1 Il governo e la manovra della nave Corso di Allestimento Navale 1. Le capacità manovriere I mezzi marini devono possedere, seppure in diversa misura gli uni dagli altri, capacità manovriere adeguate ai compiti previsti in relazione alle possibili destinazioni d’uso. Si tratta di requisiti marinareschi che concorrono a determinare la capacità operativa della nave e sono quindi strettamente legati alla sua funzione commerciale. Sistemazioni e impianti per la manovra, l’ormeggio e ancoraggio, l’imbarco e trasporto delle merci costituiscono parte essenziale delle doti di un’imbarcazione. Una loro buona progettazione costituisce un valore aggiunto rispetto alle qualità essenziali di robustezza, stabilità e velocità. Le capacità manovriere di un mezzo marino rappresentano l’attitudine a rispondere prontamente e con precisione all’azione dei sistemi di governo e manovra, anche in condizioni meteo-marine avverse. Essenzialmente i sistemi di controllo del movimento della nave devono garantire la manovra sia in mare aperto sia in acque ristrette. Si possono evidenziare due distinte necessità: • controllo del moto d’avanzo in mare aperto – la nave ha l’esigenza di possedere un sistema di controllo della rotta alle velocità di crociera (sistema di governo), in grado di mantenerla sul percorso programmato, sia controllando il moto rettilineo con piccoli aggiustamenti necessari per bilanciare le azioni perturbative generate dal mare, sia modificando la rotta rettilinea con manovre d’accostata; • controllo delle manovre in acque ristrette – esiste anche l’esigenza di effettuare manovre a bassa velocità in acque ristrette, quali per esempio l’avvicinamento ad una banchina; nel caso in cui il sistema di governo non sia in grado di gestire le manovre a bassa velocità, può essere installato un sistema di manovra complementare, che funzioni eventualmente in maniera coordinata con il primo. Nel caso di unità speciali, le capacità manovriere devono includere anche requisiti particolari, quali l’attitudine al mantenimento di una posizione fissa in mare aperto (supply vessels, navi idrografiche, cacciamine, navi per ricerche petrolifere, FPSO – floating production and storage tankers, shuttle tankers), oppure la capacità di spingere o rimorchiare altri mezzi marini controllandone lo spostamento tramite la generazione di forze su direzioni convenienti (rimorchiatori, spingitori), oppure la capacità di effettuare operazioni collegate alle attività di dragaggio (draghe). In alcuni casi è l’ambiente a determinare modalità di navigazione che richiedono qualità di manovrabilità specifiche, come nel caso della presenza di ghiacci (rompighiaccio e navi mercantili per la navigazione fra i ghiacci). In altri, il tipo di servizio spinge a optare per soluzioni specifiche 2 Il governo e la manovra della nave dell’impianto di governo e di propulsione, come per le navi che devono invertire il moto d’avanzo su brevi rotte, eventualmente anche in spazi ristretti (traghetti bidirezionali). Il corretto funzionamento dei sistemi di controllo è essenziale per garantire la sicurezza della nave in mare. Una nave non manovrabile diventa, infatti, passiva nei confronti delle azioni del mare e del vento, col risultato di trovarsi in balia delle onde e di essere esposta al rischio di perdere stabilità o addirittura di veder compromessa la sua integrità strutturale. 2. Il timone convenzionale Negli impianti convenzionali, le forze per il controllo dei movimenti della nave nascono dall’effetto di interazione tra le superfici idrodinamiche orientabili e l’acqua che lambisce l’opera viva della nave per effetto del suo moto di avanzo. E’ sottinteso che il controllo dei moti è realizzato in acqua piuttosto che in aria, essendo la forza scambiata proporzionale alla massa del fluido nel quale essa è generata. Infatti, la massa specifica dell’acqua di mare è pari a circa 800 volte quella dell’aria: nelle condizioni standard – temperatura di 15°C e salinità del 3,5 % – la massa specifica dell’acqua di mare è di 1026 kg/m3, mentre la massa specifica dell’aria secca è pari a 1,226 kg/m3. Le forze necessarie per fare evoluire la nave sono ottenute tramite una superficie idrodinamica in grado di generare, se opportunamente orientata, una forza orizzontale trasversale. Si tratta della più importante superficie di controllo della nave e costituisce la pala del timone verticale, il cui asse di rotazione, come suggerisce il nome, è appunto verticale. Sui mezzi marini di superficie è detto semplicemente timone. Dal punto di vista storico gli antichi navigatori manovravano le loro navi servendosi di uno o più remi opportunamente azionati dalla forza dell’uomo e posti nella zona poppiera dell’imbarcazione. L’evoluzione dal remo di manovra al timone ebbe luogo in una data di difficile identificazione negli anni che vanno dal 1200 al 1500 (e rappresentò la più importante evoluzione del disegno navale di quegli anni). In quel tempo il remo di governo sporgente dal giardinetto di dritta della nave venne sostituito da un timone di legno pendente dal dritto di poppa. Sembra ragionevole ipotizzare, in base alle fonti storiche, che l’evoluzione del timone pendente dalla poppa abbia avuto luogo nelle acque baltiche o tedesche (forse le cocche della Lega Anseatica). Fino a quegli anni il remo-timone pendeva usualmente dalla fiancata di dritta della nave e rendeva questo lato inadatto all’avvicinamento alla banchina, sia per questioni di manovrabilità, sia per la protezione dell’impianto da scontri contro la banchina. Questa è la ragione per la quale 3 Corso di Allestimento Navale una fiancata della nave, quella di sinistra, ha mantenuto la funzione dominante di fiancata di attracco, mentre l’altra, quella di dritta, è rimasta nella memoria come fiancata di manovra, proprio perché un tempo equipaggiata con il remo timone. Al giorno d’oggi la storia di questa evoluzione rimane nel termine anglosassone con cui si indicano i due fianchi della nave: port side (PS) è il fianco di sinistra e starboard side (STB) è quello di dritta (starboard ≈ steering side), indipendentemente dal fatto che la nave abbia o no un fianco ottimizzato per l’ormeggio e l’imbarco delle merci. Oggigiorno le appendici di carena che costituiscono le superfici di governo sono poste nella volta di poppa e, quando possibile, nel flusso dell’elica, quindi sul piano di simmetria della nave o, se la nave è bielica, su piani simmetrici rispetto al diametrale. Un caso particolare è costituito dai traghetti bidirezionali, dotati di timoni e propulsori sia a poppa sia a prora, per i quali tuttavia la propulsione ed il controllo vengono effettuati sempre dalla poppa relativa. La pala è collegata al sistema di comando da un’asta verticale che, oltre a sorreggere il timone, ne controlla posizione e rotazione. L’asse di rotazione può essere leggermente inclinato rispetto alla verticale, in modo da far lavorare la pala con maggior omogeneità nel flusso di carena, come nel caso delle grandi navi bielica con due timoni. Gli assi sono inclinati anche per ridurre la distanza fra la losca ed il tubo di flusso dell’elica. Nei mezzi marini che possono navigare completamente immersi in acqua nasce anche la necessità di poter variare l’immersione rispetto alla superficie del mare. Per questo motivo i sottomarini sono dotati anche di un timone orizzontale, detto timone d’immersione, atto a controllare, per rotazione attorno ad un asse orizzontale, i soli movimenti verticali. In alternativa, per ottenere un’omogenea distribuzione delle forze sulle pale, i timoni dei sottomarini sono anche disposti ad “X”, ossia con assi inclinati di 45° rispetto alla verticale. Tali timoni vengono azionati in maniera coordinata per controllare assieme cambiamenti di rotta e di immersione. Le superfici di controllo convenzionali sono dette superfici passive poiché il loro azionamento è inefficace se avviene a nave ferma o a velocità di avanzo molto basse, come nel caso di manovre in acque ristrette, perché viene a mancare proprio quel flusso che sta all’origine delle forze idrodinamiche di controllo. Per questo motivo una nave non può manovrare efficacemente con il timone per accostare alla banchina; eventualmente, può solo effettuare manovre di allontanamento della poppa dal punto di ormeggio, deviando il flusso dell’elica tramite la pala del timone. Una manovra di questo tipo si realizza con più efficacia se la pala del timone è dotata di flap, perché si riesce ad ottenere una deviazione del flusso prossima ai 90°; il risultato della manovra è ancora migliore se la nave ha due eliche e due timoni, in questa circostanza, infatti, la generazione di flussi di verso 4 Il governo e la manovra della nave opposto sulle due eliche e la manovra coordinata dei timoni concorrono a generare a poppa una forza quasi perfettamente trasversale. D’altra parte, la prora può essere allontanata dalla banchina solo se è presente un bow thruster. 3. Gli impianti Gli impianti per il controllo dei movimenti della nave possono essere di diversa tipologia in funzione del particolare compito che devono espletare (governo, manovra, stabilizzazione), ma in generale essi sono costituiti da una serie di elementi funzionali così identificabili: • l’unità di potenza, ossia un dispositivo atto a fornire al sistema la potenza necessaria ad imprimere o smorzare un certo movimento della nave; si tratta solitamente un motore elettro-idraulico che riceve il comando impartito da un dispositivo automatico o da un operatore; • l’attuatore, in altre parole un meccanismo in grado di trasformare la potenza fornita dal motore primo in potenza disponibile all’asse; • la superficie di controllo, l’elemento con cui il sistema interagisce con l’ambiente generando la forza voluta per effetto della deviazione del flusso che lo lambisce. Tali impianti sfruttano energia prodotta a bordo. In genere, l’energia meccanica è ottenuta da energia elettrica, eventualmente passando per una fase intermedia di trasformazione in energia di pressione, associata al fluido di un impianto oleo-dinamico. L’energia meccanica è disponibile all’asse del timone per creare le forze di controllo con un tasso di crescita opportuno. 4. I principi di progetto Gli impianti devono essere in grado di espletare il proprio compito in qualsiasi condizione operativa richiesta alla nave, garantendo così la sicurezza del mezzo marino. Per questo motivo l’insieme dei macchinari e degli elementi strutturali deve essere estremamente affidabile in ogni parte e conseguentemente deve essere il più possibile semplice, con opportuna ridondanza negli elementi più delicati, e tale da garantire facilità di interventi manutentivi ed accessibilità sia per controlli sia manovre di emergenza (fino al controllo diretto delle casse valvole). In particolare, gli elementi fuori scafo, costituiti dalla superficie di controllo e dagli elementi di supporto e di comando, non essendo generalmente duplicati per motivi economici, devono essere caratterizzati da elevati margini di sicurezza di progetto (ossia progettati con elevati coefficienti di sicurezza strutturale). Tali parti sono, infatti, esposte alle azioni sia di carichi marini di difficile determinazione sia di carichi 5 Corso di Allestimento Navale accidentali dovuti a corpi galleggianti e per di più si trovano in posizioni disagiate per gli interventi di riparazione. Al giorno d’oggi l’attenzione per la sicurezza è però tale da giustificare sempre più spesso l’installazione di un doppio timone, soprattutto sulle navi alle quali sono associati alti rischi di gestione, per esempio le navi che trasportano merci pericolose come le navi petroliere o le chimichiere, oppure ancora le navi di maggior valore quali le passeggeri. Inoltre, le navi militari hanno spesso un doppio timone per garantire una certa continuità di servizio anche se le timonerie sono parzialmente danneggiate. Il numero dei timoni varia comunque in funzione delle esigenze di manovrabilità della nave ed è subordinato alla capacità della singola pala di contribuire alla generazione della forza evolutiva richiesta. L’efficienza idrodinamica della pala è un fattore essenziale. Ogni appendice di carena, positiva o negativa, comporta, infatti, una modifica del flusso attorno alla carena e quindi un incremento della resistenza all’avanzo (la cosiddetta resistenza aggiunta) che, anche ammontando a pochi valori percentuali, provoca sensibili costi aggiuntivi per l’esercizio della nave. Il timone va perciò collocato con attenzione nella scia di carena. Il rendimento della macchina di timoneria è altrettanto importante. Fattori generici che condizionano il progetto complessivo sono infine, come sempre a bordo, il peso e l’ingombro, soprattutto per le piccole imbarcazioni. 5. I sistemi attivi Quando il flusso utilizzato per la generazione delle forze sulla pala non è prodotto dal sistema di governo e manovra, le superfici di controllo si dicono passive, poiché per generare le forze evolutive sfruttano un flusso già esistente, quello che deriva dal moto d’avanzo della nave. I sistemi passivi non utilizzano energia per produrre il loro flusso di lavoro. Le superfici di controllo si dicono invece attive se sono dotate di mezzi propri per la generazione del flusso necessario al loro funzionamento. Diventano così indipendenti dall’avanzo della nave. Esse possono utilizzare il flusso prodotto, a nave ferma, dall’elica propulsatrice o da un’elica dedicata: in entrambi i casi lavorano orientando il flusso nella direzione voluta, producendo, attraverso questo getto, una forza utile al movimento della nave. I timoni attivi sostituiscono o integrano i sistemi passivi per gestire in sicurezza le manovre a basse velocità. Mentre negli impianti di controllo passivi la forza utile aveva origine nella portanza generata dalle superfici di controllo, nei sistemi attivi la forza utile matura essenzialmente per effetto della spinta generata da una 6 Il governo e la manovra della nave macchina dinamica (elica, idrogetto, pompa) utilizzata a tale scopo. Nella pratica, si possono avere due tipi di sistemi attivi: • quelli in cui la macchina che genera il getto ha l’asse fisso e il flusso è deviato dalla superficie di controllo; • quelli in cui la macchina che genera il getto è orientabile rispetto ad un asse verticale in modo da poter fare a meno della superficie deviatrice. Ciò significa che i sistemi attivi possono essere anche privi di superfici di controllo. Talvolta la superficie di controllo è presente anche su macchine orientabili per la regolazione e il raddrizzamento del flusso. Per quanto detto i sistemi di controllo attivi possono essere classificati, in base alla modalità di generazione della forza, nelle seguenti categorie: • timoni passivi e attivi, che lavorano come quelli passivi quando la nave è in movimento con una sufficiente velocità, ma che in manovra a basse velocità generano una forza utile grazie all’elica che portano fissata sulla superficie di pala (in pratica l’elica viene orientata muovendo la barra del timone in modo da generare spinte trasversali), oppure grazie ad un generatore di portanza (cilindro rotante) che sfrutta l’effetto Magnus; • timoni attivi a mantello orientabile, che generano spinte trasversali semplicemente deviando il flusso dell’elica di propulsione (ad asse fisso) utilizzata come elica di spinta a punto fisso; • timoni-propulsori, che possono essere identificati con i propulsori azimutali di diversa tipologia e con i sistemi cicloidali; in tali sistemi integrati viene orientata la macchina che genera la spinta per la propulsione. Esistono diverse configurazioni di propulsori azimutali, ognuno adatto ad espletare un determinato servizio. I propulsori azimutali con eliche in flusso libero vengono utilizzati sulle navi adibite a lunghe tratte di navigazione ma che necessitano anche di una notevole manovrabilità in acque ristrette (navi da crociera, navi mercantili). I propulsori azimutali con eliche intubate vengono invece utilizzati su mezzi per i quali l’efficienza in manovra è preponderante rispetto all’efficienza del sistema propulsivo nella navigazione in mare aperto (imbarcazioni portuali, rimorchiatori, supply vessels). Il sistema di propulsione azimutale ha un rendimento complessivo basso a causa delle elevate perdite correlate al sistema meccanico di trasmissione della potenza, costituito da due rinvii con ruote dentate. Effettivi vantaggi si ottengono inserendo il motore di propulsione (un motore elettrico) nella gondola di supporto dell’elica: tale sistema prende il nome di Pod ma è spesso indicato con il nome commerciale di Azipod. La modifica della 7 Corso di Allestimento Navale catena di trasmissione della potenza si traduce in una forte modifica delle forme del supporto dell’elica. Le configurazioni idrodinamiche delle due tipologie sono, infatti, molto diverse. Una particolare tipologia di timone-propulsore è quella rappresentata dai sistemi cicloidali (sistema brevettato Voith-Schneider). Si tratta di sistemi costituiti da una serie di pale verticali fissate lungo la circonferenza di una ruota che le porta in rotazione. Le pale sono libere di ruotare attorno al loro asse di supporto e vengono manovrate in modo da assumere, rispetto alla circonferenza, angoli variabili. Nel complesso si ottiene una spinta netta in qualsiasi direzione. Questo sistema è quello che garantisce in assoluto le migliori doti di manovrabilità, anche se a scapito del rendimento propulsivo. Anche i costi di istallazione sono elevati. Il propulsore Voith-Schneider trova applicazione su rimorchiatori e su navi che si muovono costantemente in acque ristrette. Tra i sistemi attivi si possono annoverare anche i propulsori di manovra, costituiti da eliche con asse trasversale fisso, che generano una spinta esclusivamente trasversale. Tali sistemi non sono dotati di superfici di controllo poiché sono adatti alla generazione di soli moti trasversali. Va osservato che due eliche trasversali, una a prora ed una a poppa, garantiscono sia una forza netta trasversale sia un momento evolutivo, rendendo possibile, eventualmente in coordinazione con la spinta dell’elica propulsatrice, qualsiasi sequenza di movimenti utili all’approdo. La presenza di questi impianti dedicati garantisce l’indipendenza della nave da mezzi esterni di ausilio alla manovra. Dal momento che il costo per l’intervento dei rimorchiatori non è generalmente trascurabile, la gestione della nave diventa, a fronte di un maggiore costo iniziale, più economica. 6. Le configurazioni tipiche In funzione delle esigenze operative le navi vengono equipaggiate con i sistemi di controllo più opportuni. In generale, le navi che spendono maggior parte della loro vita in mare aperto (oceangoing vessel) possiedono prevalentemente sistemi di controllo della rotta del tipo passivo, mentre quelle adibite a servizi del tipo feeder, o che prevalentemente navigano in acque ristrette, sono equipaggiate sempre più spesso con eliche di manovra, più raramente con apparati di governo e propulsione integrati (timonipropulsori). Nella configurazione classica, l’elica di manovra viene installata solo a prora (bow thruster). Navi con grandi esigenze di manovra o di controllo dello scarroccio sono dotate di più eliche trasversali poste sia a prora sia a poppa. 8 Il governo e la manovra della nave Va comunque osservato che i timoni passivi possono assumere svariate configurazioni e possono essere ottimizzati per il controllo della rotta in mare aperto o della manovra in acque ristrette. Soluzioni alternative a quella appena presentata sono costituite dall’utilizzo di sistemi di propulsione con direzione della spinta orientabile, i cosiddetti sistemi azimutali. Tale stratagemma permette di eliminare l’elica trasversale di poppa per la manovra in acque ristrette. Tuttavia la coppia di eliche trasversali di poppa e di prora può essere mantenuta per aumentare la capacità di manovra della nave, ed è questo il caso di recenti grandi navi da crociera che effettuano spesso navigazione in acque ristrette. 7. Un cenno ai moti nave Con l’espressione “movimento della nave” si è finora inteso il movimento roto-traslatorio della nave indotto dall’azione dei sistemi di controllo, movimento consistente generalmente in un moto di avanzo rettilineo o in accostata. In termini più generici la nave è soggetta a movimenti, detti propriamente “moti nave”, indotti essenzialmente dalle azioni del mare e del vento. Rispetto ad una terna solidale alla nave essi sono così definiti: • moti di traslazione: sono detti moto di abbrivio (surge) quello lungo l’asse longitudinale della nave, moto di scarroccio (sway) quello lungo l’asse trasversale ed infine moto di sussulto (heave) quello lungo l’asse verticale; • moti di rotazione misurati rispetto alla terna che identifica gli angoli di Eulero: sono detti moto di rollio (roll) quello attorno all’asse longitudinale, moto di beccheggio (pitch) quello attorno all’asse trasversale ed infine moto di imbardata (yaw) quello attorno all’asse verticale. I movimenti oscillatori, e tutti quelli non stazionari, riducono il comfort a bordo del mezzo marino. Inoltre possono essere all’origine di accelerazioni elevate, tali da generare pericolose forze inerziali aggiuntive sulle strutture della nave. Per tali motivi le navi vengono anche equipaggiate con impianti di controllo atti a smorzare i moti nave, assicurando una stabilità di piattaforma adeguata alle esigenze di abitabilità o di servizio e sufficiente a garantire la sicurezza rispetto agli sbandamenti trasversali e alla capacità strutturale. Detti impianti possono essere interni alla nave (per esempio le casse antirollio) oppure esterni allo scafo, in quest’ultimo caso si tratta di superfici di controllo fisse o mobili che vengono aggiunte sull’opera viva del mezzo marino. Questi impianti, molto simili a quelli di governo, sono prevalentemente utilizzati per la riduzione del moto di rollio e, meno 9 Corso di Allestimento Navale frequentemente, di quello di beccheggio. Va rammentato a riguardo che lo smorzamento del rollio è previsto su navi che mostrano una carenza di stabilità trasversale per le condizioni operative richieste dal tipo di servizio (navi veloci) o che necessitano di stabilità di piattaforma (supply vessels, navi militari, navi passeggeri), mentre la riduzione del moto di beccheggio è indispensabile per consentire l’operatività delle navi veloci con mari mossi (navi veloci mercantili e militari). 10 2 La manovrabilità della nave Corso di Allestimento Navale 1. Introduzione Il funzionamento dei sistemi di manovra della nave, ovvero dei timoni, può essere pienamente compreso solo approfondendo la conoscenza delle modalità con cui essi interagiscono con la carena nel determinare l’effetto evolutivo. La disciplina che tratta questi argomenti va sotto il nome di manovrabilità della nave. Nella trattazione che segue si porrà l’attenzione sulle forze che nascono sul timone e sulla nave durante una manovra di correzione o di variazione della rotta, allo scopo di chiarire la cinematica della nave. Ciò permetterà di porre le basi per la comprensione dei meccanismi che concorrono a determinare l’efficacia del timone in relazione alle qualità evolutive della nave, nonché l’attitudine della nave stessa ad essere governata dal timone. Benché in quanto segue si faccia riferimento al timone classico (il timone passivo), le considerazioni che verranno espresse sulla manovrabilità della nave valgono, in massima parte, anche per navi equipaggiate con i timoni attivi, compresi i timoni-propulsori. In effetti, il meccanismo di interazione fra organo di manovra e nave, nei due tipi di controllo, mantiene molte caratteristiche in comune. Inoltre, l’efficacia del sistema di governo, qualunque esso sia, e l’attitudine della nave alla manovra vengono misurate con gli stessi parametri e le stesse modalità di prova. 2. L’azione del timone La forza idrodinamica che si genera sul timone al variare dell’angolo di attacco del flusso può essere studiata con riferimento alla teoria dei corpi a profilo alare aventi allungamento finito, considerando in particolare che il timone è investito da un flusso non omogeneo sia per l’effetto di interazione con altri corpi – ovvero la carena e l’elica –, sia per l’effetto della vicina superficie marina. La risultante delle pressioni idrodinamiche agenti sul timone è una forza applicata nel centro di pressione che viene usualmente scomposta nelle due componenti di resistenza e portanza. Nel corso degli anni la superficie della pala (del timone passivo) ha sperimentato, entro una serie di vincoli progettuali, un’evoluzione continua che l’ha portata dalla configurazione di semplice lastra piana solo lievemente arrotondata sui bordi a quella dell’odierna superficie idrodinamica, ossia una superficie ottimizzata per creare alte forze utili alla manovra e per contenere nel contempo le forze parassite. Al giorno d’oggi, la pala è sagomata a semplice o doppia curvatura, ottimizzata per il flusso non omogeneo cui è soggetta e formata eventualmente da più parti dotate di movimento reciproco. 2 La manovrabilità della nave Dal momento che il timone deve generare con la stessa efficacia una forza trasversale alternativamente verso dritta o sinistra nave, la superficie idrodinamica è generalmente realizzata con carenature aventi sezioni a forma di profilo alare simmetrico. È pur vero che si utilizzano anche profili asimmetrici, ma solo in soluzioni particolari, per esempio per effettuare un accoppiamento migliore fra il timone e il flusso non omogeneo dell’elica, oppure, nelle navi con due timoni, per consentire ai timoni accoppiati, posizionati simmetricamente rispetto al piano diametrale della nave, di funzionare come deviatori di flusso. L’angolo di attacco del flusso sul timone assume una grande importanza nella generazione delle forze utili alla manovra e si definisce come l’angolo compreso fra il piano di riferimento della pala e la direzione media del flusso sulla pala. Il piano di riferimento della pala identifica la direzione rispetto alla quale un flusso omogeneo non genera portanza. Per le pale con carenatura simmetrica è quello diametrale. L’angolo di barra α [°] del timone è l’angolo con cui si valuta la posizione della pala rispetto allo scafo e corrisponde all’angolo formato fra il piano di riferimento della pala ed un piano fisso sulla nave. È usuale indicare come angolo di barra nullo (α = 0°) quello che corrisponde alla posizione del timone a riposo e misurare gli angoli di barra rispetto a detta posizione. La posizione di timone a riposo è quella in cui si trova il timone quando non è chiamato a generare alcuna forza utile alla manovra. Nel caso delle navi bielica l’azione dei propulsori è simmetrica e la posizione di riposo del timone centrale o dei timoni laterali può essere identificata come quella che assicura la minima resistenza aggiunta nella condizione di navigazione di progetto. Il piano di riposo del timone viene perciò ricercato attraverso lo studio del flusso che lambisce il timone durante l’avanzo su rotta rettilinea, flusso che risente sia della scia della carena, sia di quella dell’elica. Una volta identificata la direzione dei filetti fluidi in corrispondenza della zona ove va posto il timone, il piano di riposo è presto definito, infatti la pala va disposta parallelamente alla direzione media dei filetti fluidi in modo da disturbare il meno possibile il flusso e generare quindi la minima resistenza aggiunta. Nel caso del timone centrale, la posizione di riposo del timone è chiaramente quella in cui il piano di riferimento della pala coincide con il piano diametrale della nave. Su navi monoelica, dal momento che il piano di riposo dipende dall’asimmetria dell’azione dell’elica propulsatrice e cambia al variare del regime dell’elica, il riferimento per l’angolo di barra è fatto al piano di riposo ad elica ferma. Se il timone è centrale, il piano di riposo coincide con il piano diametrale della nave. Al pilota (timoniere) viene poi fornito il valore dell’angolo di barra che annulla l’effetto trasversale del propulsore, definito come angolo neutro αN. 3 Corso di Allestimento Navale Quando la nave si trova in moto rettilineo, procede cioè alla via, il timone deve compensare le eventuali asimmetrie dovute all’elica (e alla carena). L’effetto evolutivo da imputarsi all’elica ha origine dalla componente trasversale della spinta, che crea una traslazione laterale della poppa sia per azione diretta, sia perché induce sulla pala uno scarto fra l’angolo di barra e l’angolo di attacco. Nel caso di una nave monoelica con elica destrogira, l’angolo neutro αN è tipicamente dell’ordine di 1° ∼ 2° a dritta e il timone in questa posizione è detto “alla via”. Nel caso di navi bielica, le espressioni timone diritto e timone alla via sono equivalenti perché il timone centrale (o i timoni laterali) genera una forza (complessiva) puramente longitudinale. Nelle navi bielica l’azione dei propulsori è simmetrica e, fintanto che il flusso proviene dalla direzione prora-poppa, l’angolo di attacco e l’angolo di barra coincidono. Nelle navi monoelica i due angoli differiscono di una piccola quantità che agli effetti pratici, per esempio nel calcolo delle forze idrodinamiche, viene spesso trascurata. Nelle trattazioni di manovrabilità rimane tuttavia importante evidenziare il valore dell’angolo neutro, tanto che, generalizzando, si può affermare che sulle navi bielica vale αN = 0°. Si consideri una nave che percorre una rotta non rettilinea, è possibile osservare che la direzione della linea di fede non coincide con la tangente alla traiettoria del baricentro. Nelle navi convenzionali, la prora è mantenuta all’interno della traiettoria, ossia dalla parte del centro di rotazione. L’angolo formato tra la linea di fede della nave e la tangente alla traiettoria descritta dal baricentro della nave G è definito angolo di deriva (della nave) e viene indicato con β [°]; come si vedrà oltre, un grande angolo di deriva dalla parte del centro di rotazione favorisce un’accostata stretta. Un certo angolo di deriva si manifesta anche in corrispondenza del timone. Si consideri infatti la traiettoria percorsa sul piano orizzontale dal punto che rappresenta la traccia dell’asse di rotazione del timone: l’angolo fra questa traiettoria e la linea di fede è detto angolo di deriva al timone βR. Se il timone non risentisse della presenza dell’elica e della carena, in accostata vedrebbe un flusso proveniente dalla direzione tangente alla traiettoria percorsa dal timone, di conseguenza in accostata l’angolo di attacco sulla pala risulterebbe ridotto, rispetto all’angolo di barra, di una quantità pari a βR. In realtà, si manifesta un effetto di raddrizzamento del flusso nella direzione prora-poppa indotto da due fattori: • la carena, che genera un forte raddrizzamento quando il timone è nella sua scia ed è accentuato dalla presenza di uno skeg. • l’elica, che fornisce un buon effetto di raddrizzamento al timone che si trova nella sua scia, soprattutto se è molto caricata, ossia se è basso 4 La manovrabilità della nave il coefficiente d’avanzo J [-], definito come il rapporto fra la velocità del flusso libero e quella tangenziale all’apice. L’angolo di attacco effettivo αE che si manifesta durante l’accostata risulta pari all’angolo di attacco su rotta rettilinea ridotto di una quantità proporzionale all’angolo di deriva al timone βR. La riduzione ideale βR è in parte compensata dall’effetto di raddrizzamento del flusso dovuto all’azione dello scafo e dell’elica, effetto espresso in proporzione all’angolo di deriva utilizzando il coefficiente di raddrizzamento del flusso κ [-]. In generale l’angolo di attacco effettivo viene ad essere: α E = α − κ βR [°] (2.A) in cui si trascura l’effetto di asimmetria del flusso dell’elica. Il coefficiente di raddrizzamento assume i seguenti valori limite: • κ = 1 quando non si manifesta alcun effetto di raddrizzamento, • κ = 0 quando l’effetto di raddrizzamento del flusso è massimo. Il complesso delle forze trasversali che agisce sulla carena quando la nave è su rotta rettilinea ha risultante nulla e non si manifestano moti di deriva e d’imbardata, a meno di azioni dinamiche sull’opera viva prodotte da correnti marine e colpi di mare o dell’azione del vento sull’opera morta e sulle sovrastrutture. Si osservi per inciso che con il termine rotta si intende la traccia del percorso della nave, o meglio di un suo punto identificativo come, per esempio, il baricentro di massa G, descritto come percorso vettoriale consistente in uno o più segmenti rettilinei o curvi, oppure come percorso per punti consistente in un insieme di punti identificati dalle loro coordinate. In queste condizioni ideali, la simmetria delle pressioni esercitate sullo scafo viene alterata solo per effetto della rotazione del timone di un certo angolo rispetto alla posizione alla via. Per effetto del nuovo angolo di barra, il flusso dell’acqua genera sulla pala una pressione che ha risultante prevalentemente orizzontale ed inclinata di un certo angolo rispetto al piano diametrale della nave. La nave esce così dalla traiettoria rettilinea ed entra in accostata. La forza orizzontale generata ha una componente utile FT [N] nella direzione normale al piano diametrale della nave – orientata dalla parte opposta del timone rispetto alla mezzeria nave – ed una componente longitudinale parassita, detta componente ritardatrice RT [N] poiché ha verso contrario rispetto alla spinta dell’elica propulsatrice e costituisce una resistenza aggiunta di carena. Il momento verticale generato dalla forza del timone rispetto al centro di massa G della nave costituisce il momento evolutivo ME [Nm]. 5 Corso di Allestimento Navale Nella pratica il momento evolutivo viene convenzionalmente calcolato sulla sola componente trasversale FT come prodotto della forza per il braccio rappresentato dalla distanza longitudinale tra l’asse di rotazione della pala ed il baricentro della nave. Tale braccio può quindi essere scritto in funzione della lunghezza tra le perpendicolari della nave LPP [m] e della posizione del centro di massa rispetto alla perpendicolare al mezzo xG [m] (ascissa positiva se G è a proravia della perpendicolare al mezzo): M E = FT (0,5LPP + xG ) [Nm] (2.B) In tal modo si ammette la piccola approssimazione derivante dal trascurare sia l’effettiva posizione del centro di pressione, molto vicino all’asse di rotazione della pala, sia la componente longitudinale della forza generata dal timone, che lavora in realtà con un piccolo braccio. Essendo la principale artefice del momento evolutivo, la componente trasversale è detta componente attiva. Appare subito evidente l’effetto cinematico prodotto dall’azione del timone nella fase iniziale di un’accostata. Infatti, considerando il sistema equivalente di forze ottenuto spostando nel baricentro di massa della nave le forze FT ed RT ed aggiungendo il momento di trasporto ME, si ha che: • il momento evolutivo ME genera una rotazione attorno ad un asse verticale, ossia un moto di imbardata; • la forza trasversale FT produce uno spostamento trasversale della nave, ovvero un moto di deriva; • la forza longitudinale RT causa infine una riduzione della velocità della nave. Va però osservato che la singola forza generalizzata genera, oltre al moto corrispondente, anche i moti ad esso accoppiati. 3. Il controllo e la manovra della nave La nave deve possedere particolari attitudini marine che permettano al pilota il controllo sicuro e facile dei sui movimenti sulla superficie del mare. Il controllo è esercitato dal timoniere o dall’autopilota che, conoscendo il percorso che deve essere seguito (rotta impostata) ed osservando il percorso reale della nave (rotta reale), sono in grado di valutare l’errore di percorso e di stabilire le procedure necessarie per l’esecuzione delle manovre di correzione della rotta. Nota l’entità dello scarto, il pilota interviene sul macchinario del timone trasmettendo un comando di variazione dell’angolo di barra, sì da causare la variazione della forza trasversale FT generata dalla pala del timone. Ne consegue la modifica dell’intensità del momento evolutivo ME ed infine la 6 La manovrabilità della nave modifica della traiettoria della nave. L’operazione può constare di una serie di aggiustamenti successivi e termina quando la nave si porta a seguire la rotta desiderata. Il pilota rimane poi inattivo fino all’istante in cui non stima di nuovo uno scarto apprezzabile fra rotta impostata e reale, oppure finché non riceve un comando di variazione della rotta. La bontà del controllo dipende da una serie di fattori molto diversi. Vanno considerate infatti le variabili correlate all’intera catena di controllo: • il fattore umano, intendendo con ciò che la qualità del controllo dipende non solo dal grado di preparazione del pilota, ma da una serie di variabili inerenti alla natura umana stessa; • la disponibilità di strumentazioni di plancia per la gestione della rotta (per la stima della posizione nave, la misura dell’angolo di barra, il coordinamento dei sistemi di governo e di manovra, etc.); • la disponibilità di informazioni sulle caratteristiche di manovrabilità della nave (pilot card, wheelhouse poster, manoeuvring booklet); • l’efficacia del sistema di governo della nave, che si misura con la prontezza con cui la timoneria muove il timone, la velocità di rotazione del timone e la capacità della pala di generare forze idrodinamiche sufficientemente elevate; • l’attitudine della nave a farsi manovrare ovvero il comportamento della nave in risposta alle forze indotte dai sistemi di governo (dipende dalle caratteristiche intrinseche di manovrabilità della nave). I fattori ingegneristici da cui dipende la bontà del controllo sono studiati in seno alla disciplina che prende il nome di manovrabilità. La capacità di analizzare questi fattori porta alla comprensione delle modalità di reazione della nave ai sistemi di governo ed apre quindi la via alla progettazione razionale di questi ultimi. Tutte le navi dovrebbero possedere qualità di manovrabilità tali da consentire loro di effettuare le procedure di controllo del moto in maniera soddisfacente, ossia in sicurezza riguardo alle condizioni operative previste, e, per quanto possibile, indipendentemente da ausili esterni, quali, per esempio, i rimorchiatori. Una nave è sicura solo se è controllabile, ovvero se è manovrabile. In generale, la manovrabilità di una nave si misura nell’attitudine della nave ad eseguire con precisione manovre di regolazione sia della traiettoria, sia della velocità. Il controllo della traiettoria sottostà ad esigenze diverse a seconda che la nave si trovi nella situazione di navigazione in mare aperto o di atterraggio: 7 Corso di Allestimento Navale • durante la navigazione in mare aperto la nave deve poter eseguire, ad alta velocità di avanzo, manovre per il mantenimento o la variazione della rotta rettilinea; • in fase di atterraggio la nave, giunta in prossimità della costa, deve poter compiere le manovre per andare alla fonda o per entrare in porto, muovendosi su tragitti anche tortuosi ed a basse velocità; in questa fase deve essere in grado di eseguire manovre di evoluzione che le permettano di raggiungere o abbandonare una banchina e, non da ultimo, deve riuscire ad estinguere il suo moto, in direzione sia longitudinale, sia trasversale Le qualità manovriere che devono possedere le navi si distinguono fra quelle intese al mantenimento di una traiettoria, alla variazione della traiettoria e al controllo della velocità. Si creano perciò tre diversi ambiti: • lo steering o governo della nave, che comprende tutte quelle qualità manovriere che sono relative al controllo della rotta in navigazione; • il manoeuvring o attitudine alla manovra, che raccoglie le qualità correlate all’esecuzione di manovre di variazione della traiettoria per la modifica della rotta o per l’esecuzione di evoluzioni; • lo speed changing è l’attitudine alla variazione della velocità di avanzo, intendendo con ciò, in genere, la capacità di estinguere il moto di avanzo. Il primo aspetto riguarda la capacità di mantenimento della rotta (course keeping), con riferimento ad una traiettoria rettilinea predeterminata. Questa attitudine è strettamente correlata alla facilità di mantenere una nave sulla propria rotta contro l’azione delle forze ambientali (colpi di vento, correnti, onde) che sono fonte di perturbazioni del moto. Va infatti osservato che, una volta impostato l’angolo di rotta, la nave, sotto l’azione del pilota, segue il percorso rettilineo in maniera imperfetta, compiendo un movimento ondulatorio attorno alla traiettoria ideale. Il mantenimento (o controllo) della rotta consiste nell’attenuazione del movimento ondulatorio trasversale e si effettua variando, quasi con continuità, l’angolo di barra del timone. In una nave con buone caratteristiche di course keeping, la correzione della rotta si ottiene, a fronte di piccoli angoli di barra del timone, con piccoli angoli di deriva della nave. In altre parole, l’angolo formato fra la direzione prora-poppa e il percorso di un punto caratteristico della nave (si può fare, per esempio, riferimento al centro di massa della nave G) rimane piccolo. In quanto segue, sarà usuale indicare l’asse della nave steso sulla direzione prora-poppa con il termine “linea di fede”. Il secondo aspetto concerne la capacità della nave di eseguire una variazione della traiettoria in maniera veloce e con piccoli spazi di manovra, 8 La manovrabilità della nave sia per modificare l’angolo di rotta attraverso una leggera accostata, sia per invertire la rotta eseguendo un’evoluzione completa. Appare evidente che una nave che mostra facilità all’accostata avrà maggiori difficoltà a mantenersi su una traiettoria rettilinea, infatti le due qualità sono antitetiche. Il progetto della manovrabilità della nave deve soddisfare il compromesso fra le due caratteristiche, tenendo conto anche della tipologia della nave ed in particolare del tipo di servizio espletato dalla nave. Nelle navi per navigazioni su lunghe tratte (oceangoing vessel) è sicuramente preferibile migliorare la qualità di controllo, mentre nelle navi che si muovono su rotte di lunghezza limitata con frequenti soste in porto (piccole imbarcazioni, navi che fanno servizio feeder) è preferibile puntare su una buona manovrabilità. Il terzo aspetto è slegato dalle prerogative di manovrabilità in senso stretto, perché concerne non tanto un’attitudine della nave ad eseguire un determinato movimento, ma piuttosto la capacità della nave di estinguere il movimento di avanzo. Questo aspetto della manovrabilità è correlato all’esecuzione di attracchi o di manovre di emergenza. Raramente si indagano qualità legate ad altre modalità di controllo della velocità. Per i mezzi sommergibili, in aggiunta alle caratteristiche sopra elencate, va anche considerata la capacità di controllare il movimento di immersione o di emersione, movimento realizzato tramite l’azione dei timoni orizzontali. Per questi mezzi il moto avviene infatti in uno spazio tridimensionale. 4. L’evoluzione del concetto di manovrabilità Storicamente, la prassi dei progettisti è stata quella di non prendere in considerazione il problema della manovrabilità della nave, demandando alle risorse dei piloti la risoluzione di problemi legati alle scarse qualità manovriere che la nave poteva palesare una volta costruita e messa in navigazione. Una nave era considerata manovriera semplicemente se aveva, rispetto a navi simili, qualità “nella norma”. Questo atteggiamento era frutto dell’incapacità di definire le qualità manovriere di una nave. Il problema della valutazione delle qualità manovriere è subordinato a quello dell’identificazione di parametri oggettivi, capaci di riassumere gli aspetti significativi di una manovra. I valori assunti da detti parametri costituiscono una misura delle doti di manovrabilità della nave. A partire dagli anni ’60 gli enti preposti a garantire la sicurezza della navigazione, sotto l’impulso dei rischi connessi alla navigazione delle grandi navi cisterna, hanno cominciato a definire criteri minimi in relazione alle doti di manovrabilità delle navi. Le grandi navi cisterna tendono infatti ad 9 Corso di Allestimento Navale avere scarse caratteristiche di manovrabilità (e conseguentemente il rischio di incidenti aumenta). Un primo passo fu quello di puntare sulla qualità del sistema di governo, aspetto riguardo al quale l’IMO (International Maritime Organization, agenzia delle Nazioni Unite per la sicurezza della navigazione) ha elaborato una serie di raccomandazioni inerenti alle caratteristiche principali delle sistemazioni per il governo della nave. Queste indicazioni, recepite dagli Enti di Classificazione, erano, fino a pochi anni fa, gli unici standard cui poteva fare riferimento il progetto della manovrabilità delle navi. Tali linee guida contenute nella SOLAS sono così riassumibili: • deve essere garantita una sufficiente visibilità dal ponte di comando; • l’area della pala del timone deve garantire la generazione di una forza idrodinamica sufficientemente elevata; a tal fine l’area di pala deve essere maggiore di un valore minimo fissato in funzione delle caratteristiche della nave; • il macchinario di timoneria deve possedere una potenza tale da garantire, alla massima velocità della nave, una velocità di rotazione dell’asta del timone di almeno 2⅓° al secondo; • l’intero apparato deve avere un’alta affidabilità sia strutturale sia funzionale. Il continuo crescere delle dimensioni delle navi (ad esempio le navi portacontenitori) e delle loro velocità (ad esempio i traghetti veloci), assieme all’esigenza di garantire la sicurezza in aree portuali sempre più trafficate (e dove, a causa dell’effetto di shallow water, la manovrabilità è ridotta), hanno ulteriormente stimolato la ricerca nell’ambito della manovrabilità. Si poneva il problema di definire un metodo di analisi per: • classificare le qualità manovriere facendo frutto dell’esperienza e della sensibilità maturata dai piloti; • misurare le qualità manovriere attraverso parametri oggettivi; • verificare le qualità manovriere di una nave nuova attraverso prove in mare atte a valutare i valori di detti parametri. Si è così pervenuti alla messa a punto di una serie di parametri caratterizzanti la prontezza e la precisione della risposta della nave durante le manovre, tali da essere significativamente rappresentativi delle qualità manovriere della nave e atti a misurare le qualità intrinseche della nave indipendentemente dalle capacità del pilota e dalle condizioni ambientali. I parametri di risposta sono costituiti da tempi di risposta e da spazi di manovra che vengono misurati durante specifiche prove al vero eseguite in accordo con standard internazionali. Oggigiorno, le linee guida prodotte dall’IMO (e dagli enti di ricerca) definiscono nei particolari le tipologie di prove al vero atte a saggiare la manovrabilità di una nave. 10 La manovrabilità della nave L’esperienza maturata negli ultimi anni – sia con prove al vero, sia con procedimenti matematici di previsione delle attitudini manovriere delle navi – permette ora di valutare le qualità marine di una nave già in fase di progetto. La maturità raggiunta in quest’ambito ha legittimato gli Enti preposti alla vigilanza sulla sicurezza della navigazione, primo fra tutti l’IMO, a suggerire standard minimi di manovrabilità. Sono stati così fissati i valori minimi dei parametri con cui si misura la manovrabilità delle navi. Tali standard, ancora in fase embrionale, non appaiono particolarmente severi e sono piuttosto generici (non sono infatti specifici per le diverse tipologie di nave). L’attività dell’IMO nel campo della manovrabilità non si limita definizione degli standard minimi ma è rivolta al controllo di tutti quei fattori che concorrono a determinare qualità e sicurezza. Nello specifico, gli ambiti di indagine dell’IMO sono i seguenti: • la manovrabilità delle navi allo stato integro, con lo scopo di stendere standard di manovrabilità cui il progettista deve attenersi; • la manovrabilità delle navi cisterna in condizioni di avaria o di falla (situazioni in cui la governabilità è ridotta), in modo da fornire linee guida per la gestione delle emergenze (e con lo scopo principale di minimizzare il rischio di inquinamento); • l’istruzione del personale di plancia responsabile del governo della nave, in modo da garantire una condotta sicura del mezzo marino attraverso la conoscenza sia delle procedure sia delle qualità manovriere della nave. Anche le società armatrici richiedono sempre più frequentemente che la nave possegga buone prestazioni di manovrabilità, soprattutto con riferimento alle manovre in acque ristrette. Tale politica non è intesa a garantire la sicurezza quanto piuttosto a ridurre i costi di gestione delle navi, costi legati all’uso dei rimorchiatori in acque portuali. 5. La stabilità del moto della nave Nello studio dell’attitudine della nave a mantenere o modificare la sua traiettoria, sia essa rettilinea o curva, è importante definire innanzitutto il concetto di stabilità del moto. Come noto, un corpo si trova in condizione di equilibrio stabile se, dopo la cessazione di una causa esterna che lo ha spostato dalla sua posizione (una forza o un momento), esso torna nella stessa posizione iniziale. In maniera analoga si stabilisce la stabilità dell’equilibrio della nave. Si consideri una nave che inizialmente si trova su rotta rettilinea percorsa a velocità costante (moto rettilineo uniforme) e che subisce poi l’azione di una causa perturbatrice (un colpo di vento o il moto ondoso) che la fa deviare su una 11 Corso di Allestimento Navale traiettoria curva. Si dice che la nave gode di equilibrio stabile durante il moto di avanzo, ovvero possiede stabilità dinamica di rotta, se, al cessare della causa perturbatrice, la nave torna nello stato iniziale di moto rettilineo uniforme, ovvero torna su una rotta rettilinea. In relazione al moto della nave si definiscono diversi gradi di stabilità del moto: • stabilità di percorso, • stabilità direzionale, • stabilità di rotta rettilinea. Si dice che il moto si realizza in condizioni di perfetta stabilità se, a partire da una rotta rettilinea percorsa a velocità costante, dopo la cessazione di un disturbo esterno che modifica le condizioni del moto viene ripresa esattamente la stessa rotta iniziale senza alcun intervento correttivo da parte degli organi di controllo (ossia con timone fisso). Tale stabilità si indica come stabilità di percorso. Ovviamente un comportamento perfetto come quello descritto non è realizzabile perché non esistono forze di richiamo verso la rotta iniziale. Il mantenimento della traiettoria retta sullo stesso percorso si può ottenere solamente con l’ausilio di un sistema di governo manuale o automatico. Se la nave riuscisse a riprendere – senza intervento esterno da parte del pilota – il suo moto rettilineo su una rotta parallela a quella iniziale, si parlerebbe di stabilità direzionale. Anche la stabilità direzionale si può ottenere solamente con l’ausilio di un sistema di controllo manuale o automatico. Nella realtà, la nave può riuscire a riprendere – sempre senza intervento esterno da parte del pilota – solamente il moto rettilineo, in una direzione che dipende dalla durata ed intensità della causa perturbatrice e dalle caratteristiche intrinseche della nave. Se, dopo la cessazione della perturbazione, la nave si porta su una nuova rotta rettilinea, si dice che possiede stabilità di rotta (rettilinea). In questo contesto la stabilità va quindi intesa come la capacità di mantenere una rotta rettilinea senza l’intervento del timone ed è indicata in maniera concisa come controls-fixed straight-line stability. Non tutte le navi la posseggono e, in ogni caso, le navi possono essere stabili o instabili in diversa misura. Quando una nave è instabile mostra il suo comportamento anomalo deviando dalla traiettoria rettilinea per portarsi su una traiettoria curva sotto l’azione di cause perturbatrici generate dall’ambiente. La nave instabile, alla fine della perturbazione, devia sempre più dalla rotta iniziale, accostando con il timone in posizione neutra. Ciò comporta per il pilota evidenti problemi di controllo della nave perché non vi è più una corrispondenza biunivoca fra l’angolo di barra del timone (l’angolo neutro αN) e la curvatura 12 La manovrabilità della nave 1/R della traiettoria percorsa (ove con R [m] si indica il raggio della traiettoria di un punto significativo della nave, per esempio il baricentro G), che non è più nulla ma assume due valori diversi, a seconda che la perturbazione provochi un’accostata verso dritta (1/RPS > 0) o verso sinistra (1/RSTB < 0). Si osservi che l’accostata (raggio di curvatura, angolo di rotazione e velocità di rotazione) e l’angolo di barra sono per convenzione positivi a dritta (starboard side − STB) e negativi a sinistra (port side − PS). Una piccola instabilità dinamica è generalmente accettata, perché le manovre del timone necessarie per arginarla si confondono con quelle effettuate per compensare i disturbi esterni che via via agiscono sulla nave, mentre una elevata instabilità deve essere corretta. 