Quanto. - Università degli Studi dell`Insubria

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il Quanto.
Periodico di informazione scientifica dell’Insubria - Facoltà di Scienze Como
il Quanto. Aprile 2010, anno I, n° 1...
Al posto di introdurvi in modo accademico che cosa sia
l’Acido DesossiriboNucleico, meglio conosciuto come DNA, vorrei
porvi dinnanzi ad una domanda: ”Perché gli scienziati si interessano tanto a questo polimero organico?”. Ve lo siete mai chiesto? Cosa spinse la commissione dei premi Nobel ad assegnare a
Watson, Crick e Wilkins l’ambito premio? Aver presentato il primo modello accurato della struttura del DNA, la famosa doppia
elica, significava davvero così tanto? Perché questa sigla, come
le parole ad esso associate come genoma, mutazioni, ingegneria
genetica sono diventate note ormai a tutti?
Come si è scoperto nel corso di questi ultimi 150 anni,
il DNA è alla base della vita della maggior parte degli organismi
viventi. Forse alcuni si chiederanno in che senso “alla base della
vita?”. Se vi dicessi che le cellule del vostro corpo funzionano così
perché così è scritto nel DNA? Magari mi rispondereste “niente di
nuovo, già negli anni ’50 si sapeva”. Ma allora perché negli ultimi
20 anni la ricerca sul DNA è forse una delle più attive?
Perché ora si vuole capire il come possa farlo. La
domanda a cui si vuole rispondere ora è proprio “come possa
una catena di basi azotate determinare le fattezze (e anche predisposizioni a malattie) di un organismo”. Per prima cosa si è
dovuto indagare come è fatto il DNA, come le basi azotate sono
concatenate e strutturate. Pensate di dover capire di che pezzi
sia fatto -e come essi siano messi in sequenza- qualche cosa di
piccolo, ma veramente piccolo come il DNA. Circa 2.2 nm (nanometri, 10-9m) è larga questa catena. Difficile da credere vero?
Pensate: se il vostro cellulare è largo 4 cm, il DNA è circa 107
volte più piccolo. Però provate ad immaginare: anche una sola
catena di 4 basi azotate (adenina, citosina, guanina e timina),
ripetute in una sequenza ben precisa, è lunga circa 1 metro, ed
è compressa all’interno del nucleo di una cellula (curiosità: in un
corpo umano ci sono in media circa 10.000 trilioni di cellule, e di
conseguenza ci sono circa 20 milioni di chilometri di DNA in un
individuo, incredibile vero?).
Una volta decriptato in che modo è costituito -o usando il termine appropriato, sequenziato- il DNA, vorrete poi capire
cosa ogni singolo gene faccia, quando e come. E una volta fatto
ciò, proverete a chiedervi se uno stesso gene che presenta delle
leggere differenze in due individui distinti (polimorfismo genico)
sia la causa di una propensione ad una malattia. Sono queste
alcune delle domande riguardanti il DNA a cui gli scienziati
provano e proveranno negli anni a venire a dare risposta. Ma
come possono farlo? Pensate di aprire il vostro cellulare e comprendere come lavori ogni sua componente e capire le alterazioni al suo funzionamento se provaste a cambiare o modificare
delle parti di esso. Sarebbe un problema complesso, avreste la
necessità di utilizzare degli strumenti piccoli e maneggevoli, ma
anche se li aveste a disposizione sarebbe comunque una bella
sfida. Ora pensate di dover affrontare lo stesso problema con
qualche cosa che è all’interno di una vostra cellula. Ancora più
complesso. Alcune persone però non si fanno scoraggiare da così
poco. L’articolo presentato di seguito è un esempio di come le
diverse scienze, in questo caso biologia molecolare e fisica dei
laser, possano interagire per dare risposta a problemi di tale
complessità. Nell’articolo presentato di seguito verrà appunto illustrato un innovativo metodo per lo studio del DNA, indagare il
polimorfismo genico attraverso la fluorescenza per meglio comprendere le predisposizioni al diabete giovanile.
[Introduzione del Dott. Simone Roncoroni]
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Aprile 2010
Dici DNA e affiorano subito alla mente immagini di
telefilm polizieschi, squadre di agenti in camice e guanti di lattice
alle prese con provette e siringhe, e per associazione libera raffiguri un mondo a colori. Avessimo parlato di impronte digitali,
sarebbe comparsa davanti agli occhi la silouhette inconfondibile
di uno Sherlock Holmes o di un Hercule Poirot, grandi sagome
di vecchi film in bianco e nero. Pensare al DNA, al suo studio,
riconduce a un ricerca innovativa, a un campo di applicazione
recente, a una novità che ha sconvolto e rivoluzionato il sapere
acquisito fino al secolo scorso; ma quali campi della scienza sono
stati coinvolti?
