,16
0,35
0,31
S
momento
2,70—106
(cL) α = 10°
(cL) α = 20°
(cL) α = α
S
angolo di stallo
resistenza ×
102
0,79—106
S
Confronto delle caratteristiche di un profilo NACA-0015
ottenute per diversi valori di Re (λ = 1, valori misurati).
TABELLA 8.A
Relativamente alla scelta del profilo della pala, si può concludere con le
seguenti considerazioni:
• il rapporto di forma, compatibilmente con il diametro dell’asta, deve
essere il più alto possibile (basso tM/c), in modo da avere un’alta
efficienza. Considerando che, in virtù delle forze in gioco sui timoni
delle navi, le aste tendono ad avere grandi diametri, e considerando
che le luci generalmente a disposizione nella volta di poppa sono
limitate, non si corre il rischio di progettare pale con profili a
comportamento sottile.
• la sezione massima del profilo è conveniente che sia prossima al
bordo di attacco, in modo che, posizionando l’asta in corrispondenza
ad essa per contenere il rapporto di forma, risulti contenuto il valore
del momento Q sull’asta.
I timoni delle navi destinate a lunghe rotte e a limitate manovre in acque
ristrette devono essere progettati in modo da possedere un alto valore del
gradiente di portanza dcL/dα agli angoli di barra tipici del controllo della
rotta. D’altra parte, i timoni di navi soggette a frequenti manovre e destinate
a servizi su rotte brevi devono fornire forze elevate e quindi avere alti valori
del coefficiente di portanza cL. Il profilo della pala dovrà essere scelto in
armonia con questa esigenze.
3.9 Lo studio della superficie idrodinamica
I risultati dello studio del profilo idrodinamico possono essere utilizzati per
valutare il comportamento di una superficie idrodinamica ideale, ossia una
superficie ad allungamento infinito generata dalla traslazione, lungo una
direzione ortogonale alla corda, di un profilo a sezione costante.
La superficie idrodinamica reale si caratterizza attraverso la forma dello
sviluppo planare, ossia della sua area proiettata sul piano di riferimento. La
generazione di una superficie reale a partire da quella ideale si può realizzare
applicando le seguenti trasformazioni:
• la limitazione della campata,
• la rastremazione della corda lungo la campata,
• l’abbattimento del bordo di ingresso.
In sostanza, la pala reale è caratterizzata dalla forma del profilo e da una
combinazione dei valori dell’allungamento λ, del rapporto di rastremazione
ct /cr e dell’angolo di abbattimento Λ. La pala ideale è definita, oltre che dalla
geometria del profilo, dalla combinazione (∞, 1, 0) dei parametri sopra
definiti.
In relazione alla rastremazione, può essere introdotta un’ulteriore
modifica attraverso la curvatura dei bordi di ingresso e di uscita del flusso.
Per quanto concerne il profilo, la rastremazione conduce a corde di
lunghezza diversa. Su tali corde è usuale appoggiare profili ad allungamento
costante, sia per motivi sia idrodinamici legati al controllo del flusso
trasversale, sia per motivi costruttivi legati al contenimento dei costi di
realizzazione delle superfici a generazione rettilinea (superfici a semplice
curvatura).
In virtù dello sviluppo planare, sulla pala soggetta ad un flusso
omogeneo si viene a formare un campo idrodinamico tridimensionale. La
distribuzione delle velocità e delle pressioni del campo 3D dipende
fortemente dalla morfologia della pala. Lo studio del comportamento della
pala può quindi essere efficacemente condotto valutando separatamente gli
effetti, sul campo idrodinamico, di ciascuno dei tre parametri geometrici
macroscopici principali λ, ct/cr e Λ.
La relazione esistente fra l’allungamento geometrico della pala e le sue
caratteristiche di funzionamento può essere messa in luce analizzando le
modifiche che intervengono nel campo idrodinamico quando viene variato il
valore di λ di una pala dalla forma predefinita. Poiché la modifica
dell’allungamento di una pala dalla forma qualsiasi comporta anche la
modifica del rapporto di rastremazione e dell’abbattimento, per saggiare
separatamente i tre contributi, si può pensare di riferirsi ad una pala avente
sviluppo planare rettangolare.
Come noto, l’allungamento finito è causa, alle estremità della pala, del
contatto fra il campo in depressione idrodinamica del dorso e quello in
sovrappressione del ventre. Ciò porta alla nascita, lungo la campata, di un
flusso trasversale, orientato verso le estremità sul ventre e verso il centro
della campata sul dorso. Quando i due flussi si incontrano lungo il bordo di
uscita, vengono rilasciati vortici con versi di rotazione contrapposti sulle due
metà della pala. Questi vortici, in condizioni di stazionarietà, si aggregano a
quelli rilasciati dalle estremità formando due scie vorticose il cui nocciolo è
localizzato lungo i bordi di estremità della pala.
Il campo di velocità complessivo può essere studiato come la
combinazione della corrente di trasporto con il flusso trasversale che si
instaura lungo la campata, legato alla presenza dei due vortici di estremità, e
definito campo di velocità indotto. Mentre la velocità di trasporto ha
direzione parallela alla corda, la velocità trasversale appartiene al piano
ortogonale al flusso incidente.
Con riferimento ad una corda prestabilita, e quindi con riferimento ad un
singolo profilo, il campo di velocità complessivo può essere visualizzato sul
ventre del profilo attraverso il vettore formato dalla somma della corrente di
trasporto, incidente con angolo α, e della corrente indotta VI [m/s], normale
alla corrente di trasporto. La velocità complessiva così calcolata mostra che
il profilo è soggetto ad un flusso incidente con angolo di attacco minore
rispetto ad α. Inoltre, poiché la velocità indotta è funzione della distanza dal
nocciolo del vortice, l’angolo di attacco sul singolo profilo risulta variabile
dal centro verso l’estremità della campata.
La corrente indotta visualizzata sul ventre del profilo viene indicata con
il nome di corrente discendente in quanto tende ad allineare il flusso di
trasporto alla corda del profilo. La velocità discendente ha un andamento
variabile lungo la campata, con legge che dipende dalle caratteristiche
morfologiche della pala. Con riferimento alla pala rettangolare, la velocità
discendente assume valori massimi alle estremità, mentre al centro il valore
è quello minimo.
La corrente trasversale, che non è localizzata sulle estremità ma
influenza il campo di velocità sull’intera superficie della pala, diventa più
sostenuta all’aumentare dell’angolo di attacco, alimentando la crescita dei
vortici. Di pari passo cresce la velocità discendente, con la conseguente
diminuzione della portanza. Si ha in sostanza la riduzione, rispetto alla stessa
porzione di area di una pala ideale, della portanza generata sotto un
determinato angolo di attacco. In pratica, il gradiente del coefficiente di
portanza della pala con allungamento finito risulta minore rispetto a quello
del profilo. Nel frattempo, la resistenza indotta aumenta.
La riduzione della portanza e l’aumento della resistenza comportano
complessivamente un peggioramento del rendimento della superficie
idrodinamica. Tutto ciò si verifica senza una sostanziale modifica del valore
della portanza all’angolo di stallo, infatti il valore massimo della portanza
non risente sostanzialmente della modifica dell’allungamento (ma dipende
fortemente dal valore di Re).
L’influenza dell’allungamento sulla resistenza ha origine nell’energia
persa per la generazione dei vortici di estremità, mentre l’influenza sulla
portanza va ricercata nella diversa orientazione del vettore di velocità in
corrispondenza del singolo profilo. Per quanto detto, il profilo si comporta
come un profilo in campo ideale soggetto ad un flusso con angolo di attacco
effettivo pari a α – αI(x), dove l’ascissa x identifica la posizione della singola
corda.
La portanza della pala con allungamento finito è quindi sempre inferiore
a quella ottenuta studiando il profilo in campo bidimensionale. Se la pala ha
un grande allungamento, per esempio maggiore di 6, l’effetto è praticamente
relegato alle estremità ed il calo di portanza della pala rispetto alla portanza
generata dalla stessa porzione di una pala ideale è contenuto. Se invece
l’allungamento è modesto, l’effetto delle estremità si fa sentire fino a centro
campata e la riduzione di portanza della pala è maggiore perché interessa
un’area relativamente più estesa. Si può concludere che le curve di portanza
si abbattono in maniera inversamente proporzionale all’allungamento.
L’osservazione mostra che il valore massimo della portanza varia di
poco con l’allungamento. Tale variazione, praticamente trascurabile,
comporta che l’angolo di stallo aumenti al ridursi dell’allungamento. In
pratica la stessa portanza si realizza, al diminuire dell’allungamento, ad
angoli d’attacco sempre maggiori. La riduzione del gradiente di portanza
dipende quasi esclusivamente dall’allungamento della pala, mentre la forma
del profilo idrodinamico è quasi ininfluente
Queste considerazioni inducono a concludere che è sempre preferibile
mantenere elevato il valore dell’allungamento del timone, compatibilmente
con la luce verticale a disposizione nella volta di poppa. A parità degli altri
fattori, una pala con allungamento maggiore ha infatti maggiore portanza e
maggiore rendimento.
Un contributo alla riduzione delle perdite per cross flow è ottenibile
attraverso l’allungamento fittizio della pala. Avvicinando infatti l’estremità
della pala ad una superficie parallela al piano del profilo, si riesce ad inibire
il passaggio del flusso oltre l’estremità e quindi la formazione del vortice.
Questo effetto si può ottenere avvicinando notevolmente il bordo superiore
della pala alla carena. Tale interazione va sotto il nome di effetto specchio
perché, nel caso di flusso ideale, il contatto con una superficie piana normale
all’asse di rotazione raddoppia l’allungamento geometrico. In realtà la
superficie non è a contatto, non è normale all’asse di rotazione né tantomeno
piana, perciò l’incremento dell’allungamento è limitato e diventa funzione
dell’angolo di barra del timone.
L’allungamento fittizio può essere aumentato anche agendo sul bordo
inferiore. Un intervento per ridurre gli effetti di estremità all’apice consiste
nell’aggiunta di una lamina terminale parallela al fondo e tale da fuoriuscire
dalla forma stessa del profilo. In alternativa, e più usualmente, l’apice della
pala viene tagliato di netto: rispetto al caso di apice sagomato permette di
avere una portanza maggiore, anche se a scapito di una maggiore resistenza
indotta.
Il valore della riduzione dell’angolo di attacco αI è stato calcolato
analiticamente da Prandtl per superfici con distribuzione ellittica della
portanza lungo la campata. In tale circostanza il suo valore risulta costante
lungo la campata e vale:
α I = cL / πλ
[rad]
(9.A)
La portanza che si manifesta sul profilo può essere ottenuta dalle curve
caratteristiche del profilo per un angolo di attacco ridotto di αI rispetto a
quello geometrico di incidenza. Se la pala ha una distribuzione diversa della
portata il valore di αI è maggiore di quello di Eq. 9.A.
Anche l’aumento di resistenza può essere valutato in maniera analitica
con riferimento alla pala avente distribuzione ellittica della portanza:
∆cD = cL2 / πλ
[-]
(9.B)
Nella pratica, dal momento che la pala ha distribuzione non ellittica
della portanza, il valore di ∆cD è maggiore di quello di Eq. 9.B, perciò in
luogo del coefficiente 1/π viene tipicamente utilizzato un valore compreso
fra 0,35 e 0,37. Agli alti angoli di attacco, la resistenza associata al profilo
non è che una minima parte della resistenza indotta.
La distribuzione ellittica di portanza è considerata la distribuzione
migliore fra quelle realizzabili. Infatti, contenendo la variazione dell’angolo
di attacco αI si riduce sia la perdita di portanza sia l’aumento della resistenza
indotta.
3.12 – Lo sviluppo planare
Si consideri ora la pala di un timone: essa mostra uno sviluppo planare
caratterizzato da una certa legge di variazione della lunghezza della corda
lungo la campata e da un angolo di abbattimento. Tali caratteristiche
geometriche verranno di seguito analizzate per valutare il loro impatto sulla
generazione delle forze idrodinamiche.
Dal momento che, nel caso in esame, la pala non lavora generalmente con
una distribuzione omogenea della portanza e della resistenza, l’interazione
fra pala e flusso deve ora essere analizzata introducendo delle grandezze
idrodinamiche che, variando lungo la campata, forniscano informazioni sulle
modalità di lavoro delle singole sezioni. Si definiscono a tale scopo, in
aggiunta ai coefficienti idrodinamici relativi all’intera superficie della pala, i
coefficienti di portanza e di resistenza locali, relativi alle singole sezioni
trasversali. Tali coefficienti fanno riferimento alle densità lineari di portanza
e di resistenza lungo la campata.
Il più usato è quello relativo alla portanza, che viene definito sulla base
della densità lineare di portanza l(x) [N/m], ove l’asse Ox è steso nella
direzione della campata. Per una generica pala a corda variabile c(x), l’area
proiettata del tratto δx (centrato sull’ascissa x) vale δAR = c(x)δx e la
portanza da essa sviluppata si può scrivere, in funzione della densità di
portanza l(x), come δL = l(x)δx. Dalla relazione appena scritta si può
osservare che la portanza della pala corrisponde all’integrale della densità
l(x) esteso all’intera campata:
L = ∫ l ( x ) dx
b
0
[N]
(3.12.A)
in cui b è palesemente la lunghezza della campata della pala.
In analogia alla definizione del coefficiente di portanza cL relativo alla
superficie complessiva della pala, si definisce anche il coefficiente di densità
di portanza χL:
χL ( x) =
l ( x)
[-]
q c( x)
(3.12.B)
il quale caratterizza localmente il comportamento della pala assumendo un
valore diverso su ogni corda. Perciò il coefficiente di pala cL può essere
espresso come:
cL =
1
AR
∫ c ( x ) χ ( x ) dx
b
0
L
[N]
(3.12.C)
La forma della pala comporta una diversa distribuzione della velocità
discendente, e quindi differenti distribuzioni di portanza, con modifiche del
rendimento e dell’angolo di stallo. Per impostare un’analisi qualitativa
dell’influenza della forma sulle caratteristiche idrodinamiche, può essere
utile il confronto fra superfici idrodinamiche rettangolari e triangolari,
morfologie che rappresentano i due limiti estremi delle pale dei timoni. Tali
analisi verranno condotte su pale simmetriche lungo la campata, ovvero
addossate ad una estremità ad una superficie che crea l’effetto specchio.
La pala rettangolare mostra una distribuzione di corrente discendente
con valori massimi alle estremità, e quindi in tali zone il coefficiente di
densità di portanza è minore – si rammenta che esso rappresenta la capacità
del profilo, posto ad una determinata ascissa della pala, di generare portanza
indipendentemente dall’area ivi presente. Poiché la corda è costante, la
densità di portanza l(x) ha la stessa distribuzione del coefficiente locale
χL(x), con un andamento quasi piatto al centro e una forte variazione ai bordi
dove praticamente si annulla, qui infatti la velocità discendente è tale da
rendere vano l’effetto dell’angolo di attacco.
La pala triangolare mostra una distribuzione di corrente discendente
con valori minimi alle estremità, conseguentemente la riduzione del
coefficiente locale di portanza è più accentuata al centro della campata,
mentre il profilo sui bordi tende a generare portanza come se fosse isolato
poiché sui bordi la velocità discendente tende ad annullarsi. La densità di
portanza della pala, per effetto dello sviluppo planare, è maggiore a centro
campata. Si osservi che, in virtù della particolare configurazione, il flusso al
centro della campata tende a mantenere quello alle estremità sulla direzione
della corda, un po’ perché la formazione della corrente indotta è più graduale
lungo la campata, ed un po’ per effetto del ritardo di ingaggio dovuto
all’abbattimento del bordo di attacco.
Le due pale si comportano in maniera palesemente contrapposta per
quanto riguarda la distribuzione del coefficiente locale di portanza: quella
rettangolare registra valori più elevati alla radice e quella triangolare
manifesta valori più elevati all’apice. Di conseguenza, la pala rettangolare
mostra un inizio di stallo alla radice, quella triangolare al vertice. Esse non
lavorano perciò sfruttando appieno le caratteristiche del profilo idrodinamico
perché già a partire da angoli geometrici di attacco bassi (e tanto più bassi
quanto minore è l’allungamento) alcune zone si scaricano. Anche la
formazione di cavitazione, dipendendo dalle pressioni che sono strettamente
correlate alla distribuzione del coefficiente locale di portanza, non è
omogenea.
I due effetti di sbilanciamento del campo di pressione si compensano
quando la pala ha sviluppo planare ellittico, definendo così la condizione
ideale di lavoro dei singoli profili che la compongono.
La pala che ha il comportamento migliore nei confronti della
generazione delle forze idrodinamiche è infatti quella a superficie di forma
ellittica con profilo ad allungamento costante (e bordi di attacco e di uscita
del flusso simmetrici rispetto alla retta dei massimi spessori). Essa ha la
caratteristica di generare lungo la campata una distribuzione costante della
velocità discendente: ciò comporta che la distribuzione del coefficiente di
portanza sia costante. Di conseguenza la densità di portanza ha distribuzione
ellittica che, in funzione della portanza totale generata L può essere espressa
dalla relazione:
l ( x) =
L 4
2
1 − ( 2x / b )
b π
[N/m]
(3.12.D)
Essendo l’andamento di χL costante, il flusso si mantiene omogeneo e la
superficie entra in stallo con regolarità lungo la campata, mostrando linee di
stallo, ai vari angoli, parallele tra loro e alla direzione della campata. Ciò si
traduce, nel confronto con pale di morfologia diversa aventi la stessa
portanza totale, in una resistenza indotta minore, un gradiente di portanza
maggiore ed infine in una minore propensione alla cavitazione.
L’effetto della forma è perciò molto importante perché modifica
fortemente le condizioni di lavoro di una superficie ad allungamento finito,
perciò la pala del timone deve avere uno sviluppo planare il più possibile
simile a quello ellittico.
Un’altra caratteristica importante nella definizione della morfologia di
pala è l’angolo di freccia (o angolo di abbattimento), che gioca un ruolo
significativo nel modificare la distribuzione della portanza e lo schema di
stallo. Tale grandezza infatti è responsabile del ritardo con cui il filetto
fluido avverte la presenza della pala e concorre perciò a modificare la
corrente indotta della particella fluida. Si verifica infatti sperimentalmente
che un angolo di freccia elevato (abbattimento all’indietro) fa si che la pala
si comporti come se fosse più rastremata – perciò la pala abbattuta
all’indietro ha la tendenza a caricarsi di più all’apice. L’opposto si verifica
quando l’angolo di freccia è ridotto, al limite negativo: esso conferisce alla
pala un comportamento simile a quello di una superficie meno rastremata.
Per guidare la scelta del valore ottimale dell’angolo di abbattimento una
volta fissato il valore del rapporto di rastremazione, si può fare riferimento
alle risultanze sperimentali di studi condotti su pale aventi una distribuzione
ellittica delle pressioni e, poiché le pale rastremate a spigoli diritti hanno una
distribuzione della portanza pressoché ellittica, è usuale applicare anche ad
esse tali considerazioni.
La correlazione esistente fra il rapporto di rastremazione e l’angolo di
freccia è tale da far corrispondere angoli decrescenti a rapporti di
rastremazione crescenti. I valori ottimali di dette coppie sono riportati in
Tab.3.12.A, nella quale compaiono anche i valori dei corrispondenti angoli
di freccia al bordo di attacco ΛLE calcolati, con riferimento a pale a spigoli
rettilinei, per diversi valori di allungamento (i valori negativi non sono
indicati perché non si prestano alla definizione dello sviluppo planare del
timone).
rapporto di rastremazione ct / cr
0,40
0,45
0,50
0,60
angolo ottimale di abbattimento Λ
3,0°
0,0°
–3,0°
–7,5°
λ = 1,0
15,0°
11,0°
6,5°
0,0°
λ = 1,5
11,0°
7,0°
3,5°
–
λ = 2,0
9,0°
5,5°
2,0°
–
λ = 2,5
8,0°
4,5°
1,0°
–
corrispondente freccia
del bordo di attacco ΛLE
per diversi valori di
allungamento λ
TABELLA 3.12.A
Relazione ottimale fra abbattimento e rastremazione
e corrispondenti valori di freccia al bordo di attacco.
Si osservi che per rapporti di rastremazione superiori a 0,60 l’angolo di
freccia al bordo di attacco diventa negativo e quindi il bordo di attacco non
si adatta più a costituire il profilo di prora del timone. Infatti, considerazioni
pratiche suggeriscono l’opportunità di avere un bordo d’attacco abbattuto
all’indietro per evitare che la pala agganci e trattenga contro lo scafo corpi
esterni trasportati dal flusso incidente.
Un rapporto di rastremazione elevato comporta inoltre il rischio di avere
un centro di pressione troppo spostato in avanti e quindi di avere un timone
instabile, d’altro lato un rapporto di rastremazione basso comporta valori
troppo elevati dell’angolo di freccia e quindi sia momenti torcenti elevati a
causa della posizione arretrata del centro di pressione, sia una struttura
sbilanciata in cui i diaframmi verticali principali non siano allineati all’asta
di controllo. Per questo motivi è usuale, nella scelta dello sviluppo planare
dei timoni navali, riferirsi ad un rapporto di rastremazione pari a 0,45 e
corrispondentemente ad un angolo di abbattimento nullo.
3.13 – La scelta della forma della pala
Gli studi finora citati sono riferibili a pale con distribuzione ellittica delle
pressioni in presenza dell’effetto specchio su una estremità. L’effetto
specchio però si è già annullato per una distanza della pala dalla volta di
poppa uguale ad almeno 0,075 bS (si veda a riguardo la Tab.3.4.B). Per
questo motivo le considerazioni precedentemente esposte devono
considerarsi valide, almeno qualitativamente, per pale sufficientemente
vicine alla volta di poppa. Vale la pena rimarcare che in tali circostanze un
buon progetto deve considerare le seguenti osservazioni:
• l’allungamento deve essere il più elevato possibile;
• lo sviluppo planare ottimale è quello ellittico, perciò le pale a spigoli
rettilinei che lo approssimano devono essere rastremate e con profili
aventi rapporto di forma costante;
• la rastremazione migliore è, almeno indicativamente, quella che si
associa all’angolo di abbattimento nullo.
Quando poi la pala si trova ad una distanza dalla volta di poppa
superiore al valore limite sopra riportato, essa non risente più di un seppur
parziale effetto specchio. In questo caso la configurazione ottimale per lo
sviluppo planare è quella di pala rettangolare: questa geometria è infatti
l’unica che presenta una simmetria rispetto alla corda media, tale da far
assomigliare la pala il più possibile a quella ideale. Inoltre, studi effettuati su
pale isolate, aventi allungamenti tipici dei timoni navali (λ < 3), mostrano
che la distribuzione della portanza tende a rimanere praticamente invariata
passando da una pala rettangolare ad una con rapporto di rastremazione pari
a 0,5. Ciò giustifica ulteriormente la scelta, per le pale non abbastanza vicine
allo scafo, di una forma semplice come quella rettangolare.
Quanto esposto finora si riferisce a pale aventi profili con rapporto di
forma costante, soluzione che rappresenta la quasi totalità dei casi. Talvolta
però il rapporto può essere variabile a tratti, allo scopo di poter alloggiare
l’asta nella parte superiore più spessa, mentre nella parte bassa viene
mantenuto un profilo più efficiente.
I dati idrodinamici dei diversi tipi di pala sono disponibili per diverse
morfologie e sono direttamente applicabili a timoni caratterizzati dalla stessa
forma che lavorano in campi fluidi omogenei. Talvolta i dati idrodinamici di
pala vengono forniti anche per flusso da poppa: in tal caso il centro di
pressione risulta così lontano dall’asse di rotazione che, anche se le forze
idrodinamiche si riducono, il momento torcente all’asta può risultare più
elevato di quello in marcia avanti e quindi pericoloso. È anche possibile
rintracciare le curve dei coefficienti idrodinamici relativi al funzionamento
di pale che sfruttano l’effetto di vicinanza della volta di poppa, ma è più
usuale riferirsi a dati per pale isolate ed effettuare correzioni a posteriori.
3.14 – L’utilizzo dei coefficienti idrodinamici di profilo
Quando non si dispone delle caratteristiche della pala, non rimane altra
soluzione che fare riferimento ai dati idrodinamici dei profili in regime di
flusso bidimensionale. Essi possono essere infatti trasformati e applicati con
buona approssimazione a pale rettangolari con allungamento finito e, in
mancanza di dati più precisi, anche a pale rastremate.
La trasformazione dei dati idrodinamici da allungamento infinito a finito
viene fatta sulla base della teoria elaborata nel 1920 da Prandtl per pale
aventi distribuzione ellittica della portanza. Poiché tale condizione
generalmente non sussiste, i coefficienti che compaiono nelle formule di
trasformazione sono stati leggermente modificati da Schönherr per adeguarli
a pale rettangolari.
Come già accennato, la curva del coefficiente di portanza cL(α) per pale
ad allungamento finito è tanto più inclinata quanto più l’allungamento si
riduce: al diminuire dell’allungamento l’angolo di stallo cresce mentre il
valore massimo della portanza rimane praticamente invariato. Per valutare la
curva di portanza di una pala avendo a disposizione quella del profilo (ossia
della pala con allungamento infinito), si deve effettuare una trasformazione
che consiste nell’abbattere la curva. In pratica, ogni valore del coefficiente di
portanza cL(α) viene riferito ad un nuovo angolo di attacco αλ, ottenuto
sommando ad α una quantità ∆α linearmente proporzionale al valore del
coefficiente di portanza cL(α):
αλ = α + ∆α = α + kλ cL(α)
[°]
(3.14.A)
ove kλ è espresso in gradi. Si ottiene in questo modo una nuova curva del
coefficiente di portanza per l’allungamento λ, costituita dalle coppie di
valori [cL(α),αλ].
La pendenza
La curva del coefficiente di resistenza per allungamento infinito cD(α)
viene modificata sommando ad ogni valore del coefficiente di resistenza
relativo ad un campo bidimensionale cD(α)2D il coefficiente di resistenza
indotta (correlato alla velocità incidente (formazione di vortici)) cD(α)vi. Tale
quantità, secondo l’approccio di Prandtl, è proporzionale al quadrato del
coefficiente di portanza. Diagrammando i valori così ottenuti in funzione
dell’angolo di attacco modificato αλ:
cD(α)λ = cD(α) + mλ [cL(α)]2
[-]
(3.14.B)
dove mλ è un fattore adimensionale. Si ottiene così una nuova curva del
coefficiente cD per l’allungamento λ, formata dalle coppie [cD(α)λ,αλ].
Nessuna ipotesi viene fatta per quanto riguarda la posizione del centro
di pressione, che viene riportato senza modifiche al nuovo angolo di attacco
modificato αλ. Si ottiene in questo modo una nuova curva del coefficiente
(CPC /c)(α) per l’allungamento λ, formata dalle coppie [(CPC /c)(α),αλ]. Si
osservi che se non è nota la coordinata CPS è necessario ipotizzare la
posizione verticale del centro di pressione prima di passare a definire il
grado di compenso della pala.
Tali formule permettono anche il passaggio da un allungamento finito
ad un altro: è sufficiente infatti esprimere le formule di trasformazione per
due diversi allungamenti ed eliminare i parametri comuni α e cD(α).
Eseguendo queste operazioni mettendo in relazione gli allungamenti λ1 e λ2
si ottengono le relazioni:
αλ1 – αλ2 = (kλ1 – kλ2) cL(α)
[°]
(3.14.C)
cD(α)λ1 – cD(α)λ2 = (mλ1 – mλ2) [cL(α)]2
[-]
(3.14.D)
I fattori kλ ed mλ per le pale d’uso navale a spigoli diritti sono tabulati in
funzione dell’allungamento effettivo λ (si veda la Tab.3.14.A).
allungamento λ
0,5
1,0
1,5
2,0
4,0
6,0
fattore kλ [°]
37,20
19,05
12,92
9,85
5,17
3,58
fattore mλ [-]
0,632
0,318
0,213
0,161
0,082
0,056
TABELLA 3.14.A
Fattori di correzione per l’allungamento.
I fattori kλ ed mλ relativi a pale con distribuzione ellittica della portanza
sono esprimibili analiticamente. Se il fattore kλ viene espresso in radianti,
per le pale a distribuzione ellittica della portanza vale:
kλ = mλ =
1
πλ
[-]
(3.14.E)
ed i valori così ottenuti possono essere utilizzati in sostituzione di quelli
tabulati.
Come ultima risorsa, se non si dispone delle caratteristiche dei profili,
esistono formule analitiche semi–empiriche che, legando i coefficienti
idrodinamici all’allungamento e all’angolo di attacco, trascurano l’effetto
della forma sia della pala che del profilo, oltre che l’effetto del Numero di
Reynolds.
Un esempio di formulazione adatta a determinare con buona accuratezza
le caratteristiche idrodinamiche di profili classici è la seguente, in cui i valori
approssimati di cL, cD e cQ (quest’ultimo calcolato rispetto al bordo di
attacco) sono forniti per angoli di attacco “piccoli” rispetto all’angolo di
stallo:
cL = cL1 + cL 2 =
2πλ ( λ + 1)
( λ + 2)
2
cD = cD1 + cD 2 + cD 3 = 1,1
sin α + sin α sin α cosα
cL2
0,075
3
+ sin α + 2,5
2
πλ
( log RN − 2 )

