Complicanze
gastroenterologiche dopo
trapianto di organo solido
RIASSUNTO
Le complicanze gastrointestinali si manifestano in molti soggetti sottoposti a
trapianto. Possono essere secondarie a danno di barriera indotta non solo da
diversi microrganismi patogeni, ma anche da danno meccanico, metabolico o
dai farmaci immunosoppressivi. Sebbene questo tipo di complicanze può deteriorare la qualità della vita o rendersi responsabile di mortalità, generalmente
può essere prevenuto o trattato senza interferire con l’immunosoppressione.
Parole chiave
Complicanze gastrointestinali, immunosoppressione, trapianto.
Gastroenterological complications
after solid organ transplantation
SUMMARY
Most transplant recipients will experience some type of gastrointestinal complications.
These effects often are caused by infectious damage induced by a variety of opportunistic
organisms, but also may be due to mechanical injury during surgery or to metabolic or
organ toxicity associated with immunosuppressive regimens. Although some of these
complications can impair the quality of life or even carry significant mortality risk, many
of them can be prevented and most of them can be treated without the need to discontinue
the immunosuppression and expose the patient to the risk of rejection episodes.
Key words
Gastrointestinal complications, immunosuppression, transplantation.
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4/ 2005
Giovanna Brusco
Katerina Vjero
Giovanbattista Ippoliti
Mario Viganò
Divisione di Medicina Interna,
Ambulatorio di Gastroenterologia
ed Endoscopia Digestiva,
Ospedale Civile di Voghera
(Pavia);
Centro Trapianti Organi
Toracici “C. Dubost”, IRCCS
S. Matteo, Università di Pavia
Complicanze
gastroenterologiche
dopo trapianto
di organo solido
l
G. Brusco et al.
Trapianti 2005; IX: 159-179
Introduzione
Le complicanze gastrointestinali sono tra le cause maggiori di morbilità
e mortalità nei soggetti immunocompromessi1,2. La sfera digestiva
rappresenta, infatti, uno dei bersagli privilegiati delle manifestazioni
cliniche nei pazienti con immunodeficienze congenite, in quelli sottoposti a trapianto di organi o midollo osseo, a terapia immunosoppressiva per neoplasia o malattia autoimmune3,4. Ciò è probabilmente legato al fatto che la mucosa digestiva è la sede di un tessuto linfoide molto importante rappresentato da macrofagi e da cellule linfocitarie localizzate nel corion. L’insorgenza di infezioni gastrointestinali
in questi soggetti dipende dal tempo intercorso dal trapianto, dall’età, dalla presenza di infezioni virali croniche e di patologie presenti prima del trapianto (es. malattia diverticolare del colon, ulcera
peptica, diabete), dall’uso prolungato di determinate tecniche (es.
sondino nasogastrico), dall’esposizione a germi patogeni in comunità o ospedale, dalla terapia immunosoppressiva5-7. In particolare
Budino et al. hanno rilevato che le principali cause di morte in 156
soggetti trapiantati sottoposti ad autopsia sono le infezioni, con una
percentuale che varia dal 21% nei trapiantati di cuore al 63% in quelli sottoposti a trapianto di polmone8. Per quanto riguarda la comparsa temporale delle complicanze gastrointestinali, nei primi trenta
giorni dal trapianto, l’esofagite da candida o da Herpes simplex virus
(HSV) e l’infezione da Clostridium Difficile (CD) rappresentano le più
comuni patologie. Da uno a sei mesi dopo il trapianto, insorgono infezioni virali, soprattutto da Cytomegalovirus (CMV), ed opportunistiche, mentre dopo sei mesi, l’80% dei pazienti è suscettibile di infezioni per agenti patogeni acquisiti in comunità9.
l
Tabella I. Patogeni responsabili
di infezioni gastrointestinali
nei soggetti immunocompromessi.
Orofaringe/Esofago
Comuni
HSV
CMV
Candida
Non comuni
EBV
Enterovirus
Adenovirus
Cryptococcus
Aspergillus
Microsporidium
Micobatteri
Histoplasma
Leishmania
Intestino
Infezioni
Infezioni esofago-gastriche
L’esofago è l’organo più frequentemente interessato dalle complicanze
gastrointestinali nei soggetti immunocompromessi. L’uso di differenti strategie profilattiche, soprattutto nella fase precoce del posttrapianto, ha drammaticamente diminuito le infezioni esofagee e gastriche.
Gli agenti patogeni più comunemente implicati sono il CMV, l’HSV e la
candida10-13. Nella tabella I sono riportati alcuni dei microrganismi
che possono provocare lesioni del tratto digestivo14-16. Clinicamente
il sintomo più frequente è la disfagia. Altre modalità di presentazione di lesioni esofago-gastriche sono: odinofagia, dolori retrosternali,
dispepsia, ulcerazioni orali, epigastralgia. In uno studio in pazienti
sottoposti a trapianto renale, l’endoscopia ha identificato infezioni
opportunistiche nel 64% di soggetti con disfagia, 39% con dispepsia,
e 17% con emorragia. Sintomi meno comuni sono: nausea, vomito,
anoressia, singhiozzo ed ostruzione17,18.
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Comuni
CMV
Clostridium Difficile
Cryptosporidium
Adenovirus
Rotavirus
Non comuni
HSV
Enterovirus
Aspergillus
Microsporidium
Salmonella
Shigella
Campylobacter
Isospora
Cyclospora
Micobatteri
Histoplasma
Leishmania
Strongyloides
Giardia
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Infezioni micotiche
Sono provocate dalla Candida e in misura minore da Cryptococcus neoformans e Pneumocystis carinii. La maggior parte di queste infezioni si verifica da due a sei mesi dopo il trapianto. La prevalenza varia dal 5%
nei soggetti sottoposti a trapianto di rene al 50% nel trapiantati di
fegato19. La candidosi è l’infezione opportunistica più frequente nei
pazienti trapiantati. Sono ben noti i fattori predisponenti all’infezione: neoplasie, soprattutto linfomi e leucemie, trapianti d’organo, terapia prolungata con antibiotici o corticosteroidi, malnutrizione,
diabete, terapia immunosoppressiva.
