Città di Torino settembre musica 1997 venerdì 12 settembre 1997 ore 21 Auditorium Giovanni Agnelli Ensemble Modern Peter Rundel direttore In collaborazione con Siemens Kulturprogramm EN SEM B LE M O D E R N “E n sem b le d e r G esellschaft fü r N eue M u sik ” Dietmar Wiesner Christiane Albert, Rüdiger Jacobsen, flauti Catherine Milliken, Joseph Sanders, oboi Roland Diry, Wolfgang Stryi, clarinetti/sassofoni Thorsten Johanns, Matthias Stich Simon Waidvogel, sassofoni Malte Refardt fagotto!controfagotto Franck Ollu, Martin Owen, Renée Allen, Reinhold Ernst, ci William Forman, Bruce Nockles Michael Feldner, Nancy Gildner, trombe Uwe Dierksen, Hartm ut Friedrich, Reiner Schmidt Volker Hensiek, tromboni Daryl Smith, Jörg Seggelke, tube Rumi Ogawa-Helferich Rainer Römer, Boris Müller Pascal Pons, percussioni Hermann Kretzschmar, Ueli Wiget Jan Michiels, Philipp Vandre, pianoforte!campionatore Karin Schmeer, Ellen Wegner, arpe Jürgen Ruck, chitarra!basso Detlef Tewes, mandolino Freya Kirby, Verena Sommer, Kai Gleusteen Katharina Nickel, violini Lila Brown, Ashan Pillai, Geneviève Strosser, viole Michael Kasper, Daniel Raabe, Marc Froncoux, violoncelli Thomas Fichter, Michael Tiepold, contrabbassi Norbert Ommer, ingegnere del suono Peter Rundei, direttore L’E n sem b le M o d e rn , fondato nel 1980 sotto la direzione della Junge Deutsche Philarmonie e dal 1985 con sede a Fran­ coforte sul Meno, è gestito dai suoi stessi com ponenti sotto forma di cooperativa. Specializzato nell’esecuzione di un re­ pertorio che dal Novecento storico si estende alle ultime ten­ denze della musica contemporanea e del jazz, ha all’attivo collaborazioni con vari compositori ed è inoltre impegnato nella realizzazione di progetti che prevedono l’interazione della musica con altre forme d’arte quali il teatro, la danza e il cinema. Grazie all’organico variabile, la formazione può presentare tanto opere per solista quanto per complessi or­ chestrali. Titolare di proprie stagioni all’Alte O per di Fran­ coforte, alla Kammermusiksaal della Philarmonie di Berli­ no ed alla Konzerthaus di Vienna, partecipa inoltre regolar­ mente a festival e rassegne internazionali e tiene corsi e se­ minari. L’Ensemble è sostenuto finanziariamente dalla D eu­ tsche Ensemble Akademie con il contributo della Repubbli­ ca Federale Tedesca, dello Stato dell’Assia, della Città di Fran­ coforte e della Fondazione GEMA. Nato nel 1958, Peter R u n d e l ha studiato direzione d ’or­ chestra con Michael Gielen e Peter Eòtvos e composizione con Jack Brimberg a New York. C om ponente dell’Ensemble Modern dal 1984, ha compiuto il debutto sul podio nel 1987 e si è quindi specializzato nel repertorio contemporaneo, collaborando regolarmente anche con Ensemble Recherche e Klangforun W ien. In qualità di direttore ospite ha guidato, tra l’altro, la Junge Deutsche Philarmonie, le orchestre sin­ foniche delle radio di Stoccarda, Francoforte e Vienna, la W ienerkammerorchester e l’Asko Ensemble. Parallelamente all’interpretazione dei classici del Novecento ha collaborato alla presentazione di opere di autori quali Nono, Liged, Nancarrow, Boulez, Goebbels e Zappa, del quale ha diretto l’in­ cisione discografica di “The Yellow Shark”. Steve R eich (1936) City Life per ensemble Louis A n d riessen (1939) De Snelheid per grande ensemble (in te r v a llo ) F ran k Z a p p a (1940-1993) brani da “The Yellow Shark” per grande ensemble Outrage at Valdez Dog/Meat The Girl in the Magnesium Dress Ruth is Sleeping Amnerika Be-Bop Tango Get Whitey G-Spot Tornado Zappa” è un marchio appartenente alla Zappa Family Trust Usato per concessione, tutti i diritti riservati Steve R eich City Life, per ensemble La produzione del compositore americano Steve Reich, uno dei fondatori del minimalismo musicale, è sempre stata ca­ ratterizzata dalfalternarsi di partiture chiave (dove la ricerca del musicista newyorkese ha scoperto vocaboli sonori ine­ diti e nuove tecniche di espressione) seguite regolarmente da lavori di consolidamento, in cui gli elementi di novità vengono affinati e sviluppati. Così alla composizione It’s Gonna Rain, del 1965, in cui Reich ha scoperto la tecnica del phasing (sfasamento progressivo di più voci, che dal­ l’unisono arrivano a creare dei pattern a canone) è seguito nel 1966 il brano Come Out, in cui questa tecnica veniva ulteriormente estesa; le tecniche di phasing ritmico utilizza­ te per la prima volta in Drumming (1971) hanno poi trova­ to diverse applicazioni in Music far pieces ofwood e Clapping Music, il multicolore affresco sonoro di Music far eighteen musicians (già di per sè una summa di tutte le precedenti esperienze) è stato