- 61 BIBLIOTHECA PHOENIX David Marini Isaiah Berlin e il suo ‘inconsapevole’ Machiavelli controcorrente Tentativo di isolare filosoficamente il nucleo centrale del Principe BIBLIOTHECA PHOENIX by CARLA ROSSI ACADEMY PRESS www.cra.phoenixfound.it CRA - INITS MMVIII © Copyright by Carla Rossi Academy Press Carla Rossi Academy – International Institute of Italian Studies Monsummano Terme – Pistoia Tuscany - Italy www.cra.phoenixfound.it All Rights Reserved Printed in Italy MMVIII ISBN 978-88-6065-042-9 «Esemplare fuori commercio per il deposito legale agli effetti della legge 15 aprile 2004, n. 106» The utilization of texts, section of texts or pictures is protected by the copyright law. You can use the publications of this web site only for private study. Please read these notes carefully before consulting the present web site. In case you do not agree with the actual use conventions, please leave the web site immediately. David Marini Isaiah Berlin e il suo ‘inconsapevole’ Machiavelli controcorrente Tentativo di isolare filosoficamente il nucleo centrale del Principe Scopo di questo contributo è “riparlare” di un testo di Isaiah Berlin verso cui la critica italiana, a suo tempo, si è dimostrata piuttosto fredda, se non disinteressata. Si tratta di un saggio scritto nel 1969 per le celebrazioni del quinto centenario della nascita di Niccolò Machiavelli. Il testo fu incluso nel volume Studies on Machiavelli1, ma non vi è notizia in quel volume di nessuna discussione stimolata dallo scritto di Berlin. The Originality of Machiavelli, questo il titolo del saggio, affronta la questione del Machiavelli “in universali”, da un punto di vista generale, cercando di fornire una visione complessiva del pensiero del Segretario fiorentino, senza perdersi nei “particulari”. Insomma, il Berlin aveva voluto affrontare “il problema Machiavelli” da una prospettiva schiettamente filosofica, di storia delle idee, inserendolo nel più ampio corso delle vicende del pensiero occidentale, ma le sue preziose riflessioni non sollevarono alcun interesse. Qualche tempo dopo Gennaro Sasso si 1 *Studies on Machiavelli, a cura di M. P. Gilmore, Firenze 1970. 8 DAVID MARINI occupò brevemente (e superficialmente) di questo scritto, ma solo per bollarlo come erroneo. A tale riguardo scrisse che Se Croce non vide che non può parlarsi di “autonomia” ove il nesso o il rapporto delle “autonomie” venga, in actu exercito, ridotto alla permanenza di un solo termine, - ben più grave è l’equivoco in cui Berlin si è lasciato prendere. Egli non ha visto che la struttura classica, pagana o “precristiana”, che dovrebbe risolvere dentro di sé, o, addirittura, non far sorgere, il contrasto fra i valori della polis e gli strumenti della loro realizzazione, è, in realtà, nei testi di Machiavelli, essa stessa conflittuale; e contro l’evidenza si è ingegnato a negare che, in quelli, ci sia ombra di conflitto. In realtà, come i testi di Machiavelli dimostrano a chiunque li legga senza pregiudizio, quel contrasto esiste, dissimulato, il più delle volte, ma pur tenace e profondo; e i suoi termini costitutivi sono, da un lato, la decadenza dell’etica a “inattualità” e sentimento, da un altro, l’assunzione della politica a orizzonte esclusivo e totale della vita e dell’esistenza2. Per riassumere e tentare di schematizzare i termini della questione, secondo Sasso Machiavelli è il teorico dell’”unicità” della politica, di contro ad un Croce che sostenne l’”autonomia” della politica rispetto alla morale. Per Berlin le cose stanno in maniera diversa, ma non perché il Machiavelli si sia interessato, più o meno coscientemente, al problema della reciproca dipendenza o indipendenza di etica e politica, ma perché ciò che si evince da un testo così tanto discusso come il Principe è, al di là di qualsiasi distinzione, una visione del mondo “controcorrente” rispetto alla tradizione di pensiero occidentale. Tradizione inveterata che va dal pensiero greco fino a Machiavelli, e che continua, anche dopo di esso, ad essere pur sempre la colonna portante su cui poggia e poggerà pressoché tutta la tradizione occidentale, almeno fino alla rivoluzione romantica. In altre parole, per Berlin, le pagine di Machiavelli parlano di due 2 Cfr. G. Sasso, Niccolò Machiavelli, Bologna 1980, p. 437. MACHIAVELLI CONTROCORRENTE 9 morali in contrasto, di due mondi in conflitto, fra loro incommensurabili. Di Benedetto Croce avremo modo di parlare nel prosieguo del nostro contributo in maniera più diffusa e comunque rimandiamo alla Appendice “crociana” posta al termine di queste pagine. Mentre per quanto riguarda la tesi sostenuta da Isaiah Berlin, lo stesso Sasso che la ha criticata comprese almeno che non si può scindere questa interpretazione dal contesto più ampio in cui essa si inserisce, quello degli interessi filosofici di Berlin, della sua visione del mondo. “Il Berlin è un pensatore — i tedeschi direbbero un Geschichtsphiloph — complesso, ricco e vario di interessi. E per capire bene il senso del suo saggio su The Originality of Machiavelli occorrerebbe, senza dubbio, seguire la regola del buon metodo storico, che consiste nel ponere totum” 3. Passando, quindi, ad analizzare direttamente e schiettamente il pensiero di Berlin, non si può non rilevare che il suo primo e più grande interesse è sempre stato quello di rintracciare e portare alla luce della coscienza i presupposti filosofici della tradizione di pensiero occidentale, quelle componenti ideali che, pur con molte differenze da un’epoca all’altra e da un pensatore all’altro, hanno costituito (e costituiscono) la Weltanschauung comune dell’occidente. Parallelamente a questa ricerca delle e sulle radici4 della 3 Ivi, p. 433. In ogni caso Sasso analizza e liquida alquanto superficialmente l’interpretazione di Berlin. (Cfr. le pp. 433-38 del suo Niccolò Machiavelli). 4 “Le radici” (ovvero la “corrente” principale che di si voglia) della visione del mondo occidentale sono, a detta del Nostro, “moniste”. Monista, secondo Berlin, è qualunque visione del mondo che concepisca l’esistenza come regolata da un insieme di norme assolute, passibili di essere desunte dalla struttura metafisica della realtà. Per i pensatori monisti esiste un ordine cosmico secondo il quale è possibile dare una ed una sola risposta a qualsiasi domanda genuina venga posta, almeno in linea di principio. Anche se poi, di fatto, gli uomini possono versare in condizioni tali di arretramento, o possono essere fallibili a tal punto, che risulta loro impossibile, in concreto, trovare questa risposta. Se un sistema di pensiero, se le credenze di un singolo o di un gruppo, in ultima istanza, forniscono, o ritengono che si possa fornire, una risposta inequivocabile, almeno 10 DAVID MARINI tradizione teoretica e pratica occidentale, per contrasto troviamo da parte di Berlin uno spiccato interesse per tutti quei filosofi che non si muovono all’interno di questa corrente dominante, per quegli spiriti che, in un modo o in un altro, anche se inconsapevolmente, sono stati i precursori della rivoluzione romantica e quindi di una Weltanschauung non più monista, ma soggettivista, relativista o pluralista. Fra questi pensatori Berlin colloca Niccolò Machiavelli che, soprattutto nel Principe, ma non solo, presenta due mondi distinti in contrasto, quello cristiano e quello pagano, senza però trovare una mediazione tra i due. A questo proposito Berlin scrive: In una certa fase delle mie letture mi imbattei, inevitabilmente, nelle principali opere di Machiavelli. Mi fecero un’impressione profonda, durevole, e scossero la mia vecchia fede. Da esse ricavai non già gli insegnamenti più ovvi — quelli sul modo di conquistare e conservare il potere politico [...] — ma qualcosa di diverso. Machiavelli non era uno storicista: pensava che fosse possibile restaurare qualcosa che somigliasse alla Roma repubblicana o della prima fase dell’impero. Credeva che per questo occorresse una classe dirigente di uomini coraggiosi, capaci intelligenti, dotati, che sapessero cogliere le occasioni e sfruttarle, e cittadini che fossero sufficientemente protetti, patriottici, e sinceramente orgogliosi del loro stato, incarnazioni delle principali virtù pagane. [...] Ma a fianco di queste Machiavelli pone la nozione di virtù cristiane — umiltà, accettazione delle sofferenze, rinuncia alle cose terrene, in linea di principio, alla domanda “Come devono vivere gli uomini?”