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Anno XII - Numero 58 - 8 agosto 2007
In anteprima
La Stagione 2008
di opere e balletti al Costanzi
A Pag
2
Il Regista
Beppe Menegatti spiega
l’impostazione dei due titoli
A Pag
2
La storia di “Pagliacci”
Un fatto reale, ambientato
nel luogo originale:
Montalto Uffugo
A Pag
6 e 13
L’arte del clown
Storia dell’eterno
sforzo dell’uomo
per far sorridere
A Pag
8 e9
Romeo e Giulietta
Analisi e storia del
balletto di Prokof’ev
A pag.
15
PAGLIACCI
di Ruggero Leoncavallo
ROMEO E GIULIETTA
Suite dal Balletto di Sergej Prokof’ev
Pagliacci
2
Menegatti spiega l’impostazione dello spettacolo
R
Due regie sobrie per esaltare
la drammaturgia degli autori
za veronese. Lo spettacolo
sarà strettamente tradizionale, senza nessun’interferenza stramba e sarà interamente rispettato il libretto e
uggero Leoncavallo e
Sergej
Prokof’ev:
un‘abbinata d’eccezionale valore teatrale, Pagliacci e Romeo e Giulietta.
Due pezzi che avranno
lunga vita in questo caduco mondo che è il teatro. La mia lunga esperienza di teatrante mi
porta a occuparmi dei
Pagliacci per la seconda
volta. Ebbi un’esperienza straordinaria all’Arena di Verona, lo spettacolo fu lungamente lodato e grazie alla prestigiosa presenza di Placido Domingo (Canio)
potemmo realizzare un
lavoro in sé eccezionale.
In questo nuovo allestimento c’è un’idea diversa nella messa in scena
che riguarda soprattutto
l’aspetto drammaturgico,
già tesaurizzato nella bellissima struttura musicale di
Leoncavallo. Per lo spazio
delle Terme di Caracalla ho
tenuto conto dell’esperien-
soprattutto la musica.
L’ambientazione è fine 800.
Spetterà poi al valore interpretativo dell’ottimo cast
rendere viva l’azione scenica così altamente dramma-
I prossimi titoli della
Stagione 2007 al Teatro Costanzi
27 Novembre - 2 Dicembre
Direttore
Interpreti
21 - 30 Dicembre
Direttore
Interpreti
MOSÈ IN EGITTO
di Gioachino Rossini
Antonino Fogliani
Michele Pertusi, Giorgio Surian,
Anna Rita Taliento, Stefano Secco
LA VEDOVA ALLEGRA
di Franz Lehàr
Daniel Oren
Fiorenza Cedolins, Vittorio Grigolo, Markus Werba
~ ~ La Copertina ~ ~
Pagliacci di Ruggero Leoncavallo - Oleografia
Civica Raccolta Stampe Achille Bertarelli. Milano
Il G iornale dei G randi Eventi
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Andrea Marini
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tica: insomma vero teatro
musicale. Cinque personaggi coinvolti in una grande
tragedia, ma niente fiere intorno, niente pagliacciume,
nessuna concessione
come si è vista in altre
forme di spettacolo dove il vitalissimo nocciolo drammaturgico si
disperdeva in mille rivoli banalmente spettacolari, come se Pagliacci
fossero, invece di un
solidissima struttura
musicale sorretta da
una grande drammaturgia, affidati solo ad
un’aria che, se pur bella, non è certo superiore, per esempio, al
grande duetto NeddaSilvio. Perciò niente extra spettacolo, ma vera,
intensa, struttura morale drammaturgica, così
straordinariamente risolta
da Leoncavallo.
Per Romeo e Giulietta il riferimento più diretto per la
regia è stato basato sulle
prime novelle Da porto e
Bandello che ispirarono poi
il grande Shakespeare. L’idea è la stessa che guidò
Bellini per la stupenda opera Capuleti e Montecchi ed
un riferimento importante è
il libretto di Felice Romani,
nel quale sopravvivono Romeo e Giulietta, Tebaldo,
alcuni dei Capuleti e i cosiddetti “dame e cavalieri
veronesi”. Nella nostra suite non esiste più il personaggio
squisitamente
shakespeariano Mercuzio e
nemmeno i riferimenti alle
varie “piazze”. Esiste l’essenziale, come del resto lo
stesso Prokof’ev aveva fatto
per le due sue squisite suite
che si eseguono con gran
successo nei concerti. Per la
parte visiva dello spettacolo
siamo affidati nelle impareggiabili mani di Carla
Fracci, che più di ogni altra
ballerina ha scrutato il ruolo di Giulietta, danzandolo,
credo, numericamente più
volte in assoluto, tant’è che
la grande Ulanova, seconda
interprete della partitura di
Prokof’ev, ebbe a salutarla
come il monumento vivente alla grande eroina italiana Giulietta.
Beppe Menegatti
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Programma Stagione 2008
Teatro Costanzi
~ ~ Opere ~ ~
14-23 Gennaio, 22-27 Aprile
17-28 Giugno
TOSCA
CARMEN
di G. Puccini
di G. Bizet
22-28 Febbraio
7-12 Ottobre
RUSALKA
AMICA
di J. Dvorak
di P. Mascagni
8-15 Aprile
12-18 Novembre
LA FANCIULLA
DEL WEST
DER
ROSENKAVALIER
di G. Puccini
di R. Strauss
4-8 Maggio
VIAGGIO ALLA FINE
DEL MILLENNIO
6-14 Dicembre
di J. Bardanashvili e A.B.Yehoshua
di G. Verdi
ERNANI
~ ~ Balletti ~ ~
30 Gennaio - 3 Febbraio
11-20 Marzo
SERATA
DE CHIRICO
RAYMONDA
di A. Glazunov
LE BAL
20-29 Maggio
di V. Rieti
IL CORSARO
LA GIARA
di A. Casella
di R. Drigo, C. Pugni,
A. Adam e L. Délibes
APOLLON MUSAGÉTE
17-19 Ottobre
di I. Stravinskij
GISELLE
di A. Adam
7-10 Febbraio
20-31 Dicembre
IL LAGO DEI CIGNI
LO SCHIACCIANOCI
di P. I. Cajkovskij
di P. I. Cajkovskij
~ ~ Stagione estiva Terme di Caracalla ~ ~
1-3 Luglio
18-31 Luglio
FESTIVAL
DELLA
ZARZUELA
LUCIA DI
LAMMERMOOR
di G. Donizetti
(Balletto)
Compagnia ospite
27 Luglio - 3 Agosto
MADAMA BUTTERFLY
di G. Puccini
10-24 Luglio
8-14 Agosto
AIDA
QUO VADIS
di G. Verdi
(Balletto)
~~
La Locandina ~ ~
Terme di Caracalla, 8 - 14 agosto 2007
PAGLIACCI
Dramma lirico in due atti
Prima rappresentazione: Milano, Teatro Dal Verme, 21 maggio 1892
(direttore: Arturo Toscanini)
Libretto e musica di Ruggero Leoncavallo
Maestro concertatore e Direttore
Mestro del Coro
Regia
Impianto scenico
Costumi
Disegno luci
Hirofumi Yoshida
Andrea Giorgi
Beppe Menegatti
Cristian Biasci
Anna Maria Morelli
Patrizio Maggi
Personaggi / Interpreti
Nedda (nella commedia Colombina) (S)
Canio (nella commedia Pagliaccio) (T)
Maria Carola
Vincenzo La Scola /
Nicola Martinucci (10, 12, 14/8)
Tonio (nella commedia Taddeo) (Bar)
Carlo Guelfi /
Devid Cecconi (10, 12, 14/8)
Peppe (nella commedia Arlecchino) (T)
Francesco Piccoli
Silvio (Bar)
Domenico Balzani
Primo contadino
Antonio Taschini / Francesco Luccioni (12, 14/8)
Secondo contadino
Giordano Massaro / Vincenzo Di Betta (12, 14/8)
ORCHESTRA, CORO E CORPO DI BALLO DEL TEATRO DELL’OPERA
Nuovo Allestimento
D
Il
Pagliacci
Giornale dei Grandi Eventi
ue titoli, due brevi
doppi atti, una
Suite dal balletto
Romeo e Giulietta di
Prokof’ev e l’opera Pagliacci di Leoncavallo, per
chiudere questa stagione
estiva alle Terme di Caracalla, nel 70° anniversario
dell’Opera in questo luogo: si iniziò nel 1937 e da
allora questo appuntamento è divenuto una
tradizione, interrotta solo
dal 1940 al 1944 per gli
eventi bellici e dal 1994 al
2000 per problemi di conservazione del monumento.
La regia di entrambi i lavori è stata affidata a
Beppe Menegatti, storico
compagno di Carla Fracci
ormai da anni direttrice
del Corpo di Ballo del
Teatro dell’Opera di Roma.
Per Romeo e Giulietta, al
posto dell’intero balletto,
che avrebbe occupato
tutta la serata, è stata preparata una Suite, la quale
raccoglie tre delle coreografie più belle di questo
lavoro del compositore
ucraino che debuttò nel
1938 a Brno, in Cecoslovacchia, poiché il regime
sovietico vi voleva imporre un “lieto fine” per
“alleggerire” propagandisticamente gli animi
degli spettatori: quella di
Loris Gai, di Eric Bruhn
per la scena dell’addio e
di Rudolf Nureyev per il
passo a due della scena
del balcone.
Pagliacci, invece, in questo nuovo allestimento
dell’Opera di Roma, con
le scene di Cristian Biasci
ed i costumi di Anna Maria Morelli, viene presentato nella maniera più
classica - ambientazione
nell’800 - senza eccessive
sovrastrutture, nel rispetto delle indicazioni dell’autore, il quale per la
3
Le Repliche
mercoledì 8 agosto, ore 21,00
venerdì 10 agosto, ore 21,00
sabato 11 agosto, ore 21,00
domenica 12 agosto, ore 21,00
martedì 14 agosto, ore 21,00
trama si ispirò ad un fatto di cronaca realmente
accaduto a Montalto Uffugo, in Calabria, dove il
padre era giudice penale.
Direttore d’orchestra è il
39enne giapponese Hirofumi Yoshida.
Balletto ed Opera per l’ultimo appuntamento a Caracalla
La vicenda, che trae spunto da un reale fatto di
cronaca al centro di un processo di cui fu giudice
il padre di Leoncavallo, si svolge a Montalto Uffugo in Calabria, il giorno di Mezzagosto, fra il
1865 e il 1870.
convincere e promette di fuggire con lui durante la
notte.
Preso dalla rabbia per il rifiuto di Nedda, Tonio
racconta il segreto della donna al marito Canio, il
quale accorre per sorprenderla durante il convegno amoroso. Silvio
però riesce a fuggire e Canio, minacciando Nedda, tenta di farle confessare il nome dell'amante. A questo punto interviene il commediante
Peppe e ricorda a Canio che la recita sta per cominciare.
Canio soffre, ma deve tenere per sé i suoi sentimenti. Questo è il destino dei pagliacci: tramutare il pianto in risate e il dolore in smorfie.
La Trama
Prologo: il commediante Tonio annuncia la commedia che sta per es-
sere rappresentata ed il credo artistico dell'autore. Spiega che si tratta di
un soggetto Verista, il quale racconta degli autentici sentimenti umani
che possono nascondersi dietro la finzione scenica.
Atto I: Nel paese calabrese, alle tre del pomeriggio. I contadini acclamano
festosi l'arrivo di un gruppo di teatranti di girovaghi. Il capo della compagnia Canio, vestito da pagliaccio, invita tutti i contadini e le contadine allo spettacolo che si terrà in serata.
Canio sospetta che il commediante Tonio insidi la moglie Nedda e lo
avverte che, se nella finzione la scena di una sposa sorpresa in flagrante tradimento può creare una situazione comica, nella realtà una vicenda simile potrebbe concludersi in tragedia. Il discorso è interrotto dall'arrivo degli zampognari. Le donne si avviano verso la chiesa e gli uomini in taverna, lasciando Nedda da sola.