λ+2 
cQ = − ( cL1 cos α + cD1 sin α )  0, 47 −
+

4 ( λ + 1) 

− 0,75 ( cL 2 cosα + cD 2 sin α )
[-]
(3.14.F)
[-]
(3.14.G)
[-]
(3.14.H)
Queste espressioni devono essere poi completate con i dati relativi
all’angolo di stallo.
È molto interessante osservare infine che pale con profili convenzionali,
se il loro allungamento è troppo basso (λ < 1,0), possono non riuscire ad
esprimere la portanza massima del profilo, a causa dell’abbattimento della
curva di portanza, entro il valore limite rappresentato dal massimo angolo di
barra del timone. D’altra parte va sempre verificato che il massimo angolo di
barra previsto per il timone non sia superiore all’angolo di stallo.
Anche per la pala rettangolare costituita da una lastra piana si può fare
riferimento a formulazioni semi–empiriche.
Vanno ricordati, a riguardo, i risultati delle prove al vero condotte sulla
Loira da Joessel nel 1873, risultati che condussero alla formulazione di
relazioni fondamentali per il progetto del timone, che vennero usate per un
intero secolo intero prima di essere soppiantate da quelle ottenute dalle più
rigorose analisi idrodinamiche.
Joessel misurò la forza idrodinamica che nasce su una lastra piana al
variare dell’angolo di attacco α e dell’intensità della corrente. La formula
che propose mette in luce la dipendenza della forza d’interazione
idrodinamica dal quadrato della velocità e dall’area della superficie, d’altro
lato non considera altri fattori importanti come l’allungamento della pala.
In pratica Joessel fece variare, a parità di angolo di attacco e di velocità,
la posizione dell’asse di rotazione (facendole assumere i due valori d1 e d2) e
misurò i momenti di controllo Q1 e Q2 nelle due configurazioni: ciò gli
permise di pervenire al valore della forza FN ed a quello della distanza CPC
del centro di pressione dal bordo di ingresso. Infatti, da ogni coppia di prove
ottenne due relazioni con due soli dati incogniti (FN e CPC), quelli ricercati,
due parametri noti (d1 e d2) e due grandezze misurate (Q1 e Q2):
 FN ( d1 − CPC ) = Q1