. Se si ritiene che questa questione sia passibile di una “soluzione finale”, allora si è “monisti”. La suddetta “soluzione finale” viene fornita direttamente in base a quella che è ritenuta essere la specifica ed essenziale “natura delle cose”. Tale natura è quello che è ontologicamente, probabilmente ab aeterno, al di là di differenze accessorie ed accidentali. Quindi il monismo è, per Berlin, il dominio della inalterabilità, della necessità e dell’intolleranza verso qualsiasi forma di varietà e di diversità. Infatti, a che pro la diversità e la varietà dei progetti di vita, se la verità è una, mentre solo l’errore ed il vizio sono molteplici? A che pro la scelta, se non c’è una molteplicità di alternative valide? Avremo modo di tornare più volte su questo stesso argomento nel prosieguo del nostro contributo. MACHIAVELLI CONTROCORRENTE 11 speranza di salvazione in un’altra vita — e osserva che queste qualità non aiutano certo l’avvento di uno stato di tipo romano, [...]: chi si attiene ai precetti della morale cristiana è destinato infatti a essere travolto dalla corsa sfrenata di coloro che ambiscono al potere e che possono, essi soli, ricreare e dominare la repubblica da lui voluta. Egli non condanna le virtù cristiane: si limita a osservare che le due morali sono incompatibili, e non riconosce un criterio preminente che ci aiuti a stabilire quale sia la vita giusta per gli uomini. Per lui la combinazione di ‘virtù’ e valori cristiani è qualcosa d’impossibile. Machiavelli lascia semplicemente la scelta a noi; ma sa dove vanno le sue preferenze. Tutto questo istillò in me un’idea che mi provocò quasi uno shock: l’idea che non tutti i valori supremi perseguiti dall’umanità, ora e in passato, fossero necessariamente compatibili tra loro. Questa consapevolezza veniva a minare la mia precedente convinzione, basata sulla philosophia prennis, che non potesse esservi conflitto tra fini veri, tra risposte vere ai problemi centrali della vita5. È quindi l’incontro con il pensiero di Machiavelli che ha portato Berlin a riflettere sulle questioni che sono divenute in seguito i temi centrali delle sue ricerche storico-filosofiche. Questioni del tipo se esista una natura umana chiaramente identificabile; se esistano mete proprie di ogni uomo in quanto tale; se queste mete siano tutte compatibili fra loro, tutte ordinabili serialmente, cioè se sia possibile costruire una scala di valori e se questa scala corrisponda alla struttura metafisica della realtà; se sia possibile sapere, con un certo margine di sicurezza, come l’uomo deve vivere. Nel saggio The Originality of Machiavelli6 lo statista fiorentino è descritto come l’anticipatore inconsapevole di un modo di 5 Cfr. “Sulla ricerca dell’ideale”, in *La dimensione etica nelle società contemporanee, Torino 1990, pp. 8-11. 6 I. Berlin, “The Originality of Machiavelli”, in Against the Current. Essays in the History of Ideas, a cura di H. Hardy, Londra 1979. La traduzione italiana di ogni citazione da questo scritto inglese è nostra. Per tutti i riferimenti a The Originality of Machiavelli si userà semplicemente, fra parentesi al termine di ogni citazione, “Originality” seguito dal numero della pagina, rimandando alla bibliografia essenziale per ulteriori informazioni. 12 DAVID MARINI concepire l’esistenza pluralistico, di contro alla imperante tradizione monista occidentale. Berlin si domanda se non ci sia un motivo profondo dietro al disaccordo che da sempre caratterizza le interpretazioni di Machiavelli che di volta in volta si sono succedute nella storia. Un fenomeno di questo tipo è più facile da comprendere nel caso di altri pensatori, gli scritti dei quali non hanno cessato di rendere perplessi gli uomini o di eccitare le loro passioni: Platone, per esempio, o Rousseau, o Hegel, o Marx. Ma si potrebbe dire che noi non siamo sicuri di comprendere il mondo di Platone, né la sua lingua; che Rousseau, Hegel, Marx erano dei teorici prolifici, le opere dei quali non sono certo dei modelli di chiarezza o di coerenza. Il Principe, al contrario, è un piccolo libro; tutti sono d’accordo sulle qualità dello stile, trasparente, conciso, pungente, perfetto esempio di prosa limpida della Rinascenza. Anche i Discorsi non sono di una lunghezza eccessiva, per dei trattati politici, e sono, anche essi, chiari e inequivocabili. Tuttavia non si arriva a mettersi d’accordo sul significato di nessuna di queste opere; non hanno trovato posto nella teoria politica tradizionale; continuano a sollevare le passioni. (Originality, pp. 25-6) Perché la questione del Machiavelli è così controversa? Apparentemente i suoi scritti non sono di difficile accezione e Il Principe in particolar modo è un’opera breve, scorrevole e facilmente analizzabile, rispetto alle opere di autori ben più oscuri dello statista fiorentino. Non è possibile che tutto il clamore che hanno suscitato nel corso dei secoli le opere machiavelliane sia dovuto solo o soprattutto al fatto che in esse si affrontano temi politici con crudo, e spesso perfino brutale, realismo. Spesso, quando i malvagi prosperano, una politica immorale si rivela soddisfacente: sono delle verità che la coscienza umana non ha mai perso di vista. La Bibbia, Erodoto, Tucidide, Platone, Aristotele (per non citare che qualche opera fondamentale della civiltà occidentale), i personaggi di Giacobbe, Giosué o David, i consigli di Samuele a Saul, il dialogo dei Milesi con gli Ateniesi in MACHIAVELLI CONTROCORRENTE 13 Tucidide, [...] la filosofia di Trasimaco e quella di Callicle, i consigli di Aristotele ai tiranni nella Politica, i discorsi di Carneade davanti al senato romano, come li riporta Cicerone, le idee di Agostino sullo stato secolare, esaminate da un certo punto di vista, quelle di Marsilio da Padova sullo stesso soggetto, analizzate da un altro punto di vista, tutte queste testimonianze sulle realtà politiche sono sufficientemente crude per scuotere l’idealismo tranquillo dei più creduli. (Originality, p. 26) Quindi non è il cinismo politico e la crudezza dei consigli che Machiavelli dispensa ai governanti, ciò che ha turbato e che continua a sconcertare gli studiosi, sebbene lo statista fiorentino sia stato di una durezza e di una chiarezza esemplari. Bisogna allora cercare da qualche altra parte i motivi che fanno della questione del Machiavelli un punto oscuro ed irrisolto della riflessione occidentale. Può darsi che la grande divergenza fra i commentatori sia in relazione stretta con l’orrore suscitato dalle opere machiavelliane. Questa è una prima ipotesi, di carattere psicologico, che Berlin suggerisce. Il messaggio del Principe sarebbe talmente sconcertante (dissolutore di ogni, fino a quel momento, radicata certezza metafisica) da gettarci in uno stato di disorientamento ontologico; da impedirci di guardare dritta in faccia la verità che esso ci rivela. Di qui la grande proliferazione di tesi, talvolta in netto contrasto l’una con l’altra, su quale sia veramente l’essenza del pensiero e delle riflessioni machiavelliane. In altre parole, Berlin azzarda l’idea che gli studiosi, probabilmente condizionati da una Weltanschauung inveterata non siano stati capaci di comprendere che cosa del pensiero di Machiavelli crei un così profondo turbamento. Berlin non formula chiaramente tale ipotesi, ma è questo il tono fondamentale di tutto il suo The Originality of Machiavelli. Fra le varie interpretazioni c’è chi ha visto nel Principe un’opera anticristiana, un’apologia della vita pagana, un semplice “specchio dei principi”, genere letterario abbastanza 14 DAVID MARINI comune nella Rinascenza. Si è visto nell’operetta del Machiavelli una satira, un apologo morale. Per Croce Machiavelli è “un umanista angosciato” che, di fronte alla cattiveria ed alla pochezza umane, è costretto a separare la sfera della morale da quella della politica, dove si trattano non i fini dell’uomo, ma i mezzi per fondare uno stato e renderlo sicuro. Come già detto, avremo modo di riprendere in maniera più dettagliata la tesi crociana. Si è considerato lo statista fiorentino come un patriota appassionato, oppure un tecnico freddo ed impassibile di fronte alle richieste di salute politica dello stato, che quindi non si impegna né politicamente né moralmente, ma cerca solo i mezzi più idonei per raggiungere determinati scopi. Eppure altri hanno detto che lo statista fiorentino è totalmente privo di senso storico, una sorta di esteta che cerca di dar forma alla propria opera d’arte, lo stato forte, improntato ai valori della antiqua virtus pagana. Si è visto Machiavelli, per contro, come un realista brutale, profondamente calato nella realtà storica del suo tempo. Per Bacon, ad esempio, egli è il realista supremo, che niente concede all’utopia. Meinecke, invece, fa del Segretario fiorentino, il teorico della “ragione di stato”, che ha conficcato un pugnale nel corpo politico dell’Occidente. Per alcuni è stato un grande storico in quanto ha applicato, in un’epoca ancora lontana dall’usare canoni scientifici nel modo di fare storia, un metodo per certi versi precursore addirittura della rivoluzione scientifica galileiana. Per altri invece, come storico, fu di gran lunga inferiore al Guicciardini. De Sanctis non lo considera parte integrante della tradizione umanistica a causa dell’ostilità del Machiavelli per le visioni generate dall’immaginazione (interpretazione in netto contrasto con chi invece ne fa un artista che crea la propria opera d’arte). Berlin chiude la rassegna degli esegeti machiavelliani con l’interpretazione che ne hanno dato gli elisabettiani MACHIAVELLI CONTROCORRENTE 15 [...] è un uomo ispirato dal Diavolo per condurre le persone per bene a perdersi, il grande pervertitore, colui che insegna il male, le docteur de la scélératesse, [...]