La donna non riesce a nascondere il proprio turbamento dopo le parole del marito e canta un'aria in cui celebra la libertà degli uccelli nel
cielo.
Nel frattempo Tonio si avvicina e le confessa il proprio amore, ma ella
lo respinge deridendolo e gli dice di tenere le sue confessioni d'amore
per lo spettacolo della sera. Addolorato, il commediante giura di vendicarsi.
Entra in scena Silvio, un giovane possidente di campagna della zona, il
vero amante di Nedda. La donna gli racconta l'accaduto e Silvio le propone di fuggire con lui la notte stessa: in questo modo potrà affrancarsi dal marito e dalla vita girovaga che non ama. Mentre Nedda cerca di
resistere a queste proposte, Tonio ritorna non visto e ascolta le parole di
Silvio. Alle continue insistenze del giovane possidente, Nedda si lascia
Atto II: La sera, durante la rappresentazione della commedia. I contadini e
le contadine accorrono per assistere allo spettacolo dei pagliacci, accolti da Tonio, Peppe e Nedda. Fra gli spettatori c'è anche Silvio.
Lo spettacolo inizia. Colombina (Nedda), in assenza del marito Pagliaccio (Canio), attende il buffo servo Taddeo (Tonio) che le deve portare la
cena. Giunge Arlecchino (Peppe) pronto a dichiararle il suo amore. Arriva quindi anche Taddeo il quale, nonostante le sarcastiche battute di
Colombina, le confessa di non riuscire a dimenticarla, ma accortosi della presenza di Arlecchino, se ne va, lasciando soli i due innamorati.
Mentre Arlecchino rinnova le sue promesse d'amore e propone a Colombina di avvelenare il marito e quindi fuggire insieme, Taddeo ritorna ed annuncia l'imminente arrivo di Pagliaccio.
Arlecchino si dilegua, mentre Pagliaccio entrando in scena ode pronunciare da Colombina le medesime parole che ella - nella realtà - aveva detto poche ore prima a Silvio. In quello spettacolo si ripete, dunque,
la stessa scena di gelosia del pomeriggio. Pagliaccio vuole conoscere il
nome dell'amante di Colombina. A questo punto finzione e realtà si
confondono. Quando la donna risponde che l'uomo che era con lei è Arlecchino, il marito la incalza chiedendole il nome del suo vero amante
ed accecato dalla gelosia, la colpisce con un pugnale.
Nedda cade invocando Silvio. L'amante accorre al suo fianco, ma Canio
uccide anche lui. Poi, rivolgendosi al pubblico, annuncia: «La commedia
è finita!».
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Pagliacci
Maria Carola
Nedda, moglie infedele
ed amante di Silvio
I
l ruolo di Nedda (nella commedia Colombina) sarà interpretato dal
soprano Maria Carola. L’artista si è diplomata in violino sotto la direzione del M° Guida, presso il Conservatorio di Avellino. Successivamente ha intrapreso lo studio del canto, con Elisabetta Fusco e Carlo
Desideri, conseguendo il diploma con il massimo dei voti. Ha frequentato come alunna effettiva i corsi estivi dell’Accademia Chigiana di Siena (studiando con Kabaiwanska, Verrett, Bruson). Ha vinto il concorso
“Giovani Talenti” di Napoli (2000) ed
il concorso internazionale “Città di
Bevagna”. La cantante è ospite frequente del palcoscenico dell’Opera di
Roma: nel 2004 ha partecipato alla
produzione dell’opera Elektra di
Strauss diretta da Will Humburg e la
regia di Henning Brockhaus. Nella
stagione estiva dello stesso anno,
presso le Terme di Caracalla, ha debuttato come Leonora ne Il Trovatore
di G. Verdi. Nel marzo 2006 si è esibita come Maria nella Maria Stuarda di
Donizetti e nel dicembre dello stesso
anno è stata Micäela nella Carmen di
Bizet. Sempre al 2006 risale la sua ultima partecipazione come Nedda nei
Pagliacci di Leoncavallo, nella città di
Macau (Hong Kong).
Maria Carola
Carlo Guelfi e Devid Cecconi
Tonio, commediante
innamorato e
non ricambiato
P
resteranno la voce a Tonio (nella commedia Taddeo) i baritoni
Carlo Guelfi (nei giorni 8 e 11 agosto) e Devid Cecconi (10, 12 e 14
agosto).
Carlo Guelfi è nato a Roma e ha studiato canto con lo zio, il maestro Renato Guelfi. Dopo il successo ottenuto al concorso “Adriano Pertile”, ha
iniziato una brillante carriera. Il colore scuro della voce del baritono, la
nobiltà nel porgere, la proverbiale dizione, la grande facilità nel canto legato, il sapiente uso della mezza voce
uniti ad una bella presenza scenica, lo
hanno imposto sulla scena internazionale quale buon interprete del repertorio verdiano e verista. La schiera dei
grandi personaggi delle opere di Verdi
si è ulteriormente arricchita con i debutti in Nabucco alla Fenice di Venezia, Stiffelio al Teatro Sao Carlos di Lisbona e
Don Carlos al Teatro Comunale di Firenze. Si aggiungono ai già collaudati Rigoletto e Simon Boccanegra, del quale è
importante l’edizione del Maggio Musicale Fiorentino diretta da Claudio Abbado; Macbeth, Otello con il quale ha
inaugurato la stagione 2004/05 al MeCarlo Guelfi
tropolitan di New York con la direzione
di James Levine, Un Ballo in Maschera, Trovatore, Traviata. Tra i suoi grandi personaggi veristi ricordiamo Scarpia in Tosca, Gerard in Andrea Chenier, Rance in Fanciulla del West, Michele in Tabarro e Gianni Schicchi.
Il talento del trentacinquenne fiorentino Devid Cecconi è emerso nell’ambito del concorso “Mattia Battistini” (2006). Il successo nel concorso
ha reso possibile al cantante il debutto nel ruolo di Rigoletto con la direzione del maestro Sergio La Stella e la regia di Dario Micheli. La formazione di Cecconi è avvenuta con il baritono Rolando Panerai e con il
5
Vincenzo La Scola e Nicola Martinucci
I
Canio, marito di Nedda
ed infelice Pagliaccio
l ruolo di Canio (nella commedia Pagliaccio) sarà interpretato
alternativamente dai tenori Vincenzo La Scola (8, 11 agosto) e Nicola Martinucci (10, 12, 14 agosto).
Vincenzo La Scola, di origine palermitana, ha debuttato nel 1983 a Parma nel Don Pasquale di Donizetti,
avviando nell’85, a Bruxelles, la sua
carriera internazionale. Nel 1988 ha
esordito alla Scala in L’elisir d'amore
diretto da Patanè. Sempre dello
stesso anno è il debutto al Comunale di Bologna in Le Maschere di Mascagni, sotto la direzione di Gianluigi Gelmetti. Tra le sue esecuzioni
più celebri, da ricordare nel 1993, al
Metropolitan di New York, quella Vincenzo La Scola
come Rodolfo in La Bohème e nel
1995, quella in Rigoletto; nel 1996, al Covent Garden di Londra,
è stato Alfredo ne La Traviata. Nel 2000, dopo aver vinto l’Award
Opera come miglior tenore, ha eseguito sotto Abbado Simon Boccanegra al Maggio Musicale Fiorentino. Ha aperto la stagione
2002/03 della Lyric Opera di Chicago con la Cavalleria Rusticana
e la stagione del Regio di Torino con Simon Boccanegra. Nel 2004
è stato nominato docente e direttore artistico dell’Accademia
Verdi-Toscanini della Fondazione Toscanini di Parma.
Nato a Taranto, Nicola Martinucci è stato allievo di Mario e Marcello del Monaco e si è perfezionato lavorando con importanti direttori e registi (attualmente studia con Gianfranca Ostini). Nel 1966
è risultato vincitore del concorso
“As.Li.Co.”; in seguito a ciò è avvenuto
il suo debutto operistico con Il Trovatore.
Del suo repertorio da ricordare Aida, Turandot, Andrea Chenier, Tosca, Pagliacci,
Norma, Fanciulla del West, Manon Lescaut,
Madama Butterfly, Trovatore. Tra le esibizioni più celebri dell’artista ci sono quella del Principe Calaf in Turandot, nel
1998, al teatro La Maestranza di Siviglia,
al Regio di Torino ed allo Sferisterio di
Macerata. Altro successo di pubblico e
di critica è stata la sua interpretazione di
Canio nei Pagliacci al Ravenna Festival,
sotto la direzione di Riccardo Muti.
Nicola Martinucci
maestro Andrea Severi. Caratterizzano il cantante una voce ampia e pastosa, con acuti sicuri e capaci di impressionare, mezzevoci e centri ben
calibrati e una recitazione attenta. Nel
2003 ha debuttato con buon successo
nel ruolo di Scarpia in Tosca a Firenze, rappresentata durante il Festival
d’Estate in Piazza Santa Maria Novella. Nel 2004 ha debuttato il ruolo di
Sharpless in Madama Butterfly al Teatro dei Differenti di Lucca in occasione dei festeggiamenti per il Centenario dell’opera pucciniana. Nel 2005 ha
raccolto un notevole successo alla
Royal Opera di Toronto (Canada) dove ha debuttato, nella stessa serata,
nel doppio ruolo di Alfio in Cavalleria
Devid Cecconi
Rusticana e di Tonio in Pagliacci.
Pagina a cura di Diana Sirianni – Foto: Corrado M. Falsini
Pagliacci
6
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La Storia dell’Opera
“D
Quel Prologo, quasi un manifesto verista
opo il successo di
Cavalleria
mi
chiusi in casa disperato ma risoluto a tentare
l’ultima battaglia e in cinque
mesi scrissi il poema e la musica di quest’opera...”.
È lo stesso Leoncavallo a
collegare idealmente i suoi
Pagliacci alla fortunata opera del debutto mascagnano, quella Cavalleria rusticana che due anni prima, nel
1890, al Teatro Costanzi di
Roma aveva spalancato la
nuova, ultima, incredibile
stagione del teatro musicale italiano.
Cavalleria, ispirata a Verga,
aveva elettrizzato un ambiente in crisi che attendeva lo scossone, l’arrivo di
un nuovo artista in grado
di raccogliere l’eredità di
Verdi. Puccini aveva prodotto le sue prime opere
giovanili, ma non era ancora arrivato il vero successo
di Manon Lescaut (1893).
Sicché, in realtà, il vero dominatore delle scene continuava ad essere il vecchio
Verdi, il cui Falstaff era atteso in maniera quasi spasmodica. Mascagni creò
l’evento nuovo e gli altri
musicisti etichettati poi come “Giovane Scuola italiana” gli corsero dietro, cercando di bissarne il trionfo.
Il più sollecito fu Leoncavallo, il quale pensò di rimanere nelle atmosfere di
Cavalleria rusticana. Scelse lo dichiarò egli stesso - una
vicenda reale alla quale
aveva assistito, un fatto di
sangue avvenuto nel 1865
a Montalto di Calabria e
giudicato da suo padre,
Enrico Caruso
Enrico Caruso nel ruolo di Canio
magistrato di idee liberali.
In realtà di quel tragico
episodio solo alcuni particolari sono confluiti nel libretto. Lo spunto arrivò
dalla coltellata con la quale
un giovane del paese aveva ucciso per gelosia il domestico di casa Leoncavallo. La cornice festosa fu invece suggerita dalla particolare solennità del ferragosto di Montalto, dedicata alla Madonna della Serra. Fonti letterarie furono
invece La Femme de Tabarin
di Catulle Mendès e Un
Drama nuevo (1867) di Manuel Tamayo y Baus.
L’opera, rifiutata da Ricordi, fu acquistata da Sonzogno. Un ottimo affare: Pagliacci e Cavalleria da allora
formano un dittico perfetto.
Il debutto
Il debutto avvenne il 21
maggio 1892 al Dal Verme
di Milano con la direzione
di Arturo Toscanini e l’interpretazione, nei panni di
Tonio, di Victor Maurel
che era stato il primo Jago
verdiano. Fu un successo
sincero di pubblico con
qualche riserva da parte
della critica e dell’intellighenzia di allora. Nel giudicare le opere di quel periodo non c’erano mezze misure. O le si amava o le si
odiava con passione.
