Un`estensione della teoria dell`analisi della domanda

annuncio pubblicitario
Un’estensione della teoria dell’analisi della domanda: le forme dello scambio
di Valerio Ghezzi*
Abstract
L’analisi della domanda quale teoria della tecnica dell’intervento psicologico ha individuato come poli
simbolico-affettivi delle infinite e polisemiche modalità di relazione tra individuo e contesto il possesso e lo
scambio (Carli & Paniccia, 2002). Mentre molta letteratura si è concentrata sull’analisi e la comprensione
delle simbolizzazioni affettive senza prodotto (neoemozioni) quali forme disfunzionali agite dagli individui nel
rapporto con il contesto, obiettivo di questo contributo è quello di proporre e formalizzare una declinazione
teorica e operativa del costrutto di scambio quale modalità di relazione con il contesto fondata
sull’accoglienza e resa possibile dai processi di reciproca legittimazione sociale tra gli attori del contesto.
Nella nostra proposta, l’accoglienza (la forma più aspecifica di ”manifestarsi” dello scambio) può svilupparsi
nella relazione attraverso una modalità fondata sul pensiero emozionato (la conoscenza) oppure sull’agito
emozionalmente connotato (la comunicazione). La conoscenza può essere declinata in due modalità
simboliche ancor più particolari (la considerazione e il confronto), così come la comunicazione (la
condivisione e il dialogo).
Parole chiave: domanda; emozioni; contesto; collusione; scambio.
Introduzione generale
Se ti abbraccio, non aver paura1
L’analisi della domanda è una teoria della tecnica che, all’interno di una prospettiva psicologicoclinica, si propone quale modello dell’intervento nell’ambito delle relazioni sociali e, più
specificamente, quale modello dell’intervento volto alla promozione di sviluppo entro la relazione
tra l’individuo e i contesti ai quali l’individuo partecipa, attraverso la rimodulazione del rapporto tra
simbolizzazioni collusive e domanda di realtà emergente in chi pone la richiesta d’intervento (Carli
& Paniccia, 2003). Questa teoria della tecnica si inserisce, nella letteratura psicologica, quale
proposta di superamento del paradigma individualista dell’intervento (Carli, Grasso, & Paniccia,
2007), paradigma che prevede la centratura dell’intervento psicologico e sociale sui “problemi”
degli individui, ed è finalizzato alla correzione di deficit (per esempio, sul ripristino dello scarto dalla
normalità attesa) attraverso l’applicazione di tecniche (psicoterapeutiche, per esempio) volte a
ricondurre, ortopedicamente, la caratteristica personale o organizzativa che si presuppone causa
del disagio.
La teoria dell’analisi della domanda critica fortemente l’assunzione principale della psicologia
contemporanea, che riconduce i propri modelli d’intervento a una concezione eziopatogenetica dei
fenomeni mentali e sociali, all’interno di una concezione deterministica (o plurideterministica), dove
il comportamento umano è regolato da leggi “individuabili” che dovrebbero consentire di prevederlo
e, quindi, di fornire gli elementi necessari per intervenire sulle sue “cause”.
L’analisi della domanda si differenzia profondamente dalle tendenze “oggettivanti” della psicologia
contemporanea, intesa come scienza dell’intervento, e propone una analisi della realtà
*
Dottorando in Scienze Psicologiche – Indirizzo “Psicologia Sociale e della Personalità”, Università degli
Studi di Padova. Corrispondenza: [email protected].
:
1
Titolo del libro omonimo scritto da Fulvio Ervas (2012) ed edito da Marcos Y Marcos.
Rivista di Psicologia Clinica
n.1 – 2012
154
profondamente differente; l’assunto di base è che le persone e le organizzazioni sociali non
richiedano l’intervento dello psicologo perché “stanno male”, bensì perché lo psicologo “esiste”, e
in quanto tale è simbolizzato come figura competente che può occuparsi di alcuni problemi e
dinamiche (Carli & Paniccia, 1981): la domanda d’intervento, in questa prospettiva, non è motivata
da “problemi”, ma dal fallimento della collusione (Carli, 1993a), ossia dalla rottura della
corrispondenza tra simbolizzazione affettiva e domanda di realtà che le persone e i sistemi sociali
rivolgono al contesto cui appartengono e partecipano (Carli & Paniccia, 2002). All’interno di
quest’ottica, il paziente depresso non è concepito come un individuo portatore di un disagio
passivo, desideroso di apprendere dal terapeuta conoscenze e tecniche per contrastare ed
eventualmente risolvere i problemi da cui è afflitto, ma rappresenta il veicolo attivo di specifiche
simbolizzazioni affettive, emozionalmente connotate, circa i contesti all’interno dei quali egli
partecipa (familiare e lavorativo, per esempio). L’analisi della domanda ha come obiettivo quello di
promuovere simbolizzazioni differenti da quelle che si suppone abbiano generato il fallimento
collusivo, attraverso la relazione (Grasso, Cordella, & Pennella, 2004) fondata sulla sospensione
degli agiti collusivi “viziati” da simbolizzazioni affettive che non hanno più alcun prodotto, fondate
sull’illusione del possesso dell’altro, promuovendo nuove modalità di relazione con il contesto,
fondate sullo scambio (Carli, 1987).
Nella proposta dell’analisi della domanda, teoria della tecnica che ormai gode di un’ampia
letteratura di riferimento, vengono messi in discussione i presupposti applicativi delle teorie del
funzionamento mentale, psicologico e sociale di tipo causa-effetto (Skinner, 1981), quelle ancorate
a modelli “scientificamente fondati”, orientate all’ ”oggettivizzazione” delle caratteristiche
psicologiche (Imbasciati, 2008), adottando di contro una prospettiva dell’intervento fondata
sull’analisi e la rimodulazione delle dinamiche della relazione, per promuovere la produttività del
rapporto individuo-contesto attraverso la costruzione di simbolizzazioni affettive nuove e divergenti
da quelle generalmente agite nel comportamento.
L’analisi della domanda, inoltre, ha proposto un modello concettuale concernente la declinazione
di alcune specificità delle simbolizzazioni affettive fondate sull’illusione del possesso (le
neoemozioni, Carli & Paniccia, 2002) finalizzato a individuare, comprendere e gestire le relazioni
fondate sul presupposto della negazione dell’estraneo, attraverso proposte collusive alternative a
quelle costruite a partire dalla pretesa, agita in base al potere dato dal ruolo all’interno dei sistemi
produttivi. Al polo opposto, troviamo invece lo scambio, condizione essenziale per istituire il
processo di divergenza collusiva, ossia di costruzione di nuovi modelli simbolici di relazione con il
contesto.
In relazione a questo scenario teorico di riferimento, riteniamo tuttavia che nella produzione della
letteratura sull’analisi della domanda, molta attenzione è stata rivolta all’analisi e alla teorizzazione
delle specificità del possesso come presupposto delle simbolizzazioni affettive senza prodotto (le
neoemozioni), mentre ci si è dedicati relativamente poco, e in modo piuttosto generale, alla
formalizzazione teorica del costrutto di “scambio”: in tal senso, sono numerosi gli interventi
psicologico-clinici che descrivono relazioni con il cliente, strutturate sulla simbolizzazione affettiva
che poggia sullo scambio (Carli & Paniccia, 2005), ma riteniamo che poco sia ancora stato
discusso dal punto di vista dello sviluppo teorico di un costrutto così importante, che possiamo
considerare il “reciproco” produttivo del possesso. Il presente contributo ha, allora, due obiettivi: a)
processare e approfondire i concetti dell’analisi della domanda collegati allo scambio; b) proporre
un modello concettuale della declinazione dello scambio, costrutto inteso (al pari del possesso)
quale simbolizzazione affettiva del contesto e non solo quale presupposto della dinamica sociale
legata al cambiamento produttivo.
Il costrutto di scambio
Lo scambio, nell’analisi della domanda, è concepito come quella specifica configurazione
simbolica che consente di conoscere e produrre competenza in modo reciproco all’interno delle
relazioni sociali (Carli & Paniccia, 2002). Nello specifico, lo scambio è il terreno privilegiato di
azione e sviluppo del potere competente, cioè del potere legittimato dall’elaborazione, dalla
comprensione e dalla risposta operativa alla domanda di intervento che una persona veicola a un
professionista. Il possesso fonda i sistemi sociali costruiti sul potere senza competenza, ossia sul
Rivista di Psicologia Clinica
n.1 – 2012
155
potere basato sul ruolo e non sull’effettiva risposta alle richieste delle persone; lo scambio ha come
obiettivo lo sviluppo di un pensiero, dei singoli individui o delle organizzazioni sociali, sul proprio
modo organizzare in azioni le emozioni. Obiettivo dello scambio, nell’analisi della domanda, non è
quello di modificare un comportamento, di ridimensionare una sintomatologia depressiva oppure
ridurre la conflittualità di un gruppo di lavoro (considerati “epifenomeni” del processo di intervento),
ma è quello di sviluppare un pensiero organizzato sul modo in cui si simbolizza emozionalmente la
realtà e, per extenso, sulle conseguenze che i processi di simbolizzazione hanno sul
comportamento, individuale e/o organizzativo.