ulteriormente allargato in Musicfar a Large Ensemble; l’apocalittica visione di The Desert Music ha for­ nito le basi per il successivo Sextet, e così via. Verso la fine degli anni ottanta Reich è ritornato, dopo un ventennio di pausa, ad usare il nastro magnetico come generatore di suo­ ni che entrano in rapporto diretto con gli esecutori dal vivo. E’ il caso della serie dei lievi Counterpoints per flauto, clari­ netto, e chitarra in cui il solista suona contro l’immagine sonora di'se stesso riflessa per ben 12 volte dal nastro in un intreccio caleidoscopico. Contemporaneamente a questo rin­ novato interesse per la tecnologia, Reich si è dedicato allo studio della voce, seguendo l’illustre esempio di Janàcek che già aveva preso spunto dalla cadenza parlata per l’ispirazio­ ne melodica delle sue opere. L’invenzione del campionatore ha permesso a Reich di registrare suoni rumori e parole riproducendoli in tempo reale su di una tastiera ed annotan­ done successivamente le altezze sonore. Queste provocano autom aticam ente il campo arm onico e la tonalità della composizione. Naturalm ente ogni persona parla in una di­ versa “tonalità”, per così dire, e questo costringe Reich a m o­ dulazioni complesse che non hanno,com unque, alcun sapo­ re artificioso. Il primo esperimento in questo senso è il quar­ tetto per archi Different Trains (1988), in cui Reich ha campionato le voci di sopravvissuti all’Olocausto, alternan­ dole a suoni e rum ori ferroviari, sovrapponendovi poi ca­ noni di pattern ritmico-melodici affidati al quartetto d’ar­ chi. L’esecuzione dal vivo entra subito in rapporto dialetti­ co con il nastro senza assumere, però, una posizione di pre­ varicazione. L’uso delle speech melodies (melodie parlate) ha poi trovato il suo apice nella grande opera multimediale The Cave, imperniata sul rapporto che gli ebrei, gli arabi e gli americani hanno con alcune tra le fondamentali figure della Bibbia. Ai suoni sintetizzati si aggiungeva qui una perfor­ mance video creata dalla moglie di Reich, Beryl Korot, in cui lo spettatore poteva, oltre che ascoltare le voci, vedere le persone che fornivano a Reich le frasi ed i suoni su cui pog­ giava l’intero edificio musical-teatrale. Il brano che ascolte­ rete questa sera, City Life, consolida le scoperte dell’opera precedente (come di consueto) ma spinge ancora più in avanti la propria ricerca. Mediante delle tastiere elettroniche, gli esecutori possono far interagire i suoni che Reich ha regi­ strato a New York (venditori ambulanti, sirene della polizia, navi, portiere di taxi, automobili, ecc.) “suonandoli” a tem ­ po con gli altri strum entisti (Reich ha fatto rilevare un inte­ ressante parallelo tra queste tastiere cariche di rumori ed il pianoforte preparato di Cowell e Cage). N on vi è dunque bisogno di alcun nastro, tutto è realizzato in tempo reale. Questo permette a Reich di riprendere il filo con alcuni la­ vori del passato, ad esempio dando alle sampling keyboards, nel terzo movimento, dei pattern ritmici simili a quelli di lavori come Sextet e Six Marimbas, ottenendo così uno scar­ dinamento ritmico-sonoro di grande efficacia. Diviso in cin­ que tempi che si svolgono senza soluzione di continuità, City Life è il miglior ritratto possibile della frenesia newyorkese, dei lati oscuri della grande metropoli, vista però da Reich con occhio affettuoso e non privo di ironia. L ouis A n d riessen De Snelheid, per grande ensemble Il compositore olandese Louis Andriessen, a cui Settembre Musica ha dedicato l’anno scorso un’ampia retrospettiva, ri­ torna a Torino con una delle sue più significative partiture, De Snelheid. Composto nel 1983, si tratta senza dubbio di uno dei lavori più estremi del musicista , sia per lo straordi­ nario virtuosismo richiesto ai musicisti che per la concen­ trazione richiesta agli ascoltatori. “Il compito di un composi­ tore e quello di porre dei problemi, non di risolverli”dice Andriessen, e mai come nel caso di De Snelheid questo corri­ sponde a verità. In questo brano egli si è posto il problema di una diversa percezione, da parte di chi ascolta, del tempo musicale e della pulsazione ritmica. De Snelheid, infatti, si­ gnifica “Velocità”. Secondo il compositore l’impressione di rapidità in musica non è affatto legata alla pulsazione, ma è determinata dai cambiamenti armonici. Per dimostrare que­ sta tesi Andriessen affida a due percussionisti il compito di segnare implacabilmente una scansione ritmica in sedicesi­ mi, utilizzando due wood-blocks (percussioni di legno). Q ue­ sto ossessivo ticchettìo ritmico, che pare provenire dal cuore di un gigantesco orologio, viene contrastato dagli altri ele­ menti di