Anno XII - Numero 58 - 8 agosto 2007 In anteprima La Stagione 2008 di opere e balletti al Costanzi A Pag 2 Il Regista Beppe Menegatti spiega l’impostazione dei due titoli A Pag 2 La storia di “Pagliacci” Un fatto reale, ambientato nel luogo originale: Montalto Uffugo A Pag 6 e 13 L’arte del clown Storia dell’eterno sforzo dell’uomo per far sorridere A Pag 8 e9 Romeo e Giulietta Analisi e storia del balletto di Prokof’ev A pag. 15 PAGLIACCI di Ruggero Leoncavallo ROMEO E GIULIETTA Suite dal Balletto di Sergej Prokof’ev Pagliacci 2 Menegatti spiega l’impostazione dello spettacolo R Due regie sobrie per esaltare la drammaturgia degli autori za veronese. Lo spettacolo sarà strettamente tradizionale, senza nessun’interferenza stramba e sarà interamente rispettato il libretto e uggero Leoncavallo e Sergej Prokof’ev: un‘abbinata d’eccezionale valore teatrale, Pagliacci e Romeo e Giulietta. Due pezzi che avranno lunga vita in questo caduco mondo che è il teatro. La mia lunga esperienza di teatrante mi porta a occuparmi dei Pagliacci per la seconda volta. Ebbi un’esperienza straordinaria all’Arena di Verona, lo spettacolo fu lungamente lodato e grazie alla prestigiosa presenza di Placido Domingo (Canio) potemmo realizzare un lavoro in sé eccezionale. In questo nuovo allestimento c’è un’idea diversa nella messa in scena che riguarda soprattutto l’aspetto drammaturgico, già tesaurizzato nella bellissima struttura musicale di Leoncavallo. Per lo spazio delle Terme di Caracalla ho tenuto conto dell’esperien- soprattutto la musica. L’ambientazione è fine 800. Spetterà poi al valore interpretativo dell’ottimo cast rendere viva l’azione scenica così altamente dramma- I prossimi titoli della Stagione 2007 al Teatro Costanzi 27 Novembre - 2 Dicembre Direttore Interpreti 21 - 30 Dicembre Direttore Interpreti MOSÈ IN EGITTO di Gioachino Rossini Antonino Fogliani Michele Pertusi, Giorgio Surian, Anna Rita Taliento, Stefano Secco LA VEDOVA ALLEGRA di Franz Lehàr Daniel Oren Fiorenza Cedolins, Vittorio Grigolo, Markus Werba ~ ~ La Copertina ~ ~ Pagliacci di Ruggero Leoncavallo - Oleografia Civica Raccolta Stampe Achille Bertarelli. Milano Il G iornale dei G randi Eventi Direttore responsabile Andrea Marini Direzione Redazione ed Amministrazione Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma e-mail: [email protected] Editore A. M. Stampa Tipografica Renzo Palozzi Via Vecchia di Grottaferrata, 4 - 00047 Marino (Roma) Registrazione al Tribunale di Roma n. 277 del 31-5-1995 © Tutto il contenuto del Giornale è coperto da diritto d’autore Le fotografie sono realizzate in digitale con fotocamera Kodak Easyshare V705 Visitate il nostro sito internet www.giornalegrandieventi.it dove potrete leggere e scaricare i numeri del giornale tica: insomma vero teatro musicale. Cinque personaggi coinvolti in una grande tragedia, ma niente fiere intorno, niente pagliacciume, nessuna concessione come si è vista in altre forme di spettacolo dove il vitalissimo nocciolo drammaturgico si disperdeva in mille rivoli banalmente spettacolari, come se Pagliacci fossero, invece di un solidissima struttura musicale sorretta da una grande drammaturgia, affidati solo ad un’aria che, se pur bella, non è certo superiore, per esempio, al grande duetto NeddaSilvio. Perciò niente extra spettacolo, ma vera, intensa, struttura morale drammaturgica, così straordinariamente risolta da Leoncavallo. Per Romeo e Giulietta il riferimento più diretto per la regia è stato basato sulle prime novelle Da porto e Bandello che ispirarono poi il grande Shakespeare. L’idea è la stessa che guidò Bellini per la stupenda opera Capuleti e Montecchi ed un riferimento importante è il libretto di Felice Romani, nel quale sopravvivono Romeo e Giulietta, Tebaldo, alcuni dei Capuleti e i cosiddetti “dame e cavalieri veronesi”. Nella nostra suite non esiste più il personaggio squisitamente shakespeariano Mercuzio e nemmeno i riferimenti alle varie “piazze”. Esiste l’essenziale, come del resto lo stesso Prokof’ev aveva fatto per le due sue squisite suite che si eseguono con gran successo nei concerti. Per la parte visiva dello spettacolo siamo affidati nelle impareggiabili mani di Carla Fracci, che più di ogni altra ballerina ha scrutato il ruolo di Giulietta, danzandolo, credo, numericamente più volte in assoluto, tant’è che la grande Ulanova, seconda interprete della partitura di Prokof’ev, ebbe a salutarla come il monumento vivente alla grande eroina italiana Giulietta. Beppe Menegatti Il Giornale dei Grandi Eventi Programma Stagione 2008 Teatro Costanzi ~ ~ Opere ~ ~ 14-23 Gennaio, 22-27 Aprile 17-28 Giugno TOSCA CARMEN di G. Puccini di G. Bizet 22-28 Febbraio 7-12 Ottobre RUSALKA AMICA di J. Dvorak di P. Mascagni 8-15 Aprile 12-18 Novembre LA FANCIULLA DEL WEST DER ROSENKAVALIER di G. Puccini di R. Strauss 4-8 Maggio VIAGGIO ALLA FINE DEL MILLENNIO 6-14 Dicembre di J. Bardanashvili e A.B.Yehoshua di G. Verdi ERNANI ~ ~ Balletti ~ ~ 30 Gennaio - 3 Febbraio 11-20 Marzo SERATA DE CHIRICO RAYMONDA di A. Glazunov LE BAL 20-29 Maggio di V. Rieti IL CORSARO LA GIARA di A. Casella di R. Drigo, C. Pugni, A. Adam e L. Délibes APOLLON MUSAGÉTE 17-19 Ottobre di I. Stravinskij GISELLE di A. Adam 7-10 Febbraio 20-31 Dicembre IL LAGO DEI CIGNI LO SCHIACCIANOCI di P. I. Cajkovskij di P. I. Cajkovskij ~ ~ Stagione estiva Terme di Caracalla ~ ~ 1-3 Luglio 18-31 Luglio FESTIVAL DELLA ZARZUELA LUCIA DI LAMMERMOOR di G. Donizetti (Balletto) Compagnia ospite 27 Luglio - 3 Agosto MADAMA BUTTERFLY di G. Puccini 10-24 Luglio 8-14 Agosto AIDA QUO VADIS di G. Verdi (Balletto) ~~ La Locandina ~ ~ Terme di Caracalla, 8 - 14 agosto 2007 PAGLIACCI Dramma lirico in due atti Prima rappresentazione: Milano, Teatro Dal Verme, 21 maggio 1892 (direttore: Arturo Toscanini) Libretto e musica di Ruggero Leoncavallo Maestro concertatore e Direttore Mestro del Coro Regia Impianto scenico Costumi Disegno luci Hirofumi Yoshida Andrea Giorgi Beppe Menegatti Cristian Biasci Anna Maria Morelli Patrizio Maggi Personaggi / Interpreti Nedda (nella commedia Colombina) (S) Canio (nella commedia Pagliaccio) (T) Maria Carola Vincenzo La Scola / Nicola Martinucci (10, 12, 14/8) Tonio (nella commedia Taddeo) (Bar) Carlo Guelfi / Devid Cecconi (10, 12, 14/8) Peppe (nella commedia Arlecchino) (T) Francesco Piccoli Silvio (Bar) Domenico Balzani Primo contadino Antonio Taschini / Francesco Luccioni (12, 14/8) Secondo contadino Giordano Massaro / Vincenzo Di Betta (12, 14/8) ORCHESTRA, CORO E CORPO DI BALLO DEL TEATRO DELL’OPERA Nuovo Allestimento D Il Pagliacci Giornale dei Grandi Eventi ue titoli, due brevi doppi atti, una Suite dal balletto Romeo e Giulietta di Prokof’ev e l’opera Pagliacci di Leoncavallo, per chiudere questa stagione estiva alle Terme di Caracalla, nel 70° anniversario dell’Opera in questo luogo: si iniziò nel 1937 e da allora questo appuntamento è divenuto una tradizione, interrotta solo dal 1940 al 1944 per gli eventi bellici e dal 1994 al 2000 per problemi di conservazione del monumento. La regia di entrambi i lavori è stata affidata a Beppe Menegatti, storico compagno di Carla Fracci ormai da anni direttrice del Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma. Per Romeo e Giulietta, al posto dell’intero balletto, che avrebbe occupato tutta la serata, è stata preparata una Suite, la quale raccoglie tre delle coreografie più belle di questo lavoro del compositore ucraino che debuttò nel 1938 a Brno, in Cecoslovacchia, poiché il regime sovietico vi voleva imporre un “lieto fine” per “alleggerire” propagandisticamente gli animi degli spettatori: quella di Loris Gai, di Eric Bruhn per la scena dell’addio e di Rudolf Nureyev per il passo a due della scena del balcone. Pagliacci, invece, in questo nuovo allestimento dell’Opera di Roma, con le scene di Cristian Biasci ed i costumi di Anna Maria Morelli, viene presentato nella maniera più classica - ambientazione nell’800 - senza eccessive sovrastrutture, nel rispetto delle indicazioni dell’autore, il quale per la 3 Le Repliche mercoledì 8 agosto, ore 21,00 venerdì 10 agosto, ore 21,00 sabato 11 agosto, ore 21,00 domenica 12 agosto, ore 21,00 martedì 14 agosto, ore 21,00 trama si ispirò ad un fatto di cronaca realmente accaduto a Montalto Uffugo, in Calabria, dove il padre era giudice penale. Direttore d’orchestra è il 39enne giapponese Hirofumi Yoshida. Balletto ed Opera per l’ultimo appuntamento a Caracalla La vicenda, che trae spunto da un reale fatto di cronaca al centro di un processo di cui fu giudice il padre di Leoncavallo, si svolge a Montalto Uffugo in Calabria, il giorno di Mezzagosto, fra il 1865 e il 1870. convincere e promette di fuggire con lui durante la notte. Preso dalla rabbia per il rifiuto di Nedda, Tonio racconta il segreto della donna al marito Canio, il quale accorre per sorprenderla durante il convegno amoroso. Silvio però riesce a fuggire e Canio, minacciando Nedda, tenta di farle confessare il nome dell'amante. A questo punto interviene il commediante Peppe e ricorda a Canio che la recita sta per cominciare. Canio soffre, ma deve tenere per sé i suoi sentimenti. Questo è il destino dei pagliacci: tramutare il pianto in risate e il dolore in smorfie. La Trama Prologo: il commediante Tonio annuncia la commedia che sta per es- sere rappresentata ed il credo artistico dell'autore. Spiega che si tratta di un soggetto Verista, il quale racconta degli autentici sentimenti umani che possono nascondersi dietro la finzione scenica. Atto I: Nel paese calabrese, alle tre del pomeriggio. I contadini acclamano festosi l'arrivo di un gruppo di teatranti di girovaghi. Il capo della compagnia Canio, vestito da pagliaccio, invita tutti i contadini e le contadine allo spettacolo che si terrà in serata. Canio sospetta che il commediante Tonio insidi la moglie Nedda e lo avverte che, se nella finzione la scena di una sposa sorpresa in flagrante tradimento può creare una situazione comica, nella realtà una vicenda simile potrebbe concludersi in tragedia. Il discorso è interrotto dall'arrivo degli zampognari. Le donne si avviano verso la chiesa e gli uomini in taverna, lasciando Nedda da sola. La donna non riesce a nascondere il proprio turbamento dopo le parole del marito e canta un'aria in cui celebra la libertà degli uccelli nel cielo. Nel frattempo Tonio si avvicina e le confessa il proprio amore, ma ella lo respinge deridendolo e gli dice di tenere le sue confessioni d'amore per lo spettacolo della