Lo scambio, nell’analisi della domanda, può essere considerato attraverso due lenti interpretative
differenti: da una parte, può essere considerato da un punto di vista funzionale o strumentale,
quale componente della metodologia finalizzata alla promozione dello sviluppo di simbolizzazioni
emozionali alternative a quelle che, fallite, hanno condotto alla domanda d’intervento. Dall’altra
parte, nella nostra proposta integrativa, lo scambio può rappresentare un vero e proprio modo di
simbolizzare il contesto. Se la declinazione delle specificità del possesso (neoemozioni) ha a che
fare con gli specifici presupposti connotanti le relazioni sociali2 fondate sul potere senza
competenza e sulla negazione dell’estraneità (Carli, 1993b), lo scambio può essere considerato
quel modo di simbolizzare il contesto fondato sull’accoglienza3, ossia sull’accettazione o sulla
presa in carico diretta del rischio di simbolizzare l’altro estraneo come amico.
Nella nostra proposta, quindi, l’accoglienza è il modello simbolico speculare a quello rappresentato
nelle neoemozioni dalla pretesa (Carli & Paniccia, 2002). Se nella pretesa una persona “rivendica
dall’altra diritti d’obbedienza, o d’affetto, d’essere amata, risarcita, riconosciuta, indennizzata,
capita, giustificata, in nome del ruolo che riveste nella relazione” (Carli & Paniccia, 2003, p. 193),
nei contesti sociali fondati sull’accoglienza le persone si relazionano al contesto aprendosi alla
conoscenza dell’estraneo, sospendendo nei suoi confronti il giudizio; quel giudizio che viene
formulato esclusivamente nel corso della relazione attraverso il processo di conoscenza reciproca,
e non “a priori”4. L’accoglienza, nella nostra proposta, non è in alcun modo assimilabile ai concetti
di ascolto incondizionato (Rogers, 1958), di cittadinanza organizzativa (Brief & Motowidlo, 1986;
Borman & Motowidlo, 1993) e di comportamento prosociale (Caprara & Bonino, 2006), ma è una
specifica configurazione emozionale del contesto e del modo in cui le persone vi si rapportano;
non ha a che fare con il singolo individuo (o i singoli gruppi e le singole organizzazioni) ma è un
costrutto che organizza e dà senso alle relazioni sociali, e ha come presupposto di base l’apertura
all’estraneità attraverso la sospensione del giudizio.
In buona sostanza, lo scambio non solo è la condizione fondamentale che facilita lo sviluppo del
pensiero sugli agiti emozionati (Carli, 1993b), ma è anche una modalità emozionata fondante la
relazione individuo-contesto che, fondata sull’accoglienza dell’estraneo, può essere declinata e
analizzata nelle sue specificità5.
Analisi della domanda e scambio
L’analisi della domanda, come teoria della tecnica dell’intervento psicologico, propone una
sistematica organizzazione di costrutti e di parametri di analisi della realtà (Avallone, 2011).
2
Sebbene le relazioni “neoemozionate” non abbiano prodotto sociale, se non quello di reiterare continuamente gli stessi ruoli, le relazioni fondate sul
possesso possono essere estremamente durevoli e funzionanti. Si pensi alle relazioni fondate su un capo che obbliga il collaboratore ad “esaudire”
tutti i suoi desideri (in una configurazione della relazione, quindi, obbligante-obbligato): il collaboratore è costretto, sulla base dell’esercizio del
potere senza competenza da parte del capo, a portargli il caffè, a sbrigargli pratiche non direttamente legate ai processi lavorativi, e così via.
All’interno di questa dinamica della relazione, la struttura collusiva potrebbe non fallire mai, per varie ragioni (volontà del collaboratore di far carriera
ad ogni costo, idealizzazione del capo da parte del collaboratore, ecc.).
3
Dal latino a-collígere, “raccogliere verso di sé”, ma anche “ricevere” e “acconsentire”.
4
Ricordiamo, a tal proposito, il caso clinico intitolato “sono felice di conoscerla”, resocontato e descritto da Carli & Paniccia (2003), dove il
terapeuta dice al cliente “sono felice di conoscerla” prima ancora che essi si sia presentato, negandone l’estraneità, poiché esprime un giudizio
prim’ancora di aver avviato il processo di conoscenza.
5
Riteniamo opportuno chiarire che, coerentemente con quanto anticipato a margine della prima sezione del contributo, non intendiamo proporre un
modello dei “reciproci” delle neoemozioni; sebbene, come detto, possiamo considerare l’accoglienza un costrutto organizzante le relazioni sociali
speculare alla pretesa, le dimensioni specifiche dello scambio che descriveremo in seguito non risultano speculari all’obbligo, alla diffidenza, ecc. ma
hanno proprie caratteristiche e peculiarità.
Rivista di Psicologia Clinica
n.1 – 2012
156
Tuttavia, riteniamo non sia questa la sede adatta per approfondire l’intero impianto teorico e
pratico dell’analisi della domanda (cfr. Carli & Paniccia, 2003).
Riteniamo invece utile riprendere ed analizzare alcuni costrutti specifici, fondamentali per
comprendere al meglio la sezione dedicata all’analisi delle caratteristiche dello scambio, inteso
quale forma di simbolizzazione emozionale alla base della relazione individuo-contesto.
Nello specifico, ci proponiamo di riprendere e analizzare criticamente il concetto di relazione
individuo-contesto (nei suoi aspetti emozionali e collusivi), le nozioni di estraneo, di regole del
gioco e di sviluppo.
La relazione individuo-contesto
Nella proposta dell’analisi della domanda, la relazione individuo-contesto costituisce l’unità
d’analisi della psicologia quale scienza dell’intervento (Carli & Paniccia, 1999). Questo costrutto
rappresenta il superamento della prospettiva individualista in psicologia, ossia quella che punta il
focus della ricerca e dell’intervento su fenomenologie che hanno a che fare con i singoli individui
(per esempio le caratteristiche invarianti della personalità, Carli, 1990), dei singoli gruppi (la
conflittualità), oppure esclusivamente con il contesto (la cultura e il clima organizzativo, nel caso
della psicologia delle organizzazioni). La relazione individuo-contesto integra prospettive
generalmente considerate in modo separato o additivo, per adottare un approccio interazionista,
derivato dalla teoria del funzionamento della mente formulata da Matte Blanco (1975); nell’ipotesi
alla base dell’analisi della domanda, le persone trasferiscono nel qui ed ora entro il rapporto con lo
psicologo i propri modelli di relazione appresi e mantenuti all’interno dei contesti di appartenenza
(famiglia, lavoro, amici, ecc.), che tuttavia non rispondono più all’autentica domanda di realtà che
la persona veicola (una persona preoccupata tenderà, collusivamente, ad agire questa sua
simbolizzazione affettiva nel setting d’intervento): la domanda di realtà che la persona ricerca
deriva dal fallimento delle simbolizzazioni collusive che, per cause diverse, non possono più
funzionare in relazione al contesto nel quale erano precedentemente agite. La prospettiva
dell’analisi della domanda considera la relazione individuo-contesto quale elemento fondamentale
del funzionamento sociale delle persone, che non rappresentano più soggetti portatori di
cognizioni, emozioni ed attori di comportamenti, ma veicoli di modelli della relazione fondati sulla
simbolizzazione affettiva dei contesti ai quali partecipano.
L’elemento di novità e di forte rottura, introdotto dall’analisi della domanda nel dominio della
psicologia dell’intervento, sta proprio nel cambio d’interesse che coinvolge lo psicologo: si passa
dall’attenzione per le caratteristiche personologiche e “invarianti” delle persone e dei sistemi sociali
all’analisi, la comprensione e l’intervento sulle specifiche modalità attraverso le quali le persone (o
le organizzazioni sociali) si rapportano al contesto.
Molto spesso, tuttavia, l’attenzione dei professionisti dell’analisi della domanda si è concentrata
sull’analisi delle modalità disfunzionali mediante le quali le persone simbolizzano affettivamente il
contesto (formalizzate, per esempio, attraverso il modello delle neoemozioni), mentre poco ci si è
dedicati ad approfondire quali sono le modalità della relazione tra individuo e contesto che
funzionano in modo produttivo e competente; modalità della relazione che dimostrano una buona
“tenuta” e sono scarsamente soggette al fallimento (collusivo) e che, di conseguenza, raramente
sono oggetto dell’analisi psicologica poiché non generano domande d’intervento psicologico.