Clinicamente la candidosi esofagea viene diagnosticata in occasione di
disfagia. Essendo la lesione della mucosa per nulla o poco ulcerativa,
gli altri sintomi, soprattutto quelli dolorosi (odinofagia, dolori retrosternali, epigastralgia), sono più rari. Sono possibili anche nausea e
singhiozzo o addirittura forme asintomatiche20. Le complicanze
sono rare e consistono in emorragia, stenosi da pseudotumore,
perforazione o fistolizzazione nei bronchi o mediastino, mentre la
disseminazione a distanza è eccezionale. L’importanza della candidosi esofagea è correlata, dunque, non alle complicanze ma alle possibili ripercussioni sulla nutrizione, trattandosi, nella maggior parte
dei casi, di soggetti già defedati.
L’endoscopia è l’esame di scelta per ottenere una diagnosi di certezza.
Si può rimandarne l’effettuazione quando i sintomi siano eclatanti e
ci sia in anamnesi una diagnosi di candidosi esofagea. In queste situazioni la probabilità che si tratti di una recidiva è talmente elevata
che è giustificata una terapia ex adjuvantibus senza altre indagini20.
Tipiche manifestazioni endoscopiche sono rappresentate da membrane o placche bianco-giallastre disseminate sulla mucosa esofagea,
talora confluenti, che possono formare strie longitudinali con un
aspetto a binario. La mucosa può essere totalmente ricoperta da
pseudomembrane ed in alcuni casi il lume può essere ostruito. Le
membrane raramente possono essere nerastre, mentre spesso sono
facilmente scollabili dalla mucosa sottostante che può avere un
aspetto normale, eritematoso, erosivo o emorragico. Nel caso in
cui si tratti di candidosi discendente, cioè a partire dal cavo orale,
è colpita più frequentemente la parte alta dell’esofago. L’aspetto
endoscopico è talmente tipico che le biopsie non sono indispensabili in quanto di fronte a queste lesioni non si pone il problema di
diagnosi differenziale. Nei casi incerti, soprattutto quando le lesioni sono minime, la diagnosi di certezza si ha evidenziando i lieviti
ed i filamenti di miceti, o con la coltura di miceti a partire dai prelievi bioptici.
L’esame colturale si deve effettuare quando si ha resistenza alla terapia
antimicotica, in modo da tipizzare la specie di candida implicata e
fornire un antifungigramma. In effetti sebbene la Candida Albicans
sia la specie più frequente, sono possibili anche infezioni da C. Krusei, C. tropicalis, C. parapsilosis, Torulopsis glabrata, ecc.
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Per la terapia si ricorre agli antimicotici sistemici: ketoconazolo, fluconazolo, itraconazolo per via orale, anfotericina B per via endovenosa. Il
ketoconazolo viene prescritto alla dose di 400 mg/die per os. Essendo
questa molecola assorbita in ambiente acido, può avere una efficacia
ridotta in questi pazienti che presentano frequentemente una diminuzione della secrezione acida. Gli effetti secondari più noti sono: nausea dose-dipendente, epatotossicità, alterazioni ormonali. Il fluconazolo alla dose minima di 100 mg/die è efficace per via orale ed endovenosa. È tollerato meglio del precedente, con una epatotossicità bassa e
per tali motivi attualmente è il farmaco di riferimento. L’itraconazolo
può essere utilizzato al dosaggio di 200 mg/die. Questo farmaco può
aumentare la concentrazione plasmatica della ciclosporina, per cui si
raccomandano controlli frequenti della ciclosporinemia.
Il miglioramento sintomatologico è di solito rapido in 3-5 giorni. La durata del trattamento va da 10 a 15 giorni21. Se si ha risoluzione della
sintomatologia, l’endoscopia di controllo non è necessaria, mentre,
in caso contrario, l’indagine permetterà di identificare una candidosi resistente alla terapia o una lesione associata. Da un punto di vista
terapeutico, in caso di resistenza si possono aumentare le dosi di fluconazolo fino a 400 mg ed anche di più, o ricorrere alle associazioni
itraconazolo-fluconazolo o itraconazolo-ketoconazolo. Infine si può
pensare di utilizzare l’anfotericina B per via endovenosa, che però
presenta scarsa tolleranza generale e tossicità renale.
In genere, la profilassi delle infezioni micotiche è differente a seconda
dei programmi dei diversi centri per i trapianti. Vengono utilizzati:
nistatina, anfotericina B, fluconazolo. Si raccomanda di monitorizzare i livelli plasmatici della ciclosporina in pazienti in trattamento con
fluconazolo per l’interazione tra i due farmaci. Nei trapiantati di fegato si consiglia la profilassi con fluconazolo solo nei pazienti ad alto
rischio (precedenti infezione da cytomegalovirus, politrasfusi, pazienti
trapiantati per la seconda volta), ma la durata ottimale della profilassi non è ancora standardizzata22.
Infezioni virali
Sono comuni in tutti i soggetti trapiantati. L’infezione da CMV è la più
frequente, ma anche altri virus come HSV ed Epstein-Barr virus
(EBV) possono causare gravi complicanze esofago-gastriche22.
Infezioni da Herpes virus
Si tratta essenzialmente di esofagite la cui prevalenza è minore rispetto
al CMV. Durante la fase precoce post-trapianto, l’infezione da HSV
può essere difficilmente differenziabile da una mucosite indotta da
chemioterapia. Spesso si manifesta entro le prime sei settimane dal
trapianto per riattivazione del virus latente.
L’aspetto endoscopico più frequente è rappresentato da zone ulcerate
superficiali, più o meno confluenti ed estese, che predominano nel
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terzo distale dell’esofago. Sono state anche osservate ulcerazioni più
profonde o con un tipico aspetto vescicolare. Le biopsie sono indispensabili per la diagnosi, essendo le particelle virali situate più superficialmente rispetto al CMV, nelle cellule epiteliali. L’aspetto istologico è quello di inclusioni intranucleari specifiche, associate ad un
rigonfiamento cellulare con plurinucleazioni. L’immunomarcatura
deve essere realizzata sistematicamente così come le colture virali, il
cui interesse è qui reale per la rarità della viremia circolante. È efficace l’acyclovir, per via endovenosa, alla posologia di 15-30 mg/kg/die.
