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Nicola Siciliani de Cumis
Maria Montessori e la ricerca educativa
In premessa
Che cosa vuol dire, oggi, discorrere di Maria Montessori e della ricerca
educativa che variamente le si può riferire? Di quale aspetto dell’indagine, della
formazione montessoriana, intendiamo parlare e ascoltare, questa sera? In che
rapporto stanno cioè, da una parte, la scienziata e la pedagogista Montessori come
soggetto e/o come oggetto di indagine, e, dall’altra parte, la ricerca educativa che
operativamente le si connette? Di quante e quali Montessori, di quali e quante
modalità e finalità d’approfondimento dobbiamo allora tenere conto?
E, parlando di ricerca educativa in relazione alle pluralità culturali di volta in
volta affioranti, qual è il contesto, quale l’ambito storico-geografico di cui, dal nostro
punto di vista, desideriamo qui ed ora occuparci? Intendiamo, cioè, inquadrare la
ricerca educativa della seconda metà dell’Ottocento, in rapporto alla biografia
intellettuale e morale della giovane Montessori, o trattare dei fatti culturali salienti dei
primi decenni del Novecento, in relazione ai suoi esiti scientifici più maturi? Oppure
vogliamo considerare l’ipotesi di un’epistemologia montessoriana e delle sue
conseguenze metodologiche?
E altrimenti: perché non prendere le mosse dalla ricerca educativa dei nostri
giorni, con riferimento diretto e/o indiretto all’eredità montessoriana, a taluni aspetti
di essa? Che cosa cambia, quindi, nella stessa formulazione di queste domande, se
muta il contesto e dunque il punto d’osservazione? Se cioè riproponessimo gli stessi
interrogativi in un’ottica non tanto italiana quanto europea, o anche statunitense,
russa, indiana, giapponese, cinese, africana, araba, sudamericana, planetaria?
E se volessimo indagare, invece, i nessi tra l’esperienza montessoriana e le
ricerche educative su fonti, maestri, letture, insegnamenti e apprendimenti, che
stanno a monte di quella esperienza? E poi: c’è a valle di essa, oppure non c’è, un
indotto euristico-educativo, che procede da Maria Montessori, per trascenderne
l’esperienza? Si può dire quindi di un lessico, degli stilemi montessoriani
caratteristici, di una fraseologia tipica, non confondibile, e dunque di una Montessori
studiosa a sua volta di questioni linguistiche? Quanto incide allora in prospettiva,
quel suo voler pensare ed agire mondialmente nel presente e nel futuro?
In altri termini: ammesso che si ravvisi nel suo sostenuto mondialismo e
nell’incalzante pacifismo l’intonazione alta della maieutica di questa pedagogista e
scienziata sui generis, fino a che punto il socratismo planetario che le si deve
riconoscere non finisce col trasferirsi fuori dei confini di una ricerca educativa
soltanto “montessoriana”? Quale il confine, dunque, tra ciò che è “Montessori” e ciò
che non lo è?
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Come Pinocchio
Se mi fosse consentito, direi che accade a Maria Montessori un po’ lo stesso che
succede a Pinocchio…
Da una parte, cioè, occupandoci di Montessori, noi abbiamo a che fare con la
“materia” montessoriana specifica, con le esperienze tipiche, con i testi esclusivi, con
i pensieri propri e nuovi di Montessori. Con le memorie e gli archivi di vario genere,
che ne restano: e dunque con le singolari ricerche educative che senza fine ne
derivano, e che comportano un riconoscimento di autenticità e di unicità. Come
avviene con l’opera collodiana, quando la si consideri tale e quale.
Da un’altra parte, però, ci tocca di fare i conti con gli usi diretti e indiretti, propri
e impropri della medesima “cosa” Montessori, alterata, integrata, contraffatta: e cioè,
proprio come per Pinocchio, non possiamo non misurarci con i tantissimi usi, riusi
ed abusi che se ne fanno… Le cosiddette “pinocchiate” che, se pur apprezzabili, sono
tuttavia di un’altra pasta rispetto alla Avventure di un burattino.