sera. Addolorato, il commediante giura di vendicarsi. Entra in scena Silvio, un giovane possidente di campagna della zona, il vero amante di Nedda. La donna gli racconta l'accaduto e Silvio le propone di fuggire con lui la notte stessa: in questo modo potrà affrancarsi dal marito e dalla vita girovaga che non ama. Mentre Nedda cerca di resistere a queste proposte, Tonio ritorna non visto e ascolta le parole di Silvio. Alle continue insistenze del giovane possidente, Nedda si lascia Atto II: La sera, durante la rappresentazione della commedia. I contadini e le contadine accorrono per assistere allo spettacolo dei pagliacci, accolti da Tonio, Peppe e Nedda. Fra gli spettatori c'è anche Silvio. Lo spettacolo inizia. Colombina (Nedda), in assenza del marito Pagliaccio (Canio), attende il buffo servo Taddeo (Tonio) che le deve portare la cena. Giunge Arlecchino (Peppe) pronto a dichiararle il suo amore. Arriva quindi anche Taddeo il quale, nonostante le sarcastiche battute di Colombina, le confessa di non riuscire a dimenticarla, ma accortosi della presenza di Arlecchino, se ne va, lasciando soli i due innamorati. Mentre Arlecchino rinnova le sue promesse d'amore e propone a Colombina di avvelenare il marito e quindi fuggire insieme, Taddeo ritorna ed annuncia l'imminente arrivo di Pagliaccio. Arlecchino si dilegua, mentre Pagliaccio entrando in scena ode pronunciare da Colombina le medesime parole che ella - nella realtà - aveva detto poche ore prima a Silvio. In quello spettacolo si ripete, dunque, la stessa scena di gelosia del pomeriggio. Pagliaccio vuole conoscere il nome dell'amante di Colombina. A questo punto finzione e realtà si confondono. Quando la donna risponde che l'uomo che era con lei è Arlecchino, il marito la incalza chiedendole il nome del suo vero amante ed accecato dalla gelosia, la colpisce con un pugnale. Nedda cade invocando Silvio. L'amante accorre al suo fianco, ma Canio uccide anche lui. Poi, rivolgendosi al pubblico, annuncia: «La commedia è finita!». Il Giornale dei Grandi Eventi Pagliacci Maria Carola Nedda, moglie infedele ed amante di Silvio I l ruolo di Nedda (nella commedia Colombina) sarà interpretato dal soprano Maria Carola. L’artista si è diplomata in violino sotto la direzione del M° Guida, presso il Conservatorio di Avellino. Successivamente ha intrapreso lo studio del canto, con Elisabetta Fusco e Carlo Desideri, conseguendo il diploma con il massimo dei voti. Ha frequentato come alunna effettiva i corsi estivi dell’Accademia Chigiana di Siena (studiando con Kabaiwanska, Verrett, Bruson). Ha vinto il concorso “Giovani Talenti” di Napoli (2000) ed il concorso internazionale “Città di Bevagna”. La cantante è ospite frequente del palcoscenico dell’Opera di Roma: nel 2004 ha partecipato alla produzione dell’opera Elektra di Strauss diretta da Will Humburg e la regia di Henning Brockhaus. Nella stagione estiva dello stesso anno, presso le Terme di Caracalla, ha debuttato come Leonora ne Il Trovatore di G. Verdi. Nel marzo 2006 si è esibita come Maria nella Maria Stuarda di Donizetti e nel dicembre dello stesso anno è stata Micäela nella Carmen di Bizet. Sempre al 2006 risale la sua ultima partecipazione come Nedda nei Pagliacci di Leoncavallo, nella città di Macau (Hong Kong). Maria Carola Carlo Guelfi e Devid Cecconi Tonio, commediante innamorato e non ricambiato P resteranno la voce a Tonio (nella commedia Taddeo) i baritoni Carlo Guelfi (nei giorni 8 e 11 agosto) e Devid Cecconi (10, 12 e 14 agosto). Carlo Guelfi è nato a Roma e ha studiato canto con lo zio, il maestro Renato Guelfi. Dopo il successo ottenuto al concorso “Adriano Pertile”, ha iniziato una brillante carriera. Il colore scuro della voce del baritono, la nobiltà nel porgere, la proverbiale dizione, la grande facilità nel canto legato, il sapiente uso della mezza voce uniti ad una bella presenza scenica, lo hanno imposto sulla scena internazionale quale buon interprete del repertorio verdiano e verista. La schiera dei grandi personaggi delle opere di Verdi si è ulteriormente arricchita con i debutti in Nabucco alla Fenice di Venezia, Stiffelio al Teatro Sao Carlos di Lisbona e Don Carlos al Teatro Comunale di Firenze. Si aggiungono ai già collaudati Rigoletto e Simon Boccanegra, del quale è importante l’edizione del Maggio Musicale Fiorentino diretta da Claudio Abbado; Macbeth, Otello con il quale ha inaugurato la stagione 2004/05 al MeCarlo Guelfi tropolitan di New York con la direzione di James Levine, Un Ballo in Maschera, Trovatore, Traviata. Tra i suoi grandi personaggi veristi ricordiamo Scarpia in Tosca, Gerard in Andrea Chenier, Rance in Fanciulla del West, Michele in Tabarro e Gianni Schicchi. Il talento del trentacinquenne fiorentino Devid Cecconi è emerso nell’ambito del concorso “Mattia Battistini” (2006). Il successo nel concorso ha reso possibile al cantante il debutto nel ruolo di Rigoletto con la direzione del maestro Sergio La Stella e la regia di Dario Micheli. La formazione di Cecconi è avvenuta con il baritono Rolando Panerai e con il 5 Vincenzo La Scola e Nicola Martinucci I Canio, marito di Nedda ed infelice Pagliaccio l ruolo di Canio (nella commedia Pagliaccio) sarà interpretato alternativamente dai tenori Vincenzo La Scola (8, 11 agosto) e Nicola Martinucci (10, 12, 14 agosto). Vincenzo La Scola, di origine palermitana, ha debuttato nel 1983 a Parma nel Don Pasquale di Donizetti, avviando nell’85, a Bruxelles, la sua carriera internazionale. Nel 1988 ha esordito alla Scala in L’elisir d'amore diretto da Patanè. Sempre dello stesso anno è il debutto al Comunale di Bologna in Le Maschere di Mascagni, sotto la direzione di Gianluigi Gelmetti. Tra le sue esecuzioni più celebri, da ricordare nel 1993, al Metropolitan di New York, quella Vincenzo La Scola come Rodolfo in La Bohème e nel 1995, quella in Rigoletto; nel 1996, al Covent Garden di Londra, è stato Alfredo ne La Traviata. Nel 2000, dopo aver vinto l’Award Opera come miglior tenore, ha eseguito sotto Abbado Simon Boccanegra al Maggio Musicale Fiorentino. Ha aperto la stagione 2002/03 della Lyric Opera di Chicago con la Cavalleria Rusticana e la stagione del Regio di Torino con Simon Boccanegra. Nel 2004 è stato nominato docente e direttore artistico dell’Accademia Verdi-Toscanini della Fondazione Toscanini di Parma. Nato a Taranto, Nicola Martinucci è stato allievo di Mario e Marcello del Monaco e si è perfezionato lavorando con importanti direttori e registi (attualmente studia con Gianfranca Ostini). Nel 1966 è risultato vincitore del concorso “As.Li.Co.”; in seguito a ciò è avvenuto il suo debutto operistico con Il Trovatore. Del suo repertorio da ricordare Aida, Turandot, Andrea Chenier, Tosca, Pagliacci, Norma, Fanciulla del West, Manon Lescaut, Madama Butterfly, Trovatore. Tra le esibizioni più celebri dell’artista ci sono quella del Principe Calaf in Turandot, nel 1998, al teatro La Maestranza di Siviglia, al Regio di Torino ed allo Sferisterio di Macerata. Altro successo di pubblico e di critica è stata la sua interpretazione di Canio nei Pagliacci al Ravenna Festival, sotto la direzione di Riccardo Muti. Nicola Martinucci maestro Andrea Severi. Caratterizzano il cantante una voce ampia e pastosa, con acuti sicuri e capaci di impressionare, mezzevoci e centri ben calibrati e una recitazione attenta. Nel 2003 ha debuttato con buon successo nel ruolo di Scarpia in Tosca a Firenze, rappresentata durante il Festival d’Estate in Piazza Santa Maria Novella. Nel 2004 ha debuttato il ruolo di Sharpless in Madama Butterfly al Teatro dei Differenti di Lucca in occasione dei festeggiamenti per il Centenario dell’opera pucciniana. Nel 2005 ha raccolto un notevole successo alla Royal Opera di Toronto (Canada) dove ha debuttato, nella stessa serata, nel doppio ruolo di Alfio in Cavalleria Devid Cecconi Rusticana e di Tonio in Pagliacci. Pagina a cura di Diana Sirianni – Foto: Corrado M. Falsini Pagliacci 6 Il Giornale dei Grandi Eventi La Storia dell’Opera “D Quel Prologo, quasi un manifesto verista opo il successo di Cavalleria mi chiusi in casa disperato ma risoluto a tentare l’ultima battaglia e in cinque mesi scrissi il poema e la musica di quest’opera...”. È lo stesso Leoncavallo a collegare idealmente i suoi Pagliacci alla fortunata opera del debutto mascagnano, quella Cavalleria rusticana che due anni prima, nel 1890, al Teatro Costanzi di Roma aveva spalancato la nuova, ultima, incredibile stagione del teatro musicale italiano. Cavalleria, ispirata a Verga, aveva elettrizzato un ambiente in crisi che attendeva lo scossone, l’arrivo di un nuovo artista in grado di raccogliere l’eredità di Verdi. Puccini aveva prodotto le sue prime opere giovanili, ma non era ancora arrivato il vero successo di Manon Lescaut (1893). Sicché, in realtà, il vero dominatore delle scene continuava ad essere il vecchio Verdi, il cui Falstaff era atteso in maniera quasi spasmodica. Mascagni creò l’evento nuovo e gli altri musicisti etichettati poi come “Giovane Scuola italiana” gli corsero dietro, cercando di bissarne il trionfo. Il più sollecito fu Leoncavallo, il quale pensò di rimanere nelle atmosfere di Cavalleria rusticana. Scelse lo dichiarò egli stesso - una vicenda reale alla quale aveva assistito, un fatto di sangue avvenuto nel 1865 a Montalto di Calabria e giudicato da suo padre, Enrico Caruso Enrico Caruso nel ruolo di Canio magistrato di idee liberali. In realtà di quel tragico episodio solo alcuni particolari sono confluiti nel libretto. Lo spunto arrivò dalla coltellata con la quale un giovane del paese aveva ucciso per gelosia il domestico di casa Leoncavallo. La cornice festosa fu invece suggerita dalla particolare solennità del ferragosto di Montalto, dedicata alla Madonna della Serra. Fonti letterarie furono invece La Femme de Tabarin di Catulle Mendès e Un Drama nuevo (1867) di Manuel Tamayo y Baus. L’opera, rifiutata da Ricordi, fu acquistata da Sonzogno. Un ottimo affare: Pagliacci e Cavalleria da allora formano un dittico perfetto. Il debutto Il debutto avvenne il 21 maggio 1892 al Dal Verme di Milano con la direzione di Arturo Toscanini e l’interpretazione, nei panni di Tonio, di Victor Maurel che era stato il primo Jago verdiano. Fu un successo sincero di pubblico con qualche riserva da parte della critica e dell’intellighenzia di allora. Nel giudicare le opere di quel periodo non c’erano mezze misure. O le si amava o le si odiava con passione. Achille Tedeschi sul “Corriere della sera” profetizzò, sbagliando clamorosamen- te: “Successo immediato quanto effimero”. Rimski-Korsakov definì il lavoro leoncavalliano “musica illusionista” e Camille Bellaigue affermò di aver provato orrore durante l’ascolto. Renè Leibowitz, tuttavia, uno degli apostoli della dodecafonia, nella sua Histoire de l’Opera considerò il lavoro degno “di occupare un posto privilegiato tra i capolavori dell’arte lirica”. I giudizi della critica non interessavano l’editore, cui stavano a cuore solo gli esiti commerciali. E il 2 giugno Sonzogno scriveva con soddisfazione a Guido Menasci, uno dei due librettisti di Cavalleria rusticana: “... Pagliacci sono un vero successo e Leoncavallo, alla dovuta lunga distanza da Pietro [Mascagni] è un compositore facile e che ha il colpo d’occhio teatrale sicuro. Ormai l’omnibus musicale della Scuola Mascagni è al completo... Coi compositori che ho già e coi concorsi triennali io faccio già più di quello che si può fare per determinare il risveglio dell’arte musicale italiana e farle riprendere il primato nel mondo...”