 FN ( d2 − CPC ) = Q2
[-]
(3.14.I)
Egli espresse i risultati degli esprimenti in termini di coefficiente
adimensionale cN fornendo infine la relazione:
cN =
0,811sin α
0,195 + 0,305 sin α
[-]
(3.14.J)
dalla quale è possibile dedurre l’equazione del momento evolutivo:
M E (α ) ≈ FN
LPP
L
cos α = q AR cN PP cos α
2
2
[-]
(3.14.K)
e successivamente, per derivazione, l’angolo al quale si verifica il suo valore
massimo che, a dispetto delle approssimazioni del modello e del calcolo,
risulta proprio uguale a 35°.
I coefficienti idrodinamici della lastra piana rettangolare sono forniti,
per i diversi RN, al variare dell’allungamento e del rapporto fra spessore e
corda. Si vedano per esempio i valori riportati in Tab.3.14.B dove sono
anche riportati i dati relativi ad un profilo di uso comune in campo navale: il
confronto fra le due efficienze rende conto della convenienza d’utilizzo dei
profili.
PROFILO
CARATTERISTICHE
portanza
lastra piana
(t /c = 0,07)
NACA–0015
CL ( α
= 10°)
0,323
0,289
CL ( α
= 20°)
0,654
0,622
CL ( α
= 30°)
0,915
0,926
CL ( α
= 40°)
1,000
0,685
efficienza
TABELLA 3.14.B
CL / CD ( α
= 10°)
2,45
6,90
CL / CD ( α
= 20°)
2,10
4,61
CL / CD ( α
= 30°)
1,54
2,89
CL / CD ( α
= 40°)
1,15
1,13
Confronto fra le caratteristiche della lastra piana e di
un profilo NACA–00 (λ = 1, RN ≈ 0,75·106, valori
misurati).
3.15 Il modello per lo studio della pala
Le forze idrodinamiche che maturano sulle superfici idrodinamiche sono il
frutto dell’interazione con il flusso d’acqua che le investe. Nel caso delle
superfici di controllo, tale flusso ha origine dal moto della nave. La velocità
e la direzione del flusso di base dipendono solo dalla cinematica del moto
della nave. Il flusso effettivo sulle superfici di controllo comprende anche gli
effetti dovuti alla presenza della carena e dell’elica, elementi che,
interagendo sia con il flusso di base sia direttamente con le superfici di
controllo, introducono modifiche del campo idrodinamico. In conclusione, il
flusso incidente appare, in generale, non omogeneo (e quindi
tridimensionale) e non stazionario.
Nella pratica, in gran parte delle applicazioni, lo studio delle superfici di
controllo può essere sviluppato con buona approssimazione in regime di
stazionarietà. Gli effetti del flusso periodico dell’elica sono mediati nel
tempo e i moti nave vengono trascurati. La variazione periodica del flusso
indotta dai moti nave è presa in considerazione solamente nello studio delle
superfici di stabilizzazione.
Nelle applicazioni pratiche risulta inoltre di grande utilità potersi riferire
a campi bidimensionali, ovvero ad un flusso omogeneo caratterizzato dalla
velocità media di trasporto V [m/s] e dalla sua direzione media rispetto al
corpo. Per identificare la direzione relativa del flusso si misura l’angolo
formato tra la direzione di riferimento del corpo e la direzione maedia del
flusso in campo aperto, il cosiddetto angolo di attacco α [°]. Nell’ipotesi di
flusso omogeneo stazionario, i parametri del flusso (pressione e velocità)
non variano nella regione in cui il corpo è immerso limitatamente alla zona
lontana dal corpo. La modifica dei parametri di stato si manifesta soltanto
nella zona vicina al corpo.
Nella procedura semplificata per lo studio delle modalità di
funzionamento delle superfici di controllo, si crea un modello che associa
alla condizione di funzionamento reale una condizione di funzionamento
ideale equivalente. L’equivalenza si basa sull’ipotesi che le forze
idrodinamiche complessive rimangano identiche. Il modello si definisce
considerando:
• un flusso omogeneo di velocità V e angolo di attacco α; i parametri
del flusso sono calcolati come valori medi temporali e spaziali;
• una pala isolata efficace che generi nel campo omogeneo le stesse
forze che la pala reale genera nel campo reale.
Le caratteristiche geometriche della pala isolata sono derivate da quelle
della pala reale con opportune modifiche. I parametri geometrici variati
vengono detti parametri efficaci. L’introduzione di parametri geometrici
efficaci si rende necessaria per ripristinare gli effetti dell’interazione diretta
della superficie idrodinamica con i corpi circostanti (essenzialmente la
carena).
In base all’approccio delineato, il timone viene innanzitutto trattato
come un corpo isolato immerso in un flusso omogeneo definito dalla somma
delle velocità di avanzo e di deriva della nave (valutate in corrispondenza del
timone). Successivamente, la velocità di flusso omogeneo sulla pala viene
modificata in funzione dell’effetto della scia della carena e dell’elica.
Parallelamente, dopo avere valutato l’effetto dell’interazione della pala con
la poppa e con le appendici di supporto, vengono definiti i parametri efficaci.
A questo punto il modello è pronto per lo studio.
La definizione di un modello semplificato come quello proposto non
consente di tenere in considerazione alcuni effetti indotti nel campo
idrodinamico da elica e carena. Solo analisi sperimentali o numeriche
possono ricreare, volta per volta, condizioni di funzionamento più aderenti
alla realtà. Queste indagini fornisco in genere risultati particolari che non
sono di facile estensione in formulazioni generali.
In base a quanto detto, è utile conoscere in prima istanza il
funzionamento di un corpo isolato immerso in flusso omogeneo. Le
particolarità legate al funzionamento del timone nella volta di poppa della
nave potranno poi essere valutate come modificazioni della condizione
ideale e trattate attraverso un modello ideale equivalente.
3.16 – L’effetto della carena
Le situazioni fin qui descritte fanno riferimento a flussi omogenei, mentre
nella pratica le superfici di controllo sono poste in vicinanza alla carena e
all’elica, entrambe fonti di forti modifiche del flusso.
Per quanto riguarda la presenza della carena, due sono i motivi della
variazione del campo di velocità che viene ad incontrare il timone posto
nella volta di poppa, infatti:
• la carena genera una scia che investe il timone determinando sulla
pala un flusso a velocità inferiore rispetto a quella di avanzo della nave.
• la volta di poppa costituisce uno sbarramento all’innesco di un flusso
indotto verso l’estremità superiore della pala e quindi limita le perdite
legate alla formazione dei vortici alla radice.
Per effetto della presenza della carena a proravia del timone le forze
sulla pala si modificano (in particolare la portanza si riduce) e per tenere
conto di questo fenomeno si valuta la velocità media effettiva sul timone
riducendo la velocità della nave della velocità di scia di carena.
cambiamento direzione rispetto prora-poppa: dobbiamo fare riferimento
alla direzione della scia, in quanto per ridurre la resistenza il timone ha il
piano di riposo parallelo alla direzione media della scia sulla pala
È noto che, indicando con VA [m/s] la velocità di flusso vista dal disco
dell’elica ad elica ferma (ossia la velocità di scia misurata rispetto alla nave),
e con VS [m/s] la velocità assoluta di avanzo della nave, la velocità assoluta
della scia vale allora (VS – VA). Il rapporto fra la velocità assoluta di scia e la
velocità della nave si definisce frazione di scia e si indica con w [-]. La
conoscenza della frazione di scia di una nave permette di valutare la velocità
VA . Per navi bielica vale generalmente w < 0,2 mentre per navi monoelica
vale 0,2 < w < 0,5.
Per meglio valutare l’effetto della carena sulla pala, la frazione di scia
viene corretta per dare la velocità media del tubo di flusso in cui si trova il
timone. Si definisce così la cosiddetta frazione di scia al timone wR [-] ed in
base a queste considerazioni la velocità media sul timone per effetto della
presenza della carena risulta pari a:
V A =VS
(1 − w )
R
[m/s]
(3.4.A)
I valori indicativi della frazione di scia al timone sono forniti in
Tab.3.4.A in funzione dei parametri che più la influenzano, ossia il
coefficiente di pienezza della carena cB [-], la configurazione della poppa e la
posizione del timone nella volta di poppa. Si osservi che, solo se la nave ha
forme molto piene ed il timone è al centro, la frazione di scia al timone
coincide con la frazione di scia di carena (?).
La presenza della carena a proravia del timone manifesta anche un altro
effetto sulle forze idrodinamiche da esso sviluppate. Infatti, il campo di
pressioni che matura sul timone durante la generazione di una forza attiva di
evoluzione crea una modifica del campo di pressioni sulla carena, formando
così un campo di velocità asimmetrico sulla carena stessa, tale da favorire la
rotazione della nave. In sostanza si manifesta una stretta interazione fra pala
e carena, palesando in pratica l’esistenza di un unico corpo idrodinamico,
fatto tanto più evidente quando il timone è posto a continuazione di un
prolungato skeg. Ciò indica perciò che, se si favorisce la continuità fra
timone e carena, si ottiene una maggiore efficacia del timone. Di questo
effetto si tiene conto quando si posiziona il timone a poppa – ma si trascura
però nella fase di progetto, essendo di difficile quantificazione.
CONFIGURAZIONE
wR [-]
nave monoelica con un timone al
centro (0,5 ≤ cB ≤ 0,8)
0,5981 – 1,92cB + 1,931cB2
nave monoelica con un timone al poppa a “V”
0,30 + 3,6 (cB – 0,8)
centro o nave bielica con due
timoni posti a non più di 0,1 B dal poppa ad “U” 0,35 + 2,0 (cB – 0,8)
diametrale (cB ≥ 0,8)
poppa a bulbo 0,48 + 2,0 (cB – 0,8)
nave bielica con due timoni posti
a più di 0,1 B dal diametrale
TABELLA 3.4.A
w
Frazione di scia al timone per varie configurazioni.
Per effetto della presenza della volta di poppa la pala si comporta, ai fini
della generazione della portanza, come se fosse più lunga, grazie allo
sbarramento offerto dalla carena al flusso trasversale indotto. Nel calcolo
delle forze si associa perciò ad essa un allungamento effettivo λ maggiore di
quello geometrico λG , e corrispondente all’allungamento geometrico della
pala isolata che, con lo stesso profilo, produce la stessa portanza.
Nel caso particolare in cui la superficie idrodinamica sia aderente,
all’estremità, ad una superficie piana perfettamente liscia, si manifesta il
cosiddetto effetto specchio, che consiste in un allungamento virtuale della
pala pari a 2λG .
Anche la carena può agire da specchio, ma non riesce nella realtà a
creare un allungamento effettivo doppio rispetto a quello geometrico, sia per
la distanza del timone dalla carena, sia per la forma della volta di poppa.
Inoltre, solo se la volta di poppa è piatta il timone subisce lo stesso effetto a
tutti gli angoli di barra, altrimenti all’aumentare dell’angolo di barra la
radice del timone si allontana dalla carena e l’effetto di allungamento
virtuale diminuisce.
λ / λG
CONFIGURAZIONE
SISTEMAZIONE
timone molto vicino al corpo
superiore
(dS ≈ 0,05 m, dS / b ≈ 0,01)
CORPO
SUPERIORE
λG = 1,50
λG = 3,00
poppa piana
1,75
1,50
counter fin
1,65
1,45
volta di poppa
1,50
1,35
1,30
1,20
≈1,00
≈1,00
timone vicino al corpo superiore
(dS > 0,15 m, dS / b ≈ 0,05)
timone lontano dal corpo superiore
(dS / b ≈ 0,075)
TABELLA 3.4.B
Allungamenti virtuali della pala.
L’allungamento effettivo, almeno ai bassi angoli di barra, può essere
strettamente correlato alle dimensioni reciproche fra la campata b e la
distanza media dS [m] della pala dallo scafo. A tale riguardo si confronti la
Tab.3.4.B, nella quale si prende anche in considerazione il caso in cui fra la
pala e il fasciame della volta di poppa sia interposta un’appendice fissa
(counter fin) per ridurre la distanza fra la radice della pala e la volta di
poppa.
Va osservato che, in genere, nelle configurazioni tipiche delle navi
mercantili la distanza dS dalla volta di poppa è di qualche decina di
centimetri, e quindi l’effetto è piuttosto ridotto – tale distanza non scende
comunque al di sotto di 5 cm per evitare il blocco del timone nel caso di
formazione di ghiaccio.
Un altro importante effetto è quello della presenza della superficie
libera. Le variazioni dinamiche di pressione si possono infatti scaricare sulla
superficie libera soprastante formando un’onda di superficie, e ciò si traduce
in una riduzione delle forze generate dalla pala.
Al limite, quando il timone è molto caricato e vicino alla superficie, si
può anche verificare il fenomeno della ventilazione, con richiamo di bolle
d’aria sul dorso della pala in depressione. La presenza della volta di poppa
produce una riduzione dell’effetto di superficie libera e, in tale circostanza,
tale fenomeno si può ritenere trascurabile quando la pala presenta lo spigolo
di radice ad un’immersione pari ad almeno 0,4 bm.
3.17 – L’effetto dell’elica
Anche fra il timone e l’elica propulsatrice si manifesta un’interazione
idrodinamica. Gli effetti di tale reciproca interazione sono i seguenti:
• per quanto riguarda la manovra, l’efficienza del timone è accresciuta
dalla presenza della scia dell’elica, che non si limita a ridurre l’effetto
di scia di carena, ma anzi determina velocità medie sulla pala superiori
a quelle di avanzo della nave (sul timone possono maturare forze
raddoppiate). Inoltre, si ha il vantaggio di poter sfruttare il timone
anche a nave praticamente ferma, creando un flusso netto tramite
l’elica;
• per quanto riguarda l’avanzo, la presenza del timone fa aumentare
l’efficienza propulsiva grazie al raddrizzamento del flusso, e quindi per
effetto del recupero dell’energia associata al moto rotatorio del flusso
uscente dall’elica.
perciò il timone, quando possibile, viene posto nella scia dell’elica.
La presenza dell’elica crea infatti una variazione del flusso introducendo
un aumento della velocità media sulla pala nella direzione longitudinale, ma
causa anche forti disomogeneità sull’angolo di attacco locale e turbolenze.
La componente trasversale parassita della velocità del flusso dell’elica
produce localmente variazioni quantificabili anche in 10º÷15º, con versi
contrapposti sulla parte superiore e su quella inferiore rispetto al mozzo
dell’elica. Nascono quindi forze contrapposte sulle due parti del timone. La
distribuzione delle pressioni, e quindi della portanza, lungo la campata
assume un andamento pressoché sinusoidale.
Nel caso di una pala divisa in due parti che sono, rispetto al mozzo,
perfettamente simmetriche dal punto di vista idrodinamico, se la scia è
asialsimmetrica, quando la pala è parallela alla scia dell’elica le forze di
portanza generate dalle due semipale si bilanciano, mentre le forze di
resistenza si sommano comportando un aumento della resistenza prodotta dal
timone. Si può schematizzare il comportamento del timone come quello di
due pale indipendenti (“isolate”).
Se il timone non è idrodinamicamente simmetrico rispetto al mozzo
dell’elica, anche nella posizione a riposo si viene a creare una forza
trasversale netta che ha effetto utile sull’evoluzione della nave. Si ha in
pratica la generazione di una forza utile assimilabile ad un angolo di attacco
medio sulla pala dell’ordine di 1°.
Se l’angolo di attacco sulla singola corda è molto elevato, si può
verificare che la forza totale idrodinamica generata localmente sia orientata
in avanti. In altre parole, può verificarsi che la componente della forza
idrodinamica F nella direzione della corda non rappresenti una resistenza ma
una spinta.
Dall’azione dell’elica conseguono quindi, almeno per la parte del
timone entro la sua scia, l’aumento della portanza, associato però in generale
all’aumento della resistenza. La maggiore turbolenza del flusso della scia
dell’elica altera le condizioni al contorno che influiscono sulle modalità di
generazione dello strato limite. La maggiore turbolenza nel flusso di
trasporto induce la formazione di uno strato limite turbolento e
conseguentemente: viene modificata la tendenza allo stallo con l’aumento
dell’angolo di stallo; viene modificata la posizione del centro di pressione,
che tende ad arretrare.
I parametri fisici che governano l’interazione del timone con l’elica
sono, oltre alla geometria del timone e alle caratteristiche del flusso nella sua
componente di trasporto:
• i parametri geometrici dell’elica, tra cui di primaria importanza il
diametro, il passo, il rapporto area elica su area disco, il diametro del
mozzo, lo skew, il numero delle pale, il tipo di profilo utilizzato e, con
riferimento alla geometria di pala, la legge di variazione del profilo
delle idrodinamico e del passo;
• i parametri del flusso legati alla presenza dell’elica, ovvero la velocità
di rotazione dell’elica e l’effetto di raddrizzamento sul flusso durante
l’accostata (fattore K);
• la posizione relativa elica-timone, che viene usualmente espressa in
rapporto al diametro dell’elica; elica e timone sono collocati, nella
direzione dell’asse, ad una certa distanza, inoltre possono essere
disallineati sia in direzione trasversale sia verticale; in base a tali
parametri è possibile valutare la copertura del timone da parte del disco
dell’elica, da cui l’estensione dell’area immersa nel flusso dell’elica.
Per una particolare configurazione della pala del timone, l’azione dell’elica sul
meccanismo di generazione delle forze idrodinamiche può essere fatto
dipendere dai seguenti parametri
• velocità di rotazione dell’elica, spesso espressa in forma adimensionale
attraverso il fattore J proporzionale al rapporto fra la velocità di flusso
libero V0 e la velocità tangenziale all’apice delle pale: J = V0/nDe (vedi);
• l’effetto di raddrizzamento sul flusso durante l’accostata (fattore K);
• il passo P dell’elica nel caso eliche a pale orientabili.
Una volta fissato il passo dell’elica, il fattore dominante dal quale dipende la
modifica delle condizioni di lavoro del timone posto nella scia dell’elica è J.
Complessivamente, sommando l’azione dell’elica a quella della carena,
l’effetto più importante che si manifesta sulla pala del timone è la variazione
netta della velocità media nella direzione di avanzo. Questo effetto può
essere calcolato con la procedura (di seguito descritta) che consiste nel
valutare un flusso omogeneo equivalente, ottenuto modificando la velocità
del flusso indisturbato, generato dall’avanzo della nave, con fattori legati sia
al funzionamento dell’elica sia alle caratteristiche di carena. Se poi il timone
non si trova completamente nella scia dell’elica, si calcola una velocità
media pesata, proporzionale alle frazioni di area della pala esposte o meno
all’elica. In questo modo si trascurano le fluttuazioni di velocità lungo la
campata, che non danno comunque un significativo contributo netto sulle
forze complessive, e si riconduce lo studio della pala al modello di corpo
isolato in flusso omogeneo bidimensionale, in armonia con quanto fatto
quando si è definito il concetto di allungamento effettivo.
Si utilizzano comunque spesso procedure semplificate che consistono
nel trascurare gli effetti antagonisti della carena e dell’elica: secondo tale
approccio lo studio del timone viene impostato in un flusso di velocità pari a
quella della nave. Esistono infatti vecchi studi condotti su navi monoelica e
bielica con un solo timone a centro nave, che illustrano l’effetto combinato
di elica e carena rispettivamente per un timone posto nella scia dell’elica e
per un timone al di fuori della scia. Per queste due configurazioni sono state
fatte prove su timone dietro lastra piana (condizione di riferimento), dietro
carena e dietro carena con elica in funzione. Tali studi, che confermano
l’applicabilità del metodo approssimato, mostrano sostanzialmente che per
una nave monoelica con timone al centro:
• la presenza della carena comporta un’accentuata riduzione delle forze
generate dal timone rispetto al caso di timone dietro lastra piana,
• la presenza della carena e dell’elica in funzione comportano effetti
opposti che tendono a compensarsi (sempre rispetto al caso di timone
dietro lastra piana),
mentre per una nave bielica con timone al centro la presenza della carena e
dell’elica in funzione comportano effetti opposti che però non si
compensano, infatti l’effetto di scia di carena è preponderante.
Per quanto riguarda il calcolo della velocità media sulla pala posta nella
scia dell’elica, si fa qui riferimento alla studio dell’elica propulsatrice
sviluppato in seno alla teoria della quantità di moto.
Si definisce perciò δVA [m/s] l’incremento totale di velocità impresso
sull’acqua dall’elica immersa nella scia di carena, e si calcola poi come
kmδVA l’incremento parziale di velocità che si realizza ad una certa distanza
alle spalle del disco dell’elica, km rappresenta infatti il coefficiente correttivo
per tenere conto della posizione della pala a valle del disco dell’elica. Si ha
perciò sulla pala del timone la velocità VA così calcolata:
VR
= VA + km δVA
[m/s]
(3.5.A)
in cui il fattore km è desumibile dalla Tab.3.5.C, ove viene espresso in
funzione del parametro kl definito come kl = l /De in cui l [m] è la distanza
longitudinale fra l’asse di rotazione della pala ed il disco dell’elica e De [m]
è il diametro dell’elica. Si osservi che il fattore km , come previsto dalla teoria
della quantità di moto, assume il valore 0,5 sul disco dell’elica e tende ad 1,0
al crescere di kl, assumendo il valore di circa 0,96 per kl = 1.
POSIZIONE
km
0 ≤ kl ≤ 0,25
0,50 + 2,04 kl − 3,52 kl 2
0,25 ≤ kl ≤ 1,0
0,79 + 0,45 ( kl − 0, 25 ) − 0,30 ( kl − 0, 25 )
TABELLA 3.5.A
2
Fattori di correzione del flusso dell’elica.
Una formula alternativa per valutare il recupero di velocità alle spalle
dell’elica è la seguente:
k m = 0,5 +
0,5
1 + 0,15 kl
[m/s]
(3.5.B)
Secondo la teoria della quantità di moto, con riferimento al coefficiente
di spinta CT [-] – definito come CT = T / (½ VA2ρAO), dove T [N] è la spinta
dell’elica, AO [m2] è l’area del disco dell’elica e ρ [kg/m3] è la massa
volumica del liquido –, si valuta l’incremento di velocità δ VA come:
δVA = VA ( CT + 1 − 1)
[m/s]
(3.5.B)
In cui è chiara la dipendenza dell’incremento di velocità δ VA dalla spinta per
unità di superficie dell’elica. Spesso si preferisce esprimere l’incremento di
velocità in funzione dei due parametri KT e J, ove KT è definito come (…)
KT = T/ ρn2De4 da cui:
δVA = VA ( (8 / π) ( K T / J 2 ) + 1 − 1)
[m/s]
(3.5.B)
Da ciò consegue che sulla pala nella scia dell’elica si ha una velocità
pari a
VR
= VA 1 + km ( CT + 1 − 1) 
[m/s]
(3.5.C)
mentre sulla parte di timone esterna al tubo di flusso dell’elica vale
semplicemente VR = VA.
L’applicazione della formulazione sopra esposta comporta una sovrastima
del valore della velocità sulla pala, pari a circa il 30%. Ciò è dovuto
essenzialmente al fatto che vengono trascurati gli effetti frizionali, le
componenti di velocità radiale e rotazionale del flusso che lascia l’elica e il
fatto che il flusso non è continuo ma periodico, dipendente cioè dal numero
delle pale.
In generale, con riferimento ad un timone e ad un’elica dalle geometrie ben
definite viene caratterizzato in funzione del parametro KT/J2. Ciò significa
che le curve caratteristiche della pala, che forniscono l’andamento delle
forze idrodinamiche in funzione dell’angolo di attacco, sono parametrizzate
con il valore della spinta per unità di superficie dell’elica. In alternativa,
formulazioni più semplificate forniscono correzioni semi-empiriche della
velocità di flusso libero, proposte per diverse configurazioni (nave dislocante
o semi-planate o planante, nave monoelica o bielica, etc.), attraverso il
rapporto VR/VA oppure VR/VS.
L’aumento della portanza nella scia dell’elica è più accentuato se il timone si
estende oltre il tubo di flusso dell’elica, sia verso l’alto sia verso il basso. A
tale proposito va tenuto conto della contrazione della scia. Nell’ambito della
teoria della quantità di moto, in base a semplici considerazioni di
conservazione della massa lungo il tubo di flusso, si può ottenere il fattore di
contrazione in funzione del parametro km.
In base a quanto detto, risulta evidente che il timone sperimenta un recupero
maggiore di velocità se è posto sufficientemente lontano dall’elica (ad una
distanza pari ad almeno un diametro dell’elica), mentre è evidente che tanto
più è vicino all’elica, tanto maggiore è l’effetto di recupero di efficienza
propulsiva. Inoltre, la vicinanza all’elica può comportare deleteri effetti di
erosione e vibrazioni indotte dal flusso disomogeneo dell’elica.
Un altro fenomeno importante nel funzionamento del timone è quello
legato alla cavitazione. Infatti, quando localmente la pressione assoluta
scende al di sotto della tensione di vapore dell’acqua si formano bolle di
vapore. Si rammenta a riguardo che nelle condizioni standard (temperatura
di 15°C), la tensione di vapore pV dell’acqua di mare è di 1962 Pa, pari a
circa il 2% della pressione atmosferica (patm = 101325 Pa), e varia in
funzione della temperatura (la variazione è di ±1% rispetto alla pressione
atmosferica).
Queste bolle si formano nelle zone in cui si manifesta una depressione
dinamica e vengono trasportate poi in zone dove la pressione è maggiore,
dove possono implodere. L’implosione genera microscopici getti d’acqua ad
alta velocità che possono colpire la pala, causando l’erosione della superficie
della pala stessa (erosione che viene poi amplificata dalla corrosione) e
vibrazioni che possono essere trasmesse allo scafo. Esistono diverse
modalità di sviluppo della cavitazione sul timone:
• la cavitazione a bolle sul dorso della pala − è legata alle modalità di
funzionamento del profilo idrodinamico, infatti la presenza di una zona
di depressione dinamica, con pressioni assolute negative, favorisce la
formazione di bolle di vapore. La cavitazione sul dorso causa, oltre ad
erosione, anche una modifica dell’intero campo di pressioni poiché
viene favorito il distacco dello strato limite sul dorso stesso (come
conseguenza si riduce la portanza complessiva e aumenta la resistenza).
• la cavitazione associata alle scie vorticali − si verifica poiché nel cuore
di un vortice, dove il campo di velocità è in condizione di massimo, si
possono creare forti depressioni dinamiche e quindi veri e propri “tubi
di cavitazione”. La formazione di vortici si verifica nelle zone di
discontinuità della pala, soprattutto alle estremità del bordo inferiore e
tra la pala e gli elementi fissi di sostegno, oppure trae origine dalle
estremità delle pale dell’elica e dal mozzo della stessa.
L’analisi della propensione alla cavitazione viene fatta solamente sui
timoni che risultano particolarmente caricati in virtù delle condizioni di
funzionamento e della forma della distribuzione di pressione tipica del
profilo utilizzato. Tale valutazione viene fatta analizzando la depressione che
nasce sul dorso della pala: esistono infatti utili diagrammi che, in funzione
del tipo di profilo e del carico che si realizza sulla generica corda (portanza
locale), forniscono il valore della depressione idrodinamica estrema –∆pM
che si realizza sulla pala. È interessante notare che in questi grafici la
depressione dinamica viene espressa in funzione della portanza specifica, in
modo da prescindere dalle particolari condizioni di funzionamento del
profilo (tipo di flusso, velocità del flusso, forma della pala, angolo di
attacco).
Il valore così ottenuto per la depressione massima –∆pM sul dorso del
profilo deve poi essere sommato algebricamente al battente statico po ed al
valore della pressione atmosferica patm, per essere infine confrontato con la
tensione di vapore pV dell’acqua di mare alla massima temperatura di
esercizio. Per non incorrere nella cavitazione deve verificarsi che:
−∆pM + po + patm > pV
[Pa]
(3.5.D)
In virtù delle approssimazioni nel calcolo del flusso indotto localmente
dall’elica, la pressione assoluta su ogni punto della pala deve risultare ben al
di sopra dello zero affinché vi sia certezza che la cavitazione non si inneschi.
L’insorgere della cavitazione sui timoni è favorito da alti valori di
velocità d’avanzo della nave e di carico dell’elica. Le situazioni più critiche
sono quelle in cui questo fenomeno si manifesta anche per piccoli angoli di
barra del timone: è il caso delle navi che hanno una velocità di crociera
superiore a 22 nodi e timone nella scia di un’elica avente una potenza
specifica superiore a 700 kW/m2. Sulle navi che hanno velocità di crociera
più basse (ma superiori a 10 nodi) la cavitazione si verifica solamente ad
elevati angoli di barra del timone, e quindi non interessa gli angoli di
normale utilizzo per la correzione della rotta.
Per quanto riguarda infine la cavitazione associata alle scie vorticali