Ed è per l’appunto ciò che accade a Maria Montessori, quando diventa emblema
di ciò che soggettivamente se ne deduce e simbolo di ciò che arbitrariamente le si
attribuisce. Una Montessori “figura”, “immagine” o “immaginetta”, o “logo” di un
prodotto pedagogico e didattico “altro”, che la traduce talvolta in rigidezze
accademiche, altre volte in elasticità di natura ideologica. E altrimenti, in qualche
caso, in evidenti ragioni di mercato.
Il che, quando accade (e non è detto che ciò sia sempre un fatto negativo), va
spiegato, interpretato, valutato criticamente. Va fatto oggetto di ricerca educativa e
discusso quindi apertamente. Così come, anche se su un piano differente, vanno
intese razionalmente, e se possibile utilizzate in positivo, perfino le eventuali
dissacrazioni… gli stessi nasi lunghi alla Pinocchio, che a qualcuno veniva in mente
di apporre sulla Montessori delle mille lire.
Ricordo, a questo proposito, la prima delle tesi di laurea che, me relatore
(correlatore Giacomo Cives), sono riuscite vincitrici nel Premio “Maria Jervolino”.
La tesi, cioè, di Anna Maria Bianconi (1988): che, da un lato, documentava l’impatto
storico reale dell’esperienza montessoriana negli Stati Uniti d’America; da un altro
lato comprovava le ibridazioni, le alterazioni ed addirittura gli stravolgimenti
pedagogici, a fini commerciali, del metodo Montessori nell’ottica del montessorismo
statunitense più recente. Il rendersi conto del come e del perché, ecco una ricerca
senza dubbio educativa.
Che proverebbe subito il peso delle diverse tradizioni storiche, in rapporto
all’eredità Montessori: tradizioni culturali che, per un verso, impongono di prestare la
giusta attenzione al prototipo, al suo farsi storico-critico-operativo originario,
all’intrinseca dimensione pedagogica e alla peculiare vicenda degli esiti scientifici
d’impronta propriamente montessoriana. E dunque alla loro differenzalità ed
originalità.
Esemplare, in questo senso, l’impegno dell’Opera Montessori nel promuovere
lavori di ricerca educativa, quali l’eccellente edizione critica di Il Metodo della
Pedagogia Scientifica, a cura di Paola Trabalzini, l’imponente Bibliografia
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Internazionale, a cura di Clara Tornar, ed ora la preziosa raccolta di scritti e
documenti inediti e rari, Il metodo del bambino e la formazione dell’uomo, a cura di
Augusto Scocchera…
Non meno significativa, d’altra parte, la funzione di divulgazione scientifica,
promozione culturale e consulenza didattica, svolta da una rivista come “Vita
dell’infanzia”. E dalla stessa Opera Montessori, come luogo di documentazione,
smistamento, scambio di esperienze d’indagine concernenti l’Autore e gli studi e le
attività ad esso relativi.
Per un altro verso tuttavia, e pur sempre in tema di ricerca educativa, occorre fare
i conti con la storia delle essotopie montessoriane, delle immancabili
extralocalizzazioni della montagna Montessori: e cioè con la vicenda degli innesti
Montessori, e delle loro varianti, nei diversi contesti e come pretesti educativi. Basta
scorrere la citata Bibliografia Internazionale, per rendersene conto…
Oppure pensare alle tante generazioni di bambini che, in tutto il mondo, sono in
debito con Maria Montessori, con il suo metodo e con le sue possibili diversificazioni
ed adattamenti. Ai milioni e milioni di bambini, alle molte infanzie del mondo, che
potrebbero ancora giovarsene.