. È il ‘Machiavelli assassino’ (murderous Machiavel) degli oltre quattrocento celebri riferimenti della letteratura elisabettiana. Il suo nome aggiunge un sapore nuovo al personaggio tradizionale del Maligno. (Originality, p. 35.) Così la pensano anche i Gesuiti, i cattolici in generale ed i protestanti. Si potrebbe dunque dire che Machiavelli abbia, nell’immaginario collettivo degli studiosi, un posto ben preciso, che impersoni il negativo, la distruzione di ciò che vi è di più sacro. Berlin è convinto che ci sia qualcosa di molto profondo in gioco, ben più profondo del semplice fatto di avere Machiavelli esposto delle idee contrarie alla morale cristiana. Non è sufficiente dire che Machiavelli fu più duro, più freddo, più cinico e più calcolatore di chiunque altro prima di lui per liquidarne la questione. Ciò che colpisce è il fatto che nella riflessione dello statista fiorentino è assente quella sorta di sovra-struttura concettuale comune a tutti gli uomini del suo tempo. Machiavelli non parla di diritto naturale, né del posto dell’uomo nel cosmo. Affronta la sua materia con un realismo del tutto scevro di quei presupposti concettuali che da sempre avevano avuto valore per chiunque avesse affrontato gli stessi temi, o avesse cercato le risposte ai medesimi interrogativi di capitale importanza per la vita degli uomini. Interrogativi che possono essere espressi tutti con domande del tipo: “Come devono vivere gli uomini?” “È possibile stilare una scala di valori, secondo la loro crescente importanza?” “Come si colloca l’uomo nel cosmo, e dove si colloca?” “Perché gli uomini devono ubbidire, e a chi devono ubbidienza?” Sono tutte domande che, per avere una risposta certa, non possono fare a meno di quei supporti teoricopratici forniti dalla fede in una natura rerum creata da Dio (o forse eternamente autoproducentesi), e normativa nei 16 DAVID MARINI confronti dell’uomo. Questa visione del mondo, secondo cui esiste uno standard oggettivo di bene, la Verità, una legge naturale che è regola certa e indiscutibile, storicamente ha assunto innumerevoli versioni, ma ognuna ha mantenuto fermi determinati presupposti (esistenza di una “natura umana” che persegue determinate mete specifiche che non possono essere in contrasto fra loro, perché sono il frutto della ragione cosmica e universale, una e la medesima per tutti e dappertutto) divenuti una sorta di patrimonio spirituale inalienabile dell’Occidente. “C’è dunque qualcosa di straordinario nel fatto di passare completamente sotto silenzio i concetti e le categorie (la panoplia abituale) per mezzo dei quali si esprimevano abitualmente i pensatori e gli eruditi più conosciuti del suo tempo (Originality, 36-7). A questo riguardo, Federico Chabod parla della mancanza, negli scritti del Fiorentino, e specialmente nel Principe, di affermazioni teoriche generalissime, di postulati e di premesse giustificatrici, di una disquisizione astratta insomma e dottrinariamente sistematica, che si potesse oppugnare ab initio con metodo e logica. Il Principe veniva in scena, conquistava, agiva, uccideva, senza chiedersi che cosa fosse lo stato, quale il suo scopo, e nemmeno se il potere a lui affidato derivasse da un originario contratto con il popolo: vizio apparente di pensiero ben grave in un momento in cui riprendevano d’ogni parte le discussioni teoriche, e si cercavano le basi filosofiche dello stato, tra uomini avvezzi, per il loro abito giuridico-dottrinale, a porre chiari prolegomeni teorici, a volgersi verso una sistematica esposizione7. Siamo di fronte ad una frattura fondamentale con il passato. Nel pensiero di Machiavelli è assente ogni traccia di 7 Cfr. F. Chabod, “Del Principe di Niccolò Machiavelli”, in Scritti su Machiavelli, Torino 1964, p. 125. MACHIAVELLI CONTROCORRENTE 17 psicologia e teologia cristiane, ma ciò che è ancor più indicativo è che non c’è nemmeno il riferimento ad una teologia platonica o aristotelica. Come si è già rilevato, lo statista fiorentino non fa appello a nessun tipo di ordo idearum, non si preoccupa di stabilire quale sia il posto dell’uomo nel cosmo, nella lunga catena degli esseri. Una riprova significativa di tutto ciò è l’idea di religione concepita come instrumentum regni (di cui, per altro, nel Principe è possibile riscontrare solo un paio di accenni fugaci), una maniera efficace di incrementare la coesione sociale, un “mero” mezzo per mantenere la pace all’interno di uno stato quindi. Non è necessario che un credo religioso sia vero, l’importante è che sia accettato, temuto e rispettato dagli appartenenti ad una comunità politica, e che sia portatore di valori positivi, nel senso che il suo messaggio non sia di rinuncia alle cose terrene e di ricerca ed attesa di una vita oltre la vita terrena. È per questo che la religione cristiana non si è rivelata un buon mezzo per il mantenimento della salute e della vigoria delle comunità politiche. Da nessuna parte egli [Machiavelli] postula seriamente l’esistenza di Dio, o di leggi divine; qualunque sia la convinzione intima dell’autore, un ateo può leggere Machiavelli in tutta tranquillità di spirito. Nemmeno si trova in lui rispetto per l’autorità, o i comandamenti di Dio o della morale, né interesse per il ruolo della coscienza individuale, o per qualsiasi altro soggetto metafisico o teologico. La sola libertà che riconosca è la libertà politica, che permette di sfuggire al governo arbitrario di un despota, altrimenti detto, la repubblica, e la libertà di uno stato, sul quale gli altri stati non hanno potere, o piuttosto quella della città, o patria, [in italiano nel testo] poiché il termine ‘stato’ è forse qui prematuro. (Originality, 37-8) In assenza di una cosmologia e di una metafisica normative, in cui l’uomo non ha libertà di movimento, ma persegue necessariamente gli scopi già da sempre specificamente suoi, 18 DAVID MARINI in quanto così concepiti dall’Alto, non c’è nemmeno un fine verso cui il mondo debba tendere, non una concezione del progresso, materiale o spirituale. Mancando ogni richiamo metafisico, ad uno scopo ultimo che dovrebbe portare a compimento le potenzialità del creato, è assente anche una qualsiasi filosofia della storia intesa come teodicea. “In nessun punto, il testo [machiavelliano] lascia sottintendere che il corso degli avvenimenti sia irrevocabilmente determinato in avanti. Né la fortuna, né la necessità dominano l’esistenza senza riserve. Non ci sono dei valori assoluti, l’ignoranza o il rifiuto dei quali condurrebbe inevitabilmente gli uomini a perdersi”. (Originality, 38) È l’assenza di una filosofia della storia tradizionale che dà al pensiero di Machiavelli carattere e intonazione moderni. Lo statista fiorentino si occupa dei problemi della sua società dal punto di vista politico e, come più volte si è già rilevato, il tono fondamentale delle sue riflessioni è concreto, realistico, empirico. Ma, secondo Berlin, non è questa modernità che ha affascinato i molti studiosi che si sono occupati del Segretario fiorentino. “Cosa c’era dunque di così sconvolgente nelle idee di Machiavelli?”