Enrico Grassi
La logica di Vico
La polemica che Vico conduce contro la logica aristotelica è pressoché
identica alla rispettiva polemica contro la logica cartesiana. Il sillogismo di
Aristotele e il sorite di Cartesio sono differenti nella forma o, meglio, nella
figura, ma uguali nella sostanza, giacché entrambi procedono in base ai
moduli di una logica analitico-deduttiva.
Nel sillogismo le proposizioni sono concatenate secondo le proprietà
distributive della matematica - A è B, B è C, quindi A è C - passando da una
premessa maggiore ad una conclusione attraverso un medio. Nel sorite
invece le proposizioni, concatenate anch'esse secondo le proprietà
distributive, non hanno la disposizione triadica, disponendosi in catene
logiche più lunghe.
L’elemento che differenzia i due filosofi bisogna quindi ricercarlo non
tanto nella logica del ragionamento rigoroso, ovvero nel sillogismo categorico,
quanto piuttosto in quella del ragionamento probabile, nel sillogismo dialettico.
Aristotele delinea una logica del probabile, lasciando aperte le porte
alle scienze dell'uomo, o scienze morali, come le chiamerà Vico. Cartesio
invece, non ammettendo una via di mezzo tra il vero e il falso, elimina ogni
tipo di ragionamento probabile e la stessa possibilità di una “scienza”
umanistica.
“E che considerando quante diverse opinioni possono esserci circa uno stesso
argomento, sostenute da persone dotte, mentre non ve ne può essere più di una sola vera, io
1
reputava quasi falso tutto ciò che non era che verisimile” ( ).
E ancora poco oltre, dove espone il primo dei suoi precetti logici:
"il primo era di non accogliere mai nulla per vero, che non conoscessi in modo
evidente essere tale, cioè di evitare accuratamente la precipitazione e la prevenzione; e di
non comprendere nei miei giudizi se non quello che si presentasse così chiaramente e
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distintamente alla mia mente, da non lasciarmi possibilità di dubbio" ( ).
È interessante leggere la prima nota del Gilson a questi passi, dove si
dice che
"È evidente quello di cui la verità appare alla mente in un modo immediato. Si oppongono
all'evidente: I, ciò che è falso; II, ciò che è probabile. La regola dell’evidenza elimina
dunque dal dominio della filosofia tutto il verisimile, di cui si appaga la dialettica di
Aristotele, e non ritiene che le verità necessarie del tipo matematico: quelle alle quali ogni
ragione umana si sente tenuta a dare la sua adesione".
Cartesio quindi, pensando di sfruttare più rigorosamente l’applicazione
della matematica alle altre scienze, identifica tout court la matematica e il suo
metodo con la scienza in generale (3), escludendo dal campo del sapere
rigoroso ogni forma di conoscenza non riconducibile all’analisi, al contrario di
Aristotele, che fonda una logica adatta a tutti i tipi di sapere.
1 - R. Descartes, Discorso sul metodo (1637), note di E. Gilson, La Nuova Italia, Firenze 1931.
2 - Ivi, pag. 59.
3 - Ivi, p. 62. Vi si può leggere la prima formulazione di questo metodo: “Quelle lunghe catene di ragioni,
tanto semplici e facili di cui i geometri sogliono servirsi, per pervenire alle loro più difficili demostrazioni,
m’avevano dato occasione d'immaginare che tutte le cose, che possono cadere sotto la conoscenza
degli uomini, si succedano tra loro…”.
1
Vico, con la sua tempra di retore, intende contrapporsi a Cartesio e di
sostituire, o, almeno, di relegare in secondo piano, il procedimento analitico in
funzione del procedimento sintetico. Bisogna però avvertire che Vico non è un
logico rigoroso, e che, pertanto, non riesce a formulare un corpo di regole
organiche in armonia con la sua teoria della conoscenza. È comunque
interessante mettere a fuoco tutto lo sforzo che Vico compie per dare un
fondamento logico alle scienze naturali in base ai nuovi canoni dello
sperimentalismo del Seicento e delle scienze umanistiche, ripudiate dal
procedimento analitico cartesiano.
Giacché la polemica viene condotta contro Aristotele e Cartesio, è
conveniente dividere questo scritto in due paragrafi, dedicando la prima parte
ad Aristotele e la seconda a Cartesio.
a) Aristotele
Subito, nelle prime pagine del De antiquissima incontriamo un giudizio
negativo sul procedimento sillogistico aristotelico.
“Che sia da riporre in ciò la ragione per cui la cosiddetta “via resolutiva”, quando,
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come usano gli aristotelici, si proceda per idee e per sillogismi, si scopra vana” ( ).
La polemica contro il sillogismo è legata alla polemica contro gli
universali.
"Passiamo ora ad esaminare i danni prodotti dagli universali. Esprimersi per parole
universali è proprio da fanciulli e da barbari. Nella giurisprudenza coloro che errano
frequentissimamente sono quelli che si attengono al cosiddetto “diritto tetico”, ossia
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all’autorità delle norme generali” ( ).