proprie del timone, si può ridurre solo con un buon progetto dei particolari
costruttivi della pala adottando estremità di pala arrotondate. In alternativa,
per la costruzione del mantello si devono usare materiali che rispetto
all’acciaio dolce siano più resistenti all’erosione (acciai austenitici o alcuni
tipi di bronzo), infatti i rivestimenti con vernici non risultano
sufficientemente protettivi.
3.18 – La superficie idrodinamica articolata
Il timone sospeso ha la configurazione più semplice fra quelle utilizzate per
le navi, esso prevede infatti una superficie di controllo azionata e sostenuta
da un’asta disposta verticalmente, collegata alla pala per mezzo di un
accoppiatoio contenuto generalmente entro i mantelli.
In alternativa, la pala viene sostenuta anche da strutture che fuoriescono
dallo scafo, poste in corrispondenza del bordo di attacco nella parte alta o in
prossimità del bordo inferiore: in questo modo l’asta viene sgravata di parte
del carico trasmesso dalla pala (in particolare diminuisce il momento
flettente sull’asta). Quando la struttura di supporto della pala si estende in
maniera parziale lungo il bordo di attacco il timone viene detto su corno,
quando invece la struttura di supporto corre dallo spigolo superiore a quello
inferiore della pala il timone è detto su pinna.
Le strutture di supporto poste lungo il bordo di attacco modificano
anche significativamente le caratteristiche idrodinamiche della pala,
partecipando alla generazione delle forze di portanza e di resistenza. Per
questo motivo tali supporti vengono sagomati in modo da assumere una
forma idrodinamica, possibilmente ben avviata con la pala allo scopo di
costituire un unico corpo idrodinamico senza discontinuità o interstizi fra le
parti.
In alcune configurazioni si usa un sostegno inferiore, detto calcagnolo,
costituito da una struttura ottenuta dal prolungamento della chiglia. Il
calcagnolo non costituisce un ingombro per il flusso incidente sulla pala e
quindi non richiede particolari sagomature.
Dal punto di vista idrodinamico si distinguono perciò i timoni a
superficie completamente mobile da quelli dietro superficie fissa, ovvero con
sostegno lungo il bordo di attacco.
In generale, la presenza di una superficie fissa avviata a prora del
timone deve essere tenuta in considerazione nel calcolo delle caratteristiche
della pala, perciò una pinna o un corno devono essere considerati a tutti gli
effetti come facenti parte della pala. Concorrendo a determinarne tutte le
caratteristiche morfologiche, essi devono essere conteggiati nel calcolo della
lunghezza media della corda e della campata, del rapporto t/c, dell’area
totale, dell’allungamento, della rastremazione e dell’angolo di abbattimento.
D’altro lato, dal punto di vista costruttivo si parla di timoni sospesi, su
pinna, su corno o su calcagnolo.
È bene notare che il progetto strutturale e quello idrodinamico sono
strettamente connessi, infatti una pala senza strutture aggiuntive di sostegno
richiede un’asta di controllo e supporto più robusta perché soggetta, oltre che
a carichi torsionali (immediata conseguenza dell’azione di controllo) anche a
carichi flessionali. La presenza di strutture di sostegno sgrava parzialmente
l’asta dalle azioni flessionali, permettendo così un dimensionamento più
leggero della stessa.
La differenza sostanziale tra timone sospeso e timone su sostegno
riguarda il valore minimo realizzabile del rapporto di forma del profilo (che
come noto dipende dal diametro dell’asta): dal punto di vista idrodinamico il
rendimento della pala migliora se si utilizzano profili più sottili, anche se tale
effetto positivo viene ridotto dalle maggiori perdite indotte dalle
discontinuità fra le parti. Vale comunque, in generale, che le soluzioni con
supporti sono da preferire quando si vuole aumentare l’affidabilità della
struttura di sostegno del timone, infatti le forze si scaricano su una struttura
portante più ampia ed efficace.
Inoltre, la presenza di una parte fissa (corno o pinna) migliora le
caratteristiche di controllo della rotta perché contribuisce alla stabilità
dinamica della nave. Diverso è invece l’effetto dei supporti durante
un’accostata, infatti l’angolo di attacco sulla parte fissa, a causa della deriva
può diventare opposto a quello impostato sulla pala e, con il flusso che
incide sul dorso nella parte fissa della pala articolata, la portanza si riduce.
D’altro lato, se la parte fissa è molto estesa (per esempio lo skeg su cui sono
fissati i timoni centrali sulle navi bielica), l’effetto che questa ha sulla pala è
quello di ridurre l’angolo di deriva al timone durante l’accostata e così
migliora il funzionamento del timone rispetto al caso in cui esso sia sospeso
lontano dallo scafo.
Prove sperimentali su timoni isolati e investiti da un flusso omogeneo
sempre allineato con l’eventuale parte fissa, hanno mostrato che, a parità di
area totale AR, una superficie completamente mobile realizza una portanza
maggiore rispetto ad una parzialmente mobile, qualsiasi sia la percentuale di
suddivisione tra area mobile AM ed area fissa AF (con AR = AM + AF). In
particolare, tali esperienze, condotte su timoni con avviamento perfetto fra le
parti, mostrano che la portanza, massima quando la superficie è
completamente mobile, diminuisce all’aumentare del rapporto fra AF /AM. In
Tab.3.15.A è riportato, in funzione del rapporto AM /AR, il fattore rL [-] che
esprime il rapporto fra la portanza generata dalla superficie completamente
mobile e quella generata dalla stessa superficie quando è parzialmente
mobile (i valori sono indicativi).
RAPPORTO
fattore rL [-]
TABELLA 3.15.A
AM /AR
0,5
0,6
0,7
0,8
0,9
1,0
0,75
0,85
0,92
0,97
1,0
1,0
Valori del fattore di riduzione della portanza.
Questo profilo, formato da due corpi in cascata, presenta un angolo di
attacco sulla parte prodiera che non è ottimale per la generazione della
portanza perché, per un flusso proveniente nella direzione prora–poppa, è
sempre nullo. Le cose poi non possono che peggiorare quando in accostata si
è in presenza di un angolo di deriva. Come noto, l’effetto della deriva è
quello di ridurre l’angolo di attacco sul timone, e ciò sulla parte fissa si
traduce automaticamente in un angolo di attacco opposto rispetto a quello
della pala.
A ciò si aggiunga che la resistenza indotta aumenta a causa delle zone
di discontinuità, sia per effetto degli interstizi fra la pinna e la pala, sia per
effetto dell’eventuale grado di compenso del timone, che crea un ulteriore
disallineamento fra le parti. In realtà infatti tra dorso e ventre si crea un vaso
di comunicazione, che è sempre più grande all’aumentare dell’angolo di
barra, e di conseguenza si ha una riduzione dei campi di pressione
idrodinamica.
Ma la presenza di una parte fissa davanti al timone non è di per sé un
fatto negativo, infatti l’aggiunta di una parte fissa, avviata con continuità di
fronte all’intero bordo di attacco, ha l’effetto di aumentare l’area della
superficie complessiva di controllo. Prove sperimentali hanno mostrato che
fra un timone di area AM completamente mobile e lo stesso timone di area AM
preceduto da una pinna di area AF, quest’ultimo genera una portanza
maggiore anche se a fronte di una maggiore resistenza. In conclusione, una
volta fissata l’area per esigenze evolutive, si può pensare di posizionare di
fronte alla pala una pinna per migliorare sia la generazione della portanza,
sia il controllo di rotta.
Un caso tipico è quello dei timoni fissati direttamente a carena su uno
skeg, in cui la pala viene a funzionare come un flap dell’intera carena –
ovviamente in queste configurazioni i timoni non possono sfruttare la scia
dell’elica.
Un’alternativa più interessante è quella costituita dal timone su corno,
preferibile sia perché, a parità di area totale AR la parte fissa è più piccola in
quanto si estende per circa metà altezza della campata, sia perché la parte
inferiore della pala non trova davanti a sé alcun ostacolo. A ciò si aggiunga
che il corno è una struttura più tozza e robusta di una pinna e quindi è meno
sollecitata (si pensi alla flessione indotta dalla pala) e più facile da realizzare.
Con la configurazione su corno si ottiene una maggiore portanza rispetto
ad un timone di uguale area totale AR ma su pinna. Per quanto riguarda la
resistenza, diversi sono i fenomeni che la determinano ed è difficile dire se
essa aumenti o diminuisca: da un lato essa aumenta perché risente della
presenza deleteria della zona di discontinuità alla base del corno, dall’altro
essa si ricuce grazie alla diminuzione del disallineamento fra parte mobile e
fissa sia per la minore estensione del supporto, sia per l’avvicinamento
dell’asse di rotazione al bordo di attacco. Complessivamente il rendimento
del timone su corno é migliore di quello su pinna, essendo la pinna più
intrusiva sul funzionamento della pala.
Va osservato che l’asta può essere avvicinata al bordo di attacco della
parte mobile nella zona alta, in quanto la compensazione è realizzata
solamente nella parte inferiore: tali timoni si dicono per questo motivo
timoni semi–compensati.
I timoni navali, se non sono sospesi, sono generalmente su corno, infatti
tra le due configurazioni la seconda presenta i seguenti pregi:
• garantisce migliori doti di controllo della rotta,
• consente di mantenere un favorevole rapporto di forma del profilo,
• possiede una maggiore affidabilità strutturale,
seppure a scapito di un rendimento idrodinamico minore.
Le configurazioni su calcagnolo sono limitate a casi particolari in cui tra
le finalità del progetto vi sia quella di creare un pozzo dell’elica chiuso,
infatti il calcagnolo è di per sé un elemento strutturale delicato che per
aggiunta si trova in una zona estremamente critica.
Poche sono le prove sperimentali disponibili sul comportamento dei
timoni su corno. Fra esse si ricorda un interessante studio condotto da
Goodrich e Molland su una serie di timoni su corno provati in galleria del
vento in condizioni di flusso isolato.
Tali esperienze sono state effettuate su pale in scala, avvicinate ad una
superficie piana, in modo da simulare l’interazione del timone con la volta di
poppa, ed investite da un flusso avente un Numero di Reynolds di poco
superiore ad 1⋅106 allo scopo di ridurre il più possibile l’effetto scala. Le tre
configurazioni studiate sono tutte su corno con pale aventi caratteristiche
geometriche identiche se non per quanto riguarda il rapporto di
rastremazione.
Le prove sono state effettuate, per diversi angoli di deriva al corno (fino
ad un massimo di ±15°), al variare dell’angolo di barra relativo al corno (con
un intervallo costante di 2,5°). Le forze sono state misurate con celle di
carico sia sull’asta di sostegno della pala, sia sulla pala, rendendo disponibili
dati parziali per il contributo delle due superfici, quella fissa e quella mobile.
In un secondo momento, allo scopo di poter confrontare tali contributi
parziali, i coefficienti idrodinamici sono stati calcolati utilizzando come
superficie quella totale (pala + corno).
Tra i risultati significativi delle prove si menzionano i seguenti:
• la portanza generata complessivamente dal timone quando viene
aggiunto il corno aumenta, assieme alla resistenza, purché l’angolo di
attacco sul corno (ossia l’angolo di deriva) si mantenga positivo, infatti
la presenza di un angolo di deriva negativo sul corno, come succede in
accostata, fa diminuire la portanza;
• il centro di pressione risente della presenza del corno, spostandosi in
avanti e verso l’alto quando viene considerata anche la parte fissa
(inoltre il centro di pressione si muove molto al variare dell’angolo di
barra);
• facendo ruotare il corno assieme alla pala si ottiene una portanza
maggiore ed un rendimento maggiore rispetto al caso di pala mobile e
corno fisso;
• la chiusura dei meati fra il dorso ed il ventre della pala fa aumentare il
gradiente di crescita della portanza e fa diminuire la resistenza.
In generale è molto difficile avere a disposizione dati sulle
caratteristiche idrodinamiche dei timoni semi–compensati, di conseguenza è
spesso necessario ripiegare su metodi approssimati. Una via è quella di
calcolare le caratteristiche idrodinamiche di un timone di area uguale e
completamente mobile, salvo poi correggere con un fattore stimato rL la
portanza generata dalla zona alta, che può essere percentualmente valutata
ipotizzando una distribuzione lineare lungo la campata. Inoltre, nel progetto
strutturale si può ricorrere all’assunzione conservativa di considerare la
superficie idrodinamica come se fosse tutta mobile.
Per quanto riguarda la valutazione della posizione del centro di
pressione CP del timone su corno o su pinna, in prima approssimazione si
può supporre che essa corrisponda a quella del timone a superficie
completamente mobile. Ciò comporta che il centro di pressione della sola
parte mobile sia spostato a poppavia, e tale circostanza va tenuta in
considerazione quando ci si appresta a definire il grado di compenso della
pala – riferito ovviamente alla sola parte mobile.
In generale, un timone all movable ha un grado di compenso massimo
compreso fra il 23 % ed il 30 %, in funzione del tipo di profilo e del grado di
instabilità che si vuole accettare. Un timone su pinna o su corno ha
generalmente un grado di compenso minore, compreso fra il 18 % ed il 24
%, per limitare il disallineamento fra parte fissa e parte mobile e, per timoni
su corno, anche per esigenze di robustezza della parte inferiore della pala.
Quando il momento evolutivo generato da una pala non è sufficiente a
conferire alla nave le qualità evolutive richieste, e contemporaneamente non
è possibile aumentare la superficie della pala, l’unica soluzione è quella di
ricercare un profilo con una portanza specifica superiore. Ciò conduce
all’utilizzo di pale con flap di coda.
In tali configurazioni l’avviamento tra i due profili, quello principale e
quello di coda, viene fatto con precisione e la pala si comporta quindi come
se fosse formata da un unico profilo asimmetrico avente la freccia delle
corda variabile, sul quale il flusso incide con un angolo di attacco non nullo
già sul bordo di ingresso. Tale circostanza fa si che alla portanza generata
per effetto dell’angolo di attacco si aggiunga il contributo della freccia del
profilo e ciò assicura valori di portanza che possono essere il doppio di quelli
di pale uguali ma a superficie non articolata. Va però osservato che anche la
resistenza tende ad aumentare, comunque la scelta di un profilo con flap è in
genere dettata da considerazioni di necessità e non dalla ricerca di un basso
rendimento.
Le caratteristiche idrodinamiche del timone con flap dipendono dalla
percentuale di superficie di flap ATF rispetto alla superficie mobile totale, e
dal grado di compenso del flap. In ogni caso la portanza massima con flap è
significativamente maggiore rispetto al caso di superficie completamente
mobile: il massimo guadagno si ha con il rapporto ARF /AR = 0,20.
Il grado di compenso del flap viene generalmente mantenuto basso
anche per non aumentare il disallineamento, mentre il grado di compenso
totale sull’area AR raggiunge valori molto elevati (circa il 45%) poiché il
centro di pressione totale si sposta verso poppavia per effetto della curvatura.
Per questo motivo è conveniente che tali pale abbiano profili con massimo
spessore spostato verso il centro della corda e che non siano presenti
supporti fissi di fronte al bordo di attacco.
Le curve idrodinamiche per questo tipo di pala vengono diagrammate
sia in funzione dell’angolo αTF di inclinazione del flap (angolo relativo al
diametrale della pala), sia in funzione dell’angolo α di attacco del flusso
sulla pala principale. Utilizzando uno dei due angoli come parametro si
possono visualizzare le possibili condizioni di lavoro del timone ed è
interessante al proposito analizzare l’andamento delle curve di portanza:
• la curva per α = 0 mostra la portanza ottenuta con la sola inclinazione
del flap; essa è caratterizzata da un andamento simmetrico rispetto alla
posizione al centro;
• la curva per αTF = 0 mostra la portanza ottenuta con l’inclinazione del
flap in maniera solidale alla pala; essa è caratterizzata da un andamento
simmetrico rispetto alla posizione al centro;
• le curve ottenute con il flap a diversi angoli di inclinazione sono
asimmetriche e appaiono ottenute attraverso traslazioni proporzionali al
valore dell’angolo αTF .
Infine, l’analisi delle curve di resistenza rende palese che la situazione
di minima resistenza è quella che corrisponde alla situazione di flap solidale
alla pala.
Appare perciò evidente che, definendo un’opportuna legge che leghi
l’angolo del flap a quello di barra, legge del tipo αTF(α), si può ottenere una
curva di portanza che ottimizzi il comportamento del profilo in cascata, con
un gradiente di crescita particolarmente alto fino allo stallo.
Proprio per sfruttare questa possibilità e considerando che il timone con
flap a doppio comando richiede un meccanismo complesso e delicato, è stata
ideata una variante nella quale il timone viene realizzato con un meccanismo
piuttosto semplice che lega l’angolo relativo αTF tra il flap e la pala
all’angolo di barra, in modo che il flap assuma un valore prestabilito per
ogni angolo di barra impostato.
Si raggiunge così lo scopo di coniugare la semplicità del sistema di
controllo, limitato all’asta principale, con elevate portanze specifiche, alto
valore del gradiente di crescita della curva di portanza ed un angolo di stallo
invariato. Questi timoni portano il nome dell’inventore e sono noti come
timoni Lumley, furono ideati a metà del secolo scorso (1864) e sono tuttora
prodotti da diverse aziende.
Si ricorda infine che sono stati ideati anche timoni con flap posto sul
bordo d’ingresso, ma tali soluzioni, pur efficaci a migliorare le
caratteristiche della pala, sono da evitare per questioni di sicurezza essendo
il bordo di ingresso della pala soggetto all’impatto con oggetti trasportati dal
flusso che lo lambisce.
3.19 – Il progetto della pala
Il timone deve essere progettato considerando una serie di vincoli progettuali
di diversa natura. Come per ogni altro impianto della nave l’insieme della
pala, dell’asse, delle strutture di supporto, dei cuscinetti e dell’agghiaccio
deve essere progettato in modo da offrire il minor ingombro e il minor peso.
Inoltre, deve essere particolarmente affidabile, poiché la perdita della
capacità di governare rappresenta un serio pericolo per la nave, perciò il
progetto deve essere semplice e ridondante, il che si traduce in una struttura
dalla morfologia non complessa e dimensionata con coefficienti di sicurezza
elevati. Come per ogni prodotto commerciale i costi di produzione ed i
previsti costi di gestione devono essere contenuti.
Il timone deve essere posto all’interno della volta di poppa, ad
opportuna distanza dalla linea di base, dallo specchio di poppa e dall’elica.
La distanza minima dalla linea di base è dettata da esigenze di sicurezza, lo
scopo è di evitare che il timone venga danneggiato da un eventuale incaglio
o durante le operazioni di immissione nel bacino di carenaggio, perciò si fa
in modo che il suo bordo inferiore sia rialzato rispetto alla chiglia di circa
150÷200 mm. Analogamente il timone deve essere rientrante dallo specchio
di poppa per ridurre il rischio di danni e per sfruttare appieno l’effetto
specchio. Infatti, la radice del timone deve essere prossima alla volta di
poppa per sfruttare l’effetto specchio, ma deve stare ad una opportuna
distanza dalla superficie libera, per ridurre gli effetti della ventilazione, oltre
che per evitare che la pala risenta dei colpi di mare o che venga investita da
corpi galleggianti.
La distanza dall’elica deve essere opportunamente calibrata per sfruttare
al massimo l’effetto della scia senza incorrere in vibrazioni eccessive indotte
sul mantello della corrente vorticosa prodotta dall’elica: questo campo
alternato di pressioni può possedere infatti armoniche prossime alle
frequenze naturali della struttura globale della pala o degli elementi
strutturali del mantello. Nel complesso, la trasmissione delle vibrazioni allo
scafo deve essere minimizzata, soprattutto quando queste provocano
problemi di abitabilità (altre vibrazioni o rumore strutturale possono essere
anche indotti dal macchinario di controllo della pala).
Per quanto riguarda la configurazione della pala, dal punto di vista
commerciale i timoni convenzionali sono quelli su cui ricade generalmente la
scelta degli armatori.
Il timone di più semplice costruzione, e quindi meno costoso, è
sicuramente quello a superficie completamente mobile, il vantaggio
economico viene reso però meno attraente dal rischio di carenza di
robustezza dell’asse di controllo. L’asta del timone deve infatti sopportare
forti sollecitazioni flessionali oltre che torsionali e la sua capacità può essere
ridotta da fenomeni di fatica. Non è da trascurare inoltre il rischio dello
sfilamento accidentale del timone nel caso che la nave sia soggetta a
condizioni di mare particolarmente avverse e l’impianto non sia ben
mantenuto. Dal punto di vista idrodinamico è preferibile un timone sospeso
se il rapporto di forma del profilo è tale da garantire una sufficiente
efficienza, ma l’affidabilità del sistema di controllo migliora se è presente un
sostegno aggiuntivo oltre all’asta.
Per questioni di sicurezza, e sulla base delle motivazioni sopra esposte,
sulla maggior parte delle navi mercantili e militari viene preferita la
soluzione su corno, che rappresenta un buon compromesso tra la soluzione
su pinna e quella di timone sospeso.
L’uso del calcagnolo comporta un migliore effetto sgravante per l’asta,
ma introduce all’estrema poppa un elemento strutturale snello e delicato, che
non ha sufficiente robustezza per far fronte a carichi accidentali come quelli
dovuti ad un incaglio. Quest’ultima soluzione non viene usualmente
considerata, se non su navi di piccole dimensioni, infatti quando le forze in
gioco non sono particolarmente elevate il calcagnolo può essere progettato
con una sufficiente sicurezza senza essere eccessivamente appesantito, e può
costituire una protezione per l’elica e il timone, per esempio per i
pescherecci.
Le navi monoelica hanno generalmente un solo timone, a centro nave e
quindi nella scia dell’elica. Le navi bielica possono avere uno o due timoni:
un solo timone dietro lo skeg di carena, e quindi strutturalmente ben
sostenuto, conferisce migliori caratteristiche di controllo della rotta; due
timoni nelle scie delle eliche hanno una migliore efficacia idrodinamica e
conferiscono alla nave migliori doti di manovrabilità, causando però un
aumento della resistenza aggiunta di carena. Si ricorda che per ciascun
timone deve essere definito un piano di riposo di minore resistenza, in
genere inclinato di pochi gradi (1°÷3°) rispetto al piano diametrale della
nave. La maggiore sicurezza derivante dalla ridondanza comporta maggiori
costi che si giustificano, in genere, solo per le navi militari e per le
passeggeri (ma più di recente anche per le grandi navi petroliere).
Per quanto riguarda la scelte delle caratteristiche morfologiche della
pala, valgono le seguenti considerazioni generali:
• profilo – per timoni convenzionali si usano i profili NACA 4–digit; solo
per motivi particolari si utilizzano profili diversi: per evitare l’insorgere
della cavitazione o per ottenere coefficienti di portanza particolarmente
elevati (in tal caso si usano anche pale con flap). Il rapporto di forma
del profilo non deve essere elevato. La lastra piana si utilizza quando
non si è interessati al rendimento del timone.
• allungamento della pala – deve essere il più possibile elevato,
compatibilmente con la dimensione del diametro dell’elica: la parte di
pala al di fuori del disco dell’elica risulta infatti poco efficace. Per
questo motivo il timone può essere collegato alla volta di poppa da una
pinna superiore fissa, avente lo stesso profilo idrodinamico della pala
in modo da mantenere un favorevole allungamento effettivo. Questa
configurazione è sempre auspicabile quando la volta di poppa è poco
profonda rispetto al galleggiamento ed è conveniente quando l’area
necessaria ad ottenere l’effetto evolutivo desiderato può stare tutta a
poppavia del disco dell’elica.
• sviluppo planare – la pala è sempre a spigoli diritti, con una opportuna
correlazione fra rastremazione ed abbattimento. Considerazioni di
economicità costruttiva o di robustezza possono fare optare per pale
rettangolari ad abbattimento nullo. Il rapporto di forma del profilo deve
essere mantenuto costante lungo la campata.
• grado di compenso – deve essere il maggiore possibile per avere
minori spese di funzionamento e di installazione dei macchinari di
agghiaccio (accettando eventualmente anche un certo grado di
instabilità iniziale) ma, per i timoni su corno, compatibilmente con
fattori di robustezza ed efficienza.
Si osservi che l’allungamento del profilo e quello della pala sono fra
loro legati. Il timone verticale viene infatti collocato nella volta di poppa, a
poppavia dell’elica e, per quanto possibile, nella sua scia, perciò può avere
una corda massima pari alla distanza tra l’elica e la volta di poppa, al netto
delle luci necessarie. In direzione verticale l’altezza della volta di poppa ed il
diametro dell’elica sono le dimensioni che obbligano la scelta della campata.
Il terzo elemento fondamentale per la definizione delle caratteristiche
geometriche della pala è costituito dal diametro dell’asta che si collega alla
pala, in genere infatti per ottenere un collegamento avviato è necessario che
la parte superiore della pala sia in grado di alloggiare l’accoppiatoio
dell’asta.
La bontà del progetto del timone di una nave si misura con la capacità
della pala di generare, nell’interazione col flusso d’acqua, la forza necessaria
al controllo della rotta e all’accostata. Più precisamente tale operazione deve
avvenire con un elevato rendimento della pala e, se possibile, con piccoli
angoli di barra per avere una minore usura dell’impianto di manovra.
In genere la scelta del tipo di timone e delle sue caratteristiche deve
basarsi sul profilo di missione della nave, favorendo le esigenze di controllo
della rotta o quelle di manovrabilità in acque ristrette, tenendo in conto
anche l’eventuale presenza di eliche trasversali. La pala deve cioè essere
ottimizzata per il controllo della rotta o per la manovra, ricercando,
nell’intervallo degli angoli di attacco di lavoro, il valore migliore del
rendimento.
In una nave che ha esigenze di stabilità di rotta, la pendenza della curva
di portanza in funzione dell’angolo di barra è essenziale. Va quindi preferito
un timone con un alto allungamento anche se lo stallo interviene prima
dll’angolo di barra massimo. Se invece la nave fa un servizio tipo feeder, la
manovrabilità è una qualità più importante e il valor della forza utile
massima è più significativo e quindi è più accettabile un basso allungamento
che non rischi di dare origine ad una situazione di stallo quando il timone
lavora in fase di yaw checking.
Il procedimento di progetto è un processo iterativo di ottimizzazione
che prevede le seguenti fasi:
• la scelta dell’area totale del timone in base al confronto con navi simili;
• la definizione delle condizioni di lavoro e dei vincoli dimensionali, e
conseguentemente della massima area disponibile per la pala;
• la scelta della tipologia di timone, del profilo e dello sviluppo planare
(se l’area disponibile per la pala è sufficiente si considera un timone
convenzionale);
• il calcolo della forza idrodinamica trasversale FT generata dalla pala al
variare dell’angolo, caratterizzata essenzialmente dal gradiente di
crescita ai bassi angoli (∂FT /∂α)α = 0 [N/grado] e dal valore massimo
FT,max [N];
• la valutazione del valore minimo YO [N] della forza trasversale di
controllo Y [N] richiesta per avere buone doti di evoluzione della nave
nelle più gravose condizioni di navigazione previste (la forza Y non è
altro che la forza richiesta per generare il momento evolutivo che
soddisfa ai criteri di manovrabilità), e la valutazione del minimo
gradiente di crescita delle forze di controllo (∂Y /∂α)α = 0, utile per
quantificare l’efficacia del timone nelle manovre di correzione della
rotta;
• la verifica delle forze di controllo in termini sia di valori massimi, sia
di gradienti di crescita:
FT,max ≥ YO
 ∂FT 
 ∂Y 


