sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra

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La “porta della fede” (cfr At 14,27)
che introduce alla vita di comunione
con Dio e permette l’ingresso nella
sua Chiesa è sempre aperta per noi....
Esso inizia con il Battesimo (cfr Rm 6,
4), mediante il quale possiamo
chiamare Dio con il nome di Padre…
(Benedetto XVI)
Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra
”Accada sempre ciò che il mio Dio vuole, la sua volontà è la cosa
migliore. Pronto ad aiutare chi in lui crede. Aiuta nel bisogno, il Dio
fedele, consola il mondo senza limiti. Dio non abbandona chi in lui
confida, chi conta su di lui”.
Nel Vangelo secondo Luca manca questa invocazione del Padre nostro perché Luca ne
vede realizzato il significato già nell'invocazione «Venga il tuo regno». Che venga il regno di Dio
significa che in noi deve regnare Dio e non il mondo.
Nel Vangelo secondo Matteo, invece, le due invocazioni della santificazione del nome e
della venuta del regno sono, per così dire, trasportate sulla terra e legate ad essa nella terza
invocazione. Il regno si deve manifestare qui sulla terra, la volontà di Dio deve essere fatta in noi
affinché anche questa terra sia governata e determinata da Dio.
Ciò che occorre innanzitutto cogliere è che questa è stata un'invocazione di Gesù stesso,
testimoniataci dai vangeli nell'ora della sua passione al Getsemani Nell'ora dell'agonia e
dell'angoscia per la morte imminente Gesù ha rivolto al Padre questa preghiera: «Padre, se vuoi,
allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc 22,42).
Gesù avrebbe voluto continuare il suo servizio agli uomini senza dover accogliere la morte,
avrebbe voluto continuare a essere fedele alla volontà del Padre senza attraversare la passione. Il
Padre però non poteva esaudirlo, perché quella fine violenta e ingiusta veniva dagli uomini:
o Gesù accettava di essere vittima tra le vittime della storia, oppure si sarebbe messo al
posto degli empi, sconfessando così tutta la sua vita spesa nell'amore.
Ma se la morte di Gesù è stata una necessità voluta da uomini malvagi e inevitabile per chi
voleva restare fedele a Dio, ecco che si comprende la preghiera «Sia fatta la tua volontà»: Gesù
ha chiesto la forza di realizzare fino alla fine la volontà del Padre, di essere obbediente anche a
costo della morte e della morte di croce. Si tratta di un'invocazione particolarmente difficile, che
richiede di pagare un caro prezzo, ma solo così chi prega può dirsi ed essere realmente un figlio
obbediente a Dio. Anche in questa richiesta il verbo al passivo sta a indicare sia la richiesta che
Dio compia, realizzi il suo piano di salvezza, sia la preghiera che gli uomini accettino tale volontà e
la realizzino, o meglio predispongano tutto perché essa si possa realizzare.
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Sul tema della volontà del Padre il vangelo secondo Matteo ritorna più volte, a dimostrazione di quanto a Gesù premesse che tale volontà fosse non solo conosciuta dai discepoli, ma da
essi realizzata.
L'Antico Testamento testimonia al riguardo il rischio che i credenti conoscano la
volontà di Dio ma non la realizzino e non l'osservino: soprattutto i profeti hanno ammonito con
forza i credenti, mettendoli in guardia dalla schizofrenia tra il sapere, il conoscere, il dire e il non
fare!
Giacomo, erede di questa tradizione, scriverà: «Siate persone che mettono in pratica la
Parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi» (Gc 1,22). E Gesù dirà addirittura: «Non
chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre
mio che è nei cieli» (Mt 7,21). Il Regno di Dio viene e si instaura quando la volontà di Dio è
fatta sulla terra, diventa storia, vita dei credenti: i credenti sono figli del Padre ma, come i due
figli della parabola, alcuni di questi lo ascoltano eppure non fanno nulla della sua volontà, altri
appaiono ribelli e tuttavia compiono la sua volontà.
Buone intenzioni, formale obbedienza e disponibilità promessa non bastano per realizzare
la volontà di Dio. Nell'ora dell'alleanza al Sinai, significativamente, Israele aveva detto: «Tutto ciò
che il Signore ha ordinato, noi lo realizzeremo e quindi lo ascolteremo» (Es 24,7); si ascolta Dio
quando si mettono in pratica le sue parole, e solo chi compie giorno dopo giorno la volontà
del Padre è per Gesù fratello, sorella e madre, appartiene alla sua vera famiglia, ben più
decisiva e importante di quella carnale. Ecco perché Gesù dice altrove: «Solo chi ascolta le mie
parole e le realizza costruisce la sua casa sulla roccia» (cf. Mt 7,24).