6. Analisi della stabilità dinamica Le prestazioni manovriere della nave si saggiano, come già accennato, misurando parametri di tempo e spazio in modo da avere informazioni sull’abilità della nave ad eseguire le manovre con prontezza e su tragitti brevi. La misura degli spazi impegnati, o meglio, delle traiettorie percorse, dà inoltre informazioni sulla precisione di risposta della nave. La precisione di risposta è garanzia dell’univocità di corrispondenza fra l’intervento del pilota (ossia l’azione idrodinamica che nasce sul sistema di controllo) ed il moto della nave. La precisione di risposta è la prima caratteristica di manovrabilità che deve essere valutata su una nave. Se la nave non risponde con precisione all’azione del timone, la manovra diventa infatti incerta e assume quindi un’importanza secondaria saggiare l’attitudine della nave a rispondere con prontezza e su tragitti brevi. Si è già visto che, se la nave ha stabilità di rotta rettilinea, all’angolo di barra neutro (α = αN) si associa un solo raggio di curvatura (R = ∞), mentre se è instabile all’angolo di barra neutro corrispondono due traiettorie: quella iniziale (R = ∞) e quella finale (R = RPS/STB). Un analogo ragionamento può essere fatto anche a partire da una traiettoria iniziale circolare (R = RI ≠ ∞) percorsa a velocità costante: in questo caso la stabilità della rotta si misura saggiando la corrispondenza biunivoca fra l’angolo di barra impostato (α = αI ≠ αN) e il raggio della traiettoria. Il concetto di stabilità di rotta rettilinea può essere quindi esteso anche alla rotta su traiettoria circolare. La precisione di risposta può essere correlata alla stabilità dinamica di rotta, valutando l’esistenza o meno di una corrispondenza biunivoca fra il raggio di curvatura della rotta R e l’angolo di barra del timone α: • la corrispondenza biunivoca (α, R) garantisce la massima precisione della risposta; 13 Corso di Allestimento Navale • la mancanza di detta corrispondenza biunivoca implica una risposta imprecisa, il cui grado di imprecisione è misurabile attraverso lo scarto fra i raggi di curvatura ottenuti con lo stesso angolo. L’esperienza mostra che se una nave è instabile su rotta rettilinea presenta, in diverso grado, difficoltà di controllo della rotta anche in accostate realizzate con alti raggi di curvatura. I dati relativi alla stabilità di rotta della nave vengono dedotti da specifiche prove al vero e consistono in coppie ordinate di valori (α, R). Queste coppie vengono raccolte in un diagramma che prende il nome di “diagramma del moto circolare uniforme” (il diagramma si indica più propriamente con il termine steering diagram, oppure ancora con il nome di spiral loop curve). In ascissa sono riportati gli angoli di barra ed in ordinata i corrispondenti raggi della traiettoria circolare, in genere adimensionalizzati sulla lunghezza della nave L [m]. Ciascuna curva così definita si riferisce ad una prefissata velocità di avanzo posseduta dalla nave all’ingresso delle manovre. In detto diagramma, la curva presenta due bracci, uno relativo ad angoli di barra a dritta (α+) ed uno relativo ad angoli di barra a sinistra (α–). I due bracci mostrano due possibili andamenti: • nel caso di stabilità dinamica le curve hanno asintoto verticale comune in corrispondenza dell’angolo neutro del timone: all’angolo di barra αN corrisponde la rotta con raggio R = ∞; • nel caso di instabilità dinamica, al diminuire del valore assoluto dell’angolo di barra, le curve sono ancora una volta crescenti ma raggiungono un valore massimo finito in corrispondenza di αN e continuano a crescere anche dopo averlo attraversato; solo dopo un certo tratto manifestano repentinamente il cambio di segno del raggio di curvatura della traiettoria. In quest’ultimo caso, la zona di sovrapposizione che viene a crearsi rende conto dell’instabilità di rotta, infatti ad ogni fissato angolo di barra corrispondono due valori del raggio della traiettoria. L’area inscritta fra i due bracci prende il nome di area di isteresi. Il diagramma di una nave instabile indica perciò che, se la nave parte con il timone all’angolo neutro, si può impostare inizialmente una rotta rettilinea (R = ∞) dal momento che le forze trasversali generate dalla pala e dall’elica sono equilibrate. Un colpo di vento la farà poi deviare su una traiettoria circolare stabilizzata (R costante) il cui raggio di curvatura, letto nel diagramma in corrispondenza dell’angolo di barra neutro, è positivo o negativa a seconda che la forza perturbatrice provenga da sinistra nave o da dritta. Analogo discorso vale anche per tutti quei valori dell’angolo di barra che sono compresi nella zona di sovrapposizione delle due curve. 14 La manovrabilità della nave Nello steering diagram, in luogo delle curve che rappresentano i raggi di curvatura R delle traiettorie, è usuale riportare le curve che rappresentano i valori della velocità angolare di corpo rigido della nave ψ [rad/s]. Si passa quindi dalla rappresentazione α−R alla rappresentazione α−ψ. Il diagramma α−ψ si ottiene dal primo richiamando la relazione che lega la velocità angolare e la velocità tangenziale. Indicando con V [m/s] la velocità di traslazione del baricentro G della nave durante l’evoluzione di raggio R, vale: V = ψR [m/s] (6.A) La velocità ψ, trovandosi la nave in moto circolare uniforme, coincide con la velocità di imbardata. La velocità V è la somma della velocità di avanzo della nave e della velocità di deriva misurata al baricentro G. Nel diagramma α−ψ l’intercetta della curva sull’asse delle ascisse indica l’angolo di barra neutro. La stabilità dinamica di rotta si manifesta nei termini di una funzione monotona crescente del tipo ψ = ƒ(α). L’instabilità è evidenziata da due bracci che si sovrappongono su una certa fascia di valori dell’angolo di barra. Lo steering diagram non dice quanto deve essere intensa la causa perturbatrice per provocare la stabilizzazione del moto a partire da una situazione di equilibrio instabile. D’altra parte, la presenza nel diagramma di un’area d’isteresi mette in allerta il pilota (o il progettista), avvisandolo che sussiste la possibilità che la nave si porti su una traiettoria circolare, senza alcun intervento sul timone, solo perché le cause perturbatrici dell’equilibrio sono cresciute fino a vincere l’inerzia della nave stessa. Come illustra il diagramma, l’instabilità, quando si manifesta, concerne solo gli angoli di barra prossimi all’angolo di barra neutro. Per tale motivi essa si indica anche con il termine di instabilità iniziale. Dal momento che i bassi angoli di barra sono tipici del controllo della rotta in navigazione, l’instabilità è fonte di difficoltà nelle fasi di governo della nave e non interessa, se non marginalmente, le fasi di manovra. Dallo steering diagram è possibile valutare il grado di instabilità di una nave misurando la larghezza e l’altezza dell’area di isteresi. In particolare, con riferimento al diagramma α−R, raggi di curvatura piccoli nella zona di instabilità sono indice di un’alta propensione della nave all’instabilità di rotta. Tali valori indicano infatti che la nave, poiché è incline a stabilizzare evoluzioni molto strette sotto l’azione di piccoli angoli di barra del timone, può anche essere spinta fuori rotta con facilità per effetto di un “leggero” colpo di mare o di vento. In una famiglia di curve α−ψ di navi instabili, 15 Corso di Allestimento Navale quelle che nella zona di instabilità assumono, a parità di α, valori maggiori indicano proprio questa propensione. Oltre a fornire un indice delle attitudini di manovrabilità della nave, lo steering diagram mostra anche implicitamente quale è l’efficacia del timone. Si considerino le curve ψA−α e ψB−α relative alla stessa nave allestita con due soluzioni alternative di timone (configurazioni A e B) e ottenute con prove di manovrabilità eseguite alla stessa velocità di ingresso in manovra. Si supponga che le due curve, per un certo valore dell’angolo di barra del timone, abbiano raggi di curvatura RA ed RB che stanno, l’uno rispetto all’altro, nella relazione RA > RB. Ciò implica che, per tale valore di α, la nave con configurazione B accosti in uno spazio minore. In genere, la configurazione che si mostra più efficace per un determinato valore di α lo è anche su tutto il campo. In conclusione la curva ψ−α più alta (in questo caso la curva ψB−α) identifica il timone più efficace. Le curve dello steering diagram mostrano un gradiente di crescita che, almeno su navi di forme tradizionali manovrate da timoni convenzionali, via via si riduce all’aumentare del valore dell’angolo di barra. In altre parole, nella zona quasi piatta del diagramma (da circa 30° ∼ 40° in poi), un incremento dell’angolo di barra non comporta una significativa riduzione dello spazio di manovra. È quindi inutile manovrare il timone agli angoli corrispondenti a questa zona e il valore standard dell’angolo di barra massimo è fissato in 35°. Le curve sinora discusse indicano che, quando la nave è instabile, le rotte caratterizzate da alti valori di R, ossia quelle prossime alla rotta rettilinea, non possono essere percorse in condizione di equilibrio stabile. Tali rotte si possono impostare solamente facendo oscillare il timone di pochi gradi e con continuità attorno ad una posizione media αm. In alcuni steering diagram le situazioni di equilibrio instabile appena descritte − corrispondenti alla fascia di valori di ψ non realizzabili con timone fisso su navi inizialmente instabili − sono indicate attraverso una curva tracciata all’interno dell’area di isteresi, curva che identifica, per ogni raggio di curvatura R della traiettoria, il valore medio αm dell’angolo di barra necessario a realizzarla. Tale tratto aggiuntivo di curva, come è logico aspettarsi, viene a raccordare i due bracci precedentemente ottenuti, formando nel complesso un’ampia curva ad “S”. L’intercetta della curva sull’asse delle ascisse si ha in corrispondenza dell’angolo neutro αN. Le coppie (αm, ψ) definiscono, all’interno dell’area di isteresi, una curva che fornisce informazioni aggiuntive sul grado di instabilità di rotta della nave. Lo steering diagram che riporta le curve relative alle due situazioni estreme di navigazione in shallow water e deep water fornisce informazioni 16 La manovrabilità della nave sull’effetto del fondale. La variazione della velocità di ingresso in manovra definisce un ulteriore grado di libertà. Il confronto di dette curve mostra che: • a parità di profondità del fondale, la maggiore velocità fa generare al timone forze utili più elevate che producono evoluzioni più strette della nave; • a parità di velocità della nave, il timone mantiene un’efficacia pressoché invariata tranne che ai piccoli valori dell’angolo di barra quando la resistenza aggiunta di shallow water annulla l’azione del timone e rende la nave instabile. Nelle manovre in shallow water la nave sperimenta una minore predisposizione alla manovrabilità, sia perché l’efficienza del timone diminuisce in seguito ad una velocità di incidenza inferiore sia perché la carena stessa evoluisce con maggiore difficoltà (la nave ha una minore steering efficiency). 7. L’equilibrio dinamico della nave in accostata L’instabilità di rotta di una nave si può spiegare analizzando le forze che su di essa si manifestano quando si trova a percorrere una traiettoria circolare con moto uniforme. Si consideri inizialmente la nave che avanza su una traiettoria rettilinea con velocità costante (moto rettilineo uniforme). Le forze che agiscono sulla nave sono, in condizioni ideali (ossia in assenza di cause perturbatrici), solo forze longitudinali: la spinta T0 [N] dell’elica, la resistenza idrodinamica W0 [N] agente sull’opera viva e la resistenza aggiunta generata dal timone RT0. Nella condizione di equilibrio descritta vale: T0 + W0 + RT0 = 0 [N] (7.A) ove non si considera esplicitamente l’azione asimmetrica dell’elica (la forza trasversale del timone all’angolo neutro e la forza trasversale dell’elica sono forze autobilanciate). In seguito all’azionamento del timone nasce sulla pala la forza utile trasversale che è all’origine del momento evolutivo e si instaura sulla nave una nuova condizione di equilibrio in presenza di forze idrodinamiche modificate rispetto al caso precedente, oltre che di forze inerziali. Le forze, agendo a diverse altezze, causano lo sbandamento della nave. Il moto di corpo rigido della nave durante l’accostata si realizza sui 6 gradi di libertà ma l’accoppiamento tra moti orizzontali e moti verticali è debole, perciò lo studio può essere condotto in prima approssimazione con riferimento ai soli moti di traslazione longitudinale (avanzo), traslazione trasversale (deriva) e rotazione attorno ad un asse verticale (imbardata, anche 17 Corso di Allestimento Navale se più correttamente il moto va indicato con il termine di “variazione di rotta”). In realtà, lo sbandamento può essere rilevante e può avere influenza sull’accostata, ma non altera qualitativamente il meccanismo con cui si instaura l’equilibrio fra le forze orizzontali. Durante l’accostata le forze che agiscono sulla nave possono essere così classificate: • la spinta dell’elica T appartenente al piano diametrale della nave e agente nella direzione prora-poppa (la componente trasversale, bilanciata dall’angolo neutro del timone, non è considerata esplicitamente); • la reazione idrodinamica complessiva W [N] che sostituisce la resistenza all’avanzo su rotta rettilinea; è la risultante delle forze idrodinamiche che nascono sulla carena e si può pensare applicata nel centro di pressione della carena (si osservi che ora la resistenza ha anche una componente trasversale); a detta forza idrodinamica si associa un momento di reazione idrodinamica MW [Nm]; • la forza generata dal timone, nelle sue componenti trasversale FT (forza utile dedotta della frazione per la compensazione dell’effetto asimmetrico dell’elica) e longitudinale RT (resistenza aggiunta), applicate nel centro di pressione CP della pala; • la forza centrifuga FC [N] agente sulla retta congiungente il centro di istantanea rotazione C e il baricentro G della massa della nave comprensiva della massa aggiunta; • la forza d’inerzia FIN [N] nelle direzioni coniugate, applicata nel centro di massa G, accompagnata da un momento delle forze d’inerzia MIN [Nm]. Quando la nave percorre una traiettoria circolare con velocità costante (moto circolare uniforme) l’equilibrio dinamico alla traslazione sul piano orizzontale è dato dalla seguente relazione: T + W + FT + R T + FC = 0 (7.B) [N] Il moto complessivo della nave sulla superficie marina può considerarsi la risultante di un moto traslatorio e uno rotatorio, perciò il moto piano su traiettoria circolare può essere studiato coma la somma dei due seguenti moti: • un moto di traslazione del centro di massa G caratterizzato dalla velocità V [m/s] e definito rispetto ad un sistema fisso (inerziale); • un moto di rotazione del corpo attorno a G caratterizzato dalla velocità di variazione di rotta ψ [rad/s] valutata rispetto ad un sistema solidale con il centro massa e avente orientazione invariabile rispetto a quello fisso. 18 La manovrabilità della nave Per valutare la dinamica del corpo rigido si aggiunge al già utilizzato teorema del centro di massa la seconda equazione cardinale della dinamica, scritta rispetto all’asse verticale baricentrico. Nelle suddette condizioni di stazionarietà del moto, trascurando l’azione evolutiva della forza RT e considerando che le forze T e FC hanno braccio nullo rispetto al baricentro G, vale: (7.C) [Nm] ME + MW = 0 ove MW [Nm] è il momento complessivo delle forze idrodinamiche. L’espressione del momento evolutivo ME è nota (Eq. 2.B), mentre per esplicitare il momento delle forze idrodinamiche MW si può fare riferimento alle modalità con cui si realizza il moto della nave: • alla traslazione è associata una reazione idrodinamica avente una componente longitudinale resistente all’avanzo e una trasversale resistente alla deriva, la cui retta d’azione interseca il piano diametrale della nave a proravia o a poppavia del centro di massa determinando il momento verticale MW,A+D [Nm]; • alla rotazione è associata una reazione idrodinamica che genera un momento verticale resistente MW,Y [Nm]. I due moti di traslazione e di rotazione sono strettamente accoppiati ed esiste quindi una forte interazione reciproca. Se le forze e i momenti idrodinamici sono calcolati considerando l’accoppiamento fra i due moti, si può indicare con MW,Y la somma dei due momenti sopra introdotti, mentre, come già indicato, la forza complessiva è W. Il momento resistente idrodinamico, che all’equilibrio è sempre di segno opposto al momento evolutivo (ME /MW > 0), è dato dalla somma di MW,Y che, opponendosi sempre al moto di rotazione della nave, è sempre un momento di reazione e di MW,A+D che può opporsi al moto di rotazione oppure favorirlo. La forza che genera MW,A+D può infatti intersecare il piano diametrale a proravia o a poppavia del baricentro G. Richiamando l’equazione di equilibrio (Eq. 7.C) vale ME = MW e, esplicitando i segni dei momenti idrodinamici parziali, si può scrivere: M W = M W,Y ± M W,A+D [Nm] (7.D) da cui risulta che il segno del momento idrodinamico totale dipende dalla relazione fra i due momenti parziali. Ed infine: M E − M W,Y ∓ M W,A+D = 0 [Nm] (7.E) 19 Corso di Allestimento Navale ove il segno positivo di fronte a MW,A+D indica che il moto di avanzo e deriva crea un momento idrodinamico che favorisce la variazione di rotta. Dalla relazione risulta che, all’equilibrio, il verso del momento evolutivo dipende dalla relazione fra i due momenti parziali. Tipicamente, sui corpi affusolati immersi in un flusso variamente inclinato la risultante delle forze idrodinamiche agisce in un centro di pressione che si genera nella parte prodiera. Così è anche nel caso della carena in movimento di avanzo con deriva. Ciò comporta che, in genere, detto centro di pressione, nelle fasi iniziali dell’accostata, venga a trovarsi a proravia del centro di massa di nave e massa aggiunta, relegando così il timone ad un ruolo marginale. Successivamente, durante l’accostata, in seguito allo spostamento verso poppa del centro di applicazione della forza W, l’azione destabilizzante si riduce e può anche trasformarsi in un’azione stabilizzante. L’Eq. 7.E mostra che l’equilibrio dei momenti in accostata si può realizzare secondo due diverse modalità. In altre parole, la stessa condizione cinematica può realizzarsi sotto condizioni dinamiche molto differenti. Nella trattazione che segue, senza perdere in generalità, si farà riferimento al caso di nave in accostata a dritta (ψ > 0) . Nel primo caso, che chiameremo “normale”, il momento evolutivo è equiverso rispetto all’angolo di rotazione e quindi è positivo. Questa circostanza si manifesta quando FT è orientata verso l’esterno della traiettoria, ovvero quando l’angolo di attacco effettivo mantiene lo stesso segno dell’angolo di barra. Ne consegue che il momento delle forze idrodinamiche è negativo, ovvero che i due momenti parziali o sono equiversi o sono tali che quello relativo alla rotazione prevale su quello correlato alla traslazione. In formule: ψ>0 α > κ βR ME > 0 MW < 0 ⇔ ⇒ ⇔ ME > 0 MW < 0 M W,A+D < 0 opp. M W,Y > M W,A+D (7.F) Nel secondo caso, che chiameremo “anomalo”, il momento evolutivo è contrapposto al verso di rotazione (e quindi negativo) perché l’angolo di attacco effettivo cambia di segno rispetto all’angolo di barra (FT è rivolta verso l’interno della traiettoria). Ne consegue che il momento delle forze idrodinamiche è equiverso rispetto all’angolo di rotazione, ossia che il momento idrodinamico correlato alla traslazione è positivo e prevale in modulo su quello relativo alla rotazione. In formule: 20 La manovrabilità della nave ψ>0 α < κ βR ME < 0 MW > 0 ⇔ ⇒ ⇔ ME < 0 MW > 0 M W,A+D > 0 e M W,A+D > M W,Y (7.G) In questa condizione il momento MW,A+D , prevalendo su quello indotto dalla rotazione, favorisce la variazione di rotta. L’equilibrio “anomalo” che si instaura in questo secondo caso è il frutto di due cause concomitanti: • da una parte, la presenza di un angolo di deriva tanto elevato da comportare un angolo di attacco effettivo di segno opposto rispetto a quello geometrico; • dall’altra parte, una carena di forme tali da comportare un momento di avanzo con deriva negativo MW,A+D e, in valore assoluto, superiore a quello dovuto all’imbardata; ciò è possibile se la carena favorisce la nascita di un centro di pressione delle forze WA+D a prora del centro di massa. In base alle osservazioni fatte è usuale definire momento destabilizzante quello generato nel moto di avanzo e deriva MW,A+D , in quanto può favorire l’uscita della nave dalla traiettoria rettilinea, e momento stabilizzante il momento idrodinamico generato nel moto di imbardata MW,Y, in quanto ostacola sempre la rotazione della nave. Al crescere del rapporto fra momento destabilizzante e momento stabilizzante la nave percorre traiettorie con raggio sempre più piccolo. Il momento stabilizzante è sempre presente nel meccanismo di generazione dell’accostata. Il suo ruolo può essere minimo, come nel caso delle navi con grande stabilità di rotta, ma può anche arrivare ad essere preponderante rispetto a quello del timone nelle navi con bassa stabilità di rotta. In quest’ultimo caso, si può affermare che il ruolo del timone è limitato all’attivazione del momento idrodinamico MW,A+D che fa effettivamente ruotare la nave. La situazione fin qui descritta può essere messa in relazione con la stabilità di rotta della nave. Infatti, se per una definita condizione cinematica identificata da R oltre all’equilibrio normale può instaurarsi anche quello anomalo, ossia le due tipologie di equilibrio possono coesistere, allora la nave è instabile per quegli angoli di barra in cui si manifesta tale comportamento, venendo a mancare la corrispondenza biunivoca tra angolo di barra α e raggio della traiettoria R. E’ inoltre evidente come la coesistenza delle due forme di equilibrio possa manifestarsi solo finché l’angolo di deriva riesce a superare l’angolo di barra, ovvero per angoli di barra sufficientemente piccoli. L’instabilità di rotta è infatti un’instabilità iniziale. 21 Corso di Allestimento Navale La relazione tra lo steering diagram e la tipologia dell’equilibrio dei momenti in accostata (normale o anomalo) è di seguito descritta indicando con ∆α gli angoli di barra misurati rispetto alla posizione neutra (∆α0 è l’angolo di barra iniziale e ∆α1 quello finale). Se, durante l’accostata a partire da una condizione di equilibrio normale, il timone viene mosso e portato dall’altra parte rispetto alla posizione neutra (∆α1/∆α0 < 0), si avrà una variazione nel verso del momento evolutivo ed inizialmente il momento evolutivo ME e quello idrodinamico MW si troveranno ad essere equiversi (ed equilibrati dal momento inerziale). Ciò significa che il momento idrodinamico favorisce il raddrizzamento della rotta. Nel caso di condizione di equilibrio iniziale anomala, se, durante l’accostata, il timone viene portato dall’altra parte rispetto alla posizione neutra di un qualsiasi valore (∆α1/∆α0 < 0), il momento evolutivo non cambia di segno e rimane opposto a quello idrodinamico, il quale ostacola perciò il raddrizzamento della rotta. Il nuovo momento evolutivo ME crescerà con l’angolo ∆α1 e la nave percorrerà rotte sempre più strette. Quindi, il verificarsi di almeno una condizione di equilibrio anomalo è segno di instabilità dinamica. Una forte instabilità dinamica si manifesta se il momento destabilizzante, che favorisce l’accostata, tende ad essere molto più grande di quello stabilizzante che tende invece a trattenere la nave sulla rotta rettilinea. Ciò conferma ancora una volta che le qualità di stabilità di rotta e di evoluzione sono antitetiche. In conclusione, se ad almeno un valore di ∆α1 (a partire da ∆α0 e con ∆α1/∆α0 < 0) non corrisponde una variazione di segno dell’angolo di rotta, allora la nave è dinamicamente instabile. L’ampiezza del regime di instabilità dipende dal valore massimo di |∆α0| per il quale si manifesta questo comportamento. Viceversa, se qualsiasi variazione ∆α1 comporta la variazione di segno dell’angolo di rotta, allora la nave è dinamicamente stabile. 8. Le prove di stabilità dinamica La stabilità dinamica viene testata al vero con una prova piuttosto onerosa in termini di tempo, che va sotto il nome di spiral test e che permette di tracciare per punti lo steering diagram raccogliendo una dopo l’altra le coppie (α, ψ), dalle quali si possono eventualmente valutare le coppie (α, R). Vista l’onerosità di questo test, è conveniente condurre una prova preliminare per vedere se l’instabilità si manifesta o meno, ed in pratica si segue un procedimento di questo tipo: 22 La manovrabilità della nave • per prima cosa si esegue il pull-out test (prova di disimpegno dall’evoluzione), che permette di evidenziare la presenza di instabilità, della quale fornisce però una valutazione incompleta; • successivamente, qualora vi siano segnali di instabilità dinamica, si può eseguire uno spiral test secondo uno dei procedimenti standard. Il pull–out test è una semplice prova che consiste in due fasi. Nella prima fase il timone viene portato e mantenuto ad almeno 20° di barra finché la nave stabilizza la sua rotta su una traiettoria con velocità di rotazione ψ costante. Nella seconda fase il timone viene portato al centro (α = 0) finché la nave non presenta una nuova traiettoria stabilizzata con velocità di rotazione ψ0. In questa seconda fase la nave si può portare su una traiettoria rettilinea oppure può mantenere una velocità residua di imbardata. Il test viene effettuato con manovra sia a dritta sia a sinistra. Durante l’esecuzione si registra la variazione di ψ in funzione del tempo: • se le curve ψ(t) ottenute con le due manovre convergono allo stesso valore ψ0 vuol dire che la nave è stabile, perché la velocità residua con timone al centro è la stessa, ed il suo eventuale valore non nullo è imputabile solo alla differenza tra l’angolo neutro e l’angolo di barra nullo; • se invece le due curve non convergono allo stesso valore ma a valori differenti (ψ0,STB > 0 per manovra a dritta e ψ0,PS < 0 per manovra a sinistra) si è messa allora in evidenza l’instabilità della nave, poiché per lo stesso angolo di barra (timone al centro) corrispondono due diverse velocità di rotazione e quindi due diverse curvature della traiettoria. Questa prova consente di valutare l’altezza dell’eventuale area d’isteresi dello steering diagram, che è infatti pari alla differenza (ψ0,STB – ψ0,PS). Esistono due procedure per l’esecuzione dello spiral test. La differenza di approccio tra i due metodi consiste nella scelta del parametro dipendente e di quello indipendente. Se ci si aspetta di avere una nave stabile si può ricostruire completamente la relazione biunivoca α−ψ scegliendo come variabile indipendente l’angolo di barra α oppure la velocità di variazione di rotta ψ. In entrambe i casi si ottengono le informazioni sufficienti a ricostruire completamente lo steering diagram in termini di coppie (α, ψ). Se si prevede invece di avere una nave dinamicamente instabile è necessario fissare come variabile indipendente la velocità di variazione di rotta in modo da misurare, per ogni valore di ψ, un valore univoco di α. Così facendo si fa implicitamente riferimento alla funzione α = ƒ(ψ). Solo con questo secondo 23 Corso di Allestimento Navale procedimento si ottiene lo steering diagram come una curva continua a forma di “S”, completo anche del tratto entro la zona di isteresi. Il metodo che prevede di ricostruire lo steering diagram come funzione ψ = ƒ(α) fornisce solo le coppie (α, ψ) di equilibrio stabile ed è perciò adatto a rappresentare compiutamente il comportamento di una nave che ha stabilità di rotta. Il test eseguito con questo procedimento è denominato direct spiral test. Si tratta di una prova che fornisce informazioni molto accurate ma è dispendiosa in termini di tempo perché si deve permettere alla nave di raggiungere una serie di velocità di imbardata stabilizzate. Inoltre, la prova è molto sensibile alle condizioni meteomarine. Il metodo che fornisce lo steering diagram come funzione α = ƒ(ψ) fornisce informazioni complete qualunque sia il comportamento della nave nei riguardi della stabilità di rotta. Il test eseguito con questo procedimento è denominato reverse spiral test. Questa manovra è piuttosto rapida perché le evoluzioni non vengono stabilizzate con il timone bloccato, ma vengono ottenute con continue correzioni dell’angolo di barra. Si ottengono così sia le coppie (α, ψ) che individuano stati di stabilità sia quelle interne all’area d’isteresi. L’angolo assume il significato di “angolo di barra medio” di equilibrio. Per l’esecuzione di questa prova è necessario poter leggere con precisione le posizioni dell’angolo di barra. Il direct spiral test (prova secondo il metodo di Dieudonné) consiste nel portare la nave in moto circolare uniforme impostando un alto angolo di barra del timone (fino a 25°). Successivamente, l’angolo di barra del timone viene ridotto di 5° alla volta (e di 1° alla volta quando si raggiungono angoli di barra di 5°–10°), stabilizzando la nave su rotte circolari via via più larghe, quasi a voler percorrere a gradini una traiettoria a spirale. Ogni volta che il moto si stabilizza vengono lette le coppie (α, ψ). La manovra procede almeno sino al raggiungimento dell’angolo neutro. Il test viene effettuato preferibilmente con manovra sia a dritta sia a sinistra, in modo da evidenziare l’angolo neutro del timone o la dimensione dell’area di isteresi. Si ottengono quindi, in successione, i due bracci ψ = ƒ(α) per manovra a dritta e a sinistra. L’utilizzo di questa procedura di prova su una nave instabile permette di individuare la zona di instabilità sia in altezza sia in larghezza. La precisione nella misura della larghezza dipende dall’ampiezza degli incrementi dell’angolo di barra. Il test non consente però di individuare l’inclinazione della curva in corrispondenza dell’angolo di barra neutro se la nave è dinamicamente instabile. Il reverse spiral test (prova secondo il metodo di Bech) consiste in una serie di prove indipendenti l’una dall’altra. In ciascuna prova viene predefinita la traiettoria circolare che si vuole ottenere e il timone viene continuamente manovrato (nella pratica con escursioni di ± 2°) finché non si 24 La manovrabilità della nave raggiunge la stabilizzazione del valore di ψ. Il valore medio dell’angolo di barra attorno a cui si manovra il timone permette di registrare la coppia (α, ψ) con la quale ricostruire, punto dopo punto, la funzione α = ƒ(ψ). Il test viene effettuato con manovra sia a dritta sia a sinistra, in modo da evidenziare l’angolo neutro del timone. Si ottengono quindi, in successione, tutti i punti dei due bracci della curva (e per navi instabili la curva completa ad “S”). Il grafico ottenuto con questa metodologia evidenzia l’inclinazione della curva in corrispondenza di αN anche per le navi che hanno instabilità di rotta. Per individuare e quantificare sommariamente l’instabilità vengono utilizzati anche altri metodi, che non sono però finalizzati a ricostruire lo steering diagram. In particolare, la manovra a spirale semplificata viene condotta per valutare tre soli punti dello steering diagram, ottenuti portando il timone successivamente alla banda da un lato, al centro ed infine alla banda dal lato opposto. 9. Soluzioni per l’instabilità dinamica Dalla manovra a spirale si ottengono i tre parametri fondamentali per la misura delle qualità della nave nei confronti della stabilità di rotta: • la larghezza dell’area d’isteresi, • l’altezza dell’area d’isteresi (misurata sull’angolo neutro αN), • l’inclinazione della curva in corrispondenza di αN. Se la nave è stabile, la pendenza della curva ψ(α) in corrispondenza dell’angolo neutro misura il grado di stabilità dinamica e viene indicata come indice di manovrabilità. In generale, qualunque sia il comportamento della nave, si definisce indice di stabilità di rotta il valore di ψ misurato per angolo di barra nullo e si indica con il termine indice di abilità evolutiva il valore di ψ per l’angolo di barra massimo. I valori ammissibili delle grandezze che danno una misura della stabilità alla rotta non sono fissati da alcuna norma, ma è usuale ritenere accettabili valori bassi, o addirittura nulli, per navi veloci e valori leggermente più alti per navi lente. Nella pratica, è usuale fare riferimento al parametro detto ship time constant (STC) definito come: STC = L Vmax [s] (9.A) ove L [m] è la lunghezza della nave e Vmax [m/s] è la sua velocità massima di servizio. In funzione di questo parametro viene stabilito il valore minimo della larghezza del ciclo di isteresi. 25 Corso di Allestimento Navale Un valore basso di STC indica un’imbarcazione che alle piccole dimensioni, e quindi alla bassa inerzia all’accostata, associa alte velocità di avanzo. Un’imbarcazione come questa, se instabile, tende a diventare ingovernabile perché accosta molto velocemente ed è quindi particolarmente pericolosa in quanto può collidere con eventuali ostacoli prima che il pilota la riporti sulla rotta, inoltre è anche meno confortevole. Di conseguenza, a bassi valori di STC si associano bassi valori limite di instabilità. In basa alle indicazioni IMO, è conveniente infatti che la larghezza del ciclo di isteresi sia: • nulla per imbarcazioni con STC < 9 s (imbarcazioni piccole e veloci), • inferiore a 12° per STC > 45 s (navi grandi e lente). • inferiore al valore limite calcolato con interpolazione lineare fra quelli sopra esposti per navi con STC compresi fra 12 e 45 secondi. Per quanto riguarda l’altezza dell’area di isteresi, come valore limite ammissibile si fissa il 30 ÷ 40 % del valore di ψ valutato per il massimo angolo di barra. La combinazione dei limiti su altezza e larghezza dell’area d’isteresi fornisce un’indicazione per il valore limite della pendenza della curva. Altri limiti sono quelli che suggeriscono che la nave instabile si porti, con il timone al centro (o all’angolo neutro), su rotte stabilizzate aventi al più un certo raggio di rotazione. In base a queste indicazioni, il rapporto fra il raggio di rotazione R e la lunghezza L della nave deve essere almeno pari a 20 per navi con cB < 0,8 e almeno pari a 10 negli altri casi. Quando la nave ha un’accentuata instabilità di rotta, l’azione del timone diventa incerta e, anche se il timone è stato correttamente dimensionato per conferire alla nave buone doti di manovrabilità, le qualità manovriere della nave non sono accettabili. Se il problema viene evidenziato già in fase di progetto, la soluzione va ricercata nella modifica dei parametri macroscopici che influenzano la manovrabilità. Si rileva infatti che un elevato valore del coefficiente di finezza totale cB [-], così come una poppa dalle forme piene, tendono a favorire la separazione del flusso a poppa e quindi a far lavorare male i timoni, favorendo quindi l’instabilità. Per quanto riguarda le proporzioni della carena, va osservato che queste incidono sul rapporto fra le componenti del momento idrodinamico MW ed influenzano quindi la propensione della nave all’instabilità. Si ha che un alto valore del rapporto L/B rende la nave più stabile, mentre un alto valore del rapporto B/T la rende meno stabile (essendo B [m] la larghezza della nave e T [m] l’immersione di progetto). Un efficace ausilio alla valutazione preliminare della qualità di stabilità di rotta di una nave è offerto dal grafico che mette la stabilità di rotta in relazione ai parametri (L/B, B/T e cB). Questo grafico è ottenuto dall’analisi di navi di diverse tipologie, che riporta, in funzione di L/B e di B/T, una serie 26 La manovrabilità della nave di curve limite parametrizzate con il coefficiente di finezza totale di carena cB. Ogni curva indica, per un determinato valore di cB, il confine fra la condizione di stabilità e quella di instabilità di rotta, dando quindi una chiara indicazione sul possibile comportamento della nave. Ovviamente i primi interventi correttivi che si applicano dopo aver scoperto che il progetto può portare all’instabilità sono quelli meno invasivi e corrispondono, nell’ordine: • all’aumento dell’area del timone (a scapito di un sicuro aumento di resistenza aggiunta); • alla modifica della posizione del timone, per esempio esponendolo maggiormente al flusso dell’elica; • alla modifica delle forme della volta di poppa, per esempio passando da una poppa ad “U” ad una a “V”. Per una correzione da effettuarsi a nave costruita, piuttosto che intervenire sul timone per farlo lavorare meglio, può essere più fattibile migliorare le caratteristiche idrodinamiche di carena con l’aggiunta di superfici di stabilizzazione. In altre parole, si aumenta l’area del piano di deriva a poppa con appendici di carena formate da pinne poste ai lati del timone. L’aggiunta di superfici fisse di stabilizzazione vicino alla pala del timone comporta due effetti utili al miglioramento della stabilità di rotta: • il raddrizzamento del flusso che incide sul timone durante l’accostata, circostanza che, da una parte, disinnesca il meccanismo in base al quale si instaura l’equilibrio anomalo, dall’altra favorisce l’insorgere di una più elevata forza utile al timone (con l’aumento di ME). • lo spostamento del centro di deriva verso poppa, con la conseguente riduzione del momento destabilizzante MW,A+D. Appare evidente che il timone costituisce di per se stesso una pinna di stabilizzazione che, con la sua grande superficie, è sicuramente d’aiuto nella realizzazione della stabilità dinamica. Questa funzione del timone è stigmatizzata nell’affermazione che “The rudder serves the twofold function of stabilizing a straight motion by fin effect and controlling the ship in steering and maneuvering” (Norrbin, 1960). Risulta quindi evidente come, ai fini della stabilità di rotta, è conveniente che il timone venga progettato con un’area tanto maggiore quando più piene sono le forme di carena e quanto maggiore è il cB della nave. Nel caso in cui il progettista sia chiamato ad aumentare l’area poppiera del piano di deriva, due sono le vie che possono essere percorse: l’aumento dell’area mobile del timone oppure l’aumento o l’aggiunta di un’area fissa. Delle due, la prima soluzione è sempre la migliore, dal momento che, oltre a migliorare la stabilità di rotta, rende disponibile un’area aggiuntiva per la generazione del momento evolutivo (con il conseguente aumento della 27 Corso di Allestimento Navale portanza e del suo gradiente di crescita – anche se a scapito di una resistenza maggiore). Naturalmente, oltre una certa misura non è più vantaggioso disporre di area mobile a poppa, perciò l’aumento dell’area della pala suggerito da sole esigenze di stabilità di rotta va armonizzato con l’aumento dell’area dello skeg poppiero della carena. Sulle navi bielica è usuale inserire già in fase di progetto ampi skeg sia per prevenire l’insorgere dell’instabilità di rotta sia per disaccoppiare i flussi delle due eliche sia ancora per realizzare un comodo sostegno per lo scafo in bacino. Sulle navi con timone-propulsore, a causa delle forme di poppa molto aperte e della mancanza di un prolungato skeg di poppa, che ostacolerebbe il funzionamento del sistema agli alti angoli di orientazione, si registra una maggiore tendenza all’instabilità di rotta. Va però osservato che tale carenza è compensata dagli alti valori del momento evolutivo che si possono ottenere con bassi angoli di barra del timone-propulsore e quindi l’instabilità, se non è elevata, può venire facilmente controllata. In conclusione, su queste navi è necessario che lo skeg sia il più lungo possibile. Per quanto detto riguardo al funzionamento delle pinne, una nave risulta più propensa alla stabilità dinamica se, a parità di immersione media, naviga appoppata piuttosto che con galleggiamento diritto. Per questo motivo le prove al vero comprovanti la stabilità di rotta di una nave devono essere condotte nella condizione di galleggiamento più prossimo possibile a quello di progetto per non fornire informazioni fuorvianti. Ogni correzione finalizzata al miglioramento della stabilità di rotta non deve essere eccessiva, perché una nave molto stabile è di per sé poco prona a manovrare in spazi ristretti. Ciò si evince anche dallo steering diagram, ove una curva α−ψ caratterizzata da un basso indice di stabilità ψ(α = 0) o da un basso indice di manovrabilità (dψ/dα)α=αN (nave molto stabile) indica la necessità di effettuare forti movimenti del timone per effettuare una sensibile accostata dalla rotta rettilinea. 10. Le attitudini della nave alla manovrabilità Gli odierni standard internazionali definiscono con precisione quali devono essere le qualità manovriere delle navi, qualità che è usuale classificare nelle seguenti categorie di attitudine alla manovra: • l’attitudine a mantenere la rotta (course-keeping ability), • l’attitudine a controllare l’accostata (yaw-checking ability), • l’attitudine a uscire dalla rotta (initial-turning ability), • l’attitudine a eseguire l’evoluzione (turning ability), • l’attitudine a estinguere il moto (stopping ability). 28 La manovrabilità della nave La course-keeping ability è l’attitudine della nave a mantenere una rotta rettilinea senza che il pilota debba ricorrere, a causa dell’azione perturbatrice del mare e del vento al traverso, ad eccessive correzioni dell’angolo di barra attorno alla posizione neutra. Non esiste un parametro che definisca una correlazione diretta fra le correzioni dell’angolo di barra e lo spostamento della nave dalla rotta, perciò questa attitudine viene correlata alla stabilità di rotta, alla quale è comunque strettamente legata. L’esperienza insegna infatti che tanto più una nave è stabile, tanto migliori sono le doti di mantenimento di rotta. Nella pratica, si verifica addirittura una soddisfacente capacità di mantenimento della rotta anche su navi leggermente instabili (in questo caso le correzioni dell’angolo di barra da associare all’instabilità della nave si confondono con quelle da associare alle forze ambientali). La yaw-checking ability rappresenta l’attitudine della nave a controllare l’accostata. Con ciò si intende la capacità della nave di raddrizzare la traiettoria quando il timone è manovrato in modo da contrastare l’effetto evolutivo iniziale. In altre parole, misura la risposta della nave all'inversione del timone. Anche in questo caso si tratta di un’attitudine fortemente correlabile alla stabilità di rotta. È possibile ottenere valutazioni qualitative delle qualità sopra descritte attraverso una prova specifica, ossia la manovra di zig-zag. La initial-turning ability rappresenta l’attitudine della nave a uscire da una rotta in seguito all’azionamento del timone. Con questa qualità manovriera si saggia la capacità della nave di rispondere prontamente al timone quando si esegue un’accostata molto larga (alto valore di R) o quando si modifica la rotta rettilinea di un piccolo angolo, nel qual caso si pone l’attenzione della nave sulla prima fase della manovra di modifica della rotta, manovra che viene ripetuta costantemente durante la navigazione (con riferimento a questa circostanza si usa il termine course-changing ability). Tale caratteristica, l’initial-turning ability, è quindi sinonimo della capacità di modificare la rotta durante la navigazione in acque aperte. La misura di questa abilità viene fatta tramite la manovra di zig-zag. La turning ability indica la capacità di realizzare variazioni di rotta più consistenti, ossia evoluzioni. Tali manovre sono effettuate usualmente nelle aree portuali per accostare ad una banchina, ma sono anche eseguite in condizioni d’emergenza durante la navigazione con lo scopo di evitare un ostacolo. Una serie di parametri, desunti dalla prova di evoluzione, misurano la turning ability. La stopping ability è l’abilità della nave di spegnere il proprio moto di avanzo ricorrendo all’inversione della spinta del propulsore. La prova di arresto è la manovra con cui si misurano le caratteristiche di stopping ability. 29 Corso di Allestimento Navale La collisione con un ostacolo che si viene a trovare sulla rotta della nave può essere evitata essenzialmente in due modi: con una forte variazione di rotta, in modo da passare a lato dell’ostacolo, oppure arrestando il moto della nave, in modo da non arrivare fino all’ostacolo. Delle due manovre, la prima è la più sicura ma non è sempre effettuabile in acque ristrette, mentre la seconda costituisce in genere l’ultima chance. Vi si ricorre solo in caso di estrema necessità, quando la nave non è più governabile o quando non c’è spazio per manovrare. Tutte le citate qualità marinaresche sono influenzate, sebbene in diversa misura da due fattori essenziali: • l’entità della massima forza utile disponibile al timone FT,max; • il gradiente di crescita della forza dFT/dt quando il timone è manovrato alla massima velocità; tale grandezza dipende sia dal gradiente della forza utile generata dal timone al variare dell’angolo di barra dFT/dα sia dalla velocità di manovra del timone dα/dt. Fa eccezione la stopping ability, che dipende invece dalla velocità di inversione del moto al propulsore e dall’efficacia del propulsore in marcia addietro. 