 ≥
 ∂α α = 0  ∂α α = 0
[N]
(3.16.A)
[N/grado]
(3.16.B)
Come indicato nello schema del procedimento, il parametro con cui
viene tarato il progetto è l’area della pala, essa rappresenta infatti la
caratteristica da cui il progetto è maggiormente influenzato.
Il metodo di previsione approssimata dell’area della pala si basa sul
confronto con navi della stessa tipologia (per esempio portacontenitori,
cisterne, bulk carriers) e quindi simili per carena, forma della volta di poppa,
caratteristiche dell’elica, velocità ed esigenze evolutive, oltre che per
tipologia di pala.
Allo scopo di favorire la definizione dell’area del timone, i dati sulle
navi esistenti sono stati raccolti in diagrammi o tabulati, esprimendo AR in
funzione di un parametro ad essa strettamente legato: l’area del piano di
deriva della nave APD [m2]. Essendo un dato di valutazione non immediata,
può essere calcolato con buona approssimazione come prodotto fra
l’immersione di progetto T [m] e la lunghezza della nave tra le
perpendicolari LPP [m], perciò APD ≈ LPP T.
Generalmente, per navi mercantili, AR non supera il valore di 1,5÷2,5%
dell’area del piano di deriva. Si vedano ad esempio le formule proposte dai
registri di classificazione, e tra queste la formula proposta dal DNV:
AR =
2
 B  
TL 
1 + 25 
 