. Prologo verista “Opera in un atto” era definita nel libretto Pagliacci alla sua prima stesura. Durante le prove, però, Leoncavallo pensò (forse su suggerimento di Maurel) di introdurre il Prologo, di suddividere il lavoro in due parti e di inserire l’Intermezzo orchestrale. Il Prologo acquistò un’importanza fondamentale perché divenne una sorta di manifesto del verismo: “Io sono il Prologo. Poiché in scena ancor le antiche maschere mette l’autore, in parte ei vuol riprendere le vecchie usanze e a voi di nuovo inviami. Ma non per dirvi come pria: “Le lagrime che noi versiam son false! Degli spasimi e dei nostri martir non allarmatevi!” No. L’autore ha cercato invece pingervi uno squarcio di vita. Egli ha per massima sol che l’artista è un uomo e che per gli uomini scrivere ei deve. E al vero ispiravasi... Dunque vedrete amar sì come s’amano gli esseri umani; vedrete de l’odio i tristi frutti. Del dolor gli spasimi, urli di rabbia udrete e risa ciniche”. Opera di grande effetto drammatico, Pagliacci contiene alcune pagine di grande popolarità. Si pensi natu- I ralmente a “Ridi pagliaccio” che, in un procedere melodico teso, su uno strumentale scuro, riassume l’essenza stessa del dramma: il contrasto fra l’apparenza doverosamente gaia dell’attore e il suo animo scosso dalla gelosia e dal dolore. L’elemento di maggior novità sta nella costruzione drammaturgica dell’opera, una sorta di teatro nel teatro, formula assai cara al Novecento. Ed è proprio questa trovata a rendere la trama avvincente: dalla finzione si passa alla realtà (anch’essa finzione!) in un gioco che, come nella vita, mescola commedia e tragedia. Il coro che in scena assiste alla rappresentazione delle maschere è protagonista e pubblico insieme e quella rappresentazione passa dal divertimento alla efferatezza di un omicidio senza soluzione di continuità, in un gioco macabro governato da Leoncavallo con indubbia efficacia musicale. Roberto Iovino La polemica con Mendès l tema della gelosia che scatena la tragedia non era insolito al tempo di Leoncavallo. Si pensi a Carmen, Otello, Cavalleria rusticana. Ma l’opera che doveva portare il compositore napoletano alla ribalta somigliava in maniera impressionante a La Femme du tabarin del francese Catulle Mendès (1841-1909), che di recente era stata pubblicata a Parigi. Era questa una novella in dialogo (che l’autore aveva redatto in forma di pièce teatrale in un atto) in cui un delitto d’onore veniva consumato sulle tavole del palcoscenico, tra l’incredulità degli spettatori. La concordanza tra il libretto di Leoncavallo e il testo di Mendès dimostra che il musicista aveva avuto certamente modo di conoscere la pièce. Mendès, venuto a conoscenza del libretto di Leoncavallo, protestò vigorosamente contro il presunto plagio e con una lettera sul “Figaro” del 9 giugno 1899 rivendicò la paternità del soggetto e intentò addirittura una causa. La causa fu poi ritirata (giacché anche La Femme du Tabarin aveva dei precedenti letterari!), ma Leoncavallo volle lo stesso ribattere alle accuse. Rivelò allora di aver tratto ispirazione da un fatto realmente accaduto, un delitto d’onore a cui egli aveva assistito in prima persona durante l’infanzia trascorsa in Calabria. Per rafforzare la sua difesa, il compositore citò come testimone proprio quel D’Alessandro (nell’opera Canio), che aveva commesso il delitto e che, uscito di prigione, era stato assunto a servizio dal barone Sprovieri in Calabria. E. Ca. Il Pagliacci Giornale dei Grandi Eventi 7 Guida musicale Preludio e Prologo, immagini dell’opera L’ immagine di tutto quello che è la musica dei Pagliacci è racchiusa nel Preludio, perfetto scenario che anticipa i colori accesi del resto dell’opera. Una musica vivace, quasi elettrizzata, sottolinea l’atmosfera gioiosa e rustica di festa paesana, pur senza giocare la carta scontata della melodia popolare. La strumentazione ricca e onnipresente svolge un discorso a immagine di tutta l’opera, accenna tre dei quattro leitmotiv organizzati dall’autore e oppone violentemente la piena orchestra alle risposte acute e trillanti dei flauti e dell’ottavino. La struttura ritmica è impiantata su una tradizionale misura ternaria di 3/8 da cui si discosta per accennare in 2/4 al corno, piano e dolorosamente, lo straziante tema della risata dolorosa del pagliaccio. È il motivo conduttore più fortunato dell’opera, ma Leoncavallo sceglie di non abusarne facendolo ricomparire solo al termine del primo atto, nel celebre arioso “Vesti la giubba”, e alla fine dell’opera dove, con un’esplosione orchestrale in fortissimo (fff), accompagna la frase finale di Tonio “…la commedia è finita!”. Il secondo leitmotiv compare subito dopo: è quello dell’amore adulterino tra Nedda e Silvio, che ricorre spesso con varie trasformazioni melodiche nell’opera. Ad esso segue, quasi simbolicamente, quello della gelosia di Canio, serpeggiante, accennato dai violoncelli. Dopo la ripresa del tema iniziale, il Preludio si lega direttamente al Prologo, introduzione classica del melodramma secentesco che viene volutamente ripreso da Leoncavallo: è un momento di estrema difficoltà vocale che spinge la voce del baritono ad acuti impegnativi, come il la bemolle e il sol naturale. La vocalità verista, infatti, è tutta sfogata tra il registro centrale e quello acuto con grandi salti di sesta e quarta; è prorompente, fortemente espressiva e sovente all’unisono con l’orchestra. Il Prologo si deve al celebre baritono francese Victor Maurel: famoso più per le sue eccezionali qualità di interprete che per la bellezza della sua voce, suggerì a Leoncavallo di aggiungere questa famosa pagina musicale che, oltre ad essere un importante spazio solistico per il baritono, assume una valenza fondamentale per quanto riguarda l’enunciazione di alcuni importanti aspetti della poetica verista dell’autore. Tonio, lo scemo, si presenta al pubblico secondo la tradizione della Commedia dell’Arte e, come un allegoria della coscienza dell’artista, spiega le intenzioni del compositore che, ispiratosi a un fatto realmente accaduto, ha cercato di dipingere uno squarcio di vita: “egli ha per massima sol che l’artista è un uom e che per gli uomini scrivere ei deve!”. Con tale affermazione Leoncavallo esprime, anche se in maniera non del tutto ancora cosciente, un cambiamento storico nel rapporto compositore-pubblico, ovvero lo spostamento dell’asse della comunicazione artistica verso l’interlocutore, la rinuncia allo statuto demiurgico dell’artista-creatore, a cui si sostituisce l’assecondamento del gusto dell’ascoltatore. Come scrissero i musicisti della Giovane Scuola verista: “Il miglior giudice di musica è infatti il nostro cuore commosso”. Nella seconda parte del Prologo, che ha la forma tradizionale dell’aria, si manifesta l’aspetto fondamentale dei sentimenti, esposti in tutta la loro umanità, seppure spinti all’estremo. Mentre il musicista compone, le lagrime scendono sul suo viso ed egli è intimamente partecipe del dramma nel quale ognuno può ritrovare un po’ di se stesso. Dopo un magniloquente “Incominciate!” di Tonio, si apre il sipario… Dopo il folgorante successo della prima recita al Teatro Dal Verme di Milano, l’opera fu replicata immediatamente nei grandi teatri lirici stranieri di Vienna, Varsavia, Berlino, ottenendo strepitosi e reiterati successi. All’ammirazione entusiastica del pubblico, per lungo tempo non corrispose, comunque, una benevola considerazione da parte della critica: la stampa specializzata tedesca cercò di ridimensionare la novità rappresentata da Pagliacci sottolineando una presunta diretta filiazione dalla musica del “campione” locale Wagner. Si scrisse che senza Tristano e Isotta o senza i Maestri cantori di Norimberga una simile opera non sarebbe mai stata concepita. Effettivamente, considerando che Leoncavallo era stato il librettista di se stesso e che nell’opera ricorrono ben quattro leitmotive, si può immaginare come il wagnerismo avesse lasciato tracce profonde anche in Italia. Il giovane compositore, appena uscito dal Conservatorio di Napoli, si professava un seguace dell’idea wagneriana, pur senza abbandonare le caratteristiche e le antiche tradizioni della musica italiana che ritroviamo ben pre- D senti in tutta la sua produzione. Tuttavia la sua era una musica nuova, che sfuggiva a quel predeterminato controllo dall’alto che il La prima edizione dello spartito Pagliacci modello wagneriano richiedeva: essa talia e perdurò fino all’interpuntava alla sollecitazione vento del grande critico e dell’emotività immediata del musicista René Leibowitz, il quale per primo prese le dipubblico. Anche la critica francese eb- fese del Verismo musicale. be parole sprezzanti per L’opera italiana stava infatti questa musica “tumultuosa e rialzando la testa dopo l’evistosa” di cui null’altro sa- saurimento del filone ropeva dire se non che i facili mantico e questo non poteeffetti drammatici e un liri- va che preoccupare fortesmo grossolano la destina- mente i francesi, legati alla vano al pubblico piccolo produzione naturalistica di borghese delle grandi città autori come Alfred Bruneau italiane. Tale atteggiamento e Gustave Charpentier, e i di sufficienza era nient’altro tedeschi, fedeli al genio di che un tentativo di arginare Bayreuth. Andrea Cionci la novità proveniente dall’I- Pagliacci all'Opera di Roma Caracalla - Costanzi 9 a 8 opo quasi due anni dall'esordio milanese, Pagliacci