11. Le prove di manovrabilità: lo standard IMO Una prima raccolta ragionata dei diversi test utili alla valutazione della manovrabilità delle navi è quella contenuta nel Manoeuvring Trial Code proposto dalla 14th International Towing Tank Conference (ITTC 1975). In questo documento sono state elencate le prove al vero più significative, per le quali è stata anche proposta una standardizzazione delle procedure di esecuzione e di raccolta dei dati caratterizzanti la risposta della nave. La storia dell’impegno dell’IMO nella direzione di incrementare la sicurezza delle navi in relazione alle loro attitudini di manovrabilità si concreta per la prima volta nel 1985 con la circolare MSC-389 riguardante le modalità di esecuzione delle prove di stabilità di rotta. Dopo una serie di documenti emanati dal comitato MSC e dall’Assemblea, oggi si è giunti a disciplinare l’intera materia con le seguenti Risoluzioni: • MSC.137(76) “Standards for Ship Manoeuvrability”, che indica i criteri di valutazione delle qualità manovriere delle navi, standardizza le prove al vero e fissa i limiti cui devono sottostare i parametri da esse ottenuti; il contenuto della Risoluzione è illustrato dettagliatamente nella circolare MSC/Circ.1053 “Explanatory Notes to the Standards for Ship Manoeuvrability”; • A.601(15) “Provision and Display of Manoeuvring Information on Board Ships”, che stabilisce quali informazioni devono essere messe 30 La manovrabilità della nave a disposizione del comando della nave e con quale formato queste ultime devono essere esposte in plancia. A queste va poi aggiunta la Risoluzione MSC.35(63) - “Guidelines for Emergency Towing Arrangements on Tankers” che definisce quali devono essere le installazioni per il rimorchio in emergenza, sia a prora sia a poppa, di ogni nave cisterna avente una portata lorda di almeno 20.000 tonnellate. Nel complesso, gli standard IMO si occupano della manovrabilità definendo nei particolari le prove con cui misurare i parametri essenziali della manovrabilità delle navi. Alcuni parametri sono registrati con lo scopo di essere forniti al comando della nave, altri per essere confrontati con i valori limite. Le prove di manovrabilità proposte dagli standard IMO sono le seguenti: • manovra di evoluzione (turning test), • manovra di zig-zag (zig-zag test), • manovra di arresto (stopping test). Le prove al vero non sono obbligatorie ma sono eseguite solo se richieste dall’armatore per saggiare la manovrabilità della nave. Ad esse vanno aggiunte delle manovre opzionali specifiche: • manovra di pull-out (pull-out test), • manovra a spirale semplificata, diretta o inversa (spiral test), • manovra di zig-zag ai piccoli angoli (very small zig-zag test), miranti a saggiare l’instabilità della nave qualora quest’ultima sia messa in luce durante l’esecuzione delle prove principali. Le prove al vero regolate dall’IMO sono per esplicita attestazione “semplici, pratiche e veloci” e sono intese a testare sia le caratteristiche della nave, sia i metodi di previsione, servono cioè a creare una banca dati utile per la validazione delle prove su modello e delle simulazioni al calcolatore. Tutte le prove sopra esposte sono indicate per navi di lunghezza tra le perpendicolari superiore a 100 metri (ma per navi chimichiere e gasiere non c’è un limite inferiore di lunghezza), e devono essere eseguite a velocità al 90% della velocità corrispondente all’85% della massima potenza continuativa del motore (MCR). Quest’ultima non corrisponde necessariamente alla velocità alla quale si prevede che la nave si muoverà nelle aree in cui devono effettuate le manovre, tant’è vero che manovre aggiuntive vengono proposte proprio per saggiare il comportamento della nave alle velocità tipiche delle evoluzioni, in genere non superiori a 12÷15 nodi. Tutte le prove vanno condotte in mare aperto ma protetto, di sufficiente profondità (pari ad almeno 4 T ), in assenza di correnti (al limite è accettata una corrente uniforme per la prova di evoluzione, tollerata perché il suo 31 Corso di Allestimento Navale effetto può essere facilmente scorporato dai risultati delle prove), di vento (al massimo Beaufort 5, ossia con velocità del vento inferiore a 19 nodi, corrispondenti a circa 35 km/h) e di onde (al massimo mare Forza 4, ovvero mare con altezza significativa d’onda non superiore a 1,90 m e periodo medio non superiore a 8,8 secondi), con nave non assettata e ad un’immersione il più possibile prossima a quella di progetto. La nave deve entrare in manovra da una rotta rettilinea percorsa a velocità costante e dopo che le condizioni di avanzo della nave sono state stabilizzate (indicativamente dopo qualche minuto). Le prove di stabilità dinamica richiedono condizioni meteomarine particolarmente buone, per esempio un mare al massimo di Forza 2 o 3. Alcune prove vengono eseguite sia a dritta sia a sinistra per mettere in rilievo eventuali asimmetrie di comportamento della nave, asimmetrie da imputarsi prevalentemente al funzionamento dell’elica propulsatrice. Oltre ad annotare i dati relativi alle condizioni ambientali e alle caratteristiche della nave, per ogni prova vanno registrati in funzione del tempo trascorso i seguenti parametri: • la posizione (a prefissati intervalli di tempo oppure per ogni prefissato intervallo di variazione di rotta), • la direzione della linea di fede della nave (ship heading), rispetto ad un prefissato sistema di riferimento, • la velocità della nave, sia in termini di velocità di avanzo con deriva V, sia in termini di velocità di variazione di rotta ψ, • l’angolo di barra ed eventualmente la velocità di rotazione del timone, • i giri del motore e dell’elica (RPM) ed eventualmente il passo dell’elica • la velocità del vento. I parametri sopra elencati vanno registrati con un sistema automatico almeno ogni 20 secondi. Oggigiorno, la frequenza di registrazione dei sistemi automatici di rilevamento viene fissata usualmente in 0,5÷2,0 campioni al secondo. Come noto, le manovre vanno condotte a pieno carico in quella che si ritiene la condizione più severa per misurare le doti di manovrabilità della nave, sia per la maggiore inerzia posseduta dalla nave, sia per la minore propensione della carena a generare un grande momento destabilizzante. Se, durante le prove, la nave ha un assetto maggiore di quello di progetto, i risultati, in termini di qualità evolutive, saranno migliori di quelli attesi. I dati misurati durante le prove vanno corredati con: • informazioni sullo stato della nave (immersione media, assetto, dislocamento), 32 La manovrabilità della nave • informazioni sulle condizioni ambientali (profondità del fondale, stato di mare, presenza di onde di swell, velocità e direzione del vento e della corrente, angolo di rotta all’ingresso nella manovra). Quando le prove sono condotte in situazioni di carico diverse da quelle di progetto, devono essere corrette per essere portate alla situazione di nave a pieno carico. Ciò viene usualmente fatto sfruttando i dati ottenuti da prove su modello o da simulazioni numeriche, ipotizzando una proporzionalità lineare nel comportamento della nave e del modello (trascurando cioè gli effetti scala). In altre parole, se il parametro p è stato calcolato per le condizioni A e B (con valori rispettivamente pA e pB) ed è stato poi misurato al vero nella condizione A (ottenendo il valore pAS) allora il suo valore al vero pBS dedotto per la condizione B può essere calcolato in proporzione lineare: pA : pAS = pB : pBS (11.A) 12. La manovra di evoluzione La prova di evoluzione è condotta, a partire da una traiettoria rettilinea percorsa alla velocità prestabilita, portando la nave in moto circolare uniforme con il massimo angolo di barra del timone (secondo lo standard IMO pari a 35°). Lo scopo è quello di misurare gli spazi di manovra della nave, per valutare sia la sua capacità di modificare la rotta, sia la capacità di effettuare manovre di emergenza per evitare una collisione. La nave viene mantenuta sulla traiettoria circolare per almeno un giro e mezzo (540°) – ma è meglio se vengono percorsi almeno due giri –, in modo da poter correggere i valori registrati tenendo conto delle deviazioni provocate dalla corrente e dal vento. I parametri utili alla valutazione della manovrabilità sono raccolti dal momento in cui viene dato l’ordine di azionamento del timone (COMEX, ovvero commence execution) fino alla fase di rotazione uniforme, che si conclude quando la nave torna su rotta rettilinea in seguito all’azionamento del timone (FINEX, ovvero finish execution). Risulta evidente come la manovra di evoluzione possa rappresentare la prima fase di una manovra di pull-out. Le traiettorie descritte dalla nave a dritta e a sinistra vengono diagrammate; esse mostrano, nelle navi monoelica, una evidente asimmetria dovuta all’azione dell’elica, mentre per le navi bielica (eliche rotanti in verso opposto) sono praticamente uguali. Oltre alla traiettoria del baricentro è anche usuale riportare sul grafico uno schizzo della nave nelle posizioni assunte nei diversi istanti, se non addirittura l’indicazione dell’intera superficie spazzata, in modo da fornire un’informazione aggiuntiva sugli spazi minimi di manovra. 33 Corso di Allestimento Navale La prova di evoluzione può essere scomposta nelle seguenti fasi: • la fase di entrata, • la fase di evoluzione, • la fase di girazione. La nave viene inizialmente portata alla cosiddetta velocità di “ingresso in manovra” su rotta rettilinea (fase di entrata) e quando il moto è uniforme viene dato l’ordine al timone: a questo punto inizia l’accostata della nave. L’accostata è caratterizzata da due differenti fasi: una fase di evoluzione propriamente detta ed una fase di girazione. Nella fase di evoluzione la nave compie un percorso a spirale con centro di istantanea rotazione variabile e raggio di curvatura della traiettoria sempre più piccolo. Nella fase di girazione la curvatura della traiettoria si stabilizza e la nave prosegue la sua corsa con moto circolare uniforme su una circonferenza avente diametro detto diametro di girazione. L’evolversi della manovra può essere analizzato osservando le forze che agiscono sulla nave. L’origine dell’accostata è da imputarsi alla variazione della forza al timone che, oltre ad imprimere un moto di rotazione, genera un moto di traslazione trasversale e riduce la velocità di avanzo. Come già discusso, il timone innesca la nascita di un momento destabilizzante che favorisce, almeno inizialmente, l’evoluzione della nave. Nell’istante in cui il timone è messo alla banda, si genera un moto trasversale ed una rotazione, entrambi ad elevata accelerazione ma bassa velocità: nell’istante iniziale l’azione del timone è praticamente bilanciata dalle sole forze d’inerzia, in assenza di forze di resistenza idrodinamica che devono ancora manifestarsi a causa della bassa velocità di deriva e di imbardata. Successivamente, le forze d’inerzia diminuiscono d’intensità mentre crescono le forze di resistenza idrodinamica. Quando la nave entra nella fase di girazione le forze al timone sono equilibrate esclusivamente dalle forze idrodinamiche e dalla forza centrifuga. Lo svolgersi della manovra (la cinematica dell’evoluzione) può essere anche descritto dall’andamento della velocità di rotazione ψ e della velocità trasversale VT [m/s], assieme alle relative accelerazioni. In particolare si può notare che, mentre la velocità di avanzo ed il raggio di curvatura della traiettoria si riducono, la velocità di deriva ha una crescita continua fino a stabilizzarsi mentre invece la velocità di rotazione, prima di stabilizzarsi, può mostrare un picco (dovuto al meccanismo di bilanciamento fra i momenti esterni e il momento delle forze d’inerzia. I dati raccolti durante la prova riguardano gli spazi percorsi in diversi istanti dell’evoluzione: 34 La manovrabilità della nave • quando la direzione prora-poppa della nave è variata rispetto a quella iniziale di 90°, lo spostamento trasversale della nave viene definito trasferimento (transfer) e quello longitudinale viene detto avanzo (advance). Le due distanze vanno misurate, con riferimento alla rotta rettilinea iniziale, rispetto alla posizione assunta dalla nave nell’istante in cui è stato dato il comando di timone alla banda. • in maniera analoga viene definito il diametro tattico DT [m] (tactical diameter) che coincide con lo spostamento trasversale effettuato dalla nave quando la linea di fede è variata di 180°. • il raggio di girazione RG [m] (steady turning diameter) corrisponde infine al raggio della traiettoria nella fase stabile dell’accostata. Tutte queste grandezze sono legate fra loro ed esistono semplici formule empiriche che le esprimono in funzione delle caratteristiche principali della nave e per ogni tipologia di nave. Per esempio, è usuale mettere in relazione il diametro tattico con il rapporto di snellezza di carena (rapporto fra la lunghezza nave L e la radice cubica del volume di carena ∇ [m3]) al quale risulta proporzionale. Il diametro tattico è il parametro più importante misurato in questa prova ed assume valori che mediamente oscillano fra 4,5 ÷ 7,0 L per navi snelle (navi che hanno una buona stabilità di rotta) e 2,4 ÷ 4,0 L per navi piene. L’angolo di deriva β è una grandezza fortemente correlata al raggio di girazione RG. Esiste infatti una proporzionalità diretta fra il momento destabilizzante MW,A+D e la velocità di deriva VT e tale legame è desumibile dalle modalità con cui si genera il momento destabilizzante. D’altra parte, per una prefissata velocità V in accostata, è immediato verificare che velocità di deriva e angolo di deriva sono direttamente proporzionali: β = sin (VT / V ) [°] (12.A) In conclusione, l’angolo di deriva è direttamente proporzionale al momento destabilizzante e, poiché quest’ultimo è indice di buone doti di evoluzione, ciò significa che un alto angolo di deriva è correlato ad un’elevata propensione alla manovra. In pratica, se due navi simili (per esempio, di uguale lunghezza) eseguono un’evoluzione con lo stesso raggio R e alla stessa velocità V con angoli di deriva diversi (β1 > β2), significa che le due navi hanno una diversa propensione all’accostata e che il timone genera un momento evolutivo maggiore sulla nave che manifesta angolo di deriva minore (ME2 > ME1). Esistono varie formule di correlazione fra il raggio di girazione RG e l’angolo di deriva β. Vale per esempio la seguente relazione: 35 Corso di Allestimento Navale β = kβ L + β0 RG [°] (12.B) dove i parametri angolari kβ e β0 assumono i seguenti valori: per navi con piccole appendici di deriva e grande area trasversale di poppa (navi tendenzialmente meno stabili) kβ = 22,5° e β0 = 0 ÷ 1,45°; per navi con grandi appendici di deriva e piccola area trasversale di poppa (navi più stabili) kβ = 18° e β0 = 0°. Per quanto riguarda la velocità di avanzo durante la fase di girazione, si può osservare che, per ogni nave, essa è proporzionale al raggio della traiettoria di girazione: l’equilibrio su una traiettoria stretta si stabilizza infatti con forze di resistenza idrodinamica più elevate rispetto a quelle che nascono su rotta rettilinea e quindi con una sensibile riduzione della velocità di avanzo. Ad esse si aggiunge la componente longitudinale della forza centrifuga. Tale velocità decresce maggiormente, a parità di raggio di curvatura della traiettoria, su navi con basso coefficiente di pienezza. Ciò si può spiegare osservando che queste navi, essendo più stabili, fanno più fatica ad accostare. In altre parole, l’accostata si realizza a fronte di più alti momenti resistenti che a loro volta sono accompagnati da alte forze di resistenza idrodinamica. Anche la resistenza aggiunta è maggiore a causa della necessità di impostare un alto angolo di barra per ottenere un alto momento evolutivo. Per manovre di evoluzione strette la riduzione di velocità di avanzo può raggiungere il 50%. Osservazioni interessanti si possono fare anche sull’angolo di deriva al timone βR. A tale riguardo, sono stati effettuati interessanti esperimenti comparativi su diverse navi mercantili monoelica della Serie 60. Gli esperimenti danno una misura di come le diverse grandezze cinematiche sono correlate e mettono in relazione il funzionamento del timone con la cinematica del moto di evoluzione. Un’ultima osservazione interessante è quelle relativa alla definizione del punto giratorio ossia quel punto, fisso sulla nave durante l’evoluzione stabilizzata, rispetto al quale la nave ruota senza subire spostamento trasversale. I triangoli di velocità costruiti sui due punti estremi della nave, ottenuti scomponendo la velocità assoluta in una componente trasversale ed una longitudinale, mostrano infatti che la velocità trasversale a prora è orientata all’interno della traiettoria e a poppa è orientata dalla parte opposta. Ora, poiché la velocità trasversale varia linearmente tra detti punti, deve esistere un punto in cui essa si annulla. Questo punto si identifica anche tracciando la distanza del centro di istantanea rotazione dalla linea di fede della nave. 36 La manovrabilità della nave Per quanto detto, durante la fase di girazione un osservatore posto sul punto giratorio sperimenta una velocità sempre rivolta nella direzione della linea di fede della nave, infatti in corrispondenza di tale punto non vi è deriva. Dal punto giratorio è quindi più agevole apprezzare il moto della nave e per questo motivo la plancia per il pilota, quando possibile, viene convenientemente sistemata in prossimità del punto giratorio, che si trova a circa 0,15 ÷ 0,35 L da prora. Il punto giratorio si sposta infatti di poco al variare della velocità e dell’angolo di barra mentre è fortemente influenzato dall’attitudine della nave a manovrare, ossia dal valore dell’angolo di deriva. La manovra di evoluzione viene anche eseguita in condizioni diverse da quelle standard, ovvero con angoli di barra diversi da quello massimo (per esempio 15°), con velocità ridotte ed eventualmente su bassi fondali. 13. Lo sbandamento in accostata Per quanto riguarda lo sbandamento causato dall’accostata, si possono osservare tre fasi, per ognuna delle quali il momento di sbandamento, riferito al centro di massa della nave, è generato da forze diverse (ed è ovviamente sempre equilibrato dalla coppia di stabilità). In quanto segue, nella valutazione del momento sbandante causato dall’accostata si applica la semplificazione, comunemente accettata, di confondere la quota del centro di deriva dello scafo con quella del centro di pressione della pala e di porre tale quota comune all’altezza di 0,5 T rispetto alla linea di base. Inizialmente, quando il timone viene messo alla banda, si verifica uno sbandamento di saluto verso l’interno della traiettoria causato dalla forza del timone (dedotta della forza d’inerzia della massa aggiunta) che lavora in coppia con la forza d’inerzia alla deriva della massa nave FI [N] (applicata sul baricentro della nave). In tale situazione, infatti, non sono ancora maturate pienamente le forze idrodinamiche trasversali. Per il momento sbandante iniziale MS [Nm] vale in prima approssimazione la relazione: MSI ≈ FI ( zG − 0,5 T ) [Nm] (13.A) in cui zG [m] è la quota del centro di massa della nave misurato rispetto alla linea di base. Successivamente, durante l’evoluzione, maturano una forza di reazione idrodinamica trasversale e una forza centrifuga. In questa situazione si genera un forte sbandamento di evoluzione verso l’esterno causato dall’azione della forza idrodinamica (applicata nel centro di deriva) e della forza centrifuga (applicata nel baricentro nave). L’effetto di queste forze è 37 Corso di Allestimento Navale quello di dare origine ad un momento di sbandamento verso l’interno. Il nuovo momento sbandante vale: MSII ≈ ( FC cosβ − FI )( zG − 0,5 T ) [Nm] (13.B) Infine, nella fase di girazione, le forze inerziali si annullano e si ha uno sbandamento di girazione verso l’esterno causato dalla forza centrifuga che lavora in coppia con la forza idrodinamica ridotta del valore della forza al timone: MSIII ≈ FC cosβ( zG − 0,5 T ) [Nm] (13.C) Nel valutare l’entità e la persistenza dell’angolo di sbandamento verso l’interno o l’esterno durante lo svolgersi della manovra va considerato l’effetto dell’inerzia alla rotazione. Lo sbandamento, durante la fase di girazione, può essere, come descritto, di minore intensità rispetto a quello che si era manifestato durante alla fase di evoluzione e ciò dipende dalle modalità con cui crescono le forze idrodinamiche. Lo sbandamento può essere pericoloso per navi che accostano ad alta velocità. Il rischio di sbandamenti elevati è correlato alla velocità relativa della nave e viene considerato alto per FN > 0,25. Proprio sulle navi più piccole e veloci, la riduzione repentina dell’angolo di barra durante un’accostata può essere rischiosa, facendo mancare l’azione bilanciante dell’unica forza che si oppone allo sbandamento verso l’esterno, ossia la forza utile del timone. Un comportamento sostanzialmente diverso è quello mostrato dai sottomarini in immersione. Questi mezzi, in immersione, hanno, per ovvi motivi di stabilità, il baricentro al di sotto del centro di spinta. Inoltre, il centro di applicazione delle reazioni idrodinamiche si trova, per le forme dello scafo, in posizione verticale prossima al centro dei timoni. Per questi motivi il primo sbandamento, quello di saluto, si manifesta verso l’esterno della traiettoria e quelli di evoluzione e di girazione verso l’interno. Anche le imbarcazioni di superficie possono mostrare un comportamento diverso da quello sopra descritto. Ciò dipende dalla posizione reciproca dei punti di applicazione delle forze. Per esempio, se il centro di massa e il centro del piano di deriva sono circa alla stessa altezza zG e si trovano al di sopra del punto di applicazione della forza utile alla manovra, la nave sbanda sempre verso l’interno. L’azionamento del timone comporta uno sbandamento della nave, dal momento che la retta d’azione della forza utile ha un certo braccio rispetto al centro di massa della nave. Questa circostanza può essere sfruttata per creare un momento stabilizzante che sia di contrasto ad un momento sbandante 38 La manovrabilità della nave preesistente. I timoni possono infatti essere utilizzati per stabilizzare la nave nei confronti del rollio generato dal moto ondoso. 14. La manovra di zig-zag La manovra di zig-zag si esegue a partire da una rotta rettilinea percorsa a velocità costante con timone all’angolo neutro. La manovra inizia portando il timone a dritta ad un prefissato angolo di barra +α0 e mantenendolo in tale posizione finché la nave non ruota la prora di un angolo prestabilito +δ0 indicato come ship heading e definito come la differenza angolare fra la linea di fede tenuta all’ingresso nella manovra e la linea di fede raggiunta. Dopodiché, il timone viene ruotato dalla parte opposta della quantità –α0 e su tale posizione viene mantenuto finché la nave non risponde con una variazione di rotta, sempre misurata rispetto alla rotta rettilinea d’ingresso, pari a –δ0. Tale procedura, ripetuta per almeno cinque volte allo scopo di stabilizzare la manovra, testare le condizioni di prova e raccogliere dati aggiuntivi, viene caratterizzata dalla scelta della coppia di angoli (α0 , δ0), in cui gli angoli di barra sono riferiti all’angolo di barra neutro. La manovra viene indicata con la sigla “zig-zag α0 / δ0”. Lo standard è quello detto “di Kempf” se α0 = δ0 mentre si dice che la manovra è uno zig-zag modificato se α0 ≠ δ0. Usualmente, anche se non è stabilito dalle norme, la prima accostata viene fatta verso dritta per verificare il comportamento della nave quando deve essere eseguita una manovra di disimpegno, in caso di emergenza, rispetto ad una nave in rotta di collisione. Infatti, se la nave incrocia un’altra imbarcazione che proviene in verso opposto, la collisione va evitata, secondo le norme della navigazione, con un’accostata a dritta. L’IMO ha standardizzato le manovre di zig-zag 10°/10° e 20°/20°, in modo da valutare il comportamento della nave ad un angolo di barra medio e ad uno elevato. In particolare, la prima è consigliata perché fornisce indicazioni utili alla valutazione della stabilità di rotta, infatti saggia la manovrabilità per angoli di barra e di accostata prossimi a quelli usuali di controllo della rotta. Per navi di grandi dimensioni è anche consigliato di effettuare le manovre di zig-zag con angoli di 15° e di 25°. I dati registrati durante la manovra sono quelli usuali (tempi, angoli, velocità, ecc.) ed i risultati vengono raccolti in un grafico che illustra, in funzione del tempo, a partire dall’istante in cui è stato impartito il comando al timone, l’andamento dell’angolo di ship heading e dell’angolo di barra del timone. Se la manovra prevede angoli limite α0 e δ0 uguali, le intersezioni 39 Corso di Allestimento Navale delle due curve α (t) e δ (t) indicano gli istanti di inversione dell’angolo di barra. In generale, il grafico mostra che la nave esegue l’accostata in accordo con l’angolo di barra ma con un certo ritardo. Infatti, quando il timone viene portato dalla parte opposta, la nave per inerzia continua a ruotare nel verso iniziale ancora per un certo lasso di tempo, raggiungendo l’angolo massimo di imbardata δmax dopodiché manifesta palesemente la risposta al timone. I dati salienti identificabili nel grafico sono i seguenti: • initial turning time (tI), corrispondente al tempo impiegato nella prima accostata per raggiungere l’angolo di imbardata +δ0 . • first overshoot angle (δS), calcolato come differenza fra l’angolo di imbardata massimo δmax e l’angolo δ0 immediatamente dopo che è stato impartito il secondo comando dell’angolo di barra (second execute) – il pedice S sta ad indicare che l’angolo è positivo, ossia che la nave ha eseguito una deviazione verso dritta (starboard side), infatti la prima manovra è usualmente effettuata su questo lato e l’angolo è anche detto overshoot starboard angle. • time to check yaw (tC), corrispondente al tempo impiegato per ruotare la prora dall’angolo δ0 all’angolo δmax successivamente al secondo comando dell’angolo di barra. • second overshoot angle (δP), calcolato come differenza fra l’angolo di imbardata massimo –δmax e l’angolo –δ0 immediatamente dopo che è stato impartito il terzo comando dell’angolo di barra (third execute) – il pedice P sta ad indicare che l’angolo è negativo, ossia che la nave ha eseguito una deviazione verso sinistra (port side) e l’angolo è anche detto overshoot port angle. Il parametro tI è significativo del comportamento della nave all’inizio di una manovra di variazione della rotta. In particolare, rappresenta la velocità di risposta al timone ed è correlato all’attitudine indicata con il termine initial-turning ability. Tale valore fornisce, una volta nota la velocità effettiva della nave in manovra V, il tragitto sI [m] percorso dalla nave prima di rispondere alla variazione di rotta, infatti sI = V tI . Gli altri parametri sono significativi del comportamento della nave nelle fasi di controllo di una traiettoria curvilinea. In particolare, il parametro tC è identificativo della velocità di risposta della nave al controllo dell’imbardata e va quindi correlato all’attitudine indicata come yaw-checking ability. Oltre ai tempi di controllo, anche gli angoli di overshoot danno una misura della stabilità della rotta. Il primo angolo di overshoot e quelli successivi forniscono informazioni simili anche se si riferiscono a condizioni di ingresso alla manovra leggermente diverse. Nel primo caso la nave inizia infatti l’accostata a partire da rotta rettilinea (angolo di heading nullo) con 40 La manovrabilità della nave velocità di rotazione nulla; nel secondo caso (dal secondo angolo di overshoot in poi), nell’istante in cui si annulla l’angolo di heading la nave possiede già una certa velocità di rotazione. Di conseguenza, δP tende ad essere maggiore di δS. Se la nave mostra stabilità di rotta, la ripetizione della manovra fornisce per i successivi angoli di overshoot valori prossimi a δP. Se la stabilità di rotta è debole (alto indice di manovrabilità) si verifica il graduale aumento degli angoli di overshoot. Se per l’angolo α0 la nave è instabile, non vi è risposta al timone già dal secondo comando e non è possibile effettuare la manovra di zig-zag. Manovre di zig-zag ai piccoli angoli sono previste per verificare il comportamento della nave agli angoli di barra tipici del controllo di rotta. Queste prove sono anche condotte per saggiare con maggiore precisione la risposta della nave nei campi di possibile instabilità. La manovra di zig-zag a piccoli angoli viene effettuata con angoli di barra non superiori a quelli usuali di controllo della rotta (α0 < 5° ÷ 10°), per esempio con la combinazione 5° / 1°. Un caso particolare è quello della prova 5° / 0° iniziata con velocità di variazione di rotta non nulla, situazione realistica quando la nave è intrinsecamente instabile. Tali test permettono di valutare la risposta della nave in condizioni tipiche di controllo e variazione della rotta. Il parametro più importante misurato durante queste prove è l’angolo massimo di rotta δmax raggiunto dalla nave. Per ottenere un parametro affidabile la prova è condotta per almeno 20 cicli o 20 esecuzioni del timone. Altri dati che vengono raccolti dalla prova sono quelli relativi agli spazi impegnati dalla nave durante le accostate, illustrati in un grafico che riporta la nave nelle diverse posizioni assunte dall’inizio della manovra o, in alternativa, l’area spazzata dalla nave sulla superficie del mare. Con riferimento al baricentro della nave, per ogni ciclo si definiscono: larghezza massima del percorso il massimo scostamento trasversale del baricentro nave misurato rispetto alla direzione della rotta di entrata nella manovra e larghezza di overshoot del percorso il massimo scostamento trasversale del baricentro nave misurato rispetto alla posizione raggiunta nell’istante in cui è stato dato il comando di inversione del timone. Durante l’esecuzione viene anche registrato il periodo delle singole manovre. Inoltre, al posto del tempo t [s] si usa fare riferimento alle lunghezze nave percorse t’ [-], calcolate con l’espressione t’ = t V /L [-] in cui L / V rappresenta il tempo impiegato per percorrere uno spazio pari alla lunghezza nave. 15. La manovra di arresto 41 Corso di Allestimento Navale La manovra di arresto del moto di avanzo (stopping test o free stop) viene eseguita esclusivamente per saggiare l’attitudine della nave a fermarsi per evitare la collisione con un ostacolo che si trova sulla propria rotta. Questa prova costituisce anche una verifica del funzionamento del sistema di controllo del motore e del sistema di inversione del moto. L’arresto è infatti realizzato con l’inversione dell’orientazione delle pale dell’elica o con l’inversione del moto del motore primo. La manovra standardizzata prevede che la nave venga portata inizialmente in moto rettilineo uniforme e che ad un certo instante la spinta generata dal propulsore venga invertita nella maniera più veloce possibile con il comando “macchine indietro tutta” (full speed astern) fino a generare la massima forza frenante. Prove non standardizzate vengono eseguite con altre modalità di comando di inversione del moto (es.: half speed astern). Come effetto dell’azione esercitata dal sistema propulsivo, la nave inizia a percorrere una traiettoria curva con moto decelerato. Usualmente si manifesta una deviazione laterale, anche se il timone viene tenuto al centro, sia per l’asimmetria del propulsore (spostamento verso destra con elica destrogira) sia per le condizioni ambientali. Si registrano, a partire dal momento in cui viene dato il comando di macchine indietro (astern order), i seguenti dati: • la lunghezza del tragitto percorso (track reach), • la distanza coperta nella direzione della rotta iniziale (head reach), • lo spostamento trasversale da tale rotta (lateral deviation). Il tragitto percorso è significativo dello spostamento complessivo ed è quello a cui usualmente si riferiscono i valori limite degli standard. I dati raccolti sono riportati in un grafico ove è tracciata la traiettoria descritta dalla nave, con l’avanzo in ascissa e la deviazione laterale in ordinata. Anche i tempi di risposta vengono registrati. Si tratta di tempi piuttosto elevati che dipendono fortemente dalla tipologia di procedura per l’inversione del moto. La prova può essere anche ripetuta per simulare l’arresto quando la nave procede alla massima velocità in marcia addietro, ma in questo caso non è tra quelle standardizzate. Quest’ultima manovra viene detta crash ahead test e si esegue impartendo un comando di avanti tutta dopo che la nave era stata portata ad una prefissata velocità in marcia addietro. Una prova simile è quella di stopping inertia, nella quale, contemporaneamente all’inversione della spinta del propulsore, si agisce anche sul timone portandolo alla banda a 35°. In questo caso si misurano il tempo trascorso e lo spazio percorso fino al momento in cui la velocità residua ha raggiunto un valore minimo prefissato. Se nel free stop il timone è portato alla banda a dritta, la manovra prende il nome di IMO stop. 42 La manovrabilità della nave Si ricorda infine che un’altra serie di prove, simili alle precedenti in quanto si effettuano a velocità variabile, sono quelle che prevedono di testare l’accelerazione o la decelerazione della nave su traiettoria rettilinea (dette acceleration test e deceleration test), prove eseguite con varie modalità di comando alle macchine. In questi test si misurano spazi percorsi e tempi, mentre il timone viene manovrato per mantenere la rotta rettilinea. 16. I parametri di manovrabilità e le prescrizioni IMO Dalle singole prove si raccolgono una serie di dati utili a misurare le diverse qualità manovriere della nave. In particolare, con riferimento alle manovre IMO precedentemente illustrate, le attitudini di manovrabilità vengono così correlate ai parametri misurati: • stabilità dinamica viene valutata attraverso le prove di pull-out (velocità angolare residua ψO) e di manovra a spirale (larghezza e altezza del ciclo di instabilità e indice di manovrabilità (dψ/dα)α=0, ma in maniera qualitativa anche attraverso la manovra di zig-zag con gli angoli di overshoot δP e δS. • course-keeping ability la capacità di controllare la rotta è implicitamente correlata alla stabilità dinamica ed è usuale dedurre questa caratteristica dalla manovra di zigzag attraverso gli angoli di overshoot. • yaw-checking ability la capacità di controllare l’imbardata è implicitamente correlata alla stabilità dinamica ed è usuale dedurre questa caratteristica dalla manovra di zig-zag attraverso il primo angolo di overshoot δS. Il time to check yaw tC è il parametro specifico con cui si misura questa attitudine. • initial-turning ability (course-changing ability) la capacità di modificare la rotta viene misurata con il valore dell’initial turning time tI ottenuto dalla manovra di zig-zag (in alternativa si usa l’equivalente parametro sI). • turning ability la capacità di effettuare forti accostate per variare la rotta si misura con i parametri desunti dalla prova di evoluzione, principalmente l’avanzo e il diametro tattico (ma anche il trasferimento). • stopping ability la capacità di arrestare la nave nello spazio più piccolo possibile si misura con il track reach ottenuto dalla prova di arresto (e la deviazione laterale). Non tutti i parametri sopra indicati sono indispensabili a caratterizzare il comportamento della nave. Si dimostra infatti, per esempio, che l’avanzo, il trasferimento ed il diametro tattico possono essere facilmente correlati fra 43 Corso di Allestimento Navale loro e quindi la conoscenza di uno solo di essi è sufficiente a valutare la turning ability della nave. Inoltre, non tutti i parametri hanno la stessa importanza nel definire la qualità del progetto. In Tab. 16.A sono richiamati i valori limite previsti dalle Risoluzioni IMO per i parametri di manovrabilità. Gli spazi misurati sono adimensionalizzati con la lunghezza della nave tra le perpendicolari LPP , mentre con V si indica la velocità di prova, ossia la velocità di ingresso in manovra della nave. Tali valori si riferiscono ai risultati delle sole prove principali, ossia la prova di evoluzione, le prove di zig-zag 10°/10° e 20°/20° e la prova di arresto. La dipendenza dei valori limite degli angoli di overshoot dallo ship time constant è da correlarsi al fatto che ad imbarcazioni piccole e veloci (bassi valori di STC) sono richieste caratteristiche operative diverse da quelle delle navi più grandi e lente (alti valori di STC). Infatti, una nave con basso valore del rapporto STC deve essere controllabile con più facilità perché a parità di celerità nell’intervento correttivo o a parità di accuratezza dei sistemi di controllo della rotta, lo stesso errore porta a spostamenti maggiori e quindi è in sé più rischioso. In generale, va osservato che i valori limite imposti dalla normativa non sono differenziati per i diversi tipi di navi e proprio per questo motivo sono generalmente poco severi, dovendo adeguarsi ai valori ammissibili delle tipologie meno manovriere. Solo per quanto riguarda il valore limite del track reach desunto dalla manovra di arresto viene fatta una distinzione di massima fra le tipologie di navi. Il valore standard di 10 lunghezze viene aumentato del 30 % per le grandi navi, quelle con un dislocamento di progetto superiore alle 100.000 tonnellate, per le quali il limite più restrittivo appare ancora impraticabile. L’IMO fornisce anche una metodologia empirica per la previsione del track reach in relazione alle grandi navi. PARAMETRO DI MANOVRABILITÀ avanzo (turning test) 4,5 LPP diametro tattico (turning test) 5 LPP distanza coperta durante l’initial turning time (zig-zag test 10°/10°) 1° angolo di overshoot (zig-zag test 10°/10°) 44 CRITERIO IMO 2,5 LPP LPP / V ≤ 10 s 10° 10 s < LPP /V < 30 s 0,5 LPP /V + 5° La manovrabilità della nave 2° angolo di overshoot (zig-zag test 10°/10°) LPP / V ≥ 30 s 20° LPP /V ≤ 10 s 25° 10 s < LPP /V < 30 s 0,75 LPP /V + 17,5° LPP /V ≥ 30 s 40° 1° angolo di overshoot (zig-zag test 20°/20°) tragitto percorso (stopping test) TABELLA 16.A 25° 15 LPP (20 LPP) Valori limite IMO dei parametri di manovrabilità. Questi valori limite possono essere resi ancora più restrittivi dagli armatori – le caratteristiche di manovrabilità costituiscono infatti parte delle specifiche contrattuali fra armatore e cantiere – soprattutto per navi che hanno particolari esigenze di manovra. Molto spesso si richiedono infatti prove atte a testare l’indipendenza della nave dai rimorchiatori nell’eseguire le classiche manovre portuali di avvicinamento e allontanamento dalla banchina. Il rispetto della normativa può essere dimostrato con previsioni desunte sia da simulazioni al calcolatore, sia da prove su modello. Le indagini numeriche si basano su modelli che vengono messi a punto con i risultati sia delle prove al vero su navi simili, sia delle prove su modello vincolato, nelle quali cioè vengono concessi al modello solo alcuni gradi di libertà. Queste ultime servono a calcolare i coefficienti idrodinamici da inserire nelle equazioni che descrivono il moto della nave. Queste prove sono molto laboriose perché richiedono un numero notevole di “corse” (per tutte le combinazioni possibili dei gradi di libertà del sistema). Le prove su modello in scala vengono effettuate anche con la modalità detta di modello libero e servono a determinare direttamente le caratteristiche di manovrabilità della nave. Sono condotte in vasche di grandi dimensioni con lo stesso modello usato nelle prove di resistenza o di auto propulsione. Allo stato attuale delle ricerche, le prove su modello forniscono risultati che vengono comparati direttamente con i limiti di normativa (anche se per i piccoli modelli i risultati di stabilità dinamica tendono ad essere conservativi). Va infine osservato che nelle prime fasi del progetto (ossia in fase di concept design) vengono spesso utilizzate formulazioni empiriche o regressioni lineari ricavate da analisi su navi simili. In fase di preliminary design può diventare necessario fare riferimento a simulazioni numeriche o a 45 Corso di Allestimento Navale prove sperimentali, mezzi ai quali è sicuramente necessario ricorrere nelle fasi successive del progetto (contract design e detail design). I risultati delle prove, a nave costruita e certificata, vanno trascritti su appositi stampati ed affissi in plancia assieme ai tracciati delle stesse, come richiesto dalle Risoluzioni IMO. In pratica devono essere preparati: • una tabella delle caratteristiche della nave ad uso del pilota (pilot card) contenente le caratteristiche della nave, del sistema propulsivo e dei sistemi di governo e manovra; • una tabella delle caratteristiche evolutive della nave ad uso del comando (wheelhouse poster), che illustri i risultati delle prove di manovrabilità; • un quaderno di manovrabilità (manoeuvring booklet), in cui siano dettagliatamente descritte le qualità manovriere della nave. 17. Le prescrizioni dei Registri Per quanto riguarda la manovrabilità, i Registri di classificazione non avanzano richieste aggiuntive rispetto a quelle formulate dalle Risoluzioni dell’IMO. Fanno eccezione i casi in cui lo spettro delle prove da eseguire viene allargato per comprendere le manovre IMO opzionali o altre manovre ancora, quali i test alle basse e medie velocità. É questo il caso del Lloyd’s Register che stila una lista ampliata di manovre da eseguire per conseguire una notazione aggiuntiva di classe definita LMA – Lloyd’s Manoeuvring Assessment. Le norme in questione non pongono limiti alle caratteristiche di manovrabilità, oltre a quelli previsti dall’IMO, ma prevedono che, per ottenere la notazione di classe, i risultati delle prove debbano essere considerati soddisfacenti dagli ispettori del Registro. Per acquisire questa notazione la nave deve eseguire, oltre alle tre principali manovre stabilite dall’IMO anche le seguenti manovre: • la manovra di pull-out (accoppiata alla manovra di evoluzione), • la manovra di evoluzione a mezza velocità (half speed turning test), • la manovra di arresto in marcia avanti a mezza velocità ed a bassa velocità (half speed e slow speed stopping test), • la manovra per il recupero di uomo in mare, eseguita con il metodo cosiddetto di Williamson oppure con due mezze evoluzioni, • la manovra di evoluzione a partire da nave ferma e con le sole eliche di manovra in funzione. Si osservi che i valori delle velocità sono quelli corrispondenti alle tacche del telegrafo di macchina, rispettivamente full ahead, half ahead, slow ahead and dead slow ahead per marcia avanti e dead slow astern, slow astern, half astern and full astern per marcia addietro. 46 La manovrabilità della nave Anche il RINA assegna una notazione di classe specifica per la manovrabilità, indicata con la sigla MANOVR. Tale notazione viene assegnata alle navi che eseguono le manovre principali stabilite dall’IMO e che rispettano i valori limite ammissibili dei parametri di manovrabilità. 18. Le manovre secondarie Oltre alle manovre standardizzate dall’ IMO, altre prove sono state definite da vari organismi di ricerca (ITTC, SNAME, NSO, JSRA) allo scopo di permettere indagini più approfondite sia sulla stabilità dinamica sia sulle capacità manovriere delle navi. Come noto, tre sono le manovre principali da eseguire secondo lo standard IMO. In aggiunta a queste, le prove addizionali che l’IMO introduce nelle sue linee guida sulla manovrabilità sono: • la manovra a spirale diretta, • la manovra a spirale inversa, • la manovra a spirale semplificata (simplified spiral manoeuvre), • la manovra di pull-out, • la manovra di zig-zag ai piccoli angoli (very small zig-zag test). che sono già state descritte in relazione ai metodi di valutazione della stabilità dinamica e durante la descrizione delle manovre principali. Ad esse vari standard fanno seguire altre manovre secondarie, derivate da quelle principali per modifica di uno o più parametri di prova: • la manovra di evoluzione a differenti velocità nave e diversi angoli di barra del timone (ad esempio, α = 15°), la manovra di approccio all’accostata (initial turning test); • la manovra a zig-zag secondo Kempf ad angoli α0 = δ0 di 5° e 15°, oppure lo zig-zag modificato (α0 ≠ δ0); • la manovra di arresto a velocità di atterraggio, oppure a partire da marcia addietro, oppure lo stopping inertia test (descritto in relazione allo stopping test), oppure ancora le manovre di accelerazione o decelerazione su rotta rettilinea a partire da nave ferma. La manovra di approccio all’evoluzione (initial turning test) serve ad acquisire informazioni sul transitorio che corrisponde alla prima fase di un’accostata realizzata con un angolo di barra del timone moderato. In pratica corrisponde alla prima fase di una manovra di evoluzione e si conclude quando la nave stabilizza la sua rotta, ossia quando la velocità ψ diventa costante. Si esegue con timone a 10° oppure a 20°. Una manovra alternativa che permette di acquisire informazioni sulla manovrabilità è quella di mantenimento della nuova rotta impostata (new course keeping test). 47 Corso di Allestimento Navale La manovra di mantenimento della nuova rotta impostata serve per valutare la capacità della nave a mantenere una rotta rettilinea modificata, rispetto a quella iniziale, di un piccolo angolo. Con questo test si ottengono dati utili alla valutazione della qualità di variazione della rotta (coursechanging ability). Il test si effettua partendo da una rotta rettilinea ed impostando un angolo di barra di 15° che viene mantenuto finché la nave non ha modificato la linea di fede di 10°. A quel punto il timone viene invertito (−15°) e portato successivamente all’angolo neutro nel momento in cui la velocità di rotazione della nave si annulla. La manovra è eseguita a dritta e a sinistra, con angoli di timone di 20° e di 30°. Il risultato è espresso graficamente riportando la traccia dello spostamento della nave e mettendo in evidenza l’avanzo e il trasferimento. La distanza tra il punto nave relativo all’istante di COMEX e il punto d’intersezione fra la vecchia e la nuova rotta è definito new course distance. Esistono altre prove di manovrabilità standardizzate non tanto per saggiare la sicurezza della nave, quanto invece per valutare l’efficacia dei sistemi di manovra negli spostamenti in acque ristrette. Si tratta di prove effettuate con lo scopo di misurare le caratteristiche di manovrabilità della nave ferma o quasi ferma, si da valutare fino a che punto può essere indipendente dai sistemi ausiliari esterni, ovvero dai rimorchiatori, il cui costo per le normali operazioni di avvicinamento e allontanamento dalla banchina non è trascurabile. Le prove di questo tipo si differenziano da quelle standard perché sono eseguite a basse velocità, eventualmente in shallow water e con l’utilizzo, anche coordinato, dei diversi sistemi di governo, ovvero timone ed eliche trasversali. Buoni risultati di manovrabilità nelle condizioni sopra indicate non esimono il comando dal richiedere l’uso dei rimorchiatori in condizioni estreme di manovra. In altre parole, la nave deve comunque possedere opportune installazioni di coperta per stendere i cavi di traino verso i rimorchiatori, così come sulle fiancate devono essere previsti e indicati i punti di appoggio dei rimorchiatori. Tra le varie prove rientranti in questa categoria si menzionano le seguenti: • la manovra di zig-zag a bassa velocità (zig-zag test at low speed), per esempio lo zig-zag 35° / 1°, che serve a valutare la minima velocità di avanzo alla quale la nave è ancora governabile; • la manovra di evoluzione a partire da nave ferma (accelerating turning test), che consiste in un’evoluzione completa fatta mettendo macchine a mezza potenza o a tutta forza e timone alla banda, in modo da simulare un distacco dalla banchina; la manovra si conclude dopo un’evoluzione di almeno un giro e mezzo; 48 La manovrabilità della nave • le manovre principali (di evoluzione, di zig-zag e di arresto) in shallow water per misurare la riduzione nelle doti di manovrabilità e governo dovuta all’effetto del fondale (le manovre sono condotte a basse velocità); • le manovre principali (di evoluzione e di zig-zag) condotte con le sole eliche trasversali (thruster test). Queste ultime si effettuano allo scopo di saggiare le qualità evolutive ottenute con le eliche trasversali in funzione e con il timone alla via, sia a partire da nave ferma sia con nave dotata di una bassa velocità di avanzo. Comprendono la manovra di evoluzione, che viene fatta con velocità di avanzo che vanno da 0 nodi a 8 nodi effettuando una variazione di rotta a volte limitata a 30° oppure 90°, e quella di zig-zag, effettuata con velocità comprese fra 3 nodi e 6 nodi e con riferimento ad una variazione massima di rotta di 10°. Per eseguire queste prove le eliche devono essere sufficientemente immerse, un valore minimo è quello di un’immersione al mozzo di almeno 0,8 volte il loro diametro. 19. Le manovre di crabbing Altre prove interessanti sono quelle che vanno sotto il nome di manovre di crabbing e consistono nell’avvicinamento o allontanamento dalla banchina, a velocità di avanzo nulla, con l’utilizzo di tutti i sistemi di governo. Tali manovre si eseguono come di seguito specificato: • se la nave possiede eliche trasversali sia a prora sia a poppa, esse vengono azionate bilanciando le potenze in modo da ottenere una traslazione trasversale della nave; • se la nave possiede solamente l’elica trasversale di prora, essa viene azionata in maniera coordinata con le eliche propulsatrici di poppa. In quest’ultimo caso, le eliche vengono azionate in modo da dare spinte contrapposte affinché la componente longitudinale della forza da esse generata si annulli. Il timone dell’elica che spinge in avanti viene inclinato in modo da deviare il flusso e generare quindi una forza trasversale che si sommi a quella generata dall’elica che spinge verso addietro, il cui timone può rimanere al centro poiché il flusso viene deviato dalla stessa carena. Se lo scopo della manovra è quello di allontanare il fianco della nave dalla banchina è importante, soprattutto se la banchina è costituita da una diga continua, che l’elica di terra generi un flusso verso avanti in modo da evitare di dar origine ad una depressione idrodinamica fra banchina e fiancata. Tale fenomeno è accentuato da un fondale poco profondo. Le manovre di crabbing assumono una particolare importanza per le navi che svolgono un servizio caratterizzato da frequenti avvicinamenti alla banchina. È questo il caso delle navi passeggeri che, durante le crociere, 49 Corso di Allestimento Navale effettuano viaggi di breve durata al termine dei quali sostano in porti spesso poco equipaggiati per riceverle. Esse, inoltre, si muovono usualmente in acque ristrette (per esempio, in stretti bracci di mare fra le isole) anche in presenza di venti trasversali. La previsione della potenza delle eliche di manovra viene fatta con opportune prove in vasca, simulando: • il mantenimento della rotta in acque libere, per verificare quanto la nave riesce a resistere a correnti, vento ed onde al traverso quando naviga a bassa velocità; • spostamenti trasversali in vicinanza a banchine di tipo diverso (su pali o su muratura chiusa) per valutare la capacità della nave di eseguire avvicinamenti o distacchi dalla banchina in presenza di forze ambientali contrarie. Tali prove vengono eseguite con riferimento a condizioni espresse dagli armatori più che in base ad un vero e proprio standard. In particolare, diverse sono le condizioni ambientali limite che possono essere considerate. Prove tipiche per le navi passeggeri sono quelle di avvicinamento e di allontanamento dalla banchina eseguite per diverse tipologie di banchina e per diverse profondità del fondale con un vento costante di 35 nodi (Beaufort 7) proveniente da qualsiasi direzione. In queste prove la nave deve dimostrare di potersi muovere senza l’aiuto di rimorchiatori ad una sufficiente velocità trasversale. Tale velocità è dell’ordine di qualche centimetro al secondo e può arrivare anche a 25 cm/s. Il risultato delle prove viene rappresentato graficamente da un poligono delle forze di manovra i cui vertici sono i punti identificati dalle coppie di valori della forza trasversale e del momento evolutivo caratteristici delle diverse configurazioni degli apparati di manovra. In pratica, vengono attivate in successione le eliche trasversali in coordinazione con i timoni (o i timoni-propulsori) in modo da generare una forza trasversale crescente, mentre il momento evolutivo spazia dal valore massimo al valore minimo. Nello stesso grafico è riportati anche i poligoni delle forze ambientali originate sulla nave dal vento e dalla corrente. Ognuna di queste curve esprime la forza trasversale e il momento evolutivo generati sulla nave da un vento (o da una corrente marina) di velocità prefissata proveniente da direzioni diverse. Con riferimento ad una determinata velocità del vento (o della corrente), le prove danno esito positivo se il poligono delle forze ambientali è contenuto nel poligono delle forze di manovra. Le prove di crabbing su modello si rendono necessarie per una corretta previsione del fenomeno in quanto la simulazione delle interazioni reciproche fra le eliche trasversali, il flusso da esse generato e quello delle eliche propulsatrici e fra tutti questi apparati e la banchina è difficilmente 50 La manovrabilità della nave effettuabile per via numerica. Queste prove servono anche per valutare gli effetti, sulle strutture delle banchine, dei getti d’acqua prodotti dalle eliche. 