LPP  
100 



[m2]
(3.16.C)
la quale introduce come fattore correttivo il rapporto B/LPP fra la larghezza B
e la lunghezza LPP della nave, rapporto che, diminuendo per navi veloci,
riduce il valore dell’area minima prevista. Si osservi infatti che, per navi
della stessa tipologia, l’area del timone deve aumentare in maniera
inversamente proporzionale alla massima velocità di servizio prevista.
Questa formula è valida per timoni posti nel flusso dell’elica, in caso
contrario il DNV propone una maggiorazione dell’area del 30%.
Nota l’area, il progetto prosegue con la definizione dell’ingombro
massimo, nel rispetto delle minime luci dallo scafo e dall’elica. Si osservi
che la distanza minima consigliata dal Lloyd Register tra elica e pala è pari
al valore del 12% del diametro dell’elica, e almeno una volta lo spessore
massimo tM del timone. Si può quindi scegliere la lunghezza della campata e
successivamente si può valutare la lunghezza della corda. Dall’allungamento
geometrico si risale infine al valore dell’allungamento effettivo.
Si passa poi alla scelta del minimo rapporto di forma del profilo, previo
dimensionamento dell’asta con formule esatte o approssimate (quali quelle
dei Registri di classificazione), utilizzando per il profilo la legge che si
ritiene più opportuna e dopo aver definito il tipo di supporto della pala, il suo
sviluppo planare ed il grado di compenso del timone. Si osservi che il
diametro minimo così calcolato è tale da verificare le normative, esso
rappresenta infatti quello previsto dal Registro e non quello calcolato sui
carichi valutati per via diretta.
Una volta che sono state fissate tutte le caratteristiche morfologiche
della pala, il calcolo delle forze idrodinamiche viene svolto utilizzando i
coefficienti idrodinamici di pala, corretti per la presenza della carena e
dell’elica, oppure i coefficienti idrodinamici di profilo, corretti anche per
tenere conto dell’allungamento effettivo.
La forza trasversale utile, generata dal timone al variare dell’angolo di
barra, deve essere ora confrontata con il valore della forza minima necessaria
al controllo della nave nel rispetto delle qualità manovriere richieste dalle
normative. Tale confronto di verifica viene effettuato in due fasi:
• il valore massimo della forza trasversale utile (FT)max deve risultare
maggiore della forza minima YO necessaria per generare l’accostata
della nave, desunta da prove di evoluzione (e di zig–zag) effettuate su
navi simili.
• il gradiente medio della forza evolutiva sviluppata dalla pala per piccoli
valori d’angolo di barra (ossia per α ≤ 5°÷10°) deve risultare superiore
al tasso minimo di crescita necessario a generare forze di controllo
adeguate per il controllo della rotta.
Tale via è difficilmente percorribile a causa delle difficoltà correlate al
reperimento di dati attendibili (anche per l’imprecisione dei modelli di
previsione) relativi alle forze evolutive Y necessarie per garantire una buona
manovrabilità nei rispetti delle normative vigenti.
Un metodo alternativo a questa doppia verifica diretta è quello che fa
riferimento al cosiddetto coefficiente di efficacia del timone cY [-], definito
come:
 ∂L 


 ∂α α = 0
cY =
q APD
[m2]
(3.16.C)
in cui q è valutato sulla base della velocità VA. Esso, come si vedrà oltre,
ingloba i termini essenziali per la determinazione delle caratteristiche di
manovrabilità offerte dal timone.
Per esprimere il coefficiente di efficacia del timone in maniera più
esplicita è necessario evidenziare le grandezze da cui dipende la forza di
portanza. A tale scopo si consideri un timone con parte della superficie di
pala, di area ARE, esposta al flusso dell’elica. La velocità media del flusso su
tale area risulta espressa dall’Eq.3.5.C, mentre la velocità del flusso sull’area
rimanente, indicata come (AR – ARE), si valuta con l’Eq.3.4.A:
VR
ARE
= VA 1 + km ( CT + 1 − 1) 
[m/s]
VR
( AR − ARE )
(3.16.D)
= VA
Richiamando l’espressione della portanza L in funzione del coefficiente di
portanza cL e considerando separatamente i contributi della superficie nel
flusso della carena e di quella nel flusso dell’elica, si può scrivere:
1
ρVR2 AR cL
2


1
= ρ cL  VR2
ARE + VR2
AR − ARE ) 
(
A
( AR − ARE )
2
RE


L=
[N]
(3.16.E)
e sostituendo le relazioni per la velocità in Eq.3.16.D, si ottiene
l’espressione:
L=
(
)
2
 A

1
ρVA2 AR cL 1 + RE  1 + km ( CT + 1 − 1) − 1 

2
AR 

[N]
(3.16.F)
in cui si può indicare con KE [-] il fattore di correzione della velocità del
flusso che raccoglie gli effetti della presenza dell’elica:
KE = 1 +
(
ARE 
1 + km ( CT + 1 − 1)
AR 
)
2
− 1

[-]
(3.16.G)
Infine, utilizzando le espressioni 3.16.F e 3.16.G il coefficiente di
efficacia del timone si può riscrivere come:
cY =
AR
 ∂c 
KE  L 
APD
 ∂α α = 0
[-]
(3.16.H)
dalla quale risulta evidente che il coefficiente cY riunisce i parametri
principali per il progetto della pala, ossia:
• l’area della superficie della pala (espressa in proporzione all’area del
piano di deriva), che rende conto della forza massima di controllo
sviluppabile dal timone;
• il gradiente delle forze specifiche di controllo (espresso tramite il
coefficiente di portanza che ben si presta ad approssimare il
coefficiente della forza normale), che rende conto della velocità di
risposta del timone in termini di generazione della forza per il controllo
della rotta;
ai quali si aggiunge il fattore KE che introduce le correzioni necessarie per
considerare l’effetto dell’elica nella generazione di dette forze.
Riguardo al gradiente di crescita delle forze va detto che esso serve a
garantire un controllo veloce della rotta. Infatti, se sono sufficienti piccoli
angoli di barra per ottenere le forze volute si ha il vantaggio di dover
manovrare poco il timone e di generare tali forze in intervalli di tempo
minori. Si ricorda che la velocità del timone è testata nel cosiddetto hard
rudder test.
Il percorso standardizzato che si basa sulla definizione del coefficiente
di efficacia del timone prevede di confrontare il cY calcolato con il valore
minimo cYO che, desunto da prove al vero su navi simili, garantisce alla nave
le doti di manovrabilità richieste.
I risultati delle prove per la valutazione di detto indice sono espressi in
funzione dei parametri significativi della nave ai fini delle qualità
manovriere. Tra i più importanti si menzionano: la massima velocità di
servizio della nave VS, il coefficiente di finezza cB, il rapporto LPP/T ed il
rapporto i/L (si rammenta che i [m] esprime il raggio di girazione di massa
calcolato rispetto all’asse baricentrico verticale). Inoltre, quando la nave ha
una superficie di vela AL [m2] molto elevata, il valore di verifica cYO è quello
ottenuto da prove condotte in presenza di vento costante a diverse velocità,
ed ai parametri significativi si aggiunge il rapporto AL/APD tra l’area
longitudinale esposta al vento e l’area del piano di deriva.
In ultima analisi, quando non sono disponibili né i valori delle forze di
manovra Y, né il valore del minimo coefficiente di efficacia del timone cYO,
non rimane che soprassedere alla fase di verifica, e la bontà del progetto
rimane condizionata essenzialmente dalla scelta dell’area della pala AR: per
questo motivo, almeno in tali casi, è necessario che i dati tramite i quali si
opera la scelta dell’area di pala siano estremamente affidabili.
3.20 – La configurazione strutturale
Per descrivere la configurazione strutturale del timone, comprensiva degli
elementi di sostegno e controllo, è utile fare innanzitutto riferimento ad una
configurazione semplice come quella utilizzata nelle prime navi in acciaio.
Si tratta di una pala a semplice lastra piana, sostenuta da braccioli
orizzontali che possono essere posti alternativamente da un lato e dall’altro e
che sono fissati ad un sostegno verticale allineato al bordo di ingresso della
pala. Tale sostegno, detto fusto o spalla, è collegato tramite cerniere al dritto
di poppa, ove i cardini, detti agugliotti, sono costituiti da perni che ad una
estremità hanno una sezione tronco–conica allo scopo di essere bloccati al
fusto stesso o al dritto. All’altra estremità essi ruotano in alloggiamenti
cilindrici, detti femminelle. L’ultima femminella in basso può essere ricavata
nel prolungamento del calcagnolo, la struttura inferiore di chiusura del pozzo
dell’elica.
La rotazione del timone avviene per azione dell’asta o miccia collegata,
a poppavia dell’asse di rotazione, alla radice della pala con una flangia
verticale od orizzontale o con un accoppiatoio a parelle. Il sistema
complessivo è perciò formato dall’asta e dalla pala che è sostenuta dal dritto
di poppa tramite gli agugliotti. Esso per poter ruotare richiede ovviamente
che l’asse dell’asta e l’asse degli agugliotti siano coincidenti.
La configurazione di pala finora descritta è quella di pala a semplice
lamiera, usata al giorno d’oggi solo su piccole imbarcazioni. La pala del
timone di una moderna nave è infatti carenata, formata cioè da un mantello
di fasciame stagno adagiato su una struttura interna di supporto.
Inizialmente la struttura interna di sostegno del mantello ed il fusto
costituivano un unico telaio, ottenuto per fusione. Ora il fusto non ha più
ragione di essere presente poiché la pala è a struttura portante, costituita da
diaframmi in lamiera, orizzontali e verticali, disposti cioè in modo da
formare un grigliato. Essi devono essere allineati con le strutture di supporto
della pala, sia l’asta sia l’eventuale corno, e devono essere disposti in modo
da suddividere il mantello in pannelli di opportune dimensioni
(indicativamente fra 600 mm e 900 mm, in funzione della dimensione della
pala) e, quando possibile, di allungamento unitario. Il diaframma verticale
posto in continuazione dell’asta deve essere particolarmente robusto e può
essere eventualmente raddoppiato. I diaframmi orizzontali estremi sono
anche detti coperchi. Infine, il bordo di uscita può essere ottenuto saldando
uno sull’altro gli spigoli dei due semi–mantelli, oppure inserendo tra le due
lamiere una lama.
I mantelli vengono collegati ai diaframmi con saldature che solo su un
lato possono essere fatte dall’interno: la saldatura del secondo lato del
mantello viene effettuata dall’esterno con il sistema delle asole. In pratica,
sui diaframmi vengono saldate delle piattabande in corrispondenza delle
quali sul mantello vengono praticati dei fori: il collegamento del mantello
viene fatto tramite cordoni di saldatura stesi tra lo spessore del mantello
stesso e le piattabande. Invece di essere forato per ricavare delle asole, il
mantello può essere tagliato in più pannelli in corrispondenza delle
piattabande (sistema ad asola continua). In alternativa i diaframmi possono
essere lavorati, su un lato, in modo da presentare degli occhielli sporgenti, in
corrispondenza dei quali devono corrispondere le asole del mantello: la
saldatura viene effettuata in maniera analoga e successivamente gli occhielli,
che servono per forzare con dei cunei il mantello sui diaframmi, vengono
tagliati.
Sul mantello si possono individuare alcuni particolari, quali i fori di
aleggio, i portelli per l’ispezione e lo smontaggio degli agugliotti o dell’asta,
i fori di sollevamento. Inoltre, sul coperchio superiore ed a scafo sono fissati
degli scontri di fine corsa per limitare l’angolo di barra del timone, a meno
che l’agghiaccio non sia dotato di un proprio dispositivo di fine corsa. In
alternativa, per i timoni su corno, gli scontri, compreso quello per evitare il
sollevamento, possono essere previsti alla base del corno.
Sul grigliato vengono saldati gli accoppiatoi tronco–conici per gli
agugliotti e per l’asta (o la flangia per l’asta). Questi elementi, ottenuti per
fusione, portano delle alette per il collegamento di testa delle lamiere dei
diaframmi e sono eventualmente sagomati in modo da partecipare alla
definizione della superficie avviata della pala (il loro ingombro trasversale è
di circa 1,75 volte il diametro dell’asta). L’accoppiamento fra l’asta e la pala
viene effettuato con sistemi oleodinamici, sia per il serraggio dei dadi, sia
per la forzatura dell’asta entro l’accoppiatoio tronco–conico.
L’asta di comando del timone entra a scafo attraverso un’apertura detta
losca, un’appendice negativa di carena costituita da un volume non stagno
ricavato entro l’avviamento del fasciame della volta di poppa. Il passaggio
stagno dell’asta è garantito da un cuscinetto radiale munito di guarnizione a
pressatrecce. Il pressatrecce è costituito da una serie di anelli di guarnizione
intrisi di grasso, un tempo canapa oggigiorno anche fibre sintetiche, posti fra
l’asta e il cuscinetto e tenuti in posizione da due semi–anelli fissati al
cuscinetto con viti prigioniere.
L’asta prosegue poi fino al ponte che ospita l’impianto di timoneria o
agghiaccio, ove è sostenuta da un cuscinetto radiale e da uno assiale (il
reggispinta) che regge, oltre al peso dell’asta, anche quello della pala. La
forza verticale è costituita dal peso proprio del timone ridotto della spinta
archimedea sulle parti immerse e può essere aumentata o diminuita
dall’effetto delle forze inerziali. Il cuscinetto assiale viene anche detto
capodrina e deve essere corredato da uno scontro per impedire il
sollevamento del timone quando prevalgono le forze verso l’alto. In alcune
sistemazioni particolari i cuscinetti di losca e di agghiaccio possono essere
sostituiti da due cuscinetti in unico lungo astuccio, munito inferiormente di
guarnizione stagna. Infine, all’estremità superiore dell’asta è calettata la
barra di comando, sulla quale agiscono gli attuatori dell’agghiaccio.
L’asta è in acciaio, ottenuta per fucinatura, laminazione o fusione, e
presenta una sezione circolare costante, eventualmente rastremata tra i
cuscinetti di losca e di agghiaccio, zona nella quale il momento flettente è
generalmente basso.
I cuscinetti radiali sono formati da una boccola calettata nella camicia
saldata su una struttura di supporto e hanno un’altezza massima pari a circa
1,0÷1,2 volte il diametro dell’asta poiché non devono interferire con
quest’ultima quando si flette sotto l’azione del carico. Essi sono del tipo a
strisciamento e l’usura è contrastata da una piccola quantità di lubrificante,
generalmente grasso ma anche acqua di mare. Ciò è reso possibile dal fatto
che su di essi in genere si realizzano valori di pressione e di velocità relative
non elevati.
La pressione convenzionale p agente su un cuscinetto radiale è definita
come il rapporto tra la forza radiale scaricata sul cuscinetto e l’area della
superficie cilindrica del cuscinetto proiettata sul piano contenente l’asse, in
altre parole l’area ottenuta dal prodotto tra l’altezza del cuscinetto ed il suo
diametro.
In luogo del prodotto fra pressione e velocità relativa (indicato
usualmente con la sigla PV), trattandosi di sistemazioni con basse velocità
relative tra l’albero e il cuscinetto, la scelta del materiale viene fatta
confrontando la massima pressione ammissibile con quella prevista
(quest’ultima è nota una volta che è stata valutata la reazione vincolare che
matura sul cuscinetto di supporto). Per le boccole nelle quali deve strisciare
l’albero si utilizzano perciò materiali che necessitano di una minima
lubrificazione. Il cuscinetto assiale è anch’esso del tipo a strisciamento (ma
può anche essere a rulli su piccole imbarcazioni).
Un tempo i cuscinetti erano anche formati da un corona di doghe in
legno duro (legno santo o lignum vitae) alloggiate in una camicia di bronzo.
Anche l’asta aveva una camicia in bronzo o in ottone, la lubrificazione era
ottenuta con acqua di mare ed il bronzo era inserito per evitare problemi di
corrosione dell’acqua sull’acciaio.
Un buon materiale per i cuscinetti dei timoni deve possedere in generale
basso coefficiente di attrito statico e dinamico, durezza sufficiente, buona
resistenza all’usura e alta resistenza all’ambiente corrosivo marino e
stabilità di prestazioni anche a basse temperature. È inoltre preferibile che il
materiale abbia buone caratteristiche di auto–lubrificazione in modo da non
dover installare impianti di lubrificazione ad olio.
Nelle nuove costruzioni i cuscinetti possono avere boccole in metallo
bianco (lega antifrizione di rame, stagno, piombo e antimonio) oppure in
materiali sintetici. Tra queste si ricordano, in ordine crescente di durezza – e
quindi di capacità di sopportare carico radiale – i policarbonati, il Nylon, il
PTFE (Teflon) e le resine fenoliche. Altri materiali usati sono quelli metallici.
Il legno ed il metallo bianco sopportano pressioni di lavoro piuttosto
basse, pari a 2,5 N/mm2 per il legno santo ed in 4,5 N/mm2 per il metallo
bianco lubrificato ad olio. Va osservato che la lubrificazione ad olio su
boccola in metallo bianco è preferibile laddove vi sia una velocità relativa di
rotazione pressoché costante perché in tal modo si dà la possibilità all’olio di
formare una sottile pellicola fra le parti in movimento reciproco. Nel caso
del timone, dal momento che la rotazione è non è continua e spesso si inverte
fra un azionamento e l’altro, questa soluzione non porta in genere alcun
vantaggio, richiedendo altresì un impianto di riempimento e circolazione
dell’olio.
Per quanto riguarda le resine sintetiche, si considerano adeguati all’uso
quei materiali che garantiscano pressioni di contatto ammissibili di almeno
5,5 N/mm2 e che abbiano nel contempo durezze “Shore D” pari ad almeno
60÷70.
I materiali sintetici soffrono, rispetto a quelli metallici, di limitazioni
nelle temperature di utilizzo, di minore stabilità dimensionale e di minor
capacità di carico (hanno cioè pressioni convenzionali limite più basse),
d’altro lato sono però più economici. Fra questi il più utilizzato è il PTFE che
è auto–lubrificante, ha un coefficiente di frizione eccezionalmente basso, una
buona resistenza agli attacchi chimici e stabilità in un ampio intervallo di
temperature (fino a circa 250°C) ma per contro ha una bassa resistenza
meccanica (circa 4,5 N/mm2). Per questo motivo si ricorre a materiali
compositi con PTFE:
• PTFE caricato – viene addizionato con altri materiali, fibra di vetro,
carbone o grafite in forma di polveri, allo scopo di aumentare la
resistenza meccanica, ottenendo così pressioni limite di esercizio di
circa 11,0 N/mm2. In alternativa il PTFE costituisce un legante per
materiali metallici porosi (come per esempio il bronzo) permettendo di
costruire cuscinetti con uno strato superficiale a bassa frizione (si
osservi che il supporto in bronzo ha lo scopo di migliorare le
caratteristiche meccaniche e di favorire l’asportazione di calore).
• tessuto di PTFE – nella forma di tessuto è in grado di sostenere carichi
elevati e può essere intrecciato con fibre naturali o sintetiche o ancora
con fibra di vetro; in questa forma viene sostenuto da una camicia di
acciaio. Le pressioni limite di esercizio sono in questi casi ancora più
elevate.
Anche il Nylon viene usato per fabbricare boccole per cuscinetti: è
auto–lubrificante, ha un basso coefficiente d’attrito, la resistenza meccanica
assieme alla resistenza all’usura vengono migliorate con additivi ma le
temperature massime di esercizio rimangono basse (circa 90°C). Al giorno
d’oggi il Nylon è usato in luogo del PTFE caricato quando le temperature di
esercizio non sono alte e va a sostituire i cuscinetti fatti da fibre naturali o
sintetiche annegate in matrice fenolica, che, pur economici, sono però
caratterizzati da una bassa conducibilità termica e necessitano di
lubrificazione ad olio.
Quando le pressioni di esercizio sono alte, ossia per timoni di grandi
dimensioni, le boccole possono essere costituite da bronzo, acciaio
inossidabile (o acciaio resistente all’usura) o infine da materiali ottenuti per
sinterizzazione. Nel complesso questi materiali sono ritenuti adatti
all’utilizzo nei cuscinetti dei timoni se la loro pressione convenzionale
massima è di almeno 7,0 N/mm2.
La sinterizzazione è un procedimento della metallurgia delle polveri con
il quale si ottiene un intimo legame fra componenti diversi tramite una
specie di pressatura a caldo. Con questo procedimento si ottiene una struttura
molto porosa, i vuoti arrivano infatti al 10÷35 % del volume totale, che può
assorbire e trattenere il lubrificante per azione capillare.
I materiali di sinterizzazione per la costruzione di cuscinetti sono a base
di bronzo o di ferro. In particolare, il bronzo (90% rame, 10% stagno) si
presta alla produzione di cuscinetti che hanno buona resistenza alla
corrosione ed all’usura e l’aggiunta di grafite riduce il fattore d’attrito.
Per quanto riguarda le guarnizioni si usano sia fibre naturali (canapa
sativa), sia materiali sintetici. Fra questi si rammentano le trecce formate da
fili in PTFE che hanno elevata resistenza agli agenti chimici, alta resistenza
meccanica e qualità antifrizione elevatissime (non necessitano infatti di
lubrificazione).
Si osservi che se il cuscinetto non è auto–lubrificante (e quindi non è
sufficiente la presenza di acqua di mare o di grasso) allora anche all’esterno
va posta una tenuta per evitare che l’acqua di mare si misceli con l’olio di
lubrificazione.
L’asta e gli agugliotti vengono superficialmente rinforzati in
corrispondenza dell’accoppiamento con i cuscinetti radiali per proteggerli, a
scapito dei cuscinetti, dai danni causati dall’usura. In genere è previsto un
indurimento superficiale ottenuto con procedimento di cementazione o di
nitrurazione, oppure anche una camicia o un riporto in acciaio inossidabile
(l’indurimento della superficie di contatto è indispensabile quando si usano
boccole metalliche).
Il momento resistente di frizione sull’asta viene calcolato come:
QF =
1
DA µF FR
2
[Nm]
(3.17.A)
dove DA [m] è il diametro dell’asta, µF [-] il coefficiente d’attrito – i cui
valori possono essere assunti in base alle indicazioni dei Registri – ed FR [N]
la forza radiale applicata sul cuscinetto. Ovviamente il momento di controllo
agente sull’asta deve vincere anche un simile momento d’attrito generato su
ogni accoppiamento fra agugliotto e femminella.
Nel caso dei timoni Simplex ad agugliotto passante, questo agugliotto
appoggia su due cuscinetti interni alla pala, posti alle estremità della stessa, e
la struttura a grigliato viene a modificarsi inglobando un rinforzo tubolare
entro il quale passa appunto l’agugliotto continuo.
Per concludere, le strutture del corno, della pinna e del calcagnolo
hanno una configurazione simile a quella della pala, ossia un supporto
interno fatto da un grigliato di lamiere saldate o da un telaio fucinato. La
struttura di ancoraggio a scafo è rinforzata sia in corrispondenza del corno,
sia in prossimità dei supporti per i cuscinetti.
3.21 – Il progetto strutturale
Il sistema strutturale complessivo del timone è formato dalla pala – sorretta
eventualmente dagli agugliotti del corno e del calcagnolo – e dall’asta,
sorretta a sua volta dai cuscinetti di losca e di agghiaccio. L’insieme dell’asta
e della pala può essere trattato come una struttura unica poiché il
collegamento fra le due parti è ottenuto con un accoppiamento rigido che
garantisce l’effetto di incastro perfetto fra le due parti.
Il progetto della struttura del timone e dei suoi elementi di sostegno
consiste nel dimensionamento delle varie parti sollecitate dall’azione delle
forze idrodinamiche, della forza peso e del momento di controllo esercitato
dalla timoneria, oltre che dall’azione delle forze di attrito sulle parti in
movimento reciproco. Si tratta in pratica di valutare le forze reciprocamente
scambiate fra le diverse parti e successivamente di verificare che esse
resistano agli sforzi che ivi maturano. In sintesi gli elementi da dimensionare
sono:
• la pala (rudder blade), formata da mantello e diaframmi,
• l’asta (rudder stock),
• gli accoppiatoi (rudder stock couplings), gli agugliotti (pintles) ed i
cuscinetti (bearings),
• le strutture di sostegno, quali il corno (horn) o il calcagnolo (solepiece),
ivi compresi gli ancoraggi entro scafo.
Tra queste parti, il maggior interesse deve essere rivolto agli elementi più
critici del sistema, ossia l’asta e la pala – e come noto il primo elemento ad
essere dimensionato è proprio l’asta.
Il modello strutturale per il progetto dell’asta può essere definito tramite
un sistema di travi rettilinee, ovvero una trave a più campate, in cui la pala
stessa è rappresentata da un elemento mono–dimensionale a comportamento
equivalente ai fini della flessione. In tale configurazione il carico distribuito
sulla lunghezza della pala viene equilibrato sia dagli appoggi fissi o cedevoli
offerti dai cuscinetti (che esercitano forze di reazione vincolare radiali o
assiali), sia dal macchinario d’agghiaccio (che esercita il momento torcente
di controllo).
La determinazione delle reazioni vincolari e delle caratteristiche di
sollecitazione sul sistema di travi richiede in genere l’utilizzo di metodi di
risoluzione specifici per le strutture iperstatiche, che possono essere analitici,
e in tal caso può essere applicato il metodo dei quattro momenti oppure
quello iterativo noto come metodo di Cross, oppure numerici (calcolo agli
Elementi Finiti).
Si ricorda che le forze idrodinamiche generate dalla pala vengono
trattate con riferimento alla risultante F applicata sul centro di pressione CP
ed inclinata dell’angolo ϕ rispetto al piano normale alla pala. Per valutare lo
stato di sollecitazione, il sistema appena descritto viene ridotto ad un sistema
equivalente traslando la forza F sull’asse di rotazione ed aggiungendo il
momento torcente di trasporto Q. Trascurando la distanza fra l’asse di
rotazione e quello baricentrico, si applica la teoria della trave ideale di De
Saint–Venant (trave con carico e vincoli agenti sull’asse baricentrico).
È quindi chiaro che, per quanto riguarda lo stato di sollecitazione, il
sistema sperimenta una sollecitazione di flessione deviata composta
(momento flettente in presenza di taglio) causata da F, ed una torsione
causata da Q. Trattandosi di strutture snelle, la sollecitazione derivante dal
momento flettente è quella dominante, a meno che l’asta non venga
opportunamente sgravata dal flettente – per esempio irrigidendo la pala con
un fusto disaccoppiato dall’asta, o con un agugliotto passante, o ancora con
più appoggi ravvicinati –, in tal caso rimane la sola torsione, che comunque è
sempre presente. Un altro caso particolare è quello in cui anche la
sollecitazione da taglio può essere elevata, si tratta della configurazione in
cui i cuscinetti sono molto vicini ed esercitano elevate forze radiali.
Il calcolo delle forze agenti sul sistema equivalente di travi richiede
qualche osservazione. Infatti, la forza F ha una componente normale ed una
assiale rispetto alla pala, e ciò comporta una flessione deviata. D’altro lato la
componente assiale, dello stesso ordine di grandezza rispetto a quella
normale, lavora sul piano di massima inerzia della pala e perciò induce uno
stato di sollecitazione molto più basso rispetto alla prima.
Ciò comporta la possibilità di definire un approccio approssimato nel
quale la componente assiale venga trascurata, oppure, in alternativa, venga
annullata facendo ruotare la forza F dell’angolo –ϕ. In ciascuno dei due
modi il calcolo viene semplificato dovendo trattare una flessione retta che si
manifesta con asse coniugato coincidente con l’asse di simmetria della pala –
questo piano coincide con quello di minima inerzia e la verifica si configura
quindi come una verifica dalla parte della sicurezza.
Inoltre, per riprodurre con fedeltà il sistema strutturale, sul modello di
travi equivalenti la forza idrodinamica F va distribuita lungo la campata. In
questo modo si definisce un carico per unità di lunghezza q(x) [N/m] che
dovrebbe essere distribuito con legge pressoché ellittica, ma che in pratica
viene ridotto ad una distribuzione lineare con risultante sul baricentro
dell’area della pala. Per una pala rettangolare si ha semplicemente q = F / b.
3.22 – Il modello per lo studio dell’asta
La definizione del modello strutturale per il calcolo analitico richiede la
valutazione delle caratteristiche delle singole travi componenti – l’asta e la
pala –, in termini sia di lunghezze efficaci, sia di sezioni resistenti. La
conoscenza di questi dati permette infatti di valutare i momenti d’inerzia
rispetto all’asse neutro e conseguentemente le rigidezze flessionali delle travi
tramite le quali si possono poi valutare i moduli di resistenza per la
successiva verifica delle sollecitazioni. Si osservi che, sia per quanto
riguarda la torsione, sia per la flessione, l’elemento critico è l’asta.
La sezione resistente dell’asta è una sezione circolare piena, avente
momento d’inerzia JA [m4] rispetto all’asse neutro pari a:
4
JA =
π  DA 