Achille Tedeschi sul “Corriere della sera” profetizzò,
sbagliando clamorosamen-
te: “Successo immediato quanto effimero”. Rimski-Korsakov definì il lavoro leoncavalliano “musica illusionista” e Camille Bellaigue
affermò di aver provato orrore durante l’ascolto.
Renè Leibowitz, tuttavia,
uno degli apostoli della
dodecafonia, nella sua Histoire de l’Opera considerò il
lavoro degno “di occupare
un posto privilegiato tra i capolavori dell’arte lirica”.
I giudizi della critica non
interessavano l’editore, cui
stavano a cuore solo gli esiti commerciali. E il 2 giugno Sonzogno scriveva con
soddisfazione a Guido Menasci, uno dei due librettisti di Cavalleria rusticana:
“... Pagliacci sono un vero
successo e Leoncavallo, alla
dovuta lunga distanza da Pietro [Mascagni] è un compositore facile e che ha il colpo
d’occhio teatrale sicuro. Ormai l’omnibus musicale della
Scuola Mascagni è al completo... Coi compositori che ho
già e coi concorsi triennali io
faccio già più di quello che si
può fare per determinare il risveglio dell’arte musicale italiana e farle riprendere il primato nel mondo...”.
Prologo verista
“Opera in un atto” era definita nel libretto Pagliacci
alla sua prima stesura. Durante le prove, però, Leoncavallo pensò (forse su
suggerimento di Maurel)
di introdurre il Prologo, di
suddividere il lavoro in
due parti e di inserire l’Intermezzo orchestrale.
Il Prologo acquistò un’importanza fondamentale
perché divenne una sorta
di manifesto del verismo:
“Io sono il Prologo. Poiché in
scena ancor le antiche maschere mette l’autore, in parte
ei vuol riprendere le vecchie
usanze e a voi di nuovo inviami. Ma non per dirvi come
pria: “Le lagrime che noi versiam son false! Degli spasimi
e dei nostri martir non allarmatevi!” No. L’autore ha cercato invece pingervi uno
squarcio di vita. Egli ha per
massima sol che l’artista è un
uomo e che per gli uomini
scrivere ei deve. E al vero ispiravasi... Dunque vedrete
amar sì come s’amano gli esseri umani; vedrete de l’odio i
tristi frutti. Del dolor gli spasimi, urli di rabbia udrete e risa ciniche”.
Opera di grande effetto
drammatico, Pagliacci contiene alcune pagine di grande popolarità. Si pensi natu-
I
ralmente a “Ridi pagliaccio”
che, in un procedere melodico teso, su uno strumentale
scuro, riassume l’essenza
stessa del dramma: il contrasto fra l’apparenza doverosamente gaia dell’attore e il
suo animo scosso dalla gelosia e dal dolore. L’elemento
di maggior novità sta nella
costruzione drammaturgica
dell’opera, una sorta di teatro nel teatro, formula assai
cara al Novecento. Ed è proprio questa trovata a rendere la trama avvincente: dalla
finzione si passa alla realtà
(anch’essa finzione!) in un
gioco che, come nella vita,
mescola commedia e tragedia. Il coro che in scena assiste alla rappresentazione
delle maschere è protagonista e pubblico insieme e
quella
rappresentazione
passa dal divertimento alla
efferatezza di un omicidio
senza soluzione di continuità, in un gioco macabro
governato da Leoncavallo
con indubbia efficacia musicale.
Roberto Iovino
La polemica
con Mendès
l tema della gelosia che scatena la tragedia non era insolito al tempo di Leoncavallo. Si pensi a Carmen, Otello, Cavalleria rusticana.
Ma l’opera che doveva portare il compositore napoletano
alla ribalta somigliava in maniera impressionante a La
Femme du tabarin del francese Catulle Mendès (1841-1909),
che di recente era stata pubblicata a Parigi. Era questa una
novella in dialogo (che l’autore aveva redatto in forma di
pièce teatrale in un atto) in cui un delitto d’onore veniva
consumato sulle tavole del palcoscenico, tra l’incredulità
degli spettatori. La concordanza tra il libretto di Leoncavallo e il testo di Mendès dimostra che il musicista aveva
avuto certamente modo di conoscere la pièce.
Mendès, venuto a conoscenza del libretto di Leoncavallo,
protestò vigorosamente contro il presunto plagio e con
una lettera sul “Figaro” del 9 giugno 1899 rivendicò la
paternità del soggetto e intentò addirittura una causa.
La causa fu poi ritirata (giacché anche La Femme du Tabarin aveva dei precedenti letterari!), ma Leoncavallo volle
lo stesso ribattere alle accuse. Rivelò allora di aver tratto
ispirazione da un fatto realmente accaduto, un delitto
d’onore a cui egli aveva assistito in prima persona durante l’infanzia trascorsa in Calabria.
Per rafforzare la sua difesa, il compositore citò come testimone proprio quel D’Alessandro (nell’opera Canio),
che aveva commesso il delitto e che, uscito di prigione,
era stato assunto a servizio dal barone Sprovieri in Calabria.
E. Ca.
Il
Pagliacci
Giornale dei Grandi Eventi
7
Guida musicale
Preludio e Prologo,
immagini dell’opera
L’
immagine di tutto
quello che è la musica
dei Pagliacci è racchiusa nel Preludio, perfetto scenario che anticipa i colori accesi del resto dell’opera. Una
musica vivace, quasi elettrizzata, sottolinea l’atmosfera
gioiosa e rustica di festa paesana, pur senza giocare la
carta scontata della melodia
popolare. La strumentazione
ricca e onnipresente svolge
un discorso a immagine di
tutta l’opera, accenna tre dei
quattro leitmotiv organizzati
dall’autore e oppone violentemente la piena orchestra
alle risposte acute e trillanti
dei flauti e dell’ottavino. La
struttura ritmica è impiantata su una tradizionale misura
ternaria di 3/8 da cui si discosta per accennare in 2/4
al corno, piano e dolorosamente, lo straziante tema
della risata dolorosa del pagliaccio. È il motivo conduttore più fortunato dell’opera,
ma Leoncavallo sceglie di
non abusarne facendolo ricomparire solo al termine del
primo atto, nel celebre arioso
“Vesti la giubba”, e alla fine
dell’opera dove, con un’esplosione orchestrale in fortissimo (fff), accompagna la
frase finale di Tonio “…la
commedia è finita!”.
Il secondo leitmotiv compare
subito dopo: è quello dell’amore adulterino tra Nedda e
Silvio, che ricorre spesso con
varie trasformazioni melodiche nell’opera. Ad esso segue, quasi simbolicamente,
quello della gelosia di Canio,
serpeggiante, accennato dai
violoncelli.
Dopo la ripresa del tema iniziale, il Preludio si lega direttamente al Prologo, introduzione classica del melodramma secentesco che viene volutamente ripreso da Leoncavallo: è un momento di
estrema difficoltà vocale che
spinge la voce del baritono
ad acuti impegnativi, come il
la bemolle e il sol naturale. La
vocalità verista, infatti, è tutta sfogata tra il registro centrale e quello acuto con grandi salti di sesta e quarta; è
prorompente, fortemente
espressiva e sovente all’unisono con l’orchestra.
Il Prologo si deve al celebre
baritono francese Victor
Maurel: famoso più per le
sue eccezionali qualità di interprete che per la bellezza
della sua voce, suggerì a
Leoncavallo di aggiungere
questa famosa pagina musicale che, oltre ad essere un
importante spazio solistico
per il baritono, assume una
valenza fondamentale per
quanto riguarda l’enunciazione di alcuni importanti
aspetti della poetica verista
dell’autore.
Tonio, lo scemo, si presenta
al pubblico secondo la tradizione della Commedia dell’Arte e, come un allegoria
della coscienza dell’artista,
spiega le intenzioni del compositore che, ispiratosi a un
fatto realmente accaduto, ha
cercato di dipingere uno
squarcio di vita: “egli ha per
massima sol che l’artista è un
uom e che per gli uomini scrivere ei deve!”. Con tale affermazione Leoncavallo esprime,
anche se in maniera non del
tutto ancora cosciente, un
cambiamento storico nel rapporto compositore-pubblico,
ovvero lo spostamento dell’asse della comunicazione
artistica verso l’interlocutore,
la rinuncia allo statuto demiurgico dell’artista-creatore, a cui si sostituisce l’assecondamento del gusto dell’ascoltatore. Come scrissero i
musicisti della Giovane
Scuola verista: “Il miglior giudice di musica è infatti il nostro
cuore commosso”.
Nella seconda parte del Prologo, che ha la forma tradizionale dell’aria, si manifesta
l’aspetto fondamentale dei
sentimenti, esposti in tutta la
loro umanità, seppure spinti
all’estremo. Mentre il musicista compone, le lagrime
scendono sul suo viso ed egli
è intimamente partecipe del
dramma nel quale ognuno
può ritrovare un po’ di se
stesso. Dopo un magniloquente “Incominciate!” di Tonio, si apre il sipario…
Dopo il folgorante successo
della prima recita al Teatro
Dal Verme di Milano, l’opera
fu replicata immediatamente
nei grandi teatri lirici stranieri di Vienna, Varsavia, Berlino, ottenendo strepitosi e reiterati successi.
All’ammirazione entusiastica del pubblico, per lungo
tempo non corrispose, comunque, una benevola considerazione da parte della
critica: la stampa specializzata tedesca cercò di ridimensionare la novità rappresentata da Pagliacci sottolineando una presunta diretta filiazione dalla musica del “campione” locale Wagner. Si
scrisse che senza Tristano e
Isotta o senza i Maestri cantori
di Norimberga una simile opera non sarebbe mai stata concepita. Effettivamente, considerando che Leoncavallo era
stato il librettista di se stesso
e che nell’opera ricorrono
ben quattro leitmotive, si può
immaginare come il wagnerismo avesse lasciato tracce
profonde anche in Italia. Il
giovane compositore, appena uscito dal Conservatorio
di Napoli, si professava un
seguace dell’idea wagneriana, pur senza abbandonare
le caratteristiche e le antiche
tradizioni della musica italiana che ritroviamo ben pre-
D
senti
in
tutta la sua
produzione. Tuttavia la sua
era una
musica
nuova, che
sfuggiva a
quel predeterminato controllo dall’alto che il La prima edizione dello spartito Pagliacci
modello
wagneriano richiedeva: essa talia e perdurò fino all’interpuntava alla sollecitazione vento del grande critico e
dell’emotività immediata del musicista René Leibowitz, il
quale per primo prese le dipubblico.
Anche la critica francese eb- fese del Verismo musicale.
be parole sprezzanti per L’opera italiana stava infatti
questa musica “tumultuosa e rialzando la testa dopo l’evistosa” di cui null’altro sa- saurimento del filone ropeva dire se non che i facili mantico e questo non poteeffetti drammatici e un liri- va che preoccupare fortesmo grossolano la destina- mente i francesi, legati alla
vano al pubblico piccolo produzione naturalistica di
borghese delle grandi città autori come Alfred Bruneau
italiane. Tale atteggiamento e Gustave Charpentier, e i
di sufficienza era nient’altro tedeschi, fedeli al genio di
che un tentativo di arginare Bayreuth.
Andrea Cionci
la novità proveniente dall’I-
Pagliacci all'Opera di Roma
Caracalla - Costanzi 9 a 8
opo quasi due anni dall'esordio milanese, Pagliacci giunse al Teatro Costanzi il 18 gennaio 1894. Direttore fu Gaetano Cimini. Fra gli interpreti Carlo Lanfredi
(Canio), Lina Pasini Vitale (Nedda) e Vittorio
Brombara (Tonio).
Pochi anni dopo (il 19 ottobre 1914) una speciale serata fu organizzata per i rimpatriati
dalle terre occupate. Per l'occasione giunsero
a Roma Arturo Toscanini e cantanti d'eccezione come Enrico Caruso (uno dei massimi interpreti del ruolo di Canio), Lucrezia Bori e
Giuseppe De Luca.