A tal proposito, riteniamo sia necessario approfondire il tema delle simbolizzazioni affettive fondate
sullo scambio perché ci consente di riflettere su quali siano le modalità collusive orientate allo
sviluppo delle relazioni sociali e, di contro, ci consente di approfondire ulteriormente il costrutto di
scambio all’interno degli interventi orientati alla promozione dello sviluppo dei sistemi sociali e di
convivenza. Di seguito, perciò, cercheremo di approfondire i costrutti più interessanti all’interno dei
processi di conoscenza collegati alla relazione individuo-contesto: le emozioni e la collusione.
Le emozioni
Le emozioni, nella prospettiva dell’analisi della domanda, sono il terreno privilegiato dell’intervento
psicologico (Carli & Paniccia, 2007). Sulla base della teoria del funzionamento della mente
Rivista di Psicologia Clinica
n.1 – 2012
157
formulata da Matte Blanco (1975) le emozioni possono essere definite come risposte affettive che
colorano di significato gli stimoli provenienti dal contesto. Di conseguenza, le emozioni non
costituiscono delle reazioni momentanee, variabili per intensità e comprensibili esclusivamente
all’interno della dicotomia piacere/dispiacere (Cabanac, 2002) ma giocano il ruolo di veri e propri
elementi di produzione di senso all’interno dell’esperienza personale, derivata dalla relazione con il
contesto. Le emozioni hanno a che fare con l’inconscio che, nella proposta di Matte Blanco,
funziona secondo logiche diverse dal pensiero cognitivo (o scientifico); mentre quest’ultimo ha lo
scopo di dividere e discriminare entro categorie distinte gli stimoli processati dalla mente,
l’inconscio funziona attraverso meccanismi di simmetria e generalizzazione (per un
approfondimento, cfr. Carli & Giovagnoli, 2010), che nulla hanno a che fare con la logica
eterogeneizzante del pensiero scientifico.
Le emozioni, quindi, rappresentano gli elementi che organizzano le relazioni interpersonali, poiché
svolgono la funzione organizzante di produrre senso all’interno dell’esperienza sociale, e fungono
da modalità di simbolizzazione affettiva che, se non pensate, possono dar luogo ad agiti collusivi
non aderenti alla domanda di realtà che una persona pone al contesto.
Rispetto al costrutto di scambio, le emozioni rappresentano il dispositivo che regola l’accoglienza
e, di conseguenza, il processo di simbolizzazione affettiva fondato sull’apertura all’estraneità del
contesto con cui si entra in relazione.
“Colorare” il contesto funzionalmente alla sua accoglienza non significa, tuttavia, rispondere
automaticamente ai suoi stimoli accettandoli incondizionatamente; la simbolizzazione affettiva
fondata sull’accoglienza dell’estraneità è il prodotto dello sviluppo di un pensiero sulle emozioni,
che non rappresenta un processo reattivo e immediato.
La collusione
La collusione rappresenta, secondo la definizione classica, la simbolizzazione affettiva del
contesto da parte di chi a quel contesto partecipa (Carli & Paniccia, 2003). La collusione è il
precipitato delle emozioni: se determinati stimoli contestuali vengono colorati emozionalmente, le
persone tenderanno a simbolizzare affettivamente il contesto, da cui quegli stimoli provengono, in
un modo piuttosto che in un altro. La collusione, in altre parole, è il processo che istituisce le
modalità di relazione con il contesto. Se una persona sperimenta emozioni negative sul proprio
luogo di lavoro, con ogni probabilità simbolizzerà “doveristicamente” il luogo di lavoro, sulla base di
stimoli che lo spingono a colorare affettivamente il contesto in un certo modo (leader autoritario,
colleghi compiacenti con il capo, carico di lavoro mentale esagerato, ecc.).
Dal punto di vista della simbolizzazione affettiva del contesto, la differenza tra possesso e scambio
è sostanziale: nel primo caso le persone colludono con il contesto sulla base del potere derivato
dal ruolo che occupano nel sistema sociale d’appartenenza (madre, padre, figlio, per esempio) e,
di conseguenza, gli agiti emozionali che influenzano il comportamento sono differenti a seconda di
“chi si è” e di che ruolo si agisce entro quel dato sistema sociale.
Figura 1. Un sistema collusivo fondato sul possesso.
Rivista di Psicologia Clinica
n.1 – 2012
158
CONTESTO
Obbligo
Capo
Simbolizzazione
Collaboratore
affettiva fondata
Dovere
Nella Figura 1 viene proposto l’esempio di una relazione neoemozionalmente fondata, dove il capo
cerca di istituire una relazione sociale con il proprio collaboratore fondata sull’obbligo; d’altra parte,
anche il collaboratore simbolizza collusivamente il suo ruolo in relazione del contesto, agendo nel
comportamento i suoi sentimenti di dovere, quale reazione collusiva alla modalità “obbligante” del
capo.
Figura 2. Un sistema collusivo fondato sullo scambio.
CONTESTO
Capo
Simbolizzazione
affettiva fondata
Collaboratore
Sull’ACCOGLIENZA
Nel caso dello scambio, di converso, gli stessi attori sociali non solo condividono, emozionalmente,
la simbolizzazione del contesto ma impiegano modalità relazionali fondate sull’accoglienza; in
questa configurazione della relazione individuo-contesto, come prospettato nella Figura 2, capo e
collaboratore non entrano in contatto attraverso le modalità “prescritte” dal rispettivo ruolo, ma
corrono il rischio di conoscersi reciprocamente in modo autentico, sospendendo il giudizio derivato
dai processi preliminari di impression management (Mazzoleni & Facioli, 2006).
La relazione individuo-contesto è effettivamente interattiva e non, come nel caso del possesso,
biunivoca: il contesto non rappresenta esclusivamente l’ ”oggetto” da simbolizzare
emozionalmente o il target d’influenza del comportamento degli individui, ma anche la sorgente
degli stimoli che le persone colorano emozionalmente attraverso i processi inconsci e, soprattutto,
è (come indicano le frecce nel modello appena proposto) una struttura che si organizza
autopoieticamente (Varela & Maturana, 1972) sulla base delle simbolizzazioni affettive
comunemente condivise entro i processi di accoglienza.
L’estraneo
Rivista di Psicologia Clinica
n.1 – 2012
159
Nella proposta dell’analisi della domanda, l’estraneo è un costrutto che, ancora una volta, non ha a
che fare con un individuo oppure una organizzazione, bensì con la relazione individuo-contesto:
l’estraneo è l’amico sconosciuto (Carli & Paniccia, 2002), e rappresenta colui il quale le persone
rischiano di simbolizzare affettivamente come possibile interlocutore. Approcciarsi all’altro quale
estraneo, significa aprirsi a conoscerlo, senza “disconoscerlo” a priori; conoscerlo, quindi,
attraverso la relazione autentica e diretta con lui.
Negarsi la possibilità di simbolizzare come amico l’altro che non si conosce, significa negarne
l’accoglienza, ovvero contribuire a istituire una relazione fondata sul possesso, dove si cerca di
annullare la soggettività delle persone e dove si cerca di ricondurre la relazione a un modello
“noto” e prefigurato, non correndo il rischio di entrare autenticamente in un processo di
conoscenza reciproca.
Lo scambio si fonda proprio sul riconoscimento dell’altro come diverso da sé, portatore di
caratteristiche differenti dalle nostre, che non possiamo conoscere a priori, con il quale non
possiamo “intenderci al volo” oppure “capirci con uno sguardo” (Carli & Paniccia, 2003) poiché
l’unico vero strumento di conoscenza reciproca è la relazione, luogo all’interno del quale è
possibile agire emozionalmente l’accoglienza dell’estraneità.
Le regole del gioco
La struttura delle regole che organizzano la relazione individuo-contesto è alla base del
funzionamento delle organizzazioni sociali e di produzione. Queste regole possono essere di tipo
“normativo” (da perseguire sempre, a prescindere dal contesto) oppure costruite attraverso i
processi collusivi.
Nel primo caso, quando le regole “normative” guidano la struttura della convivenza sociale siamo
in presenza della negazione dell’estraneo che, non coinvolto nel processo di definizione delle
regole stesse, è chiamato esclusivamente a osservarle nel modo più puntuale possibile.
Nello scambio, inteso quale possibile simbolizzazione emozionale del contesto fondata
sull’accoglienza dell’estraneo, le regole del gioco non sono date dal contesto ma sono costruite
attraverso la relazione e la conoscenza degli attori sociali che vi partecipano (Carli & Paniccia,
1999).
Lo sviluppo
Lo sviluppo della relazione individuo-contesto è l’obiettivo dell’intervento psicologico entro i sistemi
di convivenza (Carli & Paniccia, 2003) e può essere considerato il prodotto dello scambio.
Sviluppare relazioni significa sostanzialmente avviare un processo di riflessioni sul modo in cui le
emozioni vengono agite nel comportamento; poter “pensare” le emozioni (Carli, Grasso, &
Paniccia, 2007) consente di ricercare soluzioni, attraverso il processo di riduzione della polisemia
dei propri agiti emozionali, alternative a quelle generate dalle simbolizzazioni non pensate.