. (Originality, 38). Per quanto riguarda la sua teoria positiva egli pensa che gli esseri umani cerchino soprattutto di conquistare la gloria, se sono esseri superiori, fondando e difendendo una società forte e rettamente governata. Un’idea che lo statista fiorentino condivideva con quegli autori romani ai quali tributava le massime lodi e che considerava come gli spiriti più illuminati della storia dell’Occidente: fra gli altri, Cicerone, Tito Livio, Varrone, Tacito, Plutarco. Gli uomini devono essere governati, poiché è necessario che ci sia un’autorità che istituisca e preservi l’ordine in una società, in cui i diversi gruppi umani hanno interessi differenti. Esistono delle tecniche di governo, cioè dei precetti, delle regole empiriche che è possibile insegnare, da parte di chi ne è a MACHIAVELLI CONTROCORRENTE 19 conoscenza, ed apprendere, da parte di chi è interessato a mantenere e far prosperare la forza e la sicurezza della propria patria. È necessario osservare la realtà politica concreta, presente e passata, se si vuol raggiungere un risultato positivo in ambito politico. Ciò perché non esiste un cammino già tracciato. Non essendo il destino dell’uomo predeterminato (abbiamo visto che Machiavelli non fa riferimento al diritto naturale o ad una qualsivoglia impalcatura concettuale metafisica), non è possibile sapere con sicurezza cosa sia giusto e cosa non lo sia. Quindi, è necessario lo studio storico del passato e della situazione presente, per formulare una qualsiasi linea di condotta politica che possa ragionevolmente condurre al successo. A dire il vero, c’è in Machiavelli l’idea di una natura umana immutabile, ciò che si può desumere anche da una lettura superficiale dei suoi testi, però l’elemento che secondo Berlin è rilevante, per comprendere la modernità di questo autore, è che questa immutabilità dell’essenza dell’uomo, (che per Machiavelli è sempre il medesimo, in ogni tempo e luogo, infatti ciò che andava bene per il cives romano va sicuramente bene anche per l’uomo del Cinquecento fiorentino), non sottostà a determinati presupposti metafisici, esplicitamente affermati, normativi e vincolanti a priori. Quello della metafisica non è certamente il piano concettuale sul quale si muove Machiavelli, non è la trascendenza che lo interessa, bensì il qui ed ora dell’uomo concreto. Machiavelli mette in guardia i suoi lettori dal considerare gli uomini in maniera idealizzata e non per quello che sono realmente, nella loro concretezza. Come riconosciamo di essere di fronte ad una versione idealizzata dell’uomo, che non ha rispondenza nella realtà? Attraverso l’osservazione empirica e lo studio della storia, cioè di quelle auctoritates classiche rappresentate dagli storici romani. Il consiglio che dà Machiavelli è di non sostituire ciò che è con ciò che dovrebbe essere, ma di 20 DAVID MARINI “andare drieto alla verità effettuale della cosa, [piuttosto] che alla imaginazione di essa” (Principe, XV 136). Solo con un approccio così realistico si può tentare di dar luogo ad un sistema di governo che eguagli quello della Roma repubblicana, esempio massimo di costituzione politica riuscita. Un “principato” è forte, e al sicuro da attacchi interni ed esterni, quando è stabile, ordinato armonicamente, retto con giustizia, consapevole della propria potenza. Chi governa deve farlo usando la forza e l’astuzia (le celeberrime virtù della “golpe” e del “lione”); deve essere capace di ingenerare nei governati sentimenti di timore e amore, ricercando un equilibrio fra di essi, e stando ben attento a non incutere troppo timore, con atti di efferata crudeltà, che siano gratuiti, in quanto il sentimento del popolo potrebbe trasformarsi in odio. D’altra parte è un pericolo anche il governare con troppo amore, con troppa permissività, poiché ciò indebolisce pericolosamente la forza dei governanti. Il consiglio di Machiavelli è di condurre uno Stato con l’odio e la crudeltà, piuttosto che lasciarlo andare verso un’inevitabile dissoluzione, dovuta alla troppa misericordia, alla troppa carità, alla troppa benevolenza, e debolezza quindi, del governo. Atene nell’epoca del suo massimo splendore, Sparta, Venezia, i regni di David e di Salomone, soprattutto Roma con la fine della monarchia e l’instaurazione della repubblica, sono i modelli politici machiavelliani, i referenti storici degni di emulazione. Ciò si spiega perché vi erano, all’interno di queste società, degli uomini che sapevano garantire la grandezza delle loro città. Come ci riuscivano? Sviluppando certe qualità nei loro concittadini: la forza morale, la magnanimità, l’energia, la vitalità, la generosità, la lealtà, e soprattutto la cura del bene pubblico, il senso civico, la dedizione alla patria, di cui bisogna garantire la sicurezza, la potenza, la gloria, l’espansione. Per sviluppare questi tratti caratteriali, gli antichi utilizzavano ogni sorta di mezzo, specialmente MACHIAVELLI CONTROCORRENTE 21 spettacoli abbaglianti e sacrifici atroci, che eccitavano i sensi e risvegliavano l’ardore guerriero, e più particolarmente leggi e una educazione che favorivano le virtù pagane. La potenza, la magnificenza, l’orgoglio, l’austerità, il desiderio di gloria, l’energia, la disciplina, l’antiqua virtus — ecco i motivi della grandezza di uno stato. (Originality, 43-4) Si badi bene che Machiavelli non dimostra le sue tesi, si limita ad affermare quelle che per lui sono verità ovvie, talmente evidenti che basta osservare la realtà e la storia per rendersene conto. Le città erano prospere ed i governi forti e capaci di assicurare il bene pubblico, quando i valori perseguiti dall’uomo non erano quelli personali e privati del singolo, tutto volto al perseguimento del proprio bene particolare. Tanto meno quando l’universo morale di riferimento dell’uomo è quello cristiano, con il suo predicare la rinuncia, l’abbandono delle cose terrene, lo spegnimento delle passioni, il perdono del nemico, si può avere una situazione politica stabile e duratura. Non sono questi gli ingredienti che possono dar luogo ad una società energica e fiorente come quelle dell’antichità. Secondo Berlin è esattamente l’accettazione di una “morale della forza”, ed il conseguente rifiuto della “morale della debolezza” cristiana, che fa del pensiero di Machiavelli una delle svolte epocali della storia occidentale. Una di quelle svolte che non lasciano niente di immutato, che vanno ad incidere sul modo stesso di vedere il mondo e la sua essenza. Machiavelli rappresenta una sorta di spartiacque grazie al quale si assiste ad un mutamento di Weltanschauung. Una trasformazione che, nell’immediato, lascia tutto apparentemente immutato, ma che a livello teoretico genera una scossa così profonda la cui onda d’urto non ha ancora cessato di produrre i suoi effetti. È fondamentale tenere presente come i consigli che Machiavelli dà al principe non hanno valore solo in partico- 22 DAVID MARINI lari frangenti storici, cioè quando la sicurezza della patria vacilla, e si è costretti, di fronte a mali estremi, ad opporre estremi rimedi. La forza, l’astuzia, la crudeltà, l’inganno, il tradimento, la messa a morte di innocenti, sono mezzi che è necessario usare come pratica ordinaria, per dei “principi” che intendano mantenere lo stato in buona salute. Gli uomini sono irragionevoli e riottosi per natura, quindi sempre in pericolo di soccombere, se non guidati da una mano sicura ed inesorabile che mantenga fermo l’obiettivo della salute pubblica. Se gli uomini sono sempre sul punto di corrompersi e di corrompere la loro società, è naturale che si debba mantenerli sulla retta via, per mezzo di misure senza alcun dubbio contrarie alla morale corrente. Ma, se sono contrarie a questa morale, in quale senso si può dire che esse siano giustificate? È attorno a questo punto cruciale che ruota tutto il pensiero di Machiavelli. Esse possono essere giustificate in un senso, e non lo possono essere se si cambia punto di vista. Noi dobbiamo distinguere questi due punti di vista, in maniera più netta di come ha fatto Machiavelli. Non essendo filosofo, non ne sentiva il bisogno, e non ha mai fatto l’inventario, né, a più forte ragione, l’esame, dei postulati sui quali riposavano le sue proprie idee. (Originality, 44) La morale corrente è ovviamente quella cristiana. Le misure che Machiavelli consiglia di adottare, se si vuol istituire e mantenere una realtà politica prosperosa e florida, sono la crudeltà, l’inganno, non il perdono, ma la distruzione dei nemici. Questi sono mezzi per conseguire un determinato scopo: la fondazione di una repubblica o di un principato forte, capace di resistere agli attacchi dei nemici e in grado di impedire il disfacimento e la dissoluzione interna della società. Una società che deve essere edificata sulla base degli stessi principi che valevano nella Roma repubblicana. La domanda che si pone Berlin è come sia possibile giustificare queste misure, chiaramente incompatibili con l’universo MACHIAVELLI CONTROCORRENTE 23 morale cristiano, accettato come valido, e quindi come fonte di ogni giustificazione in campo etico, da pressoché tutti i contemporanei dello statista fiorentino. Come è possibile giustificare una linea di condotta crudele, se l’etica cristiana impone la bontà? In che modo si possono legittimare atti efferati come l’inganno e l’assassinio al solo scopo di preservare la salute della patria, se la morale cristiana predica la rinuncia delle cose terrene, ammonisce chi è attaccato ai beni di questo mondo e annuncia un’altra vita, ben più degna di essere vissuta di questa terrestre, ricettacolo di passioni insane e di sentimenti corrotti? È su questa incompatibilità di fini, fra ciò che Machiavelli consiglia al principe e quelli che sono i dettami fondamentali del cristianesimo, che si inscrive la carica rivoluzionaria delle opere dello statista fiorentino. Questa incompatibilità fra valori ultimi non fu esplicitata da Machiavelli che, non essendo filosofo, non ha