L'edizione successiva fu nel maggio 1922 con
le scene di Cesare Ferri e Ettore Polidori. Sul
podio Giulio Falconi per dirigere Fortunato
De Angelis, Hina Spani e Benvenuto Franci.
Dovettero passare quindi vent'anni e fu la
volta di Tullio Serafin che il 4 aprile del 1942
guidò Iris Adami Corradetti, Tito Gobbi ed il
tenore Beniamino Gigli al suo esordio nel ruolo di Canio. La regia era di Marcello Govoni e
le scene di Camillo Parravicini, il quale tornò
a Roma anche il 16 gennaio del 1958 per uno
spettacolo diretto da Oliviero De Fabritiis, con
la regia di Carlo Acli Azzolini e le voci di Mario Del Monaco, Nora De Rosa e di nuovo Tito Gobbi.
Mentre alle Terme di Caracalla le rappresentazioni estive di Pagliacci continuavano con
sorprendente regolarità (si contano ben 7 edizioni fra il 1945 ed il 1960, più una nel 1939),
per riascoltare l'opera al Costanzi bisognò
aspettare quasi 35 anni, fino al Centenario
della prima rappresentazione. Il 2 maggio
1992 i Pagliacci tornano con la direzione di Daniel Oren, la regia ed il famoso allestimento
ambientato a Napoli firmato da Franco Zeffirelli. Fra i protagonisti c'erano Leo Nucci, oltre a Giuseppe Giacomini, Cecilia Gasdia e
Lorenzo Saccomani.
Ancora Zeffirelli regista nel giugno del 1994.
Direttore Angelo Campori. Interpreti Giuseppe Giacomini e Nicola Martinucci (Canio),
Cecilia Gasdia e Carmela Apollonio (Nedda),
Paolo Gavanelli (Tonio), Claudio Otelli (Peppe) e Orfeo Zanetti (Silvio).
L'ultima rappresentazione all'Opera di Roma,
in un Costanzi appena dotato di un sistema di
aria condizionata, per la stagione estiva 2002.
Dal 24 luglio al 3 agosto in scena l’allestimento del Teatro Comunale di Bologna e del Teatro Massimo Bellini di Catania con la regia di
Liliana Cavani ripresa da Giovanna Maresta
ambientato nella periferia romana degli anni
’50. Direttore Pier Giorgio Morandi. Interpreti
Svetla Vassileva, Angeles Blancas Gulin, Simona Baldolini (Nedda), Nicola Martinucci,
Alberto Cupido e Josè Cura (Canio), Luo Nucci e Alberto Mastromarino (Tonio).
La. Fa.
Pagliacci
8
Il
Giornale dei Grandi Eventi
L’arte del pagliaccio
Da “uomo del villaggio”
a beniamino
di bambini ed adulti
C
lown, termine inglese, significa uomo
del villaggio. È una
deformazione di clod, e deriva dal latino colonus: abitatore di colonia, colono,
contadino. Per estensione,
equivale a villano, impacciato, goffo.
È difficile stabilire la sua
prima apparizione nel
mondo dello spettacolo.
Esso non è, infatti, che il
grottesco nello spettacolo e
pertanto nasce con lo spettacolo.
rimprovero: “Procurate che
quelli che fan le parti dei
buffoni non dican più di
quanto è scritto per loro; perché ce n’è di quelli che ridono
essi stessi, per indurre una
certa quantità di stupidi spettatori a ridere pure, benché
frattanto debba prestarsi attenzione a qualche battuta essenziale del dramma”.
Come il campo di Enrico V
ha il suo soldato “spaccone”; come un carattere eminentemente tragico, quale il
Don Giovanni, è affiancato
“Concerto in maschera” di Richard Geiger. (Collezione Privata)
È una reincarnazione del
mimo e del sannio, del personaggio comico della
commedia e del giullare. È
il diavolo e il vizio della sacra rappresentazione e del
mistero. È il prosecutore
delle tradizioni delle maschere della commedia dell’arte: zanni (da sannio) e
arlecchini. Ma soprattutto
rappresenta un elemento
naturale, spontaneo, eterno, dello spettacolo. È il
servo sciocco spagnolo (el
gracioso). È il giullare (jester
o fool) del teatro elisabettiano e si confonderà più tardi con Pierrot e Pulcinella.
È il comico - già preesistente allo Shakespeare - cui
Amleto rivolgerà qualche
da Sganarello, nuovo Sancho per nuovo Don Chisciotte; come
perfino negli
oratori appaiono, talvolta, sulla scena di una
cattedrale, le
maschere comiche (ricordo il
Guglielmo d’Aquitania del Pergolesi), così non
v’è forma di
spettacolo che,
rovesciando l’azione tragica e
la
tensione
d r a m matica al grottesco, non esiga
la presenza del Il clown Rhum
clown. Il quale è, più che un
personaggio rituale, la materializzazione stessa di
una sfaccettatura, di una
esigenza naturale e spontanea dell’animo umano: l’elemento che commenta, che
irride, che giuoca e che alleggerisce, anche dal di
dentro, il dramma.
Nelle giostre e tauromachie di Corea, cui accennano anche i sonetti del Belli,
intervengono i nani per
una parodia della corrida,
documentata in stampe
“taurine” anche dal Pinelli.
Nelle corse dei bàrberi, come quelle del Palio di Siena, appare di tanto in tanto, a sollazzo della folla, il
fantino gobbo, o esotico, o
lillipuziano, dal nomignolo
burlesco, che assume nello
spettacolo il ruolo di clown.
Nel rodeo troveremo sempre, accanto ai più abili cavalieri, il montatore - impiastrato di fuliggine d’un asino o d’un bufalo
che finisce per essere gettato comicamente a terra, dopo aver resistito a una serie
di tentativi sempre più violenti per essere disarcionato. Nelle riviste su ghiaccio
o acquatiche non aspetteremo molto a vedere apparire il pattinatore o il tuffatore comico, vestiti in maniera ridicola: il tuffatore, poniamo, in un vecchio costume a strisce del principio
del secolo. E in tutti questi
personaggi, e in molti altri,
L'Orchestre du Cirque in una illustrazione di Paris Illustrè del 1883
dove più, dove meno, per
quanto differenti siano le
sfumature con cui si presentano, è in germe il personaggio del clown.
Ma nel circo il clown raggiunge il suo vero posto e
si realizza più compiutamente. Staccandosi dalla
tragedia e dalla commedia,
in cui interviene come una
coloritura d’ambiente, come una diversità, diventa
autonomo. Non è più il villano importuno delle ecloghe cinquecentesche dei
“Rozzi” che interrompe i
teneri colloqui delle Ninfe
e dei Pastori e ne viene cacciato con insulti e bastonate, né è l’incauto buffone
che Amleto tiene a bada. È
- finalmente - il meneur du
jeu; e soltanto qui l’attributo di clown, uomo rustico,
uomo della colonia, diventa soggetto. Non più rincalzo, né condimento; assume, infine, il ruolo di protagonista.
Quali sono le caratteristiche del clown? Quali gli
elementi della sua arte?
Ascoltiamo che cosa richiede Francesco Fratellini, che
fra i clowns è stato tra i più
grandi, da un vero clown. E
ne ricostruiremo le caratteristiche e virtù che si avvicinano, come è facile accorgersi, al tipo stesso del comico dell’arte: “Un pagliaccio non deve solo saper far l’idiota per divertire la gente;
deve essere acrobata, danzatore, prestigiatore e cavallerizzo, ciarlatano e un pochino
musicista. Il pagliaccio deve
conoscere tutte le arti insieme.
Ecco che cosa occorre per diventare un clown sul serio,
un clown in grande. E questo
è niente se l’artista non trova
in sé l’ispirazione e quella, caro mio, non c’è nessuno che la
possa insegnare”.
Confrontiamo il clown
“ideale”, ora, con un famoso comico dell’arte, Tiberio
Fiorilli detto Scaramuccia, e
vediamo in che cosa consiste il suo spettacolo: è saltatore, acrobata, ammaestratore di bestie - si presenta
sempre col suo fedele pappagallo - cantante, musicista, versificatore, danzatore, imitatore. Nell’ “entrata” del “Minuetto dell’Asinello” dà fuoco a tutte le
polveri del suo repertorio:
“L’Asinello innamorato / canta e raglia a tutte l’ore / pare
Il Trio Louis Ronx, Geo, Foottit, Madame F
Foottit
Il
Pagliacci
Giornale dei Grandi Eventi
9
I Clown che hanno fatto storia
L’eterno comico contrasto
tra il “Magnifico” e lo “Zanni”
A
un musico affannato / quando
narra il suo valore / e cantando d’amor va - ut re mi fa sol
la” (ragli).
Dalla osservazione comica,
dalla caduta, dal frizzo, dal
lazzo, dalla capriola, il
clown, come nel “Minuetto
dell’Asinello”, è passato all’
“intermezzo”, all’ “entrata”,
al “numero”. Prima ha intrattenuto il pubblico tra un
esercizio e l’altro del volteggiatore o dell’acrobata, poi
ha eseguito lui stesso qualche virtuosità musicale, infine è arrivato a compiere,
dapprima da solo, poi accompagnato da altri pagliacci, il suo numero o entrata comica: commedia sintetica, sketch, mimodramma
comico.
Mario Verdone
ffermatosi in Inghilterra, il primo
clown è di origine
italiana. Si chiama Joe Grimaldi, è vissuto dal 18 dicembre 1779 al 31 maggio
1837. Charles Dickens è il
suo biografo.
Nipote del saltatore Giovan Battista Nicolini Grimaldi, detto Gamba di Ferro, debuttò come attore nel
1800 in una arlecchinata
mostrando un eccezionale
estro comico, degno della
commedia dell’arte. Era
saltatore, danzatore, comico, cantante, parodista ed
era famoso anche per le
sue “invenzioni”: con frutta e verdura eseguiva un
ritratto, con quattro formaggi, una culla e un parafuoco, costruiva una carrozza. Fu considerato di
valore pari a quello di
Kean.
Jean Baptiste Auriol
Un posto di primo piano
nella storia del clown occupa Jean Baptiste Auriol
(1806-1881), ammirato da
Théophile Gautier: clownacrobata, entrava in pista
su trampoli di quattro metri, ne perdeva uno e continuava a stare in equilibrio,
saltellava con l’altro. Saltava su una colonna di sedie
rovesciate e vi restava in
cima, senza cadere; si appoggiava in equilibrio su
una piramide di bottiglie;
si fingeva scimmia; saltava
soldati con baionetta in
spalla, facendo tutta una
serie di giuochi, ora audaci,
ora lepidi. Era giocoliere,
cavallerizzo, funambolo,
attore, ercole.
Dopo Joe Grimaldi e Auriol, troviamo tra i clown
più celebri: James Clement
Boswell, parodiatore di
Shakespeare, (1826-1859); i
Price che crearono il “violino saltatore”, suonato anche nel salto mortale; i mimi acrobati Hanlon Lees, le
cui memorie ebbero la prefazione di Théodore de Branville; Billy Hayden, Tony
Grice, Medrano detto
Boum Boum, la coppia
Foottit e Chocolat, e Dario e
Bario, Antonet (Umberto
Guillaume di Brescia),
Beby (Frediani), Rhum, gli
Zavatta, Little Walter, i russi Karandash e Popov, i Rivels, Joe Jackson inventore
di acrobazie ciclistiche comiche.