20. Le manovre di emergenza Le prove finora discusse sono finalizzate alla ricerca dei parametri di manovrabilità delle navi. Fa eccezione la manovra di arresto che è correlata alla valutazione della risposta della nave in una condizione di emergenza. Esistono anche altre prove eseguite con l’intenzione di simulare particolari situazioni di emergenza e tra queste si citano: • la manovra di disimpegno (parallel course manoeuvre test), • la manovra di recupero uomo in mare (man-overboard test). La manovra di disimpegno dalla rotta consiste nel simulare una situazione di emergenza in cui due navi si trovano in rotta di collisione. La manovra consiste in una forte accostata a dritta ottenuta con timone alla banda (α = +35°), seguita immediatamente da un’accostata a sinistra realizzata con timone alla banda dalla parte opposta (α = -35°). L’inversione del timone viene fatta quando lo ship heading è variato di 30° rispetto alla rotta originaria. Successivamente, il timone viene manovrato in modo da riportare di nuovo la nave sulla rotta originaria. Dalla manovra di disimpegno dalla rotta si ottiene come risultato un grafico che illustra la traccia della nave ed evidenzia gli istanti di azionamento del timone. La manovra viene anche condotta con disimpegno a sinistra. Per simulare altre situazioni di emergenza, la prova viene eseguita anche invertendo il timone quando lo ship heading è variato di 60° o di 90° rispetto alla rotta originaria. Un’altra variante è realizzata limitando la rotazione del timone ad angoli di 25° o di 30°. Con l’intenzione di fornire al comando della nave un’indicazione utile al recupero di un uomo in mare (man overboard), l’IMO ha proposto la cosiddetta manovra di Williamson (Williamson turn). Questa evoluzione è stata studiata per fare invertire velocemente la rotta alla nave e farla tornare esattamente sul punto in cui si trova la persona da recuperare. Al termine della manovra la nave deve ritrovarsi sulla rotta iniziale ed avere una velocità tale da consentire la messa a mare di un’imbarcazione per il recupero veloce del naufrago. In pratica, per recuperare un uomo caduto in mare da dritta, il timone deve essere portato dapprima alla banda a dritta in modo da variare la rotta di circa 20° ÷ 60° e successivamente, dopo un breve tragitto, deve essere invertito (alla banda a sinistra) fino ad ottenere una variazione di rotta dalla parte opposta di circa 120° ÷ 150°. Infine, il timone viene portato gradualmente alla via, in modo da terminare l’accostata con un’inversione 51 Corso di Allestimento Navale completa della rotta e in prossimità del punto in cui si trova l’uomo da recuperare. Il recupero di un uomo in mare può essere effettuato anche con un’altra manovra denominata elliptical turning manoeuvre che consiste nell’eseguire un loop completo. La nave esegue dapprima una mezza evoluzione (variazione di rotta di 180°), percorre poi un breve tragitto parallelo a quello originario ed infine, con una seconda mezza evoluzione, si riporta sulla rotta già percorsa. Il tratto di tragitto fra le due accostate serve a stabilizzare la velocità della nave per farla uscire, dopo la seconda evoluzione, esattamente sulla rotta originaria. 21. Le manovre per il collaudo degli impianti Altre prove sono effettuate per valutare il funzionamento degli organi di propulsione e di manovra. Tra queste si ricordano: • la manovra per la valutazione del numero minimo di giri sostenuto dal motore primo di propulsione (minimum revolution test), • la manovra di collaudo del timone (hard rudder test). La prima si svolge in maniera molto semplice riducendo la velocità del motore finché lo stesso riesce a mantenersi in moto per almeno un minuto, producendo un seppur minimo avanzo della nave. La minima velocità di avanzo viene registrata assieme al valore del minimo regime sostenuto dal motore. La manovra di collaudo del timone è una manovra molto importante per la sicurezza della nave, definita dall’IMO all’interno dalla SOLAS (precisamente, al Cap. II–1, Part C – “Machinery Installations”, Regulation 29). L’intento del test è quello di verificare la robustezza del timone e dell’intera catena di comando e attuazione. Non prevedendo diversificazioni per dimensioni e tipo di nave, il limite previsto dalla normativa non può però ritenersi adatto alle diverse esigenze delle navi. La manovra prevede che la nave, che deve essere nella condizione di massima immersione, sia portata su rotta rettilinea percorsa alla massima velocità. Successivamente, il timone, attraverso la timoneria principale, deve essere angolato con la massima velocità di rotazione dell’asta, prima dal centro fino a 35° su un lato e poi immediatamente fino a 30° dall’altra parte. Il tempo totale impiegato per la successione da 35° a 30° sul lato opposto non deve superare 28 secondi. La manovra va eseguita sia a partire da sinistra sia a partire da dritta. Nel caso che la timoneria sia composta da una macchina principale e da una ausiliaria, una prova analoga deve poi essere svolta con la macchina di governo ausiliaria, per la quale si considera – sempre con la nave alla 52 La manovrabilità della nave massima immersione ma questa volta a velocità dimezzata e comunque superiore a 7 kn – un ciclo dell’angolo di barra da 15° su un lato a 15° sul lato opposto, da svolgersi in non più di 60 secondi. Anche in questo caso, la manovra va eseguita sia a partire da sinistra sia a partire da dritta. Questa prova serve per valutare il funzionamento dell’intero sistema formato dalla timoneria di plancia, dalla linea di trasmissione del comando, dal macchinario di agghiaccio e, infine, dal timone stesso. Durante dette manovre infatti si saggia: • il funzionamento del sistema di trasmissione del comando dalla plancia; • il funzionamento del macchinario del timone, sia come tempi massimi di esecuzione, sia come valori angolari massimi raggiunti dalla pala; • la robustezza del sistema, ovvero del macchinario, dell’asta e della pala. 22. Analisi dell’efficacia del timone I modelli matematici per la manovrabilità sono piuttosto complessi sia perché l’equilibrio dinamico della nave non è descrivibile con equazioni differenziali lineari sia perché tali equazioni, esprimendo il moto della nave sulla superficie marina, sono tra loro accoppiate. Il sistema completo di equazioni di equilibrio è formato da tante equazioni quanti sono i gradi di libertà della nave. Un modello semplificato della cinematica della nave considera solo i gradi di libertà significativi, ossia quelli corrispondenti allo spostamento longitudinale (avanzo), allo spostamento trasversale (deriva) e alla rotazione attorno all’asse verticale (imbardata). Quando però ci si vuole limitare allo studio della sola variazione dell’angolo di rotta senza voler descrivere il percorso della nave, si può fare riferimento alla sola equazione di equilibrio relativa a tale grado di libertà (imbardata). In aggiunta, tale equazione può essere semplificata eliminando i termini di accoppiamento con gli altri gradi di libertà. Quest’impostazione è in genere sufficientemente accurata per un’analisi preliminare della stabilità dinamica e della manovrabilità della nave. L’equazione di equilibrio del solo moto di imbardata si esprime considerando le forze che lavorano con braccio non nullo rispetto al centro di massa della nave, forze che danno i seguenti momenti: • il momento evolutivo ME generato del timone; • il momento prodotto dalle pressioni idrodinamiche sullo scafo, già indicato come MW , e qui detto anche momento di smorzamento in 53 Corso di Allestimento Navale quanto connesso alle forze associate alla dissipazione di energia in mare (forze di attrito, forze di generazione del moto ondoso); • il momento delle forze d’inerzia MI, eventualmente comprensivo dell’effetto della massa aggiunta trascinata dalla carena durante la rotazione. Il momento generato dal timone può esprimersi in funzione dell’angolo di barra ed indicarsi perciò come ME(α). Tale approccio trascura la variazione dell’angolo di attacco durante l’accostata. Il momento delle forze idrodinamiche è esprimibile come funzione della velocità relativa fra la nave e l’acqua di mare. In termini macroscopici, indicando con ψ la velocità d’imbardata, il momento si può scriver come MW(ψ). Il momento delle forze d’inerzia può essere espresso come prodotto fra il momento d’inerzia della nave all’imbardata (relativo alla massa nave comprensiva della massa aggiunta) J [kg m2] e l’accelerazione angolare d’imbardata dψ/dt [rad/s2]. Il momento d’inerzia della nave rispetto alla rotazione attorno all’asse verticale baricentrico può esprimersi attraverso il raggio d’inerzia di massa i [m] che, per le navi mercantili di forme tradizionali, è generalmente compreso fra 0,25 L e 0,30 L. L’equilibrio della nave alla rotazione rispetto all’asse verticale baricentrico può scriversi come: − J ψɺ − M W (ψ) + M E (α) = 0 [Nm] (22.A) Nella sua forma più semplice tale equazione esprime un modello completamente lineare qualora si ipotizzi che il momento di smorzamento sia proporzionale alla velocità d’imbardata e che il momento generato dal timone sia proporzionale all’angolo di barra. Si può scrivere allora: − J ψɺ − mW ψ + mE α = 0 [Nm] (22.B) dove mW [Nm s/rad] è il momento di smorzamento che nasce a fronte di una velocità d’imbardata unitaria ed mE [Nm/rad] è il momento d’evoluzione generato dal timone per un angolo di barra unitario. Tali coefficienti possono essere eventualmente corretti per includere gli effetti degli accoppiamenti con i moti trascurati. L’equazione di equilibrio così ottenuta è generalmente trascritta nella forma seguente: T ψɺ + ψ = Kα 54 [Nm] (22.C) La manovrabilità della nave nella quale sono messi in evidenza due coefficienti detti indici di Nomoto e definiti come: J mW m K= E mW T= [s] (22.D) [s–1] Nella forma adimensionale gli indici di Nomoto si scrivono come: T′ = V T L L K′ = K V [-] (22.E) [-] Il significato di K e T può essere dedotto risolvendo l’equazione in un caso particolare, corrispondente alla manovra in cui il timone venga portato istantaneamente da 0° all’angolo di barra α0 e lasciato poi in tale posizione. In questo caso, l’equazione di Nomoto porge infatti la seguente soluzione: ψ = K α0 (1 − e− t / T ) [rad/s] (22.F) che mostra come la velocità d’imbardata aumenti esponenzialmente con il tempo t [s] tendendo al valore stazionario K α0. Se alla nave è associato un alto valore di K, la rotta si stabilizza su una traiettoria con un piccolo valore del raggio di curvatura R. Un alto valore dell’indice K è quindi sinonimo di alte prestazioni di manovrabilità (turning ability) perché evidenzia che serve un basso angolo di barra per ottenere una predeterminata curvatura della traiettoria. L’indice K è detto anche gain constant. La soluzione di Eq. 22.F mostra anche che un basso valore di T è indice di una risposta più veloce all’angolo di barra, infatti il tasso di crescita della velocità di imbardata è inversamente proporzionale al valore del parametro T, detto anche time constant. Di conseguenza, un basso valore di T è indice di alte prestazioni di governo (course-changing ability e course-checking ability). D’altro lato, ciò comporta, implicitamente, che la nave sia meno stabile, infatti se T è basso la nave può uscire velocemente dalla rotta anche sotto l’azione di piccole forze perturbative indotte dall’ambiente. Inoltre, si dimostra che se T è negativo la nave è dinamicamente instabile. Le caratteristiche manovriere della nave possono quindi essere così riassunte in funzione degli indici di Nomoto: • al crescere di K aumenta l’attitudine della nave alla manovrabilità; • al crescere di 1/T aumenta l’attitudine al controllo/variazione di rotta; 55 Corso di Allestimento Navale • al crescere di T aumenta la stabilità dinamica. Un alto valore dell’indice T si realizza quando il momento d’inerzia è elevato e il momento unitario di resistenza idrodinamica è basso, come nel caso delle grandi navi cisterna. Una nave con K elevato e T piccolo risponde velocemente al timone evoluendo subito con un’accostata stretta. Al contrario, una nave con K piccolo e T elevato accosta lentamente e stabilizza la rotta su una traiettoria più larga. Gli indici di Nomoto costituiscono degli utili parametri di valutazione delle qualità manovriere di una nave e possono essere desunti dalla manovra di evoluzione o da quella di zig-zag con semplici elaborazioni analitiche. Il confronto dei valori di K e T con gli indici di navi simili fornisce un’indicazione della bontà del progetto. In realtà, la risposta della nave non è lineare e l’approssimazione fatta nell’approccio di Nomoto è troppo forte. Di conseguenza gli indici non riescono ad essere una misura assoluta della manovrabilità delle navi. Noto che le qualità manovriere delle navi dipendono dalle loro dimensioni e dalla loro tipologia, per svincolare il valore degli indici da questi parametri si usa adimensionalizzarli con il parametro STC, ottenendo i parametri K’ e T’ di Eq. 22.E. La raccolta dei dati relativi alle prove al vero di un gran numero di navi mostra che: • l’indice K’ si mantiene costante all’aumentare del dislocamento, • l’indice T’ rimane dipendente dal dislocamento, a cui risulta proporzionale anche se in maniera debole. Se i due indici sono diagrammati l’uno verso l’altro, si mette in evidenza una stretta correlazione che si esprime in un andamento debolmente parabolico della curva media K’ = f(T’). Sulla base di questa correlazione “quasi lineare” si può creare una misura diretta delle qualità manovriere delle navi facendo riferimento alla relazione assoluta fra K’ e T’. La fascia costruita attorno alla curva media, fascia compresa fra i valori del 75 % e del 125 % del valore medio, è usata per definire il confine fra una zona che indica buone doti di manovrabilità (parte alta del grafico) ed una che indica scarsa attitudine alla manovrabilità (parte bassa del grafico). La relazione fra gli indici K’ e T’ è solo debolmente non lineare, perciò il rapporto fra gli indici adimensionali è quasi costante. La costante di proporzionalità tende cioè ad essere indipendente dal tipo di nave e dalla sua dimensione. Su queste basi è definito il parametro di Norrbin P, che è fissato pari al rapporto K’/(2T’). Un alto valore di questo indice di è indicativo di una buona manovrabilità; il valore minimo di P è tipicamente posto pari a 0,3 (0,2 per navi cisterna). In sostanza, il parametro di Norrbin P possiede un certo grado di indipendenza dalle dimensioni e tipologia della 56 La manovrabilità della nave nave e può essere considerato come un indice assoluto delle capacità manovriere delle navi. Tramite gli indici di Nomoto è anche possibile mettere in relazione le caratteristiche di manovrabilità della nave con il momento evolutivo generato dal timone e, più precisamente, con le caratteristiche macroscopiche della carena e del timone. Se si considera, infatti, che il momento evolutivo è proporzionale al rapporto fra l’area del timone AR [m] e l’area del piano di deriva della nave, approssimabile con il prodotto LT, e che il momento d’inerzia di massa J può essere indicato come proporzionale al prodotto fra il coefficiente di carena cB e il rapporto B/L, si può dimostrare che: K mE AR L = ∝ T J ∇ [-] (22.G) Considerando che la relazione fra K’ e T’ è solo debolmente non lineare, se nella formula appena scritta si inseriscono gli indici adimensionali K’ e T’ si ottiene la seguente espressione: K ′ = kA AR L T ′ + kA0 ∇ [-] (22.H) in cui kA può praticamente considerarsi una costante. In conclusione, noti i valori degli indici adimensionali di Nomoto e note le caratteristiche principali della nave, si può valutare il valore dell’area del timone che garantisce buone doti di manovrabilità. Esistono al riguardo utili grafici, ottenuti su basi sperimentali, che illustrano la relazione sopra descritta, evidenziando rette di regressione valide per navi monoelica o bielica, oppure per navi a pieno carico o in zavorra. 23. Osservazioni sull’efficacia del timone L’analisi della prova di evoluzione e della prova di zig–zag risultano particolarmente utili per mettere in rilievo le condizioni di funzionamento estreme del timone. Dall’analisi delle modalità di accostata della nave si è visto che la forza utile generata dal timone varia considerevolmente durante la manovra, infatti si riduce sia per effetto della diminuzione della velocità di avanzo della nave sia per effetto dell’angolo di deriva al timone. In conclusione le forze sul timone sono massime nell’istante di inizio della manovra di evoluzione ad angolo di barra costante. Per questo motivo i dimensionamenti strutturali vanno fatti considerando che la nave proceda alla massima velocità in marcia 57 Corso di Allestimento Navale avanti o in marcia addietro e con riferimento all’istante in cui, all’inizio dell’evoluzione, il timone abbia raggiunto il massimo angolo di barra. Lo studio della prova di stabilità (steering diagram) mostra anche che, all’aumentare dell’angolo di barra del timone, il diametro di girazione si riduce con proporzionalità non lineare e tende ad un valore asintotico, infatti quando l’angolo di barra al timone supera i 30°÷35° le qualità evolutive sostanzialmente non migliorano. Di conseguenza i timoni non vengono manovrati oltre tali valori limite, anche se in queste condizioni l’angolo di attacco effettivo si trova ben al di sotto del valore dell’angolo di stallo. A conferma di quanto osservato, possono anche essere ricordati i risultati delle prove al vero condotte ad Indret sulla Loira da Joessel nel 1873. Egli misurò la forza idrodinamica che nasce, durante l’accostata, su timoni rettangolari a lastra semplice. Si tratta certamente di pale dalla geometria obsoleta, ma i risultati confermavano già allora che il valore di circa 35º dell’angolo di barra è quello che fornisce il massimo momento evolutivo. Un’altra osservazione interessante è quella che chiarisce quali sono i motivi, legati alla manovrabilità, che giustificano il posizionamento del timone nella volta di poppa invece che a prora. La collocazione del timone a poppa risponde ad una esigenza fondamentale di sicurezza rispetto alle collisioni ed all’impatto con corpi estranei, ma risulta anche la più funzionale dal punto di vista dell’efficacia nei confronti dell’accostata. Nel caso di timone a prora si ha infatti che la forza trasversale utile FT: • è orientata all’interno della traiettoria, • ha un’intensità ridotta rispetto al caso del timone a poppa. Il fatto che la forza trasversale utile FT sia orientata all’interno della traiettoria comporta che si crei un maggior momento di resistenza idrodinamica MW. Infatti, in questa circostanza la forza idrodinamica WA+D (agente ora a prora e verso l’esterno della traiettoria) genera, all’inizio di un’accostata, un momento verticale MW,A+D dello stesso segno del momento MW,Y, al contrario di quanto avveniva quando il timone era a poppa. In altre parole, WA+D tende a chiudere l’angolo di deriva. Di conseguenza, la nave richiede un momento evolutivo maggiore per eseguire una manovra di accostata. Inoltre, la forza trasversale utile FT si riduce in intensità a causa della riduzione dell’angolo effettivo d’attacco, infatti non si manifesta alcun effetto di raddrizzamento del flusso, raddrizzamento che si aveva invece nella scia della nave e dell’elica. Di conseguenza il momento evolutivo ME tende ad essere di minore intensità. 58 La manovrabilità della nave Il caso di nave con timone a prora è molto simile, per certi versi, a quello di nave con timone a poppa che procede all’indietro per esigenze di manovra. Se infatti la nave si muove in marcia addietro, con o senza velocità di deriva, la nave è praticamente ingovernabile. 59 3 Il progetto del timone 3.1 Introduzione Il progetto del timone deve essere sviluppato in due ambiti differenti, quello idrodinamico e quello strutturale. In quanto segue, ad una descrizione della geometria della pala seguirà un’analisi qualitativa del campo fluido in cui il timone si trova a lavorare. Successivamente si forniranno le basi per poter stilare il progetto, sia da un punto di vista idrodinamico, sia strutturale, analizzando la robustezza della pala e degli elementi di controllo e sostegno. 3.2 La superficie idrodinamica La forma della pala di un timone è frutto di una serie di considerazioni progettuali che sottostanno a valutazioni di origine sia idrodinamica sia strutturale. Benché diverse siano le possibili forme assunte dalla pala, la superficie del timone può essere descritta compiutamente attraverso un certo numero di parametri geometrici che ne definiscono sia gli aspetti principali sia quelli di dettaglio. La pala, nella sua configurazione più semplice, è sostenuta solamente da robuste strutture interne alla carena. Molto spesso, quando le forze in gioco sono più elevate, è necessario predisporre anche appendici di carena che costituiscano un ulteriore sostegno. Si tratta in genere di strutture poste lungo il bordo di attacco della pala. Nel primo caso, si ha una superficie di manovra completamente mobile (all-movable), nel secondo caso si ha una parte mobile, la pala vera e propria, ed una parte fissa, il supporto esterno allo scafo. In entrambi i casi viene realizzato un corpo avviato, che costituisca un corpo idrodinamico unico, esposto al flusso proveniente dall’avanzo della nave e dall’elica. La nomenclatura della pala si riferisce perciò in maniera indistinta ai due casi, sottintendendo che va poi eventualmente definita quale parte è mobile e quale è fissa. Le definizioni che seguono possono applicarsi a tutte le superfici idrodinamiche presenti sulla nave, quali, per esempio, le pinne stabilizzatrici utilizzate per lo smorzamento del moto di rollio. Le dimensioni geometriche principali della pala sono definite con riferimento alla proiezione della pala sul piano di riferimento, identificato dalla direzione dell’asse di rotazione e dalla direzione dalla quale deve provenire un flusso omogeneo senza che vi sia generazione di una portanza netta. La direzione di questo flusso omogeneo costituisce un riferimento molto utile per la definizione della geometria della pala, in quanto permette di identificare le grandezze geometriche direttamente correlate al meccanismo della generazione delle forze idrodinamiche. La superficie idrodinamica proiettata sul piano di riferimento identifica lo sviluppo planare della pala, ossia la forma del timone. In particolare, l’area del timone AR [m2] (profile area) è l’area della superficie proiettata – il pedice R si riferisce al termine inglese per indicare il timone (rudder). Il suo profilo tracciato sul piano di riferimento viene scomposto in tratti come di seguito specificato: • bordo di ingresso (leading edge) e bordo di uscita (trailing edge) sono i due tratti del profilo affacciati rispettivamente al flusso in ingresso ed a quello in uscita; • bordo alla radice (root, r) e bordo all’apice (tip, t) sono i due spigoli della pala rispettivamente vicino allo scafo e all’estremità opposta; trattandosi di superfici di controllo a sviluppo verticale, si parla usualmente di spigolo superiore e spigolo inferiore. La generica distanza dallo spigolo di ingresso a quello di uscita, misurata sul piano di proiezione nella direzione del flusso, è detta corda (chord) e viene indicata con c [m], mentre la generica distanza del bordo inferiore a quello superiore, misurata sullo stesso piano e nella direzione ortogonale, è detta campata b [m] (span) oppure comunemente altezza nel caso dei timoni verticali. Per quanto riguarda la terza dimensione, è necessario identificare i parametri geometrici utili ad descrivere univocamente la distribuzione degli spessori della pala. A tale scopo si fa riferimento al profilo idrodinamico che viene definito, con riferimento alla generica corda, da un sezionamento ortogonale al piano di proiezione. Il profilo è caratterizzato da una legge di distribuzione degli spessori che può essere nota in forma discreta o analitica. Tale legge indica gli spessori misurati non nella direzione ortogonale al piano di riferimento, ma nella direzione ortogonale alla linea mediana del profilo idrodinamico. I valori di corda, campata e spessore possono essere valutati su diverse sezioni della pala, ma assumono particolare importanza quelli definiti nel modo seguente: • la corda cr [m] e la corda ct [m] misurate rispettivamente alla radice e all’apice, eventualmente con riferimento alle linee orizzontali di compenso dell’area quando gli spigoli della pala sono inclinati, curvi o discontinui. • la campata media bm [m] misurata come distanza fra la corda alla radice e quella all’apice, e la corda mediana cm [m] misurata a metà della campata bm; sulla base di questi parametri, quando la legge di variazione della corda lungo la campata è, come usualmente sulle navi, di tipo lineare, l’area del timone può essere espressa tramite il prodotto: AR = bm cm [m2] (2.A) • lo spessore tM [m] valutato come lo spessore massimo del profilo idrodinamico in corrispondenza della corda mediana. Un’altra caratteristica significativa dal punto di vista idrodinamico è l’angolo di abbattimento medio Λ (sweepback angle), detto anche angolo di freccia, corrispondente all’angolo medio di inclinazione, misurato rispetto alla direzione della campata, della curva formata dai punti di ogni corda posti a 0,25 c dal bordo d’ingresso, ove con c si indica la lunghezza della generica corda. Un altro angolo misurato rispetto alla direzione della campata è quello dell’asse di rotazione, che non è necessariamente ortogonale alla direzione del flusso libero. Sulla base delle grandezze fin qui definite si introducono alcuni rapporti adimensionali classici che, oltre a facilitare l’approccio allo studio delle caratteristiche idrodinamiche della pala per confronto fra diverse soluzioni, permettono di tenere sotto controllo le dimensioni principali entro campi di usuale impiego e sperimentata efficienza. I più importanti rapporti tra le dimensioni principali del timone sono i seguenti: • l’allungamento geometrico λG della pala (geometric aspect ratio), pari al rapporto tra bm e cm: λG = bm cm [-] (2.B) che assieme all’area della pala AR costituisce uno dei parametri fondamentali per il progetto preliminare del timone. La conoscenza della coppia (AT, λG) permette infatti di fissare i valori di bm e cm , infatti: bm = AR λG cm = AR [m] (2.C) λG • il rapporto di rastremazione (taper ratio), definito come il rapporto tra la lunghezza della corda all’apice ct e quella della corda alla radice cr. • il rapporto tra lo spessore massimo tM e la corrispondente corda cm (thickness chord ratio), che usualmente viene mantenuto costante lungo la campata allo scopo di ottenere superfici a generatrici rettilinee. • il grado di compenso, pari al rapporto tra l’area della pala a proravia dell’asse di rotazione (ARF [m2]) e l’area totale del timone. Anche in relazione al profilo idrodinamico si definiscono una serie di parametri adimensionali significativi. Con riferimento ad un profilo di forma nota, caratterizzante la pala in corrispondenza di una generica corda, si definisce: • il rapporto tra lo spessore massimo tM e la corda c (thickness ratio); • il rapporto tra la freccia della linea mediana di distribuzione degli spessori e la corda (camber ratio); • il rapporto fra il raggio di raccordo del profilo sul bordo di attacco e la corda (nose radius ratio) Le grandezze ed i rapporti sopra definiti trovano applicazione sia sulle pale simmetriche, aventi cioè simmetria rispetto al piano di proiezione, sia su quelle asimmetriche. Rapporti adimensionali del timone Valori tipici allungamento geometrico λG = bm /cm thickness chord ratio tM /cm rapporto di rastremazione ct /cr grado di compenso ARF / AR 1,5 ÷ 2,5 0,06 ÷ 0,25 0,5 ÷ 1,0 0 ÷ 0.25 TABELLA 2.A Rapporti adimensionali tipici per timoni convenzionali. In Tab. 2.A si forniscono i valori indicativi dei rapporti adimensionali tipici di un timone verticale convenzionale, validi sia per piccole imbarcazioni, sia per navi di grandi dimensioni. 3.3 L’interazione tra flusso e superficie idrodinamica In generale, un corpo immerso in un fluido e dotato di moto relativo rispetto ad esso sperimenta sulla sua superficie degli sforzi, sia normali sia tangenziali, che possono essere ridotti ad un sistema equivalente costituito da una forza risultante F [N] agente lungo una determinata retta d’azione. L’orientazione ed il valore di tale forza dipendono sia dalle caratteristiche del fluido e del corpo, sia dalla velocità relativa tra fluido e corpo, in ogni caso si definisce portanza (lift), indicata con L [N], la componente della forza totale nella direzione normale al flusso e resistenza (drag), indicata con D [N], la sua componente nella direzione e nel verso del flusso. Una volta definita la forma del corpo idrodinamico e fissate le caratteristiche del fluido e del flusso, le forze scambiate dipendono fortemente dalla direzione del flusso rispetto al corpo. I due tipi di forza non sono sempre presenti contemporaneamente. Infatti, mentre la resistenza all’avanzamento è sempre presente, e può considerarsi come una forza di base, ed in genere parassita, la portanza, la cosiddetta componente nobile, non sempre si manifesta. Per generarla, almeno in modo efficace, si richiede una classe speciale di corpi disegnati e utilizzati in maniera opportuna, i cosiddetti corpi idrodinamici (o superfici idrodinamiche). In realtà, tale forza non può esistere senza la prima, e più che di forze di natura diversa è più opportuno pensare a un diverso equilibrio delle componenti della forza idrodinamica complessiva. Le superfici di controllo della nave sono superfici idrodinamiche, ossia corpi relativamente sottili e affusolati che hanno uno sviluppo planare ed un profilo ottimizzati proprio per generare un’elevata portanza tenendo sotto controllo l’insorgere della resistenza. La forza idrodinamica totale F è il risultato di complessi fenomeni d’interazione fra il corpo ed il fluido, che possono essere messi in luce considerando le due diverse condizioni di flusso ideale (incompressibile non viscoso) e flusso reale (incompressibile e viscoso). Come noto la viscosità è alla base della trasmissione degli sforzi tangenziali fra due strati limitrofi di particelle del fluido in movimento reciproco. Precisamente, si definisce coefficiente di viscosità dinamica µ [kg/ms] il rapporto fra lo sforzo tangenziale trasmesso fra i due strati adiacenti e il gradiente di velocità calcolato fra i due strati. Il suo rapporto con la massa specifica ρ [kg/m3] del fluido è detto viscosità cinematica ν [m2/s]. Procedendo secondo questo schema, si consideri inizialmente un corpo immerso in un fluido non viscoso e sottoposto ad un flusso ideale. Dal momento che non possono nascere forze viscose, non vi è attrito sulla superficie e gli sforzi che maturano sul corpo hanno componente normale alla superficie. Per effetto dell’azione combinata della velocità e dell’angolo di attacco si induce una depressione sulla superficie del corpo non esposta al flusso (dorso) e un aumento di pressione sulla superficie del corpo esposta al flusso (ventre). Tale situazione viene schematizzata con una circolazione della velocità attorno al corpo. Le risultanti delle pressioni forniscono le forze di portanza e di resistenza: • l’integrale degli sforzi di pressione nella direzione ortogonale al flusso rappresenta la forza di portanza L; • l’integrale degli sforzi di pressione nella direzione parallela al flusso rappresenta la forza di resistenza D che, nel caso di fluido ideale, risulta nulla. Nel caso di un corpo sferico, questa situazione esprime il noto paradosso di D’Alambert, per il quale un corpo siffatto immerso in un flusso ideale omogeneo non subisce alcuna forza da parte del fluido. In realtà, poiché il fluido è sempre viscoso, sulla superficie del corpo si generano sia sforzi tangenziali, sia sforzi di pressione. I primi sono all’origine di una resistenza d’attrito. I secondi, oltre ad essere all’origine della portanza, forniscono ora anche una risultante netta nella direzione del flusso, detta resistenza di pressione di origine viscosa, che consta di due contributi diversi: • la resistenza di forma (o resistenza di scia), • la resistenza indotta. La prima è legata all’area della sezione trasversale del corpo, ossia al tipo di profilo, e causata dalla formazione di vortici nella zona poppiera del corpo (distacco dello strato limite) con il conseguente mancato recupero delle pressioni al bordo di uscita della superficie idrodinamica. La seconda ha origine dal fatto che la pala non ha allungamento infinito e quindi, per effetto della sua particolare fisionomia, mette in contatto alle estremità della campata le due zone (dorso e ventre) caratterizzate da pressioni diverse. Questo contatto comporta una minore differenza di pressione fra dorso e ventre (con conseguente riduzione della portanza) e causa inoltre una corrente indotta nella direzione della campata. Il flusso, da bidimensionale diventa, nella zona vicina al corpo e alle sue spalle, tridimensionale. Questa corrente indotta si combina con quella del flusso di base che lambisce la pala e determina la formazione di una scia vorticosa nella quale si disperde energia: a questa energia è associato l’aumento delle perdite. L’effetto indotto dalla dimensione finita della campata non si manifesta in maniera evidente quando il flusso possiede alcune caratteristiche di omogeneità e il corpo immerso ha uno sviluppo costante con allungamento molto elevato. In queste condizioni si può ritenere che il flusso sia bidimensionale, ovvero che le forze idrodinamiche vengano scambiate tra fluido e profilo alare in un contesto in cui i vettori della velocità e della forza hanno caratteristiche invariate nella direzione perpendicolare al flusso e appartengono tutti a piani paralleli. Si vedrà più avanti che il modello di campo bidimensionale viene considerato valido, sebbene con opportune correzioni, anche in presenza di corrente indotta. 3.4 Le forze sulla pala La risultante degli sforzi tangenziali e normali trasmessi alla pala immersa nel flusso reale è la forza F che agisce su una retta d’azione essenzialmente contenuta nel piano del profilo, ha infatti componenti di portanza L e di resistenza D ma è trascurabile la componente nella direzione della campata. L’angolo di abbattimento della forza F misurato rispetto alla normale alla corda viene indicato con ϕ [°]. L’efficacia idrodinamica della pala, detta anche rendimento, è definita come rapporto il rapporto fra portanza e resistenza L / D. La retta d’azione della forza F interseca il piano di riferimento in un punto detto centro di pressione ed indicato con la sigla CP, in esso si considera applicato il vettore della forza. Le coordinate del centro di pressione, misurate lungo le direzioni della corda e della campata, sono fornite rispetto al bordo di attacco sulla corda mediana (distanza CPC) e rispetto allo spigolo superiore (distanza CPS). Di pratico interesse sono anche le due componenti orizzontali della forza F calcolate nella direzione del piano di riferimento della pala, la forza assiale FA [N], e nella direzione ad essa ortogonale, la forza normale FN [N], facilmente calcolabili in funzione di L e D: FA = D cosα − L sin α FN = D sin α + L cosα [N] (4.A) che permettono l’immediata valutazione delle forze scaricate sull’asta del timone. Il momento torcente Q [Nm] generato sul timone dalla forza idrodinamica si può calcolare una volta che è nota la distanza tra il centro di pressione CP e l’asse di rotazione della pala. Indicando con d la distanza, misurata all’altezza di CP, tra il bordo d’ingresso e l’asse del timone, il braccio con cui lavora la forza attiva FN vale (d – CPC), cosicché il momento torcente sull’asta risulta fornito dalla relazione: Q = FN ( d − CPC ) [Nm] (4.B) Il momento torcente generato dal flusso è negativo per definizione se il centro di pressione si trova a poppavia dell’asse di rotazione. È questo il caso di timone stabile, così definito perché, a riposo al centro, è in condizione di equilibrio stabile, infatti, se in pieno flusso viene spostato dalla posizione neutra e lasciato poi libero, torna nella posizione iniziale. Per definizione, risulta positivo il momento generato dal macchinario di agghiaccio. Il centro di pressione non è in genere fisso al variare dell’angolo di barra, ma tende a spostarsi verso poppavia con l’aumentare dell’angolo di attacco. Di conseguenza, si può verificare la situazione di timone inizialmente instabile se, ai piccoli angoli di barra, il centro di pressione si trova leggermente a proravia dell’asse di rotazione. Infatti, al crescere dell’angolo di barra il centro di pressione può venire a trovarsi a poppavia dell’asse di rotazione. La situazione di timone instabile favorisce la movimentazione agli angoli tipici del controllo di rotta, operazione per la quale il timone è fortemente utilizzato. In questo caso, infatti, al macchinario è richiesto un momento minore rispetto al caso di timone stabile. Rispetto al caso di timone stabile, quello instabile offre l’indubbio vantaggio del contenimento delle forze di controllo e di riduzione dello sforzo di torsione sull’asta, anche se un malfunzionamento del macchinario può comportare la perdita del controllo della posizione del timone. D’altra parte, posizionando l’asse di rotazione più indietro rispetto alla pratica usuale, ossia accettando un’iniziale instabilità, si ottiene il vantaggio di ridurre le forze di controllo e gli sforzi di torsione in marcia addietro. L’instabilità iniziale è accettata sulle navi per navigazione oceanica, così come sulle navi che eseguono frequenti manovre in marcia addietro. In alternativa, se l’obiettivo è quello di avere un timone sempre stabile, si fa in modo che il centro di pressione si trovi sempre a poppavia dell’asse di rotazione e ad esso più vicino possibile. Tale bilanciamento si definisce attraverso il valore da assegnare al grado di compenso della pala. 3.5 I coefficienti idrodinamici della pala Per facilitare il confronto fra le prestazioni di timoni che hanno forme e dimensioni diverse ma che sono immersi in flusso omogeneo, le forze idrodinamiche vengono usualmente adimensionalizzate. Le quantità dimensionali significative che caratterizzano il fenomeno della generazione della forza idrodinamica F sulla superficie di controllo in condizione di funzionamento ideale equivalente (pala isolata e immersa in un flusso stazionario omogeneo), sono: • caratteristiche della pala – l’area della superficie idrodinamica AR [m2], la forma della superficie, che può essere individuata da una serie di N parametri geometrici, qui indicati genericamente come s1, ..., sN [m], e la forma del profilo idrodinamico, espressa analogamente da una serie di M parametri geometrici, qui indicati genericamente come sN+1, ..., sN+M [m]; • caratteristiche del fluido – la massa volumica ρ [kg/ m3] e la viscosità dinamica µ [kg/ms]; • caratteristiche del flusso – la velocità media VR [m/s] e l’angolo di attacco α [rad]. La valutazione della legge di similitudine relativa alla generazione della forza F sulla pala può essere effettuata applicando il Teorema di Vaschy alla funzione omogenea che rappresenta il fenomeno fisico in termini esatti: ψ[F , AR , (s1 , ..., sN+M ), ρ, µ, VR , α]=0 [-] (5.A) In tali indagini è usuale trascurare l’effetto della viscosità dinamica µ del fluido, sebbene al prezzo di introdurre un effetto di scala. Si ritiene infatti che tale parametro possa considerarsi secondario, in quanto o facilmente controllabile o meno influente. La funzione si riscrive perciò nella forma seguente approssimata: ψ [F , AR , (s1 , ..., sN+M ), ρ, VR , α]=0 [-] Inoltre, con l’intenzione di analizzare il comportamento di pale geometria completamente definita, le M+N grandezze fisiche s1,..., potranno essere considerate delle costanti ed essere perciò trascurate definizione dell’equazione che governa il fenomeno di generazione forze idrodinamiche. (5.B) dalla sN+M nella delle Ragionamento analogo può essere fatto per l’angolo di attacco α, che potrà essere considerato, volta per volta, come un parametro prefissato dell’indagine. In altre parole, eliminando le variabili appena indicate, il fenomeno fisico può essere studiato in maniera esatta valutando esclusivamente la correlazione fra le grandezze fisiche rimanenti. Ciò consentirà, ad esempio, di trattare la similitudine geometrica di una pala dalle caratteristiche prefissate, oppure di confrontare pale che hanno forme diverse e che lavorano agli stessi angoli di attacco del flusso. Nell’ipotesi di trascurare l’effetto della viscosità e di considerare le grandezze [(s1,..., sN+M), α] come parametri dell’indagine, ovvero parametri fissati a priori, la legge di similitudine si riscrive nella seguente forma ridotta: ψ [F , AR , ρ, VR ]=0 [-] (5.C) Dallo sviluppo dell’analisi dimensionale delle grandezze fisiche che compaiono nell’Eq. 5.C, essendo 3 le grandezze fondamentali coinvolte e 4 le quantità dimensionali caratterizzanti il fenomeno, si può ottenere una relazione esplicita fra tali quantità, ed in particolare si può scrivere la relazione: F = k AR ρ VR2 [N] (5.D) in cui la funzione adimensionale di proporzionalità k dipende dalle grandezze utilizzate come parametro, ossia dall’angolo di attacco e dalla forma della superficie e del profilo della pala. In altre parole si può scrivere che k = k[(s1,..., sN+M), α]. Usualmente, nell’espressione della forza idrodinamica F di Eq. 5.D viene introdotto il fattore 0,5 in modo che il prodotto (½ ρ VR2) corrisponda alla pressione dinamica q [Pa] nel punto di ristagno che si crea sul bordo di attacco del profilo. Di conseguenza, nell’espressione di F, la funzione di proporzionalità si modifica e viene indicata, per ogni pala di forme note, con il termine c(α) per mettere in evidenza la dipendenza dall’angolo di attacco. In conclusione, per una pala di forme note, la similitudine che si instaura, nel calcolo delle forze idrodinamiche, è espressa dalla relazione: F = c(α) q AR [N] (5.E) La legge di similitudine appena introdotta consente di ricavare la forza idrodinamica F di una pala di forma e profilo noti partendo dalla conoscenza della funzione di proporzionalità c(α) ottenuta per un qualsiasi valore delle grandezze ρ, VR ed AR. D’altro lato, se per una pala di forma e profilo fissati la funzione c(α) è stata misurata sperimentalmente, ossia sono noti i valori del cosiddetto coefficiente idrodinamico c al variare dell’angolo di attacco α, è nota anche la forza idrodinamica F che su di essa matura. In base a quanto finora detto, c può essere determinato con prove in scala, perché è indipendente dalle dimensioni assolute del timone; inoltre le prove possono essere condotte a qualsiasi velocità ed in qualsiasi fluido. In realtà la viscosità, anche per valori bassi (l’acqua e l’aria sono fluidi poco viscosi), ha una sua importanza nel fenomeno di generazione delle forze idrodinamiche. La legge di similitudine di Eq. 5.E consente altresì di confrontare le forze prodotte da soluzioni diverse, in quanto a forma della pala e del profilo, semplicemente confrontando i coefficienti c(α), ovviamente nell’ipotesi che le pale abbiano la stessa area AR e il flusso la stessa velocità VR . É comunque da intendersi che tali operazioni di similitudine devono essere eseguite a parità di condizioni del flusso, vale a dire con riferimento ad un flusso omogeneo. Le correzioni per conteggiare gli effetti della carena e dell’elica devono essere effettuate successivamente. Infatti, i coefficienti delle forze idrodinamiche effettive (condizioni di funzionamento reali nella volta di poppa) vengono usualmente dedotti con procedimenti semi-empirici dai valori ottenuti su pale isolate (condizioni di funzionamento ideali equivalenti). Nella legge di similitudine appena delineata, l’area della pala ha la sola funzione di fornire un’informazione sulla scala geometrica del corpo. Qualsiasi altro parametro geometrico, purché con la stessa dimensione fisica (ossia [m2]) potrebbe essere posto a sostituzione dell’area AR. Ciò non appare però conveniente, perché l’area della superficie di pala è il parametro geometrico più importante della pala e consente di scrivere una formulazione di immediata comprensione. I coefficienti idrodinamici correlati al funzionamento del timone (si veda la Tab. 5.A) sono quelli relativi alla portanza cL, alla resistenza cD, alla forza assiale cA e alla forza normale cN. Dalla definizione delle forze idrodinamiche si ricavano le seguenti relazioni: cF = cD2 + cL2 cA = cD cosα − cL sin α [-] (5.F) cN = cD sin α + cL cos α Un altro coefficiente molto usato è quello relativo al momento generato dalle forze idrodinamiche rispetto all’asta del timone. L’utilità di questo coefficiente risiede nel permettere veloci considerazioni sul momento di controllo e sul momento torcente generato sull’asta. Il coefficiente del momento cQ è ottenuto in maniera formalmente analoga a quanto fatto per le singole forze idrodinamiche. In questo caso, l’analisi dimensionale delle grandezze fisiche porge una relazione in cui il parametro geometrico ha la dimensione di una lunghezza alla terza, nel sistema internazionale [m3]. La grandezza geometrica usualmente utilizzata per definire il coefficiente del momento è (AR cm), da cui: Q = FN (d − CPC ) = cQ (α) q AR cm [Nm] (5.G) Nelle prime fasi di un progetto può non essere definita la posizione dell’asta. Perciò, con lo scopo di generalizzare l’informazione sul momento, vengono date definizioni alternative: • momento Q’ calcolato rispetto ad un asse passante per il bordo di attacco della corda mediana e ad essa ortogonale; • momento Q” calcolato rispetto ad un asse passante ad un quarto da prora della lunghezza della corda mediana e ad essa ortogonale. In base a queste definizioni si ottengono le seguenti relazioni: Q ′ = FN CPC = cQ′ (α) q AR cm Q ′′ = FN ( cm / 4 − CPC ) = cQ′′ (α) q AR cm [Nm] (5.H) Spesso, in luogo del coefficiente idrodinamico cQ caratterizzante il momento torcente, viene diagrammato il rapporto adimensionale CPC /cm che permette di valutare il braccio, rispetto all’asse di rotazione, con cui lavora la forza FN, consentendo quindi di risalire al momento torcente Q. Meno frequentemente è disponibile il rapporto adimensionale CPS /bm che permette di valutare la posizione del centro di pressione lungo la campata. La relazione fra CPC /cm e il coefficiente del momento cQ è la seguente: cQ = cN d − CPC cm [Nm] (5.I) In Tab. 5.A sono riportati i coefficienti idrodinamici relativi al momento. Forza/momento idrodinamica di origine Coefficiente forza totale F cF = F /( q AR ) portanza L cL = L /( q AR ) resistenza D cD = D /( q AR ) forza assiale FA cA = FA /( q AR ) forza normale FN cN = FN /( q AR ) momento Q cQ = FN ( d − CPC ) /( q AR cm ) momento Q’ cQ′ = FN CPC /( q AR cm ) momento Q” cQ′′ = FN ( cm / 4 − CPC ) /( q AR cm ) TABELLA 5.A Coefficienti idrodinamici di pala. I coefficienti relativi alle forze di portanza e di resistenza sono calcolati e diagrammati in funzione dell’angolo di attacco e mostrano andamenti tipici: • la curva relativa al coefficiente di portanza ha inizio dallo zero, è quasi lineare per bassi angoli e giunge ad un massimo seguito da una più o meno brusca caduta, l’angolo per il quale si verifica il valore massimo viene indicato come angolo di stallo; • la curva relativa alla resistenza parte da un valore diverso da zero indicato come cD0 ed è monotona crescente. Anche il rapporto L /D tra la portanza e la resistenza, che definisce il rendimento della pala, viene spesso diagrammato assieme ai coefficienti idrodinamici. L’efficienza presenta in genere un andamento parabolico con concavità verso il basso. In luogo dei grafici, vengono talvolta forniti valori tabulati. I dati essenziali sono i valori dei coefficienti idrodinamici cL e cD e del rapporto CPC /cm calcolati agli angoli di attacco di 10°, 20° e all’angolo di stallo, corredati dalla pendenza di cL all’origine e dal valore iniziale del coefficiente di resistenza cD0. E’ utile ricordare che le grandezze standard relative alle caratteristiche fisiche dell’acqua dolce, dell’acqua di mare e dell’aria sono fissate da uno standard ITTC. Per applicazioni pratiche, le caratteristiche fisiche dell’acqua possono essere considerate costanti, ovvero indipendenti dalla temperatura e dalla pressione; in Tab. 5.B sono riportate le grandezze fisiche d’uso più frequente riferite alla temperatura standard di 15 °C. Fluido acqua dolce acqua di mare (salinità 3,5%) aria secca (patm = 101325 Pa) TABELLA 5.B massa volumica ρ [kg/m3] viscosità cinematica ν [m2/s] 1000 1,14 10-6 1025 1,19 10-6 1,23 1,46 10-5 Valori standard delle grandezze caratteristiche dei fluidi. 