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David Marini
Isaiah Berlin e il suo ‘inconsapevole’
Machiavelli controcorrente
Tentativo di isolare filosoficamente
il nucleo centrale del
Principe
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David Marini
Isaiah Berlin e il suo ‘inconsapevole’
Machiavelli controcorrente
Tentativo di isolare filosoficamente
il nucleo centrale del
Principe
Scopo di questo contributo è “riparlare” di un testo di Isaiah
Berlin verso cui la critica italiana, a suo tempo, si è
dimostrata piuttosto fredda, se non disinteressata. Si tratta di
un saggio scritto nel 1969 per le celebrazioni del quinto
centenario della nascita di Niccolò Machiavelli. Il testo fu
incluso nel volume Studies on Machiavelli1, ma non vi è
notizia in quel volume di nessuna discussione stimolata dallo
scritto di Berlin. The Originality of Machiavelli, questo il
titolo del saggio, affronta la questione del Machiavelli “in
universali”, da un punto di vista generale, cercando di fornire
una visione complessiva del pensiero del Segretario
fiorentino, senza perdersi nei “particulari”. Insomma, il
Berlin aveva voluto affrontare “il problema Machiavelli” da
una prospettiva schiettamente filosofica, di storia delle idee,
inserendolo nel più ampio corso delle vicende del pensiero
occidentale, ma le sue preziose riflessioni non sollevarono
alcun interesse. Qualche tempo dopo Gennaro Sasso si
1 *Studies on Machiavelli, a cura di M. P. Gilmore, Firenze 1970.
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DAVID MARINI
occupò brevemente (e superficialmente) di questo scritto, ma
solo per bollarlo come erroneo. A tale riguardo scrisse che
Se Croce non vide che non può parlarsi di “autonomia” ove il
nesso o il rapporto delle “autonomie” venga, in actu exercito,
ridotto alla permanenza di un solo termine, - ben più grave è
l’equivoco in cui Berlin si è lasciato prendere. Egli non ha visto
che la struttura classica, pagana o “precristiana”, che dovrebbe
risolvere dentro di sé, o, addirittura, non far sorgere, il contrasto fra
i valori della polis e gli strumenti della loro realizzazione, è, in
realtà, nei testi di Machiavelli, essa stessa conflittuale; e contro
l’evidenza si è ingegnato a negare che, in quelli, ci sia ombra di
conflitto. In realtà, come i testi di Machiavelli dimostrano a
chiunque li legga senza pregiudizio, quel contrasto esiste,
dissimulato, il più delle volte, ma pur tenace e profondo; e i suoi
termini costitutivi sono, da un lato, la decadenza dell’etica a
“inattualità” e sentimento, da un altro, l’assunzione della politica a
orizzonte esclusivo e totale della vita e dell’esistenza2.
Per riassumere e tentare di schematizzare i termini della
questione, secondo Sasso Machiavelli è il teorico
dell’”unicità” della politica, di contro ad un Croce che
sostenne l’”autonomia” della politica rispetto alla morale. Per
Berlin le cose stanno in maniera diversa, ma non perché il
Machiavelli si sia interessato, più o meno coscientemente, al
problema della reciproca dipendenza o indipendenza di etica
e politica, ma perché ciò che si evince da un testo così tanto
discusso come il Principe è, al di là di qualsiasi distinzione,
una visione del mondo “controcorrente” rispetto alla
tradizione di pensiero occidentale. Tradizione inveterata che
va dal pensiero greco fino a Machiavelli, e che continua,
anche dopo di esso, ad essere pur sempre la colonna portante
su cui poggia e poggerà pressoché tutta la tradizione
occidentale, almeno fino alla rivoluzione romantica. In altre
parole, per Berlin, le pagine di Machiavelli parlano di due
2 Cfr. G. Sasso, Niccolò Machiavelli, Bologna 1980, p. 437.
MACHIAVELLI CONTROCORRENTE
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morali in contrasto, di due mondi in conflitto, fra loro
incommensurabili. Di Benedetto Croce avremo modo di
parlare nel prosieguo del nostro contributo in maniera più
diffusa e comunque rimandiamo alla Appendice “crociana”
posta al termine di queste pagine. Mentre per quanto riguarda
la tesi sostenuta da Isaiah Berlin, lo stesso Sasso che la ha
criticata comprese almeno che non si può scindere questa
interpretazione dal contesto più ampio in cui essa si inserisce,
quello degli interessi filosofici di Berlin, della sua visione del
mondo. “Il Berlin è un pensatore — i tedeschi direbbero un
Geschichtsphiloph — complesso, ricco e vario di interessi. E
per capire bene il senso del suo saggio su The Originality of
Machiavelli occorrerebbe, senza dubbio, seguire la regola del
buon metodo storico, che consiste nel ponere totum” 3.
Passando, quindi, ad analizzare direttamente e schiettamente il pensiero di Berlin, non si può non rilevare che il
suo primo e più grande interesse è sempre stato quello di
rintracciare e portare alla luce della coscienza i presupposti
filosofici della tradizione di pensiero occidentale, quelle
componenti ideali che, pur con molte differenze da un’epoca
all’altra e da un pensatore all’altro, hanno costituito (e
costituiscono) la Weltanschauung comune dell’occidente.
Parallelamente a questa ricerca delle e sulle radici4 della
3 Ivi, p. 433. In ogni caso Sasso analizza e liquida alquanto superficialmente
l’interpretazione di Berlin. (Cfr. le pp. 433-38 del suo Niccolò Machiavelli).
4 “Le radici” (ovvero la “corrente” principale che di si voglia) della visione
del mondo occidentale sono, a detta del Nostro, “moniste”. Monista, secondo
Berlin, è qualunque visione del mondo che concepisca l’esistenza come regolata
da un insieme di norme assolute, passibili di essere desunte dalla struttura metafisica della realtà. Per i pensatori monisti esiste un ordine cosmico secondo il
quale è possibile dare una ed una sola risposta a qualsiasi domanda genuina venga
posta, almeno in linea di principio. Anche se poi, di fatto, gli uomini possono
versare in condizioni tali di arretramento, o possono essere fallibili a tal punto,
che risulta loro impossibile, in concreto, trovare questa risposta. Se un sistema di
pensiero, se le credenze di un singolo o di un gruppo, in ultima istanza,
forniscono, o ritengono che si possa fornire, una risposta inequivocabile, almeno
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DAVID MARINI
tradizione teoretica e pratica occidentale, per contrasto
troviamo da parte di Berlin uno spiccato interesse per tutti
quei filosofi che non si muovono all’interno di questa
corrente dominante, per quegli spiriti che, in un modo o in un
altro, anche se inconsapevolmente, sono stati i precursori
della rivoluzione romantica e quindi di una Weltanschauung
non più monista, ma soggettivista, relativista o pluralista. Fra
questi pensatori Berlin colloca Niccolò Machiavelli che,
soprattutto nel Principe, ma non solo, presenta due mondi
distinti in contrasto, quello cristiano e quello pagano, senza
però trovare una mediazione tra i due. A questo proposito
Berlin scrive:
In una certa fase delle mie letture mi imbattei, inevitabilmente,
nelle principali opere di Machiavelli. Mi fecero un’impressione
profonda, durevole, e scossero la mia vecchia fede. Da esse ricavai
non già gli insegnamenti più ovvi — quelli sul modo di conquistare
e conservare il potere politico [...] — ma qualcosa di diverso.
Machiavelli non era uno storicista: pensava che fosse possibile
restaurare qualcosa che somigliasse alla Roma repubblicana o
della prima fase dell’impero. Credeva che per questo occorresse
una classe dirigente di uomini coraggiosi, capaci intelligenti,
dotati, che sapessero cogliere le occasioni e sfruttarle, e cittadini
che fossero sufficientemente protetti, patriottici, e sinceramente
orgogliosi del loro stato, incarnazioni delle principali virtù pagane.
[...]
Ma a fianco di queste Machiavelli pone la nozione di virtù cristiane
— umiltà, accettazione delle sofferenze, rinuncia alle cose terrene,
in linea di principio, alla domanda “Come devono vivere gli uomini?”. Se si
ritiene che questa questione sia passibile di una “soluzione finale”, allora si è
“monisti”. La suddetta “soluzione finale” viene fornita direttamente in base a
quella che è ritenuta essere la specifica ed essenziale “natura delle cose”. Tale
natura è quello che è ontologicamente, probabilmente ab aeterno, al di là di
differenze accessorie ed accidentali. Quindi il monismo è, per Berlin, il dominio
della inalterabilità, della necessità e dell’intolleranza verso qualsiasi forma di
varietà e di diversità. Infatti, a che pro la diversità e la varietà dei progetti di vita,
se la verità è una, mentre solo l’errore ed il vizio sono molteplici? A che pro la
scelta, se non c’è una molteplicità di alternative valide? Avremo modo di tornare
più volte su questo stesso argomento nel prosieguo del nostro contributo.