“I Saltimbanchi” di Pablo Picasso
Il “Magnifico” e lo “Zanni”
Nella coppia di clowns troviamo il clown bianco e il
toni, dai francesi chiamato
auguste. Il primo è elegante, infarinato, col berrettino a pan di zucchero, il vestito di un pezzo, pieno di
lustrini e di stelle. Il secondo è impacciato, malvestito, senza grazia, con la vo-
che tanta fortuna ebbe in
Russia, il trio Cavallini e,
prima d’essi, i Fratellini:
Francesco elegante clown
bianco, Paolo, dal frack
scomposto, e Alberto, dalle
immense scarpe, l’enorme
trucco sugli occhi, le lampadine che si accendono
sui calli: un Auguste. Beniamini degli scrittori, dei
pittori, degli intellettuali di
tutto il mondo, ebbero un
bibliotecario di eccezione:
Tristan Bernard. Raymond
Radiguet ha descritto il loro camerino nel Ballo del
conte d’Orgel, in una sequenza che si svolge, nel
febbraio 1920, al Circo
Medrano. Un altro grande
clown è lo svizzero Grock
(Adrien Wettach; 18801959), figlio di un orologiaio cultore di atletismo e
acrobazia. Maestro in ogni
specialità della pista, ebbe
anche grandi qualità musicali. Fece coppia per sei
anni, dal 1907, con Antonet; più tardi ebbe per
partner, prima Max van
Emden, poi Alfred Schatz.
Ma il numero perfezionato con l’andare degli anni
e personalissimo, in una
esibizione che durava
complessivamente più di
mezz’ora, era quello mu-
ce stonata. Sono il Magnifico e lo Zanni della commedia dell’arte, il parlatore e il
compare distratto, quello
che picchia con la paletta di
gomma, cioè lo schiaffo-bastone, e quello che prende
gli schiaffi. Il nome auguste
viene da un garzone sciocco, tanto mal vestito da divertire il pubblico, come lo
Charlot del film Il Circo che
entra nella pista con una pila di piatti e la tiene a lungo
in equilibrio finche non finisce per farla cadere. Coppia classica di Magnifico e
Zanni possiamo vedere nei
due clowns divenuti
celebri col cinema:
Olivier Hardy e Stan
LaureI.
“Augusto di serata” è
il clown che è presente
in pista per l’intero
spettacolo, riempie
gli intervalli, è sempre attivo creando inconvenienti, parlando al direttore di pista, fingendo di aiutare gli uomini della
barriera e in realtà infastidisce, ricevendo
colpi e spinte. “Clown Il celebre clown Grock
musicale” è quello che
sicale, al piano, con la fiesegue numeri musicali ansarmonica, col minuscolo
che con bicchieri, campaviolino estratto da una
nelli e campanacci, come
valigia, con la sedia che
nei numeri di Ferdinand
gli dava il modo di fare
Guillaume (Polidor).
salti e cadute bizzarre di
grande comicità. Grock ha
Clown italiani
scritto anche alcuni libri
di ricordi.
Come Antonet Guillaume,
Mario Verdone
sono italiani Giacomino,
Pagliacci
10
Il
Giornale dei Grandi Eventi
I lavori di Leoncavallo
Il compositore e librettista
La “maledizione” di Pagliacci
opera di troppo successo
Ruggero
Leoncavallo
“È
un eccellente finale di
quel copioso fabbro di
melodrammi e di operette che aveva congiunti nel
suo nome i nomi di due bestie
nobili e morì soffocato dall’adipe melodico”. Gabriele D’Annunzio commentò così, con
eccessiva crudeltà, la morte
di Ruggero Leoncavallo nell’agosto 1919.
D’Annunzio, va detto, dispensava acidità a profusione. Ma, nel caso di Leoncavallo, era in buona compagnia, perché il musicista napoletano non godette mai di
particolare credito nella cultura ufficiale italiana, nonostante fosse tutt’altro che incolto sul piano della preparazione non solo musicale,
ma anche letteraria.
Basta ricordare che fu uno
dei pochi musicisti italiani
(in questo accostabile ad
Arrigo Boito) a scrivere il libretto delle sue opere oltre
che la musica.
Non gli fu perdonato, probabilmente, il suo attivismo
nel mondo operettistico da
sempre guardato in Italia
con malevolo sospetto. Certo è, tuttavia, che Pagliacci
non fu opera casuale e, al di
là dei gusti personali, rappresenta uno dei lavori più
rilevanti in campo teatrale
del repertorio di fine Ottocento.
Formatosi al Conservatorio
di Napoli, Leoncavallo frequentò anche la Facoltà di
Lettere a Bologna, attratto
dalla figura di Carducci.
Non completò il corso di
laurea, ma conobbe Pascoli
e si avvicinò al teatro wagneriano che aveva in Bologna il suo centro italiano di
propulsione. Tramontato il
sogno di mettere in scena
un proprio spettacolo,
Leoncavallo lasciò Bologna
e iniziò una vita errabonda
che lo portò dal Cairo a Parigi in cerca di fortuna. Pagliacci non fu - come nel caso di Mascagni - la prima
opera effettivamente scritta,
altre giacevano chiuse nel
cassetto nella attesa di una
rappresentazione.
Difficile confrontarsi
con questo trionfo
Il trionfo dei Pagliacci
spianò però la strada ad altri titoli. Ma, come Cavalleria
rusticana per Mascagni, costituì una sorta di maledizione. Anche per Leoncavallo bissare il primo
trionfo fu impresa impossibile. Non solo. L’etichetta di
“compositore verista” se la
trovò cucita addosso senza
neanche rendersene conto.
Lui che con Chatterton e con
I Medici sembrava più
orientato verso il ripristino
tardoromantico del dramma lirico a sfondo storico.
I Medici - prima parte di una
trilogia italiana mai completata - nel 1893 sortirono un
clamoroso fiasco. Né meglio
le cose andarono quando il
povero Leoncavallo si trovò
costretto a competere con
Puccini. Entrambi, si scoprì,
stavano musicando Bohème
da Murger. Puccini la mise
in scena nel 1896, Leoncavallo - pur avendola cominciata prima - qualche mese
dopo e, naturalmente, perse
nel confronto. Tuttavia, lasciando da parte la deliziosa
opera pucciniana, la Bohème
di Leoncavallo contiene pagine di estrema gradevolezza e coglie forse più che la
partitura del concorrente, lo
spirito autentico del romanzo francese d’origine.
Nel 1900 le quotazioni di
Leoncavallo tornarono a salire grazie al successo di
Zazà, rappresentata al Teatro Lirico di Milano. L’opera è una rivisitazione di
quel mondo del café-chantant che Leoncavallo aveva
frequentato nel suo soggiorno parigino. Interpretata da
grandi artiste, Zazà fu conosciuta in breve tempo in tutto il mondo. Leoncavallo
usò mano leggera, abbozzò
efficaci scene d’ambiente,
trovò alcune melodie felici.
Oltre alle opere
un repertorio “leggero”
Nel 1904 Leoncavallo si trasferì a Brissago sulla sponda
svizzera del Lago Maggiore. Lì avrebbe in seguito registrato con Enrico Caruso
la celebre romanza Mattinata (“L’aurora di bianco vestita”) che è tuttora fra le
sue melodie più popolari.
Mattinata ci introduce nel repertorio più “leggero” trattato da Leoncavallo. Non solo le liriche da
camera ma anche l’operetta
che in Italia era
sempre stata a
un livello alquanto basso
(se la si confronta con i capolavori francesi di Offenbach
o viennesi di
Strauss e Lehár)
e che proprio i
musicisti della
Giovine Scuola cercarono di
risollevare. Leoncavallo profuse particolare impegno, ottenendo qualche risultato
con La Reginetta delle rose
(1912, su testo di Forzano).
Allo scoppio della guerra,
Leoncavallo fu tra i più appassionati sostenitori dell’interventismo. Nel 1916 al
Carlo Felice di Genova propose Goffredo Mameli. Di
questo lavoro, che ebbe
scarsissima fortuna, è testimonianza una recensione
firmata Vittorio Guerriero,
ma scritta dal giovanissimo
Eugenio Montale.
Lo stesso poeta ha ricordato, anni dopo, quell’episodio: “...incontrai una sera Vittorio Guerriero che, poi, dopo,
fu noto come autore di romanzi... era critico musicale di un
giornale; mi diceva: “io non mi
intendo affatto di opere, non so
perché mi abbiano fatto critico
musicale. Tu devi scrivere un
articolo su quest’opera”. “Ma
io non l’ho mai sentita...”. Insomma, scrissi l’articolo senza
aver mai sentito questo “Mameli”; l’articolo fu pubblicato e
poi dopo conobbi Leoncavallo il
quale dichiarò che mai, nessun
critico, lo aveva compreso così
profondamente...”.
Roberto Iovino
L
a professione paterna di magistrato portava la famiglia Leoncavallo a spostarsi di frequente. Così
Ruggero nacque a Napoli nel 1857. Qualche anno
dopo, il padre Vincenzo fu trasferito in Calabria e nel
1865 a Montalto Uffugo (attuale provincia di Cosenza)
giudicò quel fatto di sangue ispirato dalla gelosia che a
quasi trent’anni di distanza si trasformò nel soggetto dell’opera più celebre di Ruggero Leoncavallo: Pagliacci.
Tornato a Napoli nel 1866 Ruggero, seguendo una passione che era anche dei genitori, entrò al Conservatorio di
San Pietro a Majella, dove si diplomò nel 1874. Contemporaneamente s’iscrisse all’Università di Bologna, dove
seguì le lezioni di Giosuè Carducci. Negli stessi anni
portò a compimento la partitura dell’opera storica Chatterton, d’ispirazione wagneriana, che però fu rappresentata solo nel 1896 (al Nazionale di Roma), quando Leoncavallo si era già
guadagnato la notorietà.
Finiti gli studi, il compositore trascorse un breve periodo in Egitto su invito di uno zio e tentò la fortuna come
pianista e direttore di banda, ma fu
costretto alla fuga nel 1882 quando il
governo inglese, preoccupato per le
sorti della gestione del Canale di
Suez, intervenne militarmente in
Egitto. Si trasferì allora a Parigi, dove
inizialmente condusse una vita bohémienne suonando nei Café-concert, fra
cui l’Eldorado. In breve tempo, grazie
ad un rapido successo e all’amicizia col baritono Victor
Maurel, entrò in contatto con gli ambienti d’opera e con
l’editore italiano Ricordi.
Nel 1888 i rapporti italo-francesi s’inasprirono per il
rafforzamento della Triplice Alleanza voluta da Crispi e
Leoncavallo dovette rimpatriare. Stabilitosi a Milano, iniziò un’intensa collaborazione con Casa Ricordi come traduttore e librettista e lavorò alla composizione di una trilogia, il Crepusculum, che nelle sue intenzioni doveva comprendere “I Medici”, “Savonarola” e “Cesare Borgia”, ma
di cui riuscì effettivamente a comporre solo I Medici, che
andò in scena solo nel 1893 senza troppo successo.
Nel frattempo il compositore iniziò la stesura di un nuovo lavoro, Pagliacci, messo a punto in soli cinque mesi. Ricordi rifiutò l’opera che venne offerta all’editore Sonzogno, già titolare dei diritti su Cavalleria rusticana di Mascagni. La “prima” al Teatro Dal Verme di Milano, il 21
maggio 1892, fu un successo e il nome del compositore si
diffuse anche all’estero.
Nacque in quegli stessi anni anche la famosa disputa tra
Leoncavallo e Puccini per la proprietà morale del soggetto “Scènes de la vie Bohème” di Henry Murger a cui entrambi stavano lavorando.
Nel 1900 il compositore ritrovò il consenso del pubblico
presentando al Teatro Lirico di Milano Zazà sempre su
proprio libretto. Fu un momento attivo e ricco di progetti.
Dopo la composizione di Majà, che andò in scena per la
prima volta al Teatro Costanzi a Roma nel 1910, Leoncavallo dimostrò un crescente interesse per l’operetta. Ne
produsse ben sette tra il 1910 e il 1919, senza però abbandonare l’opera a cui tornò nel 1916 con Goffredo Mameli,
lavoro patriottico a sostegno dell’interventismo nella Prima Guerra Mondiale. Gli ultimi due anni della sua vita li
passò dedicandosi ad opere di minore rilievo o addirittura mai rappresentate. Morì il 9 agosto 1919 a Montecatini
Terme, mentre lavorava al libretto di Tormenta, ispirato
ad un fatto di cronaca nera sarda.