L’articolo che proponiamo questo mese è un esempio
di come la scienza non si sviluppi per compartimenti stagni, ma
proceda e si arricchisca nell’interdisciplinarietà: per cui, per esempio, la fisica può correre al servizio della chimica nello studio
del DNA, e da tale scambio (da ogni scambio) entrambe le scienze traggono guadagno.
La capacità di intrecciarsi con altre discipline per
costruire legami più solidi e conoscenze più profonde è uno dei
tratti salienti delle materie scientifiche, che su questa base edificano uno dei loro punti di forza: la vasta applicabilità delle conoscenze acquisite nello studio.
In un solo edificio, cinque piani collegati da qualche
ascensore a un passo dalle mura di Como, si studiano molecole e atomi, si guardano particelle in sensori ultrainnovativi,
si scompone la luce quanto per quanto, si rilevano concentrazioni di gas nell’aria, si sonda la terra per sentirne le vibrazioni,
si punta il cannocchiale verso stelle e pianeti, si entra nelle intricate maglie della Rete mediante algoritmi matematici, ci si
immerge nel cervello dell’universo stabilendo le equazioni cui
obbedisce, si scandaglia il fascio di un laser per rivelarne “onde
anomale” (lo vedrete nel prossimo numero)…In cento scalini,
da affrontare al ritmo giusto, s’impara il linguaggio della natura,
dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande: guardando
dall’alto la natura correre e stabilendone la tabella di marcia
(i matematici), decidendo ogni tanto di fare qualche passo insieme a lei (i fisici), fotografandone con zoom eccezionale ogni
particolare (i chimici). E’ un sapere che pone le premesse per un
continuo arricchimento, come testimoniano le sempre più frequenti incursioni di matematici e fisici nei campi dell’economia
e della finanza, di chimici nella biologia; è una lingua per leggere
il libro del mondo. La scienza non è uno studio che si chiude e
si completa con la tesi, e non finisce entro i confini imposti dalla
denominazione di un corso di laurea: la scienza è un sapere aperto.
E aperte saranno anche le porte del nostro maniero,
in via Valleggio 11, il 7 maggio, giorno dell’Insubriae Open Day:
nel pomeriggio la Facoltà di Scienze di Como si presenterà a
tutti gli studenti interessati, che, previa iscrizione, avranno anche la possibilità di essere guidati in un “grand tour” dei laboratori di ricerca insubri. La mattina invece porteremo in trasferta
presso il chiostro di sant’Abbondio -sede centrale dell’Open Day
dell’Università comasca- la nostra collezione di laser, sensori,
rivelatori, provette e microscopi, perché possiate “toccare con
mano” cosa significa impegnare gli anni dopo le superiori nello
studio di una disciplina scientifica: sudore e fatica, sì, ma accompagnati dalla sensazione di stupore e divertimento che prova un
bambino quando per la prima volta spalanca gli occhi di fronte a
un mondo nuovo.
Per le informazioni dettagliate, rimandiamo alla pagina riservata all’orientamento sul sito dell’università:
(www.uninsubria.it)
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LEGGERE IL DNA MISURANDO FLUORESCENZE
Lo spettacolare fenomeno della fluorescenza, per
cui una sostanza, se illuminata da luce di colore opportuno
emette a sua volta radiazione luminosa di colore diverso,
corrisponde, a livello di singola molecola, ad un aumento
nell’energia di un elettrone della molecola, a seguito della
quale l’elettrone stesso si allontana temporaneamente dal
nucleo, muovendosi più velocemente. L’energia necessaria è
fornita alla molecola dall’assorbimento di un quanto di luce
(fotone), il quale non è essenzialmente altro che una “pallina
di luce”, che propaga portando con se una quantità di energia ben definita e proporzionale all’inverso della lunghezza
d’onda della luce stessa (quindi caratteristica del colore). Solo
luce di un ben determinato colore (di uno stretto intervallo
di lunghezze d’onda) contiene fotoni di energia sufficiente, ma non eccessiva, a determinare la variazione di moto
dell’elettrone. Precisamente, l’energia del fotone assorbito
è convertita anche, seppure in piccola parte, in vibrazioni
del nucleo molecolare, benché la parte preponderante sia
trasformata in energia di moto dell’elettrone. Come è noto
ai più, la Natura è geneticamente pigra, così che ogni sistema
fisico tende a raggiungere lo stato in cui l’energia totale è
minima (stato di equilibrio stabile) ed a permanervi, in assenza di perturbazioni, indefinitamente. La nuova condizione
di moto non è evidentemente di equilibrio stabile, in quanto
l’energia dell’elettrone potrebbe essere minore qualora esso
tornasse a muoversi come prima di avere assorbito il fotone,
cosa che avviene prontamente dopo un certo tempo caratteristico (detto tempo di decadimento dello stato fluorescente), solitamente dell’ordine di qualche miliardesimo di secondo. Nel ritornare allo stato di equilibrio, l’elettrone rilascia
nell’ambiente l’energia in eccesso sotto forma di un secondo
fotone. Tale fotone risulterà meno energetico (pertanto di un
altro colore) in quanto non immagazzina l’energia trasferita
dal fotone assorbito alle vibrazioni nucleari.