Nel diritto, in medicina, nella vita, in filosofia, in fisica gli universali sono
fonte di errori e grossolanità: vanno pertanto sostituiti con le forme, che Vico
stesso definisce platoniche, ma che sono di difficile collocazione metafisica.
Mancano le premesse gnoseologiche, perché il formalismo vichiano si
possa definire platonico. Negare validità agli universali e al sillogismo significa
colpire alla radice il procedimento analitico e schierarsi dalla parte del metodo
sintetico. I passi più chiari sulla differenza fondamentale dei due metodi si
trovano là dove essi vengono descritti in contrapposizione a proposito della
geometria.
“Per esempio, la geometria sintetica o per forme è certissima tanto nei suoi
procedimenti quanto nei suoi risultati, come quella, che, elevandosi, con i suoi postulati, dalle
quantità minime all’infinito, mostra la guisa in cui siano da coordinare gli elementi dei quali si
formano le verità ch’essa dimostra: che anzi in tanto la mostra in quanto si tratta di elementi
che l’uomo contiene in se medesimo. Per contrario, la geometria analitica, pur essendo certa
nei suoi risultati, resta incerta nei suoi procedimenti, come quella che prende le mosse
dall’infinito per indi discendere alle quantità minime: giacché, se è vero che nell’infinito è dato
ritrovare tutte le cose, è anche vero che non è punto indicata la strada da percorrere per
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rinvenirle” ( ).
Nel settimo capitolo del De antiquissima ritorna sull’argomento.
4 - Giambattista Vico, De antiquissima italorum sapientia (1710), Opere, Ricciardi, Napoli 1953, p. 252.
5 - Ivi, p. 264.
6 - De ant., p. 262.
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“E, invero, chi adopera il sillogismo, più che congiungere cose diverse, trae dal
seno d’un genere qualcosa di specifico ch’è compreso in quel genere stesso; e chi pone a
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profitto il sorite concatena cause con cause, ciascuna prossima alla sua” ( ).
In conclusione, i difetti fondamentali del procedimento analitico non
consistono nell’erroneità del risultato, quanto piuttosto nell’incertezza del
procedimento, e, soprattutto, nel fatto che il risultato è già contenuto nel
termine da cui si era partiti: i due difetti sono complementari e l’uno rimanda
sempre all'altro. Il procedimento deduttivo pretende di dimostrare l'individuale
partendo da una premessa universale, ovvero di operare su di un termine
dato per ritrovarlo nell'individuo in questione. Vico osserva che l'uomo non
possiede alcun canone per discendere dall'infinito al finito attraverso vie
necessarie, e che, tuttavia, se trova per caso la strada da seguire, il risultato
sarà esatto solo perché in esso non vi è nulla di nuovo rispetto alla premessa
che lo conteneva implicitamente.
Platone aggira la problematica del rapporto tra universale e particolare
attraverso il nesso modello-copia, eliminando con ciò una vera e propria
relazione, che richiede sempre la differenza dei due termini. Aristotele,
consapevole di questa antidiscorsività intuitiva di Platone, pone una differenza
tra i termini per poterli poi unire. Ma tutto ciò è reso complesso dal fatto che si
possono dare termini immediati di due tipi - particolari e universali - i primi
derivati dal senso, i secondi dall'intelletto, con procedure diverse, andando
dall’universale al particolare o dal particolare all'universale. La polemica di
Aristotele contro la logica dell'identità di Platone rimane valida soltanto per il
procedimento induttivo, in cui termini diversi vengono messi effettivamente in
relazione tra loro, ma cade per il procedimento deduttivo, dove si ripropone
una statica logica dell’identità. Il sillogismo infatti non è altro che il modo di
trasportare un termine dalla maggiore alla conclusione attraverso il medio,
ovvero attribuendo al particolare ciò che si predicava dell'universale. Si
prenda la figura sillogistica più semplice: 1) tutti gli uomini sono mortali; 2)
Socrate è uomo; 3) Socrate è mortale. In questo sillogismo non si ha nessuna
mediazione vera e propria, giacché il nesso che viene istituito nella premessa
maggiore tra “tutti gli uomini” e “mortali” non è una relazione raggiunta
attraverso la sintesi di particolari, ma un primo vero colto immediatamente,
che servirà nella conclusione per instaurare un’apparente sintesi. Apparente,
per il fatto che di sintetico nella conclusione non si ha nulla, dal momento che
il soggetto e il predicato erano già implicitamente connessi nelle premesse.
Vico si rende conto di questi due aspetti della logica aristotelica, tanto
che la sua critica assume toni contrastanti a seconda che si venga a parlare
degli Analitici o dei Topici. Infatti del sillogismo categorico dirà che è vano,
perché “non tam diversa coniungit”; mentre i suoi elogi per la topica, che è
ministra dell'invenzione, e quindi della sintesi, si possono cogliere ovunque.
“Pertanto i predicamenti e la topica di Aristotele, qualora vi si voglia trovare qualcosa
di nuovo, non servono a nulla…Al contrario, se di questi predicamenti e di quella topica ci si
avvarrà esclusivamente come di indici e alfabeti delle questioni relative all’argomento da
trattare, allo scopo di conoscerlo a fondo e sotto tutti gli aspetti, nulla più degli anzidetti
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predicamenti e dell’anzidetta topica riuscirà ferace in fatto di invenzioni” ( ).