Ludovica Sanfelice
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Pagliacci
11
L’ambientazione del libretto di “Pagliacci”
Da un ricordo d’infanzia
la chiave della storia
D
Consilina, Eboli, Napoli,
Potenza, Arezzo, Cava dei
Tirreni e Montalto Uffugo,
dove Ruggero giunse con
la famiglia nel 1862, all’età
di soli cinque anni, e dove
rimase fino al 1868. Domiciliato al primo piano di
un’antica casa di proprietà
degli Alimena, ai piedi della torre del campanone, al
rione Castello, visse qui gli
anni più belli della sua fanciullezza. Nella piccola cittadina calabra, che all’epoca contava poco più di
5.000 anime, Ruggero frequentò col fratello maggiore Leone la Scuola Pia di
grammatica, sotto la direzione del sacerdote Giuseppe Rossi. Fu un soggiorno breve quello del piccolo
Ruggero a Montalto, ma essenziale per la sua futura
attività di compositore e librettista. L’esperienza di
vita a Montalto, paese della
sua infanzia, dell’allegria,
della spensieratezza, dei
primi studi musicali, e l’importanza che anni più tardi
avrà per Leoncavallo, è ampiamente descritta dallo
stesso compositore nella
sua pseudo-autobiografia,
dal titolo Appunti vari delle
autobiografici [sic] di R.
Leoncavallo, conservata nel
Fondo Ruggero Leoncavallo presso la Biblioteca Cantonale di Locarno:
“I miei ricordi cominciano ad
avere invece un nesso, in rapporto di continuità da quando
mio padre fu traslocato a
Montalto Uffugo, in provincia di Cosenza. […]
Montalto è però il paese della mia infanzia,
delle mie birichinate e
dei primi studi. Si è visto come io nascessi in
un ambiente in cui
l’arte era una parte essenziale della mia vita.
Mio padre stesso era
appassionato di musica
e più d’una volta la sua
voce squillante sonora
echeggiò sotto le volte
della piccola chiesa calabrese in occasione
della festa della Madonna di Mezz’agosto,
La famiglia Leoncavallo: il padre Vincendurante la messa da un
zo, la madre Virginia D’Auria ed i primi
palco costruito apposta
due figli: Leone e Ruggero
ue sono essenzialmente i motivi per
cui il compositore
napoletano Ruggero Leoncavallo, illustre esponente
della Giovane Scuola italiana con Puccini, Mascagni e
Giordano, che professò
ideali di rinnovamento dell’opera lirica in senso verista, sin dall’età di cinque
anni e fino alla fine dei suoi
giorni rimarrà legato a
doppio filo a Montalto Uffugo, cittadina calabrese in
provincia di Cosenza, ricca
di storia e tradizioni e patria di personaggi insigni
nell’ambito della cultura,
che deriva il suo nome da
mons altus, per l’ubicazione
elevata da cui domina la
valle del fiume Crati. Innanzitutto a Montalto
Leoncavallo ha vissuto dal
1862 al 1868 i momenti più
belli della sua infanzia; in
secondo luogo, pur essendo trascorsi molti anni dal
suo soggiorno in Calabria,
il compositore recuperò da
quei ricordi ormai lontani
una vicenda di sangue realmente accaduta nel paesino calabrese, che farà da
canovaccio alla trama del
libretto di Pagliacci, il suo
massimo capolavoro.
La famiglia Leoncavallo - la
moglie Virginia d’Auria ed
i figli Leone, Ruggero e Gastone - seguì per lungo
tempo il padre Vincenzo,
magistrato di origine pugliese nei trasferimenti di
lavoro in diverse sedi del
centro-sud dell’Italia: Sala
pei cantori […] La nostra vita
a Montalto scorreva lieta e facile, tra balli, mascherate, ricevimenti in casa delle migliori
famiglie del luogo […], le
scampagnate o le gite ai bagni
di mare a Paola, che erano un
vero viaggio di parecchie ore, e
le gite a Cosenza, il capoluogo,
che la prima volta mi stordì
quasi fosse un’immensa popolosa città”.
Molti anni più tardi Leoncavallo volle che Pagliacci
venisse rappresentata anche all’Opéra di Parigi, perché riteneva importante
proporre sul rinomato palcoscenico francese la ricostruzione della sua diletta
Montalto, ispirandosi e attenendosi il più possibile
agli splendidi e indelebili
ricordi di quand’era fan-
“I
Montalto Uffugo. Chiesa della Madonna della Serra
ciullo, a quelle impressioni,
a quel mondo fatto di sogni
e di speranze che ormai era
trascorso, ma che lui desiderava tanto recuperare. Il
17 dicembre 1902 il successo fu clamoroso, tanto che
l’11 gennaio 1903 il Consiglio Comunale di Montalto
gli conferì la cittadinanza
onoraria.
Fu poi particolarmente vicino a Montalto quando nel
1905 un terremoto portò
nel paese distruzione e
morte e, sempre per amore
della ‘sua’ terra, nel 1913
pensò addirittura di candidarsi come deputato alle
elezioni politiche nel collegio di Cosenza.
Montalto ricambiò sempre
tanto attaccamento, dedicandogli una via, un bar,
una filarmonica, una sala
cinematografica e, nel corso degli anni, diverse manifestazioni per commemorare l’illustre cittadino.
Paola Palermo
Montalto Uffugo nell’Opera
sinistro, e l’altro nel ventre da’ fratelli Luigi e
l teatro e la vita non son la stessa coGiovanni D’Alessandro fu Domenico suoi
sa”, recita Canio nel primo atto dei
compaesani che quivi eransi postati. La si disanguinosi Pagliacci, ma sarà proceva che i d’Alessandro si erano determinati a
prio Leoncavallo, autore del libretto e
ciò per questioni precedentemente avuto collo
della musica di questo capolavoro veriScavello a causa di gelosie donnesche. Per le
sta, che si ispirerà proprio a quel suggequali ferite la sera del sei suddetto mese a cirstivo “nido di memorie” della sua gioca le ore due della notte lo Scavello finiva di
ventù, quando con la famiglia risiedeva a
vivere”.
Montalto Uffugo, trasponendo nella finzione scenica un fatto di sangue realmenLa grandezza dell’opera Pagliacci sta prote accaduto a Montalto il 5
prio nella capacità di aver
Marzo 1865. Il processo petrasposto sul palcoscenico
nale che seguì al fattaccio
con efficacia situazioni e
di cronaca nera fu presiepersonaggi di quell’episoduto dal padre di Leoncadio reale così cruento, favallo, Vincenzo, all’epoca
cendo nel contempo rivimagistrato presso la Giudivere la Montalto nel clima
catura Mandamentale di
della festa di ferragosto,
Montalto, e fu a carico dei
che si svolge tra l’1 e il 15
fratelli Giovanni e Luigi
agosto per onorare la VerD’Alessandro, accusati di
gine Santissima della Seromicidio premeditato e agra, patrona del paese.
guato ai danni di Gaetano
Nel libretto, infatti, sono riScavello, domestico di casa
presi elementi del paese e
Leoncavallo. Come si legge
della festa patronale, quali
dagli atti processuali coni costumi locali “con le vanUffugo. L’atrio dove avservati nell’Archivio di Sta- Montalto
tere, i tummarini e i caratterivenne il delitto, demolito nel 1962
to di Cosenza, il movente
stici cappelli a cirvuni”, la fedi tale assassinio fu dovuto a “gelosie donde del popolo che in abito da festa si reca
nel Tempio della Serra, le danze zingarenesche riguardanti una donna che non merische, gli spettacoli dei saltimbanchi, gli
tava riguardi”:
strumenti musicali tipici di quelle terre
“La sera del 5 spirante mese a circa le ore 4
come la zampogna, l’uso di terminologie
della notte il nominato Gaetano Scavello di
frequenti nel gergo dialettale quali ‘comaCarmine di questo Comune, mentre usciva da
re’ e ‘compare’, oltre che la messa a fuoco
questo Teatro, che è sito nel fondo dell’atrio di
di sentimenti e affetti propri della gente
questo locale di S. Domenico, per giungere nel
del Sud, come la gelosia, la focosità, la
quale debbonsi percorrere due lati dell’atrio
passionalità, la virilità e l’onore.
medesimo, e giunto a piè della detta scala interna ricevé due colpi di stili uno nel braccio
P. Pal.
12
Romeo e Giulietta
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Da Shakespeare le tante Giuliette della musica
Inesauribile ispirazione
per opere e balletti
C
om’è noto, la
triste storia di
Giulietta,
già
promessa sposa dal
padre al Conte Paride
(ne I Capuleti e Montecchi di Vincenzo Bellini
a Tebaldo), e Romeo,
colpevole per la morte
“Il balcone di Giulietta a Verona”
del cugino di lei, tra
un’alternanza di vicissitudini, termina con
un tragico epilogo: i
due innamorati, stroncati dal dolore per la
perdita l’uno dell’altra, si tolgono la vita
riuscendo così a riunire nel lutto le due famiglie rivali.
La vicenda ha radici
molto antiche: ispirata
ad una novella di Matteo Bandello pubblicata nel 1554, fu tradotta
in inglese da William
Pointer, poi, tra il 1595
e il 1596, portata in
scena
da
William
Shakespeare in una
tragedia in cinque atti,
che fu oggetto di vari
adattamenti,
rifacimenti e riduzioni operistiche.
Il teatro musicale, in
effetti, ha guardato
con grande interesse
alla triste vicenda dei
due amanti veronesi
che si prestava magnificamente ad una trasposizione lirica. Ci sono, infatti, tutti gli ingredienti necessari: l’amore più appassiona-
to, l’odio più violento,
la giovinezza tenera e
pura della ragazza, il
carattere ardimentoso
del ragazzo, il particolare sfondo dell’aristocrazia e del potere,
la redenzione nella
morte.
Dal Settecento al Novecento, dunque, si
contano una quarantina di lavori musicali,
ispirati a Romeo e Giulietta, a partire dall’opera
omonima
di
Johann
Gottfried
Schwanenberger su libretto di Roberto Sanseverino nel 1773.
Nel 1796 fu la volta di
Nicola Zingarelli, nel
1825 di Nicola Vaccaj,
il cui finale a volte si
sostituiva a quello de I
Capuleti e i Montecchi di
Vincenzo Bellini sul libretto di Felice Romani, andato in scena a
Venezia al Teatro La
Fenice l’11 marzo 1830.
Nel 1839 Hector Berlioz con una Sinfonia
drammatica per soli,
coro e orchestra, regalò uno tra i suoi
maggiori capolavori
per intensità emotiva e
inventiva lirica, musica spesso usata anche
nel balletto.
Nel 1865 arrivò l’opera
di Filippo Marchetti,
nel 1867, Charles Gounod compose il suo Romeo et Juliet nel nuovo
stile dell’opera-lirique,
stile che avrebbe avuto
il suo principale protagonista, nel tardo Ottocento, in Massenet.
Ancora, Cajkovskij nel
1869 con una overturefantasia e Richard
Strauss con uno scintillante
p o e m a
sinfonico
nel 1887.
Nel Novecento troviamo ben
19 altri Romeo e Giulietta, e tra
questi una
tragedia in
tre atti di
Riccardo
Zandonai
che
debuttò il 14
febbraio
1922
al
Teatro Costanzi di
Roma,
e
un’opera da camera in
tre parti di Boris Blacher (1950). Tra i bal-
“Romeo e Giulietta” di Tranquillo Cremona (Galleria d'Arte Moderna - Milano)
letti da segnalare quello su musica di Constant Lambert e soggetto di Boris Kochno
(1926) e, in un balletto
Romeo e Giulietta in un quadro di Ford Madox Brown
in quattro atti e dieci
quadri (Op. 64) di Sergeeviã Prokof’ev composto tra il 1935 e1936,
su proprio soggetto ed
andato in scena a
Brno il 30 dicembre 1938 con
Vanja Psota come
Romeo e Zora
Semberova nelle
vesti di Giulietta:
anche in questo
caso, siamo alla
presenza di uno
dei maggiori capolavori nel campo della danza
del secolo da poco passato.