MACHIAVELLI CONTROCORRENTE
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speranza di salvazione in un’altra vita — e osserva che queste
qualità non aiutano certo l’avvento di uno stato di tipo romano,
[...]: chi si attiene ai precetti della morale cristiana è destinato
infatti a essere travolto dalla corsa sfrenata di coloro che
ambiscono al potere e che possono, essi soli, ricreare e dominare la
repubblica da lui voluta. Egli non condanna le virtù cristiane: si
limita a osservare che le due morali sono incompatibili, e non
riconosce un criterio preminente che ci aiuti a stabilire quale sia la
vita giusta per gli uomini. Per lui la combinazione di ‘virtù’ e
valori cristiani è qualcosa d’impossibile. Machiavelli lascia
semplicemente la scelta a noi; ma sa dove vanno le sue preferenze.
Tutto questo istillò in me un’idea che mi provocò quasi uno shock:
l’idea che non tutti i valori supremi perseguiti dall’umanità, ora e
in passato, fossero necessariamente compatibili tra loro. Questa
consapevolezza veniva a minare la mia precedente convinzione,
basata sulla philosophia prennis, che non potesse esservi conflitto
tra fini veri, tra risposte vere ai problemi centrali della vita5.
È quindi l’incontro con il pensiero di Machiavelli che ha
portato Berlin a riflettere sulle questioni che sono divenute in
seguito i temi centrali delle sue ricerche storico-filosofiche.
Questioni del tipo se esista una natura umana chiaramente
identificabile; se esistano mete proprie di ogni uomo in
quanto tale; se queste mete siano tutte compatibili fra loro,
tutte ordinabili serialmente, cioè se sia possibile costruire una
scala di valori e se questa scala corrisponda alla struttura
metafisica della realtà; se sia possibile sapere, con un certo
margine di sicurezza, come l’uomo deve vivere. Nel saggio
The Originality of Machiavelli6 lo statista fiorentino è
descritto come l’anticipatore inconsapevole di un modo di
5 Cfr. “Sulla ricerca dell’ideale”, in *La dimensione etica nelle società
contemporanee, Torino 1990, pp. 8-11.
6 I. Berlin, “The Originality of Machiavelli”, in Against the Current. Essays
in the History of Ideas, a cura di H. Hardy, Londra 1979. La traduzione italiana di
ogni citazione da questo scritto inglese è nostra. Per tutti i riferimenti a The
Originality of Machiavelli si userà semplicemente, fra parentesi al termine di ogni
citazione, “Originality” seguito dal numero della pagina, rimandando alla
bibliografia essenziale per ulteriori informazioni.
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DAVID MARINI
concepire l’esistenza pluralistico, di contro alla imperante
tradizione monista occidentale. Berlin si domanda se non ci
sia un motivo profondo dietro al disaccordo che da sempre
caratterizza le interpretazioni di Machiavelli che di volta in
volta si sono succedute nella storia.
Un fenomeno di questo tipo è più facile da comprendere nel caso di
altri pensatori, gli scritti dei quali non hanno cessato di rendere
perplessi gli uomini o di eccitare le loro passioni: Platone, per
esempio, o Rousseau, o Hegel, o Marx. Ma si potrebbe dire che noi
non siamo sicuri di comprendere il mondo di Platone, né la sua
lingua; che Rousseau, Hegel, Marx erano dei teorici prolifici, le
opere dei quali non sono certo dei modelli di chiarezza o di
coerenza. Il Principe, al contrario, è un piccolo libro; tutti sono
d’accordo sulle qualità dello stile, trasparente, conciso, pungente,
perfetto esempio di prosa limpida della Rinascenza. Anche i
Discorsi non sono di una lunghezza eccessiva, per dei trattati
politici, e sono, anche essi, chiari e inequivocabili. Tuttavia non si
arriva a mettersi d’accordo sul significato di nessuna di queste
opere; non hanno trovato posto nella teoria politica tradizionale;
continuano a sollevare le passioni. (Originality, pp. 25-6)
Perché la questione del Machiavelli è così controversa?
Apparentemente i suoi scritti non sono di difficile
accezione e Il Principe in particolar modo è un’opera breve,
scorrevole e facilmente analizzabile, rispetto alle opere di
autori ben più oscuri dello statista fiorentino. Non è possibile
che tutto il clamore che hanno suscitato nel corso dei secoli le
opere machiavelliane sia dovuto solo o soprattutto al fatto
che in esse si affrontano temi politici con crudo, e spesso
perfino brutale, realismo.
Spesso, quando i malvagi prosperano, una politica immorale si
rivela soddisfacente: sono delle verità che la coscienza umana non
ha mai perso di vista. La Bibbia, Erodoto, Tucidide, Platone,
Aristotele (per non citare che qualche opera fondamentale della
civiltà occidentale), i personaggi di Giacobbe, Giosué o David, i
consigli di Samuele a Saul, il dialogo dei Milesi con gli Ateniesi in
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Tucidide, [...] la filosofia di Trasimaco e quella di Callicle, i
consigli di Aristotele ai tiranni nella Politica, i discorsi di Carneade
davanti al senato romano, come li riporta Cicerone, le idee di
Agostino sullo stato secolare, esaminate da un certo punto di vista,
quelle di Marsilio da Padova sullo stesso soggetto, analizzate da un
altro punto di vista, tutte queste testimonianze sulle realtà politiche
sono sufficientemente crude per scuotere l’idealismo tranquillo dei
più creduli. (Originality, p. 26)
Quindi non è il cinismo politico e la crudezza dei consigli che
Machiavelli dispensa ai governanti, ciò che ha turbato e che
continua a sconcertare gli studiosi, sebbene lo statista
fiorentino sia stato di una durezza e di una chiarezza
esemplari. Bisogna allora cercare da qualche altra parte i
motivi che fanno della questione del Machiavelli un punto
oscuro ed irrisolto della riflessione occidentale. Può darsi che
la grande divergenza fra i commentatori sia in relazione
stretta con l’orrore suscitato dalle opere machiavelliane.
Questa è una prima ipotesi, di carattere psicologico, che
Berlin suggerisce. Il messaggio del Principe sarebbe talmente
sconcertante (dissolutore di ogni, fino a quel momento,
radicata certezza metafisica) da gettarci in uno stato di
disorientamento ontologico; da impedirci di guardare dritta in
faccia la verità che esso ci rivela. Di qui la grande
proliferazione di tesi, talvolta in netto contrasto l’una con
l’altra, su quale sia veramente l’essenza del pensiero e delle
riflessioni machiavelliane. In altre parole, Berlin azzarda
l’idea che gli studiosi, probabilmente condizionati da una
Weltanschauung inveterata non siano stati capaci di
comprendere che cosa del pensiero di Machiavelli crei un
così profondo turbamento. Berlin non formula chiaramente
tale ipotesi, ma è questo il tono fondamentale di tutto il suo
The Originality of Machiavelli.
Fra le varie interpretazioni c’è chi ha visto nel Principe
un’opera anticristiana, un’apologia della vita pagana, un
semplice “specchio dei principi”, genere letterario abbastanza
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DAVID MARINI
comune nella Rinascenza. Si è visto nell’operetta del
Machiavelli una satira, un apologo morale. Per Croce
Machiavelli è “un umanista angosciato” che, di fronte alla
cattiveria ed alla pochezza umane, è costretto a separare la
sfera della morale da quella della politica, dove si trattano
non i fini dell’uomo, ma i mezzi per fondare uno stato e
renderlo sicuro. Come già detto, avremo modo di riprendere
in maniera più dettagliata la tesi crociana. Si è considerato lo
statista fiorentino come un patriota appassionato, oppure un
tecnico freddo ed impassibile di fronte alle richieste di salute
politica dello stato, che quindi non si impegna né politicamente né moralmente, ma cerca solo i mezzi più idonei per
raggiungere determinati scopi. Eppure altri hanno detto che
lo statista fiorentino è totalmente privo di senso storico, una
sorta di esteta che cerca di dar forma alla propria opera
d’arte, lo stato forte, improntato ai valori della antiqua virtus
pagana. Si è visto Machiavelli, per contro, come un realista
brutale, profondamente calato nella realtà storica del suo
tempo. Per Bacon, ad esempio, egli è il realista supremo, che
niente concede all’utopia. Meinecke, invece, fa del Segretario
fiorentino, il teorico della “ragione di stato”, che ha
conficcato un pugnale nel corpo politico dell’Occidente.
Per alcuni è stato un grande storico in quanto ha applicato,
in un’epoca ancora lontana dall’usare canoni scientifici nel
modo di fare storia, un metodo per certi versi precursore
addirittura della rivoluzione scientifica galileiana. Per altri
invece, come storico, fu di gran lunga inferiore al
Guicciardini. De Sanctis non lo considera parte integrante
della tradizione umanistica a causa dell’ostilità del
Machiavelli per le visioni generate dall’immaginazione
(interpretazione in netto contrasto con chi invece ne fa un
artista che crea la propria opera d’arte). Berlin chiude la
rassegna degli esegeti machiavelliani con l’interpretazione
che ne hanno dato gli elisabettiani
MACHIAVELLI CONTROCORRENTE
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[...] è un uomo ispirato dal Diavolo per condurre le persone per
bene a perdersi, il grande pervertitore, colui che insegna il male, le
docteur de la scélératesse, [...]. È il ‘Machiavelli assassino’
(murderous Machiavel) degli oltre quattrocento celebri riferimenti
della letteratura elisabettiana. Il suo nome aggiunge un sapore
nuovo al personaggio tradizionale del Maligno. (Originality, p. 35.)