Nel giorno del giudizio apparirà con chiarezza chi ha realizzato la volontà di Dio e chi
invece, pur fingendo di compierla, ha in realtà vissuto con il cuore doppio, diviso, in quell'ipocrisia
propria di chi ostenta e invece non fa, di chi scambia atteggiamenti religiosi non essenziali con ciò
che è necessario... Non si può infine dimenticare che nel quarto vangelo «fare la volontà di Dio» è
addirittura il «cibo» di Gesù, come egli rivela alla donna samaritana (cf. Gv 4,34), aprendole il cuore
e mostrandole il desiderio che lo abita, la sua vera fame: portare a compimento l'azione che il
Padre gli ha affidato (cf. Gv 6,38).
Per noi cristiani è necessario pregare questa domanda soprattutto come strumento di
lotta contro le resistenze che abbiamo nel compiere la volontà di Dio. E va detto che questa
invocazione possiamo assumerla in profondità solo dopo una lunga battaglia, in cui la nostra
volontà si ribella, non accetta ciò che ci accade nella vita e ciò che Dio ci domanda...
Quale arduo confronto tra i nostri pensieri e quelli di Dio così diversi dai nostri (cf. Is 55,8-9),
tra ciò che vorremmo e ciò che Dio ci chiede: è una vera e propria agonìa, una lotta come quella
di Gesù nel Getsemani nella quale però Dio invia anche a noi un angelo, un Consolatore, lo Spirito
Santo che ci dona la facoltà di leggere e di assumere il senso di un evento che saremmo tentati di
rifiutare. Allora l'enigma diventa mistero, il male riceve il nome di croce, la sofferenza e il sacrificio
appaiono necessari per il vero amore; allora possiamo pregare in verità: «Sia fatta la tua volontà
sulla terra, così come in cielo è compiuta dalle creature invisibili, ministri e servi di Dio; sia fatta la
tua volontà in alto e in basso, nel presente e nel futuro, e tu o Dio possa essere tutto in tutti (cf.
1Cor 15,28)».
Questa invocazione mette in difficoltà molti, perché hanno l'impressione che la volontà
di Dio sia qualcosa di arbitrario. Pensano che la volontà di Dio sia contrapposta alla loro. Né
ci si può arrendere semplicemente alla volontà di Dio; equivarrebbe a rinunciare a se stessi. Ciò che
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gli uomini associano alla volontà di Dio psicologicamente dipende sempre dal modo in cui hanno
sperimentato la volontà del proprio padre o della propria madre.
Se il padre puniva arbitrariamente i figli o se imponeva autoritariamente la sua volontà,
senza ascoltare le parole e le richieste dei figli, l'invocazione che sia fatta la volontà di Dio può
provocare timore e resistenza.
Se invece abbiamo sperimentato la volontà del padre o della madre come una forza che
sostiene e raddrizza, questa invocazione riceve una connotazione positiva. Sentiamo che è un
bene per noi che sia fatta la volontà di Dio e non la volontà arbitraria di chi vuole imprimere su
questo mondo il proprio marchio dell'ingiustizia e della durezza.
Ma questa preghiera va oltre la sfera psicologica perché mette in gioco tutta la nostra
persona, tutta la nostra vita
LA VOLONTÀ DI DIO E LA NOSTRA
È bene ascoltare attentamente che cosa si intende per volontà di Dio. Qual è il
rapporto tra la volontà di Dio e la nostra? La nostra volontà è cattiva? Deve essere davvero
annientata? Perché allora Dio ci ha dato una volontà?
Gesù stesso si appella continuamente alla volontà dell'uomo. Al paralitico presso la piscina di Betzatà domanda: «Vuoi guarire?» (Gv 5,6). La volontà è importante per guarire, per
seguire Gesù e realizzare i suoi insegnamenti nella nostra vita.
San Benedetto dice che dobbiamo obbedire a Dio e abbandonare la nostra volontà.
Che cosa intende?
Abbiamo diversi livelli di volontà. A livello superficiale diciamo: «Adesso voglio andare là»,
«Non ne ho voglia », «Adesso voglio mangiare qualcosa». Questa volontà superficiale spesso si
contrappone alla volontà di Dio. La volontà superficiale si adegua piuttosto al nostro piacere e non
si chiede che cosa Dio voglia da noi o che cosa sia davvero bene per noi.