giunse al Teatro Costanzi il 18 gennaio 1894. Direttore fu Gaetano Cimini. Fra gli interpreti Carlo Lanfredi (Canio), Lina Pasini Vitale (Nedda) e Vittorio Brombara (Tonio). Pochi anni dopo (il 19 ottobre 1914) una speciale serata fu organizzata per i rimpatriati dalle terre occupate. Per l'occasione giunsero a Roma Arturo Toscanini e cantanti d'eccezione come Enrico Caruso (uno dei massimi interpreti del ruolo di Canio), Lucrezia Bori e Giuseppe De Luca. L'edizione successiva fu nel maggio 1922 con le scene di Cesare Ferri e Ettore Polidori. Sul podio Giulio Falconi per dirigere Fortunato De Angelis, Hina Spani e Benvenuto Franci. Dovettero passare quindi vent'anni e fu la volta di Tullio Serafin che il 4 aprile del 1942 guidò Iris Adami Corradetti, Tito Gobbi ed il tenore Beniamino Gigli al suo esordio nel ruolo di Canio. La regia era di Marcello Govoni e le scene di Camillo Parravicini, il quale tornò a Roma anche il 16 gennaio del 1958 per uno spettacolo diretto da Oliviero De Fabritiis, con la regia di Carlo Acli Azzolini e le voci di Mario Del Monaco, Nora De Rosa e di nuovo Tito Gobbi. Mentre alle Terme di Caracalla le rappresentazioni estive di Pagliacci continuavano con sorprendente regolarità (si contano ben 7 edizioni fra il 1945 ed il 1960, più una nel 1939), per riascoltare l'opera al Costanzi bisognò aspettare quasi 35 anni, fino al Centenario della prima rappresentazione. Il 2 maggio 1992 i Pagliacci tornano con la direzione di Daniel Oren, la regia ed il famoso allestimento ambientato a Napoli firmato da Franco Zeffirelli. Fra i protagonisti c'erano Leo Nucci, oltre a Giuseppe Giacomini, Cecilia Gasdia e Lorenzo Saccomani. Ancora Zeffirelli regista nel giugno del 1994. Direttore Angelo Campori. Interpreti Giuseppe Giacomini e Nicola Martinucci (Canio), Cecilia Gasdia e Carmela Apollonio (Nedda), Paolo Gavanelli (Tonio), Claudio Otelli (Peppe) e Orfeo Zanetti (Silvio). L'ultima rappresentazione all'Opera di Roma, in un Costanzi appena dotato di un sistema di aria condizionata, per la stagione estiva 2002. Dal 24 luglio al 3 agosto in scena l’allestimento del Teatro Comunale di Bologna e del Teatro Massimo Bellini di Catania con la regia di Liliana Cavani ripresa da Giovanna Maresta ambientato nella periferia romana degli anni ’50. Direttore Pier Giorgio Morandi. Interpreti Svetla Vassileva, Angeles Blancas Gulin, Simona Baldolini (Nedda), Nicola Martinucci, Alberto Cupido e Josè Cura (Canio), Luo Nucci e Alberto Mastromarino (Tonio). La. Fa. Pagliacci 8 Il Giornale dei Grandi Eventi L’arte del pagliaccio Da “uomo del villaggio” a beniamino di bambini ed adulti C lown, termine inglese, significa uomo del villaggio. È una deformazione di clod, e deriva dal latino colonus: abitatore di colonia, colono, contadino. Per estensione, equivale a villano, impacciato, goffo. È difficile stabilire la sua prima apparizione nel mondo dello spettacolo. Esso non è, infatti, che il grottesco nello spettacolo e pertanto nasce con lo spettacolo. rimprovero: “Procurate che quelli che fan le parti dei buffoni non dican più di quanto è scritto per loro; perché ce n’è di quelli che ridono essi stessi, per indurre una certa quantità di stupidi spettatori a ridere pure, benché frattanto debba prestarsi attenzione a qualche battuta essenziale del dramma”. Come il campo di Enrico V ha il suo soldato “spaccone”; come un carattere eminentemente tragico, quale il Don Giovanni, è affiancato “Concerto in maschera” di Richard Geiger. (Collezione Privata) È una reincarnazione del mimo e del sannio, del personaggio comico della commedia e del giullare. È il diavolo e il vizio della sacra rappresentazione e del mistero. È il prosecutore delle tradizioni delle maschere della commedia dell’arte: zanni (da sannio) e arlecchini. Ma soprattutto rappresenta un elemento naturale, spontaneo, eterno, dello spettacolo. È il servo sciocco spagnolo (el gracioso). È il giullare (jester o fool) del teatro elisabettiano e si confonderà più tardi con Pierrot e Pulcinella. È il comico - già preesistente allo Shakespeare - cui Amleto rivolgerà qualche da Sganarello, nuovo Sancho per nuovo Don Chisciotte; come perfino negli oratori appaiono, talvolta, sulla scena di una cattedrale, le maschere comiche (ricordo il Guglielmo d’Aquitania del Pergolesi), così non v’è forma di spettacolo che, rovesciando l’azione tragica e la tensione d r a m matica al grottesco, non esiga la presenza del Il clown Rhum clown. Il quale è, più che un personaggio rituale, la materializzazione stessa di una sfaccettatura, di una esigenza naturale e spontanea dell’animo umano: l’elemento che commenta, che irride, che giuoca e che alleggerisce, anche dal di dentro, il dramma. Nelle giostre e tauromachie di Corea, cui accennano anche i sonetti del Belli, intervengono i nani per una parodia della corrida, documentata in stampe “taurine” anche dal Pinelli. Nelle corse dei bàrberi, come quelle del Palio di Siena, appare di tanto in tanto, a sollazzo della folla, il fantino gobbo, o esotico, o lillipuziano, dal nomignolo burlesco, che assume nello spettacolo il ruolo di clown. Nel rodeo troveremo sempre, accanto ai più abili cavalieri, il montatore - impiastrato di fuliggine d’un asino o d’un bufalo che finisce per essere gettato comicamente a terra, dopo aver resistito a una serie di tentativi sempre più violenti per essere disarcionato. Nelle riviste su ghiaccio o acquatiche non aspetteremo molto a vedere apparire il pattinatore o il tuffatore comico, vestiti in maniera ridicola: il tuffatore, poniamo, in un vecchio costume a strisce del principio del secolo. E in tutti questi personaggi, e in molti altri, L'Orchestre du Cirque in una illustrazione di Paris Illustrè del 1883 dove più, dove meno, per quanto differenti siano le sfumature con cui si presentano, è in germe il personaggio del clown. Ma nel circo il clown raggiunge il suo vero posto e si realizza più compiutamente. Staccandosi dalla tragedia e dalla commedia, in cui interviene come una coloritura d’ambiente, come una diversità, diventa autonomo. Non è più il villano importuno delle ecloghe cinquecentesche dei “Rozzi” che interrompe i teneri colloqui delle Ninfe e dei Pastori e ne viene cacciato con insulti e bastonate, né è l’incauto buffone che Amleto tiene a bada. È - finalmente - il meneur du jeu; e soltanto qui l’attributo di clown, uomo rustico, uomo della colonia, diventa soggetto. Non più rincalzo, né condimento; assume, infine, il ruolo di protagonista. Quali sono le caratteristiche del clown? Quali gli elementi della sua arte? Ascoltiamo che cosa richiede Francesco Fratellini, che fra i clowns è stato tra i più grandi, da un vero clown. E ne ricostruiremo le caratteristiche e virtù che si avvicinano, come è facile accorgersi, al tipo stesso del comico dell’arte: “Un pagliaccio non deve solo saper far l’idiota per divertire la gente; deve essere acrobata, danzatore, prestigiatore e cavallerizzo, ciarlatano e un pochino musicista. Il pagliaccio deve conoscere tutte le arti insieme. Ecco che cosa occorre per diventare un clown sul serio, un clown in grande. E questo è niente se l’artista non trova in sé l’ispirazione e quella, caro mio, non c’è nessuno che la possa insegnare”. Confrontiamo il clown “ideale”, ora, con un famoso comico dell’arte, Tiberio Fiorilli detto Scaramuccia, e vediamo in che cosa consiste il suo spettacolo: è saltatore, acrobata, ammaestratore di bestie - si presenta sempre col suo fedele pappagallo - cantante, musicista, versificatore, danzatore, imitatore. Nell’ “entrata” del “Minuetto dell’Asinello” dà fuoco a tutte le polveri del suo repertorio: “L’Asinello innamorato / canta e raglia a tutte l’ore / pare Il Trio Louis Ronx, Geo, Foottit, Madame F Foottit Il Pagliacci Giornale dei Grandi Eventi 9 I Clown che hanno fatto storia L’eterno comico contrasto tra il “Magnifico” e lo “Zanni” A un musico affannato / quando narra il suo valore / e cantando d’amor va - ut re mi fa sol la” (ragli). Dalla osservazione comica, dalla caduta, dal frizzo, dal lazzo, dalla capriola, il clown, come nel “Minuetto dell’Asinello”, è passato all’ “intermezzo”, all’ “entrata”, al “numero”. Prima ha intrattenuto il pubblico tra un esercizio e l’altro del volteggiatore o dell’acrobata, poi ha eseguito lui stesso qualche virtuosità musicale, infine è arrivato a compiere, dapprima da solo, poi accompagnato da altri pagliacci, il suo numero o entrata comica: commedia sintetica, sketch, mimodramma comico. Mario Verdone ffermatosi in Inghilterra, il primo clown è di origine italiana. Si chiama Joe Grimaldi, è vissuto dal 18 dicembre 1779 al 31 maggio 1837. Charles Dickens è il suo biografo. Nipote del saltatore Giovan Battista Nicolini Grimaldi, detto Gamba di Ferro, debuttò come attore nel 1800 in una arlecchinata mostrando un eccezionale estro comico, degno della commedia dell’arte. Era saltatore, danzatore, comico, cantante, parodista ed era famoso anche per le sue “invenzioni”: con frutta e verdura eseguiva un ritratto, con quattro formaggi, una culla e un parafuoco, costruiva una carrozza. Fu considerato di valore pari a quello di Kean. Jean Baptiste Auriol Un posto di primo piano nella storia del clown occupa Jean Baptiste Auriol (1806-1881), ammirato da Théophile Gautier: clownacrobata, entrava in pista su trampoli di quattro metri, ne perdeva uno e continuava a stare in equilibrio, saltellava con l’altro. Saltava su una colonna di sedie rovesciate e vi restava in cima, senza cadere; si appoggiava in equilibrio su una piramide di bottiglie; si fingeva scimmia; saltava soldati con baionetta in spalla, facendo tutta una serie di giuochi, ora audaci, ora lepidi. Era giocoliere, cavallerizzo, funambolo, attore, ercole. Dopo Joe Grimaldi e Auriol, troviamo tra i clown più celebri: James Clement Boswell, parodiatore di Shakespeare, (1826-1859); i Price che crearono il “violino saltatore”, suonato anche nel salto mortale; i mimi acrobati Hanlon Lees, le cui memorie ebbero la prefazione di Théodore de Branville; Billy Hayden, Tony Grice, Medrano detto Boum Boum, la coppia Foottit e Chocolat, e Dario e Bario, Antonet (Umberto Guillaume di Brescia), Beby (Frediani), Rhum, gli Zavatta, Little Walter, i russi Karandash e Popov, i Rivels, Joe Jackson inventore di acrobazie ciclistiche comiche. “I Saltimbanchi” di Pablo Picasso Il “Magnifico” e lo “Zanni” Nella coppia di clowns troviamo il clown bianco e il toni, dai francesi chiamato auguste. Il primo è