3.6 – Lo studio dei profili idrodinamici Per mettere in luce la dipendenza delle forze di portanza e resistenza dai parametri di forma che caratterizzano la geometria delle superfici idrodinamiche, è necessario analizzare il campo di pressioni e velocità che matura attorno al corpo immerso nel flusso. Tale indagine può essere convenientemente effettuata in due fasi successive indicate come: • studio del profilo, • studio della pala. Lo studio del profilo riguarda l’analisi del campo fluido 2D che si instaura attorno ad un profilo idrodinamico considerato appartenente ad una superficie ideale, caratterizzata da sviluppo planare rettangolare con allungamento infinito. Questa indagine permette di analizzare il comportamento del profilo indipendentemente dalla forma della pala, e di ottenere le cosiddette caratteristiche idrodinamiche del profilo. Lo studio della pala riguarda l’analisi del campo fluido 3D che si instaura attorno ad una pala caratterizzata da un certo profilo e da una certa forma. Questa indagine consente di determinare le caratteristiche idrodinamiche della pala. L’effetto di portanza di un profilo idrodinamico ha origine dal campo di pressioni che si viene a generare grazie alla forma del corpo e all’angolo di attacco del flusso. Il campo di pressione attorno al corpo mostra, rispetto al campo indisturbato, una sovrappressione dinamica in corrispondenza del ventre e una depressione dinamica in corrispondenza del dorso. Entrambe le distribuzioni mostrano un picco nella zona prodiera. Il picco delle due distribuzioni è spostato verso il bordo di attacco, con la conseguente localizzazione del centro di pressione nella zona prodiera del profilo. Tale distribuzione è tipica dei corpi affusolati. Il campo del dorso è più accentuato di quello del ventre, la depressione dinamica sul dorso è infatti all’origine della maggior parte della portanza. Il campo idrodinamico può essere messo in evidenza visualizzando il campo cinematico attraverso le linee di flusso, ossia curve immaginarie che non vengono attraversate dal flusso ed esprimono quindi le tangenti delle velocità puntuali. Attorno al corpo si distinguono due zone: sul dorso si manifesta un’alta velocità e quindi una raccolta delle linee di flusso; sul ventre una bassa velocità e conseguentemente un allontanamento delle linee del flusso. Come noto, la portanza viene correlata alla distribuzione di questo campo di velocità, identificato dalla somma di una velocità di trasporto e di una circolazione di velocità. Sulla superficie del corpo si generano, oltre agli sforzi di pressione, anche sforzi tangenziali, per effetto dei quali la pellicola di fluido a contatto con il corpo si muove in maniera solidale allo stesso. Se il moto si realizza con un valore elevato del Numero di Reynolds Re = Vcm/ν, e questo è il caso dei timoni navali, si possono identificare nel campo fluido due zone caratteristiche: • la zona a contatto con il corpo, detta strato limite, • la zona esterna. Nello strato limite si ha il passaggio della velocità dal valore relativo nullo ai valori dettati dal moto esterno. Lo strato limite è uno strato sottile confinato sulla superficie del corpo e ha uno spessore che, nella parte poppiera del corpo, raggiunge tipicamente il 2-3 % della lunghezza della corda. Sulla superficie esterna dello strato limite si esauriscono gli sforzi tangenziali. A poppa del corpo, lo strato limite degenera nella scia viscosa. Al di fuori dello strato limite il campo di velocità non risente praticamente degli effetti della viscosità e il fluido può essere considerato perfetto e il flusso irrotazionale. In questa zona infatti il flusso è governato dalla pressione e non più dagli sforzi tangenziali. La distribuzione delle pressioni e, in particolare modo, la posizione del punto di minima pressione hanno un notevole effetto sul flusso nello strato limite, soprattutto sul dorso del profilo. Si possono infatti individuare due zone a comportamento ben distinto: • la zona prodiera, nella quale la velocità locale all’esterno dello strato limite aumenta e contemporaneamente la pressione diminuisce; in corrispondenza della sezione massima del profilo la velocità raggiunge il suo massimo e la pressione il suo valore minimo. • la parte poppiera, ove il flusso all’esterno dello strato limite è decelerato e la pressione aumenta fino a portarsi al valore della pressione in corrente libera in prossimità del bordo di uscita. La diminuzione della pressione, che si trasmette fino a contatto della parete all’interno dello strato limite, nella zona prodiera ha la tendenza a contrastare l’azione ritardatrice degli sforzi d’attrito sulla parete stessa. La pressione ha una funzione di accelerazione del flusso lungo il profilo. Di conseguenza, viene contrastato il naturale aumento dello spessore dello strato limite dal bordo di attacco a quello uscita. In altre parole, lo sforzo tangenziale si esaurisce a breve distanza dalla superficie e lo strato limite rimane confinato ad uno spessore limitato. Entro questa regione, il flusso nello strato limite tende a restare ordinato e strettamente stazionario (flusso laminare). Nella zona poppiera, l’aumento della pressione si associa alla resistenza viscosa nel diminuire l’energia cinetica dello strato limite. Infatti, i filetti fluidi devono percorrere un campo caratterizzato da due tipi di resistenza: l’attrito sulla superficie del profilo alare e il gradiente di pressione sfavorevole nella direzione del flusso. In questa regione al flusso di trasporto si somma una componente instabile di turbolenza a media nulla nel tempo, tipicamente con valori fino al 20 % della velocità di trasporto. Entro questa regione, in corrispondenza della parete, il flusso rimane laminare entro una regione detta sottostrato limite laminare, mentre nello strato limite assume un aspetto turbolento. I gradienti di velocità misurati entro la zona governata dagli sforzi tangenziali mostrano una velocità che va dal valore nullo (a contatto il corpo, le particelle rimangono intrappolate nelle rugosità della superficie) al valore a regime nel campo a potenziale. Nel caso del flusso turbolento l’andamento è meno teso rispetto al caso di flusso laminare, infatti la turbolenza favorisce il raggiungimento di velocità di trasporto più alte nelle particelle più vicine alla parete. Nel caso di strato limite turbolento, il gradiente di velocità sulla parete è più alto e quindi gli sforzi tangenziali aumentano e concordemente aumenta anche la resistenza di attrito. Il passaggio del regime dello strato limite da laminare a turbolento è governato dal valore di Re. Oltre il valore di circa 0,5·106 è sempre turbolento, anche se il valore esatto di transizione è regolato da altri fattori, quali la rugosità superficiale e il grado di turbolenza del flusso incidente. La turbolenza propria del flusso incidente sul corpo ha rilevanza nel determinare le modalità di transizione, infatti un flusso turbolento favorisce il passaggio dallo strato laminare a quello turbolento. Nel caso di strato limite turbolento, se i picchi sono sempre contenuti nel sottostrato limite, la superficie si dice idrodinamicamente liscia. Se la superficie si mantiene idrodinamicamente liscia, il coefficiente di resistenza d’attrito viscoso (definito come cf = τ/q) tende a diminuire all’aumentare di Re. Nel contempo, con l’aumentare della velocità incidente sul corpo, il sottostrato limite si fa sempre più sottile e, se i picchi della rugosità ne escono, la superficie perde la sua caratteristica e il coefficiente di resistenza viscosa si stabilizza. Il coefficiente d’attrito si stabilizza su valori più alti se maggiore è la rugosità, conseguentemente, la resistenza d’attrito sul corpo aumenta. La rugosità superficiale governa il fenomeno della trasmissione degli sforzi tangenziali. Il diagramma di Moody, che riporta il coefficiente di resistenza d’attrito cf in funzione di Re, riassume questo comportamento. Poiché per i timoni navali il valore minimo di Re si mantiene generalmente attorno a 106, se la superficie della pala è priva di corrosione e di fouling, può essere considerata liscia ai fini dell’analisi idrodinamica. Per una prima valutazione della resistenza d’attrito si possono usare le formule approssimate riportate in Tab. 6.A. Il valore del numero di Reynolds del timone di una nave mercantile ricade tipicamente nel campo 1,0÷5,0·107 (con valori massimi prossimi a 1,0·108). I valori più bassi corrispondono alle piccole imbarcazioni, dove si registrano Re prossimi dell’ordine di 106. Re [-] Strato limite laminare (formula di Blasius) 1,328 Re−1/ 2 turbolento (superficie liscia) 0,072 Re−1/ 5 turbolento (superficie liscia, formula ITTC) TABELLA 6.A 0,075/(log Re − 2)2 Spessore dello strato limite. A causa del rallentamento del flusso lungo la parete, nel tubo di flusso costituito dallo strato limite la velocità media diminuisce sempre più. Di conseguenza, aumenta lo spessore dello strato limite e, di pari passo, il gradiente di velocità si riduce. Ad un certo punto, a contatto con la parete il gradiente arriva ad annullarsi. Ciò significa che in corrispondenza di quel punto il flusso si arresta. A valle del punto di arresto dello strato limite lo spessore della zona di stagnazione aumenta e si registra anche un forte ispessimento dello strato limite. La superficie esterna della regione di stagnazione sostituisce ora la parete del corpo e la linea di flusso di confine viene detta linea di separazione, intendendo con ciò che il flusso si è staccato dal profilo. Analogamente, il punto di arresto dello strato limite è detto punto di distacco. La zona di stagnazione ha un carattere spiccatamente instabile e degenera in formazioni vorticose. Lo strato vorticoso che abbandona il corpo prende il nome di scia vorticosa. Il fatto che il flusso lasci il corpo indica che i filetti fluidi non sono chiamati a seguire il profilo, ossia che la zona vorticosa di stagnazione fa da cuscinetto fra la linea di separazione e la parete. Il fenomeno descritto prende il nome di separazione della corrente ed è all’origine del mancato recupero delle pressioni a poppavia del profilo e quindi sia della resistenza di forma, sia dell’abbattimento della portanza sul dorso. In sostanza, a valle del punto in cui il flusso si distacca dalla superficie, sul corpo non si trasmette più la depressione idrodinamica di dorso che dava origine alla portanza. Sulle superfici idrodinamiche è quindi essenziale che il flusso scorra con regolarità in prossimità della superficie in modo da mantenere la differenza di pressione dinamica e da realizzare quindi un campo di pressione favorevole al mantenimento della portanza. Il profilo con strato limite laminare è più prono a distacco perché il flusso a contatto con il corpo ha meno energia (il maggior gradiente di pressione sulla parete è indice di una minore propensione all’arresto del flusso). Il corpo su cui lo strato limite si mantiene laminare più a lungo ha una minore resistenza d’attrito viscoso ma una maggiore resistenza di forma. Con l’aumento dell’angolo di incidenza del flusso, il punto di separazione della scia si sposta verso il bordo di attacco. Il punto di distacco si muove in avanti perché il gradiente sfavorevole di pressione si fa sempre più forte con l’aumentare dell’angolo di attacco. L’effetto dell’aumento dell’angolo di attacco è quindi quello di contrastare l’insorgere della portanza. Il gradiente di crescita della portanza del profilo in funzione dell’angolo di attacco tende a calare (la portanza manifesta un andamento sotto-lineare): a uguali incrementi dell’angolo di attacco corrispondono incrementi sempre più ridotti della portanza. In concomitanza si ha un campo di pressione sempre più sbilanciato in avanti con un picco che si riduce d’intensità e che pesa sempre meno nella generazione della portanza lungo la corda. Di conseguenza, il ruolo del ventre nel generare la portanza diventa sempre più dominante e, poiché il campo del ventre ha una distribuzione più omogenea, il centro di pressione tende a spostarsi a valle. Se il punto di distacco si mantiene a poppa, anche ad elevati angoli di incidenza, allora la riduzione del gradiente di portanza è contenuta. Se invece il punto di separazione del flusso si estende in avanti verso il bordo attacco, può verificarsi una forte riduzione del gradiente di portanza, tale addirittura da far diminuire la portanza all’aumentare dell’angolo di incidenza, anche in maniera drastica: si è raggiunto lo stato di stallo, caratterizzato dalla separazione a corda completa, ossia sull’intera zona del dorso del profilo. Tipicamente allo stallo la portanza si riduce del 50 % e rimane la componente di portanza generata sulla sola faccia esposta al flusso. Anche la resistenza è chiaramente influenzata dalla posizione del punto di distacco. Se lo strato limite si mantiene attaccato al profilo la resistenza è soprattutto dovuta all’attrito, in caso contrario si somma anche la componente dovuta al mancato recupero delle pressioni. 3.7 L’analisi dei profili idrodinamici Si è visto che il comportamento di un profilo idrodinamico è governato da leggi comuni. Nel contempo, ciascun profilo, in virtù della sua particolare configurazione geometrica è in grado di modificare alcuni parametri del meccanismo di interazione con il flusso. Ai fini dello studio delle forze scambiate, tre sono i parametri macroscopici della geometria che hanno un effetto sulla modifica del campo idrodinamico: • l’allungamento del profilo, ossia il rapporto fra lo spessore massimo e la corda • la posizione della sezione di spessore massimo (sezione massima), • la forma dei fianchi. In relazione all’influenza dell’allungamento sul funzionamento del profilo, si possono evidenziare due modalità: il comportamento di profilo sottile tipico dei profili ad alto allungamento e quello di profilo spesso, tipico dei profili a basso allungamento. Nei profili a comportamento sottile, o perché il gradiente favorevole di pressione permane per un lungo tratto della corda, favorito dalla forma affusolata e slanciata, o perché il picco di depressione sul dorso è meno accentuato, e quindi anche il gradiente sfavorevole meno forte, il punto di distacco rimane verso il bordo di uscita determinando lungo la corda un’estesa zona utile per la generazione della portanza. La curva di portanza è caratterizzata da un andamento prossimo alla linearità e la resistenza si mantiene su valori bassi, grazie al contenimento della componente di forma. Il comportamento descritto si manifesta fino ad un angolo di attacco limite, oltre il quale, sul dorso subito a valle del bordo di attacco, a causa dell’eccessiva curvatura del bordo di attacco, tipica dei profili con basso allungamento, si ha il distacco del flusso e la generazione di una zona di stagnazione simile a quella di poppa. Il profilo affusolato innesca la formazione della cosiddetta “bolla” prodiera. La crescita di questa regione di stagnazione viene contrastata dal campo esterno, che tende a far riattaccare la corrente alla parete. Se ciò avviene, si forma la bolla e solo una ristretta zona prodiera del corpo si scarica. Se il distacco si protrae fino alla zona di separazione di poppa, a sua volta favorito dal distacco prodiero, il dorso del profilo si scarica completamente. Questo meccanismo si manifesta così bruscamente da determinare una repentina condizione di stallo. La forma del bordo di attacco è caratterizzata dal rapporto fra il raggio di curvatura del bordo di ingresso e la lunghezza della corda. Questo parametro, fortemente legato all’allungamento del profilo, gioca un ruolo fondamentale nel favorire la formazione della bolla. Ai piccoli angoli di incidenza, le curve di portanza dei profili a comportamento sottile e di quelli a comportamento spesso sono praticamente coincidenti. Quando l’effetto della bolla si manifesta, il profilo sottile manifesta lo stallo in maniera immediata, mentre su quello spesso l’ampio raggio di curvatura preserva dalla formazione della bolla. Ciò si verifica a scapito di andamenti di portanza che mostrano una progressiva riduzione del gradiente di crescita, riduzione che si manifesta pienamente agli alti angoli di attacco, a causa di un lento ma progressivo spostamento in avanti del distacco all’aumentare dell’angolo di attacco. Sui profili spessi il distacco è tenuto sotto controllo dall’effetto della curvatura, la quale favorisce il passaggio da laminare a turbolento dello strato limite, passaggio che comporta minor tendenza alla separazione grazie al più elevato gradiente che si instaura a contatto con il sottostrato limite laminare. I profili spessi hanno infatti uno strato limite prevalentemente turbolento, a differenza di quelli sottili. I profili spessi sono in grado di generare campi di pressione più spinti, grazie alle maggiori riduzioni di pressione che si ottengono sul dorso e grazie al fatto che lo stallo si realizza ad un maggior angolo di incidenza. La portanza raggiunge quindi valori maggiori. D’altra parte, la resistenza di forma è più elevata sui profili spessi, sia perché la componente di attrito è maggiore per effetto del flusso turbolento nello strato limite, sia perché è alta la resistenza di forma. In generale, il rendimento del profilo spesso è minore di quello del profilo sottile. La posizione del centro di pressione in generale è meno stabile sui profili sottili, in quanto alla formazione della bolla si ha un veloce spostamento indietro del baricentro delle pressioni. Il confronto delle caratteristiche di risposta fra profili aventi la stessa legge di distribuzione degli spessori (famiglia di profili NACA–00) e diverso allungamento è mostrato in Tab. 7.A. È evidente il trend sopra descritto, ovvero una portanza massima più alta nei profili spessi, accompagnata da una maggiore resistenza. I valori indicano anche che, quando l’allungamento aumenta oltre un certo limite, la forma troppo piena diventa inadatta alla generazione della portanza. Tipo di profilo NACA-0006 NACA-0009 NACA-0012 NACA-0015 NACA-0018 NACA-0021 NACA-0025 (dcL/dα) α = 0 (cL) α = α (cD) α = 0 0,102 0,101 0,101 0,100 0,098 0,094 0,089 0,88 1,27 1,53 1,53 1,40 1,38 1,20 0,006 0,007 0,008 0,009 0,011 0,012 0,014 S TABELLA 7.A Confronto fra profili a diverso allungamento appartenenti alla famiglia NACA 4-digit (λ = ∞, Re = 3,2·106, valori misurati). In genere, i profili standard hanno lo spessore massimo ad una distanza dal bordo di attacco variabile tra il 20 % e il 40 % della lunghezza della corda. La posizione della sezione massima gioca un ruolo molto importante nel meccanismo di generazione della portanza. Profili con lo stesso allungamento hanno caratteristiche idrodinamiche genericamente migliori se la sezione massima si allontana dal bordo di attacco, infatti si prolunga il gradiente favorevole di depressione dinamica. Se però la sezione di massima area si allontana troppo dal bordo di ingresso, il bordo di attacco rischia di diventare troppo affusolato e, conseguentemente, il profilo tende a comportarsi come un profilo sottile. Un alto allungamento e una sezione massima spostata a poppavia favoriscono, ai bassi angoli di attacco, la permanenza di una lunga zona a gradiente di pressione negativo. Ciò promuove l’instaurarsi di uno strato limite laminare, con il vantaggio di una resistenza frizionale contenuta. Tale comportamento è caratteristico dei cosiddetti profili laminari, che mostrano un’alta efficienza ai bassi angoli e una repentina caduta di rendimento quando si innesca il meccanismo della bolla. I profili con spessore massimo spostato verso poppa sono da preferirsi se si presenta il rischio di cavitazione, infatti comportano distribuzioni di pressione più omogenee caratterizzate da un esteso plateau in luogo di un accentuato picco prodiero. In caso di rischio di cavitazione sono quindi preferibili i profili ad alto allungamento, meno caricati, e con sezione massima spostata indietro. In Tab. 7.B sono posti a confronto due profili aventi allungamento uguale e posizione diversa della sezione massima. Il profilo con spessore massimo al 40 % della corda, rispetto a quello con spessore massimo al 30% della corda, genera, a parità di condizioni di lavoro: una maggiore portanza ai bassi angoli accompagnata da uno stallo ad un angolo minore, una minore resistenza e un centro di pressione leggermente più a poppavia. NACA-0015 tM @ 0,3c Caratteristiche portanza (cL) α = 5° (cL) α = 10° (cL) α = α 0,534 1,062 0,564 1,138 1,841 1,736 αs (cD) α = 0° (cD) α = 5° (cD) α = 10° (cD) α = α 21,0° 0,779 0,846 1,204 19,0° 0,765 0,794 1,176 4,201 3,511 (cQ’) α = 5° (cQ’) α = 10° (cQ’) α = α 0,136 0,264 0,148 0,292 0,401 0,412 S angolo di stallo resistenza × 102 S momento NACA-643-015 tM @ 0,4c S Confronto fra profili NACA con sezione massima a 0,3c e 0,4c dal bordo di attacco (λ = ∞, Re = 5,0·107, valori calcolati). TABELLA 7.B Un’altra caratteristica che ha molta influenza sulle prestazioni idrodinamiche è la forma stessa del profilo, ossia la legge di distribuzione degli spessori. La forma dell’area trasversale del profilo rimane essenzialmente quella di una goccia più o meno allungata per la quale, come precedentemente indicato, risulta molto importante il raggio di curvatura del bordo di attacco. I profili convenzionali hanno fianchi piani o superficie convessa, ma esistono anche profili con fianchi concavo-convessi, ossia con mantelli a doppia curvatura. I profili concavo-convessi sono così realizzati per favorire l’instaurarsi di una forte accelerazione del flusso nella zona prodiera, in modo da esasperare il picco di pressione in corrispondenza del bordo di ingresso del flusso. Tale fenomeno è accentuato con uno spostamento in avanti della sezione di massima area. Tali profili hanno, al bordo di uscita, mantelli paralleli che possono essere chiusi con un taglio netto di coda sia per ragioni di robustezza sia per motivi costruttivi. L’effetto idrodinamico di un bordo di uscita spesso è quello di creare un allungamento virtuale che influenza positivamente il campo di pressioni sul dorso. Infatti, lo strato limite viene aspirato dalla scia che si forma in coda, ritardando così la separazione che è favorita dal cambio di curvatura. Questo fenomeno viene accentuato con un bordo di uscita concavo, il cosiddetto fish tail. Rispetto ad un classico profilo a goccia, nei profili concavo-convessi, dal forte picco di depressione sul dorso e dall’attaccamento del flusso deriva una portanza maggiore, anche se a scapito di uno stallo ad angoli minori. Per contro, l’alta resistenza di forma è causa di un basso rendimento. Di conseguenza, questo tipo di profilo è preferibile quando sono richiesti coefficienti di portanza elevati anche se a scapito di una minore efficienza. In Tab. 7.C è illustrato il confronto fra un profilo convenzionale e due profili concavo-convessi appartenenti a due differenti famiglie, a parità di allungamento e di condizioni di lavoro. NACA-0015 HSVA-MP71-15 IfS-61-TR15 tM @ 0,3c tM @ 0,45c tM @ 0,2c Caratteristiche portanza (cL) α = 5° (cL) α = 10° (cL) α = α 0,534 1,062 1,841 0,574 1,160 0,603 1,189 1,915 1,983 αs (cD) α = 0° 21,0° 0,779 20,5° 17,0° 0,830 1,213 (cD) α = 5° (cD) α = 10° (cD) α = α 0,846 1,204 4,201 0,862 1,352 1,316 1,787 4,150 3,402 (cQ’) α = 5° (cQ’) α = 10° (cQ’) α = α 0,136 0,264 0,401 0,156 0,307 0,150 0,294 0,475 0,477 S angolo di stallo resistenza × 102 S momento S Confronto fra profili di famiglie diverse aventi uguale allungamento (λ = ∞, Re = 5,0·107, valori calcolati). TABELLA 7.C Di tutte le tipologie illustrate di profili il progettista dispone in generale, oltre dei coefficienti idrodinamici, anche delle distribuzioni lungo la corda delle depressioni idrodinamiche causate dal solo effetto dello spessore. Tale informazione è fornita dai coefficienti di pressione cp riferiti ad angolo di attacco nullo. Il coefficiente di pressione cp [-] è un parametro puntuale definito come il rapporto fra la pressione idrodinamica ∆p misurata ad una certa ascissa lungo la corda, e definita come differenza fra la pressione del flusso indisturbato e la pressione puntuale, con la variazione di pressione q nel punto di ristagno: cp = ∆p q [-] (7.A) Il coefficiente di pressione cp assume valori positivi o negativi se nel punto del campo dove è calcolato la pressione è rispettivamente inferiore o superiore rispetto a quella del campo indisturbato. Quando il coefficiente di pressione comprende anche l’effetto dell’angolo di attacco è usuale esprimerlo nei termini delle velocità. Una volta riscritto in funzione delle velocità del campo a potenziale che lambisce il profilo, diventa: cp = (V / V∞ ) 2 − 1 [-] (7.B) in cui V∞ è la velocità del flusso indisturbato e V è la velocità indotta lungo la corda sia dalla distribuzione degli spessori (nella sua componente indicata usualmente con Vt), sia dall’angolo di attacco (nella sua componente indicata usualmente con δVa): V = Vt + δVa [-] (7.C) L’analisi delle curve dei coefficienti di pressione è utile per valutare la predisposizione del profilo sia a generare portanza, sia a cavitare sul dorso. 3.8 – I profili per timoni navali I profili di più largo uso in campo navale sono quelli simmetrici convessi, che presentano l’indiscutibile vantaggio di avere una geometria meno elaborata e di essere quindi di più facile ed economica costruzione. Va considerato inoltre che uno spessore più elevato lungo la coda conferisce quella maggiore robustezza alla pala necessaria sui timoni di grandi dimensioni. Tra i profili simmetrici convessi, quelli più diffusi appartengono alle famiglie NACA-00 e NACA-643. Per quanto riguarda i profili concavo–convessi, esistono essenzialmente due tipologie denominate IfS e HSVA: • i profili delle famiglie IfS-58, IfS-61 e IfS-62 sono profili molto spinti e, fra quelli commerciali, presentano le più alte curve di portanza e la minore efficienza; • i profili HSVA delle famiglie MP-71 e MP-73 sono profili che hanno caratteristiche idrodinamiche intermedie fra quelle dei profili NACA e quelle dei profili IfS, essi costituiscono perciò un buon compromesso fra le esigenze del governo e quelle della propulsione. Nella pratica, si usano profili diversi dai NACA-00 quando è necessaria una maggiore portanza specifica cL. Quando invece c’è rischio di cavitazione si utilizzano in genere profili con lo spessore massimo spostato verso poppa delle famiglie NACA-643 oppure, se si desiderano portanze specifiche maggiori, del tipo HSVA. Rimane comunque valido, come principio di base che, se la portanza specifica della pala non è oggetto di particolare attenzione, la scelta deve cadere sui profili che hanno il rendimento idrodinamico migliore. Se invece l’attenzione è posta alla riduzione dei costi di costruzione della pala e se la pala ha dimensioni contenute, la scelta può ricadere sulla configurazione senza carenatura, ossia sulla lastra piana. Nell’uso di profili con sezione massima spostata verso poppa va prestata attenzione alla posizionamento dell’asse di rotazione. L’asta di comando del timone è infatti posta in corrispondenza della sezione massima allo scopo di utilizzare profili più allungati e quindi a più alto rendimento. In secondo luogo, è noto che per tenere sotto controllo il diametro dell’asta e per ridurre i costi di esercizio è conveniente minimizzare il valore del momento torcente e di controllo Q. Perciò, la posizione migliore dell’asta è quella sulla sezione massima del profilo se il centro di pressione si mantiene prossimo a detta sezione. Ora, poiché sui corpi idrodinamici il centro di pressione rimane vicino al bordo di attacco, se la sezione massima è molto più a poppavia si può manifestare, oltre all’instabilità, lo svantaggio di un momento Q elevato. Dei famiglie di profili citati sono disponibili le leggi di distribuzione dello spessore, assieme ai valori dei coefficienti idrodinamici e, talvolta, dei coefficienti di pressione lungo la corda. Storicamente i profili NACA sono stati tra i primi ad essere stati studiati, esiste perciò una consolidata esperienza ed una vasta documentazione a riguardo. Anche per questo motivo si sono imposti nella pratica navale. Di conseguenza, se lo scopo del progetto non è quello di cercare soluzioni innovative per affrontare problematiche particolari, essi rappresentano un ottimo compromesso tra funzionalità e affidabilità. Tra le diverse famiglie dei profili NACA, quella indicata con la sigla “00” costituisce usualmente la base per il progetto delle superfici di controllo. I profili di questa famiglia sono caratterizzati da un bordo di attacco arrotondato, una superficie convessa, una sezione massima al 30 % della corda dal bordo di attacco e un bordo di uscita affilato o comunque molto sottile. Tali profili vengono identificati da un codice di quattro cifre e per questo sono detti “4 digit”: • la prima cifra indica il rapporto, moltiplicato per 100, tra la freccia massima f della linea media di distribuzione degli spessori e il valore della corda cm; • la seconda cifra indica il rapporto, moltiplicato per 10, tra l’ascissa della freccia massima e il valore della corda cm; • la terza e quarta cifra indicano il rapporto, moltiplicato per 100, tra il valore dello spessore massimo tM e quello della corda cm. Nel caso di profili simmetrici della famiglia 4 digit, le prime due cifre del codice sono nulle. A titolo d’esempio, la sigla NACA-0020 significa che la legge di distribuzione degli spessori è quella della famiglia di profili idrodinamici 4 digit, che la distribuzione avviene su una linea mediana rettilinea (ossia a freccia nulla) e che il rapporto di forma vale 0,20. Le curve caratteristiche dei profili della famiglia 4 digit sono fornite per allungamenti compresi fra 0,06 e 0,24 e le caratteristiche idrodinamiche sono spesso riferite alla serie di valori: (0,06 0,09 0,12 0,15 0,18 0,21 0,24). Tra questi i rapporti più bassi configurano profili molto affusolati con comportamento di profilo sottile, i rapporti medi rappresentano il migliore compromesso tra portanza e rendimento, mentre i più elevati hanno rendimenti bassi e vanno presi in considerazione solo se lo impongono le esigenze strutturali legate alla scelta del diametro dell’asta. Si verifica spesso che l’asta di comando del timone debba essere progettata con un diametro piuttosto elevato, a causa delle alte sollecitazioni cui è soggetta, soprattutto di flessione. Ciò comporta di per sé l’esigenza di prevedere una corda media piuttosto lunga per non far salire eccessivamente il valore del rapporto di forma del profilo. Ma tale via non è in genere praticabile a causa delle ristrette dimensioni della volta di poppa, e di conseguenza si deve accettare un fattore di forma del profilo piuttosto elevato, spesso anche superiore al valore limite di 0,24. In tali circostanze, è usuale considerare come limite il rapporto di forma di 0,25 e per valori superiori si ricorre ai seguenti accorgimenti: • la realizzazione dell’asta con un acciaio più resistente, avente una maggiore tensione di snervamento; • l’esecuzione del collegamento dell’asta con la pala attraverso un accoppiatoio più largo del profilo, accettando un ringrosso non avviato con il mantello; • una modifica sostanziale del progetto del timone che preveda, per esempio, l’aggiunta di un supporto esterno allo scafo. La legge di distribuzione degli spessori della famiglia 4 digit è di tipo polinomiale. È usualmente scritta con riferimento ad un profilo avente corda di lunghezza unitaria e semi-spessore massimo pari ad 1/10 della corda (ossia per un profilo NACA-0020). Se con y0 si indica il semi-spessore all’ascissa x0, l’espressione analitica polinomiale del profilo NACA-0020 avente corda unitaria è la seguente: y0 ( x0 ) = 0,29690 x01/ 2 − 0,12600 x0 − 0,35160 x02 + 0,28430 x03 − 0,10150 x04 [m] (8.A) Per ottenere poi la distribuzione degli spessori relativa ad una prefissata coppia di valori della corda c e dello spessore massimo tM è sufficiente calcolare per similitudine le coppie (x, y) tramite le espressioni: x = x0c y = y0tM / 0,20 [m] (8.B) Anche i profili NACA-643 possono trovare applicazioni in campo navale, si tratta di profili della Serie 6 (la prima cifra della sigla), aventi estensione del gradiente di pressione favorevole fino al 40% della corda (la seconda cifra della sigla esprime tale lunghezza in decimi della corda) ed alta efficienza entro cL = 0,3 (il pedice della sigla esprime tale valore moltiplicato per 10). Come i profili della serie 4 digit, al codice identificativo della famiglia seguono alcuni dati sulla freccia e sul rapporto di forma: per quelli simmetrici, dopo uno “0” che indica il valore di cL per angolo di attacco nullo, viene riportato il rapporto, moltiplicato per 100, tra il valore dello spessore massimo tM e quello della corda c (per esempio: NACA-643-018). Le caratteristiche dei profili NACA sono state determinate tramite prove in galleria del vento effettuate su pale aventi allungamenti molto elevati. I dati sono raccolti in funzione dell’allungamento, per diversi valori del numero di Reynolds Re e per diversi valori della rugosità di superficie. I grafici disponibili forniscono i coefficienti idrodinamici di portanza e resistenza e la posizione del centro di pressione al variare dell’angolo di attacco. Relativamente alla famiglia di profili 4-digit le caratteristiche idrodinamiche sono disponibili anche per Re tipici dei timoni navali. Quando invece i dati sono riferiti ad Re diversi, nel progetto del profilo si introduce inevitabilmente un errore per effetto scala. Spesso le prime prove in laboratorio erano effettuate ad Re più bassi di quelli utili in campo navale e ciò era dovuto alla maggiore attenzione che veniva data al settore aeronautico. Con riferimento ad un prefissato profilo, all’aumentare di Re lo strato limite tende a passare da laminare a turbolento, con ciò favorendo l’attaccamento dello strato limite. Conseguentemente si ha. • l’aumento dell’angolo di stallo e conseguentemente l’aumento della portanza massima generata dal profilo; • il controllo della resistenza di forma che assieme alla riduzione del coefficiente di frizione cf, e quindi al contenimento della resistenza frizionale, va a favore dell’efficienza del profilo; • il mantenimento del centro di pressione verso il bordo d’attacco. La variazione delle caratteristiche idrodinamiche appare forte passando da Re dell’ordine di 105 a Re dell’ordine di 106. In generale, comunque, gli esperimenti in galleria del vento effettuati in campo aerodinamico forniscono risultati conservativi per le applicazioni navali (si confrontino i valori di Tab. 8.A). Nel progetto del profilo, gli effetti di Re appaiono trascurabili con riferimento ai piccoli e medi angoli di lavoro. Re [-] Caratteristiche portanza 6 0,2010 0,35 0,55 0,72 0,29 0,62 0,27 0,60 1,06 1,26 αs (cD) α = 10° 35,0° 0,125 33,8° 38,5° 0,040 0,037 (cD) α = 20° (cD) α = α 0,310 0,605 0,141 0,141 0,461 0,573 (cQ’) α = 10° (cQ’) α = α 0,28 0,43 0,18 0,16 0,35 0,31 S momento 2,70106 (cL) α = 10° (cL) α = 20° (cL) α = α S angolo di stallo resistenza × 102 0,79106 S Confronto delle caratteristiche di un profilo NACA-0015 ottenute per diversi valori di Re (λ = 1, valori misurati). TABELLA 8.A Relativamente alla scelta del profilo della pala, si può concludere con le seguenti considerazioni: • il rapporto di forma, compatibilmente con il diametro dell’asta, deve essere il più alto possibile (basso tM/c), in modo da avere un’alta efficienza. Considerando che, in virtù delle forze in gioco sui timoni delle navi, le aste tendono ad avere grandi diametri, e considerando che le luci generalmente a disposizione nella volta di poppa sono limitate, non si corre il rischio di progettare pale con profili a comportamento sottile. • la sezione massima del profilo è conveniente che sia prossima al bordo di attacco, in modo che, posizionando l’asta in corrispondenza ad essa per contenere il rapporto di forma, risulti contenuto il valore del momento Q sull’asta. I timoni delle navi destinate a lunghe rotte e a limitate manovre in acque ristrette devono essere progettati in modo da possedere un alto valore del gradiente di portanza dcL/dα agli angoli di barra tipici del controllo della rotta. D’altra parte, i timoni di navi soggette a frequenti manovre e destinate a servizi su rotte brevi devono fornire forze elevate e quindi avere alti valori del coefficiente di portanza cL. Il profilo della pala dovrà essere scelto in armonia con questa esigenze. 3.9 Lo studio della superficie idrodinamica I risultati dello studio del profilo idrodinamico possono essere utilizzati per valutare il comportamento di una superficie idrodinamica ideale, ossia una superficie ad allungamento infinito generata dalla traslazione, lungo una direzione ortogonale alla corda, di un profilo a sezione costante. La superficie idrodinamica reale si caratterizza attraverso la forma dello sviluppo planare, ossia della sua area proiettata sul piano di riferimento. La generazione di una superficie reale a partire da quella ideale si può realizzare applicando le seguenti trasformazioni: • la limitazione della campata, • la rastremazione della corda lungo la campata, • l’abbattimento del bordo di ingresso. In sostanza, la pala reale è caratterizzata dalla forma del profilo e da una combinazione dei valori dell’allungamento λ, del rapporto di rastremazione ct /cr e dell’angolo di abbattimento Λ. La pala ideale è definita, oltre che dalla geometria del profilo, dalla combinazione (∞, 1, 0) dei parametri sopra definiti. In relazione alla rastremazione, può essere introdotta un’ulteriore modifica attraverso la curvatura dei bordi di ingresso e di uscita del flusso. Per quanto concerne il profilo, la rastremazione conduce a corde di lunghezza diversa. Su tali corde è usuale appoggiare profili ad allungamento costante, sia per motivi sia idrodinamici legati al controllo del flusso trasversale, sia per motivi costruttivi legati al contenimento dei costi di realizzazione delle superfici a generazione rettilinea (superfici a semplice curvatura). In virtù dello sviluppo planare, sulla pala soggetta ad un flusso omogeneo si viene a formare un campo idrodinamico tridimensionale. La distribuzione delle velocità e delle pressioni del campo 3D dipende fortemente dalla morfologia della pala. Lo studio del comportamento della pala può quindi essere efficacemente condotto valutando separatamente gli effetti, sul campo idrodinamico, di ciascuno dei tre parametri geometrici macroscopici principali λ, ct/cr e Λ. La relazione esistente fra l’allungamento geometrico della pala e le sue caratteristiche di funzionamento può essere messa in luce analizzando le modifiche che intervengono nel campo idrodinamico quando viene variato il valore di λ di una pala dalla forma predefinita. Poiché la modifica dell’allungamento di una pala dalla forma qualsiasi comporta anche la modifica del rapporto di rastremazione e dell’abbattimento, per saggiare separatamente i tre contributi, si può pensare di riferirsi ad una pala avente sviluppo planare rettangolare. Come noto, l’allungamento finito è causa, alle estremità della pala, del contatto fra il campo in depressione idrodinamica del dorso e quello in sovrappressione del ventre. Ciò porta alla nascita, lungo la campata, di un flusso trasversale, orientato verso le estremità sul ventre e verso il centro della campata sul dorso. Quando i due flussi si incontrano lungo il bordo di uscita, vengono rilasciati vortici con versi di rotazione contrapposti sulle due metà della pala. Questi vortici, in condizioni di stazionarietà, si aggregano a quelli rilasciati dalle estremità formando due scie vorticose il cui nocciolo è localizzato lungo i bordi di estremità della pala. Il campo di velocità complessivo può essere studiato come la combinazione della corrente di trasporto con il flusso trasversale che si instaura lungo la campata, legato alla presenza dei due vortici di estremità, e definito campo di velocità indotto. Mentre la velocità di trasporto ha direzione parallela alla corda, la velocità trasversale appartiene al piano ortogonale al flusso incidente. Con riferimento ad una corda prestabilita, e quindi con riferimento ad un singolo profilo, il campo di velocità complessivo può essere visualizzato sul ventre del profilo attraverso il vettore formato dalla somma della corrente di trasporto, incidente con angolo α, e della corrente indotta VI [m/s], normale alla corrente di trasporto. La velocità complessiva così calcolata mostra che il profilo è soggetto ad un flusso incidente con angolo di attacco minore rispetto ad α. Inoltre, poiché la velocità indotta è funzione della distanza dal nocciolo del vortice, l’angolo di attacco sul singolo profilo risulta variabile dal centro verso l’estremità della campata. La corrente indotta visualizzata sul ventre del profilo viene indicata con il nome di corrente discendente in quanto tende ad allineare il flusso di trasporto alla corda del profilo. La velocità discendente ha un andamento variabile lungo la campata, con legge che dipende dalle caratteristiche morfologiche della pala. Con riferimento alla pala rettangolare, la velocità discendente assume valori massimi alle estremità, mentre al centro il valore è quello minimo. La corrente trasversale, che non è localizzata sulle estremità ma influenza il campo di velocità sull’intera superficie della pala, diventa più sostenuta all’aumentare dell’angolo di attacco, alimentando la crescita dei vortici. Di pari passo cresce la velocità discendente, con la conseguente diminuzione della portanza. Si ha in sostanza la riduzione, rispetto alla stessa porzione di area di una pala ideale, della portanza generata sotto un determinato angolo di attacco. In pratica, il gradiente del coefficiente di portanza della pala con allungamento finito risulta minore rispetto a quello del profilo. Nel frattempo, la resistenza indotta aumenta. La riduzione della portanza e l’aumento della resistenza comportano complessivamente un peggioramento del rendimento della superficie idrodinamica. Tutto ciò si verifica senza una sostanziale modifica del valore della portanza all’angolo di stallo, infatti il valore massimo della portanza non risente sostanzialmente della modifica dell’allungamento (ma dipende fortemente dal valore di Re). L’influenza dell’allungamento sulla resistenza ha origine nell’energia persa per la generazione dei vortici di estremità, mentre l’influenza sulla portanza va ricercata nella diversa orientazione del vettore di velocità in corrispondenza del singolo profilo. Per quanto detto, il profilo si comporta come un profilo in campo ideale soggetto ad un flusso con angolo di attacco effettivo pari a α – αI(x), dove l’ascissa x identifica la posizione della singola corda. La portanza della pala con allungamento finito è quindi sempre inferiore a quella ottenuta studiando il profilo in campo bidimensionale. Se la pala ha un grande allungamento, per esempio maggiore di 6, l’effetto è praticamente relegato alle estremità ed il calo di portanza della pala rispetto alla portanza generata dalla stessa porzione di una pala ideale è contenuto. Se invece l’allungamento è modesto, l’effetto delle estremità si fa sentire fino a centro campata e la riduzione di portanza della pala è maggiore perché interessa un’area relativamente più estesa. Si può concludere che le curve di portanza si abbattono in maniera inversamente proporzionale all’allungamento. L’osservazione mostra che il valore massimo della portanza varia di poco con l’allungamento. Tale variazione, praticamente trascurabile, comporta che l’angolo di stallo aumenti al ridursi dell’allungamento. In pratica la stessa portanza si realizza, al diminuire dell’allungamento, ad angoli d’attacco sempre maggiori. La riduzione del gradiente di portanza dipende quasi esclusivamente dall’allungamento della pala, mentre la forma del profilo idrodinamico è quasi ininfluente Queste considerazioni inducono a concludere che è sempre preferibile mantenere elevato il valore dell’allungamento del timone, compatibilmente con la luce verticale a disposizione nella volta di poppa. A parità degli altri fattori, una pala con allungamento maggiore ha infatti maggiore portanza e maggiore rendimento. Un contributo alla riduzione delle perdite per cross flow è ottenibile attraverso l’allungamento fittizio della pala. Avvicinando infatti l’estremità della pala ad una superficie parallela al piano del profilo, si riesce ad inibire il passaggio del flusso oltre l’estremità e quindi la formazione del vortice. Questo effetto si può ottenere avvicinando notevolmente il bordo superiore della pala alla carena. Tale interazione va sotto il nome di effetto specchio perché, nel caso di flusso ideale, il contatto con una superficie piana normale all’asse di rotazione raddoppia l’allungamento geometrico. In realtà la superficie non è a contatto, non è normale all’asse di rotazione né tantomeno piana, perciò l’incremento dell’allungamento è limitato e diventa funzione dell’angolo di barra del timone. L’allungamento fittizio può essere aumentato anche agendo sul bordo inferiore. Un intervento per ridurre gli effetti di estremità all’apice consiste nell’aggiunta di una lamina terminale parallela al fondo e tale da fuoriuscire dalla forma stessa del profilo. In alternativa, e più usualmente, l’apice della pala viene tagliato di netto: rispetto al caso di apice sagomato permette di avere una portanza maggiore, anche se a scapito di una maggiore resistenza indotta. Il valore della riduzione dell’angolo di attacco αI è stato calcolato analiticamente da Prandtl per superfici con distribuzione ellittica della portanza lungo la campata. In tale circostanza il suo valore risulta costante lungo la campata e vale: α I = cL / πλ [rad] (9.A) La portanza che si manifesta sul profilo può essere ottenuta dalle curve caratteristiche del profilo per un angolo di attacco ridotto di αI rispetto a quello geometrico di incidenza. Se la pala ha una distribuzione diversa della portata il valore di αI è maggiore di quello di Eq. 9.A. Anche l’aumento di resistenza può essere valutato in maniera analitica con riferimento alla pala avente distribuzione ellittica della portanza: ∆cD = cL2 / πλ [-] (9.B) Nella pratica, dal momento che la pala ha distribuzione non ellittica della portanza, il valore di ∆cD è maggiore di quello di Eq. 9.B, perciò in luogo del coefficiente 1/π viene tipicamente utilizzato un valore compreso fra 0,35 e 0,37. Agli alti angoli di attacco, la resistenza associata al profilo non è che una minima parte della resistenza indotta. La distribuzione ellittica di portanza è considerata la distribuzione migliore fra quelle realizzabili. Infatti, contenendo la variazione dell’angolo di attacco αI si riduce sia la perdita di portanza sia l’aumento della resistenza indotta. 3.12 – Lo sviluppo planare Si consideri ora la pala di un timone: essa mostra uno sviluppo planare caratterizzato da una certa legge di variazione della lunghezza della corda lungo la campata e da un angolo di abbattimento. Tali caratteristiche geometriche verranno di seguito analizzate per valutare il loro impatto sulla generazione delle forze idrodinamiche. Dal momento che, nel caso in esame, la pala non lavora generalmente con una distribuzione omogenea della portanza e della resistenza, l’interazione fra pala e flusso deve ora essere analizzata introducendo delle grandezze idrodinamiche che, variando lungo la campata, forniscano informazioni sulle modalità di lavoro delle singole sezioni. Si definiscono a tale scopo, in aggiunta ai coefficienti idrodinamici relativi all’intera superficie della pala, i coefficienti di portanza e di resistenza locali, relativi alle singole sezioni trasversali. Tali coefficienti fanno riferimento alle densità lineari di portanza e di resistenza lungo la campata. Il più usato è quello relativo alla portanza, che viene definito sulla base della densità lineare di portanza l(x) [N/m], ove l’asse Ox è steso nella direzione della campata. Per una generica pala a corda variabile c(x), l’area proiettata del tratto δx (centrato sull’ascissa x) vale δAR = c(x)δx e la portanza da essa sviluppata si può scrivere, in funzione della densità di portanza l(x), come δL = l(x)δx. Dalla relazione appena scritta si può osservare che la portanza della pala corrisponde all’integrale della densità l(x) esteso all’intera campata: L = ∫ l ( x ) dx b 0 [N] (3.12.A) in cui b è palesemente la lunghezza della campata della pala. In analogia alla definizione del coefficiente di portanza cL relativo alla superficie complessiva della pala, si definisce anche il coefficiente di densità di portanza χL: χL ( x) = l ( x) [-] q c( x) (3.12.B) il quale caratterizza localmente il comportamento della pala assumendo un valore diverso su ogni corda. Perciò il coefficiente di pala cL può essere espresso come: cL = 1 AR ∫ c ( x ) χ ( x ) dx b 0 L [N] (3.12.C) La forma della pala comporta una diversa distribuzione della velocità discendente, e quindi differenti distribuzioni di portanza, con modifiche del rendimento e dell’angolo di stallo. Per impostare un’analisi qualitativa dell’influenza della forma sulle caratteristiche idrodinamiche, può essere utile il confronto fra superfici idrodinamiche rettangolari e triangolari, morfologie che rappresentano i due limiti estremi delle pale dei timoni. Tali analisi verranno condotte su pale simmetriche lungo la campata, ovvero addossate ad una estremità ad una superficie che crea l’effetto specchio. La pala rettangolare mostra una distribuzione di corrente discendente con valori massimi alle estremità, e quindi in tali zone il coefficiente di densità di portanza è minore – si rammenta che esso rappresenta la capacità del profilo, posto ad una determinata ascissa della pala, di generare portanza indipendentemente dall’area ivi presente. Poiché la corda è costante, la densità di portanza l(x) ha la stessa distribuzione del coefficiente locale χL(x), con un andamento quasi piatto al centro e una forte variazione ai bordi dove praticamente si annulla, qui infatti la velocità discendente è tale da rendere vano l’effetto dell’angolo di attacco. La pala triangolare mostra una distribuzione di corrente discendente con valori minimi alle estremità, conseguentemente la riduzione del coefficiente locale di portanza è più accentuata al centro della campata, mentre il profilo sui bordi tende a generare portanza come se fosse isolato poiché sui bordi la velocità discendente tende ad annullarsi. La densità di portanza della pala, per effetto dello sviluppo planare, è maggiore a centro campata. Si osservi che, in virtù della particolare configurazione, il flusso al centro della campata tende a mantenere quello alle estremità sulla direzione della corda, un po’ perché la formazione della corrente indotta è più graduale lungo la campata, ed un po’ per effetto del ritardo di ingaggio dovuto all’abbattimento del bordo di attacco. Le due pale si comportano in maniera palesemente contrapposta per quanto riguarda la distribuzione del coefficiente locale di portanza: quella rettangolare registra valori più elevati alla radice e quella triangolare manifesta valori più elevati all’apice. Di conseguenza, la pala rettangolare mostra un inizio di stallo alla radice, quella triangolare al vertice. Esse non lavorano perciò sfruttando appieno le caratteristiche del profilo idrodinamico perché già a partire da angoli geometrici di attacco bassi (e tanto più bassi quanto minore è l’allungamento) alcune zone si scaricano. Anche la formazione di cavitazione, dipendendo dalle pressioni che sono strettamente correlate alla distribuzione del coefficiente locale di portanza, non è omogenea. I due effetti di sbilanciamento del campo di pressione si compensano quando la pala ha sviluppo planare ellittico, definendo così la condizione ideale di lavoro dei singoli profili che la compongono. La pala che ha il comportamento migliore nei confronti della generazione delle forze idrodinamiche è infatti quella a superficie di forma ellittica con profilo ad allungamento costante (e bordi di attacco e di uscita del flusso simmetrici rispetto alla retta dei massimi spessori). Essa ha la caratteristica di generare lungo la campata una distribuzione costante della velocità discendente: ciò comporta che la distribuzione del coefficiente di portanza sia costante. Di conseguenza la densità di portanza ha distribuzione ellittica che, in funzione della portanza totale generata L può essere espressa dalla relazione: l ( x) = L 4 2 1 − ( 2x / b ) b π [N/m] (3.12.D) Essendo l’andamento di χL costante, il flusso si mantiene omogeneo e la superficie entra in stallo con regolarità lungo la campata, mostrando linee di stallo, ai vari angoli, parallele tra loro e alla direzione della campata. Ciò si traduce, nel confronto con pale di morfologia diversa aventi la stessa portanza totale, in una resistenza indotta minore, un gradiente di portanza maggiore ed infine in una minore propensione alla cavitazione. L’effetto della forma è perciò molto importante perché modifica fortemente le condizioni di lavoro di una superficie ad allungamento finito, perciò la pala del timone deve avere uno sviluppo planare il più possibile simile a quello ellittico. Un’altra caratteristica importante nella definizione della morfologia di pala è l’angolo di freccia (o angolo di abbattimento), che gioca un ruolo significativo nel modificare la distribuzione della portanza e lo schema di stallo. Tale grandezza infatti è responsabile del ritardo con cui il filetto fluido avverte la presenza della pala e concorre perciò a modificare la corrente indotta della particella fluida. Si verifica infatti sperimentalmente che un angolo di freccia elevato (abbattimento all’indietro) fa si che la pala si comporti come se fosse più rastremata – perciò la pala abbattuta all’indietro ha la tendenza a caricarsi di più all’apice. L’opposto si verifica quando l’angolo di freccia è ridotto, al limite negativo: esso conferisce alla pala un comportamento simile a quello di una superficie meno rastremata. Per guidare la scelta del valore ottimale dell’angolo di abbattimento una volta fissato il valore del rapporto di rastremazione, si può fare riferimento alle risultanze sperimentali di studi condotti su pale aventi una distribuzione ellittica delle pressioni e, poiché le pale rastremate a spigoli diritti hanno una distribuzione della portanza pressoché ellittica, è usuale applicare anche ad esse tali considerazioni. La correlazione esistente fra il rapporto di rastremazione e l’angolo di freccia è tale da far corrispondere angoli decrescenti a rapporti di rastremazione crescenti. I valori ottimali di dette coppie sono riportati in Tab.3.12.A, nella quale compaiono anche i valori dei corrispondenti angoli di freccia al bordo di attacco ΛLE calcolati, con riferimento a pale a spigoli rettilinei, per diversi valori di allungamento (i valori negativi non sono indicati perché non si prestano alla definizione dello sviluppo planare del timone). rapporto di rastremazione ct / cr 0,40 0,45 0,50 0,60 angolo ottimale di abbattimento Λ 3,0° 0,0° –3,0° –7,5° λ = 1,0 15,0° 11,0° 6,5° 0,0° λ = 1,5 11,0° 7,0° 3,5° – λ = 2,0 9,0° 5,5° 2,0° – λ = 2,5 8,0° 4,5° 1,0° – corrispondente freccia del bordo di attacco ΛLE per diversi valori di allungamento λ TABELLA 3.12.A Relazione ottimale fra abbattimento e rastremazione e corrispondenti valori di freccia al bordo di attacco. Si osservi che per rapporti di rastremazione superiori a 0,60 l’angolo di freccia al bordo di attacco diventa negativo e quindi il bordo di attacco non si adatta più a costituire il profilo di prora del timone. Infatti, considerazioni pratiche suggeriscono l’opportunità di avere un bordo d’attacco abbattuto all’indietro per evitare che la pala agganci e trattenga contro lo scafo corpi esterni trasportati dal flusso incidente. Un rapporto di rastremazione elevato comporta inoltre il rischio di avere un centro di pressione troppo spostato in avanti e quindi di avere un timone instabile, d’altro lato un rapporto di rastremazione basso comporta valori troppo elevati dell’angolo di freccia e quindi sia momenti torcenti elevati a causa della posizione arretrata del centro di pressione, sia una struttura sbilanciata in cui i diaframmi verticali principali non siano allineati all’asta di controllo. Per questo motivi è usuale, nella scelta dello sviluppo planare dei timoni navali, riferirsi ad un rapporto di rastremazione pari a 0,45 e corrispondentemente ad un angolo di abbattimento nullo. 