Così la pensano anche i Gesuiti, i cattolici in generale ed i
protestanti. Si potrebbe dunque dire che Machiavelli abbia,
nell’immaginario collettivo degli studiosi, un posto ben
preciso, che impersoni il negativo, la distruzione di ciò che vi
è di più sacro. Berlin è convinto che ci sia qualcosa di molto
profondo in gioco, ben più profondo del semplice fatto di
avere Machiavelli esposto delle idee contrarie alla morale
cristiana. Non è sufficiente dire che Machiavelli fu più duro,
più freddo, più cinico e più calcolatore di chiunque altro
prima di lui per liquidarne la questione.
Ciò che colpisce è il fatto che nella riflessione dello
statista fiorentino è assente quella sorta di sovra-struttura
concettuale comune a tutti gli uomini del suo tempo.
Machiavelli non parla di diritto naturale, né del posto
dell’uomo nel cosmo. Affronta la sua materia con un
realismo del tutto scevro di quei presupposti concettuali che
da sempre avevano avuto valore per chiunque avesse
affrontato gli stessi temi, o avesse cercato le risposte ai
medesimi interrogativi di capitale importanza per la vita degli
uomini. Interrogativi che possono essere espressi tutti con domande del tipo: “Come devono vivere gli uomini?” “È
possibile stilare una scala di valori, secondo la loro crescente
importanza?” “Come si colloca l’uomo nel cosmo, e dove si
colloca?” “Perché gli uomini devono ubbidire, e a chi devono
ubbidienza?” Sono tutte domande che, per avere una risposta
certa, non possono fare a meno di quei supporti teoricopratici forniti dalla fede in una natura rerum creata da Dio (o
forse eternamente autoproducentesi), e normativa nei
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DAVID MARINI
confronti dell’uomo. Questa visione del mondo, secondo cui
esiste uno standard oggettivo di bene, la Verità, una legge
naturale che è regola certa e indiscutibile, storicamente ha
assunto innumerevoli versioni, ma ognuna ha mantenuto
fermi determinati presupposti (esistenza di una “natura
umana” che persegue determinate mete specifiche che non
possono essere in contrasto fra loro, perché sono il frutto
della ragione cosmica e universale, una e la medesima per
tutti e dappertutto) divenuti una sorta di patrimonio spirituale
inalienabile dell’Occidente. “C’è dunque qualcosa di
straordinario nel fatto di passare completamente sotto
silenzio i concetti e le categorie (la panoplia abituale) per
mezzo dei quali si esprimevano abitualmente i pensatori e gli
eruditi più conosciuti del suo tempo (Originality, 36-7). A
questo riguardo, Federico Chabod parla della mancanza,
negli scritti del Fiorentino, e specialmente nel Principe, di
affermazioni teoriche generalissime, di postulati e di
premesse giustificatrici, di una disquisizione astratta
insomma e dottrinariamente sistematica, che si potesse
oppugnare ab initio con metodo e logica. Il Principe veniva
in scena, conquistava, agiva, uccideva, senza chiedersi che
cosa fosse lo stato, quale il suo scopo, e nemmeno se il potere
a lui affidato derivasse da un originario contratto con il
popolo: vizio apparente di pensiero ben grave in un momento
in cui riprendevano d’ogni parte le discussioni teoriche, e si
cercavano le basi filosofiche dello stato, tra uomini avvezzi,
per il loro abito giuridico-dottrinale, a porre chiari
prolegomeni teorici, a volgersi verso una sistematica
esposizione7.
Siamo di fronte ad una frattura fondamentale con il
passato. Nel pensiero di Machiavelli è assente ogni traccia di
7 Cfr. F. Chabod, “Del Principe di Niccolò Machiavelli”, in Scritti su
Machiavelli, Torino 1964, p. 125.
MACHIAVELLI CONTROCORRENTE
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psicologia e teologia cristiane, ma ciò che è ancor più
indicativo è che non c’è nemmeno il riferimento ad una
teologia platonica o aristotelica. Come si è già rilevato, lo
statista fiorentino non fa appello a nessun tipo di ordo
idearum, non si preoccupa di stabilire quale sia il posto
dell’uomo nel cosmo, nella lunga catena degli esseri.
Una riprova significativa di tutto ciò è l’idea di religione
concepita come instrumentum regni (di cui, per altro, nel
Principe è possibile riscontrare solo un paio di accenni
fugaci), una maniera efficace di incrementare la coesione
sociale, un “mero” mezzo per mantenere la pace all’interno di
uno stato quindi. Non è necessario che un credo religioso sia
vero, l’importante è che sia accettato, temuto e rispettato
dagli appartenenti ad una comunità politica, e che sia
portatore di valori positivi, nel senso che il suo messaggio
non sia di rinuncia alle cose terrene e di ricerca ed attesa di
una vita oltre la vita terrena. È per questo che la religione
cristiana non si è rivelata un buon mezzo per il mantenimento
della salute e della vigoria delle comunità politiche.
Da nessuna parte egli [Machiavelli] postula seriamente l’esistenza
di Dio, o di leggi divine; qualunque sia la convinzione intima
dell’autore, un ateo può leggere Machiavelli in tutta tranquillità di
spirito. Nemmeno si trova in lui rispetto per l’autorità, o i
comandamenti di Dio o della morale, né interesse per il ruolo della
coscienza individuale, o per qualsiasi altro soggetto metafisico o
teologico. La sola libertà che riconosca è la libertà politica, che
permette di sfuggire al governo arbitrario di un despota, altrimenti
detto, la repubblica, e la libertà di uno stato, sul quale gli altri stati
non hanno potere, o piuttosto quella della città, o patria, [in
italiano nel testo] poiché il termine ‘stato’ è forse qui prematuro.
(Originality, 37-8)
In assenza di una cosmologia e di una metafisica normative,
in cui l’uomo non ha libertà di movimento, ma persegue
necessariamente gli scopi già da sempre specificamente suoi,
18
DAVID MARINI
in quanto così concepiti dall’Alto, non c’è nemmeno un fine
verso cui il mondo debba tendere, non una concezione del
progresso, materiale o spirituale. Mancando ogni richiamo
metafisico, ad uno scopo ultimo che dovrebbe portare a
compimento le potenzialità del creato, è assente anche una
qualsiasi filosofia della storia intesa come teodicea. “In
nessun punto, il testo [machiavelliano] lascia sottintendere
che il corso degli avvenimenti sia irrevocabilmente
determinato in avanti. Né la fortuna, né la necessità
dominano l’esistenza senza riserve. Non ci sono dei valori assoluti, l’ignoranza o il rifiuto dei quali condurrebbe
inevitabilmente gli uomini a perdersi”. (Originality, 38)
È l’assenza di una filosofia della storia tradizionale che dà
al pensiero di Machiavelli carattere e intonazione moderni.
Lo statista fiorentino si occupa dei problemi della sua
società dal punto di vista politico e, come più volte si è già
rilevato, il tono fondamentale delle sue riflessioni è concreto,
realistico, empirico. Ma, secondo Berlin, non è questa
modernità che ha affascinato i molti studiosi che si sono
occupati del Segretario fiorentino. “Cosa c’era dunque di così
sconvolgente nelle idee di Machiavelli?”. (Originality, 38).
Per quanto riguarda la sua teoria positiva egli pensa che gli
esseri umani cerchino soprattutto di conquistare la gloria, se
sono esseri superiori, fondando e difendendo una società
forte e rettamente governata. Un’idea che lo statista
fiorentino condivideva con quegli autori romani ai quali
tributava le massime lodi e che considerava come gli spiriti
più illuminati della storia dell’Occidente: fra gli altri, Cicerone, Tito Livio, Varrone, Tacito, Plutarco. Gli uomini
devono essere governati, poiché è necessario che ci sia
un’autorità che istituisca e preservi l’ordine in una società, in
cui i diversi gruppi umani hanno interessi differenti. Esistono
delle tecniche di governo, cioè dei precetti, delle regole
empiriche che è possibile insegnare, da parte di chi ne è a
MACHIAVELLI CONTROCORRENTE
19
conoscenza, ed apprendere, da parte di chi è interessato a
mantenere e far prosperare la forza e la sicurezza della
propria patria. È necessario osservare la realtà politica
concreta, presente e passata, se si vuol raggiungere un
risultato positivo in ambito politico. Ciò perché non esiste un
cammino già tracciato. Non essendo il destino dell’uomo
predeterminato (abbiamo visto che Machiavelli non fa
riferimento al diritto naturale o ad una qualsivoglia
impalcatura concettuale metafisica), non è possibile sapere
con sicurezza cosa sia giusto e cosa non lo sia. Quindi, è
necessario lo studio storico del passato e della situazione
presente, per formulare una qualsiasi linea di condotta
politica che possa ragionevolmente condurre al successo. A
dire il vero, c’è in Machiavelli l’idea di una natura umana
immutabile, ciò che si può desumere anche da una lettura
superficiale dei suoi testi, però l’elemento che secondo Berlin
è rilevante, per comprendere la modernità di questo autore, è
che questa immutabilità dell’essenza dell’uomo, (che per Machiavelli è sempre il medesimo, in ogni tempo e luogo, infatti
ciò che andava bene per il cives romano va sicuramente bene
anche per l’uomo del Cinquecento fiorentino), non sottostà a
determinati presupposti metafisici, esplicitamente affermati,
normativi e vincolanti a priori. Quello della metafisica non è
certamente il piano concettuale sul quale si muove
Machiavelli, non è la trascendenza che lo interessa, bensì il
qui ed ora dell’uomo concreto. Machiavelli mette in guardia i
suoi lettori dal considerare gli uomini in maniera idealizzata e
non per quello che sono realmente, nella loro concretezza.