Va infine ricordato, nel 1957, West
Side
Story,
straordinario musical in cui Leonard
Bernstein
trasferì
genialmente la vicenda
shakespeariana
nei sobborghi di
New York, ponendo l’amore tra
Tony e Maria sullo sfondo della
lotta razziale fra
immigrati portoricani e americani.
Francesca Oranges
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Romeo e Giulietta
13
La Suite da Romeo e Giulietta
Un classico del Balletto
con tre grandi coreografie
ATTO I – In una piazza di Verona
L’ultimo bacio di Giulietta a Romeo di Francesco Hayez
(Per gentile concessione Museo Villa Carlotta - Tremezzo CO)
~~
La Locandina ~ ~
Terme di Caracalla, 8 - 14 agosto 2007
ROMEO E GIULIETTA
SUITE DAL BALLETTO
Musiche di Sergej Prokof’ev
Prima rappresentazione: Brno (Cecoslovacchia), 30 dicembre 1938
Coreografie da Loris Gai, Beppe Menegatti,
Eric Bruhn (scena dell’addio),
Rudolf Nureyev (scena del balcone)
riprese da Carla Fracci
in collaborazione con Gillian Whittingham
Personaggi / Interpreti
Messer Capelletto
Alfonso Paganini / Mauro Murri (10, 14/8)
Madonna Capelletti
Silvia Guelfi / Debora Morina (10, 14/8)
Giulietta, loro figlia
Gaia Straccamore / Oksana Kucheruk (10, 14/8)
Tebaldo Capelletto
Paolo Mongelli / Riccardo Di Cosmo (10, 14/8)
Rosalina Capelletti
Kristine Saso
Conte Paride, promesso sposo di Giulietta
Damiano Mongelli /
Alessandro Tiburzi (10, 14/8)
La Nutrice di Giulietta
Catia Passeri / Flavia Torricella (10, 14/8)
Frate Lorenzo
Guido Pistoni / Manuel Paruccini (10, 14/8)
Romeo Montecchio
Igor Yebra / Alessio Carbone (10, 14/8)
Dame
Gabriella Sormani, Micaela Grasso, Annalisa Cianci,
Laura Di Segni, Daniela Lombardo, Maria Badini,
Francesca Bertaccini, Eva Cornacchia
Cavalieri
Luca Troiano, Francesco Sorrentino, Tommaso Renda,
Giovanni Bella, Giuseppe Schiavone, Francesco Milana,
Gerardo Porcelluzzi, Paolo Gentile
Fanciulle
Giovanna Pisani, Viviana Melandri, Simona Onidi,
Claudia Marzano
Maestro concertatore e Direttore
Mestro del Coro
Regia
Impianto scenico
Costumi
Disegno luci
Hirofumi Yoshida
Andrea Giorgi
Beppe Menegatti
Cristian Biasci
Anna Maria Morelli
Patrizio Maggi
ORCHESTRA, CORO E CORPO BALLO DEL TEATRO DELL’OPERA
Nuovo Allestimento
Mercuzio e Benvolio cercano l’amico
Romeo, innamorato di Rosalinda. Lo
trovano, ma non riescono a distrarlo
con le loro battute dalla sua ultima
passione. Mercuzio e Benvolio nel
momento in cui giungono i loro amici Montecchi, acquistano un cocomero e si apprestano a mangiarlo. Passano nel frattempo alcuni dei Capuleli, antichi avversari dei Montecchi.
Si accendono gli animi perché uno
dei Capuleti cade sulla buccia di cocomero gettata ad arte da uno dei
Montecchi. Mercuzio cerca di placarli. Arriva intanto il velenoso Tebaldo, nipote di Messer Capuleti. Gli
scherzi grevi trascinano ben presto
gli avversari in una rissa. Il tumulto
viene interrotto dal Principe di Verona che vieta ad entrambe le famiglie
di turbare la pace cittadina.
Giulietta, si sveglia nella sua camera
e la nutrice le porta l’abito da indossare in occasione del ballo organizzato per il suo fidanzamento con il
Conte Paride. Nel palazzo dei Capuleti giungono i partecipanti alla festa. Romeo con i suoi compagni Mercuzio e Benvolio segue Rosalinda, e
poiché il ballo è in maschera, si unisce con loro agli ospiti per introdursi
al ricevimento.
Durante il ballo il padre di Giulietta
la consegna a Paride. Romeo, colpito
dalla bellezza della fanciulla, cerca
di avvicinarla, distraendo il cavaliere. Il tempo sembra fermarsi. Entrambi vivono un attimo intenso,
profondo. Romeo si toglie la maschera e confessa il suo casato. Curiosità
e tensione della ragazza vengono interrotte da Mercuzio e Benvolio che
improvvisano una danza grottesca.
Tebaldo sorprende Romeo con Giulietta e sta per intavolare una lite, ma
Messer Capuleti lo previene scacciandolo.
Sotto il balcone di Giulietta passano
Romeo, Mercuzio e Benvolio. Romeo
si nasconde per allontanare gli amici.
Giulietta, insonne, esce sul balcone
pensando felice a Romeo. I due giovani si dichiarano amore eterno.
ATTO II – In una piazza maschere,
zingare, musici e popolo danzano la
tarantella. Giunge la nutrice di Giulietta, accolta come sempre dalle battute che Mercuzio e Benvolio sono
soliti indirizzare ai componenti della
famiglia Capuleti. La nutrice porta
una lettera di Giulietta per Romeo,
nella quale la giovane propone all'innamorato di farsi sposarsi segretamente da frate Lorenzo, al corrente
del loro amore, prevenendo così i di-
segni dei suoi genitori.
Il frate nella sua cella celebra il matrimonio, nella speranza che tale
unione riesca a porre fine all'odio
che divide le due famiglie. Nella
piazza la festa è al culmine e fra i
partecipanti interviene anche il felice
Romeo. Sopraggiunge Tebaldo, che
sta cercando il rivale per vendicarsi
della sua intrusione al ballo, ma Romeo, ormai legato ai Capuleti, cerca
di evitare ogni rissa. Mercuzio scambiando per viltà la remissività dell’amico, sfida a duello Tebaldo. Romeo,
nel tentativo di dividerli, favorisce
inavvertitamente la stoccata con la
quale Tebaldo trafigge Mercuzio.
Preso dall'ira e dimentico del nuovo
legame con la famiglia Capuleti, Romeo uccide Tebaldo.
Conosciuto l’accaduto, Giulietta si
dispera nella sua stanza. Romeo,
sentendosi colpevole, esita prima di
presentarsi a Giulietta, ma poi decide di chiederle perdono. I due giovani si abbracciano teneramente, mentre in un’altra stanza del palazzo
Madonna Capuleti ordina alla nutrice gli ultimi ritocchi per l'abito nuziale di Giulietta.
All'alba del giorno successivo la nutrice, giunta nella stanza di Giulietta,
scuote i due innamorati dal loro abbandono per avvertirli del sopraggiungere dei genitori della fanciulla,
accompagnati dal Conte Paride. Romeo, esiliato per l'uccisione di Tebaldo, parte per la sede destinatagli,
cioè Mantova. Giulietta, rimasta sola, decide di fuggire e si reca da frate
Lorenzo per chiedergli aiuto. Il religioso le consegna una fiala con una
pozione soporifera, in modo che i genitori, ingannati dalla morte apparente, la pongano nella tomba di famiglia. Romeo, avvertito per tempo,
potrà così tornare nella notte per
portarla lontano da Verona.
A palazzo Capuleti fervono i preparativi per le nozze. Ma l'allegria generale viene interrotta da grida. Tra
la profonda costernazione dei presenti, Messer Capuleti esce portando
sulle braccia il corpo esanime di Giulietta, che viene deposto nella tomba
di famiglia.
Romeo, non avendo ricevuto il messaggio di frate Lorenzo, entra travestito da monaco nella cripta dove giace anche il corpo di Tebaldo per rendergli omaggio. Alla vista di Giulietta esanime, disperato, si avvelena.
Giulietta, al suo risveglio, trova Romeo ancora in vita. Si abbracciano,
vorrebbero fuggire, ma Romeo spira.
Giulietta, prostrata dal dolore, afferra
il pugnale dell'amato e si uccide.
14
Romeo e Giulietta
Igor Yebra e Alessio Carbone
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Gaia Straccamore e Oksana Kucheruk
L’innamorato e sfortunato La giovane e romantica
Giulietta, travolta da
Romeo, vittima di
un astio tra famiglie
un amore improvviso
A
A
danzare nel ruolo di Giulietta saranno
d alternasi nel ruolo di Romeo saranno i
le ballerine Gaia Straccamore (8, 10 e 12
ballerini Igor Yebra (8, 10 e 12 agosto) e
agosto) e Oksana Kucheruk (11 e 14 agoAlessio Carbone (11 e 14 agosto). Nato a
sto). Nata a Roma, Gaia Straccamore a nove anBilbao, Igor Yebra dove inizia i suoi studi di
ni entra a far parte della scuola del Teatro deldanza, si perfeziona poi a Madrid alla Scuola
l’Opera di Roma, diretta da Elisabetta Terabust,
Victor Ullate, entrando a far parte del Ballet de
e qui si diploma all’età di 17 anni con il massila Communidad de Madrid, dove, fino al 1996,
mo dei voti. Grazie ad una borsa di studio si
danza come Primo Ballerino. Alla fine del 1996,
perfeziona nella prestigiosa Accademia “Prininizia la sua carriera di Primo Ballerino Ospite
cesse Grace” di Montecarlo, sotto la guida di
Internazionale, lavorando nei maggiori balletti
Madame M. Besobrasova. A 12 anni, è scelta da
di repertorio e in ruoli creati appositamente per
Paolo Bortoluzzi per il ruolo dell’Apparizione
lui: Giselle, Don Chisciotte, Chopiniana, Romeo e
nel suo Principe felice ed a soli 15 anni Vladimir
Giulietta, La Silfide, Il lago dei cigni, La bella addorVassiliev le affida il ruolo di prima ballerina ne
mentata, Lo Schiaccianoci, secondo atto de La
Le Sylphides di Fokine. Dal 1996 è al Teatro delBayadere, Coppelia, Theme and Variations, Concerto
l’Opera di Roma dove è un’apprezzata interbarocco, Allegro Brillante, Tchaikovsky Pas de deux,
prete in balletti del repertorio classico, neoclasIl Corsaro – Diana e Atteone. È ospite presso l’Ausico e contemporaneo. Dal 2000 inizia a danzastralian Ballet, Ater Balletto, Balletto Nazionale
re come protagonista nei più famosi balletti
di Cuba, Nazionale del Venezuela, del Teatro
classici ed oggi il suo repertorio include: Egina
Colon di Buenos Aires, argentino di Julio Bocca,
in Spartacus, la principessa Aurora ne La bella
del Kremlino, Scottish Ballet, English National
Addormentata, La Sylphide, Giulietta in Romeo e
Ballet, Opera di Roma, Arena di Verona, ComuGiulietta (J.Cranko), Odette-Odile ne Il lago dei cinale di Firenze, Balletto Nazionale Greco. Nel Igor Yebra e Oksana Kucheruk
gni, secondo atto di Giselle, Pas de quattre, Zobei1989 ha vinto a Parigi il concorso ‘Gran Prix Eurovision per giovani danzatori’ e nel 1996 il premio ‘Danza e Dan- de in Sheherazade (Fokine), l’Uccello di fuoco (Fokine), l’Eletta ne La saza’ come migliore danzatore dell’anno in Italia, il primo premio al gra della primavera, La gitana, lo Schiaccianoci, La Chatte, Le Bal, Apollon
concorso ‘Maya Plissetskaya’ a San Pietroburgo. Nel 2003 il premio Musagete, Who cares? (G.Balanchine). Carla Fracci, attuale direttrice
‘Leonide Massine’ a Positano per le sue interpretazioni al Teatro del Teatro dell’Opera, l’ha scelta come protagonista a fianco di Vladell’Opera di Roma. Nel marzo 2003, all’Opera di Roma, ha inter- dimir Vassiliev in Lungo viaggio nella notte di Natale una creazione di
pretato il Principe nel balletto Il lago dei cigni,. Nell’agosto 2003, alle P. Chalmer. Di particolare interesse artistico è stata l’esibizione, proTerme di Caracalla, ha danzato in Romeo e Giulietta di J. Cranko, in prio al fianco della Fracci, in Gerusalemme, coreografia di Luc Bouy e
settembre è stato protagonista nel balletto L’uccello di fuoco all’inter- regia di Beppe Menegatti. Al Teatro Bolshioi di Mosca ha ballato il
no della Serata Stravinski e nel dicembre dello stesso anno, è stato di ruolo dell’Eletta in Sagra della Primavera e Zobeide in Sheherazade.