3.13 – La scelta della forma della pala Gli studi finora citati sono riferibili a pale con distribuzione ellittica delle pressioni in presenza dell’effetto specchio su una estremità. L’effetto specchio però si è già annullato per una distanza della pala dalla volta di poppa uguale ad almeno 0,075 bS (si veda a riguardo la Tab.3.4.B). Per questo motivo le considerazioni precedentemente esposte devono considerarsi valide, almeno qualitativamente, per pale sufficientemente vicine alla volta di poppa. Vale la pena rimarcare che in tali circostanze un buon progetto deve considerare le seguenti osservazioni: • l’allungamento deve essere il più elevato possibile; • lo sviluppo planare ottimale è quello ellittico, perciò le pale a spigoli rettilinei che lo approssimano devono essere rastremate e con profili aventi rapporto di forma costante; • la rastremazione migliore è, almeno indicativamente, quella che si associa all’angolo di abbattimento nullo. Quando poi la pala si trova ad una distanza dalla volta di poppa superiore al valore limite sopra riportato, essa non risente più di un seppur parziale effetto specchio. In questo caso la configurazione ottimale per lo sviluppo planare è quella di pala rettangolare: questa geometria è infatti l’unica che presenta una simmetria rispetto alla corda media, tale da far assomigliare la pala il più possibile a quella ideale. Inoltre, studi effettuati su pale isolate, aventi allungamenti tipici dei timoni navali (λ < 3), mostrano che la distribuzione della portanza tende a rimanere praticamente invariata passando da una pala rettangolare ad una con rapporto di rastremazione pari a 0,5. Ciò giustifica ulteriormente la scelta, per le pale non abbastanza vicine allo scafo, di una forma semplice come quella rettangolare. Quanto esposto finora si riferisce a pale aventi profili con rapporto di forma costante, soluzione che rappresenta la quasi totalità dei casi. Talvolta però il rapporto può essere variabile a tratti, allo scopo di poter alloggiare l’asta nella parte superiore più spessa, mentre nella parte bassa viene mantenuto un profilo più efficiente. I dati idrodinamici dei diversi tipi di pala sono disponibili per diverse morfologie e sono direttamente applicabili a timoni caratterizzati dalla stessa forma che lavorano in campi fluidi omogenei. Talvolta i dati idrodinamici di pala vengono forniti anche per flusso da poppa: in tal caso il centro di pressione risulta così lontano dall’asse di rotazione che, anche se le forze idrodinamiche si riducono, il momento torcente all’asta può risultare più elevato di quello in marcia avanti e quindi pericoloso. È anche possibile rintracciare le curve dei coefficienti idrodinamici relativi al funzionamento di pale che sfruttano l’effetto di vicinanza della volta di poppa, ma è più usuale riferirsi a dati per pale isolate ed effettuare correzioni a posteriori. 3.14 – L’utilizzo dei coefficienti idrodinamici di profilo Quando non si dispone delle caratteristiche della pala, non rimane altra soluzione che fare riferimento ai dati idrodinamici dei profili in regime di flusso bidimensionale. Essi possono essere infatti trasformati e applicati con buona approssimazione a pale rettangolari con allungamento finito e, in mancanza di dati più precisi, anche a pale rastremate. La trasformazione dei dati idrodinamici da allungamento infinito a finito viene fatta sulla base della teoria elaborata nel 1920 da Prandtl per pale aventi distribuzione ellittica della portanza. Poiché tale condizione generalmente non sussiste, i coefficienti che compaiono nelle formule di trasformazione sono stati leggermente modificati da Schönherr per adeguarli a pale rettangolari. Come già accennato, la curva del coefficiente di portanza cL(α) per pale ad allungamento finito è tanto più inclinata quanto più l’allungamento si riduce: al diminuire dell’allungamento l’angolo di stallo cresce mentre il valore massimo della portanza rimane praticamente invariato. Per valutare la curva di portanza di una pala avendo a disposizione quella del profilo (ossia della pala con allungamento infinito), si deve effettuare una trasformazione che consiste nell’abbattere la curva. In pratica, ogni valore del coefficiente di portanza cL(α) viene riferito ad un nuovo angolo di attacco αλ, ottenuto sommando ad α una quantità ∆α linearmente proporzionale al valore del coefficiente di portanza cL(α): αλ = α + ∆α = α + kλ cL(α) [°] (3.14.A) ove kλ è espresso in gradi. Si ottiene in questo modo una nuova curva del coefficiente di portanza per l’allungamento λ, costituita dalle coppie di valori [cL(α),αλ]. La pendenza La curva del coefficiente di resistenza per allungamento infinito cD(α) viene modificata sommando ad ogni valore del coefficiente di resistenza relativo ad un campo bidimensionale cD(α)2D il coefficiente di resistenza indotta (correlato alla velocità incidente (formazione di vortici)) cD(α)vi. Tale quantità, secondo l’approccio di Prandtl, è proporzionale al quadrato del coefficiente di portanza. Diagrammando i valori così ottenuti in funzione dell’angolo di attacco modificato αλ: cD(α)λ = cD(α) + mλ [cL(α)]2 [-] (3.14.B) dove mλ è un fattore adimensionale. Si ottiene così una nuova curva del coefficiente cD per l’allungamento λ, formata dalle coppie [cD(α)λ,αλ]. Nessuna ipotesi viene fatta per quanto riguarda la posizione del centro di pressione, che viene riportato senza modifiche al nuovo angolo di attacco modificato αλ. Si ottiene in questo modo una nuova curva del coefficiente (CPC /c)(α) per l’allungamento λ, formata dalle coppie [(CPC /c)(α),αλ]. Si osservi che se non è nota la coordinata CPS è necessario ipotizzare la posizione verticale del centro di pressione prima di passare a definire il grado di compenso della pala. Tali formule permettono anche il passaggio da un allungamento finito ad un altro: è sufficiente infatti esprimere le formule di trasformazione per due diversi allungamenti ed eliminare i parametri comuni α e cD(α). Eseguendo queste operazioni mettendo in relazione gli allungamenti λ1 e λ2 si ottengono le relazioni: αλ1 – αλ2 = (kλ1 – kλ2) cL(α) [°] (3.14.C) cD(α)λ1 – cD(α)λ2 = (mλ1 – mλ2) [cL(α)]2 [-] (3.14.D) I fattori kλ ed mλ per le pale d’uso navale a spigoli diritti sono tabulati in funzione dell’allungamento effettivo λ (si veda la Tab.3.14.A). allungamento λ 0,5 1,0 1,5 2,0 4,0 6,0 fattore kλ [°] 37,20 19,05 12,92 9,85 5,17 3,58 fattore mλ [-] 0,632 0,318 0,213 0,161 0,082 0,056 TABELLA 3.14.A Fattori di correzione per l’allungamento. I fattori kλ ed mλ relativi a pale con distribuzione ellittica della portanza sono esprimibili analiticamente. Se il fattore kλ viene espresso in radianti, per le pale a distribuzione ellittica della portanza vale: kλ = mλ = 1 πλ [-] (3.14.E) ed i valori così ottenuti possono essere utilizzati in sostituzione di quelli tabulati. Come ultima risorsa, se non si dispone delle caratteristiche dei profili, esistono formule analitiche semi–empiriche che, legando i coefficienti idrodinamici all’allungamento e all’angolo di attacco, trascurano l’effetto della forma sia della pala che del profilo, oltre che l’effetto del Numero di Reynolds. Un esempio di formulazione adatta a determinare con buona accuratezza le caratteristiche idrodinamiche di profili classici è la seguente, in cui i valori approssimati di cL, cD e cQ (quest’ultimo calcolato rispetto al bordo di attacco) sono forniti per angoli di attacco “piccoli” rispetto all’angolo di stallo: cL = cL1 + cL 2 = 2πλ ( λ + 1) ( λ + 2) 2 cD = cD1 + cD 2 + cD 3 = 1,1 sin α + sin α sin α cosα cL2 0,075 3 + sin α + 2,5 2 πλ ( log RN − 2 ) λ+2 cQ = − ( cL1 cos α + cD1 sin α ) 0, 47 − + 4 ( λ + 1) − 0,75 ( cL 2 cosα + cD 2 sin α ) [-] (3.14.F) [-] (3.14.G) [-] (3.14.H) Queste espressioni devono essere poi completate con i dati relativi all’angolo di stallo. È molto interessante osservare infine che pale con profili convenzionali, se il loro allungamento è troppo basso (λ < 1,0), possono non riuscire ad esprimere la portanza massima del profilo, a causa dell’abbattimento della curva di portanza, entro il valore limite rappresentato dal massimo angolo di barra del timone. D’altra parte va sempre verificato che il massimo angolo di barra previsto per il timone non sia superiore all’angolo di stallo. Anche per la pala rettangolare costituita da una lastra piana si può fare riferimento a formulazioni semi–empiriche. Vanno ricordati, a riguardo, i risultati delle prove al vero condotte sulla Loira da Joessel nel 1873, risultati che condussero alla formulazione di relazioni fondamentali per il progetto del timone, che vennero usate per un intero secolo intero prima di essere soppiantate da quelle ottenute dalle più rigorose analisi idrodinamiche. Joessel misurò la forza idrodinamica che nasce su una lastra piana al variare dell’angolo di attacco α e dell’intensità della corrente. La formula che propose mette in luce la dipendenza della forza d’interazione idrodinamica dal quadrato della velocità e dall’area della superficie, d’altro lato non considera altri fattori importanti come l’allungamento della pala. In pratica Joessel fece variare, a parità di angolo di attacco e di velocità, la posizione dell’asse di rotazione (facendole assumere i due valori d1 e d2) e misurò i momenti di controllo Q1 e Q2 nelle due configurazioni: ciò gli permise di pervenire al valore della forza FN ed a quello della distanza CPC del centro di pressione dal bordo di ingresso. Infatti, da ogni coppia di prove ottenne due relazioni con due soli dati incogniti (FN e CPC), quelli ricercati, due parametri noti (d1 e d2) e due grandezze misurate (Q1 e Q2): FN ( d1 − CPC ) = Q1 FN ( d2 − CPC ) = Q2 [-] (3.14.I) Egli espresse i risultati degli esprimenti in termini di coefficiente adimensionale cN fornendo infine la relazione: cN = 0,811sin α 0,195 + 0,305 sin α [-] (3.14.J) dalla quale è possibile dedurre l’equazione del momento evolutivo: M E (α ) ≈ FN LPP L cos α = q AR cN PP cos α 2 2 [-] (3.14.K) e successivamente, per derivazione, l’angolo al quale si verifica il suo valore massimo che, a dispetto delle approssimazioni del modello e del calcolo, risulta proprio uguale a 35°. I coefficienti idrodinamici della lastra piana rettangolare sono forniti, per i diversi RN, al variare dell’allungamento e del rapporto fra spessore e corda. Si vedano per esempio i valori riportati in Tab.3.14.B dove sono anche riportati i dati relativi ad un profilo di uso comune in campo navale: il confronto fra le due efficienze rende conto della convenienza d’utilizzo dei profili. PROFILO CARATTERISTICHE portanza lastra piana (t /c = 0,07) NACA–0015 CL ( α = 10°) 0,323 0,289 CL ( α = 20°) 0,654 0,622 CL ( α = 30°) 0,915 0,926 CL ( α = 40°) 1,000 0,685 efficienza TABELLA 3.14.B CL / CD ( α = 10°) 2,45 6,90 CL / CD ( α = 20°) 2,10 4,61 CL / CD ( α = 30°) 1,54 2,89 CL / CD ( α = 40°) 1,15 1,13 Confronto fra le caratteristiche della lastra piana e di un profilo NACA–00 (λ = 1, RN ≈ 0,75·106, valori misurati). 3.15 Il modello per lo studio della pala Le forze idrodinamiche che maturano sulle superfici idrodinamiche sono il frutto dell’interazione con il flusso d’acqua che le investe. Nel caso delle superfici di controllo, tale flusso ha origine dal moto della nave. La velocità e la direzione del flusso di base dipendono solo dalla cinematica del moto della nave. Il flusso effettivo sulle superfici di controllo comprende anche gli effetti dovuti alla presenza della carena e dell’elica, elementi che, interagendo sia con il flusso di base sia direttamente con le superfici di controllo, introducono modifiche del campo idrodinamico. In conclusione, il flusso incidente appare, in generale, non omogeneo (e quindi tridimensionale) e non stazionario. Nella pratica, in gran parte delle applicazioni, lo studio delle superfici di controllo può essere sviluppato con buona approssimazione in regime di stazionarietà. Gli effetti del flusso periodico dell’elica sono mediati nel tempo e i moti nave vengono trascurati. La variazione periodica del flusso indotta dai moti nave è presa in considerazione solamente nello studio delle superfici di stabilizzazione. Nelle applicazioni pratiche risulta inoltre di grande utilità potersi riferire a campi bidimensionali, ovvero ad un flusso omogeneo caratterizzato dalla velocità media di trasporto V [m/s] e dalla sua direzione media rispetto al corpo. Per identificare la direzione relativa del flusso si misura l’angolo formato tra la direzione di riferimento del corpo e la direzione maedia del flusso in campo aperto, il cosiddetto angolo di attacco α [°]. Nell’ipotesi di flusso omogeneo stazionario, i parametri del flusso (pressione e velocità) non variano nella regione in cui il corpo è immerso limitatamente alla zona lontana dal corpo. La modifica dei parametri di stato si manifesta soltanto nella zona vicina al corpo. Nella procedura semplificata per lo studio delle modalità di funzionamento delle superfici di controllo, si crea un modello che associa alla condizione di funzionamento reale una condizione di funzionamento ideale equivalente. L’equivalenza si basa sull’ipotesi che le forze idrodinamiche complessive rimangano identiche. Il modello si definisce considerando: • un flusso omogeneo di velocità V e angolo di attacco α; i parametri del flusso sono calcolati come valori medi temporali e spaziali; • una pala isolata efficace che generi nel campo omogeneo le stesse forze che la pala reale genera nel campo reale. Le caratteristiche geometriche della pala isolata sono derivate da quelle della pala reale con opportune modifiche. I parametri geometrici variati vengono detti parametri efficaci. L’introduzione di parametri geometrici efficaci si rende necessaria per ripristinare gli effetti dell’interazione diretta della superficie idrodinamica con i corpi circostanti (essenzialmente la carena). In base all’approccio delineato, il timone viene innanzitutto trattato come un corpo isolato immerso in un flusso omogeneo definito dalla somma delle velocità di avanzo e di deriva della nave (valutate in corrispondenza del timone). Successivamente, la velocità di flusso omogeneo sulla pala viene modificata in funzione dell’effetto della scia della carena e dell’elica. Parallelamente, dopo avere valutato l’effetto dell’interazione della pala con la poppa e con le appendici di supporto, vengono definiti i parametri efficaci. A questo punto il modello è pronto per lo studio. La definizione di un modello semplificato come quello proposto non consente di tenere in considerazione alcuni effetti indotti nel campo idrodinamico da elica e carena. Solo analisi sperimentali o numeriche possono ricreare, volta per volta, condizioni di funzionamento più aderenti alla realtà. Queste indagini fornisco in genere risultati particolari che non sono di facile estensione in formulazioni generali. In base a quanto detto, è utile conoscere in prima istanza il funzionamento di un corpo isolato immerso in flusso omogeneo. Le particolarità legate al funzionamento del timone nella volta di poppa della nave potranno poi essere valutate come modificazioni della condizione ideale e trattate attraverso un modello ideale equivalente. 3.16 – L’effetto della carena Le situazioni fin qui descritte fanno riferimento a flussi omogenei, mentre nella pratica le superfici di controllo sono poste in vicinanza alla carena e all’elica, entrambe fonti di forti modifiche del flusso. Per quanto riguarda la presenza della carena, due sono i motivi della variazione del campo di velocità che viene ad incontrare il timone posto nella volta di poppa, infatti: • la carena genera una scia che investe il timone determinando sulla pala un flusso a velocità inferiore rispetto a quella di avanzo della nave. • la volta di poppa costituisce uno sbarramento all’innesco di un flusso indotto verso l’estremità superiore della pala e quindi limita le perdite legate alla formazione dei vortici alla radice. Per effetto della presenza della carena a proravia del timone le forze sulla pala si modificano (in particolare la portanza si riduce) e per tenere conto di questo fenomeno si valuta la velocità media effettiva sul timone riducendo la velocità della nave della velocità di scia di carena. cambiamento direzione rispetto prora-poppa: dobbiamo fare riferimento alla direzione della scia, in quanto per ridurre la resistenza il timone ha il piano di riposo parallelo alla direzione media della scia sulla pala È noto che, indicando con VA [m/s] la velocità di flusso vista dal disco dell’elica ad elica ferma (ossia la velocità di scia misurata rispetto alla nave), e con VS [m/s] la velocità assoluta di avanzo della nave, la velocità assoluta della scia vale allora (VS – VA). Il rapporto fra la velocità assoluta di scia e la velocità della nave si definisce frazione di scia e si indica con w [-]. La conoscenza della frazione di scia di una nave permette di valutare la velocità VA . Per navi bielica vale generalmente w < 0,2 mentre per navi monoelica vale 0,2 < w < 0,5. Per meglio valutare l’effetto della carena sulla pala, la frazione di scia viene corretta per dare la velocità media del tubo di flusso in cui si trova il timone. Si definisce così la cosiddetta frazione di scia al timone wR [-] ed in base a queste considerazioni la velocità media sul timone per effetto della presenza della carena risulta pari a: V A =VS (1 − w ) R [m/s] (3.4.A) I valori indicativi della frazione di scia al timone sono forniti in Tab.3.4.A in funzione dei parametri che più la influenzano, ossia il coefficiente di pienezza della carena cB [-], la configurazione della poppa e la posizione del timone nella volta di poppa. Si osservi che, solo se la nave ha forme molto piene ed il timone è al centro, la frazione di scia al timone coincide con la frazione di scia di carena (?). La presenza della carena a proravia del timone manifesta anche un altro effetto sulle forze idrodinamiche da esso sviluppate. Infatti, il campo di pressioni che matura sul timone durante la generazione di una forza attiva di evoluzione crea una modifica del campo di pressioni sulla carena, formando così un campo di velocità asimmetrico sulla carena stessa, tale da favorire la rotazione della nave. In sostanza si manifesta una stretta interazione fra pala e carena, palesando in pratica l’esistenza di un unico corpo idrodinamico, fatto tanto più evidente quando il timone è posto a continuazione di un prolungato skeg. Ciò indica perciò che, se si favorisce la continuità fra timone e carena, si ottiene una maggiore efficacia del timone. Di questo effetto si tiene conto quando si posiziona il timone a poppa – ma si trascura però nella fase di progetto, essendo di difficile quantificazione. CONFIGURAZIONE wR [-] nave monoelica con un timone al centro (0,5 ≤ cB ≤ 0,8) 0,5981 – 1,92cB + 1,931cB2 nave monoelica con un timone al poppa a “V” 0,30 + 3,6 (cB – 0,8) centro o nave bielica con due timoni posti a non più di 0,1 B dal poppa ad “U” 0,35 + 2,0 (cB – 0,8) diametrale (cB ≥ 0,8) poppa a bulbo 0,48 + 2,0 (cB – 0,8) nave bielica con due timoni posti a più di 0,1 B dal diametrale TABELLA 3.4.A w Frazione di scia al timone per varie configurazioni. Per effetto della presenza della volta di poppa la pala si comporta, ai fini della generazione della portanza, come se fosse più lunga, grazie allo sbarramento offerto dalla carena al flusso trasversale indotto. Nel calcolo delle forze si associa perciò ad essa un allungamento effettivo λ maggiore di quello geometrico λG , e corrispondente all’allungamento geometrico della pala isolata che, con lo stesso profilo, produce la stessa portanza. Nel caso particolare in cui la superficie idrodinamica sia aderente, all’estremità, ad una superficie piana perfettamente liscia, si manifesta il cosiddetto effetto specchio, che consiste in un allungamento virtuale della pala pari a 2λG . Anche la carena può agire da specchio, ma non riesce nella realtà a creare un allungamento effettivo doppio rispetto a quello geometrico, sia per la distanza del timone dalla carena, sia per la forma della volta di poppa. Inoltre, solo se la volta di poppa è piatta il timone subisce lo stesso effetto a tutti gli angoli di barra, altrimenti all’aumentare dell’angolo di barra la radice del timone si allontana dalla carena e l’effetto di allungamento virtuale diminuisce. λ / λG CONFIGURAZIONE SISTEMAZIONE timone molto vicino al corpo superiore (dS ≈ 0,05 m, dS / b ≈ 0,01) CORPO SUPERIORE λG = 1,50 λG = 3,00 poppa piana 1,75 1,50 counter fin 1,65 1,45 volta di poppa 1,50 1,35 1,30 1,20 ≈1,00 ≈1,00 timone vicino al corpo superiore (dS > 0,15 m, dS / b ≈ 0,05) timone lontano dal corpo superiore (dS / b ≈ 0,075) TABELLA 3.4.B Allungamenti virtuali della pala. L’allungamento effettivo, almeno ai bassi angoli di barra, può essere strettamente correlato alle dimensioni reciproche fra la campata b e la distanza media dS [m] della pala dallo scafo. A tale riguardo si confronti la Tab.3.4.B, nella quale si prende anche in considerazione il caso in cui fra la pala e il fasciame della volta di poppa sia interposta un’appendice fissa (counter fin) per ridurre la distanza fra la radice della pala e la volta di poppa. Va osservato che, in genere, nelle configurazioni tipiche delle navi mercantili la distanza dS dalla volta di poppa è di qualche decina di centimetri, e quindi l’effetto è piuttosto ridotto – tale distanza non scende comunque al di sotto di 5 cm per evitare il blocco del timone nel caso di formazione di ghiaccio. Un altro importante effetto è quello della presenza della superficie libera. Le variazioni dinamiche di pressione si possono infatti scaricare sulla superficie libera soprastante formando un’onda di superficie, e ciò si traduce in una riduzione delle forze generate dalla pala. Al limite, quando il timone è molto caricato e vicino alla superficie, si può anche verificare il fenomeno della ventilazione, con richiamo di bolle d’aria sul dorso della pala in depressione. La presenza della volta di poppa produce una riduzione dell’effetto di superficie libera e, in tale circostanza, tale fenomeno si può ritenere trascurabile quando la pala presenta lo spigolo di radice ad un’immersione pari ad almeno 0,4 bm. 3.17 – L’effetto dell’elica Anche fra il timone e l’elica propulsatrice si manifesta un’interazione idrodinamica. Gli effetti di tale reciproca interazione sono i seguenti: • per quanto riguarda la manovra, l’efficienza del timone è accresciuta dalla presenza della scia dell’elica, che non si limita a ridurre l’effetto di scia di carena, ma anzi determina velocità medie sulla pala superiori a quelle di avanzo della nave (sul timone possono maturare forze raddoppiate). Inoltre, si ha il vantaggio di poter sfruttare il timone anche a nave praticamente ferma, creando un flusso netto tramite l’elica; • per quanto riguarda l’avanzo, la presenza del timone fa aumentare l’efficienza propulsiva grazie al raddrizzamento del flusso, e quindi per effetto del recupero dell’energia associata al moto rotatorio del flusso uscente dall’elica. perciò il timone, quando possibile, viene posto nella scia dell’elica. La presenza dell’elica crea infatti una variazione del flusso introducendo un aumento della velocità media sulla pala nella direzione longitudinale, ma causa anche forti disomogeneità sull’angolo di attacco locale e turbolenze. La componente trasversale parassita della velocità del flusso dell’elica produce localmente variazioni quantificabili anche in 10º÷15º, con versi contrapposti sulla parte superiore e su quella inferiore rispetto al mozzo dell’elica. Nascono quindi forze contrapposte sulle due parti del timone. La distribuzione delle pressioni, e quindi della portanza, lungo la campata assume un andamento pressoché sinusoidale. Nel caso di una pala divisa in due parti che sono, rispetto al mozzo, perfettamente simmetriche dal punto di vista idrodinamico, se la scia è asialsimmetrica, quando la pala è parallela alla scia dell’elica le forze di portanza generate dalle due semipale si bilanciano, mentre le forze di resistenza si sommano comportando un aumento della resistenza prodotta dal timone. Si può schematizzare il comportamento del timone come quello di due pale indipendenti (“isolate”). Se il timone non è idrodinamicamente simmetrico rispetto al mozzo dell’elica, anche nella posizione a riposo si viene a creare una forza trasversale netta che ha effetto utile sull’evoluzione della nave. Si ha in pratica la generazione di una forza utile assimilabile ad un angolo di attacco medio sulla pala dell’ordine di 1°. Se l’angolo di attacco sulla singola corda è molto elevato, si può verificare che la forza totale idrodinamica generata localmente sia orientata in avanti. In altre parole, può verificarsi che la componente della forza idrodinamica F nella direzione della corda non rappresenti una resistenza ma una spinta. Dall’azione dell’elica conseguono quindi, almeno per la parte del timone entro la sua scia, l’aumento della portanza, associato però in generale all’aumento della resistenza. La maggiore turbolenza del flusso della scia dell’elica altera le condizioni al contorno che influiscono sulle modalità di generazione dello strato limite. La maggiore turbolenza nel flusso di trasporto induce la formazione di uno strato limite turbolento e conseguentemente: viene modificata la tendenza allo stallo con l’aumento dell’angolo di stallo; viene modificata la posizione del centro di pressione, che tende ad arretrare. I parametri fisici che governano l’interazione del timone con l’elica sono, oltre alla geometria del timone e alle caratteristiche del flusso nella sua componente di trasporto: • i parametri geometrici dell’elica, tra cui di primaria importanza il diametro, il passo, il rapporto area elica su area disco, il diametro del mozzo, lo skew, il numero delle pale, il tipo di profilo utilizzato e, con riferimento alla geometria di pala, la legge di variazione del profilo delle idrodinamico e del passo; • i parametri del flusso legati alla presenza dell’elica, ovvero la velocità di rotazione dell’elica e l’effetto di raddrizzamento sul flusso durante l’accostata (fattore K); • la posizione relativa elica-timone, che viene usualmente espressa in rapporto al diametro dell’elica; elica e timone sono collocati, nella direzione dell’asse, ad una certa distanza, inoltre possono essere disallineati sia in direzione trasversale sia verticale; in base a tali parametri è possibile valutare la copertura del timone da parte del disco dell’elica, da cui l’estensione dell’area immersa nel flusso dell’elica. Per una particolare configurazione della pala del timone, l’azione dell’elica sul meccanismo di generazione delle forze idrodinamiche può essere fatto dipendere dai seguenti parametri • velocità di rotazione dell’elica, spesso espressa in forma adimensionale attraverso il fattore J proporzionale al rapporto fra la velocità di flusso libero V0 e la velocità tangenziale all’apice delle pale: J = V0/nDe (vedi); • l’effetto di raddrizzamento sul flusso durante l’accostata (fattore K); • il passo P dell’elica nel caso eliche a pale orientabili. Una volta fissato il passo dell’elica, il fattore dominante dal quale dipende la modifica delle condizioni di lavoro del timone posto nella scia dell’elica è J. Complessivamente, sommando l’azione dell’elica a quella della carena, l’effetto più importante che si manifesta sulla pala del timone è la variazione netta della velocità media nella direzione di avanzo. Questo effetto può essere calcolato con la procedura (di seguito descritta) che consiste nel valutare un flusso omogeneo equivalente, ottenuto modificando la velocità del flusso indisturbato, generato dall’avanzo della nave, con fattori legati sia al funzionamento dell’elica sia alle caratteristiche di carena. Se poi il timone non si trova completamente nella scia dell’elica, si calcola una velocità media pesata, proporzionale alle frazioni di area della pala esposte o meno all’elica. In questo modo si trascurano le fluttuazioni di velocità lungo la campata, che non danno comunque un significativo contributo netto sulle forze complessive, e si riconduce lo studio della pala al modello di corpo isolato in flusso omogeneo bidimensionale, in armonia con quanto fatto quando si è definito il concetto di allungamento effettivo. Si utilizzano comunque spesso procedure semplificate che consistono nel trascurare gli effetti antagonisti della carena e dell’elica: secondo tale approccio lo studio del timone viene impostato in un flusso di velocità pari a quella della nave. Esistono infatti vecchi studi condotti su navi monoelica e bielica con un solo timone a centro nave, che illustrano l’effetto combinato di elica e carena rispettivamente per un timone posto nella scia dell’elica e per un timone al di fuori della scia. Per queste due configurazioni sono state fatte prove su timone dietro lastra piana (condizione di riferimento), dietro carena e dietro carena con elica in funzione. Tali studi, che confermano l’applicabilità del metodo approssimato, mostrano sostanzialmente che per una nave monoelica con timone al centro: • la presenza della carena comporta un’accentuata riduzione delle forze generate dal timone rispetto al caso di timone dietro lastra piana, • la presenza della carena e dell’elica in funzione comportano effetti opposti che tendono a compensarsi (sempre rispetto al caso di timone dietro lastra piana), mentre per una nave bielica con timone al centro la presenza della carena e dell’elica in funzione comportano effetti opposti che però non si compensano, infatti l’effetto di scia di carena è preponderante. Per quanto riguarda il calcolo della velocità media sulla pala posta nella scia dell’elica, si fa qui riferimento alla studio dell’elica propulsatrice sviluppato in seno alla teoria della quantità di moto. Si definisce perciò δVA [m/s] l’incremento totale di velocità impresso sull’acqua dall’elica immersa nella scia di carena, e si calcola poi come kmδVA l’incremento parziale di velocità che si realizza ad una certa distanza alle spalle del disco dell’elica, km rappresenta infatti il coefficiente correttivo per tenere conto della posizione della pala a valle del disco dell’elica. Si ha perciò sulla pala del timone la velocità VA così calcolata: VR = VA + km δVA [m/s] (3.5.A) in cui il fattore km è desumibile dalla Tab.3.5.C, ove viene espresso in funzione del parametro kl definito come kl = l /De in cui l [m] è la distanza longitudinale fra l’asse di rotazione della pala ed il disco dell’elica e De [m] è il diametro dell’elica. Si osservi che il fattore km , come previsto dalla teoria della quantità di moto, assume il valore 0,5 sul disco dell’elica e tende ad 1,0 al crescere di kl, assumendo il valore di circa 0,96 per kl = 1. POSIZIONE km 0 ≤ kl ≤ 0,25 0,50 + 2,04 kl − 3,52 kl 2 0,25 ≤ kl ≤ 1,0 0,79 + 0,45 ( kl − 0, 25 ) − 0,30 ( kl − 0, 25 ) TABELLA 3.5.A 2 Fattori di correzione del flusso dell’elica. Una formula alternativa per valutare il recupero di velocità alle spalle dell’elica è la seguente: k m = 0,5 + 0,5 1 + 0,15 kl [m/s] (3.5.B) Secondo la teoria della quantità di moto, con riferimento al coefficiente di spinta CT [-] – definito come CT = T / (½ VA2ρAO), dove T [N] è la spinta dell’elica, AO [m2] è l’area del disco dell’elica e ρ [kg/m3] è la massa volumica del liquido –, si valuta l’incremento di velocità δ VA come: δVA = VA ( CT + 1 − 1) [m/s] (3.5.B) In cui è chiara la dipendenza dell’incremento di velocità δ VA dalla spinta per unità di superficie dell’elica. Spesso si preferisce esprimere l’incremento di velocità in funzione dei due parametri KT e J, ove KT è definito come (…) KT = T/ ρn2De4 da cui: δVA = VA ( (8 / π) ( K T / J 2 ) + 1 − 1) [m/s] (3.5.B) Da ciò consegue che sulla pala nella scia dell’elica si ha una velocità pari a VR = VA 1 + km ( CT + 1 − 1) [m/s] (3.5.C) mentre sulla parte di timone esterna al tubo di flusso dell’elica vale semplicemente VR = VA. L’applicazione della formulazione sopra esposta comporta una sovrastima del valore della velocità sulla pala, pari a circa il 30%. Ciò è dovuto essenzialmente al fatto che vengono trascurati gli effetti frizionali, le componenti di velocità radiale e rotazionale del flusso che lascia l’elica e il fatto che il flusso non è continuo ma periodico, dipendente cioè dal numero delle pale. In generale, con riferimento ad un timone e ad un’elica dalle geometrie ben definite viene caratterizzato in funzione del parametro KT/J2. Ciò significa che le curve caratteristiche della pala, che forniscono l’andamento delle forze idrodinamiche in funzione dell’angolo di attacco, sono parametrizzate con il valore della spinta per unità di superficie dell’elica. In alternativa, formulazioni più semplificate forniscono correzioni semi-empiriche della velocità di flusso libero, proposte per diverse configurazioni (nave dislocante o semi-planate o planante, nave monoelica o bielica, etc.), attraverso il rapporto VR/VA oppure VR/VS. L’aumento della portanza nella scia dell’elica è più accentuato se il timone si estende oltre il tubo di flusso dell’elica, sia verso l’alto sia verso il basso. A tale proposito va tenuto conto della contrazione della scia. Nell’ambito della teoria della quantità di moto, in base a semplici considerazioni di conservazione della massa lungo il tubo di flusso, si può ottenere il fattore di contrazione in funzione del parametro km. In base a quanto detto, risulta evidente che il timone sperimenta un recupero maggiore di velocità se è posto sufficientemente lontano dall’elica (ad una distanza pari ad almeno un diametro dell’elica), mentre è evidente che tanto più è vicino all’elica, tanto maggiore è l’effetto di recupero di efficienza propulsiva. Inoltre, la vicinanza all’elica può comportare deleteri effetti di erosione e vibrazioni indotte dal flusso disomogeneo dell’elica. Un altro fenomeno importante nel funzionamento del timone è quello legato alla cavitazione. Infatti, quando localmente la pressione assoluta scende al di sotto della tensione di vapore dell’acqua si formano bolle di vapore. Si rammenta a riguardo che nelle condizioni standard (temperatura di 15°C), la tensione di vapore pV dell’acqua di mare è di 1962 Pa, pari a circa il 2% della pressione atmosferica (patm = 101325 Pa), e varia in funzione della temperatura (la variazione è di ±1% rispetto alla pressione atmosferica). Queste bolle si formano nelle zone in cui si manifesta una depressione dinamica e vengono trasportate poi in zone dove la pressione è maggiore, dove possono implodere. L’implosione genera microscopici getti d’acqua ad alta velocità che possono colpire la pala, causando l’erosione della superficie della pala stessa (erosione che viene poi amplificata dalla corrosione) e vibrazioni che possono essere trasmesse allo scafo. Esistono diverse modalità di sviluppo della cavitazione sul timone: • la cavitazione a bolle sul dorso della pala − è legata alle modalità di funzionamento del profilo idrodinamico, infatti la presenza di una zona di depressione dinamica, con pressioni assolute negative, favorisce la formazione di bolle di vapore. La cavitazione sul dorso causa, oltre ad erosione, anche una modifica dell’intero campo di pressioni poiché viene favorito il distacco dello strato limite sul dorso stesso (come conseguenza si riduce la portanza complessiva e aumenta la resistenza). • la cavitazione associata alle scie vorticali − si verifica poiché nel cuore di un vortice, dove il campo di velocità è in condizione di massimo, si possono creare forti depressioni dinamiche e quindi veri e propri “tubi di cavitazione”. La formazione di vortici si verifica nelle zone di discontinuità della pala, soprattutto alle estremità del bordo inferiore e tra la pala e gli elementi fissi di sostegno, oppure trae origine dalle estremità delle pale dell’elica e dal mozzo della stessa. L’analisi della propensione alla cavitazione viene fatta solamente sui timoni che risultano particolarmente caricati in virtù delle condizioni di funzionamento e della forma della distribuzione di pressione tipica del profilo utilizzato. Tale valutazione viene fatta analizzando la depressione che nasce sul dorso della pala: esistono infatti utili diagrammi che, in funzione del tipo di profilo e del carico che si realizza sulla generica corda (portanza locale), forniscono il valore della depressione idrodinamica estrema –∆pM che si realizza sulla pala. È interessante notare che in questi grafici la depressione dinamica viene espressa in funzione della portanza specifica, in modo da prescindere dalle particolari condizioni di funzionamento del profilo (tipo di flusso, velocità del flusso, forma della pala, angolo di attacco). Il valore così ottenuto per la depressione massima –∆pM sul dorso del profilo deve poi essere sommato algebricamente al battente statico po ed al valore della pressione atmosferica patm, per essere infine confrontato con la tensione di vapore pV dell’acqua di mare alla massima temperatura di esercizio. Per non incorrere nella cavitazione deve verificarsi che: −∆pM + po + patm > pV [Pa] (3.5.D) In virtù delle approssimazioni nel calcolo del flusso indotto localmente dall’elica, la pressione assoluta su ogni punto della pala deve risultare ben al di sopra dello zero affinché vi sia certezza che la cavitazione non si inneschi. L’insorgere della cavitazione sui timoni è favorito da alti valori di velocità d’avanzo della nave e di carico dell’elica. Le situazioni più critiche sono quelle in cui questo fenomeno si manifesta anche per piccoli angoli di barra del timone: è il caso delle navi che hanno una velocità di crociera superiore a 22 nodi e timone nella scia di un’elica avente una potenza specifica superiore a 700 kW/m2. Sulle navi che hanno velocità di crociera più basse (ma superiori a 10 nodi) la cavitazione si verifica solamente ad elevati angoli di barra del timone, e quindi non interessa gli angoli di normale utilizzo per la correzione della rotta. Per quanto riguarda infine la cavitazione associata alle scie vorticali proprie del timone, si può ridurre solo con un buon progetto dei particolari costruttivi della pala adottando estremità di pala arrotondate. In alternativa, per la costruzione del mantello si devono usare materiali che rispetto all’acciaio dolce siano più resistenti all’erosione (acciai austenitici o alcuni tipi di bronzo), infatti i rivestimenti con vernici non risultano sufficientemente protettivi. 3.18 – La superficie idrodinamica articolata Il timone sospeso ha la configurazione più semplice fra quelle utilizzate per le navi, esso prevede infatti una superficie di controllo azionata e sostenuta da un’asta disposta verticalmente, collegata alla pala per mezzo di un accoppiatoio contenuto generalmente entro i mantelli. In alternativa, la pala viene sostenuta anche da strutture che fuoriescono dallo scafo, poste in corrispondenza del bordo di attacco nella parte alta o in prossimità del bordo inferiore: in questo modo l’asta viene sgravata di parte del carico trasmesso dalla pala (in particolare diminuisce il momento flettente sull’asta). Quando la struttura di supporto della pala si estende in maniera parziale lungo il bordo di attacco il timone viene detto su corno, quando invece la struttura di supporto corre dallo spigolo superiore a quello inferiore della pala il timone è detto su pinna. Le strutture di supporto poste lungo il bordo di attacco modificano anche significativamente le caratteristiche idrodinamiche della pala, partecipando alla generazione delle forze di portanza e di resistenza. Per questo motivo tali supporti vengono sagomati in modo da assumere una forma idrodinamica, possibilmente ben avviata con la pala allo scopo di costituire un unico corpo idrodinamico senza discontinuità o interstizi fra le parti. In alcune configurazioni si usa un sostegno inferiore, detto calcagnolo, costituito da una struttura ottenuta dal prolungamento della chiglia. Il calcagnolo non costituisce un ingombro per il flusso incidente sulla pala e quindi non richiede particolari sagomature. Dal punto di vista idrodinamico si distinguono perciò i timoni a superficie completamente mobile da quelli dietro superficie fissa, ovvero con sostegno lungo il bordo di attacco. In generale, la presenza di una superficie fissa avviata a prora del timone deve essere tenuta in considerazione nel calcolo delle caratteristiche della pala, perciò una pinna o un corno devono essere considerati a tutti gli effetti come facenti parte della pala. Concorrendo a determinarne tutte le caratteristiche morfologiche, essi devono essere conteggiati nel calcolo della lunghezza media della corda e della campata, del rapporto t/c, dell’area totale, dell’allungamento, della rastremazione e dell’angolo di abbattimento. D’altro lato, dal punto di vista costruttivo si parla di timoni sospesi, su pinna, su corno o su calcagnolo. È bene notare che il progetto strutturale e quello idrodinamico sono strettamente connessi, infatti una pala senza strutture aggiuntive di sostegno richiede un’asta di controllo e supporto più robusta perché soggetta, oltre che a carichi torsionali (immediata conseguenza dell’azione di controllo) anche a carichi flessionali. La presenza di strutture di sostegno sgrava parzialmente l’asta dalle azioni flessionali, permettendo così un dimensionamento più leggero della stessa. La differenza sostanziale tra timone sospeso e timone su sostegno riguarda il valore minimo realizzabile del rapporto di forma del profilo (che come noto dipende dal diametro dell’asta): dal punto di vista idrodinamico il rendimento della pala migliora se si utilizzano profili più sottili, anche se tale effetto positivo viene ridotto dalle maggiori perdite indotte dalle discontinuità fra le parti. Vale comunque, in generale, che le soluzioni con supporti sono da preferire quando si vuole aumentare l’affidabilità della struttura di sostegno del timone, infatti le forze si scaricano su una struttura portante più ampia ed efficace. Inoltre, la presenza di una parte fissa (corno o pinna) migliora le caratteristiche di controllo della rotta perché contribuisce alla stabilità dinamica della nave. Diverso è invece l’effetto dei supporti durante un’accostata, infatti l’angolo di attacco sulla parte fissa, a causa della deriva può diventare opposto a quello impostato sulla pala e, con il flusso che incide sul dorso nella parte fissa della pala articolata, la portanza si riduce. D’altro lato, se la parte fissa è molto estesa (per esempio lo skeg su cui sono fissati i timoni centrali sulle navi bielica), l’effetto che questa ha sulla pala è quello di ridurre l’angolo di deriva al timone durante l’accostata e così migliora il funzionamento del timone rispetto al caso in cui esso sia sospeso lontano dallo scafo. Prove sperimentali su timoni isolati e investiti da un flusso omogeneo sempre allineato con l’eventuale parte fissa, hanno mostrato che, a parità di area totale AR, una superficie completamente mobile realizza una portanza maggiore rispetto ad una parzialmente mobile, qualsiasi sia la percentuale di suddivisione tra area mobile AM ed area fissa AF (con AR = AM + AF). In particolare, tali esperienze, condotte su timoni con avviamento perfetto fra le parti, mostrano che la portanza, massima quando la superficie è completamente mobile, diminuisce all’aumentare del rapporto fra AF /AM. In Tab.3.15.A è riportato, in funzione del rapporto AM /AR, il fattore rL [-] che esprime il rapporto fra la portanza generata dalla superficie completamente mobile e quella generata dalla stessa superficie quando è parzialmente mobile (i valori sono indicativi). RAPPORTO fattore rL [-] TABELLA 3.15.A AM /AR 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1,0 0,75 0,85 0,92 0,97 1,0 1,0 Valori del fattore di riduzione della portanza. Questo profilo, formato da due corpi in cascata, presenta un angolo di attacco sulla parte prodiera che non è ottimale per la generazione della portanza perché, per un flusso proveniente nella direzione prora–poppa, è sempre nullo. Le cose poi non possono che peggiorare quando in accostata si è in presenza di un angolo di deriva. Come noto, l’effetto della deriva è quello di ridurre l’angolo di attacco sul timone, e ciò sulla parte fissa si traduce automaticamente in un angolo di attacco opposto rispetto a quello della pala. A ciò si aggiunga che la resistenza indotta aumenta a causa delle zone di discontinuità, sia per effetto degli interstizi fra la pinna e la pala, sia per effetto dell’eventuale grado di compenso del timone, che crea un ulteriore disallineamento fra le parti. In realtà infatti tra dorso e ventre si crea un vaso di comunicazione, che è sempre più grande all’aumentare dell’angolo di barra, e di conseguenza si ha una riduzione dei campi di pressione idrodinamica. Ma la presenza di una parte fissa davanti al timone non è di per sé un fatto negativo, infatti l’aggiunta di una parte fissa, avviata con continuità di fronte all’intero bordo di attacco, ha l’effetto di aumentare l’area della superficie complessiva di controllo. Prove sperimentali hanno mostrato che fra un timone di area AM completamente mobile e lo stesso timone di area AM preceduto da una pinna di area AF, quest’ultimo genera una portanza maggiore anche se a fronte di una maggiore resistenza. In conclusione, una volta fissata l’area per esigenze evolutive, si può pensare di posizionare di fronte alla pala una pinna per migliorare sia la generazione della portanza, sia il controllo di rotta. Un caso tipico è quello dei timoni fissati direttamente a carena su uno skeg, in cui la pala viene a funzionare come un flap dell’intera carena – ovviamente in queste configurazioni i timoni non possono sfruttare la scia dell’elica. Un’alternativa più interessante è quella costituita dal timone su corno, preferibile sia perché, a parità di area totale AR la parte fissa è più piccola in quanto si estende per circa metà altezza della campata, sia perché la parte inferiore della pala non trova davanti a sé alcun ostacolo. A ciò si aggiunga che il corno è una struttura più tozza e robusta di una pinna e quindi è meno sollecitata (si pensi alla flessione indotta dalla pala) e più facile da realizzare. Con la configurazione su corno si ottiene una maggiore portanza rispetto ad un timone di uguale area totale AR ma su pinna. Per quanto riguarda la resistenza, diversi sono i fenomeni che la determinano ed è difficile dire se essa aumenti o diminuisca: da un lato essa aumenta perché risente della presenza deleteria della zona di discontinuità alla base del corno, dall’altro essa si ricuce grazie alla diminuzione del disallineamento fra parte mobile e fissa sia per la minore estensione del supporto, sia per l’avvicinamento dell’asse di rotazione al bordo di attacco. Complessivamente il rendimento del timone su corno é migliore di quello su pinna, essendo la pinna più intrusiva sul funzionamento della pala. Va osservato che l’asta può essere avvicinata al bordo di attacco della parte mobile nella zona alta, in quanto la compensazione è realizzata solamente nella parte inferiore: tali timoni si dicono per questo motivo timoni semi–compensati. I timoni navali, se non sono sospesi, sono generalmente su corno, infatti tra le due configurazioni la seconda presenta i seguenti pregi: • garantisce migliori doti di controllo della rotta, • consente di mantenere un favorevole rapporto di forma del profilo, • possiede una maggiore affidabilità strutturale, seppure a scapito di un rendimento idrodinamico minore. Le configurazioni su calcagnolo sono limitate a casi particolari in cui tra le finalità del progetto vi sia quella di creare un pozzo dell’elica chiuso, infatti il calcagnolo è di per sé un elemento strutturale delicato che per aggiunta si trova in una zona estremamente critica. Poche sono le prove sperimentali disponibili sul comportamento dei timoni su corno. Fra esse si ricorda un interessante studio condotto da Goodrich e Molland su una serie di timoni su corno provati in galleria del vento in condizioni di flusso isolato. Tali esperienze sono state effettuate su pale in scala, avvicinate ad una superficie piana, in modo da simulare l’interazione del timone con la volta di poppa, ed investite da un flusso avente un Numero di Reynolds di poco superiore ad 1⋅106 allo scopo di ridurre il più possibile l’effetto scala. Le tre configurazioni studiate sono tutte su corno con pale aventi caratteristiche geometriche identiche se non per quanto riguarda il rapporto di rastremazione. Le prove sono state effettuate, per diversi angoli di deriva al corno (fino ad un massimo di ±15°), al variare dell’angolo di barra relativo al corno (con un intervallo costante di 2,5°). Le forze sono state misurate con celle di carico sia sull’asta di sostegno della pala, sia sulla pala, rendendo disponibili dati parziali per il contributo delle due superfici, quella fissa e quella mobile. In un secondo momento, allo scopo di poter confrontare tali contributi parziali, i coefficienti idrodinamici sono stati calcolati utilizzando come superficie quella totale (pala + corno). Tra i risultati significativi delle prove si menzionano i seguenti: • la portanza generata complessivamente dal timone quando viene aggiunto il corno aumenta, assieme alla resistenza, purché l’angolo di attacco sul corno (ossia l’angolo di deriva) si mantenga positivo, infatti la presenza di un angolo di deriva negativo sul corno, come succede in accostata, fa diminuire la portanza; • il centro di pressione risente della presenza del corno, spostandosi in avanti e verso l’alto quando viene considerata anche la parte fissa (inoltre il centro di pressione si muove molto al variare dell’angolo di barra); • facendo ruotare il corno assieme alla pala si ottiene una portanza maggiore ed un rendimento maggiore rispetto al caso di pala mobile e corno fisso; • la chiusura dei meati fra il dorso ed il ventre della pala fa aumentare il gradiente di crescita della portanza e fa diminuire la resistenza. In generale è molto difficile avere a disposizione dati sulle caratteristiche idrodinamiche dei timoni semi–compensati, di conseguenza è spesso necessario ripiegare su metodi approssimati. Una via è quella di calcolare le caratteristiche idrodinamiche di un timone di area uguale e completamente mobile, salvo poi correggere con un fattore stimato rL la portanza generata dalla zona alta, che può essere percentualmente valutata ipotizzando una distribuzione lineare lungo la campata. Inoltre, nel progetto strutturale si può ricorrere all’assunzione conservativa di considerare la superficie idrodinamica come se fosse tutta mobile. Per quanto riguarda la valutazione della posizione del centro di pressione CP del timone su corno o su pinna, in prima approssimazione si può supporre che essa corrisponda a quella del timone a superficie completamente mobile. Ciò comporta che il centro di pressione della sola parte mobile sia spostato a poppavia, e tale circostanza va tenuta in considerazione quando ci si appresta a definire il grado di compenso della pala – riferito ovviamente alla sola parte mobile. In generale, un timone all movable ha un grado di compenso massimo compreso fra il 23 % ed il 30 %, in funzione del tipo di profilo e del grado di instabilità che si vuole accettare. Un timone su pinna o su corno ha generalmente un grado di compenso minore, compreso fra il 18 % ed il 24 %, per limitare il disallineamento fra parte fissa e parte mobile e, per timoni su corno, anche per esigenze di robustezza della parte inferiore della pala. Quando il momento evolutivo generato da una pala non è sufficiente a conferire alla nave le qualità evolutive richieste, e contemporaneamente non è possibile aumentare la superficie della pala, l’unica soluzione è quella di ricercare un profilo con una portanza specifica superiore. Ciò conduce all’utilizzo di pale con flap di coda. In tali configurazioni l’avviamento tra i due profili, quello principale e quello di coda, viene fatto con precisione e la pala si comporta quindi come se fosse formata da un unico profilo asimmetrico avente la freccia delle corda variabile, sul quale il flusso incide con un angolo di attacco non nullo già sul bordo di ingresso. Tale circostanza fa si che alla portanza generata per effetto dell’angolo di attacco si aggiunga il contributo della freccia del profilo e ciò assicura valori di portanza che possono essere il doppio di quelli di pale uguali ma a superficie non articolata. Va però osservato che anche la resistenza tende ad aumentare, comunque la scelta di un profilo con flap è in genere dettata da considerazioni di necessità e non dalla ricerca di un basso rendimento. Le caratteristiche idrodinamiche del timone con flap dipendono dalla percentuale di superficie di flap ATF rispetto alla superficie mobile totale, e dal grado di compenso del flap. In ogni caso la portanza massima con flap è significativamente maggiore rispetto al caso di superficie completamente mobile: il massimo guadagno si ha con il rapporto ARF /AR = 0,20. Il grado di compenso del flap viene generalmente mantenuto basso anche per non aumentare il disallineamento, mentre il grado di compenso totale sull’area AR raggiunge valori molto elevati (circa il 45%) poiché il centro di pressione totale si sposta verso poppavia per effetto della curvatura. Per questo motivo è conveniente che tali pale abbiano profili con massimo spessore spostato verso il centro della corda e che non siano presenti supporti fissi di fronte al bordo di attacco. Le curve idrodinamiche per questo tipo di pala vengono diagrammate sia in funzione dell’angolo αTF di inclinazione del flap (angolo relativo al diametrale della pala), sia in funzione dell’angolo α di attacco del flusso sulla pala principale. Utilizzando uno dei due angoli come parametro si possono visualizzare le possibili condizioni di lavoro del timone ed è interessante al proposito analizzare l’andamento delle curve di portanza: • la curva per α = 0 mostra la portanza ottenuta con la sola inclinazione del flap; essa è caratterizzata da un andamento simmetrico rispetto alla posizione al centro; • la curva per αTF = 0 mostra la portanza ottenuta con l’inclinazione del flap in maniera solidale alla pala; essa è caratterizzata da un andamento simmetrico rispetto alla posizione al centro; • le curve ottenute con il flap a diversi angoli di inclinazione sono asimmetriche e appaiono ottenute attraverso traslazioni proporzionali al valore dell’angolo αTF . Infine, l’analisi delle curve di resistenza rende palese che la situazione di minima resistenza è quella che corrisponde alla situazione di flap solidale alla pala. Appare perciò evidente che, definendo un’opportuna legge che leghi l’angolo del flap a quello di barra, legge del tipo αTF(α), si può ottenere una curva di portanza che ottimizzi il comportamento del profilo in cascata, con un gradiente di crescita particolarmente alto fino allo stallo. Proprio per sfruttare questa possibilità e considerando che il timone con flap a doppio comando richiede un meccanismo complesso e delicato, è stata ideata una variante nella quale il timone viene realizzato con un meccanismo piuttosto semplice che lega l’angolo relativo αTF tra il flap e la pala all’angolo di barra, in modo che il flap assuma un valore prestabilito per ogni angolo di barra impostato. Si raggiunge così lo scopo di coniugare la semplicità del sistema di controllo, limitato all’asta principale, con elevate portanze specifiche, alto valore del gradiente di crescita della curva di portanza ed un angolo di stallo invariato. Questi timoni portano il nome dell’inventore e sono noti come timoni Lumley, furono ideati a metà del secolo scorso (1864) e sono tuttora prodotti da diverse aziende. Si ricorda infine che sono stati ideati anche timoni con flap posto sul bordo d’ingresso, ma tali soluzioni, pur efficaci a migliorare le caratteristiche della pala, sono da evitare per questioni di sicurezza essendo il bordo di ingresso della pala soggetto all’impatto con oggetti trasportati dal flusso che lo lambisce. 