Come se la Montessori, inventandosi e reinventandosi pedagogista in presenza
dell’infanzia planetaria di questo o di quell’altro periodo storico, continui ancora ad
adattarsi e a riadattarsi, a rimodellarsi così nel passato, tra i suoi contemporanei,
come nel nostro presente di posteri. Come se, chiusa quella determinata parabola
storico-biografica, se ne aprisse continuamente un’altra di carattere educativo,
rimodellante la Montessori, e noi stessi, per così dire, al futuro…
[La Montessori: ma perché, a dispetto della nostra cultura radicalmente
maschilista, non proviamo a togliere questo benedetto articolo determinativo di
genere femminile, la, “la Montessori”, anche per rispetto alle idee montessoriane
sulla parità dei sessi, come si fa con Pestalozzi, Rousseau, Froebel, Makarenko,
ecc.: per i quali di solito, diversamente che per la Montessori, non diciamo il
Pestalozzi, il Rousseau, il Froebel, il Makarenko, ecc.?].
Quale Montessori, per quale ricerca educativa
Ecco perché, alla luce di quanto detto fin qui, mi viene da interrogarmi sul senso
di questa nostra rivisitazione odierna; e mi torna alla mente il mio primo incontro con
Maria Montessori esattamente quaranta anni fa: Università di Roma “La Sapienza”,
anno accademico 1963-’64… Ma non è di me “matricola” di Lettere classiche, poi di
Filosofia, che voglio parlare questa sera; né del mio impatto montessoriano iniziale,
nel bel mezzo della “Pedagogia” di Aldo Visalberghi, della “Filosofia morale” di
Franco Lombardi, della “Sociologia” di Franco Ferrarotti, quindi della “Psicologia” e
della “Storia della pedagogia” di Adriano Ossicini (nell’Università di Messina).
Quei miei lontani anni di vita universitaria, mi portano semmai a riflettere, in
termini di ricerca educativa, su un altro terreno: e, da un lato, sul periodo
corrispondente della vita della Montessori studentessa nella medesima università,
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una settantina d’anni prima; da un altro lato, sull’esperienza dei miei studenti romani
di questi ultimi vent’anni, che si sono laureati con me su temi e problemi
montessoriani. Tra didattica e ricerca, come ci diciamo fra noi.
E’ così allora che, ragionando e immaginando tra cronaca e storia di temi e
problemi montessoriani, mi confermo nell’idea che c’è ancora molto da indagare sul
periodo della formazione universitaria della studentessa Montessori: e dunque, sui
periodi seguenti, per caratterizzarne la personalità, le esperienze e letture giovanili e
successive, il clima culturale dell’epoca, i suoi maestri diretti e indiretti, le fonti
primarie e secondarie del suo pensiero, i suoi allievi e gli allievi degli allievi, le
modalità della sua recezione nei differenti contesti locali, nazionali, internazionali.
C’è infatti molto da interrogarsi a partire dallo “stato dell’arte”, dai diversi “stati
dell’arte”, per colmare vuoti critici e, quindi, per ampliare il quadro storicopedagogico d’insieme. E per cogliere, dal nostro punto di vista, nuove suggestioni di
ricerca educativa; e per formulare, dunque, altre ipotesi d’indagine…
Io non so, per esempio, se il 14 novembre del 1896 (lo stesso anno della laurea di
Maria in medicina, il 10 luglio), la futura studentessa di filosofia Montessori fosse
fisicamente presente all’inaugurazione del nuovo anno accademico alla Minerva
romana: relatore ufficiale, Antonio Labriola; tema della conferenza, L’Università e la
libertà della scienza.
Supporrei però che, se fosse stata presente, la neo-medichessa in odore di
pedagogia scientifica non avrebbe potuto che ascoltare con interesse l’oratore, mentre
discorreva dell’embriologista, del fisico, del medico… E di «altrettali scienziati, che
sono di continuo come alle poste su le grandi vie dell’esperienza e della
esperimentazione».
La dottoressa Montessori si sarebbe trovata certo a suo agio nell’udire un
Labriola che, negando alla filosofia la tradizionale funzione di anticipatrice
dell’«esperienza naturale» e di fondamento delle «scienze propriamente dette»,
veniva difendendo invece un metodo di insegnamento che non si discostasse dalle
«particolari ricerche entro l’ambito di determinate questioni». Un metodo nutrito, tra
l’altro, di «realismo», «pluralismo», «psicologia scientifica», «specificazione dei
metodi», «psicologia empirica»; e, pur con tutti i limiti, di pedagogia sperimentale.