Riteniamo, nella nostra proposta, che lo scambio produca sviluppo: attraverso l’accoglienza
dell’estraneità, infatti, è possibile maturare lo sviluppo del pensiero “emozionato”, ossia il processo
di riflessione circa i propri (e altrui) modi di agire le emozioni nei comportamenti.
Il costrutto di scambio
Come esplicitato in apertura del contributo, la nostra proposta prevede lo scambio non solo come
strumento per la promozione dello sviluppo della relazione individuo-contesto, ma anche quale
specifica modalità di simbolizzazione del contesto e come possibile presupposto della cultura
locale entro i sistemi sociali e organizzativi.
Considerare lo scambio quale modalità speculare a quella del possesso, come fondamento
affettivo delle configurazioni della relazione tra individui e contesti, può assumere un duplice
significato: possiamo considerare lo scambio (e le sue categorie definitorie, che descriveremo in
Rivista di Psicologia Clinica
n.1 – 2012
160
seguito) come a) un modello di lettura della dinamica della relazione; oppure b) possiamo pensare
allo scambio quale obiettivo di sviluppo vero e proprio.
Nel primo caso, possiamo guardare allo scambio e alle sue declinazioni quale costrutto che
organizza il legame sociale; sebbene i contesti e le culture locali fondate sullo scambio siano
sensibilmente inferiori a quelli che si strutturano sul possesso, possiamo considerare lo scambio e
le sue modalità come presupposti organizzanti le modalità di relazione degli individui al contesto.
Si fondano sullo scambio quei contesti familiari, sociali e lavorativi dove il principio della relazione
è l’accoglienza, ovvero dove le persone sono disposte ad accettare di accogliere l’altro come un
amico ignoto, sospendendo le loro prime valutazioni: possiamo pensare a quei contesti scolastici
dove gli insegnanti simbolizzano gli allievi non come esclusivi terminali di un pacchetto nozionistico
precostituito, ma come reali co-costruttori di conoscenza e, viceversa, dove gli studenti guardano
agli insegnanti non come a genitori accessori ma come a persone che potrebbero dire loro
qualcosa di interessante da ascoltare.
Nel secondo caso, pensiamo che lo scambio possa rivestire il traguardo di un obiettivo di sviluppo.
In questo caso, riteniamo che lo psicologo clinico possa utilizzare lo scambio non solo come
mezzo per perseguire sviluppo, ma possa guardare alle configurazioni relazionali fondate su
questo presupposto sociale quale esito possibile del suo intervento. Ciò vuol dire che lo psicologo
non deve “curare” la depressione, ridurre la conflittualità dei gruppi di lavoro, formare le persone a
comunicare in modo efficace, ma può intervenire sulla relazione che l’individuo o i sistemi sociali
intrattengono con i propri contesti di riferimento, promuovendone la conoscenza reciproca fondata
sull’accoglienza.
In questa prospettiva, output negativamente desiderabili (quali la depressione, la conflittualità
interna ai gruppi di lavoro, ecc.) rappresentano degli “epifenomeni” collegati al fallimento della
collusione, o comunque effetti di second’ordine. Lo scambio può assumere, nelle relazioni sociali e
nei contesti organizzati, degli aspetti specifici che descriveremo ampiamente nelle sezioni
successive.
Il razionale delle forme dello scambio
Come argomentato in apertura del contributo, lo scambio inteso quale modalità di simbolizzazione
affettiva porta con sé differenti livelli di specificità e articolazione. Per rendere più chiaro il modello
di lettura che presentiamo, è necessario specificarne il razionale con cui è stato formulato, nonché
le caratteristiche principali. Lo scambio e le sue forme:
1) non rappresentano dei “reciproci” delle neoemozioni. Così come l’accoglienza non rappresenta
la corrispondenza speculare di segno opposto alla pretesa, le altre forme dello scambio che sono
teorizzate in questo contributo non rappresentano meri reciproci “positivi” delle neoemozioni;
2) sono costrutti che hanno necessariamente a che fare con la relazione e il legame sociale.
L’ampliamento del costrutto di scambio e la formulazione delle sue dimensioni hanno senso se
riferiti al comportamento delle persone, entro una relazione sociale, in relazione al contesto quale
partecipano; parlare di persone “inclini alla conoscenza reciproca” o “propense al dialogo”, nella
nostra proposta, non ha nessun senso, poiché sono espressioni che hanno a che fare con
dimensioni invarianti di personalità (Carli, 1995) e non con la relazione;
3) trovano il loro significato specifico nella propria etimologia. Il significato delle parole viene
modellato e costruito sulla base della corrispondente costruzione sociale degli “oggetti” cui si
riferiscono (Barus-Michel, Enriquez, & Lévy, 2005). Come vedremo, nel caso dello scambio,
faremo invece continuamente riferimento alla radice epistemologica dei sostantivi, allo scopo di
catturarne gli aspetti per noi maggiormente utili e interessanti.
4) rappresentano specifiche modalità di simbolizzazione affettiva del contesto. Lo scambio e le sue
forme non sono semplici modalità della relazione oppure strumenti a disposizione dello psicologo
dell’intervento, ma rappresentano nella nostra proposta delle modalità collusive, che organizzano
la relazione individuo-contesto. In quanto modalità emozionate di relazione con il contesto, al pari
di quelle fondate sul possesso illusorio, esse possono organizzare la cultura locale dei sistemi
sociali (Carli & Paniccia, 2002).
5) sono fondate sul principio della legittimazione sociale. Lo scambio e le sue modalità hanno
luogo se vige, nella relazione sociale, la legittimazione reciproca. Ciò significa che ciascuno dei
Rivista di Psicologia Clinica
n.1 – 2012
161
partecipanti al contesto (relazionale, sociale o produttivo) riconosce l’altro quale partecipante attivo
in relazione con il contesto: se questa possibilità di relazione viene negata (anche dal punto di
vista simbolico), attraverso il potere senza competenza, la lettura della relazione individuo-contesto
può essere effettuata esclusivamente attraverso il modello delle neoemozioni.
Le declinazioni dello scambio
La Figura 3 presenta il modello dello scambio e delle sue forme più specifiche. Sebbene
l’accoglienza rappresenti la sua declinazione formale più generale e “aspecifica”, la legittimazione
sociale rappresenta il presupposto fondamentale alla base di ciascuna delle modalità
affettivamente connotate considerate nella rappresentazione grafica.
Figura 3. Le forme dello scambio.
ACCOGLIERE
Agito
Emozionato
Pensiero
Emozionato
Legittimazione
Sociale
CONOSCERE
CONSIDERARE
CONFRONTARE
Riconoscimento
dell’altro
COMUNICARE
CONDIVIDERE
DIALOGARE
Raffronto
con l’altro
Legittimare socialmente vuol dire “riconoscere” l’altro nella relazione come diverso da sé, non
avanzandone pretese di possesso, ma concedersi la possibilità di ascoltare quello che ha da dire,
scevri da valutazioni preventive e sospendendo i pregiudizi nei suoi confronti. La legittimazione
sociale dell’altro ha a che fare esclusivamente con la relazione: è questo il luogo unico e
privilegiato dove prendono corpo i processi di conoscenza e di comunicazione reciproci, dove le
persone danno senso al loro (e altrui) modo di stare in relazione.
La legittimazione sociale, quale principio dello scambio, dà diritto agli attori della relazione di poter
“dire la propria” senza le pressioni e gli impedimenti legati all’influenza del potere senza
competenza e, inoltre, regola la reciprocità sociale; il presupposto della legittimità sociale consente
a ciascun partecipante della relazione di esprimersi autenticamente, e di veicolare i propri pensieri
e le proprie emozioni attraverso regole del gioco che legittimano la reciprocità.
La legittimità sociale consente a un collaboratore di dire al capo che non è d’accordo con il suo
feedback, motivandone apertamente le sue ragioni, così come permette al capo di comunicare un
feedback non positivo, a un cliente di una psicoterapia di manifestare il proprio dissenso circa
l’atteggiamento del terapeuta nel setting dell’intervento, a uno studente di far notare al proprio
docente un suo possibile errore. Gli esempi citati, seppure portatori di proprie specificità
contestuali ed emozionali, hanno tutti a che fare con la legittimazione dell’altro quale interlocutore
che ha qualcosa di interessante da dirci, al di là delle rigidità volute dal ruolo, fondate sul potere
senza competenza: entro questa prospettiva, non è solo il collaboratore (o il cliente della
psicoterapia, o lo studente) che deve necessariamente “accogliere” dal capo (o dal terapeuta, o dal
docente), in una configurazione dei processi della relazione e della conoscenza monodirezionali,
ma il significato dello “stare” nel qui ed ora delle relazione viene costruito attraverso lo scambio
reciproco, scambio che si fonda su processi di comunicazione e di ascolto fondati sulla
conoscenza avalutativa dell’altro.