Nei nostri laboratori al Dipartimento di Fisica e
Matematica dell’Università dell’Insubria abbiamo ingegnerizzato un sistema per misurare con grande precisione il tempo di decadimento della fluorescenza di molecole in soluzioni estremamente diluite. Questa capacità ha applicazioni di
notevole interesse biomedicale, come dimostra l’esempio
seguente.
Il polimorfismo genico è la manifestazione di piccole
differenze nella sequenza di basi azotate del DNA codificante
per una data proteina da un individuo all’altro della stessa
specie, ed è responsabile dell’espressione della suddetta
proteina in molteplici varianti, dette “varianti alleliche”. La
manifestazione di alcune varianti alleliche, ancorché non intrinsecamente patogena, è spesso correlata all’insorgenza di
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Il FRET avviene solo in corrispondenza di un corretto accoppiamento tra la sonda e il frammento di DNA, permettendo di
misurare la presenza di un certo gene
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specifiche malattie. Ad esempio, il genotipo del loco HLADQB1 del “complesso principale di istocompatibilità” (Major Histocompatibility Complex, MHC), oltre a determinare la compatibilità tra donatore ed accettore nei trapianti
d’organi, influenza significativamente la suscettibilità a svariate patologie, quali ad esempio il diabete mellito giovanile
(Insulin-Dependent Diabetes Mellitus, IDDM). Per questa
ragione, la possibilità di determinare le varianti alleliche di
HLA-DQB1 codificate nel genoma del numero più ampio possibile di individui costituirebbe uno strumento determinante
nella predizione/prevenzione di gravi malattie, ed un valido
ausilio nella pratica di trapianti.
Il sequenziamento genico, che è la tecnica di
elezione per identificare varianti alleliche nel genoma di
un soggetto, è costoso e complesso, e non si presta quindi
all’implementazione su vasta scala. Tuttavia, se le sequenze
codificanti le varianti alleliche di interesse sono note, altre
metodologie di tipizzazione molecolare (cioè di riconoscimento degli alleli) possono validamente sostituire il sequenziamento. Molte di queste tecniche sono basate sulla
rivelazione di segnali di fluorescenza emessi da apposite
sonde molecolari opportunamente progettate per riconoscere selettivamente una variate allelica del tratto genomico
di interesse. La maggior parte di esse, tuttavia, richiedono
una preliminare amplificazione del gene polimorfo, cioè una
sua clonazione a catena perseguita attraverso una complessa procedura biochimica detta Polymerase Chain Reaction
(PCR). Inutile dire che una siffatta procedura risulta cara e
laboriosa, ed inficia quindi l’implementazione dei metodi di
tipizzazione molecolari su intere popolazioni.
Utilizzando, per caratterizzare le varianti alleliche
di HLA-DQB1, anziché la mera rilevazione della presenza/
assenza di un segnale di fluorescenza, l’analisi quantitativa
dei tempi di decadimento della fluorescenza stessa, siamo
invece recentemente riusciti ad introdurre un nuovo metodo
di tipizzazione molecolare di questo gene che promette di
funzionare su materiale genomico non amplificato.
Il nostro metodo si basa sul fenomeno del “transfer
energetico di risonanza” (Fluorescence Resonance Energy
Transfer, FRET). Tale fenomeno intercorre tra una molecola
fluorescente, detta in questo contesto “donatore”, ed una
molecola, detta “accettore” in grado di assorbire efficientemente luce di lunghezza d’onda pari a quella dei fotoni
emessi per fluorescenza dal donatore. Se l’accettore si trova
nei pressi del donatore mentre quest’ultimo è in stato eccitato, oltreché rilassarsi sullo stato di equilibrio stabile emettendo un fotone di fluorescenza il donatore può disperdere
l’energia in eccesso trasferendola all’accettore. Questa ulteriore possibilità di dissipazione dell’energia di eccitazione
rende il rilassamento del donatore più rapido ed il tempo di
decadimento della fluorescenza del donatore conseguentemente più breve. La probabilità che il FRET tra il donatore
e l’accettore avvenga è tanto più elevata quanto più vicine
sono le due molecole. Si dice che il donatore e l’accettore
costituiscono una “coppia di FRET”.
