omelia di P. John

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Presentazione del Signore, 2.2.2014 – Taubaté
Riassunto dell’omelia di John van den Hengel
Il vecchio tempio post-esilico incontra il nuovo tempio portato da Maria e Giuseppe. Dopo la
distruzione nel 70 il vecchio tempio rimane il simbolo di una presenza divina perduta. Per noi
questo tempio è sostituito dalla persona di Gesù chi costituisce una nuova alleanza fra Dio e gli
uomini. Oggi però questa nuova realtà ci viene presentata sotto il segno della divisione, della
contraddizione, della croce. Celebrando oggi nella festa della presentazione del Signore anche la
Giornata della Vita Consacrata questo ci ricorda: come discepoli di Gesù faremo sempre parte di
questa contraddizione. All’inizio del nostro seminario Anthropologia Cordis tale festa ci ricorda
pure: La morte non è il punto finale dell’essere umano, ma parte integrante del cuore. Solo se
viviamo questo segno di contraddizione, di divisione, della morte il nostro più profondo essere può
emergere. Sì, siamo chiamati di portare la morte di Cristo nel nostro corpo e nelle nostre
comunità.
Per p. Dehon non fu mai sufficiente di delineare la nostra identità solo con l’amore. Sempre fu
“amore e”: amore e riparazione, amore e immolazione, amore e oblazione – o nelle parole del p.
Prévot: amore e sacrificio. Il cuore di Cristo per noi è il cuore trafitto. Amore che si svuota di se
stesso, lasciandoci un Dio umile.
In questa settimana riflettiamo su che cosa significa questo “amore e” per la comprensione di noi
stessi. A volte nella devozione al Sacro Cuore riparazione, sacrificio, ecc. sembravano uno sforzo
supplementare per soddisfare un Dio insultato oltre misura. Per Dehon invece si trattava piuttosto
di portare le ferite dell’esistenza con pazienza ed equanimità. Così inizia la nostra antropologia.
Per il vangelo Gesù è il compimento di Israele, però questo compimento è una spada che divide
Israele. E questa spada è il destino di Maria. Lei porta e soffrirà nel suo corpo la divisione di Israele.
Questa tensione e divisione in Maria figlia di Israele è un simbolo di un’antropologia del cuore. Mai
separabile del destino del mondo. Un’antropologia secondo il cuore di Dehon sempre soffre “le
gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti
color che soffrono” nella sua propria carne. Sarà sempre un’antropologia trafitta. Non può mai
essere un’antropologia riferita e preoccupata dallo IO senza contatto con l’intorno. Con Maria
portiamo le ferite e le divisioni del mondo.
Il titolo del prossimo capitolo generale “misericordiosi, in comunità, con i poveri” lo dice bene.
Nelle nostre comunità cerchiamo di esser compassionevoli l’uno con l’altro ma non isolato dalle
periferie, anzi proprio insieme con i poveri, i feriti, i marginalizzati. Il vangelo di oggi ci spinge di
prendere Maria come nostro esempio di un cuore che ha imparato di portare, di vivere con la
sofferenza, i conflitti, il terrore di altri. E’ questo che p. Dehon tentava legando l’amore alla
riparazione, all’immolazione, al sacrificio. Ci auguro di avere una settimana feconda alla ricerca di
un linguaggio e di una prassi di un camino del cuore.
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