Come riconosciamo di essere di fronte ad una versione
idealizzata dell’uomo, che non ha rispondenza nella realtà?
Attraverso l’osservazione empirica e lo studio della storia,
cioè di quelle auctoritates classiche rappresentate dagli
storici romani. Il consiglio che dà Machiavelli è di non
sostituire ciò che è con ciò che dovrebbe essere, ma di
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DAVID MARINI
“andare drieto alla verità effettuale della cosa, [piuttosto] che
alla imaginazione di essa” (Principe, XV 136). Solo con un
approccio così realistico si può tentare di dar luogo ad un
sistema di governo che eguagli quello della Roma
repubblicana, esempio massimo di costituzione politica
riuscita.
Un “principato” è forte, e al sicuro da attacchi interni ed
esterni, quando è stabile, ordinato armonicamente, retto con
giustizia, consapevole della propria potenza. Chi governa
deve farlo usando la forza e l’astuzia (le celeberrime virtù
della “golpe” e del “lione”); deve essere capace di ingenerare
nei governati sentimenti di timore e amore, ricercando un
equilibrio fra di essi, e stando ben attento a non incutere
troppo timore, con atti di efferata crudeltà, che siano gratuiti,
in quanto il sentimento del popolo potrebbe trasformarsi in
odio. D’altra parte è un pericolo anche il governare con
troppo amore, con troppa permissività, poiché ciò indebolisce
pericolosamente la forza dei governanti. Il consiglio di
Machiavelli è di condurre uno Stato con l’odio e la crudeltà,
piuttosto che lasciarlo andare verso un’inevitabile dissoluzione, dovuta alla troppa misericordia, alla troppa carità, alla
troppa benevolenza, e debolezza quindi, del governo. Atene
nell’epoca del suo massimo splendore, Sparta, Venezia, i
regni di David e di Salomone, soprattutto Roma con la fine
della monarchia e l’instaurazione della repubblica, sono i
modelli politici machiavelliani, i referenti storici degni di
emulazione.
Ciò si spiega perché vi erano, all’interno di queste società, degli
uomini che sapevano garantire la grandezza delle loro città. Come
ci riuscivano? Sviluppando certe qualità nei loro concittadini: la
forza morale, la magnanimità, l’energia, la vitalità, la generosità, la
lealtà, e soprattutto la cura del bene pubblico, il senso civico, la
dedizione alla patria, di cui bisogna garantire la sicurezza, la
potenza, la gloria, l’espansione. Per sviluppare questi tratti caratteriali, gli antichi utilizzavano ogni sorta di mezzo, specialmente
MACHIAVELLI CONTROCORRENTE
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spettacoli abbaglianti e sacrifici atroci, che eccitavano i sensi e
risvegliavano l’ardore guerriero, e più particolarmente leggi e una
educazione che favorivano le virtù pagane. La potenza, la
magnificenza, l’orgoglio, l’austerità, il desiderio di gloria,
l’energia, la disciplina, l’antiqua virtus — ecco i motivi della
grandezza di uno stato. (Originality, 43-4)
Si badi bene che Machiavelli non dimostra le sue tesi, si
limita ad affermare quelle che per lui sono verità ovvie,
talmente evidenti che basta osservare la realtà e la storia per
rendersene conto. Le città erano prospere ed i governi forti e
capaci di assicurare il bene pubblico, quando i valori
perseguiti dall’uomo non erano quelli personali e privati del
singolo, tutto volto al perseguimento del proprio bene
particolare. Tanto meno quando l’universo morale di
riferimento dell’uomo è quello cristiano, con il suo predicare
la rinuncia, l’abbandono delle cose terrene, lo spegnimento
delle passioni, il perdono del nemico, si può avere una
situazione politica stabile e duratura. Non sono questi gli
ingredienti che possono dar luogo ad una società energica e
fiorente come quelle dell’antichità.
Secondo Berlin è esattamente l’accettazione di una
“morale della forza”, ed il conseguente rifiuto della “morale
della debolezza” cristiana, che fa del pensiero di Machiavelli
una delle svolte epocali della storia occidentale. Una di quelle
svolte che non lasciano niente di immutato, che vanno ad
incidere sul modo stesso di vedere il mondo e la sua essenza.
Machiavelli rappresenta una sorta di spartiacque grazie al
quale si assiste ad un mutamento di Weltanschauung. Una
trasformazione che, nell’immediato, lascia tutto apparentemente immutato, ma che a livello teoretico genera una
scossa così profonda la cui onda d’urto non ha ancora cessato
di produrre i suoi effetti.
È fondamentale tenere presente come i consigli che
Machiavelli dà al principe non hanno valore solo in partico-
22
DAVID MARINI
lari frangenti storici, cioè quando la sicurezza della patria
vacilla, e si è costretti, di fronte a mali estremi, ad opporre
estremi rimedi. La forza, l’astuzia, la crudeltà, l’inganno, il
tradimento, la messa a morte di innocenti, sono mezzi che è
necessario usare come pratica ordinaria, per dei “principi”
che intendano mantenere lo stato in buona salute. Gli uomini
sono irragionevoli e riottosi per natura, quindi sempre in
pericolo di soccombere, se non guidati da una mano sicura ed
inesorabile che mantenga fermo l’obiettivo della salute
pubblica. Se gli uomini sono sempre sul punto di corrompersi
e di corrompere la loro società, è naturale che
si debba mantenerli sulla retta via, per mezzo di misure senza alcun
dubbio contrarie alla morale corrente. Ma, se sono contrarie a
questa morale, in quale senso si può dire che esse siano
giustificate? È attorno a questo punto cruciale che ruota tutto il
pensiero di Machiavelli. Esse possono essere giustificate in un
senso, e non lo possono essere se si cambia punto di vista. Noi
dobbiamo distinguere questi due punti di vista, in maniera più netta
di come ha fatto Machiavelli. Non essendo filosofo, non ne sentiva
il bisogno, e non ha mai fatto l’inventario, né, a più forte ragione,
l’esame, dei postulati sui quali riposavano le sue proprie idee.
(Originality, 44)
La morale corrente è ovviamente quella cristiana. Le misure
che Machiavelli consiglia di adottare, se si vuol istituire e
mantenere una realtà politica prosperosa e florida, sono la
crudeltà, l’inganno, non il perdono, ma la distruzione dei
nemici. Questi sono mezzi per conseguire un determinato
scopo: la fondazione di una repubblica o di un principato
forte, capace di resistere agli attacchi dei nemici e in grado di
impedire il disfacimento e la dissoluzione interna della
società. Una società che deve essere edificata sulla base degli
stessi principi che valevano nella Roma repubblicana. La
domanda che si pone Berlin è come sia possibile giustificare
queste misure, chiaramente incompatibili con l’universo
MACHIAVELLI CONTROCORRENTE
23
morale cristiano, accettato come valido, e quindi come fonte
di ogni giustificazione in campo etico, da pressoché tutti i
contemporanei dello statista fiorentino. Come è possibile
giustificare una linea di condotta crudele, se l’etica cristiana
impone la bontà? In che modo si possono legittimare atti
efferati come l’inganno e l’assassinio al solo scopo di
preservare la salute della patria, se la morale cristiana predica
la rinuncia delle cose terrene, ammonisce chi è attaccato ai
beni di questo mondo e annuncia un’altra vita, ben più degna
di essere vissuta di questa terrestre, ricettacolo di passioni
insane e di sentimenti corrotti? È su questa incompatibilità di
fini, fra ciò che Machiavelli consiglia al principe e quelli che
sono i dettami fondamentali del cristianesimo, che si inscrive
la carica rivoluzionaria delle opere dello statista fiorentino.
Questa incompatibilità fra valori ultimi non fu esplicitata
da Machiavelli che, non essendo filosofo, non ha sottoposto
le sue riflessioni ad una attenta analisi epistemologica che
sola avrebbe potuto farlo riflettere sulla sua “scoperta”.