3.19 – Il progetto della pala Il timone deve essere progettato considerando una serie di vincoli progettuali di diversa natura. Come per ogni altro impianto della nave l’insieme della pala, dell’asse, delle strutture di supporto, dei cuscinetti e dell’agghiaccio deve essere progettato in modo da offrire il minor ingombro e il minor peso. Inoltre, deve essere particolarmente affidabile, poiché la perdita della capacità di governare rappresenta un serio pericolo per la nave, perciò il progetto deve essere semplice e ridondante, il che si traduce in una struttura dalla morfologia non complessa e dimensionata con coefficienti di sicurezza elevati. Come per ogni prodotto commerciale i costi di produzione ed i previsti costi di gestione devono essere contenuti. Il timone deve essere posto all’interno della volta di poppa, ad opportuna distanza dalla linea di base, dallo specchio di poppa e dall’elica. La distanza minima dalla linea di base è dettata da esigenze di sicurezza, lo scopo è di evitare che il timone venga danneggiato da un eventuale incaglio o durante le operazioni di immissione nel bacino di carenaggio, perciò si fa in modo che il suo bordo inferiore sia rialzato rispetto alla chiglia di circa 150÷200 mm. Analogamente il timone deve essere rientrante dallo specchio di poppa per ridurre il rischio di danni e per sfruttare appieno l’effetto specchio. Infatti, la radice del timone deve essere prossima alla volta di poppa per sfruttare l’effetto specchio, ma deve stare ad una opportuna distanza dalla superficie libera, per ridurre gli effetti della ventilazione, oltre che per evitare che la pala risenta dei colpi di mare o che venga investita da corpi galleggianti. La distanza dall’elica deve essere opportunamente calibrata per sfruttare al massimo l’effetto della scia senza incorrere in vibrazioni eccessive indotte sul mantello della corrente vorticosa prodotta dall’elica: questo campo alternato di pressioni può possedere infatti armoniche prossime alle frequenze naturali della struttura globale della pala o degli elementi strutturali del mantello. Nel complesso, la trasmissione delle vibrazioni allo scafo deve essere minimizzata, soprattutto quando queste provocano problemi di abitabilità (altre vibrazioni o rumore strutturale possono essere anche indotti dal macchinario di controllo della pala). Per quanto riguarda la configurazione della pala, dal punto di vista commerciale i timoni convenzionali sono quelli su cui ricade generalmente la scelta degli armatori. Il timone di più semplice costruzione, e quindi meno costoso, è sicuramente quello a superficie completamente mobile, il vantaggio economico viene reso però meno attraente dal rischio di carenza di robustezza dell’asse di controllo. L’asta del timone deve infatti sopportare forti sollecitazioni flessionali oltre che torsionali e la sua capacità può essere ridotta da fenomeni di fatica. Non è da trascurare inoltre il rischio dello sfilamento accidentale del timone nel caso che la nave sia soggetta a condizioni di mare particolarmente avverse e l’impianto non sia ben mantenuto. Dal punto di vista idrodinamico è preferibile un timone sospeso se il rapporto di forma del profilo è tale da garantire una sufficiente efficienza, ma l’affidabilità del sistema di controllo migliora se è presente un sostegno aggiuntivo oltre all’asta. Per questioni di sicurezza, e sulla base delle motivazioni sopra esposte, sulla maggior parte delle navi mercantili e militari viene preferita la soluzione su corno, che rappresenta un buon compromesso tra la soluzione su pinna e quella di timone sospeso. L’uso del calcagnolo comporta un migliore effetto sgravante per l’asta, ma introduce all’estrema poppa un elemento strutturale snello e delicato, che non ha sufficiente robustezza per far fronte a carichi accidentali come quelli dovuti ad un incaglio. Quest’ultima soluzione non viene usualmente considerata, se non su navi di piccole dimensioni, infatti quando le forze in gioco non sono particolarmente elevate il calcagnolo può essere progettato con una sufficiente sicurezza senza essere eccessivamente appesantito, e può costituire una protezione per l’elica e il timone, per esempio per i pescherecci. Le navi monoelica hanno generalmente un solo timone, a centro nave e quindi nella scia dell’elica. Le navi bielica possono avere uno o due timoni: un solo timone dietro lo skeg di carena, e quindi strutturalmente ben sostenuto, conferisce migliori caratteristiche di controllo della rotta; due timoni nelle scie delle eliche hanno una migliore efficacia idrodinamica e conferiscono alla nave migliori doti di manovrabilità, causando però un aumento della resistenza aggiunta di carena. Si ricorda che per ciascun timone deve essere definito un piano di riposo di minore resistenza, in genere inclinato di pochi gradi (1°÷3°) rispetto al piano diametrale della nave. La maggiore sicurezza derivante dalla ridondanza comporta maggiori costi che si giustificano, in genere, solo per le navi militari e per le passeggeri (ma più di recente anche per le grandi navi petroliere). Per quanto riguarda la scelte delle caratteristiche morfologiche della pala, valgono le seguenti considerazioni generali: • profilo – per timoni convenzionali si usano i profili NACA 4–digit; solo per motivi particolari si utilizzano profili diversi: per evitare l’insorgere della cavitazione o per ottenere coefficienti di portanza particolarmente elevati (in tal caso si usano anche pale con flap). Il rapporto di forma del profilo non deve essere elevato. La lastra piana si utilizza quando non si è interessati al rendimento del timone. • allungamento della pala – deve essere il più possibile elevato, compatibilmente con la dimensione del diametro dell’elica: la parte di pala al di fuori del disco dell’elica risulta infatti poco efficace. Per questo motivo il timone può essere collegato alla volta di poppa da una pinna superiore fissa, avente lo stesso profilo idrodinamico della pala in modo da mantenere un favorevole allungamento effettivo. Questa configurazione è sempre auspicabile quando la volta di poppa è poco profonda rispetto al galleggiamento ed è conveniente quando l’area necessaria ad ottenere l’effetto evolutivo desiderato può stare tutta a poppavia del disco dell’elica. • sviluppo planare – la pala è sempre a spigoli diritti, con una opportuna correlazione fra rastremazione ed abbattimento. Considerazioni di economicità costruttiva o di robustezza possono fare optare per pale rettangolari ad abbattimento nullo. Il rapporto di forma del profilo deve essere mantenuto costante lungo la campata. • grado di compenso – deve essere il maggiore possibile per avere minori spese di funzionamento e di installazione dei macchinari di agghiaccio (accettando eventualmente anche un certo grado di instabilità iniziale) ma, per i timoni su corno, compatibilmente con fattori di robustezza ed efficienza. Si osservi che l’allungamento del profilo e quello della pala sono fra loro legati. Il timone verticale viene infatti collocato nella volta di poppa, a poppavia dell’elica e, per quanto possibile, nella sua scia, perciò può avere una corda massima pari alla distanza tra l’elica e la volta di poppa, al netto delle luci necessarie. In direzione verticale l’altezza della volta di poppa ed il diametro dell’elica sono le dimensioni che obbligano la scelta della campata. Il terzo elemento fondamentale per la definizione delle caratteristiche geometriche della pala è costituito dal diametro dell’asta che si collega alla pala, in genere infatti per ottenere un collegamento avviato è necessario che la parte superiore della pala sia in grado di alloggiare l’accoppiatoio dell’asta. La bontà del progetto del timone di una nave si misura con la capacità della pala di generare, nell’interazione col flusso d’acqua, la forza necessaria al controllo della rotta e all’accostata. Più precisamente tale operazione deve avvenire con un elevato rendimento della pala e, se possibile, con piccoli angoli di barra per avere una minore usura dell’impianto di manovra. In genere la scelta del tipo di timone e delle sue caratteristiche deve basarsi sul profilo di missione della nave, favorendo le esigenze di controllo della rotta o quelle di manovrabilità in acque ristrette, tenendo in conto anche l’eventuale presenza di eliche trasversali. La pala deve cioè essere ottimizzata per il controllo della rotta o per la manovra, ricercando, nell’intervallo degli angoli di attacco di lavoro, il valore migliore del rendimento. In una nave che ha esigenze di stabilità di rotta, la pendenza della curva di portanza in funzione dell’angolo di barra è essenziale. Va quindi preferito un timone con un alto allungamento anche se lo stallo interviene prima dll’angolo di barra massimo. Se invece la nave fa un servizio tipo feeder, la manovrabilità è una qualità più importante e il valor della forza utile massima è più significativo e quindi è più accettabile un basso allungamento che non rischi di dare origine ad una situazione di stallo quando il timone lavora in fase di yaw checking. Il procedimento di progetto è un processo iterativo di ottimizzazione che prevede le seguenti fasi: • la scelta dell’area totale del timone in base al confronto con navi simili; • la definizione delle condizioni di lavoro e dei vincoli dimensionali, e conseguentemente della massima area disponibile per la pala; • la scelta della tipologia di timone, del profilo e dello sviluppo planare (se l’area disponibile per la pala è sufficiente si considera un timone convenzionale); • il calcolo della forza idrodinamica trasversale FT generata dalla pala al variare dell’angolo, caratterizzata essenzialmente dal gradiente di crescita ai bassi angoli (∂FT /∂α)α = 0 [N/grado] e dal valore massimo FT,max [N]; • la valutazione del valore minimo YO [N] della forza trasversale di controllo Y [N] richiesta per avere buone doti di evoluzione della nave nelle più gravose condizioni di navigazione previste (la forza Y non è altro che la forza richiesta per generare il momento evolutivo che soddisfa ai criteri di manovrabilità), e la valutazione del minimo gradiente di crescita delle forze di controllo (∂Y /∂α)α = 0, utile per quantificare l’efficacia del timone nelle manovre di correzione della rotta; • la verifica delle forze di controllo in termini sia di valori massimi, sia di gradienti di crescita: FT,max ≥ YO ∂FT ∂Y ≥ ∂α α = 0 ∂α α = 0 [N] (3.16.A) [N/grado] (3.16.B) Come indicato nello schema del procedimento, il parametro con cui viene tarato il progetto è l’area della pala, essa rappresenta infatti la caratteristica da cui il progetto è maggiormente influenzato. Il metodo di previsione approssimata dell’area della pala si basa sul confronto con navi della stessa tipologia (per esempio portacontenitori, cisterne, bulk carriers) e quindi simili per carena, forma della volta di poppa, caratteristiche dell’elica, velocità ed esigenze evolutive, oltre che per tipologia di pala. Allo scopo di favorire la definizione dell’area del timone, i dati sulle navi esistenti sono stati raccolti in diagrammi o tabulati, esprimendo AR in funzione di un parametro ad essa strettamente legato: l’area del piano di deriva della nave APD [m2]. Essendo un dato di valutazione non immediata, può essere calcolato con buona approssimazione come prodotto fra l’immersione di progetto T [m] e la lunghezza della nave tra le perpendicolari LPP [m], perciò APD ≈ LPP T. Generalmente, per navi mercantili, AR non supera il valore di 1,5÷2,5% dell’area del piano di deriva. Si vedano ad esempio le formule proposte dai registri di classificazione, e tra queste la formula proposta dal DNV: AR = 2 B TL 1 + 25 LPP 100 [m2] (3.16.C) la quale introduce come fattore correttivo il rapporto B/LPP fra la larghezza B e la lunghezza LPP della nave, rapporto che, diminuendo per navi veloci, riduce il valore dell’area minima prevista. Si osservi infatti che, per navi della stessa tipologia, l’area del timone deve aumentare in maniera inversamente proporzionale alla massima velocità di servizio prevista. Questa formula è valida per timoni posti nel flusso dell’elica, in caso contrario il DNV propone una maggiorazione dell’area del 30%. Nota l’area, il progetto prosegue con la definizione dell’ingombro massimo, nel rispetto delle minime luci dallo scafo e dall’elica. Si osservi che la distanza minima consigliata dal Lloyd Register tra elica e pala è pari al valore del 12% del diametro dell’elica, e almeno una volta lo spessore massimo tM del timone. Si può quindi scegliere la lunghezza della campata e successivamente si può valutare la lunghezza della corda. Dall’allungamento geometrico si risale infine al valore dell’allungamento effettivo. Si passa poi alla scelta del minimo rapporto di forma del profilo, previo dimensionamento dell’asta con formule esatte o approssimate (quali quelle dei Registri di classificazione), utilizzando per il profilo la legge che si ritiene più opportuna e dopo aver definito il tipo di supporto della pala, il suo sviluppo planare ed il grado di compenso del timone. Si osservi che il diametro minimo così calcolato è tale da verificare le normative, esso rappresenta infatti quello previsto dal Registro e non quello calcolato sui carichi valutati per via diretta. Una volta che sono state fissate tutte le caratteristiche morfologiche della pala, il calcolo delle forze idrodinamiche viene svolto utilizzando i coefficienti idrodinamici di pala, corretti per la presenza della carena e dell’elica, oppure i coefficienti idrodinamici di profilo, corretti anche per tenere conto dell’allungamento effettivo. La forza trasversale utile, generata dal timone al variare dell’angolo di barra, deve essere ora confrontata con il valore della forza minima necessaria al controllo della nave nel rispetto delle qualità manovriere richieste dalle normative. Tale confronto di verifica viene effettuato in due fasi: • il valore massimo della forza trasversale utile (FT)max deve risultare maggiore della forza minima YO necessaria per generare l’accostata della nave, desunta da prove di evoluzione (e di zig–zag) effettuate su navi simili. • il gradiente medio della forza evolutiva sviluppata dalla pala per piccoli valori d’angolo di barra (ossia per α ≤ 5°÷10°) deve risultare superiore al tasso minimo di crescita necessario a generare forze di controllo adeguate per il controllo della rotta. Tale via è difficilmente percorribile a causa delle difficoltà correlate al reperimento di dati attendibili (anche per l’imprecisione dei modelli di previsione) relativi alle forze evolutive Y necessarie per garantire una buona manovrabilità nei rispetti delle normative vigenti. Un metodo alternativo a questa doppia verifica diretta è quello che fa riferimento al cosiddetto coefficiente di efficacia del timone cY [-], definito come: ∂L ∂α α = 0 cY = q APD [m2] (3.16.C) in cui q è valutato sulla base della velocità VA. Esso, come si vedrà oltre, ingloba i termini essenziali per la determinazione delle caratteristiche di manovrabilità offerte dal timone. Per esprimere il coefficiente di efficacia del timone in maniera più esplicita è necessario evidenziare le grandezze da cui dipende la forza di portanza. A tale scopo si consideri un timone con parte della superficie di pala, di area ARE, esposta al flusso dell’elica. La velocità media del flusso su tale area risulta espressa dall’Eq.3.5.C, mentre la velocità del flusso sull’area rimanente, indicata come (AR – ARE), si valuta con l’Eq.3.4.A: VR ARE = VA 1 + km ( CT + 1 − 1) [m/s] VR ( AR − ARE ) (3.16.D) = VA Richiamando l’espressione della portanza L in funzione del coefficiente di portanza cL e considerando separatamente i contributi della superficie nel flusso della carena e di quella nel flusso dell’elica, si può scrivere: 1 ρVR2 AR cL 2 1 = ρ cL VR2 ARE + VR2 AR − ARE ) ( A ( AR − ARE ) 2 RE L= [N] (3.16.E) e sostituendo le relazioni per la velocità in Eq.3.16.D, si ottiene l’espressione: L= ( ) 2 A 1 ρVA2 AR cL 1 + RE 1 + km ( CT + 1 − 1) − 1 2 AR [N] (3.16.F) in cui si può indicare con KE [-] il fattore di correzione della velocità del flusso che raccoglie gli effetti della presenza dell’elica: KE = 1 + ( ARE 1 + km ( CT + 1 − 1) AR ) 2 − 1 [-] (3.16.G) Infine, utilizzando le espressioni 3.16.F e 3.16.G il coefficiente di efficacia del timone si può riscrivere come: cY = AR ∂c KE L APD ∂α α = 0 [-] (3.16.H) dalla quale risulta evidente che il coefficiente cY riunisce i parametri principali per il progetto della pala, ossia: • l’area della superficie della pala (espressa in proporzione all’area del piano di deriva), che rende conto della forza massima di controllo sviluppabile dal timone; • il gradiente delle forze specifiche di controllo (espresso tramite il coefficiente di portanza che ben si presta ad approssimare il coefficiente della forza normale), che rende conto della velocità di risposta del timone in termini di generazione della forza per il controllo della rotta; ai quali si aggiunge il fattore KE che introduce le correzioni necessarie per considerare l’effetto dell’elica nella generazione di dette forze. Riguardo al gradiente di crescita delle forze va detto che esso serve a garantire un controllo veloce della rotta. Infatti, se sono sufficienti piccoli angoli di barra per ottenere le forze volute si ha il vantaggio di dover manovrare poco il timone e di generare tali forze in intervalli di tempo minori. Si ricorda che la velocità del timone è testata nel cosiddetto hard rudder test. Il percorso standardizzato che si basa sulla definizione del coefficiente di efficacia del timone prevede di confrontare il cY calcolato con il valore minimo cYO che, desunto da prove al vero su navi simili, garantisce alla nave le doti di manovrabilità richieste. I risultati delle prove per la valutazione di detto indice sono espressi in funzione dei parametri significativi della nave ai fini delle qualità manovriere. Tra i più importanti si menzionano: la massima velocità di servizio della nave VS, il coefficiente di finezza cB, il rapporto LPP/T ed il rapporto i/L (si rammenta che i [m] esprime il raggio di girazione di massa calcolato rispetto all’asse baricentrico verticale). Inoltre, quando la nave ha una superficie di vela AL [m2] molto elevata, il valore di verifica cYO è quello ottenuto da prove condotte in presenza di vento costante a diverse velocità, ed ai parametri significativi si aggiunge il rapporto AL/APD tra l’area longitudinale esposta al vento e l’area del piano di deriva. In ultima analisi, quando non sono disponibili né i valori delle forze di manovra Y, né il valore del minimo coefficiente di efficacia del timone cYO, non rimane che soprassedere alla fase di verifica, e la bontà del progetto rimane condizionata essenzialmente dalla scelta dell’area della pala AR: per questo motivo, almeno in tali casi, è necessario che i dati tramite i quali si opera la scelta dell’area di pala siano estremamente affidabili. 3.20 – La configurazione strutturale Per descrivere la configurazione strutturale del timone, comprensiva degli elementi di sostegno e controllo, è utile fare innanzitutto riferimento ad una configurazione semplice come quella utilizzata nelle prime navi in acciaio. Si tratta di una pala a semplice lastra piana, sostenuta da braccioli orizzontali che possono essere posti alternativamente da un lato e dall’altro e che sono fissati ad un sostegno verticale allineato al bordo di ingresso della pala. Tale sostegno, detto fusto o spalla, è collegato tramite cerniere al dritto di poppa, ove i cardini, detti agugliotti, sono costituiti da perni che ad una estremità hanno una sezione tronco–conica allo scopo di essere bloccati al fusto stesso o al dritto. All’altra estremità essi ruotano in alloggiamenti cilindrici, detti femminelle. L’ultima femminella in basso può essere ricavata nel prolungamento del calcagnolo, la struttura inferiore di chiusura del pozzo dell’elica. La rotazione del timone avviene per azione dell’asta o miccia collegata, a poppavia dell’asse di rotazione, alla radice della pala con una flangia verticale od orizzontale o con un accoppiatoio a parelle. Il sistema complessivo è perciò formato dall’asta e dalla pala che è sostenuta dal dritto di poppa tramite gli agugliotti. Esso per poter ruotare richiede ovviamente che l’asse dell’asta e l’asse degli agugliotti siano coincidenti. La configurazione di pala finora descritta è quella di pala a semplice lamiera, usata al giorno d’oggi solo su piccole imbarcazioni. La pala del timone di una moderna nave è infatti carenata, formata cioè da un mantello di fasciame stagno adagiato su una struttura interna di supporto. Inizialmente la struttura interna di sostegno del mantello ed il fusto costituivano un unico telaio, ottenuto per fusione. Ora il fusto non ha più ragione di essere presente poiché la pala è a struttura portante, costituita da diaframmi in lamiera, orizzontali e verticali, disposti cioè in modo da formare un grigliato. Essi devono essere allineati con le strutture di supporto della pala, sia l’asta sia l’eventuale corno, e devono essere disposti in modo da suddividere il mantello in pannelli di opportune dimensioni (indicativamente fra 600 mm e 900 mm, in funzione della dimensione della pala) e, quando possibile, di allungamento unitario. Il diaframma verticale posto in continuazione dell’asta deve essere particolarmente robusto e può essere eventualmente raddoppiato. I diaframmi orizzontali estremi sono anche detti coperchi. Infine, il bordo di uscita può essere ottenuto saldando uno sull’altro gli spigoli dei due semi–mantelli, oppure inserendo tra le due lamiere una lama. I mantelli vengono collegati ai diaframmi con saldature che solo su un lato possono essere fatte dall’interno: la saldatura del secondo lato del mantello viene effettuata dall’esterno con il sistema delle asole. In pratica, sui diaframmi vengono saldate delle piattabande in corrispondenza delle quali sul mantello vengono praticati dei fori: il collegamento del mantello viene fatto tramite cordoni di saldatura stesi tra lo spessore del mantello stesso e le piattabande. Invece di essere forato per ricavare delle asole, il mantello può essere tagliato in più pannelli in corrispondenza delle piattabande (sistema ad asola continua). In alternativa i diaframmi possono essere lavorati, su un lato, in modo da presentare degli occhielli sporgenti, in corrispondenza dei quali devono corrispondere le asole del mantello: la saldatura viene effettuata in maniera analoga e successivamente gli occhielli, che servono per forzare con dei cunei il mantello sui diaframmi, vengono tagliati. Sul mantello si possono individuare alcuni particolari, quali i fori di aleggio, i portelli per l’ispezione e lo smontaggio degli agugliotti o dell’asta, i fori di sollevamento. Inoltre, sul coperchio superiore ed a scafo sono fissati degli scontri di fine corsa per limitare l’angolo di barra del timone, a meno che l’agghiaccio non sia dotato di un proprio dispositivo di fine corsa. In alternativa, per i timoni su corno, gli scontri, compreso quello per evitare il sollevamento, possono essere previsti alla base del corno. Sul grigliato vengono saldati gli accoppiatoi tronco–conici per gli agugliotti e per l’asta (o la flangia per l’asta). Questi elementi, ottenuti per fusione, portano delle alette per il collegamento di testa delle lamiere dei diaframmi e sono eventualmente sagomati in modo da partecipare alla definizione della superficie avviata della pala (il loro ingombro trasversale è di circa 1,75 volte il diametro dell’asta). L’accoppiamento fra l’asta e la pala viene effettuato con sistemi oleodinamici, sia per il serraggio dei dadi, sia per la forzatura dell’asta entro l’accoppiatoio tronco–conico. L’asta di comando del timone entra a scafo attraverso un’apertura detta losca, un’appendice negativa di carena costituita da un volume non stagno ricavato entro l’avviamento del fasciame della volta di poppa. Il passaggio stagno dell’asta è garantito da un cuscinetto radiale munito di guarnizione a pressatrecce. Il pressatrecce è costituito da una serie di anelli di guarnizione intrisi di grasso, un tempo canapa oggigiorno anche fibre sintetiche, posti fra l’asta e il cuscinetto e tenuti in posizione da due semi–anelli fissati al cuscinetto con viti prigioniere. L’asta prosegue poi fino al ponte che ospita l’impianto di timoneria o agghiaccio, ove è sostenuta da un cuscinetto radiale e da uno assiale (il reggispinta) che regge, oltre al peso dell’asta, anche quello della pala. La forza verticale è costituita dal peso proprio del timone ridotto della spinta archimedea sulle parti immerse e può essere aumentata o diminuita dall’effetto delle forze inerziali. Il cuscinetto assiale viene anche detto capodrina e deve essere corredato da uno scontro per impedire il sollevamento del timone quando prevalgono le forze verso l’alto. In alcune sistemazioni particolari i cuscinetti di losca e di agghiaccio possono essere sostituiti da due cuscinetti in unico lungo astuccio, munito inferiormente di guarnizione stagna. Infine, all’estremità superiore dell’asta è calettata la barra di comando, sulla quale agiscono gli attuatori dell’agghiaccio. L’asta è in acciaio, ottenuta per fucinatura, laminazione o fusione, e presenta una sezione circolare costante, eventualmente rastremata tra i cuscinetti di losca e di agghiaccio, zona nella quale il momento flettente è generalmente basso. I cuscinetti radiali sono formati da una boccola calettata nella camicia saldata su una struttura di supporto e hanno un’altezza massima pari a circa 1,0÷1,2 volte il diametro dell’asta poiché non devono interferire con quest’ultima quando si flette sotto l’azione del carico. Essi sono del tipo a strisciamento e l’usura è contrastata da una piccola quantità di lubrificante, generalmente grasso ma anche acqua di mare. Ciò è reso possibile dal fatto che su di essi in genere si realizzano valori di pressione e di velocità relative non elevati. La pressione convenzionale p agente su un cuscinetto radiale è definita come il rapporto tra la forza radiale scaricata sul cuscinetto e l’area della superficie cilindrica del cuscinetto proiettata sul piano contenente l’asse, in altre parole l’area ottenuta dal prodotto tra l’altezza del cuscinetto ed il suo diametro. In luogo del prodotto fra pressione e velocità relativa (indicato usualmente con la sigla PV), trattandosi di sistemazioni con basse velocità relative tra l’albero e il cuscinetto, la scelta del materiale viene fatta confrontando la massima pressione ammissibile con quella prevista (quest’ultima è nota una volta che è stata valutata la reazione vincolare che matura sul cuscinetto di supporto). Per le boccole nelle quali deve strisciare l’albero si utilizzano perciò materiali che necessitano di una minima lubrificazione. Il cuscinetto assiale è anch’esso del tipo a strisciamento (ma può anche essere a rulli su piccole imbarcazioni). Un tempo i cuscinetti erano anche formati da un corona di doghe in legno duro (legno santo o lignum vitae) alloggiate in una camicia di bronzo. Anche l’asta aveva una camicia in bronzo o in ottone, la lubrificazione era ottenuta con acqua di mare ed il bronzo era inserito per evitare problemi di corrosione dell’acqua sull’acciaio. Un buon materiale per i cuscinetti dei timoni deve possedere in generale basso coefficiente di attrito statico e dinamico, durezza sufficiente, buona resistenza all’usura e alta resistenza all’ambiente corrosivo marino e stabilità di prestazioni anche a basse temperature. È inoltre preferibile che il materiale abbia buone caratteristiche di auto–lubrificazione in modo da non dover installare impianti di lubrificazione ad olio. Nelle nuove costruzioni i cuscinetti possono avere boccole in metallo bianco (lega antifrizione di rame, stagno, piombo e antimonio) oppure in materiali sintetici. Tra queste si ricordano, in ordine crescente di durezza – e quindi di capacità di sopportare carico radiale – i policarbonati, il Nylon, il PTFE (Teflon) e le resine fenoliche. Altri materiali usati sono quelli metallici. Il legno ed il metallo bianco sopportano pressioni di lavoro piuttosto basse, pari a 2,5 N/mm2 per il legno santo ed in 4,5 N/mm2 per il metallo bianco lubrificato ad olio. Va osservato che la lubrificazione ad olio su boccola in metallo bianco è preferibile laddove vi sia una velocità relativa di rotazione pressoché costante perché in tal modo si dà la possibilità all’olio di formare una sottile pellicola fra le parti in movimento reciproco. Nel caso del timone, dal momento che la rotazione è non è continua e spesso si inverte fra un azionamento e l’altro, questa soluzione non porta in genere alcun vantaggio, richiedendo altresì un impianto di riempimento e circolazione dell’olio. Per quanto riguarda le resine sintetiche, si considerano adeguati all’uso quei materiali che garantiscano pressioni di contatto ammissibili di almeno 5,5 N/mm2 e che abbiano nel contempo durezze “Shore D” pari ad almeno 60÷70. I materiali sintetici soffrono, rispetto a quelli metallici, di limitazioni nelle temperature di utilizzo, di minore stabilità dimensionale e di minor capacità di carico (hanno cioè pressioni convenzionali limite più basse), d’altro lato sono però più economici. Fra questi il più utilizzato è il PTFE che è auto–lubrificante, ha un coefficiente di frizione eccezionalmente basso, una buona resistenza agli attacchi chimici e stabilità in un ampio intervallo di temperature (fino a circa 250°C) ma per contro ha una bassa resistenza meccanica (circa 4,5 N/mm2). Per questo motivo si ricorre a materiali compositi con PTFE: • PTFE caricato – viene addizionato con altri materiali, fibra di vetro, carbone o grafite in forma di polveri, allo scopo di aumentare la resistenza meccanica, ottenendo così pressioni limite di esercizio di circa 11,0 N/mm2. In alternativa il PTFE costituisce un legante per materiali metallici porosi (come per esempio il bronzo) permettendo di costruire cuscinetti con uno strato superficiale a bassa frizione (si osservi che il supporto in bronzo ha lo scopo di migliorare le caratteristiche meccaniche e di favorire l’asportazione di calore). • tessuto di PTFE – nella forma di tessuto è in grado di sostenere carichi elevati e può essere intrecciato con fibre naturali o sintetiche o ancora con fibra di vetro; in questa forma viene sostenuto da una camicia di acciaio. Le pressioni limite di esercizio sono in questi casi ancora più elevate. Anche il Nylon viene usato per fabbricare boccole per cuscinetti: è auto–lubrificante, ha un basso coefficiente d’attrito, la resistenza meccanica assieme alla resistenza all’usura vengono migliorate con additivi ma le temperature massime di esercizio rimangono basse (circa 90°C). Al giorno d’oggi il Nylon è usato in luogo del PTFE caricato quando le temperature di esercizio non sono alte e va a sostituire i cuscinetti fatti da fibre naturali o sintetiche annegate in matrice fenolica, che, pur economici, sono però caratterizzati da una bassa conducibilità termica e necessitano di lubrificazione ad olio. Quando le pressioni di esercizio sono alte, ossia per timoni di grandi dimensioni, le boccole possono essere costituite da bronzo, acciaio inossidabile (o acciaio resistente all’usura) o infine da materiali ottenuti per sinterizzazione. Nel complesso questi materiali sono ritenuti adatti all’utilizzo nei cuscinetti dei timoni se la loro pressione convenzionale massima è di almeno 7,0 N/mm2. La sinterizzazione è un procedimento della metallurgia delle polveri con il quale si ottiene un intimo legame fra componenti diversi tramite una specie di pressatura a caldo. Con questo procedimento si ottiene una struttura molto porosa, i vuoti arrivano infatti al 10÷35 % del volume totale, che può assorbire e trattenere il lubrificante per azione capillare. I materiali di sinterizzazione per la costruzione di cuscinetti sono a base di bronzo o di ferro. In particolare, il bronzo (90% rame, 10% stagno) si presta alla produzione di cuscinetti che hanno buona resistenza alla corrosione ed all’usura e l’aggiunta di grafite riduce il fattore d’attrito. Per quanto riguarda le guarnizioni si usano sia fibre naturali (canapa sativa), sia materiali sintetici. Fra questi si rammentano le trecce formate da fili in PTFE che hanno elevata resistenza agli agenti chimici, alta resistenza meccanica e qualità antifrizione elevatissime (non necessitano infatti di lubrificazione). Si osservi che se il cuscinetto non è auto–lubrificante (e quindi non è sufficiente la presenza di acqua di mare o di grasso) allora anche all’esterno va posta una tenuta per evitare che l’acqua di mare si misceli con l’olio di lubrificazione. L’asta e gli agugliotti vengono superficialmente rinforzati in corrispondenza dell’accoppiamento con i cuscinetti radiali per proteggerli, a scapito dei cuscinetti, dai danni causati dall’usura. In genere è previsto un indurimento superficiale ottenuto con procedimento di cementazione o di nitrurazione, oppure anche una camicia o un riporto in acciaio inossidabile (l’indurimento della superficie di contatto è indispensabile quando si usano boccole metalliche). Il momento resistente di frizione sull’asta viene calcolato come: QF = 1 DA µF FR 2 [Nm] (3.17.A) dove DA [m] è il diametro dell’asta, µF [-] il coefficiente d’attrito – i cui valori possono essere assunti in base alle indicazioni dei Registri – ed FR [N] la forza radiale applicata sul cuscinetto. Ovviamente il momento di controllo agente sull’asta deve vincere anche un simile momento d’attrito generato su ogni accoppiamento fra agugliotto e femminella. Nel caso dei timoni Simplex ad agugliotto passante, questo agugliotto appoggia su due cuscinetti interni alla pala, posti alle estremità della stessa, e la struttura a grigliato viene a modificarsi inglobando un rinforzo tubolare entro il quale passa appunto l’agugliotto continuo. Per concludere, le strutture del corno, della pinna e del calcagnolo hanno una configurazione simile a quella della pala, ossia un supporto interno fatto da un grigliato di lamiere saldate o da un telaio fucinato. La struttura di ancoraggio a scafo è rinforzata sia in corrispondenza del corno, sia in prossimità dei supporti per i cuscinetti. 3.21 – Il progetto strutturale Il sistema strutturale complessivo del timone è formato dalla pala – sorretta eventualmente dagli agugliotti del corno e del calcagnolo – e dall’asta, sorretta a sua volta dai cuscinetti di losca e di agghiaccio. L’insieme dell’asta e della pala può essere trattato come una struttura unica poiché il collegamento fra le due parti è ottenuto con un accoppiamento rigido che garantisce l’effetto di incastro perfetto fra le due parti. Il progetto della struttura del timone e dei suoi elementi di sostegno consiste nel dimensionamento delle varie parti sollecitate dall’azione delle forze idrodinamiche, della forza peso e del momento di controllo esercitato dalla timoneria, oltre che dall’azione delle forze di attrito sulle parti in movimento reciproco. Si tratta in pratica di valutare le forze reciprocamente scambiate fra le diverse parti e successivamente di verificare che esse resistano agli sforzi che ivi maturano. In sintesi gli elementi da dimensionare sono: • la pala (rudder blade), formata da mantello e diaframmi, • l’asta (rudder stock), • gli accoppiatoi (rudder stock couplings), gli agugliotti (pintles) ed i cuscinetti (bearings), • le strutture di sostegno, quali il corno (horn) o il calcagnolo (solepiece), ivi compresi gli ancoraggi entro scafo. Tra queste parti, il maggior interesse deve essere rivolto agli elementi più critici del sistema, ossia l’asta e la pala – e come noto il primo elemento ad essere dimensionato è proprio l’asta. Il modello strutturale per il progetto dell’asta può essere definito tramite un sistema di travi rettilinee, ovvero una trave a più campate, in cui la pala stessa è rappresentata da un elemento mono–dimensionale a comportamento equivalente ai fini della flessione. In tale configurazione il carico distribuito sulla lunghezza della pala viene equilibrato sia dagli appoggi fissi o cedevoli offerti dai cuscinetti (che esercitano forze di reazione vincolare radiali o assiali), sia dal macchinario d’agghiaccio (che esercita il momento torcente di controllo). La determinazione delle reazioni vincolari e delle caratteristiche di sollecitazione sul sistema di travi richiede in genere l’utilizzo di metodi di risoluzione specifici per le strutture iperstatiche, che possono essere analitici, e in tal caso può essere applicato il metodo dei quattro momenti oppure quello iterativo noto come metodo di Cross, oppure numerici (calcolo agli Elementi Finiti). Si ricorda che le forze idrodinamiche generate dalla pala vengono trattate con riferimento alla risultante F applicata sul centro di pressione CP ed inclinata dell’angolo ϕ rispetto al piano normale alla pala. Per valutare lo stato di sollecitazione, il sistema appena descritto viene ridotto ad un sistema equivalente traslando la forza F sull’asse di rotazione ed aggiungendo il momento torcente di trasporto Q. Trascurando la distanza fra l’asse di rotazione e quello baricentrico, si applica la teoria della trave ideale di De Saint–Venant (trave con carico e vincoli agenti sull’asse baricentrico). È quindi chiaro che, per quanto riguarda lo stato di sollecitazione, il sistema sperimenta una sollecitazione di flessione deviata composta (momento flettente in presenza di taglio) causata da F, ed una torsione causata da Q. Trattandosi di strutture snelle, la sollecitazione derivante dal momento flettente è quella dominante, a meno che l’asta non venga opportunamente sgravata dal flettente – per esempio irrigidendo la pala con un fusto disaccoppiato dall’asta, o con un agugliotto passante, o ancora con più appoggi ravvicinati –, in tal caso rimane la sola torsione, che comunque è sempre presente. Un altro caso particolare è quello in cui anche la sollecitazione da taglio può essere elevata, si tratta della configurazione in cui i cuscinetti sono molto vicini ed esercitano elevate forze radiali. Il calcolo delle forze agenti sul sistema equivalente di travi richiede qualche osservazione. Infatti, la forza F ha una componente normale ed una assiale rispetto alla pala, e ciò comporta una flessione deviata. D’altro lato la componente assiale, dello stesso ordine di grandezza rispetto a quella normale, lavora sul piano di massima inerzia della pala e perciò induce uno stato di sollecitazione molto più basso rispetto alla prima. Ciò comporta la possibilità di definire un approccio approssimato nel quale la componente assiale venga trascurata, oppure, in alternativa, venga annullata facendo ruotare la forza F dell’angolo –ϕ. In ciascuno dei due modi il calcolo viene semplificato dovendo trattare una flessione retta che si manifesta con asse coniugato coincidente con l’asse di simmetria della pala – questo piano coincide con quello di minima inerzia e la verifica si configura quindi come una verifica dalla parte della sicurezza. Inoltre, per riprodurre con fedeltà il sistema strutturale, sul modello di travi equivalenti la forza idrodinamica F va distribuita lungo la campata. In questo modo si definisce un carico per unità di lunghezza q(x) [N/m] che dovrebbe essere distribuito con legge pressoché ellittica, ma che in pratica viene ridotto ad una distribuzione lineare con risultante sul baricentro dell’area della pala. Per una pala rettangolare si ha semplicemente q = F / b. 3.22 – Il modello per lo studio dell’asta La definizione del modello strutturale per il calcolo analitico richiede la valutazione delle caratteristiche delle singole travi componenti – l’asta e la pala –, in termini sia di lunghezze efficaci, sia di sezioni resistenti. La conoscenza di questi dati permette infatti di valutare i momenti d’inerzia rispetto all’asse neutro e conseguentemente le rigidezze flessionali delle travi tramite le quali si possono poi valutare i moduli di resistenza per la successiva verifica delle sollecitazioni. Si osservi che, sia per quanto riguarda la torsione, sia per la flessione, l’elemento critico è l’asta. La sezione resistente dell’asta è una sezione circolare piena, avente momento d’inerzia JA [m4] rispetto all’asse neutro pari a: 4 JA = π DA 4 2 [m4] (3.19.A) [m4] (3.19.B) e momento polare JO [m4] pari a: 4 π D JO = 2 J A = A 2 2 La sezione resistente della pala è costituita dagli elementi strutturali a elevato sviluppo longitudinale, ossia dal mantello e dai diaframmi verticali. Il calcolo della rigidezza flessionale della pala viene svolto usualmente per mezzo di un modello geometrico semplificato ottenuto rettificando la curva del mantello. Perciò per il generico i–esimo tratto rettificato di spessore ti [mm], lunghezza li [mm] ed inclinazione θi [°] rispetto al diametrale della pala, il momento d’inerzia baricentrico JPi [m4] rispetto all’asse parallelo all’asse diametrale della pala (asse diametrale che costituisce, come si vedrà più avanti, l’asse neutro della pala) vale: J Pi = 2 2 1 3 1 ti li ( cosθ i ) + li3ti ( sin θ i ) 12 12 [m4] (3.19.C) e il momento d’inerzia della pala complessiva è dato dalla somma dei momenti d’inerzia propri e di trasporto dei singoli elementi di lamiera: J P = 2 ∑ ( J Pi + li ti di2 ) n [m4] (3.19.D) i =1 in cui di rappresenta la distanza del baricentro di ogni elementino dall’asse diametrale della pala e con n si è indicato il numero totale di elementi rettilinei con cui si sono definiti il mantello e i diaframmi relativamente alla struttura che sta da un lato del piano diametrale della pala (da qui il fattore 2 per ottenere il momento d’inerzia complessivo). La pala formata da una semplice lamiera consente una modellazione più diretta della trave equivalente, è infatti sufficiente considerare la sezione resistente formata da pala e fusto. Per quanto riguarda i vincoli, i cuscinetti radiali di supporto dell’asta vengono considerati dei semplici appoggi, trascurando la loro estensione longitudinale sia per sicurezza, sia per creare un modello più aderente alla realtà, in quanto l’effetto incastrante è generalmente ridotto. Infatti, i cuscinetti devono essere di altezza limitata per non interferire con l’asta in flessione (per lo stesso motivo la rigidezza flessionale dell’asta deve essere controllata, soprattutto quando si usano acciai ad elevata resistenza). Parallelamente, le cerniere formate da agugliotti e femminelle vanno considerate come semplici appoggi, eventualmente cedevoli sotto l’azione delle forze indotte dal timone. In questi casi il vincolo deve essere considerato elasticamente cedevole e deve essere opportunamente valutata la rigidezza alla traslazione: è questo il caso dei cuscinetti di appoggio della pala sul corno, sulla pinna e sul calcagnolo. Le rigidezze del calcagnolo e del corno vengono usualmente calcolate con modelli a travi a sezione costante considerando l’effetto della sola componente trasversale della forza ivi scaricata. Tali supporti cedevoli comportano una deformazione del sistema che non è necessariamente piana, infatti da una parte i supporti si deformano trasversalmente al diametrale della nave mentre la pala tende a deformarsi ortogonalmente al suo piano diametrale. Per risolvere il sistema in maniera analitica si accetta quindi l’ipotesi semplificativa di cedimenti paralleli tra loro e normali al piano diametrale della pala. Ciò comporta un’ulteriore approssimazione nel calcolo delle rigidezze dei supporti. Poiché, in generale, il modello può essere a travi con sezione variabile lungo la campata, si devono utilizzare i metodi risolutivi specifici per travi a sezione variabile o, in alternativa, si può applicare l’ipotesi della “falsa posizione” per creare campate fittizie a sezione costante. Tale situazione si verifica per esempio quando il cuscinetto di losca è lontano dalla radice della pala oppure quando la pala ha una geometria fortemente variabile lungo la campata, mentre in genere viene trascurata la rastremazione dell’asta tra agghiaccio e losca. L’ipotesi della falsa posizione si applica quando una campata è formata da una trave che per un certo tratto ha una sezione costante e per la parte rimanente un’altra sezione pure costante. Esso consiste nell’inserire un appoggio in un punto di comodo della travatura, quello di variazione della sezione, e nel cercare la soluzione del problema strutturale facendo cedere anelasticamente la trave in quel punto finché la reazione di vincolo ivi maturata non si annulla. Le fasi di applicazione del metodo sono di seguito descritte. Partendo dal sistema iniziale Σ0 si identifica il punto P in cui separare la campata e si inserisce in tale punto un appoggio con cedimento anelastico incognito, ottenendo il sistema modificato Σ1 nel quale però la reazione vincolare in P deve essere nulla affinché vi sia congruenza ed equilibrio con il sistema di partenza: Σ0 ≡ (Σ1, RP = 0) (3.19.E) A questo punto si risolvono separatamente i due sottosistemi così definiti: • il sistema Σ1A nel quale la struttura è sollecitata dal vero carico agente e dagli eventuali cedimenti di vincolo, escluso il cedimento in P ove l’appoggio viene mantenuto fisso; si calcola così in P la reazione RP,1A [N] ivi maturata per il solo effetto del carico e dei vincoli cedevoli; • il sistema Σ1B nel quale la struttura è sollecitata dal solo spostamento anelastico in P, la struttura è infatti scarica e con gli altri vincoli cedevoli bloccati nella posizione di riposo. Poiché però il cedimento vero nel punto P non è noto, il sistema Σ1B si risolve in due passi successivi: • prima si impone un cedimento arbitrario pari ad un valore di comodo, per esempio δP,1B =1 [m], e si calcola in P la reazione vincolare RP,1B [N] maturata per il solo effetto del cedimento δP,1B ; • poi, richiamando la linearità fra carico e stato di sollecitazione e deformazione ed indicando con δP lo spostamento vero nel punto P, si ottiene la relazione per la determinazione della vera reazione RP,1B: RP ,1B δP = δP RP ,1B δ P ,1B [N] (3.19.F) in cui δP rimane incognita. A questo punto si può esprimere il valore totale della reazione RP del sistema Σ1, essa infatti, in base al principio di sovrapposizione degli effetti, vale: RP ,1 = RP ,1A + δP RP ,1B δ P ,1B [N] (3.19.G) Si osservi ora che la reazione vera nel sistema di partenza Σ0 è nulla perché l’appoggio nel punto P in realtà non esiste, di conseguenza affinché il sistema Σ1 sia congruente ed in equilibrio con il sistema iniziale deve essere: RP ,1 = RP ,1A + δP RP ,1B = 0 δ P ,1B [N] (3.19.H) dalla quale si ottiene il valore dello spostamento vero δP nel punto P: δP = − RP ,1A RP ,1B δ P ,1B [N] (3.19.I) In pratica, fra tutte le soluzioni congruenti con il sistema di partenza si ottiene l’unica che sia anche di equilibrio, ossia l’unica soluzione che fornisca una reazione nulla nel punto P. Una volta determinato il valore dello spostamento nel punto in cui si era posto l’appoggio fittizio, si possono calcolare le caratteristiche di sollecitazione del sistema di partenza sommando a quelle del sistema Σ1A i valori ottenuti dal sistema Σ1B dopo averli moltiplicati per δP. In base alle possibili configurazioni del timone, nella pratica si possono distinguere le seguenti diverse situazioni di calcolo: • timone sospeso, • timone su calcagnolo, • timone su corno (con appoggio unico sul corno), • timone su più agugliotti. Nel caso di timone sospeso, la trave equivalente è costituita da due campate: partendo dal basso si ha prima la campata che si estende dal fondo della pala fino al centro del cuscinetto di losca, poi quella che rappresenta l’asta compresa fra i due cuscinetti di losca e di agghiaccio. Si osservi che il sistema è isostatico su appoggi fissi. Nel caso di timone su calcagnolo, la trave equivalente è costituita da due campate: partendo dal basso si ha prima la campata che si estende dal fondo della pala al centro del cuscinetto di losca, poi quella che rappresenta l’asta compresa fra i due cuscinetti di losca e di agghiaccio. Si osservi che il sistema è iperstatico e l’appoggio di calcagnolo è del tipo cedevole elasticamente. La prima campata presenta una trave a sezione variabile in quanto comprende sia la pala, sia l’asta. Perciò, se l’estensione dell’asta in questo tratto non è trascurabile, si ricorre all’interposizione di un appoggio fittizio allo scopo di ridurre la travatura ad un sistema di travi a sezione costante (e si risolve con il metodo della falsa posizione). Si osservi ancora che viene usualmente trascurata la distanza fra il centro dell’agugliotto di calcagnolo ed il fondo della pala. Per il timone su corno con appoggio unico, la trave equivalente è costituita da tre campate: partendo dal basso si ha prima la campata che si estende dal fondo alla sezione della femminella sull’estremità inferiore del corno, poi quella che si estende da lì sino al coperchio della pala, e poi verso l’alto la configurazione è come quella sopra descritta. Si osservi che il sistema è iperstatico e l’appoggio sul corno è del tipo elasticamente cedevole. Infine, per i timoni su più agugliotti si ha una situazione strutturale particolare. È questo infatti il caso che si presenta quando la pala è sostenuta da una pinna, o da un dritto di poppa, o ancora da un corno con più appoggi. La trave equivalente è costituita qui da molte campate, poiché ad ogni agugliotto corrisponde un appoggio (in genere fisso): in virtù dei rapporti dimensionali, si può ritenere che tale sistema di sostegno sia da considerarsi un appoggio continuo e che esso in pratica costituisca una specie di incastro per il tratto su cui si estende. Ciò significa che, a differenza dei casi sopra citati, l’asta si considera sgravata dal carico flessionale prodotto dalla pala, infatti la presenza di un appoggio molto robusto lungo la pala impedisce alla stessa di flettersi e quindi di trasmettere un momento flettente all’asta, e perciò questa si dimensiona a solo torcente. Appare evidente che, oltre a quest’ultimo caso, lo studio dell’asta può prescindere dalla modellazione della pala anche quando il timone è sospeso. D’altro lato, risulta invece necessario generare un modello strutturale completo quando la flessione della pala influenza quella dell’asta (è questo il caso dei timoni su corno e su calcagnolo). Nel caso di timone Simplex con agugliotto passante, si verifica un irrobustimento della pala per effetto della maggiore rigidezza offerta dal contatto sui cuscinetti interni, perciò la pala, portando in flessione l’asta passante, si comporta come un sistema più rigido sgravando l’asta di comando da gran parte del momento flettente. Anche nel caso in cui l’asta sia sostenuta da appoggi di losca e di agghiaccio molto vicini, l’effetto incastrante può essere molto elevato ed il modello può essere limitato alla sola parte di struttura che manifesta sollecitazioni flessionali. Per lo studio dell’asta dei timoni sospesi, trattandosi di un sistema isostatico, la rotazione della forza F non introduce alcuna approssimazione, e la modellazione del carico non è necessaria poiché, per il dimensionamento dell’asta, è sufficiente valutare il momento flettente MO [Nm] in corrispondenza del cuscinetto di supporto di losca, che vale: MO = F (CPS + dO) [Nm] (3.19.J) dove dO è la distanza fra il coperchio della pala e il centro del cuscinetto di losca. Tale momento d’estremità costituisce proprio il carico sul sistema risolutivo. I carichi dominanti sulle aste, come detto, sono generalmente quelli determinati dalla flessione semplice e dalla torsione. Può essere anche considerato l’effetto del taglio, ma soprattutto per aste tozze ed in particolare per il dimensionamento degli agugliotti. Le caratteristiche di sollecitazione del taglio e del momento flettente possono essere tracciate in maniera qualitativa, poiché la struttura dell’asta assume configurazioni standard, infatti i risultati qualitativi sono molto utili per confrontare le varie tipologie classiche di timone (timone sospeso, su corno, su calcagnolo e su appoggio continuo), soprattutto quando lo studio comparativo viene svolto mettendo in evidenza le variazioni di carico indotte dalla cedevolezza degli appoggi. Per quanto riguarda il calcolo delle sollecitazioni da momento torcente, il carico ha distribuzione costante lungo l’asta (si trascurano infatti i momenti resistenti d’attrito) e il sistema risulta sempre isostatico. 