nuovo il Principe ne Il lago dei cigni. Sempre a Mosca ha danzato, nel PaNel gennaio 2004 ha debuttato al lazzo del Cremlino, il ruolo di ZoBolscioi nel balletto Ivan il terribile beide ed i due ruoli principali ne
di Yuri Grigorovich. Nel novembre L’uccello di Fuoco con I. Yebra. Per
2004 ha ballato come Ivan ne La Gi- lei sono stati creati diversi balletti,
tana al Nazionale di Roma. Nell’e- tra i quali: Turandot, principessa chistate del 2006 è stato tra i protago- nese (Veggetti-Menegatti), La Vestanisti del balletto La Vestale alle Ter- le (Chalmer-Menegatti), ed il ruolo
me di Caracalla. Nel febbraio 2007 di Elena nel Faust di Goethe (Canniha danzato come Mugnaio nel Cap- to-Menegatti), Catarina la figlia del
pello a tre punte – Serata Picasso- bandito (Franzutti-Menegatti). Su
Massine. Nel dicembre 2006 è stato proposta di Carla Fracci, nell’ottonominato Etoile del Balletto del- bre del 2006 viene nominata Prima
Ballerina del Teatro dell’Opera di
l’Opéra National di Bordeaux.
Alessio Carbone nel 1991 frequenta Roma.
la Scuola di Ballo del Teatro alla Oksana Kucheruk ha iniziato gli
Scala di Milano ed all’età di diciotto studi presso la Scuola Nazionale di
anni entra a far parte della Compa- Danza di Kiev in Ucraina, entrando
gnia. Nel 1997 viene ammesso, sot- nel 1996 nel Balletto dell’Opera Na- Gaia Straccamore
Alessio Carbone
to audizione, nel Corpo di Ballo del- zionale Moussorgski di San Pietrol’Opéra National di Parigi e nel 2002 viene nominato Primo Balleri- burgo. Ha danzato ne Lo Schiaccianoci, Don Quichotte, Giselle, Les
no. Repertorio: Symphonie; Concerto Barocco; Coppélia; Le Mandarin Sylphides, La Bayadère, Crime et Châtiment, Il Corsaro, Cenerentola, Half
merveilleux (2003); Variations pour une porte et un soupir (2006); Gisel- of Cavalery, Princes of the Moon, La Bella Addormentata (Aurora). Ha rile (passo a due dei contadini); White Darkness (entrée au répertoire) cevuto numerosi premi tra cui, il Secondo premio “Maya 98” a San
(2006); Appartement (2000). The Vertiginous Thrill of Exactitude; Ap- Pietroburgo, il Primo premio “Nureyev 2000” a Budapest, il Primo
proximate Sonata (2006); Pavane; Doux mensonges; Bella Figura; Paqui- premio del IX° Concorso Internazionale di Balletto di Mosca nel
ta (pas de trois); Don Quichotte (Capo degli zingari); La Bayadère (l’I- 2001. All’inizio del 2005, Oksana Kucheruk è stata nominata Solista
dolo); Il lago dei cigni (pas de trois); Cenerentola (Il maestro di danza); del Balletto dell’Opéra National di Bordeaux, ed ha danzato ne Il LaRomeo e Giulietta (Mercuzio); Les Forains (il Clown); L’Arlésienne go dei Cigni e Coppélia. Recentemente ha interpretato il ruolo di Kitri
nella nuova produzione di Don Quichotte, ed il ruolo di Maria ne Lo
(Frédéri); Un Trait d’union (2003).
Schiaccianoci, coreografie di Charles Jude. Nel dicembre 2006 è stata
nominata Etoile del Balletto dell’Opéra National di Bordeaux. Nel
Pagina a cura di Michela Marini – Foto: Corrado M. Falsini
2007 ha danzato Giselle al Teatro dell’Opera di Roma, nella versione
di Carla Fracci.
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Romeo e Giulietta
15
Analisi e storia del balletto “Romeo e Giulietta”
L’intuito di Prokof’ev contro il regime sovietico
per un’opera dai colori e contrasti netti
S
icuramente, tra gli
innumerevoli lavori
ispirati alla tragedia
shakespeariana, il balletto Romeo e Giulietta di
Prokof’ev, è la versione
più rappresentata nel
mondo, avendo ispirato
un grande numero di coreografi e rappresentando, il ruolo di Giulietta,
anche la grande aspirazione per ogni ballerina,
come una volta lo era
quello di Giselle.
Prokof’ev con Romeo e
Giulietta ma anche con
Cenerentola entrò in quella che nella sua autobiografia
definì
«linea
Lirica», che si differenzia
per forma dalla «linea
classica» delle sinfonie,
concerti e sonate e da
quella «moderna» dei sarcastici pezzi per pianoforte. Tornò, insomma, allo schema del balletto tardo-romantico,
fatto di più atti e quadri
che lui stesso aveva trascurato nel periodo parigino a cavallo tra il 1920
ed il 1930 con il pittoresco Chout (1921), il propagandista Le pas d’acier
(1927), il fantastico Ala e
Lolli commissionato nel
1914 e poi rappresentato
come la Suite Scita a Buenos Aires nel 1927 e quel
Sur le Borysthène (1931)
dedicato a Djaghilev,
scomparso due anni prima, che aveva influenzato tutto quel suo periodo
produttivo. In particolare con Il figliuol prodigo,
rappresentato a Parigi
nel 1929 ed ultimo balletto voluto da Djaghilev –
con la coreografia di Balanchine - Prokof’ev, attraverso uno stile spoglio ma che non soppresse il lirismo, mise in luce
la sua versatilità stilistica
avvicinandosi alle estetiche occidentali e preannunciando Romeo e Giulietta.
Il musicista ucraino, lavoratore instancabile che
riuscì ad unire una eleganza musicale a quel
sapore etnico delle tradizioni popolari russe, fu
più volte richiamato dal
di danze e ritmi ed un alpartito – come successe
ternarsi di momenti
alla fine degli anni Trendrammatici a passaggi
ta a Sostakovic – verso
decisamente brillanti,
una semplicità d’espresironici. Da rilevare, ad
sione, un linguaggio muesempio, in Romeo e Giusicale più diretto, meno
lietta – uno dei tre suoi
evoluto, più comprensigrandi balletti insieme a
bile rispetto ai lavori
precedenti ispirati alla
propaganda politica,
decisamente freddi, taglienti, come Le Pas
d’acier (Passo d’acciaio) (1927) celebrativo del passaggio dalla
vecchia Russia contadina al nuovo Stato industrializzato. Romeo e
Giulietta, come Cenerentola, sono, invece
partiture create per il
grande pubblico.
Ma Prokof’ev, in fondo, non dovette mutare molto il proprio sti- Sergej Prokof’ev
le, ché anche nell’esuberanza giovanile non riCenerentola ed Il fiore di
correva ad evoluzioni
pietra più vicini allo
particolari se non qualschema cajkovskiano – la
che sporadica dissonandiversità caratteristica
za, senza compromissiodei due duelli, quello tra
ni delle basi tonali, nemiMercuzio e Tebaldo doco com’era della dodeve la musica è guizzante
cafonia. Lo stesso lavoro
a sottolineare lo spirito
sui due amanti veronesi,
sprezzante dei due connon riporta sovrastruttutendenti ed il secondo,
re, ma piuttosto una liquello tra Romeo e Tenea delicata, quasi rinabaldo, più tragico, dispescimentale, fatta di penrato, che con la forza denellate precise, definite
gli archi sottolinea la lotnei particolari più minuta mortale fino ai quatti, dove
trionfano
l’ingenuità e la
gaiezza
dei giovanissimi
amanti, il
duro contrasto Capuleti e
Montecchi,
il
profilo
estremamente nitido dei
singoli
personaggi con i loro peculiari
tordici cupi colpi di timstati d’animo. Non molto
pano sui quali Tebaldo
aperto verso le correnti
cade colpito. E Prokof’ev
musicali d’inizio Noveriutilizza gli amati concento, riuscì a caratteriztrasti netti, dove ad
zarsi per un’impostazioesempio agli scherzi inne armonicamente mofantili di Mercuzio si
derna con un largo uso
contrappone improvviso
l’astio atavico delle due
fazioni nemiche. Non si
trova, quindi, in Romeo e
Giulietta un ampio sviluppo armonico, ma
piuttosto si passa da un
quadro all’altro caratterizzati ciascuno da temi.
La storia del balletto
Il musicista si appassionò subito alla vicenda dei due amanti
e nel 1935 si mise a lavoro sulla sceneggiatura con il letterato
Sergej Radlov. Ma la
direzione del Bolshioi
di Mosca, più conservatrice di quella del
Kirov di Leningrado
(San Pietroburgo), dichiarò il balletto «ineseguibile». Questo balletto tragico, per il Bolshioi, sarebbe dovuto
terminare con un lieto fine: Romeo sta per uccidersi, ma sopraggiunge
frate Lorenzo che lo ferma. Giulietta si risveglia
dal sonno artificiale ed i
due amanti, ormai sposi,
si abbracciano, mentre
giungono Capuleti e
Montecchi e tutti danzano festosamente. Ma
Prokof’ev, già caduto in
disgrazia con il regime
comunista, pur aderendo ai dettami
richiesti con
un “lieto
fine”, non
vedeva la
sua musica adatta
ad un tale
snaturam e n t o
della vicenda, che
finiva per
divenire,
nei fatti,
una farsa.
Cercò di
spiegare
le sue perplessità, sottolineando l’aspetto coreografico. La sua musica
piaceva quando eseguita
al pianoforte, ma non
avrebbe convinto sulla
scena. Il musicista tornò,
quindi, nel 1936 al finale
più tradizionale, alla
musica che già aveva
composto con spirito tragico.
La prima
rappresentazione
Il balletto, con questo finale, fu rappresentato
per la prima volta a Brno, in Cecoslovacchia, il
30 dicembre 1938 con la
coreografia di Vanya
Psota ed interpreti lo
stesso coreografo nel
ruolo di Romeo e Zora
Semberova nelle vesti di
Giulietta. In seguito il
balletto subì delle varianti. Prokof’ev stesso
aveva già, prima del debutto, elaborato due
“Suite” dal balletto di 7
pezzi nel 1936 ed una di
6 pezzi la realizzerà nel
1946. L’autore, dopo la
“prima”, rivide ulteriormente la partitura, riprendendo poi i contatti
con il teatro Kirov, eseguendo per dimostrazione l’intera composizione
personalmente al pianoforte. Ma si dovette
scontrare con il coreografo Leonid Lavrovsky
che voleva una predominanza della danza sulla
musica. Il musicista si
dovette così piegare ancora alle continue richieste di nuovi raccordi
musicali del coreografo.
Prokof’ev riteneva sufficiente la sua musica, come, ad esempio, per
l’Aubade, che all’inizio
del primo atto descrive il
risveglio della città di
Verona, ma Lavrovsky,
insistendo, cominciò ad
utilizzare lo Scherzo della Seconda Sonata per pianoforte, così da costringerlo a comporre un pezzo sulle stesse coloriture.
Altre modifiche interverranno anche dopo la prima rappresentazione del
11 gennaio 1940 al Kirov
con Galina Ulanova e Costantin Sergheiev ed anche nel 1946 in occasione
del nuovo allestimento al
Bol’?oj di Mosca, sempre
con la Ulanova.
Mi. Mar.
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