Infezioni da Cytomegalovirus
Sono soprattutto esofagiti. Al contrario dell’HSV, il CMV può causare
sintomi sistemici come febbre e calo ponderale. Essendo un virus
immunomodulante, facilita l’infezione di altri patogeni come l’Aspergillus23. Il CMV sembrerebbe facilitare l’insorgenza di infezioni
batteriche, micotiche e virali, attraverso un effetto immunosoppressivo diretto24. Le lesioni possono insorgere a causa di una riattivazione del virus latente o di un’infezione primaria. La riattivazione del
CMV si verifica da 1 a 4 mesi dopo trapianto di organo. La terapia
immunosoppressiva anti-rigetto può prolungare questo periodo di
elevata suscettibilità all’infezione, solo la rapamicina è associata ad
un bassa incidenza di infezioni da CMV24. I sintomi spesso dolorosi
sono rappresentati, in ordine di frequenza, da odinofagia, dolori retrosternali, disfagia.
L’endoscopia è indispensabile per la diagnosi25. Molto spesso le lesioni,
infatti, sono situate nella metà inferiore dell’esofago. L’aspetto più
tipico è quello delle ulcerazioni escavate a margini irregolari, a volte
coperte da fibrina, raramente emorragiche. È possibile osservare anche solo un eritema della mucosa, o un eritema con erosioni. È stata
osservata qualche forma pseudotumorale. Bisogna effettuare biopsie
profonde, sul fondo del cratere e sui margini (le particelle virali
sono localizzate nel corion) per evidenziare le caratteristiche inclusioni intranucleari nelle cellule connettivali. Se le inclusioni non
sono visibili si dovrebbe sistematicamente eseguire uno studio immunoistochimico associato a metodiche standard per rilevare le particelle virali.
La terapia si basa su due virostatici di efficacia paragonabile che non
sono in grado di evitare le recidive. Si tratta del ganciclovir alla posologia di 5 mg/kg due volte al dì per infusione endovenosa o del foscarnet alla posologia di 90-100 mg/kg due volte al dì, per infusione
endovenosa. Sono farmaci da utilizzare in ambienti specializzati per
l’elevata tossicità ematologica del primo e renale del secondo. La
durata del trattamento è in genere di due settimane. In caso di risoluzione dei sintomi non è necessario il controllo endoscopico.
Molti studi hanno dimostrato l’efficacia della terapia profilattica in pazienti sottoposti a trapianto di organi, il farmaco di scelta è il gangiclovir. In un recente studio valacyclovir è stato utilizzato per la pre-
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venzione delle infezioni da CMV ed HSV in soggetti trapiantati, questi risultati devono essere confermati da altri trial. A livello gastrico il
CMV si riscontra più raramente e si manifesta con epigastralgie24,26.
La diagnosi si basa sull’endoscopia che mostra l’aspetto tipico della gastrite ulcerosa, di ulcerazioni a stampo, uniche o numerose, o con
l’aspetto meno tipico di gastrite eritematosa. Le inclusioni da CMV
sono presenti anche nei prelievi bioptici di mucosa sana, per cui a
volte il clinico si trova di fronte al problema, non indifferente tenendo conto della tossicità dei farmaci efficaci, di decidere se trattare
soggetti asintomatici.
Altre infezioni virali
Altri virus, come quello della varicella, adenovirus, l’EBV o lo Human
Papilloma Virus sono stati chiamati in causa. Lo stesso ruolo dell’HIV
è discusso.
Helicobacter Pylori
Helicobacter pylori (H. pylori) riveste un ruolo importante nella patogenesi della gastrite antrale e dell’ulcera peptica nella popolazione generale. L’infezione da H. pylori può essere diagnosticata con metodiche
invasive, che richiedono l’endoscopia e l’effettuazione di prelievi
bioptici (esame istologico, test rapido all’ureasi, coltura, PCR) e tecniche non invasive come l’urea breath test (test sul respiro), la ricerca
degli antigeni del batterio su campioni fecali, o la ricerca di anticorpi
specifici nel sangue e nelle urine. Tra i test non invasivi, solo il test
sul respiro o la ricerca degli antigeni del batterio nelle feci, permettono di individuare l’infezione in atto ed è per questo che sono chiamati diretti. La ricerca di anticorpi specifici sia nel sangue sia nelle
urine, al contrario, rappresenta solo un indice di avvenuta esposizione all’H. pylori (ricordo immunologico) ma non di infezione in atto,
e pertanto sono definiti test indiretti. In uno studio di Ozgur et al., la
prevalenza dell’H. pylori varia dal 70% nei soggetti emodializzati al
60% in quelli sottoposti a trapianto di reni. La gastrite è stata riscontrata nel 65% dei trapiantati di rene e solo nel 19% dei pazienti emodializzati, suggerendo che altri fattori concorrono all’insorgenza di
lesioni gastriche27. In un altro studio di Teenan et al., l’endoscopia
eseguita in 33 pazienti, da due a quattro mesi dopo il trapianto di
rene, ha identificato 16 casi di duodenite, 10 di gastrite e 4 di ulcera
gastrica. L’H. pylori è stato evidenziato nel 48% dei casi di gastrite
dell’antro. In questo studio non è stata riscontrata associazione tra
infezione da H. pylori e livelli plasmatici di ciclosporina o corticosteroidi28. Nei trapiantati di cuore la prevalenza di infezione da H. pylori
non è più alta di quella della popolazione generale29. Nella maggior
parte dei casi è asintomatica. In questi pazienti l’eradicazione con la
triplice terapia che include un inibitore di pompa protonica e due antibiotici, la claritromicina e l’amoxicillina, o in alternativa a quest’ulti-
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mo, il metronidazolo, presenta un tasso di insuccesso superiore rispetto alla popolazione generale. Questi dati suggeriscono una possibile
interferenza della terapia immunosoppressiva sull’eradicazione.
Altre lesioni infettive
A livello esofageo sono molto rare. Sono stati descritti in letteratura
casi di infezione da Mycobacterium avium intracellulare, Cryptosporidium spp, Pneumocistis carinii ed Histoplasma capsulatum.
A livello gastrico è possibile una lesione da criptosporidiosi. Si manifesta con epigastralgia. L’aspetto endoscopico è quello di una gastrite,
e la diagnosi si basa sull’esame istologico dei prelievi bioptici che
identificheranno i parassiti.
Infezioni intestinali
I sintomi più frequenti sono diarrea, dolori e crampi addominali,
emorragie. Nei pazienti che assumono cronicamente immunosoppressori devono essere considerati batteri (CD, shigella, salmonella,
micobatteri), virus (HSV, varicella-zoster, CMV), parassiti (Cryptosporidium, Isospora, Cyclospora, Giardia, Strongyloides, Leishmania) e funghi (Aspergillus, Histoplasma, Cryptococcus, P. marnefii). Inoltre i pazienti immunocompromessi sviluppano diverticolite con una tasso di
mortalità più elevato rispetto alla popolazione generale per complicanze quali perforazione e peritonite.
Infezioni batteriche
Il CD selezionato da una preliminare antibiotico-terapia è ancora troppo spesso misconosciuto. L’infezione determina una patologia intestinale mediata dalla produzione di tossine. CD è responsabile di
diarrea non complicata (20%), colite da antibiotici (50-70%), colite
pseudomembranosa (90-100%). I fattori di rischio sono: età avanzata, ospedalizzazione, antibiotici, farmaci antineoplastici, suscettibilità immunologica, interventi chirurgici sull’apparato gastroenterico. Ha un decorso più grave con complicanze fatali in soggetti immunocompromessi, dove l’insorgenza di distensione addominale e
meteorismo deve far temere un megacolon tossico. La diagnosi viene effettuata ricercando le tossine A e B nelle feci. L’isolamento e la
coltura del CD sono possibili ma impegnativi.
La reale incidenza nei trapiantati non è nota. Uno studio condotto su
pazienti pediatrici trapiantati di rene e pancreas ha riportato un’incidenza variabile dal 3 al 16%30, mentre studi condotti su trapiantati
di rene hanno evidenziato un aumento del rischio di infezione in
pazienti con ipoalbuminemia6.
Il metronidazolo (250 mg quattro volte al dì o 500 mg tre volte al dì) e
la vancomicina (125 mg quattro volte al giorno) per via orale sono
efficaci. La durata del trattamento è di dieci giorni31.
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Il megacolon tossico richiede un’attenta valutazione medica e chirurgica. La decompressione endoscopica o chirurgica a volte è sufficiente, ma può rendersi necessario il ricorso alla colectomia.
Le salmonellosi minori, le shigellosi ed i campylobacter sono 5-20 volte
più frequenti rispetto alla popolazione generale. Si presentano con
diarrea e dolore addominale, associati a febbre con batteriemia.
Hanno la caratteristica di recidivare. La diagnosi si esegue su coprocolture ed emocolture. La terapia si basa su chinolonici e cefalosporine di terza generazione per salmonelle e shigelle, sui macrolidi e
chinoloni per il campylobacter.
I micobatteri atipici (Mycobacterium avium intracellulare) si manifestano
in uno stato di grave immunodepressione. I sintomi sono: febbre,
calo ponderale, malassorbimento e diarrea. Il coinvolgimento intestinale è comune con interessamento prevalente del tenue ma anche
del colon. Una parte dei soggetti infettati sviluppa un quadro clinico-patologico simile al morbo di Whipple con malassorbimento ed
infiltrazione della sottomucosa e lamina propria da parte di macrofagi infarciti dal patogeno. La diagnosi definitiva è bioptica, utili
sono anche emocolture e coprocolture. La terapia combinata claritromicina (500 mg due volte al giorno) ed etambutolo (15
mg/kg/die) è raccomandata. La profilassi con claritromicina o rifabutina (300 mg/die) sembra essere efficace.
Infezioni virali
Il CMV si localizza abitualmente nel colon, sia in modo segmentario
che diffuso. Sono state descritte anche lesioni ileali che determinano una enterocolite necrosante molto grave. La diarrea è associata a
dolore addominale mentre sintomi sistemici come la febbre sono
rari. Emorragie gastrointestinali, perforazioni, megacolon tossico
sono possibili in pazienti con preesistenti patologie gastroenterologiche. Il virus può proliferare nelle cellule endoteliali vascolari provocando vasculite, fenomeni trombotici ed ulcerazioni locali. Quando
il danno è molto esteso può verificarsi un colite ischemica, la quale
può essere una precoce complicanza nei primi quattro mesi dal trapianto di rene32. I segmenti più frequentemente coinvolti sono ileo
terminale, cieco, colon ascendente fino alla flessura epatica33. La colite da CMV si presenta nei trapiantati con ulcerazioni isolate, ampie, a stampo, prevalenti nel colon destro ed il quadro clinico spesso
è caratterizzato da manifestazioni emorragiche. L’infezione da CMV
si manifesta generalmente nei primi sei mesi dal trapianto34.
Sono riportati in letteratura due casi di pseudo-ostruzione del colon
con infezione da CMV (Sindrome di Ogilvie) in pazienti trapiantati
di fegato. La pseudo-ostruzione che era stata ritenuta inizialmente
una complicanza del trapianto si è risolta rapidamente con ganciclovir e.v.35.
La diagnosi di infezione si basa sulla colonscopia con prelievi bioptici
profondi che evidenziano le tipiche inclusioni nucleari25. Come per le
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esofagiti da CMV due farmaci virostatici (ganciclovir e foscarnet) per
via endovenosa sono efficaci, ma non proteggono dalle ricadute36.
Le infezioni da adenovirus sono solitamente autolimitantesi. Come il
CMV provocano diarrea a volte sanguinolenta e lesioni ulcerative a
livello della mucosa colica. Sono stati identificati come agenti patogeni di enteriti soprattutto nei pazienti trapiantati9. La diagnosi è
difficile, necessitando infatti di colture virali. Non esiste un trattamento codificato, sono stati utilizzati ribavirina, ganciclovir, cidofovir ed immunoglobuline.
Il ruolo del rotavirus, responsabile solitamente di gastroenteriti in età
pediatrica, è mal conosciuto. Provoca febbre, nausea, vomito, diarrea acquosa. Sono riportate epidemie nosocomiali in pazienti oncologici e sottoposti a trapianto di organi solidi37. Come l’adenovirus
per l’identificazione sono necessarie colture virali e non esiste una
terapia efficace.
Calicivirus possono provocare una diarrea prolungata che si risolve riducendo il dosaggio dei farmaci immunosoppressivi38.
HSV è una causa rara di colite in soggetti trapiantati. La colonscopia
può rilevare eritema, fragilità della mucosa, ulcere aftose e lesioni ulcerative necrotiche. La diagnosi definita si basa sull’isolamento del virus dopo coltura dei campioni bioptici. Risulta efficace l’acyclovir39.
Infezioni da parassiti
La Strongiloidiasi sembra essere l’infezione da parassiti più importante
nei soggetti trapiantati. Sintomi comuni sono diarrea sanguinolenta,
dolore e distensione addominale spesso associati a febbre. La diagnosi si effettua ricercando nelle feci le uova ed il parassita ed è
eventualmente confermata dalla biopsia intestinale. L’ivermectin
(200 mg/kg per os per due giorni) è molto efficace e ben tollerato,
con in alternativa albendazolo (400 mg per os per tre giorni). Lo
Strongyloides stercoralis deve essere ricercato e trattato in tutti i pazienti con probabile esposizione all’infezione prima del trapianto6.
La Leishmania si localizza nei macrofagi ed il controllo dell’infezione
dipende dalla competenza del sistema immunitario cellulo-mediato.
Nelle aree geografiche dove questo parassita è endemico, infezioni
intestinali sono state descritte in pazienti trapiantati. La diagnosi si
effettua sulle biopsie36.
I farmaci di prima scelta sono gli antimoniali pentavalenti (Sodio Stiboglucomato e Meglumina stibiato). Non sono riferite differenze tra i
due farmaci per quanto riguarda l’efficacia e la tossicità.
I protozoi del genere Cryptosporidium si ritrovano essenzialmente nell’intestino tenue, ma tutto il tubo digerente può esserne interessato.
È una causa frequente di diarrea cronica o ricorrente in pazienti immunodepressi40. Contemporaneamente alla localizzazione intestinale, questi protozoi possono infettare le vie biliari, determinando colecistiti alitiasiche o colangiti. La diagnosi si basa sulla dimostrazione
nelle feci delle oocisti del parassita (questa ricerca deve essere ri-
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chiesta specificamente perché necessita di tecniche speciali). Il parassita può essere evidenziato anche nelle biopsie duodenali distali o
del colon. Solo la paromicina alla posologia di 2 gr/die ha dato prova di efficacia reale ma incompleta. Recenti risultati incoraggianti si
sono ottenuti con un nuovo antiparassitario, il nitazoxanide.
Il genere Microsporidium è di recente individuazione ed è un parassita
intracellulare obbligato. Potrebbe essere responsabile del 30% delle
diarree nell’AIDS, anche se il parassita può essere localizzato nell’intestino tenue senza provocare sintomi36. Gumbo et al. hanno descritto quattro casi di microsporidiasi in trapiantati con diarrea cronica,
astenia e calo ponderale senza altra causa. Gli autori speculano che
questa infezione è sottostimata, in quanto le piccole dimensioni di
questo parassita intracitoplasmatico rendono difficile la diagnosi di
routine40. Come il Cryptosporidium, questo protozoo colpisce soggetti
molto immunodepressi e può essere responsabile di patologie biliari. Le opzioni terapeutiche sono limitate: dopo iniziali promettenti
studi, è stata dimostrata definitivamente l’inefficacia del metronidazolo. Solo l’infezione da Encephalitozoon intestinalis, che è la specie
più rara, risponde all’albendazolo41.
Isospora belli è relativamente rara nei paesi temperati, ma è molto frequente in quelli tropicali. La sua ricerca (oocisti nelle feci o biopsia
intestinale) deve essere effettuata sistematicamente nei soggetti a rischio perché risponde al trattamento con trimethoprim-sulfametossazolo (Bactrim forte, 3-4 compresse al dì per due/quattro settimane). La frequenza delle recidive può giustificare un trattamento a
lungo termine (1-2 compresse al dì)6. Altri parassiti più comuni,
come amebe o Giardia-Lamblia, possono essere la causa di diarree
acute o croniche in questi pazienti. L’infezione da Giardia-Lamblia
non ha particolarità cliniche, si manifesta infatti con meteorismo e
diarrea. La diagnosi si basa sulla ricerca nelle feci del parassita, a volte è necessaria la biopsia intestinale. Il metronidazolo è il trattamento di scelta.
Per i parassiti con ruolo patogeno controverso (Blastocystis hominis, Entamoeba hartmanni) si può provare un trattamento con metronidazolo
che in alcuni casi determina miglioramento della sintomatologia.
Infezioni micotiche
Sono molto rare. Sono stati osservati casi di histoplasmosi e criptococcosi
in aree endemiche. La presentazione clinica è subdola: si manifestano
infatti con febbre, calo ponderale, rettorragie. La diagnosi è bioptica.
Nel caso dell’histoplasma è utile la ricerca dell’antigene nelle urine.
L’infezione da aspergillo è la conseguenza di neutropenia prolungata
ed è spesso associata a patologie virali come CMV che contribuiscono a diminuire ulteriormente i meccanismi di difesa dell’ospite.
Il ruolo patogenetico della candida nelle diarree è discutibile; la presenza fecale dei lieviti non indica sicuramente una infezione per il
carattere saprofita di questo germe42.
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Complicanze
gastroenterologiche
dopo trapianto
di organo solido
l
Altre complicanze gastrointestinali
G. Brusco et al.
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Diarrea
È una delle più frequenti complicanze post-Tx e può comportare discontinuità nella terapia immunosoppressiva. In aggiunta a cause
batteriche, virali e parassitarie, l’insorgenza può essere determinata
anche dai farmaci impiegati nel periodo post-trapianto (tabella II).
Altiparmak et al. riportano una incidenza di episodi diarroici del 12,6%,
con il 41,5% dei casi relativi ad episodi infettivi ed il 34% secondaria
ai farmaci. Il periodo medio di insorgenza della diarrea è risultato di
circa 10 mesi dopo Tx (2-12 anni). Inoltre, mentre il 12% degli episodi si è presentato nel primo mese, il 22% è stato diagnosticato da 1-6
mesi post-Tx ed il 66% nel periodo tardivo (dopo i sei mesi)43.
Batteri
Virus
Parassiti
Clostridium difficile
Calicivirus
Strongyloides stercoralis
Salmonella species
Herpes simplex
Cryptosporidium parvum
Campylobacter jejuni
Rotavirus
Isospora belli
Listeria monocytogenes
CMV
Cyclospora
Altri patogeni enterici
Adenovirus
Giardia lamblia
Il CD è responsabile di circa il 50% degli episodi diarroici associati a
trattamento antibiotico. La modalità di presentazione varia da quadri asintomatici, ad enterocolite febbrile, a megacolon tossico. È comune nei pazienti con trapianto e spesso si presenta in forma semiepidemica o endemica, con trasmissione da persona a persona e con
spore che persistono sulle superficie degli ambienti.
Un’altra causa infettiva di diarrea post-trapianto è rappresentata dalla
infezione da salmonella, la quale si presenta con una sindrome clinica caratterizzata da diarrea febbrile, con o senza leucociti polimorfonucleati nelle feci. La batteriemia è frequente nei pazienti trapiantati con gastroenterite da salmonella: all’incirca il 20-30% rispetto al 34% dei soggetti non trapiantati6. Infine, anche il C. jejuni è una delle
cause più comuni di diarrea e si presenta sotto forma di gastroenterite. L’epidemiologia è simile a quella della salmonella e la sindrome clinica è caratterizzata da diarrea febbrile con nausea e vomito, e
circa il 70-85% dei pazienti presentano leucociti e sangue nelle feci.
Il CMV è causa di una sindrome febbrile con diarrea, la quale può associarsi a sanguinamento, a possibile perforazione, a colite ischemica
e/o megacolon tossico6,44. In uno studio di valutazione delle complicanze gastrointestinali in 580 pazienti con trapianto di rene, sono
stati rilevati sei casi di colite da CMV, con decesso in due pazienti11.
In aggiunta alle cause infettive, la diarrea può essere causata anche da
alcuni farmaci immunosoppressivi, i quali sono in grado di alterare
il tempo di transito o di interferire con il complesso sistema della
flora intestinale.
169
Tabella II. Infezioni che causano
malattie gastrointestinali nei
pazienti con trapianto.
Complicanze
gastroenterologiche
dopo trapianto
di organo solido
Tre studi coinvolgenti 1500 pazienti con trapianto renale hanno evidenziato che il tacrolimus produce sull’apparato gastroenterico più
effetti della ciclosporina A, con una incidenza della diarrea di 2,2 e
1,5 volte rispettivamente45-47. La diarrea può causare un aumento dei
livelli di tacrolimus, nonostante l’assunzione di una dose costante: è
quindi necessario ridurre la dose di FK506 del 30%, per ottenere i livelli pre-diarrea48.
La comparsa di diarrea in pazienti in trattamento con Micofenolato
Mofetil (MMF) è stata riscontrata da 1,3 a 1,9 volte rispetto al gruppo trattato con azatioprina49. MMF potrebbe causare una inibizione
della divisione cellulare a livello delle cripte del colon associato alla
perdita della normale struttura dei villi duodenali50. Benché non
specifiche, nella tabella III sono riportate alcune differenze cliniche
e di laboratorio tra anomalie gastrointestinali indotte da infezioni o
da immunosoppressione.
Caratteristiche
Infezione
Immunosoppressione
Febbre
≥ 50%
No
Cellule infiammatorie nelle feci
25-40%
No
Anomalie endoscopiche
≥ 50%
No
Leucocitosi
50%
No
Perforazioni gastrointestinali
La sede maggiormente colpita è il colon51,52. L’eziologia è multifattoriale e sono stati chiamati in causa anche l’associazione tra la patologia
diverticolare e l’alterazione della parete intestinale in corso di terapia immunosoppressiva, i FANS e gli steroidi53. Sono stati descritti
due tipi di perforazione intestinale, una che avviene nelle fasi iniziali dopo trapianto da attribuirsi probabilmente alla diverticolite o alla
colite da CMV, l’altro tipo, che occorre a distanza di anni dal trapianto, da attribuirsi probabilmente alla diverticolite o patologia maligna tipo linfoma misconosciuto51.
Colecistite acuta. Riguarda soprattutto un elevato rischio di complicanze
da calcolosi biliare e la colecistectomia è il più delle volte effettuata
con urgenza nel periodo post-Tx, con un aumento del tasso di mortalità. Dopo trapianto di cuore, è riportata una incidenza di malattia
pancreatico biliare 17,4 volte rispetto alla popolazione non-Tx54. In
uno studio riguardante 178 pazienti con Tx cuore, polmone o cuorepolmone, l’incidenza di patologia biliare è risultata uguale al 37%,
per la presenza di sabbia biliare, ispessimento delle parti della colecisti, idrope, colelitiasi. Coloro che sono stati sottoposti ad intervento
chirurgico per complicanza acuta hanno presentato un tasso di mortalità del 29%55. Infine l’incidenza di colelitiasi è risultata superiore
nei pazienti con Tx rene in trattamento con ciclosporina rispetto a
quelli trattati con azatioprina56. L’eziologia dell’alta incidenza della
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Tabella III. Differenze tra complicanze gastrointestinali indotte da infezioni o dalla immunosoppressione.
Complicanze
gastroenterologiche
dopo trapianto
di organo solido
patologia biliare nei pazienti trapiantati non è ancora del tutto nota;
la terapia immunosoppressiva con ciclosporina sembra che aumenti
la colestasi e riduca la secrezione biliare in modelli animali57.
Pancreatite acuta. È una complicanza rara in questi pazienti associata ad
un alta mortalità che varia tra il 64% ed il 100%58-61. La genesi è multifattoriale. L’infezione da CMV, l’ipercalcemia, coledocolitiasi e
l’immunosoppressione sono tra i fattori chiamati in causa, ed in particolare l’impiego di azatioprina62.
Malattia diverticolare del colon. La diverticolite complicata da perforazioni intestinali, ascessi, flemmone o fistole è stata riportata in circa
1,1% dei pazienti sottoposti a trapianto di rene63. È stato anche segnalato un aumento di incidenza della malattia diverticolare e di
perforazione intestinale, senza una chiara spiegazione, in pazienti
sottoposti a trapianto di rene con malattia policistica renale63,65.
Patologia ulcerosa. La sua causa è multifattoriale e comprende sia l’effetto dello stress da intervento chirurgico, sia l’uso di FANS, steroidi, e
l’alterazione della barriera citoprotettiva secondaria a terapia immunosoppressiva in corso, es. azatioprina e micofenolato, i quali rallentano il turn-over cellulare intestinale. La maggioranza delle ulcere in
questi pazienti hanno un decorso asintomatico; in uno studio di Steger, solo il 39% (7 su 18) dei pazienti con ulcere peptiche dimostrate endoscopicamente presentavano sintomi66. È ancora controverso
il ruolo degli steroidi sulla genesi dell’ulcera peptica. Una metanalisi
su pazienti in trattamento steroideo condotta da Conn e Poynard67
ha evidenziato che l’ulcera peptica è una rara complicanza della terapia corticosteroidea.
Poliposi. Amaro et al. nel 2002 hanno condotto uno studio retrospettivo sullo sviluppo di polipi gastrici (iperplastici e multipli) dopo trapianto d’organo solido68. La causa dello sviluppo di questi polipi
non è nota e si ipotizza che la terapia immunosoppressiva alteri la
reazione della mucosa gastrica agli agenti esterni. La sede preferenziale sembra che sia l’antro gastrico (9 su 10 pazienti). È stata anche
valutata l’incidenza dei polipi colon-rettali nei pazienti con Tx. Rodriguez-Larrain et al. hanno riscontrato che dopo Tx cardiaco non
si osserva un aumento significativo di polipi adenomatosi, ma questa incidenza diminuisce con l’aumentare del periodo di tempo dalla effettuazione del Tx. Essi spiegano questo dato con il fatto che
più dell’80% dei loro pazienti era in trattamento cronico con aspirina. È infatti risaputo che gli anti-infiammatori non steroidei sono in
grado di ridurre l’incidenza di polipi adenomatosi non solo nella
sindrome da poliposi familiare ma anche nella popolazione generale69. Al contrario, Atassi riporta una incidenza del 28% di polipi adenomatosi del colon dopo Tx fegato in rapporto alla popolazione generale (p < 0,049)70.
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Complicanze
gastroenterologiche
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di organo solido
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Neoplasie
Uno studio condotto su 62.088 trapianti di rene e 10.988 trapianti di
cuore effettuati prima del 1994 non ha rilevato differenze nella incidenza di neoplasia gastrica rispetto alla popolazione normale, mentre l’incidenza del tumore rettale è risultata significativamente ridotta (15 casi contro i 41,5 attesi). L’effetto è risultato più evidente nei
maschi che nelle donne e maggiore nei pazienti con Tx cuore rispetto a quelli con Tx rene71. Chen et al. hanno riscontrato, in una casistica di 2000 Tx rene, una incidenza dell’adenocarcinoma gastrico
in 14 soggetti (0,7%), con un tempo medio di insorgenza di 60 mesi
post-Tx. Quattro di questi pazienti erano portatori di un “early gastric cancer” e dieci di un tumore in stadio avanzato72 .
L’identificazione precoce di una neoplasia gastrica comporta un aumento della sopravvivenza. Buell et al. hanno riscontrato una diagnosi casuale di neoplasia gastrica nel 35% dei pazienti trapiantati
ed in valutazione per disturbi gastro-intestinali. Nel 53% la neoplasia
è stata evidenziata mediante endoscopia e nel 12% mediante TAC,
effettuata per altri motivi. La sopravvivenza a 5 anni è risultata significativamente più elevata nel gruppo con diagnosi fortuita di neoplasia gastrica che nel gruppo sintomatico (40% vs 10%: p < 0,001). I
dati suggeriscono la necessità di uno stretto monitoraggio nei pazienti con anamnesi di fumo, polipi gastrici, pregressa chirurgia gastrica, e pazienti trapiantati con infezione da H. pylori73.
Dati provenienti dal Penn International Transplant Tumor Registry
(IPITTR) hanno evidenziato che in 150 pazienti trapiantati con un
organo solido la diagnosi di neoplasia del colon o del retto avveniva
ad una età significativamente più precoce per i portatori di Tx fegato (53,6 ± 2 anni) se comparati a quelli con rene (58,2 ± 0,9 anni) o
con cuore (60,3 ± 1,4 anni) (p < 0,005). Su 147 pazienti, 19 erano
stadio Dukes A (12,9), 57 Dukes B (38,8%), 41 Dukes C (27,9%) e
30 Dukes D (20,4%). Gli stadi Dukes A e B hanno evidenziato un tasso di sopravvivenza a 5 anni del 68% e 76% rispettivamente, a differenza degli stati Dukes C e D che hanno risultati peggiori a 5 anni
(20% e 0%) (p < 0,001). Se si comparano questi dati con quelli del
database del National Cancer Institute Surveillance Epidemiology
and End Results (NCI SEER) si osserva che i soggetti con Tx hanno
una età più giovane al momento della diagnosi di neoplasia colonretto, rispetto alla popolazione generale (57,7 ± 0,8 vs 70,1 ± 0,2
anni; p < 0,001)74,75. Danpanich e Kasiske hanno riscontrato una incidenza del 12,6% di neoplasie colon-rettali in pazienti con trapianto di rene. Essi hanno identificato i seguenti fattori di rischio: età al
Tx, splenectomia pre-Tx, una anamnesi positiva per neoplasia preTx ed il fumo di sigaretta76. Inoltre, Vera et al. hanno evidenziato un
significativo aumento delle neoplasie del colon-retto dopo Tx fegato
in soggetti con colangite sclerosante primaria e colite ulcerosa. Con
analisi multivariata sono stati evidenziati tre significativi fattori di rischio per lo sviluppo di neoplasia del colon-retto: displasia del colon
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Complicanze
gastroenterologiche
dopo trapianto
di organo solido
dopo Tx (p < 0,00003), durata della colite per un periodo superiore
ai 10 anni (p < 0,002) e la pancolite (p < 0,0004). In questi pazienti
si raccomanda un follow-up con colonscopia77.
Le malattie linfoproliferative post-Tx (PTLD) possono coinvolgere anche il tratto gastrointestinale. Nalesnik riporta una incidenza del
16%, con lesioni multiple e prevalentemente localizzate nel tratto
distale del piccolo intestino78. Nash et al. riferiscono che circa il 10%
di pazienti con PTLD dopo Tx rene sviluppa sintomatologia gastroenterologica con malattia in atto localizzata a livello gastrico, del
piccolo e grosso intestino79. La stessa sintomatologia clinica di esordio può essere varia: dolore addominale, vomito, ematemesi, anemia, addome acuto con perforazione o occlusione. Il quadro endoscopico è, di solito, caratterizzato da una lesione ulcerativa eritematosa a margini sollevati, prevalentemente localizzata nello stomaco o
nel colon80.
Nei soggetti sottoposti a trapianto sono descritti anche linfomi MALT,
Shehab riporta una incidenza dello 0,2%, superiore a quella riscontrata nella popolazione senza Tx81. Hsi et al. hanno valutato il tempo
medio di insorgenza ad 84 mesi dal Tx, con prevalenza di positività
HP, immunofenotipo di tipo B e negatività della ibridizzazione in
situ per EBV82.
Altre complicanze
È stato descritto un caso di intussuscezione asintomatica dell’intestino
tenue associato a PTLD in un bambino di due anni sottoposto a trapianto di fegato, risolto completamente dopo il trattamento della
PTLD con rituximab83. Nel 2003 Liu et al. hanno descritto un caso
di sanguinamento da diverticolo di Meckel trapiantato nel corso di
trapianto multiorgano comprendente l’intestino in un paziente portatore di neoplasia neuroendocrina non operabile a causa di sanguinamento varicoso ricorrente. Il paziente è stato sottoposto con successo a resezione chirurgica del diverticolo di Meckel trapiantato associato a resezione di 40 cm di ileo84.
Infine, sono stati descritti casi di colite idiopatica dopo trapianto di cuore
in tre pazienti in età pediatrica; i pazienti presentavano vomito, diarrea e dolore addominale ed alterazioni infiammatorie a livello istologico su biopsie intestinali in assenza di lesioni macroscopiche85.
l
Farmaci immunosoppressori
e complicanze gastroenterologiche
Mycophenolate mofetil (MMF). Uno dei suoi importanti effetti collaterali
è la diarrea, che costituisce la causa maggiore per la sospensione
della terapia con MMF. Il meccanismo della diarrea non è del tutto
noto. Essa viene attribuita: a) in parte all’effetto immunosoppressivo
del farmaco stesso, con aumento del rischio di infezioni opportunistiche del tratto gastroenterico; b) in parte all’effetto tossico diretto
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gastroenterologiche
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di organo solido
a livello degli enterociti che costituiscono un epitelio ad alta attività
proliferativa. La lesione riscontrata più di frequente è la enterocolite
erosiva86,87. La diarrea regredisce rapidamente dopo la sospensione
del MMF88. Dolori addominali, nausea e vomito possono comparire
di frequente in corso di terapia e sono di solito self-limiting nell’arco
di alcuni giorni e necessitano solo terapia sintomatica89. Hardinger
et al. riportano una incidenza di complicanze gastroenterologiche
pari al 27,3% con sospensione del farmaco nel 17,7% dei pazienti90.
Un’alternativa sono le formulazioni enteric-coated91, in particolare
in quei pazienti con sintomi gastrointestinali in cui è raccomandabile sospendere gli inibitori di calcineurina. Studi clinici non hanno
evidenziato una differenza significativa tra le due formulazioni per
quanto riguarda gli effetti sul tratto gastroenterico92,93.
Sirolimus. È noto l’effetto del sirolimus nel provocare ulcere orali94,95. In
un recente lavoro sono riportati tre casi di emorragia da ulcera gastroduodenale in pazienti in terapia con sirolimus96. Le cause dell’ulcera in questi pazienti sono multifattoriali e il sirolimus sicuramente
ha avuto un ruolo importante nel rallentare i processi di guarigione
tissutale nonostante la terapia antisecretiva in corso. È stato anche riportato di recente in letteratura un caso di dolore addominale causato da gastroduodenite da vasculite leucocitoclasica in una paziente
con trapianto di rene in terapia con sirolimus. Sia la sintomatologia
riferita dal paziente, sia la lesione istologica a livello antrale sono regredite dopo la sospensione del sirolimus97.
Tacrolimus. Eosinofilia periferica e gastroenterite eosinofila sono state
descritte in pazienti in età pediatrica dopo trapianto di fegato. Sono
stati chiamati in causa per questa condizione l’età al momento del
trapianto, la carica virale dell’EBV e un regime immunosoppressivo
basato sul tacrolimus98. È stato dimostrato che il tacrolimus altera la
permeabilità gastrointestinale in uno stadio iniziale dopo trapianto
di fegato ma la sua somministrazione prolungata induce solo una irrilevante disfunzione nell’assorbimento dei monosaccaridi e non influisce sulla permeabilità gastrointestinale99. La pneumatosi intestinale è una complicanza rara della terapia immunosoppressiva in età
pediatrica dopo trapianti d’organo. Fattori di rischio per il suo sviluppo sono l’età giovane, la razza nera, l’alta dose di steroidi ed un
elevato livello di tacrolimus nel sangue100.
Azatioprina. I suoi effetti collaterali sull’apparato gastroenterico sono
l’epatotossicità, nausea e vomito, pancreatite acuta101-103. Gli effetti
collaterali sul tratto gastroenterico associati all’impiego dell’azatioprina generalmente rispondono alla riduzione del dosaggio o alla
sospensione della terapia stessa104.
Ciclosporina. Gli effetti collaterali più comuni a livello del tratto gastroenterico sono l’epatotossicità ed in particolare colestasi ed iper-
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Complicanze
gastroenterologiche
dopo trapianto
di organo solido
bilirubinemia, lieve aumento delle transaminasi, inibizione della sintesi dei sali biliari con seguente aumento della concentrazione plasmatica del colesterolo e trigliceridi in pazienti in età pediatrica sottoposti a trapianto di fegato105. Nausea, vomito e dispepsia in assenza
di patologia endoscopicamente rilevabile sono stati riscontrati in
una paziente dopo trapianto di polmoni in terapia con ciclosporina,
probabilmente correlati alla variabilità del dosaggio di ciclosporinemia. Questi effetti sono regrediti dopo la conversione dalla ciclosporina al tacrolimus106.
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