Berlin fa rilevare che, dal punto di vista di Machiavelli, i fini
da questi raccomandati sono tali che
ogni essere umano ragionevole, che comprenda la realtà, accetterà
di consacrare loro la propria vita. Presi in questo senso, questi
scopi ultimi, che siano o no conformi alla tradizione giudeocristiana, ben corrispondono a ciò che si intende in generale per
valori morali.
La linea di demarcazione che traccia Machiavelli non separa dei
valori specificamente morali da valori specificamente politici; egli
non ha liberato la politica dall’etica e dalla religione, come hanno
creduto Croce e i numerosi altri commentatori, che fanno di questa
emancipazione il coronamento della sua opera. Machiavelli
istituisce una opposizione che va ancora più lontano, fra due modi
di concepire la vita, e di conseguenza fra due morali. Una è la
morale del mondo pagano: i valori essenziali sono il coraggio,
l’energia, la forza d’animo davanti alle avversità, la riuscita negli
affari pubblici, l’ordine, la disciplina, la felicità, la forza, la
giustizia. L’importante, soprattutto, è affermare le proprie
24
DAVID MARINI
rivendicazioni legittime, e disporre di un potere e di conoscenze
sufficienti per poterle soddisfare. Tutto ciò, per un lettore della
rinascenza, è stato realizzato da Pericle nella sua Atene ideale, Tito
Livio l’ha trovato nella Repubblica romana ai suoi inizi, Tacito e
Giovenale ne hanno deplorato il declino e la sparizione nella loro
epoca. Machiavelli vi vede i migliori momenti dell’umanità e, da
buon umanista della Rinascenza, si augura di farli rivivere.
(Originality, 45)
Dunque, la peculiarità di Machiavelli, ciò che ne ha reso il
pensiero immortale, nel senso che, ancora dopo cinquecento
anni dalla sua formulazione, gli interpreti continuano a
trovarlo interessante e continuano a studiarlo senza trovarsi
d’accordo nello stabilire che cosa ne costituisca l’essenza, è
proprio la linea di divisione che egli ha tracciato, non fra due
sfere distinte, che hanno scopi e finalità diverse, la morale e
la politica: la prima occupandosi dei fini, cioè di ciò che è un
fine in sé, che ha valore di per sé stesso; la seconda
occupandosi invece dei mezzi per raggiungere degli scopi,
cioè lo studio di quelle tecniche e di quei procedimenti necessari, solo e soltanto, se ci si propone il conseguimento di
specifici risultati. Il pensiero dello statista fiorentino si spinge
ben oltre questa semplice divisione di aree di influenza. In
contrapposizione alla virtus pagana troviamo la virtù cristiana, con i suoi valori di perdono e rinuncia, con la sua netta
divisione fra ciò che è bene e ciò che è male. È evidente che i
due diversi tipi di virtù non sono compatibili. Il conflitto non
è risolvibile separando le due aree di influenza, cioè
sostenendo che l’antica virtus trova la sua applicazione in una
sfera distinta da quella in cui trovano applicazione i valori
cristiani. In altre parole, Machiavelli non intese assolutamente separare la politica dalla morale. Nella riflessione
machiavelliana, i fini che egli indica come validi per l’uomo,
non sono dei semplici mezzi da usare se si vuole raggiungere
determinati scopi, bensì sono a pieno diritto valori morali.
MACHIAVELLI CONTROCORRENTE
25
Machiavelli ritiene che con uomini che abbiano fede nei
valori cristiani e che cerchino di metterli in pratica per dare
vita ad una comunità vigorosa ed in grado di opporre
resistenza agli elementi dissolutori del tessuto sociale, non sia
possibile costruire uno stato simile a quello romano o a
qualunque altro che nel corso della storia abbia incarnato
l’ideale politico che Machiavelli ha in mente. Quindi, la città
ideale cristiana è irrealizzabile non tanto perché gli uomini
siano fallibili ed irrimediabilmente traviati dal peccato
originale; oppure perché, essendo esseri finiti, non abbiano a
disposizione la forza necessaria per concretizzare un ideale
così nobile. In altri termini, non è a causa della natura umana
irrimediabilmente macchiata dal peccato originale, e dunque
finita e peccatrice, che una realtà politica edificata all’insegna
dei dettami della tradizione giudeo-cristiana non è traducibile
in termini reali. Ciò che storicamente ha impedito ad una
comunità di reggersi con principi etici cristiani è intrinseco a
questi principi stessi. Machiavelli è convinto che le virtù
cardinali (per non parlare di quelle teologali) siano in se
stesse degli ostacoli insuperabili alla fondazione di uno stato
fiorente e duraturo, capace quindi di difendersi da nemici
interni ed esterni. Se gli uomini fossero diversi da come sono,
forse potrebbero porre le basi per una società cristianamente
intesa. Però Machiavelli è convinto che dovrebbero essere
troppo differenti da come sono nella realtà, e da come si sono
sempre rivelati nel corso della storia. Di conseguenza,
essendo Machiavelli un pensatore realistico, che si impegna
con la realtà effettuale, quale si presenta ai suoi occhi, al di là
di ogni idealizzazione, cercare di dar vita a delle istituzioni in
funzione di esseri che non sono mai esistiti e che mai
potrebbero esistere, per lui non ha alcun senso e, soprattutto,
è fonte di pericoli per la comunità. Quando si vuol stabilire
una linea di condotta, si deve farlo in termini concreti, non
immaginari. Si può, certamente, cercare di far cambiare gli
26
DAVID MARINI
uomini, ma non si può snaturarli, cioè renderli
completamente diversi da ciò che sono. Fare appello a misure
ideali, richiedere delle qualità così alte, che possono essere
possedute solo dai santi e dagli angeli, ha portato troppo
spesso gli uomini e le loro città alla rovina. Mentre la storia
ci mostra chiaramente quale sia la via da percorrere se si
vuole avere successo. E la storia ci dice che vi è
un’incompatibilità di fondo fra vita politica e valori morali
cristiani. Da questa incompatibilità deriva che l’uomo è
costretto a scegliere fra due alternative: o vivere in funzione
della salvezza eterna, rinunciando alle cose del mondo;
oppure vivere in modo tale da ricercare l’affermazione sulla
terra. Nello stesso tempo però Machiavelli ci fa vedere come
gli esempi storici in cui l’umanità ha raggiunto le sue vette
più alte sono quelli in cui l’uomo non si è lasciato guidare da
una morale della rinuncia, bensì, ha seguito i dettami di una
virtù pagana improntata proprio all’affermazione di quei tratti
che l’universo morale cristiano giudica privi di qualsiasi
qualità intrinseca e dunque malvagi. Questa possibilità di
scelta di fronte alla quale si trova l’uomo, possibilità che lo
mette in grado di decidere fra due linee di condotta fra loro
non solo incompatibili, ma anche incommensurabili, è
giudicata da Berlin come uno dei momenti fondamentali nella
storia del pensiero politico occidentale, per le implicazioni
profondamente rivoluzionarie di cui è gravida. Siamo davanti
ad un giro di boa dell’intera riflessione occidentale. Un punto
critico in cui ciò che era già da sempre creduto vero in ogni
tempo ed in ogni luogo perde parte della sua forza normativa.
In altri termini, l’edificio metafisico comune a Platone, ad
Aristotele, agli scolastici, ai pensatori rinascimentali stessi, e
che sarà anche quello condiviso dagli illuministi, per citare
solo alcune fra le tappe spirituali più significative della storia
europea, viene minato fin dalle sue fondamenta dall’analisi
storico-politica di Niccolò Machiavelli. Berlin afferma che
MACHIAVELLI CONTROCORRENTE
27
Machiavelli non è un filosofo, e non si interessa alle astrazioni, ma
la sua tesi sbocca su di un problema d’importanza cruciale per la
teoria politica. Gli uomini non vogliono ammettere che questi due
fini, tutti e due capaci, manifestamente, di trarre seco l’adesione
degli uomini (e, si potrebbe aggiungere, di esaltarli fino al
sublime), non siano compatibili fra loro. Ciò che capita abitualmente, pensa Machiavelli, è che gli uomini incapaci di decidersi a
seguire risolutamente, e quel che né sia il risultato, l’una o l’altra di
queste strade [...], cerchino dei compromessi, esitino, si ritrovino
con i piedi su due staffe, per giungere all’impotenza e alla rovina.
(Originality, 47. Corsivo nostro).
Per comprendere meglio la tesi di Berlin è importante
ribadire che Machiavelli non confuta i valori cristiani,
cercando di destituirne l’importanza come regole per la
condotta umana. Ciò che la tradizione cristiana definisce
come buono è realmente tale per lo statista fiorentino, e così è
anche per tutti gli altri principi. L’etica cristiana viene messa
tra parentesi e se ne sceglie un’altra alla quale è più
opportuno, più giusto perché più vero, che gli uomini si
uniformino. Nemmeno si trova in Machiavelli il tentativo di
fondere il cosmo morale pagano con quello cristiano, nella
speranza di raggiungere un’armonia superiore, dove non ci
siano conflitti e contraddizioni. Machiavelli afferma
solamente che non si può osservare una linea di condotta
caritatevole ed improntata al perdono, se si vuole erigere uno
stato degno di questo nome, cioè stabile e compatto,
confidente nella propria potenza.