La filosofia moderna ha capito la contraddittorietà dei due procedimenti
logici e ha distinto nettamente ciò che Aristotele, dopo aver separato, voleva
riunire e far convergere sullo stesso risultato. La logica deduttiva si adatta ad
una filosofia razionalistica, ad un oggettivismo ontologico, in cui i concetti
universali vengono intuiti sia come enti che come primi veri, ovvero come
7 - Ivi, p. 301.
8 - Ivi, p. 299. Altri passi sul valore e sulla utilità della topica sono nella seconda Risposta, p. 356; nel
De nostri temporis studiorum ratione (1708), in Opere, cit., p. 84; nell’Autoblografia, in Opere, cit., p. 1718.
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principi da cui si possa dedurre analiticamente la serie delle conseguenze;
non si adatta invece ad una filosofia empiristica, giacché i fenomeni, essendo
individuali, non permettono di trarre da loro conseguenza alcuna. Essi al
contrario richiedono una logica induttiva, da cui si possa ricavare qualche
legge generale attraverso l'accostamento di fenomeni simili.
Pur accettando l’antinomicità delle due logiche, il teorico accorto sa
che è impossibile parlare di pura deduzione o di pura induzione, per il fatto
che in ogni deduzione affiorano le sintesi, come in ogni induzione si celano le
analisi. Come nella maggiore "tutti gli uomini sono mortali" si pongono in
connessione uomini e mortalità, per una via che sicuramente non è quella
deduttiva, così pure dalla semplice percezione di alcuni fatti non si può
giungere a conclusioni che oltrepassano i dati della percezione. Dal fatto che
Socrate e Platone ed altri uomini sono mortali non si può indurre che tutti gli
uomini sono mortali, pretendendo di rimanere sul piano puramente sintetico.
Ogni sintesi presuppone, se non altro, la direzione che si dà alla ricerca in
funzione della previsione di un certo risultato, che è prima della sintesi.
Questa problematica ha dato origine nel Seicento ad una lunga
polemica tra razionalisti ed empiristi, penetrando in tutti i campi del sapere. Al
razionalismo cartesiano, difeso dai logici di Port Royal, si è contrapposto
l’empirismo di Mersenne, di Gassendi, di Hobbes, senza che una delle due
parti sia riuscita ad avere ragione dell’altra.
Vico scende in campo, povero di rigore logico, come molti in questa
polemica, per attaccare la filosofia e la logica cartesiana da un punto di vista
genericamente empirista.
b) Cartesio
L’effettiva concezione logica di Vico non è emersa pienamente nella
polemica con Aristotele, per il fatto che il filosofo greco è oggetto di critica sia
da parte dei razionalisti che degli empiristi, accomunati anche dal rifiuto del
principio d’autorità, secondo un'usanza già diffusa nel secolo precedente.
Per avere un quadro completo della logica vichiana è necessario
passare ai più abbondanti e più complessi passi scritti in polemica con
Cartesio e con Arnauld.
Prima di iniziare l’esposizione, è necessario un breve cenno storico.
Vico identifica Zenone di Elea e Zenone di Cizio, non facendo distinzione tra
l'Uno del primo e i lògoi spermatikòi del secondo (9). È molto probabile che in
sede di metafisica si ispiri all'Eleate e in sede di logica allo stoico. Infatti nella
trattazione dell'Uno e del punto virtuale il ragionamento procede in modo
parallelo a quello del primo Zenone, laddove cerca di condurre all'assurdo la
problematica del molteplice, mentre sembra che, trattando di logica, si
riferisca agli stoici. L’accostamento tra logica stoica e sorite non è
riscontrabile sui frammenti esistenti (10), per quanto è forse possibile trovare
un rapporto tra il sorite e l'argomento stoico relativo al mucchio (soròs) (11).
È probabile che la pretesa di rintracciare per ogni teoria moderna un
corrispettivo antico sia all'origine di tanta confusione (12). Il parallelo tra la
logica di Zenone e quella di Cartesio deve essere valutato alla stregua del
rapporto tra la teoria di Vico e quella degli italici antichi. È necessario pertanto
recuperare la genuina idea che Vico si fece di Cartesio, senza tener conto né
del sorite né di Zenone.
9 - Tale confusione si può vedere principalmente nel De ant., cap. IV, § 1°.
10 - Per le fonti dei due Zenoni mi sono servito delle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio e dei frammenti
di Von Arnim e del Diels.
11 - Si veda alla voce “sorite” il Dizionario critico di filosofia di A. Lalande (1926), ISEDI, 1971.
12 - Si veda N. Badaloni, Introduzione a G. B. Vico, Feltrinelli, Milano 1961., p. 338.
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Per comodità di esposizione, la polemica anti-cartesiana può essere
ridotta ai seguenti punti: 1) contro il procedimento analitico e in favore di un
procedimento sintetico; 2) contro la quarta operazione della mente; 3) contro
le idee chiare e distinte; 4) in favore del principio di autorità; 5) il tutto in
funzione di una concezione pedagogico-retorica umanistica differente da
quella del filosofo francese.