Rivista di Psicologia Clinica
n.1 – 2012
162
Rischiare lo scambio: ACCOGLIERE
Come detto, l’accoglienza è la forma più aspecifica con la quale può “manifestarsi”, all’interno delle
relazioni interpersonali, lo scambio; può essere considerata come quella modalità collusiva fondata
sull’accettazione incondizionata del rischio di simbolizzare l’altro come amico ignoto, quindi come
estraneo. Tuttavia è bene sottolineare che incondizionata è l’accettazione del rischio di entrare in
relazione con l’estraneo, non la sua valutazione positiva “a priori”. Chi accoglie, si relaziona con il
contesto come se questo “fosse” amico, pur non essendogli familiare: pensiamo a chi viaggia ed
arriva per la prima volta in un paese straniero e si apre a una cultura che non conosce,
assaggiando i cibi locali e chiacchierando con persone nuove; pensiamo invece, a chi arriva nello
stesso paese e va alla ricerca di cibi esclusivamente originari del paese di provenienza e che
invece di aprirsi alla novità, potenzialmente “amica”, cerca disperatamente suoi connazionali per
sentirsi al sicuro. Allo stesso modo, si pensi a uno psicologo che deve selezionare dei lavoratori
per alcune mansioni specialistiche entro un’azienda informatica, che nel processo di selezione
entra in relazione con i lavoratori “selezionandi” autenticamente, considerandoli come potenziali
lavoratori, istituendo un canale di relazione di effettiva conoscenza reciproca, mentre pensiamo ai
professionisti che si boicottano nel conoscere l’altro, colludendo con la logica strumentale della
selezione “tu vai bene, tu no!”.
Chi accoglie l’altro lo ascolta, nella consapevolezza che rischiare di conoscerlo e ascoltarlo
potrebbe contribuire a istituire un rapporto produttivo; chi utilizza l’accoglienza quale modalità di
relazione con il contesto si assume la responsabilità di entrare in relazione autentica con gli altri,
andando oltre le richieste derivate dal potere di ruolo o dall’asimmetria ascritta nella relazione (per
esempio, in quella madre-figlio). Nei contesti sociali dove questa simbolizzazione affettiva è
principale (dove rappresenta, quindi, la sua cultura locale prevalente) le persone si aprono alla
conoscenza degli altri, istituendo una dinamica della relazione autentica, correndo il rischio di poter
rimanere delusi dalle relazioni che intraprendono.
È bene specificare sin da subito che quanto andiamo proponendo nulla ha a che fare con
l’atteggiamento positivo incondizionato verso l’altro cui si riferisce, per esempio, Carl Rogers
(1951, 1959 e 1961); accogliere non significa “accettare” gli altri a prescindere, oppure sforzarsi di
mantenere verso gli altri un atteggiamento accondiscendente ed empatico, nell’ipotesi che questo
faciliti l’intrapresa di una relazione produttiva: accogliere vuol dire relazionarsi con l’altro
sospendendo il giudizio, rinviandolo al momento in cui il processo di conoscenza reciproca è stato
avviato, e accettando la domanda di conoscenza reciproca rischiando di entrare in contatto
autentico con lui.
I contesti sociali dove l’accoglienza riflette il ruolo di cultura locale prevalente sospendono il
giudizio sull’altro, sia rispetto agli appartenenti a quel gruppo sociale che rispetto ai potenziali
nuovi entranti: sospendere il giudizio, nella nostra proposta, non rappresenta una tecnica
psicologica finalizzata a un obiettivo specifico, ma rappresenta la via privilegiata per agire la
simbolizzazione dell’altro quale estraneo; nell’accoglienza, la sospensione del giudizio sull’altro
promuove la sua rappresentazione quale estraneo, quale nostro amico potenziale, quale persona
che vale la pena conoscere attraverso il contatto autentico entro la dinamica della relazione.
In sintesi, possiamo definire l’accoglienza quale simbolizzazione affettiva fondata sullo scambio e
sulla legittimazione sociale, costruita a partire dall’accettazione incondizionata del rischio di
simbolizzare l’altro quale amico ignoto, accettando la possibilità che entrare in relazione con lui
possa deluderci.
L’accoglienza può essere declinata, nella nostra proposta, in due forme più specifiche, che non
rappresentano riduzioni gerarchiche dell’accoglienza ma modalità meno generali di relazionarsi
con il contesto cui si partecipa e che si contribuisce a costruire: una modalità che potremmo
definire riflessiva (la conoscenza), fondata sulla promozione dello sviluppo del pensiero
emozionato sull’accoglienza, e una modalità espressiva (la comunicazione), fondata sulla
promozione dello sviluppo degli agiti derivati dalla simbolizzazione affettiva condivisa
dell’accoglienza.
Pensare l’accoglienza: CONOSCERE
Rivista di Psicologia Clinica
n.1 – 2012
163
La conoscenza rappresenta la modalità “riflessiva” dell’accoglienza, fondata sullo sviluppo del
pensiero “emozionato” circa i prodotti della relazione sociale.
Conoscere vuol dire istituire una relazione sociale caratterizzata dalla raccolta di informazioni
“emozionalmente” rilevanti, informazioni a conferma (o a disconferma) del riconoscimento dell’altro
quale amico ignoto. Nella nostra proposta, conoscere non significa accumulare nozioni sull’altro:
significa sviluppare un pensiero sulla possibilità di rischiare di simbolizzarsi vicendevolmente quali
amici, attraverso la relazione sociale diretta (non mediata da un elemento terzo o esterno).
Conoscere, nella nostra proposta, può significare parlare con l’altro della possibilità di istituire una
relazione di lavoro, ma anche di fidanzamento oppure di convivenza sociale. Pensiamo per un
attimo, ad esempio, a un gruppo di studenti che “devono” svolgere un lavoro di gruppo, senza che
gli uni abbiano volontariamente scelto gli altri; in qualche modo, sono “costretti” a stare insieme. Se
si stabilisce un modello di relazione fondato sulla conoscenza le persone in situazioni come queste
possono simbolizzare gli altri come amici potenziali, cercando di esplorare quelle informazioni
emozionalmente connotate (modo di stare in gruppo, atteggiamento verbale, spirito di
collaborazione, ecc.) che conducono alla conferma/disconferma dell’ipotesi di simbolizzazione
iniziale con la quale si è cercato di entrare in rapporto con il contesto del gruppo di lavoro.
In altre parole, la conoscenza è lo sviluppo del pensiero sul modo emozionalmente fondato
(proprio e degli altri) di istituire, promuovere e mantenere una relazione sociale. Chi ha intenzione
di conoscere l’altro si “spende”, all’interno della relazione sociale, al fine di comprendere il modo
con cui l’altro sta nella relazione stessa, proponendo contemporaneamente il proprio modo
all’estraneo: in questo senso, possiamo considerare la conoscenza come un processo di
reciprocità, dove le modalità di contatto con l’altro e i contenuti veicolati nella relazione sociale
sono “pensati” e, attraverso la relazione, il prodotto di questo pensiero può essere espresso.
Chi vuole conoscere l’altro non ne nega il diritto di stare in relazione con lui (non lo interrompe
continuamente mentre parla, non impone le sue valutazioni, non ordina all’altro di pensarla come
lui) e non cerca di “possederlo” illusoriamente negandone la soggettività (“È come se ci
conoscessimo”, “Lei mi ricorda qualcuno!”, “Mi fa piacere fare la sua conoscenza!”), annullando la
possibilità dell’altro non solo di farsi conoscere, ma anche quella di “scambiare” con l’altro,
enfatizzando così l’asimmetria che ne deriva dal ruolo.
I contesti sociali fondati sulla conoscenza sono quelli all’interno dei quali è vivo ed è considerato
importante “pensare” l’esperienza dell’accoglienza entro la reciprocità asimmetrica e competente:
parliamo dei contesti, per esempio, dove nelle riunioni professionali ci si pone spesso la domanda
“cosa è successo?” oppure “cosa sta succedendo?” lontano dai periodi o dalle situazioni di crisi ed
emergenza: crediamo che la risposta a questa domanda, offerta da tutti gli attori partecipanti ad un
dato contesto (in quello ospedaliero, per esempio, medici, infermieri, inservienti, volontari e
pazienti) sia, per motivi differenti, ugualmente interessante e la conoscenza degli altri, dal punto di
vista emozionale, avviene proprio tramite il modo e i contenuti veicolati dalle risposte degli attori
sociali a queste domande.
La conoscenza quindi, sinteticamente, può essere definita come quella modalità affettiva di
relazione con il contesto strutturata sul pensiero emozionato relativo ai propri e altrui modi e
contenuti espressi nella relazione sociale specifica di un certo contesto, dove le persone
esercitano liberamente il diritto di verbalizzare le proprie riflessioni agli altri, simbolizzati come
attori disponibili ad accoglierle.
La conoscenza può essere declinata, in accordo con la Figura 3, in due forme più specifiche: la
considerazione, intesa quale modalità affettiva di relazione fondata sulla presa in carico della
prospettiva dell’estraneo, e il confronto, ossia quale ricerca di integrazione alla propria domanda di
realtà all’interno del legame sociale.
“Riconoscere” la conoscenza: CONSIDERARE
La considerazione rappresenta una forma più specifica della conoscenza, propria di quei contesti
sociali dove le persone ascoltano e processano emozionalmente il pensiero che gli altri esprimono.
Dal latino consideràre (“fissare qualcosa con gli occhi”, ma anche “comparare un termine con un
altro”), l’etimo di questo verbo transitivo conferisce un valore aggiunto alla costruzione sociale
generalmente diffusa del termine; chi considera l’altro guarda e ascolta con attenzione ciò che egli
Rivista di Psicologia Clinica
n.1 – 2012
164
ha da esprimere, cercando di comprendere quale sia la distanza della propria simbolizzazione
affettiva del contesto da quella dell’altro.
Chi considera non crede che possa esprimere valutazioni sugli altri fondati esclusivamente
sull’apparenza, sul costume e sul modo in cui gli altri si presentano, ma legittima gli altri a potersi
esprimere in modo autentico per poi poter conseguire la comprensione dell’altro che, attraverso lo
sviluppo della relazione, può condurre le persone a cambiare le proprie idee, le proprie opinioni, i
propri sentimenti. Considerare vuol dire assumere la prospettiva dell’altro come se fosse quella di
un amico che ci comunica il proprio parere sulla nostra relazione sentimentale, sul nostro modo di
stare sul posto del lavoro, sul nostro modo di trascorrere il tempo con gli amici. “Considerare”
rappresenta una modalità affettiva di simbolizzare il contesto dove la reciprocità della
legittimazione sociale è il presupposto essenziale.
Pensiamo, per esempio, alle riunioni aziendali effettivamente “partecipate”, dove il consiglio di
amministrazione si trova a discutere dei problemi e delle virtù dell’organizzazione insieme ai
rappresentanti del sindacato, degli operai e dell’indotto: se la simbolizzazione affettiva condivisa
del contesto si fonda sulla considerazione, ciascun attore sociale non solo avrà la possibilità di
poter “dire la propria”, ma avrà anche la garanzia di essere ascoltato e, per l’appunto, di essere
preso in considerazione. Ciò non significa annullare la componente ascritta del ruolo: l’AD avrà
sempre la responsabilità e probabilmente l’ultima parola sulle politiche e sulle strategie
organizzative, così come i consiglieri di amministrazione saranno decisamente più influenti (sul
piano dei processi decisionali) in quanto a peso specifico sull’erogazione di una scelta
organizzativa piuttosto di un’altra. Tuttavia, se la configurazione contestuale è fondata sulla
considerazione reciproca, il pensiero degli altri attori sociali non solo gode della libertà di
espressione, ma può essere anche integrato nei processi decisionali competenti.
Chi considera l’altro, sviluppa sulla relazione un pensiero meta-conoscente (intendendo, per
conoscenza, ciò che abbiamo descritto nella sezione precedente): sviluppa quindi un pensiero
sulla propria modalità di relazionarsi con gli altri in funzione del modo in cui essi ne tengono conto
e in funzione del modo in cui gli altri lo “riconoscono” quale partecipante attivo del contesto, che ha
diritto a dire cosa di quel contesto pensa, soprattutto emozionalmente.
Sinteticamente, possiamo intendere la considerazione come quella modalità affettiva che fonda le
culture locali dove i partecipanti del contesto sociale d’appartenenza si sentono riconosciuti (e, a
loro volta, riconoscono) il diritto degli altri a verbalizzare il proprio pensiero emozionato sui propri e
altrui vissuti all’interno del sistema di convivenza di riferimento.
“Rispecchiare” la conoscenza: CONFRONTARE
Dal latino cum (insieme) e frόntem (fronte), confrontare significa letteralmente “mettere a fronte
due cose, appaiarle”. Dal punto di vista simbolico-affettivo, nella nostra proposta, confrontare
significa mettere a fattor comune il pensiero reciproco circa quello che sta succedendo nel qui ed
ora, allo scopo di pervenire ad un prodotto comune in grado di dirigere lo sviluppo della relazione
sociale sottostante.
Chi si confronta con l’altro vuole esplorare, nella sincronicità della relazione, la possibilità che
esista una prospettiva alternativa (divergente e non conforme al proprio pensiero) per guardare ai
problemi, e ritiene che non esistano “ricette” preconfezionate per risolverli; chi si confronta sa che
mettere in rapporto due prospettive differenti (la propria e quella dell’altro) può condurre a una
prospettiva completamente differente dalle due iniziali, entro una logica d’integrazione degli attori
all’interno della relazione sociale. In effetti, chi si confronta non vuole agire il possesso illusorio
sull’altro, reprimendone la riflessione su ciò che sta accadendo nella relazione e “imponendo” il
proprio modo di vedere, di analizzare e di affrontare le situazioni.
Chi si confronta cerca nell’altro una integrazione utile a sé, poiché riconosce nell’altro la sua
specificità e l’alterità da sé: una persona che chiede un parere a un amico prima di effettuare un
acquisto, un alunno che chiede un feedback alla sua insegnante, un atleta che chiede al suo
allenatore un parere circa la sua performance, ma anche due persone che “scambiano” opinioni
circa la realtà politica nazionale attuale, che commentano un episodio di cronaca insieme,
rappresentano situazioni dove gli attori sociali pongono all’altro una domanda di realtà integrativa,
da “confrontare” con la propria rappresentazione sociale del contesto.
Rivista di Psicologia Clinica
n.1 – 2012
165
Chi si confronta riconosce la propria solitudine (Carli & Paniccia, 2003), intesa quale soggettività
specifica e peculiare, e rischia l’integrazione con l’altro, nell’ipotesi che questa integrazione sia
produttiva e costituisca fonte di divergenza dalla propria prospettiva di analisi e intervento su un
ampio spettro di situazioni sociali.
I contesti sociali dove la cultura locale prevalente è fondata sul confronto, i processi decisionali e la
struttura organizzata delle relazioni interpersonali si fondano sull’integrazione reciproca, sulla base
dell’assunzione che si possa pervenire a un prodotto (una decisione, una scelta, ecc.) attraverso la
divergenza dalle prospettive messe in gioco nella relazione dagli attori sociali, ovvero attraverso
una prospettiva integrata generata dal confronto paritetico tra i membri del contesto che, legittimati
nel poter esprimere il loro punto di vista e poter pensare emozionalmente quello degli altri,
domandano agli altri di integrare la propria prospettiva.
In buona sostanza, possiamo considerare il confronto quale modalità affettivamente connotata
dove le persone, consapevoli della propria soggettività, ricercano l’integrazione della propria
domanda di realtà con la prospettiva dell’altro, l’amico ignoto che può contribuire a generare nuova
conoscenza circa la propria rappresentazione sociale del mondo.
“Esprimere” l’accoglienza: COMUNICARE
La comunicazione, a differenza della conoscenza, è una modalità simbolico-affettiva di relazione
con il contesto fondata prevalentemente sull’agito emozionale. Carli & Paniccia (2003) sostengono
che generalmente, quando non si “pensano le emozioni”, il rischio che i sistemi collusivi falliscano
è sensibilmente più alto rispetto ai contesti entro cui le modalità affettivamente prevalenti siano
quelle fondate sul pensiero emozionato. Tuttavia riteniamo che esistano delle modalità di agire le
emozioni non necessariamente disfunzionali, che essendo fondate sullo scambio sociale possano
contribuire all’istituzione di relazioni fondate sull’autenticità. In altre parole, vogliamo dire che non
solo le modalità affettive di relazione con il contesto fondate sul “pensiero emozionato” siano da
privilegiare e da promuovere all’interno dei sistemi di convivenza organizzati; nella nostra proposta
dello scambio e delle sue articolazioni, le modalità “agite” o espresse rappresentano ulteriori
specificità caratterizzanti le relazioni e i sistemi sociali fondati sullo scambio.
Comunicare, come anticipato, rappresenta la modalità collusiva fondata sullo scambio e
caratterizzata dall’agito emozionato. Dal latino communicàre (“rendere comune”, ma anche
“rendere gli altri partecipi di qualcosa”), la comunicazione rappresenta quella modalità di relazione
individuo-contesto basata sull’espressione dell’autenticità personale con l’amico ignoto.
Comunicare non è sinonimo di verbalizzare o di “stare in relazione”: nella nostra proposta, la
comunicazione rappresenta il fondamento dei sistemi sociali dove le persone possono esprimersi
autenticamente, possono cioè mettere in comune con gli altri quello che effettivamente sentono di
voler mettere in comune. La comunicazione, nella nostra accezione, prevede regole del gioco che
chiaramente consentano di esprimersi autenticamente all’amico ignoto. In particolare queste
regole necessitano, come descritto in precedenza, del principio della legittimazione sociale, ossia
del riconoscimento reciproco del diritto a partecipare a quel contesto o a quella specifica relazione
sociale.