elegante, infarinato, col berrettino a pan di zucchero, il vestito di un pezzo, pieno di lustrini e di stelle. Il secondo è impacciato, malvestito, senza grazia, con la vo- che tanta fortuna ebbe in Russia, il trio Cavallini e, prima d’essi, i Fratellini: Francesco elegante clown bianco, Paolo, dal frack scomposto, e Alberto, dalle immense scarpe, l’enorme trucco sugli occhi, le lampadine che si accendono sui calli: un Auguste. Beniamini degli scrittori, dei pittori, degli intellettuali di tutto il mondo, ebbero un bibliotecario di eccezione: Tristan Bernard. Raymond Radiguet ha descritto il loro camerino nel Ballo del conte d’Orgel, in una sequenza che si svolge, nel febbraio 1920, al Circo Medrano. Un altro grande clown è lo svizzero Grock (Adrien Wettach; 18801959), figlio di un orologiaio cultore di atletismo e acrobazia. Maestro in ogni specialità della pista, ebbe anche grandi qualità musicali. Fece coppia per sei anni, dal 1907, con Antonet; più tardi ebbe per partner, prima Max van Emden, poi Alfred Schatz. Ma il numero perfezionato con l’andare degli anni e personalissimo, in una esibizione che durava complessivamente più di mezz’ora, era quello mu- ce stonata. Sono il Magnifico e lo Zanni della commedia dell’arte, il parlatore e il compare distratto, quello che picchia con la paletta di gomma, cioè lo schiaffo-bastone, e quello che prende gli schiaffi. Il nome auguste viene da un garzone sciocco, tanto mal vestito da divertire il pubblico, come lo Charlot del film Il Circo che entra nella pista con una pila di piatti e la tiene a lungo in equilibrio finche non finisce per farla cadere. Coppia classica di Magnifico e Zanni possiamo vedere nei due clowns divenuti celebri col cinema: Olivier Hardy e Stan LaureI. “Augusto di serata” è il clown che è presente in pista per l’intero spettacolo, riempie gli intervalli, è sempre attivo creando inconvenienti, parlando al direttore di pista, fingendo di aiutare gli uomini della barriera e in realtà infastidisce, ricevendo colpi e spinte. “Clown Il celebre clown Grock musicale” è quello che sicale, al piano, con la fiesegue numeri musicali ansarmonica, col minuscolo che con bicchieri, campaviolino estratto da una nelli e campanacci, come valigia, con la sedia che nei numeri di Ferdinand gli dava il modo di fare Guillaume (Polidor). salti e cadute bizzarre di grande comicità. Grock ha Clown italiani scritto anche alcuni libri di ricordi. Come Antonet Guillaume, Mario Verdone sono italiani Giacomino, Pagliacci 10 Il Giornale dei Grandi Eventi I lavori di Leoncavallo Il compositore e librettista La “maledizione” di Pagliacci opera di troppo successo Ruggero Leoncavallo “È un eccellente finale di quel copioso fabbro di melodrammi e di operette che aveva congiunti nel suo nome i nomi di due bestie nobili e morì soffocato dall’adipe melodico”. Gabriele D’Annunzio commentò così, con eccessiva crudeltà, la morte di Ruggero Leoncavallo nell’agosto 1919. D’Annunzio, va detto, dispensava acidità a profusione. Ma, nel caso di Leoncavallo, era in buona compagnia, perché il musicista napoletano non godette mai di particolare credito nella cultura ufficiale italiana, nonostante fosse tutt’altro che incolto sul piano della preparazione non solo musicale, ma anche letteraria. Basta ricordare che fu uno dei pochi musicisti italiani (in questo accostabile ad Arrigo Boito) a scrivere il libretto delle sue opere oltre che la musica. Non gli fu perdonato, probabilmente, il suo attivismo nel mondo operettistico da sempre guardato in Italia con malevolo sospetto. Certo è, tuttavia, che Pagliacci non fu opera casuale e, al di là dei gusti personali, rappresenta uno dei lavori più rilevanti in campo teatrale del repertorio di fine Ottocento. Formatosi al Conservatorio di Napoli, Leoncavallo frequentò anche la Facoltà di Lettere a Bologna, attratto dalla figura di Carducci. Non completò il corso di laurea, ma conobbe Pascoli e si avvicinò al teatro wagneriano che aveva in Bologna il suo centro italiano di propulsione. Tramontato il sogno di mettere in scena un proprio spettacolo, Leoncavallo lasciò Bologna e iniziò una vita errabonda che lo portò dal Cairo a Parigi in cerca di fortuna. Pagliacci non fu - come nel caso di Mascagni - la prima opera effettivamente scritta, altre giacevano chiuse nel cassetto nella attesa di una rappresentazione. Difficile confrontarsi con questo trionfo Il trionfo dei Pagliacci spianò però la strada ad altri titoli. Ma, come Cavalleria rusticana per Mascagni, costituì una sorta di maledizione. Anche per Leoncavallo bissare il primo trionfo fu impresa impossibile. Non solo. L’etichetta di “compositore verista” se la trovò cucita addosso senza neanche rendersene conto. Lui che con Chatterton e con I Medici sembrava più orientato verso il ripristino tardoromantico del dramma lirico a sfondo storico. I Medici - prima parte di una trilogia italiana mai completata - nel 1893 sortirono un clamoroso fiasco. Né meglio le cose andarono quando il povero Leoncavallo si trovò costretto a competere con Puccini. Entrambi, si scoprì, stavano musicando Bohème da Murger. Puccini la mise in scena nel 1896, Leoncavallo - pur avendola cominciata prima - qualche mese dopo e, naturalmente, perse nel confronto. Tuttavia, lasciando da parte la deliziosa opera pucciniana, la Bohème di Leoncavallo contiene pagine di estrema gradevolezza e coglie forse più che la partitura del concorrente, lo spirito autentico del romanzo francese d’origine. Nel 1900 le quotazioni di Leoncavallo tornarono a salire grazie al successo di Zazà, rappresentata al Teatro Lirico di Milano. L’opera è una rivisitazione di quel mondo del café-chantant che Leoncavallo aveva frequentato nel suo soggiorno parigino. Interpretata da grandi artiste, Zazà fu conosciuta in breve tempo in tutto il mondo. Leoncavallo usò mano leggera, abbozzò efficaci scene d’ambiente, trovò alcune melodie felici. Oltre alle opere un repertorio “leggero” Nel 1904 Leoncavallo si trasferì a Brissago sulla sponda svizzera del Lago Maggiore. Lì avrebbe in seguito registrato con Enrico Caruso la celebre romanza Mattinata (“L’aurora di bianco vestita”) che è tuttora fra le sue melodie più popolari. Mattinata ci introduce nel repertorio più “leggero” trattato da Leoncavallo. Non solo le liriche da camera ma anche l’operetta che in Italia era sempre stata a un livello alquanto basso (se la si confronta con i capolavori francesi di Offenbach o viennesi di Strauss e Lehár) e che proprio i musicisti della Giovine Scuola cercarono di risollevare. Leoncavallo profuse particolare impegno, ottenendo qualche risultato con La Reginetta delle rose (1912, su testo di Forzano). Allo scoppio della guerra, Leoncavallo fu tra i più appassionati sostenitori dell’interventismo. Nel 1916 al Carlo Felice di Genova propose Goffredo Mameli. Di questo lavoro, che ebbe scarsissima fortuna, è testimonianza una recensione firmata Vittorio Guerriero, ma scritta dal giovanissimo Eugenio Montale. Lo stesso poeta ha ricordato, anni dopo, quell’episodio: “...incontrai una sera Vittorio Guerriero che, poi, dopo, fu noto come autore di romanzi... era critico musicale di un giornale; mi diceva: “io non mi intendo affatto di opere, non so perché mi abbiano fatto critico musicale. Tu devi scrivere un articolo su quest’opera”. “Ma io non l’ho mai sentita...”. Insomma, scrissi l’articolo senza aver mai sentito questo “Mameli”; l’articolo fu pubblicato e poi dopo conobbi Leoncavallo il quale dichiarò che mai, nessun critico, lo aveva compreso così profondamente...”. Roberto Iovino L a professione paterna di magistrato portava la famiglia Leoncavallo a spostarsi di frequente. Così Ruggero nacque a Napoli nel 1857. Qualche anno dopo, il padre Vincenzo fu trasferito in Calabria e nel 1865 a Montalto Uffugo (attuale provincia di Cosenza) giudicò quel fatto di sangue ispirato dalla gelosia che a quasi trent’anni di distanza si trasformò nel soggetto dell’opera più celebre di Ruggero Leoncavallo: Pagliacci. Tornato a Napoli nel 1866 Ruggero, seguendo una passione che era anche dei genitori, entrò al Conservatorio di San Pietro a Majella, dove si diplomò nel 1874. Contemporaneamente s’iscrisse all’Università di Bologna, dove seguì le lezioni di Giosuè Carducci. Negli stessi anni portò a compimento la partitura dell’opera storica Chatterton, d’ispirazione wagneriana, che però fu rappresentata solo nel 1896 (al Nazionale di Roma), quando Leoncavallo si era già guadagnato la notorietà. Finiti gli studi, il compositore trascorse un breve periodo in Egitto su invito di uno zio e tentò la fortuna come pianista e direttore di banda, ma fu costretto alla fuga nel 1882 quando il governo inglese, preoccupato per le sorti della gestione del Canale di Suez, intervenne militarmente in Egitto. Si trasferì allora a Parigi, dove inizialmente condusse una vita bohémienne suonando nei Café-concert, fra cui l’Eldorado. In breve tempo, grazie ad un rapido successo e all’amicizia col baritono Victor Maurel, entrò in contatto con gli ambienti d’opera e con l’editore italiano Ricordi. Nel 1888 i rapporti italo-francesi s’inasprirono per il rafforzamento della Triplice Alleanza voluta da Crispi e Leoncavallo dovette rimpatriare. Stabilitosi a Milano, iniziò un’intensa collaborazione con Casa Ricordi come traduttore e librettista e lavorò alla composizione di una trilogia, il Crepusculum, che nelle sue intenzioni doveva comprendere “I Medici”, “Savonarola” e “Cesare Borgia”, ma di cui riuscì effettivamente a comporre solo I Medici, che andò in scena solo nel 1893 senza troppo successo. Nel frattempo il compositore iniziò la stesura di un nuovo lavoro, Pagliacci, messo a punto in soli cinque mesi. Ricordi rifiutò l’opera che venne offerta all’editore Sonzogno, già titolare dei diritti su Cavalleria rusticana di Mascagni. La “prima” al Teatro Dal Verme di Milano, il 21 maggio 1892, fu un successo e il nome del compositore si diffuse anche all’estero. Nacque in quegli stessi anni anche la famosa disputa tra Leoncavallo e Puccini per la proprietà morale del soggetto “Scènes de la vie Bohème” di Henry Murger a cui entrambi stavano lavorando. Nel 1900 il compositore ritrovò il consenso del pubblico presentando al Teatro Lirico di Milano Zazà sempre su proprio libretto. Fu un momento attivo e ricco di progetti. Dopo la composizione di Majà, che andò in scena per la prima volta al Teatro Costanzi a Roma nel 1910, Leoncavallo dimostrò un crescente interesse per l’operetta. Ne