Insomma, da un lato si ha l’idea di un uomo peccatore fin
dalla nascita, che deve espiare e vivere nell’attesa della
salvezza futura e trascendente; dall’altra c’è l’idea di un
essere umano che si deve affermare sulla terra, con la conseguente esaltazione della forza, della bellezza e della potenza
fisiche, terrene. Ma ciò che rende ancora più profondo il
solco fra le due diverse visioni del mondo, è che la morale
cristiana contempla l’idea del singolo al cospetto di Dio,
28
DAVID MARINI
l’uomo che ha in sé stesso il valore supremo nell’anima
immortale, creata ad immagine e somiglianza di Dio, mentre
nell’universo pagano il singolo non ha quasi nessuna
importanza, ciò che conta è la comunità, la società. E’ in essa
che risiedono i valori supremi: l’uomo è concepito nella sua
dimensione pubblica, politica, come quella che ne rispetta e
ne invera la reale natura. Basta ricordare la definizione
aristotelica dell’uomo come animale politico.
Secondo Croce (ed i crociani) però, Machiavelli non
rifiuta la morale cristiana ed ha sempre considerato come
crimini a tutti gli effetti, quelle azioni criminose necessarie
alla salute dello stato. Sono atti “politicamente necessari”,
che si devono compiere per fondare e mantenere istituzioni
politiche forti, ma non cessano per questo di essere crimini.
Machiavelli avrebbe quindi solo “scoperto” che questa morale non trova applicazione nella vita politica. Egli, sempre
secondo i crociani, si rende conto della divergenza fra la
pratica politica e la morale, ed è per questo che le sue
descrizioni ed analisi della situazione italiana, sembrano così
distaccate e ciniche, ma questo distacco tradisce solamente
l’angoscia dell’umanista posto di fronte alla ingiustizia ed
alla inevitabile crudeltà della vita.
Riguardo a questa argomentazione, Berlin ritiene che i due
poli della questione non siano la necessità politica e la morale
cristiana. La sfera della morale risulta essere definita come
regno dei fini e costituita da regole che kantianamente sono
“imperativi categorici”, cioè necessari in sé stessi, non
dipendenti da qualcosa che sia la fonte del loro valore.
Mentre l’area propriamente politica, per chi, come Croce,
distingue fra etica e politica appunto, la si può definire come
l’ambito in cui non entrano in gioco valori morali, portatori
di una finalità intrinseca, bensì come quella sfera in cui
l’agire umano è regolato da norme empiriche, espedienti
quasi, che si devono seguire solo e soltanto se ci si pre-
MACHIAVELLI CONTROCORRENTE
29
figgono determinati scopi particolari: scopi che in sé e per sé
non sono necessari. Il terreno della politica è quello
kantianamente individuato da “imperativi ipotetici”, da comandi che non valgono in sé stessi, ma che hanno un valore
solo ipotetico, cioè devono essere perseguiti non in base ad
una legge morale assolutamente valida, ma solo “nell’ipotesi”
che si vogliano conseguire determinati risultati, che si abbia
in mente di condurre a buon fine particolari progetti. In altri
termini, i mezzi politici restano confinati in una dimensione
particolare, che è quella loro essenzialmente peculiare, non
assurgono mai alla universalità che è la caratteristica propria
delle leggi morali, valide per tutti in maniera assoluta,
categorica appunto.
La tesi di Croce, secondo il quale “è risaputo che il Machiavelli scopre la necessità e l’autonomia della politica, della
politica che è di là, o piuttosto di qua, dal bene e dal male
morale, che ha le sue leggi a cui è vano ribellarsi, che non si
può esorcizzare e cacciare dal mondo con l’acqua
benedetta”8, per Berlin sarebbe difendibile se nella storia del
pensiero occidentale il soggetto della morale fosse sempre
stato la coscienza individuale. Se la morale fosse sempre stata
il dominio di pensiero che riflette sul singolo e sulla sua
essenziale natura; se al centro della riflessione etica, in
Occidente, ci fosse sempre stato l’individuo con la sua
interiore legge morale, responsabile individualmente di fronte
all’Alto, allora l’interpretazione crociana potrebbe andare bene, ma il fatto è che la nostra tradizione contempla anche un
altro punto di vista in fatto di eticità, di morale: una
concezione che non mette al primo posto la coscienza
individuale in quanto tale, il singolo come centro di valore
morale. Esiste un altro universo di valori, antico e
rispettabile, consacrato dalla storia come uno dei momenti
8 Cfr. B. Croce, “Machiavelli e Vico”, in Etica e Politica, Bari 1931, p. 251.
30
DAVID MARINI
più significativi del pensiero occidentale. Questo universo di
valori è quello che si rivolge all’uomo nella sua dimensione
pubblica; nel suo essere parte di una comunità, e nel suo esserlo non incidentalmente, cioè in maniera contingente, ma
necessaria. L’etica di cui si sta parlando è quella classica,
platonica o aristotelica che dir si voglia. Gli uomini, secondo
questa concezione etica, vivono in società perché sono
essenzialmente e strutturalmente animali politici, è quindi la
loro intrinseca natura sociale, politica, che li fa stare riuniti in
comunità. Questa comunità è lo scopo principale, essenziale,
in base a cui si devono uniformare tutte le altre esigenze
umane. Ciò implica che la politica, come sottolinea Berlin,
intesa come arte del vivere in società, nella polis, non viene
intesa come un qualcosa di strumentale, bensì come quella
sfera in cui si realizza compiutamente l’essenza umana. Le
richieste della vita sociale e della comunità non possono
essere ignorate se l’uomo desidera portare a compimento le
proprie potenzialità naturali9. Secondo Berlin, il segretario
fiorentino si richiama a questa etica di tipo aristotelico, che
egli considera, nella sua validità, come autoevidente, solo che
si osservi cosa l’uomo sia da sempre stato nella storia, come
abbiamo già detto. Quindi, in contrasto con la teoria di un
Machiavelli umanista angosciato che, di fronte alla triste
necessità delle cose, fonda la filosofia politica e la separa
dalla dimensione morale, Berlin afferma che
se, in compenso, Aristotele e Machiavelli hanno ben descritto ciò
che sono gli uomini [...], l’attività politica fa parte integrante della
loro natura. Può capitare che qua o là, alcuni individui scelgano di
sottrarlesi; ma la grande massa dell’umanità non può fare la stessa
cosa. La vita collettiva determina il dovere morale di ciascuno dei
suoi membri. Ne segue che, quando soppesa il pro e il contro delle
‘leggi della politica’ e delle nozioni di ‘bene e male’, Machiavelli
9 Per un approfondimento delle tesi di Croce al riguardo si rimanda alla
Appendice posta alla fine di questo contributo.
MACHIAVELLI CONTROCORRENTE
31
non oppone l’uno all’altro due domini ‘autonomi’ dell’azione
umana, quello della ‘politica’ e quello della ‘morale’. Egli oppone
la sua propria morale ‘politica’ a un’altra concezione [morale], alla
quale si ispirano, per dirigere la loro vita, persone alle quali
Machiavelli non si interessa per nulla. Rifiuta sì una morale (la
morale cristiana), ma non per rimpiazzarla con qualche cosa che
non meriterebbe più il nome di morale, qualche cosa che
diverrebbe un semplice gioco d’astuzia, un tipo di azione che si
qualificherebbe come politica, e che, non interessandosi dei fini ultimi dell’uomo, perderebbe, per ciò stesso, ogni carattere etico.
(Originality, 54. Corsivo nostro).
Una linea di condotta è quindi eticamente valida se si
uniforma al tipo di esistenza che gli antichi giudicavano
come il più opportuno per l’uomo (mai concepito nella sua
dimensione personale), cioè quello politico. Questo modo di
concepire l’esistenza non mette al centro della riflessione
pratica la coscienza individuale, o l’anima dell’uomo che
deve condurre una vita di rinuncia sulla terra, perché suo sarà
il regno dei cieli, come si è già detto. Ciò che è al centro della
Weltanschauung etica pagana è l’uomo nella sua condizione
di cittadino (si ricordi il ciceroniano se pro cive gerere), una
condizione essenziale per il pensiero antico. Berlin sostiene
che
L’ultimo capitolo de Il Principe, [...], può difficilmente essere
considerato come l’opera di un osservatore distaccato e
moralmente neutro, o di un uomo immerso in sé stesso,
preoccupato per le sue difficoltà interiori, e che vede con
‘angoscia’ la vita della città divenire il cimitero della morale.