Ecco perché la “Medichessa”, prossima studentessa di filosofia, avrebbe potuto
ascoltare con interesse quel professore che, mentre sottolineava il ruolo avuto dalla
«fisiologia generale» nel rinnovamento delle scienze, veniva sostenendo un’idea di
laurea in filosofia, che poggiava sul presupposto
- che la filosofia debba cessare di essere nell’ordine degli studi un che di extra-scientifico, e
un quasi rimasuglio di tradizione scolastica: - che la filosofia debba essere liberata dalla forzata ed
inverosimile congiunzione con la filologia: - che la filosofia debba essere messa alla portata di tutti
quelli che studiano ogni altra disciplina, perché vi trovi un facoltativo complemento di cultura
qualunque studioso si senta in grado di superare nella trattazione delle varie scienze la specialità
della ricerca.
C’era inoltre la circostanza, altrettanto significativa, che Labriola venisse
additando alla «scienza italiana» la prospettiva di una «circolazone internazionale»
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dei suoi risultati; ed il fatto che egli si facesse portavoce del principio che
nell’Università le donne, o, come egli le chiama, «gli uomini di sesso femminile
hanno i medesimi diritti e doveri degli uomini di sesso maschile». Due argomenti,
senza dubbio congeniali ad una personalità come quella montessoriana, portata a
farsi cittadina del mondo ed al tempo stesso paladina dell’emancipazione della donna.
E d’altra parte, ancora relativamente al Labriola, la sua propria “enciclopedia
pedagogica” (con tanto di psicologia, sociologia, antropologia, metodologia) non
poteva non essere, obiettivamente, che un preciso punto di riferimento per chi, come
la dottoressa Montessori, avesse frequentato e volesse tornare a frequentare le aule
della “Sapienza” romana dell’epoca. Ed a maggior ragione in quanto Labriola
(passato ad insegnare nel 1902 “Filosofia teoretica”, dopo aver consegnato la cattedra
di “Pedagogia” a Luigi Credaro) continuerà ad occuparsi didatticamente delle
dimensioni empiriche, sperimentali, della psicologia, tra l’altro in un corso
universitario in tema di psicologia delle funzioni operative.
Di qui, anche, l’opportunità di nuovi studi sulla personalità e sull’opera di Maria
Montessori: e, magari, a partire dai loro angoli meno illuminati, dai dettagli, dagli
aspetti collaterali dell’indagine, che possono apparire marginali, ma che poi marginali
non sono. E che invece, se opportunamente trattati nella loro specificità ed organicità,
valgono a restituire nuova vita all’insieme. Lavorando sulle analogie e, più, sulle
differenze.
E d’altra parte: riflettendo sulla parabola iniziale del metodo-Montessori, non
comincia proprio dai ristretti risultati speciali ottenuti nel recupero di bambini
anormali, il lungo viaggio pedagogico del risveglio dell’“uomo assopito” in ogni
bambino normale? Non si tratta, allora, di una situazione nella quale lo handicap dei
frenestenici, in virtù del metodo, finisce col capovolgersi in una risorsa pedagogica
per l’infanzia tutta? Non consiste finalmente nell’autoeducazione il segreto di ogni
costruttiva, durevole educazione dell’“uomo nuovo”?… Un punto, questo, che
mutatis mutandis mi farebbe volentieri scantonare su Makarenko; ma, dati i tempi a
disposizione, me ne guardo bene.
Insisterei invece sull’ipotesi che la ricerca educativa sulla personalità e sulle
opere montessoriane possa giovarsi della individuazione e della dilucidazione di
profili in apparenza secondari, minori, non esplorati. Perché tra l’altro è proprio qui,
nell’avventura personale (nel gioco e nel rischio, ma anche nella felicità) di siffatte
indagini peregrine, che arrivano a coagularsi l’attenzione e l’interesse, e spesso
l’entusiasmo, degli studenti universitari coinvolti… Nel mio lavoro di tutti i giorni,
mi è capitato di osservarlo ormai decine e decine di volte.