produsse ben sette tra il 1910 e il 1919, senza però abbandonare l’opera a cui tornò nel 1916 con Goffredo Mameli, lavoro patriottico a sostegno dell’interventismo nella Prima Guerra Mondiale. Gli ultimi due anni della sua vita li passò dedicandosi ad opere di minore rilievo o addirittura mai rappresentate. Morì il 9 agosto 1919 a Montecatini Terme, mentre lavorava al libretto di Tormenta, ispirato ad un fatto di cronaca nera sarda. Ludovica Sanfelice Il Giornale dei Grandi Eventi Pagliacci 11 L’ambientazione del libretto di “Pagliacci” Da un ricordo d’infanzia la chiave della storia D Consilina, Eboli, Napoli, Potenza, Arezzo, Cava dei Tirreni e Montalto Uffugo, dove Ruggero giunse con la famiglia nel 1862, all’età di soli cinque anni, e dove rimase fino al 1868. Domiciliato al primo piano di un’antica casa di proprietà degli Alimena, ai piedi della torre del campanone, al rione Castello, visse qui gli anni più belli della sua fanciullezza. Nella piccola cittadina calabra, che all’epoca contava poco più di 5.000 anime, Ruggero frequentò col fratello maggiore Leone la Scuola Pia di grammatica, sotto la direzione del sacerdote Giuseppe Rossi. Fu un soggiorno breve quello del piccolo Ruggero a Montalto, ma essenziale per la sua futura attività di compositore e librettista. L’esperienza di vita a Montalto, paese della sua infanzia, dell’allegria, della spensieratezza, dei primi studi musicali, e l’importanza che anni più tardi avrà per Leoncavallo, è ampiamente descritta dallo stesso compositore nella sua pseudo-autobiografia, dal titolo Appunti vari delle autobiografici [sic] di R. Leoncavallo, conservata nel Fondo Ruggero Leoncavallo presso la Biblioteca Cantonale di Locarno: “I miei ricordi cominciano ad avere invece un nesso, in rapporto di continuità da quando mio padre fu traslocato a Montalto Uffugo, in provincia di Cosenza. […] Montalto è però il paese della mia infanzia, delle mie birichinate e dei primi studi. Si è visto come io nascessi in un ambiente in cui l’arte era una parte essenziale della mia vita. Mio padre stesso era appassionato di musica e più d’una volta la sua voce squillante sonora echeggiò sotto le volte della piccola chiesa calabrese in occasione della festa della Madonna di Mezz’agosto, La famiglia Leoncavallo: il padre Vincendurante la messa da un zo, la madre Virginia D’Auria ed i primi palco costruito apposta due figli: Leone e Ruggero ue sono essenzialmente i motivi per cui il compositore napoletano Ruggero Leoncavallo, illustre esponente della Giovane Scuola italiana con Puccini, Mascagni e Giordano, che professò ideali di rinnovamento dell’opera lirica in senso verista, sin dall’età di cinque anni e fino alla fine dei suoi giorni rimarrà legato a doppio filo a Montalto Uffugo, cittadina calabrese in provincia di Cosenza, ricca di storia e tradizioni e patria di personaggi insigni nell’ambito della cultura, che deriva il suo nome da mons altus, per l’ubicazione elevata da cui domina la valle del fiume Crati. Innanzitutto a Montalto Leoncavallo ha vissuto dal 1862 al 1868 i momenti più belli della sua infanzia; in secondo luogo, pur essendo trascorsi molti anni dal suo soggiorno in Calabria, il compositore recuperò da quei ricordi ormai lontani una vicenda di sangue realmente accaduta nel paesino calabrese, che farà da canovaccio alla trama del libretto di Pagliacci, il suo massimo capolavoro. La famiglia Leoncavallo - la moglie Virginia d’Auria ed i figli Leone, Ruggero e Gastone - seguì per lungo tempo il padre Vincenzo, magistrato di origine pugliese nei trasferimenti di lavoro in diverse sedi del centro-sud dell’Italia: Sala pei cantori […] La nostra vita a Montalto scorreva lieta e facile, tra balli, mascherate, ricevimenti in casa delle migliori famiglie del luogo […], le scampagnate o le gite ai bagni di mare a Paola, che erano un vero viaggio di parecchie ore, e le gite a Cosenza, il capoluogo, che la prima volta mi stordì quasi fosse un’immensa popolosa città”. Molti anni più tardi Leoncavallo volle che Pagliacci venisse rappresentata anche all’Opéra di Parigi, perché riteneva importante proporre sul rinomato palcoscenico francese la ricostruzione della sua diletta Montalto, ispirandosi e attenendosi il più possibile agli splendidi e indelebili ricordi di quand’era fan- “I Montalto Uffugo. Chiesa della Madonna della Serra ciullo, a quelle impressioni, a quel mondo fatto di sogni e di speranze che ormai era trascorso, ma che lui desiderava tanto recuperare. Il 17 dicembre 1902 il successo fu clamoroso, tanto che l’11 gennaio 1903 il Consiglio Comunale di Montalto gli conferì la cittadinanza onoraria. Fu poi particolarmente vicino a Montalto quando nel 1905 un terremoto portò nel paese distruzione e morte e, sempre per amore della ‘sua’ terra, nel 1913 pensò addirittura di candidarsi come deputato alle elezioni politiche nel collegio di Cosenza. Montalto ricambiò sempre tanto attaccamento, dedicandogli una via, un bar, una filarmonica, una sala cinematografica e, nel corso degli anni, diverse manifestazioni per commemorare l’illustre cittadino. Paola Palermo Montalto Uffugo nell’Opera sinistro, e l’altro nel ventre da’ fratelli Luigi e l teatro e la vita non son la stessa coGiovanni D’Alessandro fu Domenico suoi sa”, recita Canio nel primo atto dei compaesani che quivi eransi postati. La si disanguinosi Pagliacci, ma sarà proceva che i d’Alessandro si erano determinati a prio Leoncavallo, autore del libretto e ciò per questioni precedentemente avuto collo della musica di questo capolavoro veriScavello a causa di gelosie donnesche. Per le sta, che si ispirerà proprio a quel suggequali ferite la sera del sei suddetto mese a cirstivo “nido di memorie” della sua gioca le ore due della notte lo Scavello finiva di ventù, quando con la famiglia risiedeva a vivere”. Montalto Uffugo, trasponendo nella finzione scenica un fatto di sangue realmenLa grandezza dell’opera Pagliacci sta prote accaduto a Montalto il 5 prio nella capacità di aver Marzo 1865. Il processo petrasposto sul palcoscenico nale che seguì al fattaccio con efficacia situazioni e di cronaca nera fu presiepersonaggi di quell’episoduto dal padre di Leoncadio reale così cruento, favallo, Vincenzo, all’epoca cendo nel contempo rivimagistrato presso la Giudivere la Montalto nel clima catura Mandamentale di della festa di ferragosto, Montalto, e fu a carico dei che si svolge tra l’1 e il 15 fratelli Giovanni e Luigi agosto per onorare la VerD’Alessandro, accusati di gine Santissima della Seromicidio premeditato e agra, patrona del paese. guato ai danni di Gaetano Nel libretto, infatti, sono riScavello, domestico di casa presi elementi del paese e Leoncavallo. Come si legge della festa patronale, quali dagli atti processuali coni costumi locali “con le vanUffugo. L’atrio dove avservati nell’Archivio di Sta- Montalto tere, i tummarini e i caratterivenne il delitto, demolito nel 1962 to di Cosenza, il movente stici cappelli a cirvuni”, la fedi tale assassinio fu dovuto a “gelosie donde del popolo che in abito da festa si reca nel Tempio della Serra, le danze zingarenesche riguardanti una donna che non merische, gli spettacoli dei saltimbanchi, gli tava riguardi”: strumenti musicali tipici di quelle terre “La sera del 5 spirante mese a circa le ore 4 come la zampogna, l’uso di terminologie della notte il nominato Gaetano Scavello di frequenti nel gergo dialettale quali ‘comaCarmine di questo Comune, mentre usciva da re’ e ‘compare’, oltre che la messa a fuoco questo Teatro, che è sito nel fondo dell’atrio di di sentimenti e affetti propri della gente questo locale di S. Domenico, per giungere nel del Sud, come la gelosia, la focosità, la quale debbonsi percorrere due lati dell’atrio passionalità, la virilità e l’onore. medesimo, e giunto a piè della detta scala interna ricevé due colpi di stili uno nel braccio P. Pal. 12 Romeo e Giulietta Il Giornale dei Grandi Eventi Da Shakespeare le tante Giuliette della musica Inesauribile ispirazione per opere e balletti C om’è noto, la triste storia di Giulietta, già promessa sposa dal padre al Conte Paride (ne I Capuleti e Montecchi di Vincenzo Bellini a Tebaldo), e Romeo, colpevole per la morte “Il balcone di Giulietta a Verona” del cugino di lei, tra un’alternanza di vicissitudini, termina con un tragico epilogo: i due innamorati, stroncati dal dolore per la perdita l’uno dell’altra, si tolgono la vita riuscendo così a riunire nel lutto le due famiglie rivali. La vicenda ha radici molto antiche: ispirata ad una novella di Matteo Bandello pubblicata nel 1554, fu tradotta in inglese da William Pointer, poi, tra il 1595 e il 1596, portata in scena da William Shakespeare in una tragedia in cinque atti, che fu oggetto di vari adattamenti, rifacimenti e riduzioni operistiche. Il teatro musicale, in effetti, ha guardato con grande interesse alla triste vicenda dei due amanti veronesi che si prestava magnificamente ad una trasposizione lirica. Ci sono, infatti, tutti gli ingredienti necessari: l’amore più appassiona- to, l’odio più violento, la giovinezza tenera e pura della ragazza, il carattere ardimentoso del ragazzo, il particolare sfondo dell’aristocrazia e del potere, la redenzione nella morte. Dal Settecento al Novecento, dunque, si contano una quarantina di lavori musicali, ispirati a Romeo e Giulietta, a partire dall’opera omonima di Johann Gottfried Schwanenberger su libretto di Roberto Sanseverino nel 1773. Nel 1796 fu la volta di Nicola Zingarelli, nel 1825 di Nicola Vaccaj, il cui finale a volte si sostituiva a quello de I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini sul libretto di Felice Romani, andato in scena a Venezia al Teatro La Fenice l’11 marzo 1830. Nel 1839 Hector Berlioz con una Sinfonia drammatica per soli, coro e orchestra, regalò uno tra i suoi maggiori capolavori per intensità emotiva e inventiva lirica, musica spesso usata anche nel balletto. Nel 1865 arrivò l’opera di Filippo Marchetti, nel 1867, Charles Gounod compose il suo Romeo et Juliet nel nuovo stile dell’opera-lirique, stile che avrebbe avuto il suo principale protagonista, nel tardo Ottocento, in Massenet. Ancora, Cajkovskij nel 1869 con una overturefantasia e Richard Strauss con uno scintillante p o e m a sinfonico nel 1887. Nel Novecento troviamo ben 19 altri Romeo e Giulietta, e tra questi una tragedia in tre atti di Riccardo Zandonai che debuttò il 14 febbraio 1922 al Teatro Costanzi di Roma, e un’opera da camera in tre parti