1) Vico prende decisamente posizione, nella polemica tra razionalisti
ed empiristi, a favore dell’induzione empiristica. È difficile tuttavia precisare il
significato che attribuisce al termine induzione, per il fatto che in lui vecchie e
nuove esigenze filosofiche si accavallano, riducendo la perspicuità del
discorso. Nel senso più generale induzione significa collatio similium (13), cioè
raffronto di cose simili. Nel De antiquissima tuttavia abbiamo almeno tre
concetti differenti di sintesi, non mediati tra loro: il concetto di sintesi creativa
nella sfera dell’astrazione, come nella matematica, nella geometria e nella
meccanica; il concetto di sintesi delle scienze sperimentali, a cui più si adatta
la generica definizione di induzione come collatio similium, che è propria
dell'empirismo e delle scienze sperimentali del secolo (14); e infine il concetto
di sintesi delle scienze umanistiche, che fondamentalmente significa
aderenza al mondo del particolare, ma anche invenzione e ritrovamento del
luogo adatto alla persuasione. Quanto al primo concetto di sintesi, il già citato
passo del secondo capitolo del De antiquissima fa una distinzione tra
geometria sintetica e geometria analitica, in base al fatto che la prima opera,
elevandosi con i suoi postulati dalle quantità minime all’infinito. In questo
caso, per sintesi bisogna intendere quel modulo costruttivo delle figure
geometriche per mezzo della ripetizione del punto (che è di derivazione
metafisica), secondo le varie modalità di unione dei punti. Con questa
procedura la mente crea le forme geometriche, cioè i concetti generali delle
figure dello spazio, che valgono per tutte le figure particolari, senza
identificarsi con nessuna di esse.
Il concetto di sintesi in geometria si differenzia quindi dalla definizione
generale di sintesi intesa come collatio similium, in primo luogo perché, più
che di raffronto di cose simili, si deve parlare di somma di cose uguali, cioè di
ripetizione dell'elemento inizialmente accolto, ossia il punto; in secondo luogo
perché l'oggetto su cui la scienza astratta viene costruita è di derivazione
opposta rispetto all'oggetto su cui si costruisce la scienza sperimentale, ossia
il fenomeno. Il primo infatti ha origine metafisica (15) o, meglio, teologica –
come più chiaramente dirà in seguito - e quindi possiede un’esistenza
puramente mentale (16), il secondo invece ha origine dai sensi e pertanto
presenta una struttura differente, essendo un prodotto del rapporto soggettooggetto (17).
Quanto al secondo concetto di sintesi, cioè quello delle scienze
sperimentali, la formulazione più teorica si ha nel secondo capitolo del De
antiquissima.
“Oggi è discreditata la fisica aristotelica, appunto perché giudicata troppo universale:
al contrario della fisica moderna, che, col suo porre a profitto fuoco e macchine, e col suo
produrre cose simili alle opere peculiari alla natura, ha arricchito il genere umano di scoperte
18
senza fine” ( ).
13 - De ant., p. 301.
14 - Ivi, p. 262.
15 - Su questo argomento si veda De ant., cap. IV, § 1; prima Risposta, p. 209, 213, 214; Autobiografia,
p. 37..
16 - Per Vico infatti la geometria e la matematica sono completamente nominali: si veda De ant., cap.
IV, § 1; prima Risposta. pag. 317.
17 - De ant., pp. 292-93.
18 - Ivi p. 262.
5
Certamente qui l'accenno alla fisica è molto generico e sta per
scienze sperimentali in generale, che vanno dalla fisica alla meccanica, dalla
medicina alla chimica, in cui, servendosi di fuoco e macchine, si possono
produrre cose simili alle opere della natura. Il metodo induttivo nelle scienze
sperimentali serve non tanto a produrre, come nella sintesi delle scienze
astratte, quanto piuttosto a riprodurre un fenomeno relativamente
indipendente dalle facoltà umane: attraverso la ripetuta riproduzione dei
fenomeni particolari con la collatio similium si arriva alle leggi generali. Si
tenga presente che il concetto di legge non è mai espresso esplicitamente,
giacché Vico intende analizzare più il procedimento che il risultato. Il metodo
induttivo delle scienze sperimentali consiste quindi nell'individuare i più
significativi fenomeni della natura, nel riprodurli ripetutamente e nel trarne le
leggi. Per afferrare pienamente la differenza tra le due forme di sintesi,
bisogna tenere presente che per Vico nelle scienze della natura domina il
probabile e il verisimile (19), mentre in quelle matematiche si ottiene la
completa verità, data la possibilità di creare, anziché ricreare, gli elementi su
cui si costruisce. Si ha quindi in queste ultime scienze la vera e propria
vichiana conoscenza per cause.
Il terzo concetto di sintesi, che troviamo nelle scienze umanistiche, è
molto simile a quello delle scienze sperimentali, giacché, come questo,
ricerca le ultime "peristasi”, cioè le circostanze dei fatti. I giureconsulti infatti
apprezzano colui
“che, acuto d’ingegno, sa vedere nelle cause le ultime “peristasi” o circostanze dei
fatti, mercé questo ricorrere all’equità, ossia alle “exceptiones” e, con ciò, sottrarsi alle
20
prescrizioni delle leggi generali” ( ).
Quello che dice della giurisprudenza è ripetuto per l'oratoria, per la
storia e per le arti imitative. Ma se per le scienze naturali le ultime "peristasi"
sono fenomeni con una regolarità costante nello spazio e nel tempo, nelle
scienze umanistiche e congetturali, come l'oratoria, la medicina, la politica,
sono in balia del caso e del capriccio (21). Ciò dipende dal fatto che le facoltà
umane sono spontanee, contrariamente ai fenomeni naturali: si capisce in tal
modo perché Vico insista tanto sull'elemento dell'inventività o creatività (22).
Giacché le scienze umanistiche servono all'uomo per comportarsi nella vita
(23), devono sostituire l’analisi con la sintesi, cioè con la topica, che regola
l’invenzione. Tale esigenza si accentua con l’oratoria, in quanto possiede una
funzione pedagogica.
2) Passiamo ora al secondo dei cinque punti sopra elencati, alla
polemica contro la quarta operazione della mente.
Vico distingue tre facoltà mentali, attraverso cui si raggiunge la forma
più complessa di conoscenza: il percepire (24), il giudicare, il ragionare. A loro
volta queste tre operazioni sono regolate da tre strumenti o arti o
precettistiche: la topica, la critica, il metodo.
“Le cose meditate sin qui ci porgono l’occasione d’indagare quale sia la facoltà
speciale data all’uomo per sapere. Certamente egli percepisce, giudica, ragiona…Le varie
sette filosofiche ritenevano che ciascuna fosse regolata da un’arte o precettistica a sé
25
peculiare: il percepire dalla topica, il giudicare dalla critica, il ragionare dal metodo” ( ).
19 - Infatti non possono provare per cause. Si veda De ant., cap. II.
20 - De ant., p. 263.
21 - Ivi, p. 297-98.
22 - Ivi, p. 295 e poi tutta la parte finale del capitolo VII, § 5.
23 - De ratione, tutto il cap. VII.
24 - Percezione verrà usato nel senso che Vico assegna a questo termine, come la facoltà che
compone una cosa con le altre che con essa hanno rapporto (si veda seconda Risposta, p. 358).
25 - De ant., p. 297.
6
Cartesio invece, seguito dai logici di Port Royal e dal recensore
veneziano, distingue quattro facoltà dello spirito: concepire, giudicare,
ragionare, ordinare (o metodo). Le regole dell'ultima, ovvero della quarta
operazione, vengono trattate nella sezione seconda del Discorso sul metodo
(26). Con essa Cartesio intende applicare la geometria a tutte le altre scienze:
quelle che docilmente si lasciano geometrizzare saranno scienze, le altre non
saranno tali, escludendo in tal modo dal mondo scientifico tutte quelle forme
di sapere che più stanno a cuore a Vico, che pertanto replica, rispondendo al
recensore veneziano:
“Cotesto, che voi co’ cartesiani dite in genere “metodo”, egli è in specie metodo
geometrico. Ma il metodo va variando e multiplicandosi secondo la diversità e multiplicazione
delle materie proposte. Regna nelle cause il modo oratorio, nelle favole il poetico, nelle istorie
l’istorico, nelle geometrie il geometrico, nella dialettica il dialettico, che è arte di disporre un
argomento. Che se il metodo geometrico è la quarta operazione della nostra mente, o
l’orazione, la favola, l'istoria hassi a disporre con metodo geometrico, o le loro disposizioni
non hanno a qual operazione della nostra mente ridursi debbano; o se il metodo geometrico è
degno di essere quarta operazione della nostra mente, non avendo egli ragione sopra le altre
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già dette, pretenderanno l'oratoria essere quinta, la poetica sesta, l'istoria settima…” ( ).
3) Anche la polemica contro le idee chiare e distinte, che rappresenta il
terzo punto, è legata ai motivi del precedente argomento, ovvero alla
rivalutazione del mondo umano contro la riduzione geometrica delle scienze.
Fin dall'antichità riempivano di meraviglia la chiarezza dei principi matematici
e il completo accordo tra tutti gli uomini. Si capisce quindi perché Cartesio
sottoponga tutte le scienze a tale criterio, dopo aver ridotto il sapere a sapere
geometrico. C'è tuttavia anche un altro motivo gnoseologico-metafisico che
giustifica tale riduzione.
Cartesio, distinguendo immaginazione e intelletto, restringe la
conoscenza a quella puramente intellettuale (28), attraverso cui si colgono le
sostanze, cioè la res extensa e la res cogitans, seguito in ciò dall'Arnauld (29).
Caratteristica delle idee dell'intelletto, e quindi delle idee di sostanza, non può
essere che l’evidenza, ovvero la loro chiarezza intuitiva immediata, mentre la
confusione caratterizza le idee di derivazione sensibile-immaginifica, ovvero
gli attributi. Al contrario, Gassendi (30) e Hobbes (31) con il loro antisostanzialismo e con l’identificazione di immaginazione ed intelletto mettono
capo ad un fenomenismo, il cui unico metodo è l'induzione sperimentale.
Sarebbe stato assurdo quindi per Vico, contrario, al pari di Gassendi e
Hobbes, sia al geometrismo che al sostanzialismo, accettare un simile
criterio. La conoscenza parte dalla percezione, che è regolata dalla topica.
“E allora in qual guisa l’idea chiara e distinta della nostra mente potrebbe essere
norma del vero, se, di una cosa, non si esamini e tutto quanto è inerente a essa e tutto
quanto a essa si riferisce? E come si potrà esser sicuri di avere esaminato tutto ciò, se non si
sviscerano tutte le questioni che potranno esser poste nei riguardi della cosa presa in
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esame?” ( ).
26 - Si veda anche A. Arnauld - P. Nicole, La logique ou l’art de penser (1662), Librarie Ch. Delgrave,
Paris 1878, p. 38. Si veda inoltre il secondo articolo del giornale dei letterati, in GB. Vico, Le orazioni
inaugurali, il De italorum sapientia e le Polemiche, Laterza, Bari 1914, p. 228-29.
27 - Vico, seconda Risposta., cit., p. 358.
28 - Tutta l'analisi del "cogito" nelle Meditazioni ne è una conferma.
29 - A. Arnauld, cit., p. 42 e p. 88.
30 - P. Gassendi, Obbiezioni alle Meditazioni cartesiane (1641), in R. Descartes, Discorso sul Metodo,
Laterza, 1912. Per l'antisostanzialismo si veda Contro la terza Meditazione, p. 36. Per l'identificazione di
intelletto e immaginazione si veda Contro la seconda Meditazione, p.18.
31 - Per la polemica di Hobbes contro il sostanzialismo, si veda op. cit., p. 259; per l'identificazione di
immaginazione e intelletto pp. 251-252.
32 - De ant., p. 298.
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La regola della chiarezza e distinzione non può essere sufficiente
laddove si ritiene come unico criterio di conoscenza il procedimento sintetico.
Se per ottenere una nozione dovrò sommare insieme tanti elementi, diventa
inservibile il criterio dell’evidenza, che è basato su un tipo di conoscenza
immediata, o ritenuta tale, come il “cogito ergo sum” e come i principi delle
matematiche. È per questo motivo che la topica balza in primo piano nella
logica vichiana. Infatti
"andar componendo una cosa con tutte le altre che vi hanno attacco o rapporto (che
è l'altra spezie di metodo, che s’appella "sintesi", che in fatto è ritrovare) è opera della
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semplice percezione, che fassi regolare dalla topica “ ( ).
Vi è quindi una stretta connessione tra sintesi, percezione e topica. La
descrizione che Vico fa della topica è tratta dall'elenco delle categorie
aristoteliche. Ecco le parole testuali:
“Cosicché si dovrà indagare in primo luogo se la cosa realmente sia, per non perdersi
in parole prive di qualunque contenuto; indi che cosa essa sia, per non istare a disputare di
mere denominazioni; poi che cosa essa sia rispetto alla quantità, ossia rispetto e
all'estensione e al peso e al numero; inoltre che cosa sia rispetto alla qualità, al qual riguardo
occorrerà studiarne colore, sapore, mollezza, durezza e altre caratteristiche riferibili al tatto; di
più, quando essa nasca, sin quando duri, in quali altre cose si dissolva; e analogamente
proseguire l'indagine per tutti gli altri “predicamenti”, collegando la cosa stessa con tutte le
altre che si riferiscano ad essa, ch'è quanto dire sia con le cause da cui è stata originata, sia
con gli effetti che ne son derivati, sia con ciò che essa opererà quando la si congiungerà con
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altre cose o simili o diverse o contrarie, o anche o maggiori o minori o eguali” ( ).
È molto strano che Vico, avendo letto le Summulae di Pietro Ispano e
almeno una parte delle Summulae di Paolo Veneto, descriva la topica in
modo così semplicistico, dopo averle attribuito tanta importanza.
Evidentemente, benché insista sul concetto di topica, è ben lungi dal
considerarla alla maniera degli scolastici. Aristotele e la scolastica
consideravano la topica come un’appendice dell’analitica, cioè dell’arte
sillogistica. L’analitica studia il sillogismo categorico, la topica quello ipotetico;
la prima studia le leggi del discorso scientifico, la seconda le leggi del
discorso probabile, conservando tuttavia la deduttività geometrica dell’arte
sillogistica in generale.
Vico non poteva accettare tale assimilazione. Per capire il suo concetto
di topica è necessario partire dal concetto di invenzione, che non significa
creazione, ma, almeno fino al De antiquissima, ricreazione o libera
connessione di elementi provenienti dall’esterno. Persino le scienze più
creative come la geometria e la matematica, o le arti come la pittura e la
scultura, contengono un elemento estraneo all’uomo e ineliminabile. La
geometria e la matematica infatti operano sul punto e sull’uno di origine
metafisica; per le arti ecco quel che Vico stesso dice:
“Ciò, forse, perché non ci è dato configurare se non le cose che ricordiamo, né
ricordare se non quelle che percepiamo per mezzo dei sensi...L’ingegno è la facoltà di
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unificare cose separate, di porre in correlazione cose procedenti in direzioni diverse” ( ).
La creatività quindi si riduce alla libera operazione su certi dati
oggettivi. Il concetto vichiano di invenzione è molto simile a quello di Bacone,
per il quale i predicamenti e la topica sono utili solo come “indici e alfabeti
delle questioni relative all’argomento da trattare” (36), in quanto facilitano la
33 - Seconda Risposta, p. 358.
34 - De ant., p. 299.
35 - Ivi, p. 294-95.
36 - Ivi, p. 299.
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ricerca e il ritrovamento di ciò che si cerca. In conclusione, invenzione è il
ritrovamento di ciò che si nasconde ad un esame poco attento. La topica
quindi non serve a trovare qualcosa di nuovo, ma a regolare e facilitare
l'indagine.
Anche Bacone esclude il concetto di invenzione come creazione,
riducendolo ad una semplice operazione della memoria che ci presenta e ci
suggerisce ciò di cui abbiamo bisogno (37). La topica, che regola l'invenzione,
è così descritta:
"Atque ut parata sit ad disserendum copia, duplex ratio iniri potest; aut ut designetur,
quasi indice monstretur, ad quas partes rem indagare oporteat, atque haec est ea, quam
38
vocamus topicam" ( ).
Subito dopo distingue tra topica generale e particolare, e, sebbene non
descriva la topica generale, si può capire cosa intenda per essa dalla
descrizione della topica particolare, che è un vero e proprio "regolamento"
dell’indagine sperimentale.
La topica per Vico è una elencazione fissa di concetti, a cui dobbiamo
rifarci in ogni caso per non rischiare di trascurare qualche particolare nel
corso dell'indagine sperimentale. Si può avere una conferma di ciò là dove
accenna al metodo di Herbert di Cherbury.
“Ma dico di più, che questa è l'arte di apprendere vero, perché è l'arte di vedere per
tutti i luoghi topici nella cosa proposta quanto mai ci è farlaci distinguere bene ed averne
adeguato concetto; perché la falsità dei giudizi non altronde proviene che perché l'idee ci
rappresentano più o meno di quello che sono le cose: del che non possiamo star certi, se non
avremo raggirata la cosa per tutte le questioni proprie che se ne possano giammai proporre.
Che è la via che tien l’Herberto nella sua Ricerca della verità, che veramente altro non è che
39
una topica trasportata agli usi dei fisici sperimentali” ( ).
Come la topica di Herbert dunque, anche quella di Vico è una topica
trasportata agli usi dei fisici sperimentali. È molto significativo il termine
“trasportata”, che sta ad indicare un concetto diverso rispetto a quello
originario di Aristotele e della Scolastica. La topica di Vico è, in conclusione,
l'adattamento della topica sillogistico-deduttiva dell’antichità (40) ad un uso più
adeguato alle scienze sperimentali, diventando, come la topica di Bacone, la
regola del metodo induttivo.
Va comunque detto che il concetto di topica con cui Vico pretende di
ben condurre l'invenzione, e quindi la sintesi percettiva, risente della stessa
incertezza del concetto di sintesi. Se abbiamo non uno, ma molti procedimenti
conoscitivi, abbiamo pure molte sintesi differenti e, necessariamente, molte
topiche. È evidente che nella sintesi per forme della geometria non vale
nessuno degli elementi della topica sopra riportati. D'altra parte se i luoghi
topici sopra elencati sono tutti adattabili alle sintesi operate nella ricerca
sperimentale delle scienze naturali, solo pochi sono adattabili alle sintesi delle
scienze umanistiche, a cui difficilmente si applicherebbero quelli della qualità,
dell’estensione, del peso (41).
4) Passando ora al quarto punto, è facile capire perché Vico si
opponga all’abbandono del principio di autorità da parte di Cartesio.
37 - F. Bacon, De dignitate et augmentis scientiarum (1623), in Works, Spedding-Ellis, London, 1857,
vol. I, pp. 285-286.
38 - Ivi, p. 634.
39 - Seconda Risposta, p. 356.
40 - Si vedano i Topici di Aristotele e le Summulae logicales di P. Veneto, Venetia, 1622, apud P. M.
Bertan, trattato quinto.
41 - Per la topica di tipo retorico-umanistico è molto probabile che Vico si riferisse a Cicerone e non a
Bacone. Ciò non toglie che al di sotto delle due topiche si possa trovare un elemento comune.
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“Quanto alle precettistiche, esse vanno considerate in qualche modo quasi leggi
della repubblica letteraria, come quelle che esibiscono…osservazioni di tutti gli uomini
dotti…facilmente s’ingannerà colui che, credendo di poterne prescindere s’affiderà
42
esclusivamente alla propria natura” ( ).
Le osservazioni degli uomini dotti diventano veri e propri luoghi di cui
bisogna tener conto, se si vuole esaminare esaurientemente un argomento ed
evitare così gli errori di chi, fidandosi di se stesso, non scorge una serie di
elementi utili per l'indagine completa dell'oggetto in questione. Nelle scienze
non matematiche le connessioni tra i vari termini non sono necessarie, e,
pertanto, è lasciato alle capacità inventive dell’uomo ritrovare i migliori
collegamenti tra i particolari, in base ad uno scopo prestabilito. Da ciò si
capisce il valore che acquista il concetto di collaborazione e quindi di topica
(43). Al contrario, un sistema basato sulla deduzione deve escludere il
principio di autorità, se deduzione significa procedimento per passaggi
rigorosi e necessari.
5) Le scienze umanistiche sono fondamentalmente scienze pratiche, o
morali, come le chiamerà Vico successivamente. Devono cioè svolgere un
ruolo nella vita dell’uomo, conducendolo alla saggezza. Sarebbe troppo lungo
riportare tutto il capitolo settimo del De studiorum ratione dove è espresso il
cruccio per la trascuratezza delle scienze a lui tanto care. Citerò quindi
soltanto qualche passo.
“Senonché l'inconveniente più grave dell'odierno metodo di studi è che, laddove ci
consacriamo col maggiore impegno a coltivare le discipline naturali, non facciamo poi il
medesimo conto delle scienze morali, e segnatamente di quella loro parte che concerne
l'indole dell'animo umano e delle sue passioni correlativamente alla vita civile e all'eloquenza,
le proprietà delle virtù e dei vizi, le buone e le male arti, le caratteristiche dei costumi giusta
l'età, il sesso, la condizione, la fortuna, la stirpe, la nazionalità di ciascuno, nonché quell'«arte
del decoro», che, fra tutte, è la più difficile: ragion per cui la scienza quanto mai estesa e
importante dello Stato giace presso di noi quasi abbandonata e incolta. Unico fine degli studi
è oggi la verità…Senonché questo nostro metodo di studi genera, presso i giovinetti, il
duplice inconveniente di non farli operare con sufficiente prudenza nella vita civile…coloro
che coltivano esclusivamente la verità, difficilmente sanno avvalersi dei mezzi e con difficoltà
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ancora maggiore conseguire i fini” ( ).
Segue poi un lungo brano sulle differenze tra le scienze della natura
che procedono in linea retta e le scienze umane che si adattano alle minime
circostanze.
Cartesio ignora questo aspetto, avendo davanti a sé un ideale di
scienza esatta: parte dall’uomo per dedurre il mondo, lasciandosi dietro
l’uomo. Vico, al contrario, seguendo uno dei canoni fondamentali
dell’empirismo, crede che la scienza debba essere utile all’uomo. Per
attingere questo fine, la scienza deve assumersi il compito di seguire
l’individuo nei suoi aspetti multiformi, nelle molteplici facoltà che si sviluppano
in lui nelle differenti età, assecondandole volta per volta, secondo la loro
successione naturale, senza alcuna repressione.
“E, per cominciare, circa gli strumenti delle scienze, noi oggi diamo principio agli studi
con la critica, la quale, in quanto purifica il suo primo vero non solo da ogni falsità, ma persino
da ogni sospetto di falsità, impone che si scaccino dalla mente, al modo stesso che le falsità,
tutti i secondi veri e i verisimili. Fuor di proposito, per altro: giacché occorre anzitutto negli
42 - De ant., p. 300.
43 - Un simile concetto di collaborazione scientifica, oltre che in Bacone, nell'empirismo e nello
sperimentalismo, si ritrova in ambiente investigante. Si veda T. Cornelio, Progymnasmata phisica, Typis
haeredum Franci Baba, Venetiis 1683, p. 33.
44 - De ratione, p. 192.
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adolescenti dar forma aI senso comune, a che, nella vita pratica, non prorompano, giunti a
maturità, in azioni strane e insuete…Pertanto, poiché ciò che si deve più d'ogn'altro
sviluppare negli adolescenti è il senso comune, si corre il rischio che in loro non venga
soffocato dalla nostra critica…Giacché, come nella vecchiaia il raziocinio, cosi
nell'adolescenza è gagliarda la fantasia, e non occorre in alcun modo ottenebrare nei fanciulli
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codesta facoltà” ( ).
Segue un altro passo sulla necessità di coltivare la fantasia negli
adolescenti, e quindi sui limiti della critica.
“Senonché oggi vien coltivata esclusivamente la critica: la topica, lungi dall’esser
messa al primo posto, è in tutto e per tutto ricacciata indietro. E ancora una volta a torto:
giacché, come l’invenzione degli argomenti precede per natura la valutazione della loro
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veridicità, così la dottrina topica dev'esser preposta a quella critica” ( ).
In sintesi, la fisica e l’analisi ottundono gli ingegni; la fisica senza
l’eloquenza non è convincente; le scoperte si fanno senza servirsi dell’analisi.
Un metodo educativo che non tenesse conto di queste esigenze fallirebbe nel
suo fine essenziale, che è quello di formare i giovani e di adattarli alla vita.
Solo ora si può comprendere l'importanza che Vico assegna
all’oratoria: se il fine educativo fondamentale è la complessa formazione
umana, l'insegnamento, per ottenere i massimi risultati, dovrà seguire le
pieghe dell'animo umano. L’oratoria è la scienza che assolve questo compito
nel migliore dei modi.
45 - Ivi, pp. 176-77.
46 - Ivi, p. 178.
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