sottoposto le sue riflessioni ad una attenta analisi epistemologica che sola avrebbe potuto farlo riflettere sulla sua “scoperta”. Berlin fa rilevare che, dal punto di vista di Machiavelli, i fini da questi raccomandati sono tali che ogni essere umano ragionevole, che comprenda la realtà, accetterà di consacrare loro la propria vita. Presi in questo senso, questi scopi ultimi, che siano o no conformi alla tradizione giudeocristiana, ben corrispondono a ciò che si intende in generale per valori morali. La linea di demarcazione che traccia Machiavelli non separa dei valori specificamente morali da valori specificamente politici; egli non ha liberato la politica dall’etica e dalla religione, come hanno creduto Croce e i numerosi altri commentatori, che fanno di questa emancipazione il coronamento della sua opera. Machiavelli istituisce una opposizione che va ancora più lontano, fra due modi di concepire la vita, e di conseguenza fra due morali. Una è la morale del mondo pagano: i valori essenziali sono il coraggio, l’energia, la forza d’animo davanti alle avversità, la riuscita negli affari pubblici, l’ordine, la disciplina, la felicità, la forza, la giustizia. L’importante, soprattutto, è affermare le proprie 24 DAVID MARINI rivendicazioni legittime, e disporre di un potere e di conoscenze sufficienti per poterle soddisfare. Tutto ciò, per un lettore della rinascenza, è stato realizzato da Pericle nella sua Atene ideale, Tito Livio l’ha trovato nella Repubblica romana ai suoi inizi, Tacito e Giovenale ne hanno deplorato il declino e la sparizione nella loro epoca. Machiavelli vi vede i migliori momenti dell’umanità e, da buon umanista della Rinascenza, si augura di farli rivivere. (Originality, 45) Dunque, la peculiarità di Machiavelli, ciò che ne ha reso il pensiero immortale, nel senso che, ancora dopo cinquecento anni dalla sua formulazione, gli interpreti continuano a trovarlo interessante e continuano a studiarlo senza trovarsi d’accordo nello stabilire che cosa ne costituisca l’essenza, è proprio la linea di divisione che egli ha tracciato, non fra due sfere distinte, che hanno scopi e finalità diverse, la morale e la politica: la prima occupandosi dei fini, cioè di ciò che è un fine in sé, che ha valore di per sé stesso; la seconda occupandosi invece dei mezzi per raggiungere degli scopi, cioè lo studio di quelle tecniche e di quei procedimenti necessari, solo e soltanto, se ci si propone il conseguimento di specifici risultati. Il pensiero dello statista fiorentino si spinge ben oltre questa semplice divisione di aree di influenza. In contrapposizione alla virtus pagana troviamo la virtù cristiana, con i suoi valori di perdono e rinuncia, con la sua netta divisione fra ciò che è bene e ciò che è male. È evidente che i due diversi tipi di virtù non sono compatibili. Il conflitto non è risolvibile separando le due aree di influenza, cioè sostenendo che l’antica virtus trova la sua applicazione in una sfera distinta da quella in cui trovano applicazione i valori cristiani. In altre parole, Machiavelli non intese assolutamente separare la politica dalla morale. Nella riflessione machiavelliana, i fini che egli indica come validi per l’uomo, non sono dei semplici mezzi da usare se si vuole raggiungere determinati scopi, bensì sono a pieno diritto valori morali. MACHIAVELLI CONTROCORRENTE 25 Machiavelli ritiene che con uomini che abbiano fede nei valori cristiani e che cerchino di metterli in pratica per dare vita ad una comunità vigorosa ed in grado di opporre resistenza agli elementi dissolutori del tessuto sociale, non sia possibile costruire uno stato simile a quello romano o a qualunque altro che nel corso della storia abbia incarnato l’ideale politico che Machiavelli ha in mente. Quindi, la città ideale cristiana è irrealizzabile non tanto perché gli uomini siano fallibili ed irrimediabilmente traviati dal peccato originale; oppure perché, essendo esseri finiti, non abbiano a disposizione la forza necessaria per concretizzare un ideale così nobile. In altri termini, non è a causa della natura umana irrimediabilmente macchiata dal peccato originale, e dunque finita e peccatrice, che una realtà politica edificata all’insegna dei dettami della tradizione giudeo-cristiana non è traducibile in termini reali. Ciò che storicamente ha impedito ad una comunità di reggersi con principi etici cristiani è intrinseco a questi principi stessi. Machiavelli è convinto che le virtù cardinali (per non parlare di quelle teologali) siano in se stesse degli ostacoli insuperabili alla fondazione di uno stato fiorente e duraturo, capace quindi di difendersi da nemici interni ed esterni. Se gli uomini fossero diversi da come sono, forse potrebbero porre le basi per una società cristianamente intesa. Però Machiavelli è convinto che dovrebbero essere troppo differenti da come sono nella realtà, e da come si sono sempre rivelati nel corso della storia. Di conseguenza, essendo Machiavelli un pensatore realistico, che si impegna con la realtà effettuale, quale si presenta ai suoi occhi, al di là di ogni idealizzazione, cercare di dar vita a delle istituzioni in funzione di esseri che non sono mai esistiti e che mai potrebbero esistere, per lui non ha alcun senso e, soprattutto, è fonte di pericoli per la comunità. Quando si vuol stabilire una linea di condotta, si deve farlo in termini concreti, non immaginari. Si può, certamente, cercare di far cambiare gli 26 DAVID MARINI uomini, ma non si può snaturarli, cioè renderli completamente diversi da ciò che sono. Fare appello a misure ideali, richiedere delle qualità così alte, che possono essere possedute solo dai santi e dagli angeli, ha portato troppo spesso gli uomini e le loro città alla rovina. Mentre la storia ci mostra chiaramente quale sia la via da percorrere se si vuole avere successo. E la storia ci dice che vi è un’incompatibilità di fondo fra vita politica e valori morali cristiani. Da questa incompatibilità deriva che l’uomo è costretto a scegliere fra due alternative: o vivere in funzione della salvezza eterna, rinunciando alle cose del mondo; oppure vivere in modo tale da ricercare l’affermazione sulla terra. Nello stesso tempo però Machiavelli ci fa vedere come gli esempi storici in cui l’umanità ha raggiunto le sue vette più alte sono quelli in cui l’uomo non si è lasciato guidare da una morale della rinuncia, bensì, ha seguito i dettami di una virtù pagana improntata proprio all’affermazione di quei tratti che l’universo morale cristiano giudica privi di qualsiasi qualità intrinseca e dunque malvagi. Questa possibilità di scelta di fronte alla quale si trova l’uomo, possibilità che lo mette in grado di decidere fra due linee di condotta fra loro non solo incompatibili, ma anche incommensurabili, è giudicata da Berlin come uno dei momenti fondamentali nella storia del pensiero politico occidentale, per le implicazioni profondamente rivoluzionarie di cui è gravida. Siamo davanti ad un giro di boa dell’intera riflessione occidentale. Un punto critico in cui ciò che era già da sempre creduto vero in ogni tempo ed in ogni luogo perde parte della sua forza normativa. In altri termini, l’edificio metafisico comune a Platone, ad Aristotele, agli scolastici, ai pensatori rinascimentali stessi, e che sarà anche quello condiviso dagli illuministi, per citare solo alcune fra le tappe spirituali più significative della storia europea, viene minato fin dalle sue fondamenta dall’analisi storico-politica di Niccolò Machiavelli. Berlin afferma che MACHIAVELLI CONTROCORRENTE 27 Machiavelli non è un filosofo, e non si interessa alle astrazioni, ma la sua tesi sbocca su di un problema d’importanza cruciale per la teoria politica. Gli uomini non vogliono ammettere che questi due fini, tutti e due capaci, manifestamente, di trarre seco l’adesione degli uomini (e, si potrebbe aggiungere, di esaltarli fino al sublime), non siano compatibili fra loro. Ciò che capita abitualmente, pensa Machiavelli, è che gli uomini incapaci di decidersi a seguire risolutamente, e quel che né sia il risultato, l’una o l’altra di queste strade [...], cerchino dei compromessi, esitino, si ritrovino con i piedi su due staffe, per giungere all’impotenza e alla rovina. (Originality, 47. Corsivo nostro). Per comprendere meglio la tesi di Berlin è importante ribadire che Machiavelli non confuta i valori cristiani, cercando di destituirne l’importanza come regole per la condotta umana. Ciò che la tradizione cristiana definisce come buono è realmente tale per lo statista fiorentino, e così è anche per tutti gli altri principi. L’etica cristiana viene messa tra parentesi e se ne sceglie un’altra alla quale è più opportuno, più giusto perché più vero, che gli uomini si uniformino. Nemmeno si trova in Machiavelli il tentativo di fondere il cosmo morale pagano con quello cristiano, nella speranza di raggiungere un’armonia superiore, dove non ci siano conflitti e contraddizioni. Machiavelli afferma solamente che non si può osservare una linea di condotta caritatevole ed improntata al perdono, se si vuole erigere uno stato degno di questo nome, cioè stabile e compatto, confidente nella propria potenza. Insomma, da un lato si ha l’idea di un uomo peccatore fin dalla nascita, che deve espiare e vivere nell’attesa della salvezza futura e trascendente; dall’altra c’è l’idea di un essere umano che si deve affermare sulla terra, con la conseguente esaltazione della forza, della bellezza e della potenza fisiche, terrene. Ma ciò che rende ancora più profondo il solco fra le due diverse visioni del mondo, è che la morale cristiana contempla l’idea del singolo al cospetto di Dio, 28 DAVID MARINI l’uomo che ha in sé stesso il valore supremo nell’anima immortale, creata ad immagine e somiglianza di Dio, mentre nell’universo pagano il singolo non ha quasi nessuna importanza, ciò che conta è la comunità, la società. E’ in essa che risiedono i valori supremi: l’uomo è concepito nella sua dimensione pubblica, politica, come quella che ne rispetta e ne invera la reale natura. Basta ricordare la definizione aristotelica dell’uomo come animale politico. Secondo Croce (ed i crociani) però, Machiavelli non rifiuta la morale cristiana ed ha sempre considerato come crimini a tutti gli effetti, quelle azioni criminose necessarie alla salute dello stato. Sono atti “politicamente necessari”, che si devono compiere per fondare e mantenere istituzioni politiche forti, ma non cessano per questo di essere crimini. Machiavelli avrebbe quindi solo “scoperto” che questa morale non trova applicazione nella vita politica. Egli, sempre secondo i crociani, si rende conto della divergenza fra la pratica politica e la morale, ed è per questo che le sue descrizioni ed analisi della situazione italiana, sembrano così distaccate e ciniche, ma questo distacco tradisce solamente l’angoscia dell’umanista posto di fronte alla ingiustizia ed alla inevitabile crudeltà della vita. Riguardo a questa argomentazione, Berlin ritiene che i due poli della questione non siano la necessità politica e la morale cristiana. La sfera della morale risulta essere definita come regno dei fini e costituita da regole che kantianamente sono “imperativi categorici”, cioè necessari in sé stessi, non dipendenti da qualcosa che sia la fonte del loro valore. Mentre l’area propriamente politica, per chi, come Croce, distingue fra etica e politica appunto, la si può definire come l’ambito in cui non entrano in gioco valori morali, portatori di una finalità intrinseca, bensì come quella sfera in cui l’agire umano è regolato da norme empiriche, espedienti quasi, che si devono seguire solo e soltanto se ci si pre- MACHIAVELLI CONTROCORRENTE 29 figgono determinati scopi particolari: scopi che in sé e per sé non sono necessari. Il terreno della politica è quello kantianamente individuato da “imperativi ipotetici”, da comandi che non valgono in sé stessi, ma che hanno un valore solo ipotetico, cioè devono essere perseguiti non in base ad una legge morale assolutamente valida, ma solo “nell’ipotesi” che si vogliano conseguire determinati risultati, che si abbia in mente di condurre a buon fine particolari progetti. In altri termini, i mezzi politici restano confinati in una dimensione particolare, che è quella loro essenzialmente peculiare, non assurgono mai alla universalità che è la caratteristica propria delle leggi morali, valide per tutti in maniera assoluta, categorica appunto. La tesi di Croce, secondo il quale “è risaputo che il Machiavelli scopre la necessità e l’autonomia della politica, della politica che è di là, o piuttosto di qua, dal bene e dal male morale, che ha le sue leggi a cui è vano ribellarsi, che non si può esorcizzare e cacciare dal mondo con l’acqua benedetta”8, per Berlin sarebbe difendibile se nella storia del pensiero occidentale il soggetto della morale fosse sempre stato la coscienza individuale. Se la morale fosse sempre stata il dominio di pensiero che riflette sul singolo e sulla sua essenziale natura; se al centro della riflessione etica, in Occidente, ci fosse sempre stato l’individuo con la sua interiore legge morale, responsabile individualmente di fronte all’Alto, allora l’interpretazione crociana potrebbe andare bene, ma il fatto è che la nostra tradizione contempla anche un altro punto di vista in fatto di eticità, di morale: una concezione che non mette al primo posto la coscienza individuale in quanto tale, il singolo come centro di valore morale. Esiste un altro universo di valori, antico e rispettabile, consacrato dalla storia come uno dei momenti 8 Cfr. B. Croce, “Machiavelli e Vico”, in Etica e Politica, Bari 1931, p. 251. 30 DAVID MARINI più significativi del pensiero occidentale. Questo universo di valori è quello che si rivolge all’uomo nella sua dimensione pubblica; nel suo essere parte di una comunità, e nel suo esserlo non incidentalmente, cioè in maniera contingente, ma necessaria. L’etica di cui si sta parlando è quella classica, platonica o aristotelica che dir si voglia. Gli uomini, secondo questa concezione etica, vivono in società perché sono essenzialmente e strutturalmente animali politici, è quindi la loro intrinseca natura sociale, politica, che li fa stare riuniti in comunità. Questa comunità è lo scopo principale, essenziale, in base a cui si devono uniformare tutte le altre esigenze umane. Ciò implica che la politica, come sottolinea Berlin, intesa come arte del vivere in società, nella polis, non viene intesa come un qualcosa di strumentale, bensì come quella sfera in cui si realizza compiutamente l’essenza umana. Le richieste della vita sociale e della comunità non possono essere ignorate se l’uomo desidera portare a compimento le proprie potenzialità naturali9. Secondo Berlin, il segretario fiorentino si richiama a questa etica di tipo aristotelico, che egli considera, nella sua validità, come autoevidente, solo che si osservi cosa l’uomo sia da sempre stato nella storia, come abbiamo già detto. Quindi, in contrasto con la teoria di un Machiavelli umanista angosciato che, di fronte alla triste necessità delle cose, fonda la filosofia politica e la separa dalla dimensione morale, Berlin afferma che se, in compenso, Aristotele e Machiavelli hanno ben descritto ciò che sono gli uomini [...], l’attività politica fa parte integrante della loro natura. Può capitare che qua o là, alcuni individui scelgano di sottrarlesi; ma la grande massa dell’umanità non può fare la stessa cosa. La vita collettiva determina il dovere morale di ciascuno dei suoi membri. Ne segue che, quando soppesa il pro e il contro delle ‘leggi della politica’ e delle nozioni di ‘bene e male’, Machiavelli 9 Per un approfondimento delle tesi di Croce al riguardo si rimanda alla Appendice posta alla fine di questo contributo. MACHIAVELLI CONTROCORRENTE 31 non oppone l’uno all’altro due domini ‘autonomi’ dell’azione umana, quello della ‘politica’ e quello della ‘morale’. Egli oppone la sua propria morale ‘politica’ a un’altra concezione [morale], alla quale si ispirano, per dirigere la loro vita, persone alle quali Machiavelli non si interessa per nulla. Rifiuta sì una morale (la morale cristiana), ma non per rimpiazzarla con qualche cosa che non meriterebbe più il nome di morale, qualche cosa che diverrebbe un semplice gioco d’astuzia, un tipo di azione che si qualificherebbe come politica, e che, non interessandosi dei fini ultimi dell’uomo, perderebbe, per ciò stesso, ogni carattere etico. (Originality, 54. Corsivo nostro). Una linea di condotta è quindi eticamente valida se si uniforma al tipo di esistenza che gli antichi giudicavano come il più opportuno per l’uomo (mai concepito nella sua dimensione personale), cioè quello politico. Questo modo di concepire l’esistenza non mette al centro della riflessione pratica la coscienza individuale, o l’anima dell’uomo che deve condurre una vita di rinuncia sulla terra, perché suo sarà il regno dei cieli, come si è già detto. Ciò che è al centro della Weltanschauung etica pagana è l’uomo nella sua condizione di cittadino (si ricordi il ciceroniano se pro cive gerere), una condizione essenziale per il pensiero antico. Berlin sostiene che L’ultimo capitolo de Il Principe, [...], può difficilmente essere considerato come l’opera di un osservatore distaccato e moralmente neutro, o di un uomo immerso in sé stesso, preoccupato per le sue difficoltà interiori, e che vede con ‘angoscia’ la vita della città divenire il cimitero della morale. L’etica di Machiavelli, come quella di Aristotele e di Cicerone, è un’etica sociale, e non individuale. Ma è un’etica allo stesso titolo della loro, e non un regno dell’amoralità, al di là del bene e del male. (Originality, 55-6) Machiavelli allora non rifiuta la morale cristiana, preferendo un qualcosa che non possa essere definito “morale”. Il significato di tutto ciò che si è venuto fin qui dicendo a 32 DAVID MARINI questo punto risulta abbastanza chiaro. Ci sono due universi separati, quello cristiano, informato da una morale personale, privata e quello pagano, dell’organizzazione collettiva, sociale, pubblica. Questi due mondi sono retti da due differenti codici etici, due sistemi di valori che si fronteggiano e che rendono inevitabile la scelta. Una scelta che, in qualunque senso vada, implica la rinuncia a ciò che non si sceglie, proprio perché le due visioni del mondo sono incompatibili, ma non si riferiscono a due domini distinti della riflessione e dell’agire umano. Se si sceglie la virtù cristiana, si perde la possibilità di fondare una società del tipo di quella romana o ateniese. Se si sceglie la virtus pagana, si perde il privilegio del perdono e la sicurezza della fede nella vita futura. È questa possibilità di scelta, istituita dal pensiero di Machiavelli, che Berlin considera un punto critico nella storia delle idee occidentale. Una possibilità mai esplicitata dal Fiorentino e di cui molto probabilmente egli non fu nemmeno consapevole, ma che nondimeno circola in tutto il suo pensiero. A ben riflettere, per l’epoca in cui Machiavelli vive, è un fatto eccezionale. Se posso scegliere i valori in cui credere, cosa ne è del cosmo, dell’armonia prestabilita? Come si devono interpretare nozioni come “natura umana” o “diritto naturale”; quale diventa il posto dell’uomo nell’universo? Cosa ne è della legge morale e della struttura metafisica che la supporta? Si noti che Berlin osserva che “nessuno era più anti-liberale di Machiavelli, ma, paradossalmente, le sue dottrine hanno aperto la porta alla tolleranza”10. Infatti, Machiavelli apre al pluralismo (o, più precisamente, ad un dualismo foriero di una visione pluralistica), ma fa ciò inconsapevolmente, tanto che egli stesso rimase monista, anche se monista non cristiano, ma pagano. Infatti Machiavelli non trasse conseguenze liberali 10 Cfr. R. Jahanbegloo, Isaiah Berlin en toutes libertés. Entretiens avec Isaiah Berlin, Paris 1991, p. 96. MACHIAVELLI CONTROCORRENTE 33 dal suo pluralismo semplicemente perché non era un pluralista, e non rivendicò alcun pluralismo dei valori. Comunque, La tolleranza è storicamente il prodotto della presa di coscienza della inconciliabilità di fedi ugualmente dogmatiche, e dell’improbabilità pratica della completa vittoria di una sull’altra. Coloro che desideravano sopravvivere compresero che dovevano tollerare l’errore. Essi cominciarono gradualmente a vedere dei meriti nella diversità, e così divennero scettici circa soluzioni definitive negli affari umani (Originality, 78). Con Machiavelli, dunque, la concezione monista occidentale, secondo cui è possibile dare una risposta definitiva, “almeno in linea di principio”, agli interrogativi su quale sia la vita giusta per l’essere umano, quella che ne realizzi in pieno la specifica ed essenziale natura, viene ad essere destituita della sua valenza assoluta. Se ci sono due strade che l’uomo può percorrere, al fine di realizzarsi, entrambe ragionevoli, ma reciprocamente confliggenti, ed essendo questo conflitto non risolvibile, allora la possibilità di trovare una risposta oggettiva a questioni di filosofia pratica diviene infondata, ed è proprio questa infondatezza ad aver gettato nello sconcerto gli interpreti del Principe. In altre parole, il Machiavelli di Berlin è colui che mette in dubbio l’intera tradizione di pensiero occidentale, in ciò che in essa vi è di più fondante, di più essenziale. Infatti, nonostante le differenze fra i diversi pensatori europei, ciò che ne ha accomunato la riflessione, fin dalle origini greche del pensiero, è una sorta di comune denominatore, cioè la certezza di vivere in un mondo ordinato secondo leggi metafisiche univoche, le quali costituiscono la traccia “naturale” all’interno della quale si svolge ogni accadimento mondano. Questo comune denominatore è individuato dalla tradizionale metafisica razionalistica occidentale, la quale postula, in generale, e 34 DAVID MARINI semplificando forse all’eccesso, che al centro dell’universo, come suo nucleo irradiante, vi sia un principio razionale, che tutto ordina e governa, informando di sé il cosmo. Non a caso “cosmo” significa ordine, il che rimanda all’idea di un universo definito, nel suo modo di essere, da norme che ne regolano la vita. La Weltanschauung razionalistica, sia che, di volta in volta, venga interpretata secondo un modello religioso o ateo, sia che operi all’interno di una visione del mondo trascendentale o naturalistica, oppure scientifica o metafisica, (come fa notare Berlin, cercando di richiamare alla mente le opposte tradizioni filosofiche che si sono contese il possesso della verità, lungo il corso della storia ideale occidentale: infatti il postulato monista-razionalistico mette d’accordo gli avversari, talmente è stato ed è radicato nel modo occidentale di concepire l’esistenza), ha sempre alla base l’idea che, se il principio è “razionale”, e se la “ragione” è la medesima in tutti gli uomini, allora esiste una ed una sola verità, uno standard oggettivo di bene, si direbbe. Ciò si traduce nella concezione di un mondo metafisicamente sicuro, al riparo dalla tragedia, però irrigidito in una struttura ontologica che non lascia molto spazio alla libertà di scelta: in fin dei conti, che scopo avrebbe scegliere, se la verità è unica, quello di andare verso una sicura disfatta? Se, quando ci si domanda quali siano gli scopi dell’esistenza, si pone una vera questione, allora deve essere possibile dare a questa questione una risposta giusta. Se si pretende di regolare la condotta degli uomini in maniera razionale, significa che si ritiene che questo problema possa ricevere, in linea di principio, soluzioni esatte e definitive. Quando si esaminavano le soluzioni possibili, prima di Machiavelli, generalmente si ammetteva che una società perfetta fosse concepibile, almeno a grandi linee; altrimenti, in nome di quale criterio si sarebbero potute condannare le istituzioni esistenti come imperfette? Senza dubbio, l’ideale non era realizzabile in questo mondo. Gli uomini erano troppo ignoranti, troppo deboli, o MACHIAVELLI CONTROCORRENTE 35 troppo corrotti per ciò. O meglio ancora, si invocava (fu il caso di pensatori materialisti, nel corso dei secoli che seguirono l’apparizione de Il Principe) la mancanza di mezzi tecnici: nessuno aveva ancora scoperto un metodo per superare gli ostacoli materiali che ci separavano dall’età dell’oro. Si diceva che la nostra tecnologia, il nostro grado di istruzione, la nostra educazione, la nostra morale erano insufficienti. Ma nessuno ancora aveva detto che fosse la nozione stessa di società perfetta ad essere incoerente.(Originality, 68. Corsivo nostro). Berlin sostiene invece che se si deve prestare fede alla visione del mondo che l’opera di Machiavelli esprime allora il tentativo di costruire una società perfetta è erroneo non solo praticamente, ma prima ancora teoreticamente. In altri termini, non ci è possibile edificare un tipo di città esemplare, che sia retta da una assoluta armonia, non perché siamo esseri finiti e fallibili, inficiati fin dalla nascita dal peccato originale; oppure perché, essendo la nostra conoscenza limitata, non siamo in possesso delle tecniche e degli strumenti che ci permetterebbero di dar luogo ad una realtà politica perfettamente regolata. Non possiamo fondare una comunità priva di contrasto, e quindi ad immagine e somiglianza della civitas Dei, perché ciò è inattuabile “in linea di principio”. Infatti, se esistono “almeno” due insiemi di valori (i quali esprimono due differenti insiemi di fini che l’uomo si prefigge nella propria vita, e quindi due differenti maniere di concepire l’esistenza), che siano fra loro reciprocamente incompatibili ed incommensurabili, entrambi facenti parte della natura intrinseca dell’uomo, allora è proprio in linea di principio, a livello logico, che l’idea stessa di società perfetta è irrealizzabile. L’universo morale pagano e quello cristiano rappresentano l’impossibile armoniosa convivenza, a livello teorico e pratico, di due divergenti modi di concepire l’universo. Ma questo è il mondo in cui l’uomo è destinato a vivere, un mondo eterogeneo in cui niente assicura, o perlomeno fa 36 DAVID MARINI presupporre, che ci sia un’armonia stabilita a priori, o possibilmente conquistabile attraverso la conoscenza, ad esempio, in cui tutto ciò che è portatore del senso sia armonicamente regolato: non c’è una ragione che tutto ordina ed a tutto provvede, affinché non vi siano