La nostra proposta di comunicazione quale modalità simbolico-affettiva di relazione con il contesto
è quella fondata sull’espressione autentica di sé, nonché sulla predisposizione della cultura locale
ad “accogliere” l’estraneità in quanto tale, ad accettare la proporzione di rischio collegata
all’accoglienza dell’autenticità dell’amico ignoto. Pensiamo per esempio, ancora una volta, alle
riunioni aziendali finalizzate a definire le politiche e le pratiche organizzative: nei contesti sociali
fondati sulla comunicazione, dirigenti e dipendenti possono esprimersi in modo autentico, agendo
effettivamente le emozioni.
In contesti configurati come tali, attraverso il principio della legittimazione sociale, le persone
possono esprimersi potendo contare sul fatto che l’altro “apprezzi” l’autenticità dei contenuti e delle
modalità veicolate nella relazione; ciò non significa che tali contesti siano fondati sull’equazione
espressione autentica = accettazione, bensì che si possa essere fiduciosi nel fatto che l’altro stia
esprimendo effettivamente la sua rappresentazione sociale circa quello che “è successo”, che sta
succedendo o che potrebbe succedere.
Rivista di Psicologia Clinica
n.1 – 2012
166
Comunicare, in altre parole, significa tanto veicolare in modo autentico modalità emozionate e
contenuti nella relazione sociale quanto accogliere l’autenticità dell’amico ignoto. La
comunicazione, nella nostra proposta teorica, consegue due forme più specifiche di relazione con
il contesto: la condivisione e il dialogo.
“Fattorializzare” la comunicazione: CONDIVIDERE
Cum (“insieme”) e dividere (“spartire”, ma anche “vedere analiticamente”) significa
etimologicamente “spartire insieme”, ma anche “mettere in comune visioni differenti sulla realtà”.
La condivisione è quella modalità specifica della comunicazione finalizzata alla fattorializzabilità
comune delle risorse, attraverso il riconoscimento dell’altro quale partecipante effettivo della
relazione sociale.
Chi condivide con l’altro esprime modalità e contenuti personali veicolandoli direttamente nella
relazione sociale con l’altro o con il contesto, nell’ipotesi che immettere alcuni aspetti di sé nella
relazione sia produttivo per l’amico ignoto o per il funzionamento del contesto. Nella nostra
proposta viene criticata la nozione generalmente propria della psicoterapia attribuita all’azione
della condivisione, dove di norma è considerata condivisione la verbalizzazione del paziente dei
suoi problemi, delle sue angosce, dei suoi limiti personali: condividere il più delle volte, nel
linguaggio e nell’utilizzo comune del termine, significa veicolare (verbalizzandoli) significati in
direzione dell’altro. Questa concezione generalmente accettata, in realtà, non rappresenta altro
che una modalità agita del possesso illusorio, dove un soggetto attivo, legittimato non dal ruolo che
si è costruito socialmente ma dal ruolo professionalmente o personalmente ascritto (terapeuta,
madre, capo di reparto, ecc.) “spinge” più o meno esplicitamente l’altro, simbolizzato come passivo
e oggetto del possesso illusorio, ad essere “autentico” (paziente, figlio, subordinato, ecc.),
annullandone (o, comunque, soffocandone) l’autenticità.
Rifiutando l’idea di una condivisione asimmetrica, condividere per noi assume il significato di
“fattorializzazione della comunicazione”, ossia mettere reciprocamente in campo le risorse
necessarie per superare un problema, per cambiare l’organizzazione del lavoro all’interno di
un’azienda, per produrre relazioni familiari più fruttuose e “accoglienti”. Fattorializzare le risorse
significa renderle comuni, spendibili entro le relazioni sociali, nella dimensione della reciprocità.
Nella tradizionale espressione “condividere il pane a tavola”, in realtà, non necessariamente è
implicata la dinamica affettiva della condivisione: se il pane è offerto ai commensali dal padrone di
casa e i commensali non portano a tavola nessun’altra pietanza, non stiamo parlando di
condivisione (in questo caso del cibo, escludendo da questa prospettiva la “compagnia”) ma di
offerta. L’offerta per definizione non poggia sullo scambio, poiché consiste affettivamente in una
relazione biunivoca con il contesto, dove qualcuno dà e qualcun altro riceve “a priori”.
Nella condivisione, la fattorializzazione delle risorse è invece una dinamica che ha a che fare con
la relazione e non con il singolo individuo e, più specificamente, non con le funzioni che gli
derivano dal suo ruolo nella relazione; significa mettere le reciproche risorse sul tavolo e fruirne, al
tempo stesso, reciprocamente. Un paziente che ha problemi fisici mette sul tavolo della relazione
non solo il proprio malessere ma anche la propria collaborazione a risolvere i problemi che il
medico, mettendo a disposizione le sue competenze, ha individuato e comunicato attraverso la
formulazione di una diagnosi.
Sintetizzando, possiamo definire la condivisione quale modalità simbolico-affettiva di relazione con
il contesto fondata sulla fattorializzazione comune delle risorse, dove l’asimmetria derivata dal
ruolo lascia è sostituita dalla competenza a produrre, attraverso la messa in comune delle
reciproche capacità e qualità.
“Confrontare” la comunicazione: DIALOGARE
Dialogare significa esprimersi nella relazione alternativamente, attraverso l’agito emozionale
fondato sullo scambio, allo scopo di individuare canali relazionali finalizzati alla produzione di
competenza nel rapporto individuo-contesto. Chi dialoga interpreta autenticamente, nella relazioni,
due funzioni complementari: comunica le proprie emozioni e “accoglie” quelle degli altri.
Rivista di Psicologia Clinica
n.1 – 2012
167
La specificità di questa modalità simbolico-affettiva di relazione con gli altri e con il contesto si
declina nella realtà sociale quale alternanza comunicativa, dove l’alternanza degli agiti emozionali
fondata sullo scambio produce competenza.
Dialogare vuol dire agire emozionalmente utilizzando quale principio guida lo scambio, quindi
esprimere autenticità all’amico ignoto e accogliere quella altrui; in altre parole, possiamo definire il
dialogo quale comunicazione reciproca dell’autenticità finalizzata a uno specifico prodotto della
relazione, che si sviluppa entro una logica dell’alternanza della comunicazione.
Un esempio di dialogo sono le tavole rotonde dove membri di una comunità scientifica si
riuniscono per discutere di un problema di ricerca, per esempio sulle nuove evidenze empiriche in
materia di funzionamento del cervello: dialogare, in una configurazione sociale quale quella
delineata, significa esporre agli altri membri le proprie idee e le proprie scoperte in modo autentico,
senza “adattarle” alla moda e alla convenienza dei modelli di riferimento vigenti in quel dato
momento storico. Allo stesso tempo, significa rischiare di accogliere l’autenticità degli altri oratori
(gli amici ignoti), ascoltandoli per pervenire alla chiusura dei lavori ad una sintesi finale delle
conoscenze scientifiche che tenga conto delle reciproche prospettive e che non finisca per
annullare (attraverso il possesso illusorio dell’uno o dell’altro gruppo di ricerca) la posizione e la
soggettività di qualcun altro. Sebbene a prima vista questo esempio sembri far riferimento
esclusivamente al modo dividente o scientifico di funzionare della mente, questa specifica
situazione sociale ci riporta invece alle dinamiche interne ed emozionalmente connotate
dell’università: pensiamo a tutti quei docenti che, per divergenze di prospettive sui fenomeni che si
occupano di fotografare, si criticano “a priori” l’un l’altro, senza alcuna volontà di ascoltarsi
reciprocamente e senza alcuna intenzione di verificare, nella relazione, l’autenticità dell’altro.
Pensiamo, per contro, a quei gruppi multidisciplinari dove le competenze si integrano, e dove i vari
ricercatori (portatori di background differenti) apprendono gli uni dagli altri in modo reciproco,
operazione possibile solo attraverso l’espressione reciproca e “alternata” (o diacronica)
dell’autenticità dello scambio.
Per concludere, possiamo definire il dialogo come quel modello affettivo di relazione con il
contesto fondato sull’espressione reciproca e dell’autenticità, finalizzata al perseguimento di
prodotti e obiettivi che hanno sempre e comunque a che fare con il legame sociale, dove la
comunicazione segue un flusso bidirezionale e alternato.
Riflessioni conclusive
Dopo aver ripercorso brevemente i concetti fondamentali, collegati al costrutto di scambio, così
come vengono proposti nella teoria dell’analisi della domanda, abbiamo delineato un modello di
lettura delle dinamiche sociali dello scambio, dell’accoglienza e della legittimazione sociale nella
relazione individuo-contesto. Obiettivo del contributo è quello di proporre un modello di lettura del
legame sociale finalizzato alla promozione dello sviluppo della relazione individuo-contesto. Come
descritto, abbiamo individuato nell’accoglienza la forma più generale della declinazione dello
scambio, intesa come l’accettazione incondizionata del rischio di simbolizzare l’altro quale
estraneo, quale amico ignoto. Abbiamo successivamente individuato due modalità più specifiche
dello scambio: la conoscenza, intesa quale modalità affettiva di promozione della relazione con il
contesto fondata sullo sviluppo del pensiero emozionato, e la comunicazione, modalità affettiva
che fonda le culture locali caratterizzate dalla promozione degli agiti emozionali fondati sul
principio di autenticità. Infine abbiamo proposto da una parte la considerazione e il confronto quali
forme più specifiche e “contestuali” della conoscenza, dall’altra abbiamo individuato nella
condivisione e nel dialogo le declinazioni prossimali della comunicazione.
Riteniamo gran parte delle dinamiche collusive destinate al fallimento, all’interno dei sistemi di
convivenza, sia rappresentato dalla tendenza a simbolizzare l’altro quale “nemico ignoto”, persona
(o gruppi organizzati) dai quali ci si deve difendere a prescindere, che non valga la pena ascoltare
poiché non appartengono al nostro ordine di idee o, più semplicemente, non rientrano nella nostra
cerchia affettiva più intima. Simbolizzare l’altro quale nemico ignoto non significa semplicemente
rispondere neoemozionalmente alla sua proposta relazionale, ma rappresenta anche il modo
privilegiato per boicottare l’altro, per stabilire collusivamente relazioni solo “a certe condizioni”, per
negare la soggettività altrui, per ricondurre a sé il modo di essere degli altri.
Rivista di Psicologia Clinica
n.1 – 2012
168
Rintracciamo la simbolizzazione dell’altro quale nemico ignoto anche nell’epistemologia (propria
delle discipline psicologiche) della correzione del deficit (Carli & Paniccia, 2002 e 2003), dove il
funzionamento della mente e delle relazioni è ricondotto all’eziopatogenesi dei fenomeni psichici e
sociali, dove l’idiosincrasia della soggettività viene ricondotta a modelli intrapsichici o situazionali
del comportamento, dove il potere senza competenza derivato dal ruolo (terapeuta, consulente,
selezionatore, ecc.) rappresenta una mera fonte di influenza e una barriera all’autenticità dei
clienti, dove la psicologia come scienza empirica delle invarianze (personologiche e non) si
propone quale sostituto della psicologia dell’intervento, sbandierando autoreferenzialmente
l’etichetta “evidence based”.
La nostra proposta, di converso, vuole sviluppare la teoria dello scambio nell’analisi della
domanda, allo scopo di rispondere con competenza alla domanda sociale di intervento psicologico
che i professionisti sono chiamati a “trattare”. Riteniamo che l’opzione professionale orientata alla
correzione del deficit (alla riconduzione alla “normalità” psicologica, organizzativa, sociale) non
rappresenti un’adeguata risposta alla domanda sociale di intervento psicologico; in effetti per
troppo tempo gli psicologi hanno “preteso” di costruire autoreferenzialmente la domanda che gli
veniva posta dai clienti, senza valutare attentamente cosa in realtà veniva chiesto loro, in altre
parole senza esplorare la domanda.
La produzione scientifico-psicologica sino ad oggi ha prodotto enorme conoscenza del
funzionamento intrapsichico e sociale degli individui, ma si è occupata raramente della relazione
individuo-contesto. La nostra opinione, coerente con la nostra proposta teorica, è che le persone
non sappiano realmente cosa vogliano quando richiedono un intervento psicologico (Carli &
Paniccia, 2005): compito dello psicologo è allora quello di disambiguare la domanda di intervento,
ed individuare degli obiettivi di sviluppo attraverso i quali orientare la relazione d’intervento. Lo
scambio e le sue declinazioni possono rappresentare dei “bersagli” di sviluppo, delle modalità
simbolico-affettive perseguibili attraverso l’intervento psicologico.
In conclusione, riteniamo che accogliere l’altro quale amico ignoto sia una delle poche vie possibili
per promuovere l’instaurazione di relazioni produttive, fondate sullo scambio. Ci rendiamo conto,
tuttavia, di come la diffidenza (Carli & Paniccia, 2002) rappresenti attualmente una delle modalità
simbolico-affettive di intrattenere rapporti sociali più diffuse, che mira a neutralizzare l’estraneità.
Pensiamo che lo scambio non sia solo uno strumento di cambiamento personale e sociale, ma che
rappresenti una valida alternativa alle neoemozioni come modalità organizzante la relazione
individuo-contesto.
Bibliografia
Avallone, F. (2011). Psicologia del lavoro e delle organizzazioni. Costruire e gestire relazioni nei contesti
professionali e sociali. Roma: Carocci.
Barus-Michel , J. , Enriquez , E. , & Lévy , A. (Eds.) (2005). Dizionario di psicosociologia. Milano: Raffaello
Cortina.
Borman, W.C., & Motowidlo, S.J. (1993). Expanding the criterion domain to include elements of contextual
performance. In N. Schmitt, W.C. Borman, & Associates (Eds.), Personnel selection in organizations (pp. 7198). San-Francisco: Jossey-Bass.
Brief, A.P., & Motowidlo, S.J. (1986). Prosocial organizational behaviors. Academy of Management Review,
11, 710-725.
Cabanac, M. (2002). What Is Emotion? Behavioural Processes, 60, 69-84.
Caprara, G.V., & Bonino, S. (Eds.) (2006). Il comportamento prosociale: aspetti individuali, familiari e sociali.
Trento: Erickson.
Carli, R. (1987). Psicologia clinica. Introduzione alla teoria ed alla tecnica. Torino: UTET.
Rivista di Psicologia Clinica
n.1 – 2012
169
Carli, R. (1990). Il processo di collusione nelle rappresentazioni sociali. Rivista di Psicologia Clinica , 3 , 282296.
Carli, R. (1993a). L’analisi della domanda collusiva. In: R. Carli (Ed.), L’analisi della domanda in psicologia
clinica (pp. 5-39). Milano: Giuffré.
Carli, R. (1995). Il rapporto individuo/contesto. Psicologia Clinica, 2, 5-20.
Carli, R. (Ed.) (1993b). L'analisi della domanda in psicologia clinica. Milano: Giuffrè.
Carli, R., & Giovagnoli, F. (2010). The unconscious in Ignacio Matte Blanco’s thought. Rivista di Psicologia
Clinica, 1, 4-20. Retrevied from: http://www.rivistadipsicologiaclinica.it
Carli, R., & Paniccia, R.M. (1981). Psicosociologia delle organizzazioni e delle istituzioni. Bologna: Il Mulino.
Carli, R., & Paniccia, R.M, (1999). Psicologia della formazione. Bologna: Il Mulino.
Carli, R., & Paniccia, R.M. (2002). L'Analisi Emozionale del Testo: Uno strumento psicologico per leggere
testi e discorsi, Milano: FrancoAngeli.
Carli, R., & Paniccia, R.M. (2003). Analisi della domanda: Teoria e intervento in Psicologia Clinica. Bologna:
Il Mulino.
Carli, R., & Paniccia, R.M. (2005). Casi Clinici. Bologna: Il Mulino.
Carli, R., & Paniccia, R.M. (2007). Integrare teoria, pratica e implicazione personale nella formazione: una
sfida possibile. In R. Carli, M. Grasso & R.M. Paniccia (Eds.), La formazione alla psicologia clinica: Pensare
emozioni (pp. 31-107). Milano: FrancoAngeli.
Carli, R., Grasso, M., & Paniccia, R.M. (Eds.) (2007). La formazione alla psicologia clinica: Pensare
emozioni. Milano: FrancoAngeli.
Imbasciati, A. (2008). La mente medica. Che significa “umanizzazione” della medicina? Milano: Springer.
Matte Blanco, I. (1975). The Unconscious as Infinite Sets: An Essay in Bi-Logic. London: Gerald Duckworth
& Company.
Mazzoleni, C., & Facioli, F. (2006). Che cos’è l’impression management. Roma: Carocci.
Rogers, C.R. (1951). Client-Centered Therapy: Its Current Practice, Implications, and Theory. Boston:
Houghton Mifflin.
Rogers, C.R. (1958). Listening and Understanding. The Friend, 116(40), 1248-1251.
Rogers, C R. (1959). The Essence of Psychotherapy: A Client-Centered View. Annals of Psychotherapy, 1,
51-57.
Rogers, C.R. (1961). On Becoming a Person: A Therapist’s View of Psychotherapy. Boston: Houghton
Mifflin.
Skinner , B.F (1981). Selection by Consequences. Science , 213(4507) , 501-504.
Varela, F., & Maturana, H. (1972). Mechanism and Biological Explanation. Philosophy of Science, 39(3),
378-382.
Rivista di Psicologia Clinica
n.1 – 2012
170
Scarica