L’etica di Machiavelli, come quella di Aristotele e di Cicerone, è
un’etica sociale, e non individuale. Ma è un’etica allo stesso titolo
della loro, e non un regno dell’amoralità, al di là del bene e del
male. (Originality, 55-6)
Machiavelli allora non rifiuta la morale cristiana, preferendo
un qualcosa che non possa essere definito “morale”. Il
significato di tutto ciò che si è venuto fin qui dicendo a
32
DAVID MARINI
questo punto risulta abbastanza chiaro. Ci sono due universi
separati, quello cristiano, informato da una morale personale,
privata e quello pagano, dell’organizzazione collettiva,
sociale, pubblica. Questi due mondi sono retti da due
differenti codici etici, due sistemi di valori che si fronteggiano e che rendono inevitabile la scelta. Una scelta che, in
qualunque senso vada, implica la rinuncia a ciò che non si
sceglie, proprio perché le due visioni del mondo sono
incompatibili, ma non si riferiscono a due domini distinti
della riflessione e dell’agire umano. Se si sceglie la virtù
cristiana, si perde la possibilità di fondare una società del tipo
di quella romana o ateniese. Se si sceglie la virtus pagana, si
perde il privilegio del perdono e la sicurezza della fede nella
vita futura. È questa possibilità di scelta, istituita dal pensiero
di Machiavelli, che Berlin considera un punto critico nella
storia delle idee occidentale. Una possibilità mai esplicitata
dal Fiorentino e di cui molto probabilmente egli non fu
nemmeno consapevole, ma che nondimeno circola in tutto il
suo pensiero. A ben riflettere, per l’epoca in cui Machiavelli
vive, è un fatto eccezionale. Se posso scegliere i valori in cui
credere, cosa ne è del cosmo, dell’armonia prestabilita?
Come si devono interpretare nozioni come “natura umana”
o “diritto naturale”; quale diventa il posto dell’uomo
nell’universo? Cosa ne è della legge morale e della struttura
metafisica che la supporta? Si noti che Berlin osserva che
“nessuno era più anti-liberale di Machiavelli, ma, paradossalmente, le sue dottrine hanno aperto la porta alla
tolleranza”10. Infatti, Machiavelli apre al pluralismo (o, più
precisamente, ad un dualismo foriero di una visione
pluralistica), ma fa ciò inconsapevolmente, tanto che egli
stesso rimase monista, anche se monista non cristiano, ma
pagano. Infatti Machiavelli non trasse conseguenze liberali
10 Cfr. R. Jahanbegloo, Isaiah Berlin en toutes libertés. Entretiens avec
Isaiah Berlin, Paris 1991, p. 96.
MACHIAVELLI CONTROCORRENTE
33
dal suo pluralismo semplicemente perché non era un
pluralista, e non rivendicò alcun pluralismo dei valori.
Comunque,
La tolleranza è storicamente il prodotto della presa di coscienza
della inconciliabilità di fedi ugualmente dogmatiche, e
dell’improbabilità pratica della completa vittoria di una sull’altra.
Coloro che desideravano sopravvivere compresero che dovevano
tollerare l’errore. Essi cominciarono gradualmente a vedere dei
meriti nella diversità, e così divennero scettici circa soluzioni
definitive negli affari umani (Originality, 78).
Con Machiavelli, dunque, la concezione monista occidentale,
secondo cui è possibile dare una risposta definitiva, “almeno
in linea di principio”, agli interrogativi su quale sia la vita
giusta per l’essere umano, quella che ne realizzi in pieno la
specifica ed essenziale natura, viene ad essere destituita della
sua valenza assoluta. Se ci sono due strade che l’uomo può
percorrere, al fine di realizzarsi, entrambe ragionevoli, ma
reciprocamente confliggenti, ed essendo questo conflitto non
risolvibile, allora la possibilità di trovare una risposta
oggettiva a questioni di filosofia pratica diviene infondata, ed
è proprio questa infondatezza ad aver gettato nello sconcerto
gli interpreti del Principe. In altre parole, il Machiavelli di
Berlin è colui che mette in dubbio l’intera tradizione di
pensiero occidentale, in ciò che in essa vi è di più fondante,
di più essenziale. Infatti, nonostante le differenze fra i diversi
pensatori europei, ciò che ne ha accomunato la riflessione, fin
dalle origini greche del pensiero, è una sorta di comune
denominatore, cioè la certezza di vivere in un mondo
ordinato secondo leggi metafisiche univoche, le quali
costituiscono la traccia “naturale” all’interno della quale si
svolge ogni accadimento mondano. Questo comune
denominatore è individuato dalla tradizionale metafisica
razionalistica occidentale, la quale postula, in generale, e
34
DAVID MARINI
semplificando forse all’eccesso, che al centro dell’universo,
come suo nucleo irradiante, vi sia un principio razionale, che
tutto ordina e governa, informando di sé il cosmo. Non a caso
“cosmo” significa ordine, il che rimanda all’idea di un
universo definito, nel suo modo di essere, da norme che ne
regolano la vita. La Weltanschauung razionalistica, sia che,
di volta in volta, venga interpretata secondo un modello
religioso o ateo, sia che operi all’interno di una visione del
mondo trascendentale o naturalistica, oppure scientifica o
metafisica, (come fa notare Berlin, cercando di richiamare
alla mente le opposte tradizioni filosofiche che si sono
contese il possesso della verità, lungo il corso della storia
ideale occidentale: infatti il postulato monista-razionalistico
mette d’accordo gli avversari, talmente è stato ed è radicato
nel modo occidentale di concepire l’esistenza), ha sempre alla
base l’idea che, se il principio è “razionale”, e se la “ragione”
è la medesima in tutti gli uomini, allora esiste una ed una sola
verità, uno standard oggettivo di bene, si direbbe. Ciò si
traduce nella concezione di un mondo metafisicamente
sicuro, al riparo dalla tragedia, però irrigidito in una struttura
ontologica che non lascia molto spazio alla libertà di scelta:
in fin dei conti, che scopo avrebbe scegliere, se la verità è
unica, quello di andare verso una sicura disfatta?
Se, quando ci si domanda quali siano gli scopi dell’esistenza, si
pone una vera questione, allora deve essere possibile dare a questa
questione una risposta giusta. Se si pretende di regolare la condotta
degli uomini in maniera razionale, significa che si ritiene che
questo problema possa ricevere, in linea di principio, soluzioni
esatte e definitive.
Quando si esaminavano le soluzioni possibili, prima di
Machiavelli, generalmente si ammetteva che una società perfetta
fosse concepibile, almeno a grandi linee; altrimenti, in nome di
quale criterio si sarebbero potute condannare le istituzioni esistenti
come imperfette? Senza dubbio, l’ideale non era realizzabile in
questo mondo. Gli uomini erano troppo ignoranti, troppo deboli, o
MACHIAVELLI CONTROCORRENTE
35
troppo corrotti per ciò. O meglio ancora, si invocava (fu il caso di
pensatori materialisti, nel corso dei secoli che seguirono
l’apparizione de Il Principe) la mancanza di mezzi tecnici: nessuno
aveva ancora scoperto un metodo per superare gli ostacoli materiali
che ci separavano dall’età dell’oro. Si diceva che la nostra
tecnologia, il nostro grado di istruzione, la nostra educazione, la
nostra morale erano insufficienti. Ma nessuno ancora aveva detto
che fosse la nozione stessa di società perfetta ad essere incoerente.(Originality, 68. Corsivo nostro).
Berlin sostiene invece che se si deve prestare fede alla
visione del mondo che l’opera di Machiavelli esprime allora
il tentativo di costruire una società perfetta è erroneo non solo
praticamente, ma prima ancora teoreticamente. In altri
termini, non ci è possibile edificare un tipo di città esemplare,
che sia retta da una assoluta armonia, non perché siamo esseri
finiti e fallibili, inficiati fin dalla nascita dal peccato
originale; oppure perché, essendo la nostra conoscenza
limitata, non siamo in possesso delle tecniche e degli
strumenti che ci permetterebbero di dar luogo ad una realtà
politica perfettamente regolata. Non possiamo fondare una
comunità priva di contrasto, e quindi ad immagine e somiglianza della civitas Dei, perché ciò è inattuabile “in linea di
principio”. Infatti, se esistono “almeno” due insiemi di valori
(i quali esprimono due differenti insiemi di fini che l’uomo si
prefigge nella propria vita, e quindi due differenti maniere di
concepire l’esistenza), che siano fra loro reciprocamente
incompatibili ed incommensurabili, entrambi facenti parte
della natura intrinseca dell’uomo, allora è proprio in linea di
principio, a livello logico, che l’idea stessa di società perfetta
è irrealizzabile.
L’universo morale pagano e quello cristiano rappresentano
l’impossibile armoniosa convivenza, a livello teorico e
pratico, di due divergenti modi di concepire l’universo. Ma
questo è il mondo in cui l’uomo è destinato a vivere, un
mondo eterogeneo in cui niente assicura, o perlomeno fa
36
DAVID MARINI
presupporre, che ci sia un’armonia stabilita a priori, o
possibilmente conquistabile attraverso la conoscenza, ad
esempio, in cui tutto ciò che è portatore del senso sia armonicamente regolato: non c’è una ragione che tutto ordina
ed a tutto provvede, affinché non vi siano contrasti o perdite.