Da quando nel 1986 la Bianconi, maestra montessoriana, si avventurò come ho
detto negli Stati Uniti sulle tracce della Montessori “americana”, conseguendo ottimi
risultati di studio, i nuovi episodi di ricerca educativa montassoriana che mi hanno
coinvolto sono stati in effetti più d’uno. E tutti degni di nota per l’allegria, con cui i
miei studenti ed io li abbiamo vissuti.
Ricordo infatti con piacere la gioia di Giuliana Di Egidio e Maria Tempone, sulla
costruzione per così dire “genetica” di un documento storico-educativo su Maria
Montessori, a partire ora dalla fonte “Vita dell’infanzia” per il periodo dal 1977 al
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1987; ora muovendo da altre fonti, con riferimento cronologico all’arco della vita
della stessa Montessori (1870-1952).
Lavori di laurea, poi affiancati da quelli, altrettanto felici, di Germana Recchia e
di Maria Carmen Silvestri, rispettivamente di interesse storico-bibliografico e storicoenciclopedico; e da quelle altre ricerche, variamente interessanti, concernenti ora la
Montessori di un gruppo di suoi ex allievi, collaboratori, estimatori (a cura di Marta
Gandiglio), ora la Montessori di una maestra montessoriana di oggi (Carmela
Alberano, a cura di Daria Egidi); quindi la Montessori studentessa universitaria e
dottoressa in medicina, in rapporto alle sue fonti didattiche e scientifiche (Anna
Matellicani, Francesca Fusiani). E quest’altra Montessori, infine, come fonte
educativa della laicità metodologica (se così posso dire) di un Emerito della
storiografia montessoriana quale Giacomo Cives (nella tesi di Giovanna Di Dieco).
In conclusione
Non dimenticherei però, tra ricerca e educazione, il significato per me di certe
altre mie esperienze montessoriane: così le numerose tesi di laurea d’altro
argomento, ma pur sempre zeppe di riferimenti Montessori; le non poche correlazioni
di tesi Montessori, a cominciare da quella di una montessorologa di marca civesiana
come Trabalzini; la decennale, quotidiana frequentazione di una scuola romana
Montessori (quella di Villa Paganini), come padre di figli in carriera e come fan di
una maestra di razza come Carmela (il cognome è superfluo); le collaborazioni a
“Vita dell’infanzia”, quelle personali e quelle altre per interposta persona (di
Germana, Roberto, Maria Pia,Vincenzo…).
E’ tuttavia dalle ricerche montessoriane che ancora non ci sono, ma che
potrebbero cominciare con l’esserci, che, per quel che mi riguarda, Maria Montessori
può continuare ad essere felicemente al centro di inedite vicende educative. O, se
vogliamo, provocatoriamente diseducative: finestre aperte sulle contraddizioni e le
sproporzioni del mondo.
E’ dalla novità degli interrogativi che sorgono in presenza dei problemi di una
ricerca in via di ipotesi divergente, che si potranno forse migliorare gli standard di
indagini scientifiche ed attività didattiche variamente confluenti sulla Dottoressa. Ed
intervenire su ciò che culturalmente, cioè politicamente, ne scaturisce.
Ed è dalla stessa idea di una ricerca in via di ipotesi educativa tra
immaginazione storiografica e inventività pedagogica, che può dunque farsi strada
l’immagine di una Montessori ostetrica dell’“uomo nuovo”. Un tafano piuttosto,
tutt’altro che un pedagogo, che con le sue inquietanti domande punzecchia cavallo e
cavaliere, il “vecchio uomo” come uomo non di pace, ma di guerra:
Chi suonerà la tromba che lo risvegli? Che farà l’uomo, che giace disteso e dormiente sulla
superficie del mondo mentre la terra sta per inghiottirlo?
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La gravosità del rischio dell’inadeguatezza