un’ensemble strumentale di grandi dimensioni, di­ viso in tre gruppi; violentissime strappate basate sul princi­ pio ritmico medievale àe\Yhoketus si alternano a sinuosi uni­ soni melodici. D urante lo svolgersi del pezzo l’ascoltatore comincia chiaramente a distinguere u'n progressivo sfasamen­ to tra il martellante ritm o dei wood-blocks e le figure stru­ mentali del gruppo. Se all’inizio la pulsazione generale è di ritmo moderato, dopo pochi m inuti i percussionisti inco­ minciano ad aumentare la velocità, senza che però la musi­ ca subisca un analogo processo di accellerazione. Al di sotto di tutto questo meccanismo la grancassa ed i tom -tom in­ troducono una serie di colpi fortissimi, in un tempo più len­ to. Questo tempo è quello a cui tutto l’ensemble arriverà alla fine, ma per chi ascolta è impossibile accorgersene da subito. A complicare ulteriormente il tutto, vi è il fatto che l’accellerazione del ritm o di base non sempre corrisponde all’accellerazione del tempo metronomico, e questo crea un ulteriore sfasamento di percezione. Dal punto di vista ar­ monico il pezzo prende vita da una melodia basata sulla to ­ nalità di do diesis minore, e sovrapponendo questa tonalità con l’intervallo di tritono Andriessen ricava tutto il materia­ le di base degli accordi che, orchestrati nel suo consueto stile aggressivo ed abrasivo, investono il pubblico come una valanga, passando da un gruppo all’altro in un processo di continua spazializzazione sonora. A questo punto è palese, per l’ascoltatore, il “paradosso” acustico di una musica che pur avendo una pulsazione frenetica ha raggiunto un massi­ mo di staticità, portando la tensione armonica al culmine. Andriessen ha dunque dimostrato perfettam ente la sua tesi iniziale. Finalmente il nodo si scioglie; i cupi accordi orche­ strali e l’ossessivo martellamento di grancassa e tom hanno la meglio sulla pulsazione ritmica; la musica “lenta”, per così dire, ha sopravanzato e distrutto quella “veloce”, term inan­ do il brano in un fosco clima da “Trauermusik”. F ran k Z a p p a brani da “The Yellow Shark”, per grande ensemble Figura musicale tra le più interessanti, Frank Zappa si è sem­ pre mosso con disinvoltura all’interno di m olti generi m u­ sicali. Figura geniale del rock, provocatore, virtuoso di chi­ tarra elettrica, autore di musica elettronica realizzata con il Synclavier, ma anche compositore di numerose pagine ca­ meristiche e sinfoniche.Un musicista, insomma, difficilmen­ te classificabile che è sempre stato guardato con sospetto dai musicisti “accademici” a causa della sua formazione di au­ todidatta. Solo dopo la prem atura scomparsa la figura di Zappa è stata considerata con interesse anche nell’ambito classico. I suoi precedenti esperimenti a fianco di musicisti del calibro di Zubin Mehta, Kent Nagano e Pierre Boulez, invece, avevano sempre destato scalpore. Eppure il fascino della sua musica è dovuto proprio a questo atteggiamento onnivoro”, così tipico di chi non segue studi musicali re­ golari. Il suo universo musicale comprende le influenze più disparate, dal rhythm ’n’blues degli anni ‘50 alle sonorità di Edgar Varèse, dalla m usique concrete al rock’n’roll, da Strawinsky a Spike Jones, dal blues al jazz. In realtà la m usi­ ca di Zappa non assomiglia, nella sua più autentica sostan­ za, a nessuno di questi autori; è un insieme apparentem ente caotico di stili che viene tenuto in piedi dalla forza di una personalità inconfondibile, in grado di sintetizzare in modo personalissimo tutte queste differenti direzioni musicali at­ traverso un uso costante dell’ironia. Due anni prima della sua morte Zappa venne contattato dai musicisti dell’Ensem­ ble Modern di Fancoforte per una nuova commissione ca­ meristica. Il compositore propose loro di alternare nuovi brani a versioni inedite (riorchestrate in collaborazione con il musicista Ali. N. Askin) di suoi classici apparsi prece­ dentemente in versione rock. Il risultato finale fu un grande happening intitolato “The Yellow Shark”. La maestria di Zappa nell uso dei colori strumentali, il suo hum or corrosi­ vo e lo straordinario virtuosismo richiesto agli esecutori sono tutti presenti in modo scintillante in questi brani, au­ tentico esempio di “musica senza confini” in grado di ac­ contentare appieno i gusti più diversi. Carlo Boccadoro discografia selezionata S te v e R e ic h S te v e R e ic h Proverb - Works (10 CD) Different Trains Music for 18 Musicians L o u is A n d r ie s s e n - De Stijl L o u is A n d r ie s s e n - De Materie (2 CD) L o u is A n d r ie s s e n - De Staat F r a n k Z a p p a - The Yellow Shark S te v e R e ic h S te v e R e ic h - a cura d i: