commentary Commentary,10Giugno2013 DATAGATE: LA LINEA SOTTILE TRA SICUREZZA E LIBERTÀ DAVIDE BORSANI L’ironia della sorte ha voluto che, mentre Barack Obama accusava la Cina di Xi Jinping di condurre attacchi di spionaggio informatico nei confronti degli Stati Uniti, il britannico The Guardian e l’americano Washington Post rendessero pubblica l’attività di spionaggio condotta dalle stesse agenzie federali statunitensi, nella fattispecie la National Security Agency, nei confronti dei propri cittadini. La ‘talpa’ dei due quotidiani, il ventinovenne Edward Snowden (già analista della NSA), ha giustificato la propria azione con la necessità di rimettere «nella mani dei cittadini» il destino del proprio paese, altrimenti «rischiamo di diventare una tirannia». ©ISPI2013 Sono due le chiavi di lettura che contribuiscono a spiegare tali dichiarazioni e, più in generale, l’ambiguo rapporto tra segretezza e trasparenza, tra sicurezza e privacy, tra rischio e libertà che, dagli attentati dell’11 settembre, contraddistingue la lotta americana al terrorismo sul fronte interno. La prima chiave poggia su un’analisi della storia recente degli Stati Uniti, che risale allo shock psicologico causato dal crollo delle Torri Gemelle. La seconda, invece, adotta una dimensione storica più profonda che, da oltre due secoli, caratterizza l’America. Gli attentati dell’11 settembre infransero, infatti, quel senso d’invulnerabilità di cui gli Stati Uniti ritenevano di essere stati storicamente dotati. La ferita provocata andò ben al di là dei danni materiali, coinvolgendo la stessa idea di sicurezza nazionale sia tra i cittadini sia tra l’establishment. Come scrisse allora sul Corriere della Sera Sergio Romano, «i danni materiali e il conto delle vittime sono, in ultima analisi, meno importanti del danno politico morale: la fine del mito dell'invulnerabilità americana. […] La minaccia oggi […] proviene da un esercito di ombre e fantasmi»1. In un clima di panico, angoscia ed emergenza, in cui il nemico risultava piuttosto aleatorio, i cittadini statunitensi acconsentirono tacitamente che il governo federale promulgasse misure di sicurezza eccezionali per debellare la minaccia terroristica dal proprio territorio. Così, nell’ottobre 2001, il Congresso approvò il celebre USA PATRIOT Act2, l’istituzione ad hoc di organi di counterterrorism e del Dipartimento della Sicurezza Interna. Oggi, 1 S. Romano, La potenza vulnerabile in «Corriere della Sera», 12 settembre 2001. 2 Sigla per Uniting and Strengthening America by Providing Appropriate Tools Required to Intercept and Obstruct Terrorism Act. Davide Borsani, PhD Candidate in Storia delle Relazioni e delle Istituzioni Internazionali (Università Cattolica del Sacro Cuore). Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI. Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo. 1 commentary mente da queste idee» 4 . È dunque necessario che, in quanto contrappeso del governo in un più ampio sistema di checks & balances, l’opinione pubblica resti informata su temi fondamentali, quali appunto il rapporto libertà-sicurezza, e che tale informazione sia del tutto trasparente. L’attuale ‘Datagate’ altro non è quindi che una nuova manifestazione dell’influenza ‘jeffersoniana’ sulla politica americana, per cui «un comune cittadino può partecipare alla democrazia anziché rimanere semplice spettatore»5. Viceversa, il rischio di una deriva simil-autoritaria e di una ‘presidenza imperiale’ (nelle parole di Snow, una «tirannia») sarebbe che, come paventava nell’Ottocento John Quincy Adams, l’America non sia «più padrona del suo spirito», della propria struttura ‘lockiana’ contrapposta a quella ‘hobbesiana’. nel 2013, quel clima di ‘emergenza nazionale’ si è però notevolmente attenuato. All’indomani degli attentati alla maratona di Boston, un sondaggio di Fox News ha domandato al proprio campione se fosse «disposto a rinunciare in parte alla propria libertà personale in modo da ridurre la minaccia del terrorismo». Per la prima volta dal crollo delle Torri Gemelle, la maggioranza (seppur stretta) degli americani ha risposto «No» (45%) rispetto a coloro i quali hanno detto «Sì» (43%). In assenza della percezione di una chiara minaccia in grado di giustificare misure eccezionali, risorge quello scetticismo verso l’eccessivo upsizing del governo federale che, sin dagli albori della propria storia, contraddistingue larga parte del popolo americano. ©ISPI2013 Un importante studioso americano, Walter Russell Mead, ha inserito questo orientamento in una vera e propria tradizione intellettuale in grado di spiegare alcune fasi della storia degli Stati Uniti. Secondo tale tradizione, definita ‘jeffersoniana’3 , il primo compito del governo federale, che deve agire secondo i dettami costituzionali, è difendere e salvaguardare la democrazia e la libertà in patria. «Il concetto della segretezza negli affari di governo è profondamente estraneo alle idee jeffersoniane. Gli sforzi per controllare la CIA […] e per sottoporre l’intelligence […] a un controllo intensivo e costante […] derivano diretta Dopo oltre quattro anni alla Casa Bianca, Obama non ha ancora risolto la contraddizione di fondo tra lotta al terrorismo e tutela della libertà personale. Anzi, nel febbraio 2012 il Presidente ha firmato una legge che sancisce l’utilizzo di droni nello spazio aereo americano a scopi civili, il che rischia di far pendere ulteriormente il rapporto tra privacy e sicurezza nazionale in favore di quest’ultima. Che la lotta al terrorismo, alla vigilia del ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan, in realtà abbia solo cambiato la prima linea del fronte? 4 W.R. Mead, Il Serpente e la Colomba. Storia della politica estera degli Stati Uniti d’America, Garzanti, Milano, 2002, p. 227. 5 Ibidem, p. 254. 3 Da Thomas Jefferson, primo segretario di stato e terzo presidente degli Stati Uniti. 2 ©ISPI2013 3