di Boris Blacher (1950). Tra i bal- “Romeo e Giulietta” di Tranquillo Cremona (Galleria d'Arte Moderna - Milano) letti da segnalare quello su musica di Constant Lambert e soggetto di Boris Kochno (1926) e, in un balletto Romeo e Giulietta in un quadro di Ford Madox Brown in quattro atti e dieci quadri (Op. 64) di Sergeeviã Prokof’ev composto tra il 1935 e1936, su proprio soggetto ed andato in scena a Brno il 30 dicembre 1938 con Vanja Psota come Romeo e Zora Semberova nelle vesti di Giulietta: anche in questo caso, siamo alla presenza di uno dei maggiori capolavori nel campo della danza del secolo da poco passato. Va infine ricordato, nel 1957, West Side Story, straordinario musical in cui Leonard Bernstein trasferì genialmente la vicenda shakespeariana nei sobborghi di New York, ponendo l’amore tra Tony e Maria sullo sfondo della lotta razziale fra immigrati portoricani e americani. Francesca Oranges Il Giornale dei Grandi Eventi Romeo e Giulietta 13 La Suite da Romeo e Giulietta Un classico del Balletto con tre grandi coreografie ATTO I – In una piazza di Verona L’ultimo bacio di Giulietta a Romeo di Francesco Hayez (Per gentile concessione Museo Villa Carlotta - Tremezzo CO) ~~ La Locandina ~ ~ Terme di Caracalla, 8 - 14 agosto 2007 ROMEO E GIULIETTA SUITE DAL BALLETTO Musiche di Sergej Prokof’ev Prima rappresentazione: Brno (Cecoslovacchia), 30 dicembre 1938 Coreografie da Loris Gai, Beppe Menegatti, Eric Bruhn (scena dell’addio), Rudolf Nureyev (scena del balcone) riprese da Carla Fracci in collaborazione con Gillian Whittingham Personaggi / Interpreti Messer Capelletto Alfonso Paganini / Mauro Murri (10, 14/8) Madonna Capelletti Silvia Guelfi / Debora Morina (10, 14/8) Giulietta, loro figlia Gaia Straccamore / Oksana Kucheruk (10, 14/8) Tebaldo Capelletto Paolo Mongelli / Riccardo Di Cosmo (10, 14/8) Rosalina Capelletti Kristine Saso Conte Paride, promesso sposo di Giulietta Damiano Mongelli / Alessandro Tiburzi (10, 14/8) La Nutrice di Giulietta Catia Passeri / Flavia Torricella (10, 14/8) Frate Lorenzo Guido Pistoni / Manuel Paruccini (10, 14/8) Romeo Montecchio Igor Yebra / Alessio Carbone (10, 14/8) Dame Gabriella Sormani, Micaela Grasso, Annalisa Cianci, Laura Di Segni, Daniela Lombardo, Maria Badini, Francesca Bertaccini, Eva Cornacchia Cavalieri Luca Troiano, Francesco Sorrentino, Tommaso Renda, Giovanni Bella, Giuseppe Schiavone, Francesco Milana, Gerardo Porcelluzzi, Paolo Gentile Fanciulle Giovanna Pisani, Viviana Melandri, Simona Onidi, Claudia Marzano Maestro concertatore e Direttore Mestro del Coro Regia Impianto scenico Costumi Disegno luci Hirofumi Yoshida Andrea Giorgi Beppe Menegatti Cristian Biasci Anna Maria Morelli Patrizio Maggi ORCHESTRA, CORO E CORPO BALLO DEL TEATRO DELL’OPERA Nuovo Allestimento Mercuzio e Benvolio cercano l’amico Romeo, innamorato di Rosalinda. Lo trovano, ma non riescono a distrarlo con le loro battute dalla sua ultima passione. Mercuzio e Benvolio nel momento in cui giungono i loro amici Montecchi, acquistano un cocomero e si apprestano a mangiarlo. Passano nel frattempo alcuni dei Capuleli, antichi avversari dei Montecchi. Si accendono gli animi perché uno dei Capuleti cade sulla buccia di cocomero gettata ad arte da uno dei Montecchi. Mercuzio cerca di placarli. Arriva intanto il velenoso Tebaldo, nipote di Messer Capuleti. Gli scherzi grevi trascinano ben presto gli avversari in una rissa. Il tumulto viene interrotto dal Principe di Verona che vieta ad entrambe le famiglie di turbare la pace cittadina. Giulietta, si sveglia nella sua camera e la nutrice le porta l’abito da indossare in occasione del ballo organizzato per il suo fidanzamento con il Conte Paride. Nel palazzo dei Capuleti giungono i partecipanti alla festa. Romeo con i suoi compagni Mercuzio e Benvolio segue Rosalinda, e poiché il ballo è in maschera, si unisce con loro agli ospiti per introdursi al ricevimento. Durante il ballo il padre di Giulietta la consegna a Paride. Romeo, colpito dalla bellezza della fanciulla, cerca di avvicinarla, distraendo il cavaliere. Il tempo sembra fermarsi. Entrambi vivono un attimo intenso, profondo. Romeo si toglie la maschera e confessa il suo casato. Curiosità e tensione della ragazza vengono interrotte da Mercuzio e Benvolio che improvvisano una danza grottesca. Tebaldo sorprende Romeo con Giulietta e sta per intavolare una lite, ma Messer Capuleti lo previene scacciandolo. Sotto il balcone di Giulietta passano Romeo, Mercuzio e Benvolio. Romeo si nasconde per allontanare gli amici. Giulietta, insonne, esce sul balcone pensando felice a Romeo. I due giovani si dichiarano amore eterno. ATTO II – In una piazza maschere, zingare, musici e popolo danzano la tarantella. Giunge la nutrice di Giulietta, accolta come sempre dalle battute che Mercuzio e Benvolio sono soliti indirizzare ai componenti della famiglia Capuleti. La nutrice porta una lettera di Giulietta per Romeo, nella quale la giovane propone all'innamorato di farsi sposarsi segretamente da frate Lorenzo, al corrente del loro amore, prevenendo così i di- segni dei suoi genitori. Il frate nella sua cella celebra il matrimonio, nella speranza che tale unione riesca a porre fine all'odio che divide le due famiglie. Nella piazza la festa è al culmine e fra i partecipanti interviene anche il felice Romeo. Sopraggiunge Tebaldo, che sta cercando il rivale per vendicarsi della sua intrusione al ballo, ma Romeo, ormai legato ai Capuleti, cerca di evitare ogni rissa. Mercuzio scambiando per viltà la remissività dell’amico, sfida a duello Tebaldo. Romeo, nel tentativo di dividerli, favorisce inavvertitamente la stoccata con la quale Tebaldo trafigge Mercuzio. Preso dall'ira e dimentico del nuovo legame con la famiglia Capuleti, Romeo uccide Tebaldo. Conosciuto l’accaduto, Giulietta si dispera nella sua stanza. Romeo, sentendosi colpevole, esita prima di presentarsi a Giulietta, ma poi decide di chiederle perdono. I due giovani si abbracciano teneramente, mentre in un’altra stanza del palazzo Madonna Capuleti ordina alla nutrice gli ultimi ritocchi per l'abito nuziale di Giulietta. All'alba del giorno successivo la nutrice, giunta nella stanza di Giulietta, scuote i due innamorati dal loro abbandono per avvertirli del sopraggiungere dei genitori della fanciulla, accompagnati dal Conte Paride. Romeo, esiliato per l'uccisione di Tebaldo, parte per la sede destinatagli, cioè Mantova. Giulietta, rimasta sola, decide di fuggire e si reca da frate Lorenzo per chiedergli aiuto. Il religioso le consegna una fiala con una pozione soporifera, in modo che i genitori, ingannati dalla morte apparente, la pongano nella tomba di famiglia. Romeo, avvertito per tempo, potrà così tornare nella notte per portarla lontano da Verona. A palazzo Capuleti fervono i preparativi per le nozze. Ma l'allegria generale viene interrotta da grida. Tra la profonda costernazione dei presenti, Messer Capuleti esce portando sulle braccia il corpo esanime di Giulietta, che viene deposto nella tomba di famiglia. Romeo, non avendo ricevuto il messaggio di frate Lorenzo, entra travestito da monaco nella cripta dove giace anche il corpo di Tebaldo per rendergli omaggio. Alla vista di Giulietta esanime, disperato, si avvelena. Giulietta, al suo risveglio, trova Romeo ancora in vita. Si abbracciano, vorrebbero fuggire, ma Romeo spira. Giulietta, prostrata dal dolore, afferra il pugnale dell'amato e si uccide. 14 Romeo e Giulietta Igor Yebra e Alessio Carbone Il Giornale dei Grandi Eventi Gaia Straccamore e Oksana Kucheruk L’innamorato e sfortunato La giovane e romantica Giulietta, travolta da Romeo, vittima di un astio tra famiglie un amore improvviso A A danzare nel ruolo di Giulietta saranno d alternasi nel ruolo di Romeo saranno i le ballerine Gaia Straccamore (8, 10 e 12 ballerini Igor Yebra (8, 10 e 12 agosto) e agosto) e Oksana Kucheruk (11 e 14 agoAlessio Carbone (11 e 14 agosto). Nato a sto). Nata a Roma, Gaia Straccamore a nove anBilbao, Igor Yebra dove inizia i suoi studi di ni entra a far parte della scuola del Teatro deldanza, si perfeziona poi a Madrid alla Scuola l’Opera di Roma, diretta da Elisabetta Terabust, Victor Ullate, entrando a far parte del Ballet de e qui si diploma all’età di 17 anni con il massila Communidad de Madrid, dove, fino al 1996, mo dei voti. Grazie ad una borsa di studio si danza come Primo Ballerino. Alla fine del 1996, perfeziona nella prestigiosa Accademia “Prininizia la sua carriera di Primo Ballerino Ospite cesse Grace” di Montecarlo, sotto la guida di Internazionale, lavorando nei maggiori balletti Madame M. Besobrasova. A 12 anni, è scelta da di repertorio e in ruoli creati appositamente per Paolo Bortoluzzi per il ruolo dell’Apparizione lui: Giselle, Don Chisciotte, Chopiniana, Romeo e nel suo Principe felice ed a soli 15 anni Vladimir Giulietta, La Silfide, Il lago dei cigni, La bella addorVassiliev le affida il ruolo di prima ballerina ne mentata, Lo Schiaccianoci, secondo atto de La Le Sylphides di Fokine. Dal 1996 è al Teatro delBayadere, Coppelia, Theme and Variations, Concerto l’Opera di Roma dove è un’apprezzata interbarocco, Allegro Brillante, Tchaikovsky Pas de deux, prete in balletti del repertorio classico, neoclasIl Corsaro – Diana e Atteone. È ospite presso l’Ausico e contemporaneo. Dal 2000 inizia a danzastralian Ballet, Ater Balletto, Balletto Nazionale re come protagonista nei più famosi balletti di Cuba, Nazionale del Venezuela, del Teatro classici ed oggi il suo repertorio include: Egina Colon di Buenos Aires, argentino di Julio Bocca, in Spartacus, la principessa Aurora ne La bella del Kremlino, Scottish Ballet, English National Addormentata, La Sylphide, Giulietta in Romeo e Ballet, Opera di Roma, Arena di Verona, ComuGiulietta (J.Cranko), Odette-Odile ne Il lago dei cinale di Firenze, Balletto Nazionale Greco. Nel Igor Yebra e Oksana Kucheruk gni, secondo atto di Giselle, Pas de quattre, Zobei1989 ha vinto a Parigi il concorso ‘Gran Prix Eurovision per giovani danzatori’ e nel 1996 il premio ‘Danza e Dan- de in Sheherazade (Fokine), l’Uccello di fuoco (Fokine), l’Eletta ne La saza’ come migliore danzatore dell’anno in Italia, il primo premio al gra della primavera, La gitana, lo Schiaccianoci, La Chatte, Le Bal, Apollon concorso ‘Maya Plissetskaya’ a San Pietroburgo. Nel 2003 il premio Musagete, Who cares? (G.Balanchine). Carla Fracci, attuale direttrice ‘Leonide Massine’ a Positano per le sue interpretazioni al Teatro del Teatro