contrasti o perdite. Il segretario fiorentino è il fautore dell’urto fra due concezioni, pagana e cristiana, urto che i suoi esegeti e lettori hanno recepito, sembra voler dire Berlin, in tutta la sua portata solo a livello inconscio. Conseguentemente, di fronte all’acuto malessere provocato da questo scontro, a livello cosciente si è dato luogo ad una proliberazione di interpretazioni volta ad esorcizzare ciò che dall’opera machiavelliana si evinceva, cioè che la sicurezza metafisica, propria dell’uomo occidentale, di vivere all’interno di un cosmo in cui tutte le cose buone non possono essere in contrasto fra di loro, è in realtà una concezione falsa. APPENDICE Croce e Machiavelli L’interpretazione crociana di Machiavelli merita di essere approfondita prima di tutto perché è quella che maggiormente ha influenzato gli studiosi del Principe e dei Discorsi, ma anche perché ci sembra che il Berlin la tratti in maniera forse troppo semplicistica. Il pensiero crociano non può essere ridotto alla constatazione che il Machiavelli ha distinto la sfera della politica da quella della morale. Per Croce la “questione del Machiavelli” va affrontata con “logica speculativa”, che è il modo proprio di procedere dell’indagine genuinamente filosofica. Vi sono concetti empirici per i quali è sufficiente una indagine empirica, la quale si svolge secondo una logica empirica appunto, o classificatoria. Ma nel campo filosofico si procede in maniera diversa. Croce asserisce che i concetti filosofici sono sempre congiunti al loro contrario (egli li definisce come “concetti di valore spirituale”, come ad esempio il “bene” che è dialetticamente congiunto al “male”, o l'”utile” al “dannoso”, o il “vero” al “falso”), mentre i concetti empirici non hanno questa peculiarità. Infatti, il concetto di “cavallo o altro concetto zoologico non ha di fronte l'anti-cavallo, col quale, per essere sé stesso, continuamente combatterebbe” 11. Croce prosegue osservando che in effetto, il carattere che si è rilevato dei concetti di valore spirituale, che ciascuno di essi è legato al suo contrario, porta di conseguenza che una logica che sia della stasi, come è proprio della logica classificatoria, non ha nerbo filosofico e non serve 11 Cfr. B. Croce, “La questione del Machiavelli “, in Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici, Bari 1952, p. 165. Il corsivo è nostro. DAVID MARINI 38 all’uopo, perché quella comprensione dei contrarî vuole una trattazione filosofica della contrarietà, dello svolgimento o ‘dialettica’, come si usa denominarla. Politica e morale sono insieme distinte e unite; distinte, perché la politica è solo parte di quella attività che conviene intendere nel suo intero e considerare forma necessaria tra le altre necessarie forme spirituali, la ‘vitalità’ o ‘economicità’, la quale tesse la vita individuale, e la moralità intende invece a volgerla ai fini della vita universale: con che le due formule sono tra loro legate e nella loro distinzione unite12. Secondo Croce il centro della questione machiavellica sta nel comprendere che il morale ed il politico non sono due ambiti meramente disgiunti, che possano essere mantenuti tali, come avviene quando, ad esempio, si tengono separati e differenziati un cavallo da un cane, o un cerchio da un quadrato, ma hanno fra di loro un rapporto dialettico ed antinomico. “Il Machiavelli, dunque, non sacrificò la morale alla politica, ma dell'una e dell'altra ammise l'autonomia, e quello che in lui manca è l'esigenza di mediare le due autonomie, che non si potevano lasciare l'una accanto all'altra, l'una come una realtà da accettare, l'altra come un desiderio insoddisfatto ma fondamentale e inestinguibile quale fremeva nel suo petto e si manifesta in molte sue ardenti espressioni”13. Croce prosegue affermando che, comunque, questa mancata mediazione non può essere considerata un errore del Machiavelli, perché egli non si pose il problema del rapporto fra le due differenti sfere; e tuttavia si rese chiaramente conto della loro autonomia e, contemporaneamente, del loro legame dialettico, che è quello proprio di tutti i concetti filosofici, che continuamente sono destinati a “combattere” con i loro contrari; senza dei quali però essi non avrebbero la loro realtà, giacché essi traggono sostanza proprio dallo scontro con il loro opposto. La 12 Ivi, p. 171-72. 13 Ivi, p. 170. MACHIAVELLI CONTROCORRENTE 39 questione del rapporto fra morale e politica non è la questione del Machiavelli, ma sul Machiavelli, come ben sottolinea Croce. Una questione che, probabilmente, non avrà mai una fine. Come che sia, avendo la verità della dottrina del Machiavelli sulla autonomia della politica la sua dimostrazione nella difficile logica filosofica, e perciò incontrando le facili obbiezioni della logica empirica e classificatoria, e, d'altra parte, l'error suo, attribuito a perversione morale, trovando la sua spiegazione e la sua scusa nel causalismo storico, la cui critica e sostituzione è, di certo, filosoficamente difficile, ne viene di conseguenza che probabilmente la questione del Machiavelli resterà una di quelle che non si chiuderanno mai e non passeranno agli archivî, diversamente dalle altre le cui conclusioni sono ormai a un dipresso pacifiche. Il che par che riceva conferma dalla quantità e dalla qualità dei libri che si continuano a pubblicare sull'argomento14. Croce ritiene che la giustificazione machiavelliana delle azioni malvagie derivi dal fatto che lo statista fiorentino accetta il determinismo storico e, quindi, sulla base di tale accettazione, che sia superfluo condannare ciò che non poteva essere altrimenti. Anche qui navighiamo nelle acque della filosofia: quella sicurezza [della giustificazione di atti efferati, come l'uccisione di Remo da parte di Romolo] veniva al Machiavelli da una concezione filosofica, che egli accettava come tanti antichi e tanti contemporanei suoi e contemporanei nostri: dal determinismo o causalismo, che reggerebbe la storia. E se i fatti storici sono una catena di cause ed effetti, ogni anello della catena è necessario all'avvenimento, né si può sopprimerlo se non sopprimendo l'avvenimento. Qui la logica non fa una grinza; nessun anello è 14 Ivi, p. 175-76. Il corsivo è nostro. DAVID MARINI 40 lecito togliere, nessuno dichiarare non necessario o non operativo, o meno operativo degli altri tutti: tutti coniurant amice15. Secondo Croce invece, non bisogna assolutamente tener conto della pregiudiziale deterministica nella storia, poiché essa non è vera; “[…] la storia è storia di libertà, una sequela di atti creativi, varî di valore e di efficacia, e l'efficacia degli errori, delle colpe e dei delitti è nella loro negatività, nel provocare l'orrore, il castigo, la correzione, la condanna, l'espiazione, e non già nel lavoro costruttivo” 16. In definitiva, per Croce, Machiavelli avrebbe avuto bisogno di una migliore teoria storica che gli avesse mostrato che la storia non dava e non poteva dare quella attestazione e conferma [di ciò che è moralmente iniquo], [se ciò fosse accaduto,] certo l'animo suo, che era 'acceso d'uno immenso desiderio di seguire i tempi buoni', avrebbe meglio interpretato la dolorosa forzata imitazione che i tempi cattivi, in cui viveva, costringevano a fare, per difesa, dei procedimenti dei tempi cattivi17. Naturalmente qui dovrebbe essere affrontato direttamente il pensiero etico e politico crociano, le istanze liberali del quale impongono di tener ferma l’autonomia della politica dall'etica, ma anche, e forse soprattutto, dell'etica dalla politica, al fine di non incorrere nell'errore hegeliano e, quindi, totalitario, della fede in uno stato etico, sulla base del quale sia possibile giustificare ogni efferatezza ed ogni deviazione dai dettami della coscienza morale. Gli atti iniqui, le malvagità, per Croce, non possono “essere benefici o condizioni di bene nella storia. Sul qual punto è richiesta la più netta e rigorosa intransigenza, perché mai e poi mai si dovrà consentire che la morale conceda di fare quel che la 15 Ivi, p. 174. 16 Ibidem 17 Ivi, p. 175. MACHIAVELLI CONTROCORRENTE 41 coscienza, cioè essa stessa, dichiara che non è da fare a niun patto” 18. 18 Ivi, p. 172. Per un più approfondito “schiarimento” sul pensiero politico ed etico di Benedetto Croce, si veda M. Maggi, “La sintesi volitiva”, in La filosofia di Benedetto Croce, Firenze 1989. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Testi citati F. Chabod, «Del Principe di Niccolò Machiavelli», in Scritti su Machiavelli, Torino 1964. B. Croce, “Machiavelli e Vico”, in Etica e Politica, Bari 1931. B. Croce, “La questione del Machiavelli “, in Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici, Bari 1952. *Studies on Machiavelli, a cura di M. P. 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