4 2 
[m4]
(3.19.A)
[m4]
(3.19.B)
e momento polare JO [m4] pari a:
4
π D 
JO = 2 J A =  A 
2 2 
La sezione resistente della pala è costituita dagli elementi strutturali a
elevato sviluppo longitudinale, ossia dal mantello e dai diaframmi verticali.
Il calcolo della rigidezza flessionale della pala viene svolto usualmente per
mezzo di un modello geometrico semplificato ottenuto rettificando la curva
del mantello. Perciò per il generico i–esimo tratto rettificato di spessore ti
[mm], lunghezza li [mm] ed inclinazione θi [°] rispetto al diametrale della
pala, il momento d’inerzia baricentrico JPi [m4] rispetto all’asse parallelo
all’asse diametrale della pala (asse diametrale che costituisce, come si vedrà
più avanti, l’asse neutro della pala) vale:
J Pi =
2
2
1 3
1
ti li ( cosθ i ) + li3ti ( sin θ i )
12
12
[m4]
(3.19.C)
e il momento d’inerzia della pala complessiva è dato dalla somma dei
momenti d’inerzia propri e di trasporto dei singoli elementi di lamiera:
J P = 2 ∑ ( J Pi + li ti di2 )
n
[m4]
(3.19.D)
i =1
in cui di rappresenta la distanza del baricentro di ogni elementino dall’asse
diametrale della pala e con n si è indicato il numero totale di elementi
rettilinei con cui si sono definiti il mantello e i diaframmi relativamente alla
struttura che sta da un lato del piano diametrale della pala (da qui il fattore 2
per ottenere il momento d’inerzia complessivo).
La pala formata da una semplice lamiera consente una modellazione più
diretta della trave equivalente, è infatti sufficiente considerare la sezione
resistente formata da pala e fusto.
Per quanto riguarda i vincoli, i cuscinetti radiali di supporto dell’asta
vengono considerati dei semplici appoggi, trascurando la loro estensione
longitudinale sia per sicurezza, sia per creare un modello più aderente alla
realtà, in quanto l’effetto incastrante è generalmente ridotto. Infatti, i
cuscinetti devono essere di altezza limitata per non interferire con l’asta in
flessione (per lo stesso motivo la rigidezza flessionale dell’asta deve essere
controllata, soprattutto quando si usano acciai ad elevata resistenza).
Parallelamente, le cerniere formate da agugliotti e femminelle vanno
considerate come semplici appoggi, eventualmente cedevoli sotto l’azione
delle forze indotte dal timone. In questi casi il vincolo deve essere
considerato elasticamente cedevole e deve essere opportunamente valutata la
rigidezza alla traslazione: è questo il caso dei cuscinetti di appoggio della
pala sul corno, sulla pinna e sul calcagnolo.
Le rigidezze del calcagnolo e del corno vengono usualmente calcolate
con modelli a travi a sezione costante considerando l’effetto della sola
componente trasversale della forza ivi scaricata. Tali supporti cedevoli
comportano una deformazione del sistema che non è necessariamente piana,
infatti da una parte i supporti si deformano trasversalmente al diametrale
della nave mentre la pala tende a deformarsi ortogonalmente al suo piano
diametrale. Per risolvere il sistema in maniera analitica si accetta quindi
l’ipotesi semplificativa di cedimenti paralleli tra loro e normali al piano
diametrale della pala. Ciò comporta un’ulteriore approssimazione nel calcolo
delle rigidezze dei supporti.
Poiché, in generale, il modello può essere a travi con sezione variabile
lungo la campata, si devono utilizzare i metodi risolutivi specifici per travi a
sezione variabile o, in alternativa, si può applicare l’ipotesi della “falsa
posizione” per creare campate fittizie a sezione costante. Tale situazione si
verifica per esempio quando il cuscinetto di losca è lontano dalla radice della
pala oppure quando la pala ha una geometria fortemente variabile lungo la
campata, mentre in genere viene trascurata la rastremazione dell’asta tra
agghiaccio e losca.
L’ipotesi della falsa posizione si applica quando una campata è formata
da una trave che per un certo tratto ha una sezione costante e per la parte
rimanente un’altra sezione pure costante. Esso consiste nell’inserire un
appoggio in un punto di comodo della travatura, quello di variazione della
sezione, e nel cercare la soluzione del problema strutturale facendo cedere
anelasticamente la trave in quel punto finché la reazione di vincolo ivi
maturata non si annulla. Le fasi di applicazione del metodo sono di seguito
descritte.
Partendo dal sistema iniziale Σ0 si identifica il punto P in cui separare la
campata e si inserisce in tale punto un appoggio con cedimento anelastico
incognito, ottenendo il sistema modificato Σ1 nel quale però la reazione
vincolare in P deve essere nulla affinché vi sia congruenza ed equilibrio con
il sistema di partenza:
Σ0 ≡ (Σ1, RP = 0)
(3.19.E)
A questo punto si risolvono separatamente i due sottosistemi così
definiti:
• il sistema Σ1A nel quale la struttura è sollecitata dal vero carico agente e
dagli eventuali cedimenti di vincolo, escluso il cedimento in P ove
l’appoggio viene mantenuto fisso; si calcola così in P la reazione RP,1A
[N] ivi maturata per il solo effetto del carico e dei vincoli cedevoli;
• il sistema Σ1B nel quale la struttura è sollecitata dal solo spostamento
anelastico in P, la struttura è infatti scarica e con gli altri vincoli
cedevoli bloccati nella posizione di riposo.
Poiché però il cedimento vero nel punto P non è noto, il sistema Σ1B si
risolve in due passi successivi:
• prima si impone un cedimento arbitrario pari ad un valore di comodo,
per esempio δP,1B =1 [m], e si calcola in P la reazione vincolare RP,1B
[N] maturata per il solo effetto del cedimento δP,1B ;
• poi, richiamando la linearità fra carico e stato di sollecitazione e
deformazione ed indicando con δP lo spostamento vero nel punto P, si
ottiene la relazione per la determinazione della vera reazione RP,1B:
RP ,1B
δP
=
δP
RP ,1B
δ P ,1B
[N]
(3.19.F)
in cui δP rimane incognita.
A questo punto si può esprimere il valore totale della reazione RP del
sistema Σ1, essa infatti, in base al principio di sovrapposizione degli effetti,
vale:
RP ,1 = RP ,1A +
δP
RP ,1B
δ P ,1B
[N]
(3.19.G)
Si osservi ora che la reazione vera nel sistema di partenza Σ0 è nulla perché
l’appoggio nel punto P in realtà non esiste, di conseguenza affinché il
sistema Σ1 sia congruente ed in equilibrio con il sistema iniziale deve essere:
RP ,1 = RP ,1A +
δP
RP ,1B = 0
δ P ,1B
[N]
(3.19.H)
dalla quale si ottiene il valore dello spostamento vero δP nel punto P:
δP = −
RP ,1A
RP ,1B
δ P ,1B
[N]
(3.19.I)
In pratica, fra tutte le soluzioni congruenti con il sistema di partenza si
ottiene l’unica che sia anche di equilibrio, ossia l’unica soluzione che
fornisca una reazione nulla nel punto P.
Una volta determinato il valore dello spostamento nel punto in cui si era
posto l’appoggio fittizio, si possono calcolare le caratteristiche di
sollecitazione del sistema di partenza sommando a quelle del sistema Σ1A i
valori ottenuti dal sistema Σ1B dopo averli moltiplicati per δP.
In base alle possibili configurazioni del timone, nella pratica si possono
distinguere le seguenti diverse situazioni di calcolo:
• timone sospeso,
• timone su calcagnolo,
• timone su corno (con appoggio unico sul corno),
• timone su più agugliotti.
Nel caso di timone sospeso, la trave equivalente è costituita da due
campate: partendo dal basso si ha prima la campata che si estende dal fondo
della pala fino al centro del cuscinetto di losca, poi quella che rappresenta
l’asta compresa fra i due cuscinetti di losca e di agghiaccio. Si osservi che il
sistema è isostatico su appoggi fissi.
Nel caso di timone su calcagnolo, la trave equivalente è costituita da
due campate: partendo dal basso si ha prima la campata che si estende dal
fondo della pala al centro del cuscinetto di losca, poi quella che rappresenta
l’asta compresa fra i due cuscinetti di losca e di agghiaccio. Si osservi che il
sistema è iperstatico e l’appoggio di calcagnolo è del tipo cedevole
elasticamente. La prima campata presenta una trave a sezione variabile in
quanto comprende sia la pala, sia l’asta. Perciò, se l’estensione dell’asta in
questo tratto non è trascurabile, si ricorre all’interposizione di un appoggio
fittizio allo scopo di ridurre la travatura ad un sistema di travi a sezione
costante (e si risolve con il metodo della falsa posizione). Si osservi ancora
che viene usualmente trascurata la distanza fra il centro dell’agugliotto di
calcagnolo ed il fondo della pala.
Per il timone su corno con appoggio unico, la trave equivalente è
costituita da tre campate: partendo dal basso si ha prima la campata che si
estende dal fondo alla sezione della femminella sull’estremità inferiore del
corno, poi quella che si estende da lì sino al coperchio della pala, e poi verso
l’alto la configurazione è come quella sopra descritta. Si osservi che il
sistema è iperstatico e l’appoggio sul corno è del tipo elasticamente
cedevole.
Infine, per i timoni su più agugliotti si ha una situazione strutturale
particolare. È questo infatti il caso che si presenta quando la pala è sostenuta
da una pinna, o da un dritto di poppa, o ancora da un corno con più appoggi.
La trave equivalente è costituita qui da molte campate, poiché ad ogni
agugliotto corrisponde un appoggio (in genere fisso): in virtù dei rapporti
dimensionali, si può ritenere che tale sistema di sostegno sia da considerarsi
un appoggio continuo e che esso in pratica costituisca una specie di incastro
per il tratto su cui si estende. Ciò significa che, a differenza dei casi sopra
citati, l’asta si considera sgravata dal carico flessionale prodotto dalla pala,
infatti la presenza di un appoggio molto robusto lungo la pala impedisce alla
stessa di flettersi e quindi di trasmettere un momento flettente all’asta, e
perciò questa si dimensiona a solo torcente.
Appare evidente che, oltre a quest’ultimo caso, lo studio dell’asta può
prescindere dalla modellazione della pala anche quando il timone è sospeso.
D’altro lato, risulta invece necessario generare un modello strutturale
completo quando la flessione della pala influenza quella dell’asta (è questo il
caso dei timoni su corno e su calcagnolo). Nel caso di timone Simplex con
agugliotto passante, si verifica un irrobustimento della pala per effetto della
maggiore rigidezza offerta dal contatto sui cuscinetti interni, perciò la pala,
portando in flessione l’asta passante, si comporta come un sistema più rigido
sgravando l’asta di comando da gran parte del momento flettente.
Anche nel caso in cui l’asta sia sostenuta da appoggi di losca e di
agghiaccio molto vicini, l’effetto incastrante può essere molto elevato ed il
modello può essere limitato alla sola parte di struttura che manifesta
sollecitazioni flessionali.
Per lo studio dell’asta dei timoni sospesi, trattandosi di un sistema
isostatico, la rotazione della forza F non introduce alcuna approssimazione, e
la modellazione del carico non è necessaria poiché, per il dimensionamento
dell’asta, è sufficiente valutare il momento flettente MO [Nm] in
corrispondenza del cuscinetto di supporto di losca, che vale:
MO = F (CPS + dO)
[Nm]
(3.19.J)
dove dO è la distanza fra il coperchio della pala e il centro del cuscinetto di
losca. Tale momento d’estremità costituisce proprio il carico sul sistema
risolutivo.
I carichi dominanti sulle aste, come detto, sono generalmente quelli
determinati dalla flessione semplice e dalla torsione. Può essere anche
considerato l’effetto del taglio, ma soprattutto per aste tozze ed in particolare
per il dimensionamento degli agugliotti.
Le caratteristiche di sollecitazione del taglio e del momento flettente
possono essere tracciate in maniera qualitativa, poiché la struttura dell’asta
assume configurazioni standard, infatti i risultati qualitativi sono molto utili
per confrontare le varie tipologie classiche di timone (timone sospeso, su
corno, su calcagnolo e su appoggio continuo), soprattutto quando lo studio
comparativo viene svolto mettendo in evidenza le variazioni di carico indotte
dalla cedevolezza degli appoggi. Per quanto riguarda il calcolo delle
sollecitazioni da momento torcente, il carico ha distribuzione costante lungo
l’asta (si trascurano infatti i momenti resistenti d’attrito) e il sistema risulta
sempre isostatico.
3.23 – Lo stato tensionale sull’asta
Le verifiche a snervamento sull’asta vengono condotte sulle sezioni
maggiormente caricate, in genere in corrispondenza del cuscinetto di losca
per quanto riguarda la massima sollecitazione da momento flettente e da
momento torcente e, per aste rastremate, anche in corrispondenza
dell’appoggio di agghiaccio, ed in questo caso a solo momento torcente. La
verifica deve essere effettuata sia in marcia avanti che indietro, le due
situazioni comportano infatti sollecitazioni in grado di estremo
rispettivamente di flessione e di torsione. Il dimensionamento dell’asta a sola
torsione richiede il calcolo della tensione tangenziale (nominale) massima τQ
[MPa] che si manifesta sulle fibre superficiali dell’asta (ossia alla distanza
DA/2 dall’asse):
τQ =
16Q −6
10
π DA 3
[MPa]
(3.20.A)
ove Q [Nm] rappresenta il valore del momento torcente sulla sezione di
verifica. Tale tensione non deve superare il valore ammissibile τamm [MPa]
per il materiale:
τ Q ≤ τ amm
[MPa]
(3.20.B)
in cui τamm viene calcolata, a partire dalla tensione normale ammissibile σamm
[MPa], valutando la tensione equivalente in base al criterio dell’energia di
distorsione di Von Mises:
τ amm =
σ amm
3
[MPa]
(3.20.C)
Il dimensionamento a torsione e flessione richiede il calcolo della
tensione equivalente, che viene valutata considerando oltre alla tensione
tangenziale anche la massima tensione normale di flessione σM [MPa]:
σM =
32 M −6
10
π DA 3
[MPa]
(3.20.D)
ove M [Nm] rappresenta il valore del momento flettente sulla sezione di
verifica. Poiché la tensione normale di flessione raggiunge il suo valore
massimo sul diametro della sezione resistente disposto lungo l’asse di
sollecitazione nei punti alla distanza DA/2 dall’asse, la tensione ideale
equivalente σeq [Mpa] indotta dalla somma del momento flettente e di quello
torcente si scrive come:
σ eq = σ M 2 + 3τ Q 2
[MPa]
(3.20.E)
Essa infine deve risultare non superiore al valore ammissibile del materiale:
σ eq ≤ σ amm
[Pa]
(3.20.F)
Si osservi che in genere il contributo delle tensioni tangenziali da taglio
si trascura. Quando però è necessario controllarne i valori massimi, si
procede come di seguito illustrato. Innanzitutto si valuta la massima tensione
tangenziale da taglio τT [MPa]:
τT =
16T
10−6
3π DA2
[MPa]
(3.20.G)
ove T [N] rappresenta il valore del taglio sulla sezione di verifica. Poi,
ricordando che il valore massimo della tensione da taglio si ha sul diametro
della sezione resistente ortogonale a quello in cui si verificano le massime
tensioni di flessione, si esegue la verifica prendendo in esame la tensione
equivalente indotta assieme dal taglio e dal momento torcente:
σ eq = 3 (τ T + τ Q )
2
[MPa]
(3.20.H)
che deve risultare inferiore alla tensione ammissibile.
3.24 – La procedura IACS per la verifica strutturale
La procedura di calcolo fin qui esposta per il dimensionamento dell’asta,
assieme a quella relativa al progetto delle altre parti strutturali del timone, è
stata standardizzata dall’IACS (International Association of Classification
Societies). Tali indicazioni, raccolte come “IACS Requirements” nel
documento S-10, sono state recepite dai maggiori Registri di Classificazione
e costituiscono la base della normativa riguardante la verifica strutturale del
timone.
In questo documento la forza idrodinamica che si scarica sulla pala è
calcolata trascurando la resistenza D e considerando la sola componente di
portanza L che, come noto, è quella che dà il massimo contributo alla
flessione sul piano di minima inerzia. Successivamente anche il momento
torcente viene valutato in sicurezza facendo lavorare tale forza come se fosse
ortogonale alla pala, ossia con braccio misurato lungo la corda del profilo
all’altezza del centro di pressione. Il centro di pressione viene fissato ad una
certa distanza dal bordo di attacco e ad un’altezza, lungo la campata, pari a
quella del baricentro dell’area della pala.
La forza CR [N] messa a calcolo per la verifica (o il progetto) dell’asta
viene espressa come:
CR =
1
ρ VS 2 AR cR
2
[N]
(3.21.A)
in cui il coefficiente della forza cR [-] è tarato sulla portanza specifica
massima espressa da una pala a semplice lamiera ed allungamento unitario
posta nel flusso dell’elica: per tale configurazione cR = 1 esprimendo proprio
la portanza specifica espressa dalla pala (si veda per confronto il valore del
cL massimo in Tab.3.14.B).
Per poter considerare tutte le possibili configurazioni, il coefficiente cR
viene determinato in maniera approssimata in funzione dei seguenti
parametri principali della pala:
• l’allungamento geometrico λG,
• il tipo di profilo idrodinamico,
• le condizioni di lavoro della pala,
definendo cR come:
cR = r1 r2 r3
[-]
(3.21.B)
in cui i fattori ri sono così definiti:
• r1 è il coefficiente correttivo per l’allungamento di pala, rispetto al
quale risulta proporzionale
• r2 è il coefficiente correttivo per la forma del profilo e varia con la
tipologia di profilo (lastra piana, profilo convenzionale, a doppia
curvatura, profilo con flap),
• r3 considera infine la posizione del timone nel flusso di poppa ed in
particolare tiene in considerazione se la pala si trova o meno nel flusso
dell’elica.
Come si può constatare applicando i valori proposti dalla norma, nel caso
particolare di pala quadrata costituita da una lastra piana posta nel flusso
dell’elica vale r1 = r2 = r3 = 1.
La forza idrodinamica CR va calcolata per velocità di flusso pari alla
massima velocità di esercizio della nave. Esprimendo VS in nodi e ponendo ρ
pari alla massa volumica dell’acqua dolce (si veda la Tab.3.7.A), dalla
Eq.3.21.A si ottiene:
CR = 132 VS 2
[kn]
AR r1 r2 r3
[N]
(3.21.C)
In base a quanto anticipato, il momento torcente QR [Nm] si valuta facendo
lavorare la forza CR con braccio pari a:
• CPC /cm = 0,33 per pale senza elementi carenati di supporto lungo il
bordo di attacco, sia per la marcia avanti che per la marcia indietro;
• CPC /cm = 0,25 per pale con elementi carenati di supporto lungo il bordo
di attacco, limitatamente alla parte dietro al supporto. In questo caso la
corda cm si riferisce al valore medio della superficie mobile di pala che
si trova dietro al supporto (tale valore diventa 0,45 per marcia indietro).
Per esempio, per un timone su corno, per la parte di pala dietro al supporto si
ha un braccio pari a (0,25 – d) cm1 in marcia avanti e (0,55 – d) cm1 in marcia
indietro, mentre per la parte di pala compensata si considera un braccio pari
a (0,33 – d) cm2 in marcia avanti e (0,66 – d) cm2 in marcia indietro, essendo
cm1 e cm2 le corde medie dell’area di pala rispettivamente dietro e sotto il
corno. La forza idrodinamica viene frazionata in proporzione alle aree delle
due parti. Nel caso più generico di timone su corno si ottiene perciò per
marcia avanti:
QR = CR1 ( 0,25 − d1 ) cm1 + C R 2 ( 0,33 − d 2 ) cm2
[Nm]
(3.21.D)
in cui le distanze d1 e d2 vengono espresse tramite il grado di compenso
calcolato sulle singole aree (si osservi che il momento delle forze
idrodinamiche è qui definito positivo).
Il modello strutturale che viene utilizzato per la verifica a flessione e
torsione dell’asta è quello di trave su più campate, con vincoli eventualmente
cedevoli.
Per verificare l’asta a flessione, in alternativa al procedimento diretto –
applicabile solamente quando il diametro è noto –, il RINA (Rules for the
Classification of Ships, Part B – Hull and Stability, Ch.10, Sec.1) propone di
utilizzare formule approssimate, espresse in funzione di parametri geometrici
riferiti a statistiche su configurazioni tipiche. In tali norme il momento
flettente di verifica viene definito come il momento della componente della
forza CR normale alla pala:
M R =CR bM
[Nm]
(3.21.E)
dove bM [m] è il braccio con cui lavora la forza, ossia la distanza fra il centro
di pressione e l’estremità inferiore del cuscinetto di losca. Tale grandezza è
valutata sulla base di dati statistici.
Il documento dell’IACS fornisce poi le relazioni per il progetto del
diametro dell’asta. In esso vengono distinti due casi:
• progetto a sola torsione – corrisponde alle configurazioni in cui si può
supporre che la pala sia ben sorretta da strutture che in pratica le
impediscono di deformarsi e quindi di trasmettere una flessione
all’asta. Si tratta delle soluzioni con appoggio continuo sul dritto del
timone o su pinna, con appoggio parziale su corno con due agugliotti e
con agugliotto passante (timone Simplex).
• progetto a torsione e flessione – corrisponde alle configurazioni in cui
si può supporre che la pala sia libera di deformarsi e quindi di
trasmettere una flessione all’asta. Si tratta delle soluzioni di pala
sospesa, su corno con un solo agugliotto e su calcagnolo.
Il diametro minimo dell’asta per dimensionamento a sola torsione viene
indicato con DT [mm] e viene calcolato per via diretta esplicitandolo dalla
relazione (Eq.3.20.A) che lo lega alla tensione massima sulla sezione.
Inoltre, considerando un coefficiente di sicurezza pari a 2 per calcolare la
tensione ammissibile da quella di snervamento ed introducendo, come d’uso
nei Registri, un coefficiente del materiale km [-] per generalizzare la formula
per diversi materiali, si ottiene la relazione:
DT = 4, 2 3 QR km
[mm]
(3.21.F)
in cui km = 1 per acciaio avente tensione di snervamento pari a 235 MPa ed
assume valori prestabiliti per acciai diversi (a riguardo si vedano le norme).
Si rammenta che la norma, fissando pari a 2 il coefficiente di sicurezza per la
verifica, fa implicitamente riferimento alla seguente tensione ammissibile:
σ amm =
118
km
[MPa]
(3.21.G)
Il diametro minimo dell’asta per dimensionamento a torsione e flessione
viene indicato con DTF [mm] e viene calcolato per via diretta esplicitandolo
dalla relazione (Eq.3.20.E) che lo lega alla tensione massima sulla sezione.
Se ne ricava un’espressione in cui esso può essere espresso in funzione del
diametro DT:
DTF = DT
6
4 M 
1+  
3 Q 
2
[mm]
(3.21.H)
in cui l’espressione sotto radice esprime un fattore di maggiorazione del
diametro rispetto al caso di dimensionamento a sola torsione.
Il sopra richiamato documento S-10 propone anche un metodo
approssimato per il calcolo delle rigidezze degli appoggi elastici sul
calcagnolo e sul corno.
Come si può rammentare, nelle ipotesi fatte per impostare il modello per
la risoluzione analitica del complesso pala–asta si è fatto riferimento ad un
piano di deformazione normale alla pala. In realtà la situazione è
leggermente diversa, la pala infatti, nella situazione di verifica con le
massime forze applicate, deve considerarsi inclinata di un certo angolo α
(angolo di barra) rispetto alla struttura di supporto ed in questa situazione i
vincoli obbligano ad una deformazione non piana.
Nell’ambito della risoluzione approssimata proposta dalle norme,
rimanendo valida l’ipotesi di una deformazione piana, si ipotizza che la forza
scaricata sul vincolo sia normale al supporto e che la pala si deformi su tale
direzione, cosicché viene proposto di utilizzare, in luogo della vera rigidezza
del supporto, la rigidezza relativa alla deformazione trasversale del supporto
stesso. Nel caso del calcagnolo si ottiene perciò la rigidezza del calcagnolo
ρC [Nm–1]:
ρC =
3EJC
lC3
[N/m]
(3.21.I)
in cui E [Pa] è il modulo di elasticità normale del materiale (per l’acciaio
vale 2,06⋅1011 Pa), JC [m] è il momento d’inerzia della sezione resistente
della struttura di supporto calcolato rispetto all’asse neutro corrispondente
allo stato di flessione indotto dalla forza ivi scaricata dalla pala, lC [m] è
infine la lunghezza libera del calcagnolo.
Appare evidente che tale approssimazione conduce a calcolare una
rigidezza inferiore di quella reale (infatti la forza, essendo ortogonale al
calcagnolo, è in grado di estremo) e ciò comporta una verifica in sicurezza
dell’asta ma non del supporto.
Una via più corretta è quella di considerare che il calcagnolo si deformi
trasversalmente sotto l’azione di una forza FC inclinata dell’angolo α (la
forza di calcolo è infatti ipotizzata essere normale alla pala) avente
componente utile trasversale FC cosα (la componente FC sinα si trascura
perché la rigidezza assiale del calcagnolo è molto elevata). In base a quanto
detto lo spostamento trasversale del calcagnolo risulta pari a:
δT =
FC cosα
3EJC
lC3
[N/m]
(3.21.J)
Di tale deformazione si prende la sola componente δT cosα sul piano ideale
di deformazione della pala (quello di minima inerzia della pala) e quindi per
la rigidezza del calcagnolo si ottiene l’espressione:
ρC′ =
FC
1
=
ρC
δT cosα ( cos α )2
[N/m]
(3.21.K)
che rappresenta la forza da applicare sul calcagnolo nella direzione normale
alla pala per ottenere uno spostamento unitario in tale direzione.
È importante osservare che con questa formulazione si lega la direzione
della forza al valore della rigidezza, superando l’incongruenza implicita
nella formula semplificata delle norme, in base alla quale anche con pala
inclinata di 90° si otterrebbe il cedimento trasversale del calcagnolo. Con la
formulazione proposta, la rigidezza del calcagnolo calcolata per α = 35° è
pari a 1,5ρC .
Per la rigidezza dell’appoggio su corno il calcolo si fa più complicato
poiché richiede la determinazione del cedimento d’estremità di una trave ad
“L” per effetto della forza FH che si scarica sull’asse dell’agugliotto del
corno. In questa analisi il corno può essere schematizzato con una pinna di
altezza hH [m], che porta inferiormente un’appendice ortogonale rigida di
lunghezza lH [m], ove lH rappresenta l’interasse fra la pinna e l’agugliotto.
Secondo le norme, la rigidezza del corno si calcola sotto le stesse ipotesi
semplificative che hanno portato a scrivere l’Eq.3.21.I, ossia che la pala
abbia una deformazione piana, che la forza scaricata sul vincolo sia normale
al supporto e che la pala si deformi su tale direzione, cosicché viene
proposto di utilizzare, in luogo della vera rigidezza del supporto, la rigidezza
relativa alla deformazione trasversale del supporto stesso.
Nel caso del corno bisogna considerare che l’azione della forza induce
sia una flessione, sia una torsione dell’elemento verticale. Per contro si
suppone che la parte inferiore ortogonale che ospita l’agugliotto non si
deformi trattandosi di una struttura tozza e quindi molto rigida.
Considerando una forza trasversale unitaria sull’agugliotto, la pinna si
flette con spostamento d’estremità pari alla cedevolezza ϕ1 [m/N] e
corrispondentemente anche l’estremità della mensola orizzontale cede della
stessa quantità. La pinna inoltre si torce sotto l’azione del momento lH [Nm]
– causato dalla forza unitaria che agisce sull’asse dell’agugliotto – con
rotazione pari a θ1lHhH [rad], ove θ1 [rad/Nm2] è l’angolo di rotazione di un
concio di pinna di lunghezza unitaria indotto da un momento unitario
applicato alle estremità del concio stesso. Ne consegue che l’estremità della
mensola orizzontale per effetto della torsione cede ulteriormente della
quantità hH ·θ1lHhH [m/N]. Infine, la cedevolezza trasversale ϕH [m/N]
all’estremità dell’appendice può scriversi come:
ϕH = ϕ1 + θ1 lH 2 hH
[m/N]
(3.21.L)
ove ϕ1 può calcolarsi come per il calcagnolo ricordando che per definizione
la cedevolezza è il reciproco della rigidezza. essa si può quindi valutare
come il reciproco della rigidezza trasversale flessionale della pinna:
ϕ1 =
hH 3
3EJ H
[m/N]
(3.21.M)
in cui JH [m] è il momento d’inerzia della sezione resistente della pinna.
L’angolo di torsione unitario θ1 può essere determinato con il metodo di
Bredt. A tale scopo si deve considerare la sezione media della pinna,
rettificarla definendo per il mantello elementi rettilinei e calcolare, per
ciascun tratto della sezione stessa, la snellezza λi [-] come rapporto fra la
lunghezza li e lo spessore ti del singolo elemento. L’angolo di rotazione θ1
(nell’ipotesi semplificativa di trascurare i diaframmi interni) risulta allora
pari a:
θ1 =
∑i λi
4Ω 2 G
[rad/Nm2]
(3.21.N)
in cui Ω [m2] rappresenta l’area circoscritta dalla linea media del mantello e
G [Pa] è il modulo di elasticità tangenziale del materiale (che per l’acciaio
vale circa 0,78⋅1011 Pa).
Si ottiene infine la rigidezza del corno ρH [N/m]:
ρH =
1
ϕH
=
1
1
=
3
2
hH
ϕ1 + θ1 lH hH
∑λ
+ i 2 i lH 2 hH
3EJ H 4Ω G
[N/m]
(3.21.O)
il cui significato è palesemente quello della forza da applicare per ottenere
uno spostamento unitario in direzione trasversale. Va solo osservato infine
che le norme contenute nel documento IACS riportano la stessa formula ma
con una correzione sul valore di ϕ1, che viene aumentato del 30%.
3.25 – Il dimensionamento strutturale della pala e dei supporti
Risulta evidente che per effettuare il calcolo diretto dell’asta del timone è
necessario avere a disposizione gli spessori dei fasciami del mantello e dei
diaframmi sia della pala sia del corno, i primi per procedere alla valutazione
della rigidezza flessionale della pala, i secondi per valutare la cedevolezza
del supporto. A tale scopo si consiglia l’utilizzo delle formulazioni proposte
dal Registro. In esse, il dimensionamento del mantello della pala viene
effettuato con una formulazione che fa riferimento allo stato di collasso di
snervamento dei pannelli soggetti ad un carico laterale distribuito
omogeneamente, mentre per i diaframmi interni sono fornite solo indicazioni
sui minimi di spessore. Ciò è giustificato dal fatto che il grigliato interno è
molto robusto e non costituisce quindi una parte debole del complesso
(eventualmente esso può essere studiato con un calcolo diretto).
Tale procedimento si propone di calcolare lo spessore minimo del
singolo pannello elementare, a sola flessione, in due fasi successive:
• prima ipotizzando una flessione cilindrica del pannello, analizzata
utilizzando come modello una strisciolina di fasciame estratta
parallelamente al lato più corto;
• poi ripristinando la congruenza della deformazione della strisciolina
tramite l’uso di un coefficiente correttivo che tenga conto della
presenza dei vincoli sui lati corti del pannello. In questo modo si riduce
il valore dello spessore minimo del pannello, infatti il supporto sui lati
corti fa aumentare la resistenza del pannello poiché riduce la
deformazione di flessione e le correlate tensioni.
In base a tale considerazioni, per il dimensionamento dei mantelli è
necessario definire prima la collocazione dei diaframmi; si può procedere
poi al calcolo degli spessori di entrambi.
I diaframmi vanno disposti in modo da formare un robusto grigliato di
travi ortogonali ed in modo tale da definire – sui mantelli – pannelli
elementari ad allungamento il più possibile prossimo all’unità, con lati di
circa 600÷1000 mm, in funzione delle dimensioni della pala. In genere,
all’interno della pala viene posto un diaframma verticale irrobustito sulla
continuazione dell’asta, inoltre vengono osservate particolari precauzioni nel
definire la struttura dei timoni su corno, infatti in essi la zona di cambio di
sezione (attorno all’agugliotto del corno) diventa critica a causa delle forti
concentrazioni di tensione.
Operando come sopra indicato, la tensione sui pannelli del mantello si
calcola estraendo la strisciolina di fasciame e considerandola come una trave
incastrata alle estremità (per continuità del carico tra pannelli limitrofi) e
caricata con un carico distribuito uniformemente. Se con sf [m] la lunghezza
del lato corto del pannello e con pf [Pa] la pressione sul pannello e se si fa
riferimento ad un coefficiente di sicurezza pari a 1,5 , con il modello sopra
illustrato si ottiene lo spessore minimo ammissibile tf [mm] del fasciame:
tf =
1,5 p f s f 2 km
[mm]
(3.22.A)
235
Calcolando la pressione agente come somma del battente statico e di quello
dinamico si ottiene l’espressione:
p f = γ hf +
CR
AR
[Pa]
(3.22.B)
dove con hf [m] si è indicata la profondità del pannello rispetto alla
superficie del mare. Sostituendo poi nell’Eq.3.22.A si ha:
t f = 5,5
hf +
CR ⋅ 10−4
sf
AR
km
[mm]
(3.22.C)
Il valore così ottenuto deve infine essere moltiplicato per il fattore correttivo
β [-] per tenere conto della presenza dei vincoli sui lati corti del pannello:
s
β = 1,1 − 0,5  f
b
 f
2