Il segretario fiorentino è il fautore dell’urto fra due
concezioni, pagana e cristiana, urto che i suoi esegeti e lettori
hanno recepito, sembra voler dire Berlin, in tutta la sua
portata solo a livello inconscio. Conseguentemente, di fronte
all’acuto malessere provocato da questo scontro, a livello
cosciente si è dato luogo ad una proliberazione di
interpretazioni volta ad esorcizzare ciò che dall’opera
machiavelliana si evinceva, cioè che la sicurezza metafisica,
propria dell’uomo occidentale, di vivere all’interno di un
cosmo in cui tutte le cose buone non possono essere in
contrasto fra di loro, è in realtà una concezione falsa.
APPENDICE
Croce e Machiavelli
L’interpretazione crociana di Machiavelli merita di essere
approfondita prima di tutto perché è quella che maggiormente
ha influenzato gli studiosi del Principe e dei Discorsi, ma
anche perché ci sembra che il Berlin la tratti in maniera forse
troppo semplicistica. Il pensiero crociano non può essere
ridotto alla constatazione che il Machiavelli ha distinto la
sfera della politica da quella della morale. Per Croce la
“questione del Machiavelli” va affrontata con “logica
speculativa”, che è il modo proprio di procedere
dell’indagine genuinamente filosofica. Vi sono concetti
empirici per i quali è sufficiente una indagine empirica, la
quale si svolge secondo una logica empirica appunto, o
classificatoria. Ma nel campo filosofico si procede in maniera
diversa. Croce asserisce che i concetti filosofici sono sempre
congiunti al loro contrario (egli li definisce come “concetti di
valore spirituale”, come ad esempio il “bene” che è
dialetticamente congiunto al “male”, o l'”utile” al “dannoso”,
o il “vero” al “falso”), mentre i concetti empirici non hanno
questa peculiarità. Infatti, il concetto di “cavallo o altro
concetto zoologico non ha di fronte l'anti-cavallo, col quale,
per essere sé stesso, continuamente combatterebbe” 11. Croce
prosegue osservando che
in effetto, il carattere che si è rilevato dei concetti di valore
spirituale, che ciascuno di essi è legato al suo contrario, porta di
conseguenza che una logica che sia della stasi, come è proprio
della logica classificatoria, non ha nerbo filosofico e non serve
11 Cfr. B. Croce, “La questione del Machiavelli “, in Indagini su Hegel e
schiarimenti filosofici, Bari 1952, p. 165. Il corsivo è nostro.
DAVID MARINI
38
all’uopo, perché quella comprensione dei contrarî vuole una
trattazione filosofica della contrarietà, dello svolgimento o
‘dialettica’, come si usa denominarla. Politica e morale sono
insieme distinte e unite; distinte, perché la politica è solo parte di
quella attività che conviene intendere nel suo intero e considerare
forma necessaria tra le altre necessarie forme spirituali, la ‘vitalità’
o ‘economicità’, la quale tesse la vita individuale, e la moralità
intende invece a volgerla ai fini della vita universale: con che le
due formule sono tra loro legate e nella loro distinzione unite12.
Secondo Croce il centro della questione machiavellica sta nel
comprendere che il morale ed il politico non sono due ambiti
meramente disgiunti, che possano essere mantenuti tali, come
avviene quando, ad esempio, si tengono separati e
differenziati un cavallo da un cane, o un cerchio da un
quadrato, ma hanno fra di loro un rapporto dialettico ed
antinomico. “Il Machiavelli, dunque, non sacrificò la morale
alla politica, ma dell'una e dell'altra ammise l'autonomia, e
quello che in lui manca è l'esigenza di mediare le due
autonomie, che non si potevano lasciare l'una accanto
all'altra, l'una come una realtà da accettare, l'altra come un
desiderio insoddisfatto ma fondamentale e inestinguibile
quale fremeva nel suo petto e si manifesta in molte sue
ardenti espressioni”13. Croce prosegue affermando che,
comunque, questa mancata mediazione non può essere
considerata un errore del Machiavelli, perché egli non si pose
il problema del rapporto fra le due differenti sfere; e tuttavia
si rese chiaramente conto della loro autonomia e,
contemporaneamente, del loro legame dialettico, che è quello
proprio di tutti i concetti filosofici, che continuamente sono
destinati a “combattere” con i loro contrari; senza dei quali
però essi non avrebbero la loro realtà, giacché essi traggono
sostanza proprio dallo scontro con il loro opposto. La
12 Ivi, p. 171-72.
13 Ivi, p. 170.
MACHIAVELLI CONTROCORRENTE
39
questione del rapporto fra morale e politica non è la questione
del Machiavelli, ma sul Machiavelli, come ben sottolinea
Croce. Una questione che, probabilmente, non avrà mai una
fine.
Come che sia, avendo la verità della dottrina del Machiavelli sulla
autonomia della politica la sua dimostrazione nella difficile logica
filosofica, e perciò incontrando le facili obbiezioni della logica
empirica e classificatoria, e, d'altra parte, l'error suo, attribuito a
perversione morale, trovando la sua spiegazione e la sua scusa nel
causalismo storico, la cui critica e sostituzione è, di certo,
filosoficamente difficile, ne viene di conseguenza che
probabilmente la questione del Machiavelli resterà una di quelle
che non si chiuderanno mai e non passeranno agli archivî,
diversamente dalle altre le cui conclusioni sono ormai a un
dipresso pacifiche. Il che par che riceva conferma dalla quantità e
dalla qualità dei libri che si continuano a pubblicare
sull'argomento14.
Croce ritiene che la giustificazione machiavelliana delle
azioni malvagie derivi dal fatto che lo statista fiorentino
accetta il determinismo storico e, quindi, sulla base di tale
accettazione, che sia superfluo condannare ciò che non
poteva essere altrimenti.
Anche qui navighiamo nelle acque della filosofia: quella sicurezza
[della giustificazione di atti efferati, come l'uccisione di Remo da
parte di Romolo] veniva al Machiavelli da una concezione
filosofica, che egli accettava come tanti antichi e tanti
contemporanei suoi e contemporanei nostri: dal determinismo o
causalismo, che reggerebbe la storia. E se i fatti storici sono una
catena di cause ed effetti, ogni anello della catena è necessario
all'avvenimento, né si può sopprimerlo se non sopprimendo
l'avvenimento. Qui la logica non fa una grinza; nessun anello è
14 Ivi, p. 175-76. Il corsivo è nostro.
DAVID MARINI
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lecito togliere, nessuno dichiarare non necessario o non operativo,
o meno operativo degli altri tutti: tutti coniurant amice15.
Secondo Croce invece, non bisogna assolutamente tener
conto della pregiudiziale deterministica nella storia, poiché
essa non è vera; “[…] la storia è storia di libertà, una sequela
di atti creativi, varî di valore e di efficacia, e l'efficacia degli
errori, delle colpe e dei delitti è nella loro negatività, nel
provocare l'orrore, il castigo, la correzione, la condanna,
l'espiazione, e non già nel lavoro costruttivo” 16. In definitiva,
per Croce, Machiavelli avrebbe avuto bisogno di una
migliore teoria storica che gli avesse mostrato
che la storia non dava e non poteva dare quella attestazione e
conferma [di ciò che è moralmente iniquo], [se ciò fosse accaduto,]
certo l'animo suo, che era 'acceso d'uno immenso desiderio di
seguire i tempi buoni', avrebbe meglio interpretato la dolorosa
forzata imitazione che i tempi cattivi, in cui viveva, costringevano
a fare, per difesa, dei procedimenti dei tempi cattivi17.
Naturalmente qui dovrebbe essere affrontato direttamente il
pensiero etico e politico crociano, le istanze liberali del quale
impongono di tener ferma l’autonomia della politica
dall'etica, ma anche, e forse soprattutto, dell'etica dalla
politica, al fine di non incorrere nell'errore hegeliano e,
quindi, totalitario, della fede in uno stato etico, sulla base del
quale sia possibile giustificare ogni efferatezza ed ogni
deviazione dai dettami della coscienza morale. Gli atti iniqui,
le malvagità, per Croce, non possono “essere benefici o
condizioni di bene nella storia. Sul qual punto è richiesta la
più netta e rigorosa intransigenza, perché mai e poi mai si
dovrà consentire che la morale conceda di fare quel che la
15 Ivi, p. 174.
16 Ibidem
17 Ivi, p. 175.
MACHIAVELLI CONTROCORRENTE
41
coscienza, cioè essa stessa, dichiara che non è da fare a niun
patto” 18.
18 Ivi, p. 172. Per un più approfondito “schiarimento” sul pensiero politico ed
etico di Benedetto Croce, si veda M. Maggi, “La sintesi volitiva”, in La filosofia
di Benedetto Croce, Firenze 1989.
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