Al fine di tipizzare le varianti alleliche di HLADQB1, abbiamo progettato una sonda molecolare costituita
da un breve tratto di DNA di sequenza complementare ad
una delle varianti alleliche, segnatamente quella correlata
all’insorgenza di IDDM. Alle estremità di questo breve tratto
di DNA abbiamo “incollato”, attraverso una procedura chi-
mica chiamata “marcatura”, i due elementi di una “coppia di
FRET, ovvero da un lato una molecola fluorescente, dal lato
opposto una molecola in grado di fungere da accettore di fluorescenza se posta nelle vicinanze della prima. Se fatta interagire con tratti di DNA sintetico replicanti le sequenze delle
nove varianti alleliche di HLA-DQB1, questa sonda si ibrida a
ciascuno di essi, in quanto la sua sequenza è per ampi tratti
complementare a quelle “bersaglio”. Tuttavia, soltanto nel
caso in cui la sonda stia interagendo con la variante allelica
esattamente complementare (idealmente quella prelevata
da un soggetto a rischio di IDDM) si forma la tipica struttura
del DNA a doppia elica. La formazione di questa struttura assicura che le estremità della sonda, e di conseguenza il donatore e l’accettore ad esse incollate, siano portate alla massima
distanza possibile, e minimizza di conseguenza la probabilità
di FRET. In ciascuno degli altri casi, la sequenza bersaglio (il
gene da tipizzare) e la sonda formano tratti di doppia elica
solo quando le loro sequenze sono complementari, intervallati da sorte di “occhielli” che si formano in corrispondenza
di ciascun polimorfismo, cioè di ciascuna base del bersaglio
non complementare a quella corrispondente della sonda. In
corrispondenza di questi occhielli l’ibrido sonda-bersaglio è
molto più flessibile di quanto non sia nei tratti correttamente
ibridati. Pertanto, la struttura ha modo di ripiegarsi su sé
stessa un numero di volte tanto maggiore quanto maggiori
sono le differenze tra la sequenza della sonda e la sequenza
del gene bersaglio. Per effetto dell’interazione con l’acqua
che circonda l’ibrido, questo tende ad appallottolarsi su sé
stesso come un gomitolo, al fine di proteggere le basi non
accoppiate (idrofobe) dal contatto con molecole di acqua, ed
esporre invece il più possibile le molecole di desossiribosio
che compongono la struttura portante del DNA (idrofile). Per
questo motivo, il donatore e l’accettore vengono a trovarsi
più vicini tra loro, la probabilità di FRET aumenta ed il tempo
di decadimento della fluorescenza del donatore ne risulta
diminuito proporzionalmente al numero di differenze tra le
sequenze di sonda e bersaglio.
Poiché il nostro apparato ci permette di misurare
tempi di decadimento su campioni estremamente diluiti,
questo risultato lascia sperare che in un prossimo futuro
saremo in grado di effettuare diagnosi in merito alla suscettibilità all’IDDM su campioni di DNA umano non amplificato.
a cura del Dott. Luca Nardo
Il trasferimento di energia tra il donatore D e l’accettore A è
possibile solo quando i due sono a distanza ravvicinata
Un metodo a basso costo per identificare la predisposizione
genetica a determinati tipi di malattie, permetterebbe di effettuare una utile opera preventiva
Per approfondimenti sull’argomento:
LINK:
_www.lccampisi.it/public/modulistica/Giornale/GIORNALEN.2.pdf
_http://www.ematologialasapienza.org/Default.asp?Caller=&Chiave=&Type=N&Label=0070&Chkart=433&LV=
_http://users.unimi.it/endomi/patgen/genetica/genetica.html
_http://www.dnalc.org/home.html
_http://www.rsc.org/Publishing/ChemTech/index.asp
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_L. Nardo, M. Bondani, A. Andreoni, Photochem. Photobiol. 84 (2008), 101–110.
_A. Andreoni, M. Bondani, L. Nardo, Mol. Cell. Probes 23 (2009), 119-121.
_G. Tosi, S. Brunelli, G. Mantero, A. R. Magalini, M. Soffiati, L. Pinelli, G. Tridente, R. S. Accolla, Mol. Immunol. 31 (1994),
429-437.
Per informazioni e suggerimenti:
[email protected]
elaborazione grafica:
[email protected]
te
nel prossimo numero:
I solitoni di cavità, questi sconosciuti
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TESTI:
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