3.23 – Lo stato tensionale sull’asta Le verifiche a snervamento sull’asta vengono condotte sulle sezioni maggiormente caricate, in genere in corrispondenza del cuscinetto di losca per quanto riguarda la massima sollecitazione da momento flettente e da momento torcente e, per aste rastremate, anche in corrispondenza dell’appoggio di agghiaccio, ed in questo caso a solo momento torcente. La verifica deve essere effettuata sia in marcia avanti che indietro, le due situazioni comportano infatti sollecitazioni in grado di estremo rispettivamente di flessione e di torsione. Il dimensionamento dell’asta a sola torsione richiede il calcolo della tensione tangenziale (nominale) massima τQ [MPa] che si manifesta sulle fibre superficiali dell’asta (ossia alla distanza DA/2 dall’asse): τQ = 16Q −6 10 π DA 3 [MPa] (3.20.A) ove Q [Nm] rappresenta il valore del momento torcente sulla sezione di verifica. Tale tensione non deve superare il valore ammissibile τamm [MPa] per il materiale: τ Q ≤ τ amm [MPa] (3.20.B) in cui τamm viene calcolata, a partire dalla tensione normale ammissibile σamm [MPa], valutando la tensione equivalente in base al criterio dell’energia di distorsione di Von Mises: τ amm = σ amm 3 [MPa] (3.20.C) Il dimensionamento a torsione e flessione richiede il calcolo della tensione equivalente, che viene valutata considerando oltre alla tensione tangenziale anche la massima tensione normale di flessione σM [MPa]: σM = 32 M −6 10 π DA 3 [MPa] (3.20.D) ove M [Nm] rappresenta il valore del momento flettente sulla sezione di verifica. Poiché la tensione normale di flessione raggiunge il suo valore massimo sul diametro della sezione resistente disposto lungo l’asse di sollecitazione nei punti alla distanza DA/2 dall’asse, la tensione ideale equivalente σeq [Mpa] indotta dalla somma del momento flettente e di quello torcente si scrive come: σ eq = σ M 2 + 3τ Q 2 [MPa] (3.20.E) Essa infine deve risultare non superiore al valore ammissibile del materiale: σ eq ≤ σ amm [Pa] (3.20.F) Si osservi che in genere il contributo delle tensioni tangenziali da taglio si trascura. Quando però è necessario controllarne i valori massimi, si procede come di seguito illustrato. Innanzitutto si valuta la massima tensione tangenziale da taglio τT [MPa]: τT = 16T 10−6 3π DA2 [MPa] (3.20.G) ove T [N] rappresenta il valore del taglio sulla sezione di verifica. Poi, ricordando che il valore massimo della tensione da taglio si ha sul diametro della sezione resistente ortogonale a quello in cui si verificano le massime tensioni di flessione, si esegue la verifica prendendo in esame la tensione equivalente indotta assieme dal taglio e dal momento torcente: σ eq = 3 (τ T + τ Q ) 2 [MPa] (3.20.H) che deve risultare inferiore alla tensione ammissibile. 3.24 – La procedura IACS per la verifica strutturale La procedura di calcolo fin qui esposta per il dimensionamento dell’asta, assieme a quella relativa al progetto delle altre parti strutturali del timone, è stata standardizzata dall’IACS (International Association of Classification Societies). Tali indicazioni, raccolte come “IACS Requirements” nel documento S-10, sono state recepite dai maggiori Registri di Classificazione e costituiscono la base della normativa riguardante la verifica strutturale del timone. In questo documento la forza idrodinamica che si scarica sulla pala è calcolata trascurando la resistenza D e considerando la sola componente di portanza L che, come noto, è quella che dà il massimo contributo alla flessione sul piano di minima inerzia. Successivamente anche il momento torcente viene valutato in sicurezza facendo lavorare tale forza come se fosse ortogonale alla pala, ossia con braccio misurato lungo la corda del profilo all’altezza del centro di pressione. Il centro di pressione viene fissato ad una certa distanza dal bordo di attacco e ad un’altezza, lungo la campata, pari a quella del baricentro dell’area della pala. La forza CR [N] messa a calcolo per la verifica (o il progetto) dell’asta viene espressa come: CR = 1 ρ VS 2 AR cR 2 [N] (3.21.A) in cui il coefficiente della forza cR [-] è tarato sulla portanza specifica massima espressa da una pala a semplice lamiera ed allungamento unitario posta nel flusso dell’elica: per tale configurazione cR = 1 esprimendo proprio la portanza specifica espressa dalla pala (si veda per confronto il valore del cL massimo in Tab.3.14.B). Per poter considerare tutte le possibili configurazioni, il coefficiente cR viene determinato in maniera approssimata in funzione dei seguenti parametri principali della pala: • l’allungamento geometrico λG, • il tipo di profilo idrodinamico, • le condizioni di lavoro della pala, definendo cR come: cR = r1 r2 r3 [-] (3.21.B) in cui i fattori ri sono così definiti: • r1 è il coefficiente correttivo per l’allungamento di pala, rispetto al quale risulta proporzionale • r2 è il coefficiente correttivo per la forma del profilo e varia con la tipologia di profilo (lastra piana, profilo convenzionale, a doppia curvatura, profilo con flap), • r3 considera infine la posizione del timone nel flusso di poppa ed in particolare tiene in considerazione se la pala si trova o meno nel flusso dell’elica. Come si può constatare applicando i valori proposti dalla norma, nel caso particolare di pala quadrata costituita da una lastra piana posta nel flusso dell’elica vale r1 = r2 = r3 = 1. La forza idrodinamica CR va calcolata per velocità di flusso pari alla massima velocità di esercizio della nave. Esprimendo VS in nodi e ponendo ρ pari alla massa volumica dell’acqua dolce (si veda la Tab.3.7.A), dalla Eq.3.21.A si ottiene: CR = 132 VS 2 [kn] AR r1 r2 r3 [N] (3.21.C) In base a quanto anticipato, il momento torcente QR [Nm] si valuta facendo lavorare la forza CR con braccio pari a: • CPC /cm = 0,33 per pale senza elementi carenati di supporto lungo il bordo di attacco, sia per la marcia avanti che per la marcia indietro; • CPC /cm = 0,25 per pale con elementi carenati di supporto lungo il bordo di attacco, limitatamente alla parte dietro al supporto. In questo caso la corda cm si riferisce al valore medio della superficie mobile di pala che si trova dietro al supporto (tale valore diventa 0,45 per marcia indietro). Per esempio, per un timone su corno, per la parte di pala dietro al supporto si ha un braccio pari a (0,25 – d) cm1 in marcia avanti e (0,55 – d) cm1 in marcia indietro, mentre per la parte di pala compensata si considera un braccio pari a (0,33 – d) cm2 in marcia avanti e (0,66 – d) cm2 in marcia indietro, essendo cm1 e cm2 le corde medie dell’area di pala rispettivamente dietro e sotto il corno. La forza idrodinamica viene frazionata in proporzione alle aree delle due parti. Nel caso più generico di timone su corno si ottiene perciò per marcia avanti: QR = CR1 ( 0,25 − d1 ) cm1 + C R 2 ( 0,33 − d 2 ) cm2 [Nm] (3.21.D) in cui le distanze d1 e d2 vengono espresse tramite il grado di compenso calcolato sulle singole aree (si osservi che il momento delle forze idrodinamiche è qui definito positivo). Il modello strutturale che viene utilizzato per la verifica a flessione e torsione dell’asta è quello di trave su più campate, con vincoli eventualmente cedevoli. Per verificare l’asta a flessione, in alternativa al procedimento diretto – applicabile solamente quando il diametro è noto –, il RINA (Rules for the Classification of Ships, Part B – Hull and Stability, Ch.10, Sec.1) propone di utilizzare formule approssimate, espresse in funzione di parametri geometrici riferiti a statistiche su configurazioni tipiche. In tali norme il momento flettente di verifica viene definito come il momento della componente della forza CR normale alla pala: M R =CR bM [Nm] (3.21.E) dove bM [m] è il braccio con cui lavora la forza, ossia la distanza fra il centro di pressione e l’estremità inferiore del cuscinetto di losca. Tale grandezza è valutata sulla base di dati statistici. Il documento dell’IACS fornisce poi le relazioni per il progetto del diametro dell’asta. In esso vengono distinti due casi: • progetto a sola torsione – corrisponde alle configurazioni in cui si può supporre che la pala sia ben sorretta da strutture che in pratica le impediscono di deformarsi e quindi di trasmettere una flessione all’asta. Si tratta delle soluzioni con appoggio continuo sul dritto del timone o su pinna, con appoggio parziale su corno con due agugliotti e con agugliotto passante (timone Simplex). • progetto a torsione e flessione – corrisponde alle configurazioni in cui si può supporre che la pala sia libera di deformarsi e quindi di trasmettere una flessione all’asta. Si tratta delle soluzioni di pala sospesa, su corno con un solo agugliotto e su calcagnolo. Il diametro minimo dell’asta per dimensionamento a sola torsione viene indicato con DT [mm] e viene calcolato per via diretta esplicitandolo dalla relazione (Eq.3.20.A) che lo lega alla tensione massima sulla sezione. Inoltre, considerando un coefficiente di sicurezza pari a 2 per calcolare la tensione ammissibile da quella di snervamento ed introducendo, come d’uso nei Registri, un coefficiente del materiale km [-] per generalizzare la formula per diversi materiali, si ottiene la relazione: DT = 4, 2 3 QR km [mm] (3.21.F) in cui km = 1 per acciaio avente tensione di snervamento pari a 235 MPa ed assume valori prestabiliti per acciai diversi (a riguardo si vedano le norme). Si rammenta che la norma, fissando pari a 2 il coefficiente di sicurezza per la verifica, fa implicitamente riferimento alla seguente tensione ammissibile: σ amm = 118 km [MPa] (3.21.G) Il diametro minimo dell’asta per dimensionamento a torsione e flessione viene indicato con DTF [mm] e viene calcolato per via diretta esplicitandolo dalla relazione (Eq.3.20.E) che lo lega alla tensione massima sulla sezione. Se ne ricava un’espressione in cui esso può essere espresso in funzione del diametro DT: DTF = DT 6 4 M 1+ 3 Q 2 [mm] (3.21.H) in cui l’espressione sotto radice esprime un fattore di maggiorazione del diametro rispetto al caso di dimensionamento a sola torsione. Il sopra richiamato documento S-10 propone anche un metodo approssimato per il calcolo delle rigidezze degli appoggi elastici sul calcagnolo e sul corno. Come si può rammentare, nelle ipotesi fatte per impostare il modello per la risoluzione analitica del complesso pala–asta si è fatto riferimento ad un piano di deformazione normale alla pala. In realtà la situazione è leggermente diversa, la pala infatti, nella situazione di verifica con le massime forze applicate, deve considerarsi inclinata di un certo angolo α (angolo di barra) rispetto alla struttura di supporto ed in questa situazione i vincoli obbligano ad una deformazione non piana. Nell’ambito della risoluzione approssimata proposta dalle norme, rimanendo valida l’ipotesi di una deformazione piana, si ipotizza che la forza scaricata sul vincolo sia normale al supporto e che la pala si deformi su tale direzione, cosicché viene proposto di utilizzare, in luogo della vera rigidezza del supporto, la rigidezza relativa alla deformazione trasversale del supporto stesso. Nel caso del calcagnolo si ottiene perciò la rigidezza del calcagnolo ρC [Nm–1]: ρC = 3EJC lC3 [N/m] (3.21.I) in cui E [Pa] è il modulo di elasticità normale del materiale (per l’acciaio vale 2,06⋅1011 Pa), JC [m] è il momento d’inerzia della sezione resistente della struttura di supporto calcolato rispetto all’asse neutro corrispondente allo stato di flessione indotto dalla forza ivi scaricata dalla pala, lC [m] è infine la lunghezza libera del calcagnolo. Appare evidente che tale approssimazione conduce a calcolare una rigidezza inferiore di quella reale (infatti la forza, essendo ortogonale al calcagnolo, è in grado di estremo) e ciò comporta una verifica in sicurezza dell’asta ma non del supporto. Una via più corretta è quella di considerare che il calcagnolo si deformi trasversalmente sotto l’azione di una forza FC inclinata dell’angolo α (la forza di calcolo è infatti ipotizzata essere normale alla pala) avente componente utile trasversale FC cosα (la componente FC sinα si trascura perché la rigidezza assiale del calcagnolo è molto elevata). In base a quanto detto lo spostamento trasversale del calcagnolo risulta pari a: δT = FC cosα 3EJC lC3 [N/m] (3.21.J) Di tale deformazione si prende la sola componente δT cosα sul piano ideale di deformazione della pala (quello di minima inerzia della pala) e quindi per la rigidezza del calcagnolo si ottiene l’espressione: ρC′ = FC 1 = ρC δT cosα ( cos α )2 [N/m] (3.21.K) che rappresenta la forza da applicare sul calcagnolo nella direzione normale alla pala per ottenere uno spostamento unitario in tale direzione. È importante osservare che con questa formulazione si lega la direzione della forza al valore della rigidezza, superando l’incongruenza implicita nella formula semplificata delle norme, in base alla quale anche con pala inclinata di 90° si otterrebbe il cedimento trasversale del calcagnolo. Con la formulazione proposta, la rigidezza del calcagnolo calcolata per α = 35° è pari a 1,5ρC . Per la rigidezza dell’appoggio su corno il calcolo si fa più complicato poiché richiede la determinazione del cedimento d’estremità di una trave ad “L” per effetto della forza FH che si scarica sull’asse dell’agugliotto del corno. In questa analisi il corno può essere schematizzato con una pinna di altezza hH [m], che porta inferiormente un’appendice ortogonale rigida di lunghezza lH [m], ove lH rappresenta l’interasse fra la pinna e l’agugliotto. Secondo le norme, la rigidezza del corno si calcola sotto le stesse ipotesi semplificative che hanno portato a scrivere l’Eq.3.21.I, ossia che la pala abbia una deformazione piana, che la forza scaricata sul vincolo sia normale al supporto e che la pala si deformi su tale direzione, cosicché viene proposto di utilizzare, in luogo della vera rigidezza del supporto, la rigidezza relativa alla deformazione trasversale del supporto stesso. Nel caso del corno bisogna considerare che l’azione della forza induce sia una flessione, sia una torsione dell’elemento verticale. Per contro si suppone che la parte inferiore ortogonale che ospita l’agugliotto non si deformi trattandosi di una struttura tozza e quindi molto rigida. Considerando una forza trasversale unitaria sull’agugliotto, la pinna si flette con spostamento d’estremità pari alla cedevolezza ϕ1 [m/N] e corrispondentemente anche l’estremità della mensola orizzontale cede della stessa quantità. La pinna inoltre si torce sotto l’azione del momento lH [Nm] – causato dalla forza unitaria che agisce sull’asse dell’agugliotto – con rotazione pari a θ1lHhH [rad], ove θ1 [rad/Nm2] è l’angolo di rotazione di un concio di pinna di lunghezza unitaria indotto da un momento unitario applicato alle estremità del concio stesso. Ne consegue che l’estremità della mensola orizzontale per effetto della torsione cede ulteriormente della quantità hH ·θ1lHhH [m/N]. Infine, la cedevolezza trasversale ϕH [m/N] all’estremità dell’appendice può scriversi come: ϕH = ϕ1 + θ1 lH 2 hH [m/N] (3.21.L) ove ϕ1 può calcolarsi come per il calcagnolo ricordando che per definizione la cedevolezza è il reciproco della rigidezza. essa si può quindi valutare come il reciproco della rigidezza trasversale flessionale della pinna: ϕ1 = hH 3 3EJ H [m/N] (3.21.M) in cui JH [m] è il momento d’inerzia della sezione resistente della pinna. L’angolo di torsione unitario θ1 può essere determinato con il metodo di Bredt. A tale scopo si deve considerare la sezione media della pinna, rettificarla definendo per il mantello elementi rettilinei e calcolare, per ciascun tratto della sezione stessa, la snellezza λi [-] come rapporto fra la lunghezza li e lo spessore ti del singolo elemento. L’angolo di rotazione θ1 (nell’ipotesi semplificativa di trascurare i diaframmi interni) risulta allora pari a: θ1 = ∑i λi 4Ω 2 G [rad/Nm2] (3.21.N) in cui Ω [m2] rappresenta l’area circoscritta dalla linea media del mantello e G [Pa] è il modulo di elasticità tangenziale del materiale (che per l’acciaio vale circa 0,78⋅1011 Pa). Si ottiene infine la rigidezza del corno ρH [N/m]: ρH = 1 ϕH = 1 1 = 3 2 hH ϕ1 + θ1 lH hH ∑λ + i 2 i lH 2 hH 3EJ H 4Ω G [N/m] (3.21.O) il cui significato è palesemente quello della forza da applicare per ottenere uno spostamento unitario in direzione trasversale. Va solo osservato infine che le norme contenute nel documento IACS riportano la stessa formula ma con una correzione sul valore di ϕ1, che viene aumentato del 30%. 3.25 – Il dimensionamento strutturale della pala e dei supporti Risulta evidente che per effettuare il calcolo diretto dell’asta del timone è necessario avere a disposizione gli spessori dei fasciami del mantello e dei diaframmi sia della pala sia del corno, i primi per procedere alla valutazione della rigidezza flessionale della pala, i secondi per valutare la cedevolezza del supporto. A tale scopo si consiglia l’utilizzo delle formulazioni proposte dal Registro. In esse, il dimensionamento del mantello della pala viene effettuato con una formulazione che fa riferimento allo stato di collasso di snervamento dei pannelli soggetti ad un carico laterale distribuito omogeneamente, mentre per i diaframmi interni sono fornite solo indicazioni sui minimi di spessore. Ciò è giustificato dal fatto che il grigliato interno è molto robusto e non costituisce quindi una parte debole del complesso (eventualmente esso può essere studiato con un calcolo diretto). Tale procedimento si propone di calcolare lo spessore minimo del singolo pannello elementare, a sola flessione, in due fasi successive: • prima ipotizzando una flessione cilindrica del pannello, analizzata utilizzando come modello una strisciolina di fasciame estratta parallelamente al lato più corto; • poi ripristinando la congruenza della deformazione della strisciolina tramite l’uso di un coefficiente correttivo che tenga conto della presenza dei vincoli sui lati corti del pannello. In questo modo si riduce il valore dello spessore minimo del pannello, infatti il supporto sui lati corti fa aumentare la resistenza del pannello poiché riduce la deformazione di flessione e le correlate tensioni. In base a tale considerazioni, per il dimensionamento dei mantelli è necessario definire prima la collocazione dei diaframmi; si può procedere poi al calcolo degli spessori di entrambi. I diaframmi vanno disposti in modo da formare un robusto grigliato di travi ortogonali ed in modo tale da definire – sui mantelli – pannelli elementari ad allungamento il più possibile prossimo all’unità, con lati di circa 600÷1000 mm, in funzione delle dimensioni della pala. In genere, all’interno della pala viene posto un diaframma verticale irrobustito sulla continuazione dell’asta, inoltre vengono osservate particolari precauzioni nel definire la struttura dei timoni su corno, infatti in essi la zona di cambio di sezione (attorno all’agugliotto del corno) diventa critica a causa delle forti concentrazioni di tensione. Operando come sopra indicato, la tensione sui pannelli del mantello si calcola estraendo la strisciolina di fasciame e considerandola come una trave incastrata alle estremità (per continuità del carico tra pannelli limitrofi) e caricata con un carico distribuito uniformemente. Se con sf [m] la lunghezza del lato corto del pannello e con pf [Pa] la pressione sul pannello e se si fa riferimento ad un coefficiente di sicurezza pari a 1,5 , con il modello sopra illustrato si ottiene lo spessore minimo ammissibile tf [mm] del fasciame: tf = 1,5 p f s f 2 km [mm] (3.22.A) 235 Calcolando la pressione agente come somma del battente statico e di quello dinamico si ottiene l’espressione: p f = γ hf + CR AR [Pa] (3.22.B) dove con hf [m] si è indicata la profondità del pannello rispetto alla superficie del mare. Sostituendo poi nell’Eq.3.22.A si ha: t f = 5,5 hf + CR ⋅ 10−4 sf AR km [mm] (3.22.C) Il valore così ottenuto deve infine essere moltiplicato per il fattore correttivo β [-] per tenere conto della presenza dei vincoli sui lati corti del pannello: s β = 1,1 − 0,5 f b f 2 [-] (3.22.D) in cui bf [m] è la lunghezza del lato lungo del pannello di fasciame considerato. Allo spessore così determinato le norme aggiungono poi 2,5 mm. Una volta definiti gli spessori e risolto il sistema di travi equivalenti, i fasciami e i diaframmi devono essere verificati agli sforzi indotti dalla flessione della pala. Il Registro fissa i valori ammissibili di tali tensioni con fattori di sicurezza che oscillano da fra 2 e 3 in funzione del tipo di tensione (normale o tangenziale) e del punto di verifica. Per quanto riguarda il dimensionamento della pala formata da una lastra piana, non essendo ad essa richieste doti di resistenza alla flessione lungo la campata – è infatti sorretta da una robusta spalla –, ci si limita alla verifica della flessione che nasce nella direzione della corda. Ogni bracciolo va verificato a flessione assieme al fasciame ad esso associato, considerando un vincolo d’incastro sul fusto ed un carico laterale distribuito lungo la corda. In questo modo si ottiene il valore del minimo modulo di resistenza richiesto per il bracciolo. Per quanto riguarda infine la verifica delle appendici dello scafo che costituiscono strutture di sostegno per la pala, va osservato quanto segue: • per il corno la zona critica è quella costituita dalla sola pinna verticale, essendo l’appendice di supporto dell’agugliotto un elemento molto robusto, per questo motivo il modello è costituito da una trave rettilinea incastrata a scafo. Tale pinna è soggetta ad una flessione retta (si trascura infatti la flessione sul piano della struttura) e ad un momento torcente che nasce dall’interasse fra la pinna stessa ed il punto di applicazione della forza. Le sollecitazioni complessive da momento flettente, da taglio e da torcente devono essere confrontate con quelle ammissibili. • per il calcagnolo il modello strutturale è semplicemente quello di una trave incastrata all’estremità prodiera, sulla quale il carico trasmesso dall’agugliotto inferiore della pala produce un sistema di caratteristiche di sollecitazione alquanto complesso. La forza eccentrica causa infatti una trazione, una flessione verticale semplice, una flessione orizzontale composta ed un momento torcente, le cui sollecitazioni complessive devono essere confrontate con quelle ammissibili. Si osservi che in genere la verifica è condotta con riferimento alle sole caratteristiche di sollecitazione trasversali e che per quanto riguarda la flessione verticale si ritiene sufficiente garantire un modulo di resistenza pari ad almeno la metà di quello relativo alla flessione orizzontale. Si rammenta inoltre che, mentre la struttura del corno è simile a quella della pala carenata, ove la sezione – costituita da un mantello e da diaframmi verticali ed orizzontali – è cava, il calcagnolo può invece essere anche a sezione piena, in genere rettangolare. Il dimensionamento degli agugliotti, trattandosi di elementi tozzi, viene generalmente fatto a taglio. Va però sempre controllato il valore della massima pressione scaricata nel contatto con il cuscinetto. Per gli accoppiatoi flangiati vengono forniti i valori limite degli spessori delle flangie e del diametro di bulloni, mentre per quelli tronco–conici si danno i valori limite dei diametri e delle dimensioni esterne, oltre ai dati relativi al dado di sicurezza. Anche i collegamenti degli stessi con la struttura della pala sono oggetto di considerazioni da parte del Registro. I cuscinetti vengono dimensionati per via diretta con riferimento alle massime pressioni ammissibili relative ai diversi materiali della boccola. Nelle norme è inoltre contemplato anche il caso di timoni con mantello cilindrico. Queste pale hanno un doppio mantello cilindrico sostenuto da un grigliato interno formato da più anelli collegati da diaframmi. In questo caso le formulazioni di verifica strutturale sono di tipo empirico perché un calcolo diretto risulterebbe alquanto complesso in virtù del particolare sistema di forze che si scarica sui mantelli (va qui infatti considerata anche la pressione indotta dall’elica) e della complessità geometrica della struttura: i dimensionamenti sono perciò eseguiti in funzione della potenza dell’elica e del diametro della pala. In alternativa si possono eseguire solo calcoli agli Elementi Finiti, benché sia possibile costruire dei modelli piani di travi che simulino la pala e gli appoggi (in genere questi timoni sono sostenuti inferiormente da un calcagnolo collegato con braccetti alla camicia dell’asse portaelica). Un altro caso contemplato dalla normativa è anche quello del timone– propulsore di tipo Pod (indicato come azimuth propulsion system). Per il calcolo della robustezza delle diverse parti si richiede un metodo diretto, mentre per la valutazione degli spessori minimi viene stabilito quanto segue: • per la superficie del braccio verticale che regge la gondola, detto rudder part, si propone di usare le stesse formule di dimensionamento delle pale dei timoni convenzionali; • per la superficie della gondola, detta pod, si indicano le formule per il dimensionamento dei fasciami dello scafo. A ciò si aggiunge che la struttura interna di supporto va dimensionata necessariamente con calcolo diretto considerando un modello completo che comprenda tutto il complesso fino al cuscinetto di losca. Le forze con cui caricare la struttura sono, oltre alla forza peso ridotta della spinta, quelle massime che insorgono: • quando la nave procede alla massima velocità di crociera, ottenuti valutando le forze che nascono al variare dell’angolo di barra fino all’angolo massimo che in navigazione è prossimo ai 35°; • quando la nave procede a velocità ridotta ed il timone propulsore è manovrato fino all’angolo limite (oltre il quale non può andare per la presenza di scontri di fine corsa); • quando si esegue la manovra di arresto con l’inversione del verso di rotazione dell’elica; • quando si esegue la manovra di arresto con la rotazione del pod di 180°. Particolare attenzione deve poi essere prestata al dimensionamento del cuscinetto radiale di losca che deve sopportare sia il carico generato dalla rudder part, sia quello generato dall’elica. Lo stesso IACS fornisce anche una guida (“Guidelines for Surveys, Assessment and Repair of Hull Structures”) per il monitoraggio dei punti critici della struttura del timone: ad un elenco dei potenziali punti caldi della struttura vengono fatti seguire suggerimenti per una corretta riparazione degli elementi localmente collassati. Tali punti caldi, essendo zone di concentrazione delle tensioni ed essendo l’intera struttura sollecitata a carichi ciclici, sono soggetti a rotture per fatica. Nella stessa guida vengono anche evidenziate le zone che soffrono di erosione e di usura. I punti di più probabile innesco di cricche da fatica sono indicati come quelli in corrispondenza degli accoppiatoi e dei fasciami ad essi collegati, delle lamiere della pala nella zona del bordo di attacco e, per i timoni su corno, nella zona dell’agugliotto inferiore. L’identificazione di tali punti critici è evidentemente frutto dell’esperienza ma può essere eseguita anche con analisi statiche dirette utilizzando modelli agli Elementi Finiti molto dettagliati. Una volta valutata l’intensità degli sforzi in tali aree, la previsione della vita a fatica può essere eseguita considerando opportuni cicli di carico. Modelli agli Elementi Finiti possono essere creati sia per lo studio del sistema di travi equivalenti (elementi monodimensionali), sia per lo studio della pala (anche con grigliati di travi), si rammenta a riguardo la guida fornita dal DNV (Strength Analysis of Rudder Rudder Arrangements) per il dimensionamento della pala e dell’asta per via diretta. Infine, modelli opportuni devono essere impostati per lo studio dei modi di vibrare dell’intera struttura. 3.26 – L’evoluzione del timone La prima configurazione di timone su navi ad elica rispecchiava la sistemazione delle precedenti imbarcazioni a vela: la pala continuava infatti ad essere sostenuta dal dritto di poppa, che in questo caso era collegato alla chiglia da un prolungamento della stessa detto calcagnolo. In questo periodo la pala è formata da una lastra piana di forma approssimativamente semiellittica (non è né carenata, né compensata) ed è irrobustita da braccioli terminanti su un fusto posto lungo il bordo di attacco. Il sostegno è effettuato con una serie di cardini coassiali all’asta di manovra, detti agugliotti, fissati sulla pala all’estremità dei braccioli e liberi di ruotare in alloggiamenti, detti femminelle, ricavati sul dritto di poppa. Il collegamento all’asta (detta anche miccia), quando questa non è tutt’uno con il telaio della pala – ossia un solo pezzo di fusione –, è effettuato con accoppiatoi a flangia. Una prima modifica, atta a migliorare l’efficacia idrodinamica del timone, è stata quella di sostituire la lastra piana con un doppio mantello (carenatura). Anche il dritto di poppa è stato poi carenato per creare un profilo idrodinamico continuo con la pala. L’utilizzo di pale carenate, più robuste di quelle a semplice lamiera, ha permesso di ridurre il numero degli agugliotti sul dritto di poppa, senza incorrere nel rischio di sollecitare eccessivamente l’asta a flessione. Nelle configurazioni più evolute, sul dritto di poppa erano ricavati gli alloggiamenti per due soli agugliotti, posti alle estremità della campata della pala. Esistono diverse varianti di carenatura del dritto, una interessante è quella con una carenatura non simmetrica, nella campata superiore verso un lato e in quella inferiore verso l’altro, allo scopo di ridurre le perdite causate dal flusso rotatorio dell’elica. Una soluzione ancora più elaborata è rappresentata dalla pala articolata con un flap mobile posto a proravia del dritto di poppa: il movimento della pala principale porta in rotazione il flap realizzando così un aumento della portanza (profili in cascata). Il timone è detto del tipo “Aller”) ed è anche caratterizzato dall’avere un certo grado di compenso. Il dritto di poppa è stato poi finalmente eliminato, sostituendolo con un elemento altrettanto robusto costituito da un’asta passante, posizionata sull’asse di rotazione e collegata superiormente a scafo e inferiormente al calcagnolo: si tratta della nota configurazione “Simplex”. Tale asta rappresenta in pratica un lungo agugliotto passante all’interno della pala, cosicché il pozzo dell’elica continua a rimanere strutturalmente chiuso. Il timone di questo tipo è un timone compensato la cui asta di controllo continua ad essere sgravata anche da gran parte degli sforzi flessionali. Una variante del timone Simplex è rappresentata dal timone del tipo “Hörtz”, in cui l’area di compenso viene sacrificata a favore di una carenatura fissa, con l’idea di fare aumentare le caratteristiche idrodinamiche per effetto della sistemazione di due profili in cascata. L’evoluzione ha fatto successivamente registrare la scomparsa dell’agugliotto passante, ridotto a due semplici agugliotti, uno a scafo ed uno sul calcagnolo. In questo modo la pala del timone Simplex deve essere a struttura completamente portante, formata da un grigliato robusto di travi nel verso della campata e della corda, e deve avere una robustezza sufficiente sia per reggere i carichi diretti, sia per non trasmettere elevate sollecitazioni di flessione all’asta. Inoltre, con la mancanza del dritto e dell’agugliotto passante, il pozzo chiuso viene ora ad essere meno robusto. Un’alternativa a questa soluzione è stata ottenuta eliminando i due agugliotti e trasferendo a proravia l’innesto sulla pala dell’asta di comando. L’asta, ora diritta, viene a costituire superiormente (al cuscinetto di losca) un appoggio per la pala a struttura portante, caricandosi anche a flessione. Complessivamente la sistemazione è più semplice, ma richiede una pala ed un’asta di comando più robuste. Esistono diverse configurazioni di pala per i timoni su calcagnolo. Una variante alla pala classica è rappresentata dall’introduzione di un profilo asimmetrico sfalsato: la sagomatura, in funzione del verso di rotazione dell’elica, può riguardare il solo bordo d’attacco oppure tutta la pala. Quest’ultima può essere effettuata in maniera continua lungo la campata, come nel timone “Star”, oppure, più semplicemente, tagliando a metà altezza una pala asimmetrica e riunendo, con le concavità contrapposte, le due parti. I timoni delle navi Liberty, del tipo Simplex, erano ottenuti proprio in questo modo, ma erano ancora meno elaborati, infatti erano costituiti da due semplici semi–pale simmetriche collegate una all’altra con un certo angolo di sfasatura lungo la linea della corda mediana (il timone “alla via” risultava però instabile). Un altro esempio di ricerca di un rendimento migliore, sia del timone sia propulsivo, è rappresentato dall’aggiunta, sul mantello della pala, di un bulbo allineato con l’asse dell’elica, è questo il caso del timone “con bulbo Costa”. Grazie alla presenza del bulbo si ha un flusso più omogeneo sulla pala e una riduzione della velocità media d’ingresso sul disco dell’elica. Intervento finalizzato allo stesso scopo è quello che prevede l’inserimento fra timone ed elica di un’elica fissa oppure contro–rotante, da una parte si ottiene infatti un recupero di energia propulsiva, dall’altra un aumento dell’efficienza della pala, che lavora così in un flusso più omogeneo. Un altro tipo d’intervento è quello teso ad aumentare l’allungamento effettivo, e quindi il rendimento idrodinamico della pala, tramite l’utilizzo di lamine trasversali di estremità poste in corrispondenza sia del coperchio, sia del fondo del timone. La completa apertura del pozzo dell’elica è stata resa possibile dall’irrobustimento delle pale: ciò ha permesso la messa in opera di timoni sospesi, ossia senza calcagnolo, prima con asta passante, eventualmente rastremata, e poi a struttura carenata completamente portante. In questo modo l’asta viene gravata, oltre che dal momento torcente di controllo della pala, anche da un momento flettente che non viene più mitigato dalla presenza di uno o più appoggi lungo la pala stessa. Una soluzione intermedia, per ovviare al problema dell’elevato carico di flessione sull’asta, consiste nel creare un appoggio parziale lungo il bordo di attacco superiore della pala (appoggio su corno con uno o due agugliotti), oppure lungo tutto il bordo (appoggio su pinna). L’evoluzione della tecnica navale ha condotto alla progettazione di navi con più di un’elica propulsatrice, rendendo quindi conveniente l’installazione dei timoni al di fuori del piano diametrale: la prima soluzione adottata è stata quella di timone sospeso, ma col crescere delle forze in gioco è stato necessario ancorare con più sicurezza la pala utilizzando un corno di sostegno. Nel caso di navi bielica con timone centrale su skeg, la configurazione è assimilabile a quella di timone su pinna, quando il timone non è compensato, oppure a quella di timone su corno, quando il timone è semi–compensato. I timoni moderni, per navi mercantili o militari, sono essenzialmente di due tipi, sospeso o su corno, e solo nel caso di navi bielica con timone centrale non compensato la configurazione è quella di timone su pinna. Il timone su calcagnolo si usa ormai solo in casi particolari, per esempio sui pescherecci quando si vuole proteggere l’elica dalle reti. Sia i timoni su corno che quelli sospesi possono avere un flap di coda per sfruttare l’effetto dei profili in cascata. Questa soluzione ha visto una prima applicazione nei timoni ideati da Lumley già per le navi a vela con il flap comandato prima da catene e poi da un perno fisso (la prima applicazione risale al 1862). La caratteristica più attraente di questi timoni è infatti quella di avere un meccanismo semplice per il controllo del flap: il flap è incernierato alla pala e porta superiormente un’asta orizzontale che, all’altra estremità, è inserita nell’occhiello di un perno ad asse verticale. Quando la pala ruota, il flap ruota rispetto alla pala perché comandato dall’asta orizzontale che, pur traslando nell’occhiello, è obbligata a passare per l’asse del perno. In tal modo l’angolo di rotazione del flap è legato a quello della pala, usualmente in maniera tale da far ruotare il flap con un’amplificazione di 2,5 , cosicché per i 35° di barra della pala si hanno circa 90° di angolazione assoluta sul flap. Il timone viene commercializzato con il nome dell’azienda produttrice (per esempio sono diffusi quelli della ditta “Becker”). Una più recente e meno fortunata applicazione è quella che prevede l’uso del flap per facilitare la rotazione della pala piuttosto che per aumentare la portanza della pala stessa (timone “Flettner”). Tali timoni, non più usati, avevano un comando indipendente per il flap, che li rendeva però delicati perché il sistema di comando passava obbligatoriamente nell’asta. Essi diventavano inoltre ingovernabili per flusso proveniente da poppa. Un’interessante combinazione delle soluzioni sopra esposte – relative al miglioramento dell’efficienza propulsiva e dell’efficienza della pala oltre che alla razionalizzazione della configurazione strutturale – è quella offerta dal timone “Wichmann”, commercializzato ora dalla Wärtsilä sotto la denominazione “PropacRudder”. Si tratta di un timone semi–compensato su corno, con flap di coda e con un bulbo “Costa” che costituisce un tutt’uno con il mozzo dell’elica. Ai vantaggi idrodinamici derivanti dalla morfologia della pala si aggiunge perciò quello di avere un appoggio inferiore della pala molto più rigido rispetto al semplice corno – il pozzo dell’elica risulta infatti parzialmente chiuso – con la conseguente riduzione delle vibrazioni e delle sollecitazioni statiche trasmesse all’asta, e perciò con la possibilità di ridurre il diametro della stessa. APP. 1 – Elenco dei simboli α αλ αTF β χL δP δT δVa δVA ∆p ∆pM ϕ ϕ1 ϕH λ λG Λ ΛLE Ω µ µF ν θ1 [°] [°] [°] [-] [-] [m] [m] [ms–1] [ms–1] [Pa] [Pa] [°] [mN–1] [mN–1] [-] [-] [°] [°] [m2] [kg m–1s–1] [-] [m2s–1] [rad m–2N–1] angolo di attacco al timone angolo di attacco modificato per effetto di λ angolo di inclinazione del flap fattore di correzione per il calcolo di tf coefficiente di densità di portanza cedimento nel generico punto P della trave cedimento trasversale del calcagnolo velocità del flusso indotta da α lungo la corda incremento totale di velocità della scia dell’elica valore assoluto della depressione sul profilo valore assoluto della depressione massima sul profilo angolo di abbattimento della forza F cedevolezza a flessione della pinna cedevolezza a flessione del corno allungamento effettivo della pala allungamento geometrico della pala angolo di abbattimento medio della pala angolo di freccia al bordo di attacco area racchiusa dalla sezione resistente del corno viscosità dinamica coefficiente di frizione viscosità cinematica angolo di torsione unitario ρ ρC [kg m–3] [Nm–1] [MPa] [MPa] [MPa] [MPa] [MPa] [MPa] massa volumica rigidezza del calcagnolo tensione normale ammissibile tensione equivalente massima tensione normale da flessione tensione tangenziale ammissibile massima tensione tangenziale da torsione massima tensione tangenziale da taglio AF AL AM AO APD AR ARE ARF ARF b bf bm bM B c c cm cp cr ct cB cD cD0 cF cL cN cQ cR cY CR CT [m2] [m2] [m2] [m2] [m2] [m2] [m2] [m2] [m2] [m] [m] [m] [m] [m] [m] [-] [m] [-] [m] [m] [-] [-] [-] [-] [-] [-] [-] [-] [-] [N] [-] [m] [m] [m] [m] area della parte fissa del timone area della superficie di vela area della parte mobile del timone area del disco dell’elica area del piano di deriva della nave area del timone area della pala esposta al flusso dell’elica area della pala a proravia dell’asse di rotazione area del flap del timone campata della pala lunghezza del lato lungo del pannello di fasciame campata media della pala distanza fra il CP della pala ed il cuscinetto di losca larghezza della nave corda della pala generico coefficiente idrodinamico corda media della pala coefficiente di pressione corda della pala alla radice corda della pala all’apice coefficiente di pienezza della nave coefficiente di resistenza coefficiente di resistenza all’angolo di attacco nullo coefficiente della forza totale coefficiente di portanza coefficiente della forza normale coefficiente del momento torcente coefficiente idrodinamico della forza CR coefficiente di efficacia del timone forza per la verifica dell’asta secondo IACS coefficiente di spinta dell’elica distanza del centro di pressione dal bordo di attacco distanza del centro di pressione dallo spigolo superiore distanza dell’asse di rotazione dal bordo di attacco distanza fra la pala ed il centro del cuscinetto di losca σamm σeq σM τamm τQ τT CPC CPS d dO dS D DA De DT DTF E F FA FC FN FR FT G hf hH i JA JC JH JO JP JPi k kλ kl km km KE l l lC lH L LPP mλ M MO MR patm pf po pV [m] [N] [m] [m] [mm] [mm] [Pa] [N] [N] [N] [N] [N] [N] [Pa] [m] [m] [m] [m4] [m4] [m4] [m4] [m4] [m4] [-] [°],[rad] [-] [-] [-] [-] [m] [Nm–1] [m] [m] [N] [m] [-] [Nm] [Nm] [Nm] [Pa] [Pa] [Pa] [Pa] distanza della pala dallo scafo forza di resistenza idrodinamica diametro dell’asta diametro dell’elica diametro minimo dell’asta secondo IACS diametro minimo dell’asta secondo IACS modulo di elasticità normale forza totale sulla pala forza assiale sulla pala forza applicata dalla pala al calcagnolo forza normale sulla pala forza radiale applicata sul cuscinetto componente utile della forza generata dal timone modulo di elasticità tangenziale profondità del pannello di fasciame della pala altezza del corno raggio d’inerzia della nave all’imbardata momento d’inerzia dell’asta rispetto all’asse neutro momento d’inerzia del calcagnolo momento d’inerzia del corno momento d’inerzia polare dell’asta momento d’inerzia della pala rispetto all’asse neutro momento d’inerzia dell’i–esimo elemento di pala fattore di proporzionalità nella formula 3.7.D fattore di trasformazione dell'angolo di attacco rapporto fra l e De coefficiente correttivo della scia dell’elica coefficiente del materiale secondo IACS fattore di correzione di VA per l’effetto dell’elica distanza fra elica e timone densità lineare di portanza lunghezza del calcagnolo lunghezza della mensola del corno forza di portanza lunghezza della nave tra le perpendicolari fattore di trasformazione del coefficiente di resistenza momento sezionale di flessione momento flettente rispetto al cuscinetto di losca momento flettente per la verifica dell’asta secondo IACS pressione atmosferica pressione sul pannello di fasciame della pala battente idraulico sul profilo tensione di vapore q [Pa] q [N/m] Q [Nm] Q [Nm] QF [Nm] QR [Nm] r1, r2, r3 [-] rL [-] RH [N] [-] RN RP [N] sf [m] si [-] [m] tf tM [m] T [m] T [N] T [°C] T [N] V∞ [m/s] Vt [m/s] VA [m/s] VR [m/s] VS [m/s] w [-] wR [-] x [m] x0 [m] y [m] y0 [m] Y [N] YO [N] pressione nel punto di ristagno carico per unità di lunghezza agente sulla trave momento torcente originato sulla pala momento sezionale di torsione momento resistente di frizione momento torcente per la verifica dell’asta secondo IACS fattori di correzione per il calcolo di cR fattore di riduzione della portanza funzione di AM /AR forza applicata dalla pala al corno Numero di Reynolds reazione vincolare nel generico punto P della trave lunghezza del lato corto del pannello di fasciame generico parametro geometrico della superficie di pala spessore minimo del pannello di fasciame spessore massimo sulla corda media della pala immersione media di progetto della nave spinta dell’elica temperatura forza sezionale di taglio velocità del flusso indisturbato velocità del flusso lungo la corda indotta dagli spessori velocità del flusso sul disco elica velocità del flusso sulla pala massima velocità di servizio della nave frazione di scia frazione di scia al timone distanza dal bordo di attacco distanza dal bordo di attacco per profilo standard semispessore all’ascissa x semispessore all’ascissa x per profilo standard forza trasversale di controllo minima forza trasversale di controllo