dell’Opera, l’ha scelta come protagonista a fianco di Vladell’Opera di Roma. Nel marzo 2003, all’Opera di Roma, ha inter- dimir Vassiliev in Lungo viaggio nella notte di Natale una creazione di pretato il Principe nel balletto Il lago dei cigni,. Nell’agosto 2003, alle P. Chalmer. Di particolare interesse artistico è stata l’esibizione, proTerme di Caracalla, ha danzato in Romeo e Giulietta di J. Cranko, in prio al fianco della Fracci, in Gerusalemme, coreografia di Luc Bouy e settembre è stato protagonista nel balletto L’uccello di fuoco all’inter- regia di Beppe Menegatti. Al Teatro Bolshioi di Mosca ha ballato il no della Serata Stravinski e nel dicembre dello stesso anno, è stato di ruolo dell’Eletta in Sagra della Primavera e Zobeide in Sheherazade. nuovo il Principe ne Il lago dei cigni. Sempre a Mosca ha danzato, nel PaNel gennaio 2004 ha debuttato al lazzo del Cremlino, il ruolo di ZoBolscioi nel balletto Ivan il terribile beide ed i due ruoli principali ne di Yuri Grigorovich. Nel novembre L’uccello di Fuoco con I. Yebra. Per 2004 ha ballato come Ivan ne La Gi- lei sono stati creati diversi balletti, tana al Nazionale di Roma. Nell’e- tra i quali: Turandot, principessa chistate del 2006 è stato tra i protago- nese (Veggetti-Menegatti), La Vestanisti del balletto La Vestale alle Ter- le (Chalmer-Menegatti), ed il ruolo me di Caracalla. Nel febbraio 2007 di Elena nel Faust di Goethe (Canniha danzato come Mugnaio nel Cap- to-Menegatti), Catarina la figlia del pello a tre punte – Serata Picasso- bandito (Franzutti-Menegatti). Su Massine. Nel dicembre 2006 è stato proposta di Carla Fracci, nell’ottonominato Etoile del Balletto del- bre del 2006 viene nominata Prima Ballerina del Teatro dell’Opera di l’Opéra National di Bordeaux. Alessio Carbone nel 1991 frequenta Roma. la Scuola di Ballo del Teatro alla Oksana Kucheruk ha iniziato gli Scala di Milano ed all’età di diciotto studi presso la Scuola Nazionale di anni entra a far parte della Compa- Danza di Kiev in Ucraina, entrando gnia. Nel 1997 viene ammesso, sot- nel 1996 nel Balletto dell’Opera Na- Gaia Straccamore Alessio Carbone to audizione, nel Corpo di Ballo del- zionale Moussorgski di San Pietrol’Opéra National di Parigi e nel 2002 viene nominato Primo Balleri- burgo. Ha danzato ne Lo Schiaccianoci, Don Quichotte, Giselle, Les no. Repertorio: Symphonie; Concerto Barocco; Coppélia; Le Mandarin Sylphides, La Bayadère, Crime et Châtiment, Il Corsaro, Cenerentola, Half merveilleux (2003); Variations pour une porte et un soupir (2006); Gisel- of Cavalery, Princes of the Moon, La Bella Addormentata (Aurora). Ha rile (passo a due dei contadini); White Darkness (entrée au répertoire) cevuto numerosi premi tra cui, il Secondo premio “Maya 98” a San (2006); Appartement (2000). The Vertiginous Thrill of Exactitude; Ap- Pietroburgo, il Primo premio “Nureyev 2000” a Budapest, il Primo proximate Sonata (2006); Pavane; Doux mensonges; Bella Figura; Paqui- premio del IX° Concorso Internazionale di Balletto di Mosca nel ta (pas de trois); Don Quichotte (Capo degli zingari); La Bayadère (l’I- 2001. All’inizio del 2005, Oksana Kucheruk è stata nominata Solista dolo); Il lago dei cigni (pas de trois); Cenerentola (Il maestro di danza); del Balletto dell’Opéra National di Bordeaux, ed ha danzato ne Il LaRomeo e Giulietta (Mercuzio); Les Forains (il Clown); L’Arlésienne go dei Cigni e Coppélia. Recentemente ha interpretato il ruolo di Kitri nella nuova produzione di Don Quichotte, ed il ruolo di Maria ne Lo (Frédéri); Un Trait d’union (2003). Schiaccianoci, coreografie di Charles Jude. Nel dicembre 2006 è stata nominata Etoile del Balletto dell’Opéra National di Bordeaux. Nel Pagina a cura di Michela Marini – Foto: Corrado M. Falsini 2007 ha danzato Giselle al Teatro dell’Opera di Roma, nella versione di Carla Fracci. Il Giornale dei Grandi Eventi Romeo e Giulietta 15 Analisi e storia del balletto “Romeo e Giulietta” L’intuito di Prokof’ev contro il regime sovietico per un’opera dai colori e contrasti netti S icuramente, tra gli innumerevoli lavori ispirati alla tragedia shakespeariana, il balletto Romeo e Giulietta di Prokof’ev, è la versione più rappresentata nel mondo, avendo ispirato un grande numero di coreografi e rappresentando, il ruolo di Giulietta, anche la grande aspirazione per ogni ballerina, come una volta lo era quello di Giselle. Prokof’ev con Romeo e Giulietta ma anche con Cenerentola entrò in quella che nella sua autobiografia definì «linea Lirica», che si differenzia per forma dalla «linea classica» delle sinfonie, concerti e sonate e da quella «moderna» dei sarcastici pezzi per pianoforte. Tornò, insomma, allo schema del balletto tardo-romantico, fatto di più atti e quadri che lui stesso aveva trascurato nel periodo parigino a cavallo tra il 1920 ed il 1930 con il pittoresco Chout (1921), il propagandista Le pas d’acier (1927), il fantastico Ala e Lolli commissionato nel 1914 e poi rappresentato come la Suite Scita a Buenos Aires nel 1927 e quel Sur le Borysthène (1931) dedicato a Djaghilev, scomparso due anni prima, che aveva influenzato tutto quel suo periodo produttivo. In particolare con Il figliuol prodigo, rappresentato a Parigi nel 1929 ed ultimo balletto voluto da Djaghilev – con la coreografia di Balanchine - Prokof’ev, attraverso uno stile spoglio ma che non soppresse il lirismo, mise in luce la sua versatilità stilistica avvicinandosi alle estetiche occidentali e preannunciando Romeo e Giulietta. Il musicista ucraino, lavoratore instancabile che riuscì ad unire una eleganza musicale a quel sapore etnico delle tradizioni popolari russe, fu più volte richiamato dal di danze e ritmi ed un alpartito – come successe ternarsi di momenti alla fine degli anni Trendrammatici a passaggi ta a Sostakovic – verso decisamente brillanti, una semplicità d’espresironici. Da rilevare, ad sione, un linguaggio muesempio, in Romeo e Giusicale più diretto, meno lietta – uno dei tre suoi evoluto, più comprensigrandi balletti insieme a bile rispetto ai lavori precedenti ispirati alla propaganda politica, decisamente freddi, taglienti, come Le Pas d’acier (Passo d’acciaio) (1927) celebrativo del passaggio dalla vecchia Russia contadina al nuovo Stato industrializzato. Romeo e Giulietta, come Cenerentola, sono, invece partiture create per il grande pubblico. Ma Prokof’ev, in fondo, non dovette mutare molto il proprio sti- Sergej Prokof’ev le, ché anche nell’esuberanza giovanile non riCenerentola ed Il fiore di correva ad evoluzioni pietra più vicini allo particolari se non qualschema cajkovskiano – la che sporadica dissonandiversità caratteristica za, senza compromissiodei due duelli, quello tra ni delle basi tonali, nemiMercuzio e Tebaldo doco com’era della dodeve la musica è guizzante cafonia. Lo stesso lavoro a sottolineare lo spirito sui due amanti veronesi, sprezzante dei due connon riporta sovrastruttutendenti ed il secondo, re, ma piuttosto una liquello tra Romeo e Tenea delicata, quasi rinabaldo, più tragico, dispescimentale, fatta di penrato, che con la forza denellate precise, definite gli archi sottolinea la lotnei particolari più minuta mortale fino ai quatti, dove trionfano l’ingenuità e la gaiezza dei giovanissimi amanti, il duro contrasto Capuleti e Montecchi, il profilo estremamente nitido dei singoli personaggi con i loro peculiari tordici cupi colpi di timstati d’animo. Non molto pano sui quali Tebaldo aperto verso le correnti cade colpito. E Prokof’ev musicali d’inizio Noveriutilizza gli amati concento, riuscì a caratteriztrasti netti, dove ad zarsi per un’impostazioesempio agli scherzi inne armonicamente mofantili di Mercuzio si derna con un largo uso contrappone improvviso l’astio atavico delle due fazioni nemiche. Non si trova, quindi, in Romeo e Giulietta un ampio sviluppo armonico, ma piuttosto si passa da un quadro all’altro caratterizzati ciascuno da temi. La storia del balletto Il musicista si appassionò subito alla vicenda dei due amanti e nel 1935 si mise a lavoro sulla sceneggiatura con il letterato Sergej Radlov. Ma la direzione del Bolshioi di Mosca, più conservatrice di quella del Kirov di Leningrado (San Pietroburgo), dichiarò il balletto «ineseguibile». Questo balletto tragico, per il Bolshioi, sarebbe dovuto terminare con un lieto fine: Romeo sta per uccidersi, ma sopraggiunge frate Lorenzo che lo ferma. Giulietta si risveglia dal sonno artificiale ed i due amanti, ormai sposi, si abbracciano, mentre giungono Capuleti e Montecchi e tutti danzano festosamente. Ma Prokof’ev, già caduto in disgrazia con il regime comunista, pur aderendo ai dettami richiesti con un “lieto fine”, non vedeva la sua musica adatta ad un tale snaturam e n t o della vicenda, che finiva per divenire, nei fatti, una farsa. Cercò di spiegare le sue perplessità, sottolineando l’aspetto coreografico. La sua musica piaceva quando eseguita al pianoforte, ma non avrebbe convinto sulla scena. Il musicista tornò, quindi, nel 1936 al finale più tradizionale, alla musica che già aveva composto con spirito tragico. La prima rappresentazione Il balletto, con questo finale, fu rappresentato per la prima volta a Brno, in Cecoslovacchia, il 30 dicembre 1938 con la coreografia di Vanya Psota ed interpreti lo stesso coreografo nel ruolo di Romeo e Zora Semberova nelle vesti di Giulietta. In seguito il balletto subì delle varianti. Prokof’ev stesso aveva già, prima del debutto, elaborato due “Suite” dal balletto di 7 pezzi nel 1936 ed una di 6 pezzi la realizzerà nel 1946. L’autore, dopo la “prima”, rivide ulteriormente la partitura, riprendendo poi i contatti con il teatro Kirov, eseguendo per dimostrazione l’intera composizione personalmente al pianoforte. Ma si dovette scontrare con il coreografo Leonid Lavrovsky che voleva una predominanza della danza sulla musica. Il musicista si dovette così piegare ancora alle continue richieste di nuovi raccordi musicali del coreografo. Prokof’ev riteneva sufficiente la sua musica, come, ad esempio, per l’Aubade, che all’inizio del primo atto descrive il risveglio della città di Verona, ma Lavrovsky, insistendo, cominciò ad utilizzare lo Scherzo della Seconda Sonata per pianoforte, così da costringerlo a comporre un pezzo sulle stesse coloriture. Altre modifiche interverranno anche dopo la prima rappresentazione del 11 gennaio 1940 al Kirov con Galina Ulanova e Costantin Sergheiev ed anche nel 1946 in occasione del nuovo allestimento al Bol’?oj di Mosca, sempre con la Ulanova. Mi. Mar.