[-]
(3.22.D)
in cui bf [m] è la lunghezza del lato lungo del pannello di fasciame
considerato. Allo spessore così determinato le norme aggiungono poi 2,5
mm.
Una volta definiti gli spessori e risolto il sistema di travi equivalenti, i
fasciami e i diaframmi devono essere verificati agli sforzi indotti dalla
flessione della pala. Il Registro fissa i valori ammissibili di tali tensioni con
fattori di sicurezza che oscillano da fra 2 e 3 in funzione del tipo di tensione
(normale o tangenziale) e del punto di verifica.
Per quanto riguarda il dimensionamento della pala formata da una lastra
piana, non essendo ad essa richieste doti di resistenza alla flessione lungo la
campata – è infatti sorretta da una robusta spalla –, ci si limita alla verifica
della flessione che nasce nella direzione della corda. Ogni bracciolo va
verificato a flessione assieme al fasciame ad esso associato, considerando un
vincolo d’incastro sul fusto ed un carico laterale distribuito lungo la corda. In
questo modo si ottiene il valore del minimo modulo di resistenza richiesto
per il bracciolo.
Per quanto riguarda infine la verifica delle appendici dello scafo che
costituiscono strutture di sostegno per la pala, va osservato quanto segue:
• per il corno la zona critica è quella costituita dalla sola pinna verticale,
essendo l’appendice di supporto dell’agugliotto un elemento molto
robusto, per questo motivo il modello è costituito da una trave rettilinea
incastrata a scafo. Tale pinna è soggetta ad una flessione retta (si
trascura infatti la flessione sul piano della struttura) e ad un momento
torcente che nasce dall’interasse fra la pinna stessa ed il punto di
applicazione della forza. Le sollecitazioni complessive da momento
flettente, da taglio e da torcente devono essere confrontate con quelle
ammissibili.
• per il calcagnolo il modello strutturale è semplicemente quello di una
trave incastrata all’estremità prodiera, sulla quale il carico trasmesso
dall’agugliotto inferiore della pala produce un sistema di caratteristiche
di sollecitazione alquanto complesso. La forza eccentrica causa infatti
una trazione, una flessione verticale semplice, una flessione orizzontale
composta ed un momento torcente, le cui sollecitazioni complessive
devono essere confrontate con quelle ammissibili. Si osservi che in
genere la verifica è condotta con riferimento alle sole caratteristiche di
sollecitazione trasversali e che per quanto riguarda la flessione
verticale si ritiene sufficiente garantire un modulo di resistenza pari ad
almeno la metà di quello relativo alla flessione orizzontale.
Si rammenta inoltre che, mentre la struttura del corno è simile a quella della
pala carenata, ove la sezione – costituita da un mantello e da diaframmi
verticali ed orizzontali – è cava, il calcagnolo può invece essere anche a
sezione piena, in genere rettangolare.
Il dimensionamento degli agugliotti, trattandosi di elementi tozzi, viene
generalmente fatto a taglio. Va però sempre controllato il valore della
massima pressione scaricata nel contatto con il cuscinetto.
Per gli accoppiatoi flangiati vengono forniti i valori limite degli spessori
delle flangie e del diametro di bulloni, mentre per quelli tronco–conici si
danno i valori limite dei diametri e delle dimensioni esterne, oltre ai dati
relativi al dado di sicurezza. Anche i collegamenti degli stessi con la
struttura della pala sono oggetto di considerazioni da parte del Registro.
I cuscinetti vengono dimensionati per via diretta con riferimento alle
massime pressioni ammissibili relative ai diversi materiali della boccola.
Nelle norme è inoltre contemplato anche il caso di timoni con mantello
cilindrico. Queste pale hanno un doppio mantello cilindrico sostenuto da un
grigliato interno formato da più anelli collegati da diaframmi. In questo caso
le formulazioni di verifica strutturale sono di tipo empirico perché un calcolo
diretto risulterebbe alquanto complesso in virtù del particolare sistema di
forze che si scarica sui mantelli (va qui infatti considerata anche la pressione
indotta dall’elica) e della complessità geometrica della struttura: i
dimensionamenti sono perciò eseguiti in funzione della potenza dell’elica e
del diametro della pala. In alternativa si possono eseguire solo calcoli agli
Elementi Finiti, benché sia possibile costruire dei modelli piani di travi che
simulino la pala e gli appoggi (in genere questi timoni sono sostenuti
inferiormente da un calcagnolo collegato con braccetti alla camicia dell’asse
portaelica).
Un altro caso contemplato dalla normativa è anche quello del timone–
propulsore di tipo Pod (indicato come azimuth propulsion system). Per il
calcolo della robustezza delle diverse parti si richiede un metodo diretto,
mentre per la valutazione degli spessori minimi viene stabilito quanto segue:
• per la superficie del braccio verticale che regge la gondola, detto
rudder part, si propone di usare le stesse formule di dimensionamento
delle pale dei timoni convenzionali;
• per la superficie della gondola, detta pod, si indicano le formule per il
dimensionamento dei fasciami dello scafo.
A ciò si aggiunge che la struttura interna di supporto va dimensionata
necessariamente con calcolo diretto considerando un modello completo che
comprenda tutto il complesso fino al cuscinetto di losca. Le forze con cui
caricare la struttura sono, oltre alla forza peso ridotta della spinta, quelle
massime che insorgono:
• quando la nave procede alla massima velocità di crociera, ottenuti
valutando le forze che nascono al variare dell’angolo di barra fino
all’angolo massimo che in navigazione è prossimo ai 35°;
• quando la nave procede a velocità ridotta ed il timone propulsore è
manovrato fino all’angolo limite (oltre il quale non può andare per la
presenza di scontri di fine corsa);
• quando si esegue la manovra di arresto con l’inversione del verso di
rotazione dell’elica;
• quando si esegue la manovra di arresto con la rotazione del pod di
180°.
Particolare attenzione deve poi essere prestata al dimensionamento del
cuscinetto radiale di losca che deve sopportare sia il carico generato dalla
rudder part, sia quello generato dall’elica.
Lo stesso IACS fornisce anche una guida (“Guidelines for Surveys,
Assessment and Repair of Hull Structures”) per il monitoraggio dei punti
critici della struttura del timone: ad un elenco dei potenziali punti caldi della
struttura vengono fatti seguire suggerimenti per una corretta riparazione
degli elementi localmente collassati. Tali punti caldi, essendo zone di
concentrazione delle tensioni ed essendo l’intera struttura sollecitata a
carichi ciclici, sono soggetti a rotture per fatica. Nella stessa guida vengono
anche evidenziate le zone che soffrono di erosione e di usura.
I punti di più probabile innesco di cricche da fatica sono indicati come
quelli in corrispondenza degli accoppiatoi e dei fasciami ad essi collegati,
delle lamiere della pala nella zona del bordo di attacco e, per i timoni su
corno, nella zona dell’agugliotto inferiore.
L’identificazione di tali punti critici è evidentemente frutto
dell’esperienza ma può essere eseguita anche con analisi statiche dirette
utilizzando modelli agli Elementi Finiti molto dettagliati. Una volta valutata
l’intensità degli sforzi in tali aree, la previsione della vita a fatica può essere
eseguita considerando opportuni cicli di carico.
Modelli agli Elementi Finiti possono essere creati sia per lo studio del
sistema di travi equivalenti (elementi monodimensionali), sia per lo studio
della pala (anche con grigliati di travi), si rammenta a riguardo la guida
fornita dal DNV (Strength Analysis of Rudder Rudder Arrangements) per il
dimensionamento della pala e dell’asta per via diretta. Infine, modelli
opportuni devono essere impostati per lo studio dei modi di vibrare
dell’intera struttura.
3.26 – L’evoluzione del timone
La prima configurazione di timone su navi ad elica rispecchiava la
sistemazione delle precedenti imbarcazioni a vela: la pala continuava infatti
ad essere sostenuta dal dritto di poppa, che in questo caso era collegato alla
chiglia da un prolungamento della stessa detto calcagnolo. In questo periodo
la pala è formata da una lastra piana di forma approssimativamente
semiellittica (non è né carenata, né compensata) ed è irrobustita da braccioli
terminanti su un fusto posto lungo il bordo di attacco. Il sostegno è effettuato
con una serie di cardini coassiali all’asta di manovra, detti agugliotti, fissati
sulla pala all’estremità dei braccioli e liberi di ruotare in alloggiamenti, detti
femminelle, ricavati sul dritto di poppa. Il collegamento all’asta (detta anche
miccia), quando questa non è tutt’uno con il telaio della pala – ossia un solo
pezzo di fusione –, è effettuato con accoppiatoi a flangia.
Una prima modifica, atta a migliorare l’efficacia idrodinamica del
timone, è stata quella di sostituire la lastra piana con un doppio mantello
(carenatura). Anche il dritto di poppa è stato poi carenato per creare un
profilo idrodinamico continuo con la pala.
L’utilizzo di pale carenate, più robuste di quelle a semplice lamiera, ha
permesso di ridurre il numero degli agugliotti sul dritto di poppa, senza
incorrere nel rischio di sollecitare eccessivamente l’asta a flessione. Nelle
configurazioni più evolute, sul dritto di poppa erano ricavati gli
alloggiamenti per due soli agugliotti, posti alle estremità della campata della
pala.
Esistono diverse varianti di carenatura del dritto, una interessante è
quella con una carenatura non simmetrica, nella campata superiore verso un
lato e in quella inferiore verso l’altro, allo scopo di ridurre le perdite causate
dal flusso rotatorio dell’elica. Una soluzione ancora più elaborata è
rappresentata dalla pala articolata con un flap mobile posto a proravia del
dritto di poppa: il movimento della pala principale porta in rotazione il flap
realizzando così un aumento della portanza (profili in cascata). Il timone è
detto del tipo “Aller”) ed è anche caratterizzato dall’avere un certo grado di
compenso.
Il dritto di poppa è stato poi finalmente eliminato, sostituendolo con un
elemento altrettanto robusto costituito da un’asta passante, posizionata
sull’asse di rotazione e collegata superiormente a scafo e inferiormente al
calcagnolo: si tratta della nota configurazione “Simplex”. Tale asta
rappresenta in pratica un lungo agugliotto passante all’interno della pala,
cosicché il pozzo dell’elica continua a rimanere strutturalmente chiuso. Il
timone di questo tipo è un timone compensato la cui asta di controllo
continua ad essere sgravata anche da gran parte degli sforzi flessionali.
Una variante del timone Simplex è rappresentata dal timone del tipo
“Hörtz”, in cui l’area di compenso viene sacrificata a favore di una
carenatura fissa, con l’idea di fare aumentare le caratteristiche idrodinamiche
per effetto della sistemazione di due profili in cascata.
L’evoluzione ha fatto successivamente registrare la scomparsa
dell’agugliotto passante, ridotto a due semplici agugliotti, uno a scafo ed uno
sul calcagnolo. In questo modo la pala del timone Simplex deve essere a
struttura completamente portante, formata da un grigliato robusto di travi nel
verso della campata e della corda, e deve avere una robustezza sufficiente sia
per reggere i carichi diretti, sia per non trasmettere elevate sollecitazioni di
flessione all’asta. Inoltre, con la mancanza del dritto e dell’agugliotto
passante, il pozzo chiuso viene ora ad essere meno robusto.
Un’alternativa a questa soluzione è stata ottenuta eliminando i due
agugliotti e trasferendo a proravia l’innesto sulla pala dell’asta di comando.
L’asta, ora diritta, viene a costituire superiormente (al cuscinetto di losca) un
appoggio per la pala a struttura portante, caricandosi anche a flessione.
Complessivamente la sistemazione è più semplice, ma richiede una pala ed
un’asta di comando più robuste.
Esistono diverse configurazioni di pala per i timoni su calcagnolo. Una
variante alla pala classica è rappresentata dall’introduzione di un profilo
asimmetrico sfalsato: la sagomatura, in funzione del verso di rotazione
dell’elica, può riguardare il solo bordo d’attacco oppure tutta la pala.
Quest’ultima può essere effettuata in maniera continua lungo la campata,
come nel timone “Star”, oppure, più semplicemente, tagliando a metà altezza
una pala asimmetrica e riunendo, con le concavità contrapposte, le due parti.
I timoni delle navi Liberty, del tipo Simplex, erano ottenuti proprio in
questo modo, ma erano ancora meno elaborati, infatti erano costituiti da due
semplici semi–pale simmetriche collegate una all’altra con un certo angolo
di sfasatura lungo la linea della corda mediana (il timone “alla via” risultava
però instabile).
Un altro esempio di ricerca di un rendimento migliore, sia del timone sia
propulsivo, è rappresentato dall’aggiunta, sul mantello della pala, di un
bulbo allineato con l’asse dell’elica, è questo il caso del timone “con bulbo
Costa”. Grazie alla presenza del bulbo si ha un flusso più omogeneo sulla
pala e una riduzione della velocità media d’ingresso sul disco dell’elica.
Intervento finalizzato allo stesso scopo è quello che prevede l’inserimento
fra timone ed elica di un’elica fissa oppure contro–rotante, da una parte si
ottiene infatti un recupero di energia propulsiva, dall’altra un aumento
dell’efficienza della pala, che lavora così in un flusso più omogeneo.
Un altro tipo d’intervento è quello teso ad aumentare l’allungamento
effettivo, e quindi il rendimento idrodinamico della pala, tramite l’utilizzo di
lamine trasversali di estremità poste in corrispondenza sia del coperchio, sia
del fondo del timone.
La completa apertura del pozzo dell’elica è stata resa possibile
dall’irrobustimento delle pale: ciò ha permesso la messa in opera di timoni
sospesi, ossia senza calcagnolo, prima con asta passante, eventualmente
rastremata, e poi a struttura carenata completamente portante. In questo
modo l’asta viene gravata, oltre che dal momento torcente di controllo della
pala, anche da un momento flettente che non viene più mitigato dalla
presenza di uno o più appoggi lungo la pala stessa. Una soluzione
intermedia, per ovviare al problema dell’elevato carico di flessione sull’asta,
consiste nel creare un appoggio parziale lungo il bordo di attacco superiore
della pala (appoggio su corno con uno o due agugliotti), oppure lungo tutto il
bordo (appoggio su pinna).
L’evoluzione della tecnica navale ha condotto alla progettazione di navi
con più di un’elica propulsatrice, rendendo quindi conveniente
l’installazione dei timoni al di fuori del piano diametrale: la prima soluzione
adottata è stata quella di timone sospeso, ma col crescere delle forze in gioco
è stato necessario ancorare con più sicurezza la pala utilizzando un corno di
sostegno. Nel caso di navi bielica con timone centrale su skeg, la
configurazione è assimilabile a quella di timone su pinna, quando il timone
non è compensato, oppure a quella di timone su corno, quando il timone è
semi–compensato.
I timoni moderni, per navi mercantili o militari, sono essenzialmente di
due tipi, sospeso o su corno, e solo nel caso di navi bielica con timone
centrale non compensato la configurazione è quella di timone su pinna. Il
timone su calcagnolo si usa ormai solo in casi particolari, per esempio sui
pescherecci quando si vuole proteggere l’elica dalle reti.
Sia i timoni su corno che quelli sospesi possono avere un flap di coda
per sfruttare l’effetto dei profili in cascata. Questa soluzione ha visto una
prima applicazione nei timoni ideati da Lumley già per le navi a vela con il
flap comandato prima da catene e poi da un perno fisso (la prima
applicazione risale al 1862).
La caratteristica più attraente di questi timoni è infatti quella di avere un
meccanismo semplice per il controllo del flap: il flap è incernierato alla pala
e porta superiormente un’asta orizzontale che, all’altra estremità, è inserita
nell’occhiello di un perno ad asse verticale. Quando la pala ruota, il flap
ruota rispetto alla pala perché comandato dall’asta orizzontale che, pur
traslando nell’occhiello, è obbligata a passare per l’asse del perno. In tal
modo l’angolo di rotazione del flap è legato a quello della pala, usualmente
in maniera tale da far ruotare il flap con un’amplificazione di 2,5 , cosicché
per i 35° di barra della pala si hanno circa 90° di angolazione assoluta sul
flap. Il timone viene commercializzato con il nome dell’azienda produttrice
(per esempio sono diffusi quelli della ditta “Becker”).
Una più recente e meno fortunata applicazione è quella che prevede
l’uso del flap per facilitare la rotazione della pala piuttosto che per
aumentare la portanza della pala stessa (timone “Flettner”). Tali timoni, non
più usati, avevano un comando indipendente per il flap, che li rendeva però
delicati perché il sistema di comando passava obbligatoriamente nell’asta.
Essi diventavano inoltre ingovernabili per flusso proveniente da poppa.
Un’interessante combinazione delle soluzioni sopra esposte – relative al
miglioramento dell’efficienza propulsiva e dell’efficienza della pala oltre
che alla razionalizzazione della configurazione strutturale – è quella offerta
dal timone “Wichmann”, commercializzato ora dalla Wärtsilä sotto la
denominazione “PropacRudder”. Si tratta di un timone semi–compensato su
corno, con flap di coda e con un bulbo “Costa” che costituisce un tutt’uno
con il mozzo dell’elica. Ai vantaggi idrodinamici derivanti dalla morfologia
della pala si aggiunge perciò quello di avere un appoggio inferiore della pala
molto più rigido rispetto al semplice corno – il pozzo dell’elica risulta infatti
parzialmente chiuso – con la conseguente riduzione delle vibrazioni e delle
sollecitazioni statiche trasmesse all’asta, e perciò con la possibilità di ridurre
il diametro della stessa.
APP. 1 – Elenco dei simboli
α
αλ
αTF
β
χL
δP
δT
δVa
δVA
∆p
∆pM
ϕ
ϕ1
ϕH
λ
λG
Λ
ΛLE
Ω
µ
µF
ν
θ1
[°]
[°]
[°]
[-]
[-]
[m]
[m]
[ms–1]
[ms–1]
[Pa]
[Pa]
[°]
[mN–1]
[mN–1]
[-]
[-]
[°]
[°]
[m2]
[kg m–1s–1]
[-]
[m2s–1]
[rad m–2N–1]
angolo di attacco al timone
angolo di attacco modificato per effetto di λ
angolo di inclinazione del flap
fattore di correzione per il calcolo di tf
coefficiente di densità di portanza
cedimento nel generico punto P della trave
cedimento trasversale del calcagnolo
velocità del flusso indotta da α lungo la corda
incremento totale di velocità della scia dell’elica
valore assoluto della depressione sul profilo
valore assoluto della depressione massima sul profilo
angolo di abbattimento della forza F
cedevolezza a flessione della pinna
cedevolezza a flessione del corno
allungamento effettivo della pala
allungamento geometrico della pala
angolo di abbattimento medio della pala
angolo di freccia al bordo di attacco
area racchiusa dalla sezione resistente del corno
viscosità dinamica
coefficiente di frizione
viscosità cinematica
angolo di torsione unitario
ρ
ρC
[kg m–3]
[Nm–1]
[MPa]
[MPa]
[MPa]
[MPa]
[MPa]
[MPa]
massa volumica
rigidezza del calcagnolo
tensione normale ammissibile
tensione equivalente
massima tensione normale da flessione
tensione tangenziale ammissibile
massima tensione tangenziale da torsione
massima tensione tangenziale da taglio
AF
AL
AM
AO
APD
AR
ARE
ARF
ARF
b
bf
bm
bM
B
c
c
cm
cp
cr
ct
cB
cD
cD0
cF
cL
cN
cQ
cR
cY
CR
CT
[m2]
[m2]
[m2]
[m2]
[m2]
[m2]
[m2]
[m2]
[m2]
[m]
[m]
[m]
[m]
[m]
[m]
[-]
[m]
[-]
[m]
[m]
[-]
[-]
[-]
[-]
[-]
[-]
[-]
[-]
[-]
[N]
[-]
[m]
[m]
[m]
[m]
area della parte fissa del timone
area della superficie di vela
area della parte mobile del timone
area del disco dell’elica
area del piano di deriva della nave
area del timone
area della pala esposta al flusso dell’elica
area della pala a proravia dell’asse di rotazione
area del flap del timone
campata della pala
lunghezza del lato lungo del pannello di fasciame
campata media della pala
distanza fra il CP della pala ed il cuscinetto di losca
larghezza della nave
corda della pala
generico coefficiente idrodinamico
corda media della pala
coefficiente di pressione
corda della pala alla radice
corda della pala all’apice
coefficiente di pienezza della nave
coefficiente di resistenza
coefficiente di resistenza all’angolo di attacco nullo
coefficiente della forza totale
coefficiente di portanza
coefficiente della forza normale
coefficiente del momento torcente
coefficiente idrodinamico della forza CR
coefficiente di efficacia del timone
forza per la verifica dell’asta secondo IACS
coefficiente di spinta dell’elica
distanza del centro di pressione dal bordo di attacco
distanza del centro di pressione dallo spigolo superiore
distanza dell’asse di rotazione dal bordo di attacco
distanza fra la pala ed il centro del cuscinetto di losca
σamm
σeq
σM
τamm
τQ
τT
CPC
CPS
d
dO
dS
D
DA
De
DT
DTF
E
F
FA
FC
FN
FR
FT
G
hf
hH
i
JA
JC
JH
JO
JP
JPi
k
kλ
kl
km
km
KE
l
l
lC
lH
L
LPP
mλ
M
MO
MR
patm
pf
po
pV
[m]
[N]
[m]
[m]
[mm]
[mm]
[Pa]
[N]
[N]
[N]
[N]
[N]
[N]
[Pa]
[m]
[m]
[m]
[m4]
[m4]
[m4]
[m4]
[m4]
[m4]
[-]
[°],[rad]
[-]
[-]
[-]
[-]
[m]
[Nm–1]
[m]
[m]
[N]
[m]
[-]
[Nm]
[Nm]
[Nm]
[Pa]
[Pa]
[Pa]
[Pa]
distanza della pala dallo scafo
forza di resistenza idrodinamica
diametro dell’asta
diametro dell’elica
diametro minimo dell’asta secondo IACS
diametro minimo dell’asta secondo IACS
modulo di elasticità normale
forza totale sulla pala
forza assiale sulla pala
forza applicata dalla pala al calcagnolo
forza normale sulla pala
forza radiale applicata sul cuscinetto
componente utile della forza generata dal timone
modulo di elasticità tangenziale
profondità del pannello di fasciame della pala
altezza del corno
raggio d’inerzia della nave all’imbardata
momento d’inerzia dell’asta rispetto all’asse neutro
momento d’inerzia del calcagnolo
momento d’inerzia del corno
momento d’inerzia polare dell’asta
momento d’inerzia della pala rispetto all’asse neutro
momento d’inerzia dell’i–esimo elemento di pala
fattore di proporzionalità nella formula 3.7.D
fattore di trasformazione dell'angolo di attacco
rapporto fra l e De
coefficiente correttivo della scia dell’elica
coefficiente del materiale secondo IACS
fattore di correzione di VA per l’effetto dell’elica
distanza fra elica e timone
densità lineare di portanza
lunghezza del calcagnolo
lunghezza della mensola del corno
forza di portanza
lunghezza della nave tra le perpendicolari
fattore di trasformazione del coefficiente di resistenza
momento sezionale di flessione
momento flettente rispetto al cuscinetto di losca
momento flettente per la verifica dell’asta secondo IACS
pressione atmosferica
pressione sul pannello di fasciame della pala
battente idraulico sul profilo
tensione di vapore
q
[Pa]
q
[N/m]
Q
[Nm]
Q
[Nm]
QF
[Nm]
QR
[Nm]
r1, r2, r3 [-]
rL
[-]
RH
[N]
[-]
RN
RP
[N]
sf
[m]
si
[-]
[m]
tf
tM
[m]
T
[m]
T
[N]
T
[°C]
T
[N]
V∞
[m/s]
Vt
[m/s]
VA
[m/s]
VR
[m/s]
VS
[m/s]
w
[-]
wR
[-]
x
[m]
x0
[m]
y
[m]
y0
[m]
Y
[N]
YO
[N]
pressione nel punto di ristagno
carico per unità di lunghezza agente sulla trave
momento torcente originato sulla pala
momento sezionale di torsione
momento resistente di frizione
momento torcente per la verifica dell’asta secondo IACS
fattori di correzione per il calcolo di cR
fattore di riduzione della portanza funzione di AM /AR
forza applicata dalla pala al corno
Numero di Reynolds
reazione vincolare nel generico punto P della trave
lunghezza del lato corto del pannello di fasciame
generico parametro geometrico della superficie di pala
spessore minimo del pannello di fasciame
spessore massimo sulla corda media della pala
immersione media di progetto della nave
spinta dell’elica
temperatura
forza sezionale di taglio
velocità del flusso indisturbato
velocità del flusso lungo la corda indotta dagli spessori
velocità del flusso sul disco elica
velocità del flusso sulla pala
massima velocità di servizio della nave
frazione di scia
frazione di scia al timone
distanza dal bordo di attacco
distanza dal bordo di attacco per profilo standard
semispessore all’ascissa x
semispessore all’ascissa x per profilo standard
forza trasversale di controllo
minima forza trasversale di controllo