Se però giungiamo al silenzio in fondo alla nostra anima e badiamo a ciò che ci fa bene, in
questa profondità la volontà di Dio e la nostra coincidono. Nella Prima lettera ai Tessalonicesi
Paolo dice: «Questa è volontà di Dio, la vostra santificazione» (1 Ts 4,3). La volontà di Dio è che
diveniamo sani e integri e riconosciamo ciò a cui Lui ci chiama.
Per progredire verso questa volontà del nostro io interiore e quindi verso la volontà di Dio,
spesso è necessario lottare.
Quando preghiamo che sia fatta la volontà di Dio, non dobbiamo temere che lui abbia in
programma per noi qualcosa che può nuocerci. Dio vuole che viviamo autenticamente, in armonia
con il nostro vero essere.
I primi monaci distinguevano la volontà di Dio dalla nostra in base all'effetto: la
volontà di Dio produce in noi pace, vivacità, libertà e amore. La nostra volontà superficiale,
viceversa, produce distrazione e talvolta durezza, stress e oppressione.
Se noi preghiamo che sia fatta la volontà di Dio in terra, intendiamo che la salvezza di Dio
renda sani e integri anche noi. E preghiamo di trovare l'armonia con il nostro essere più
intimo. Tuttavia avvertiamo al contempo il rischio insito in questa invocazione, perché ci siamo
fatti delle idee ben precise della vita. Speriamo, se facciamo la volontà di Dio, di conservarci
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sempre in buona salute e di non essere colpiti da nessuna disgrazia. Eppure ci ammaliamo o
perdiamo una persona cara. Questa allora è la volontà di Dio?
Non identificherei la sofferenza con la volontà di Dio. Ma se prego che sia fatta la sua
volontà, mi dichiaro pronto a chiedermi quale essa sia anche di fronte agli eventi inspiegabili della
mia vita. E sento di dovermi innanzitutto liberare delle mie idee sulla vita. La via che Dio ha scelto
per la mia esistenza può essere completamente diversa, ma in fondo corrisponde al mio vero
essere. La preghiera perché sia fatta la volontà di Dio è quindi una lotta con il Padre affinché io
non voglia più imporre le mie idee, bensì diventi riconoscibile e si realizzi in me l'immagine che Dio
si è fatto di me e del mio vero essere. Così il grande padre greco della Chiesa Origene interpretava
questa invocazione del Padre nostro: «Non appena la volontà di Dio che regna in cielo viene
compiuta anche da noi in terra, diveniamo simili agli abitanti del cielo, perché, come loro, rechiamo
in noi l'immagine di ciò che è celeste. Ed ereditiamo il regno dei cieli».
E il mistico Gregorio di Nissa vede nella volontà di Dio la condizione per vivere sani. Ci
«ammaliamo » quando ci stacchiamo dalla volontà di Dio: «La volontà di Dio è la salvezza degli
uomini. Quando decidiamo di dire a Dio: "Sia fatta la tua volontà anche in me", dobbiamo prima
rinnegare quella vita che è contraria alla volontà di Dio ».
GESÙ COMPIE LA VOLONTÀ DI DIO
Il Vangelo ci mostra l'obbedienza di Gesù alla volontà del Padre. L'invocazione che sia
fatta la volontà di Dio è quindi anche un modo per giungere alla comunione interiore con Gesù.
La Lettera agli Ebrei fa pronunciare a Gesù le parole del Salmo: «Allora ho detto: "Ecco, io
vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro - per fare, o Dio, la tua volontà"». E la stessa
Lettera descrive come Gesù abbia dovuto imparare l'obbedienza, per arrendersi alla volontà di
Dio: «Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di
salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,8-9). Anche nel Vangelo secondo
Giovanni Gesù ribadisce che lui non fa la sua volontà bensì la volontà del Padre (cfr. Gv 4,34;
5,30).
Proprio nel Vangelo secondo Matteo, Gesù non è semplicemente il maestro che ci
indica la strada, bensì il maestro che mette in pratica ciò che dice. Sul Monte degli ulivi
riprende lui stesso l'invocazione del Padre nostro che ci ha insegnato. Due volte implora il Padre
di allontanare da lui il calice e la prima volta aggiunge: «Però non come voglio io, ma come vuoi
tu!» (Mt 26,39).
La seconda volta si è già abbandonato: «Padre mio, se questo calice non può passare via
senza che io lo beva, si compia la tua volontà» (Mt 26,42). Gesù compie sulla croce la volontà di
Dio. Tuttavia la volontà divina non manda a monte i suoi piani, né lo annienta. La volontà di Dio
contrasta con la sua volontà di continuare a vivere, ma nella preghiera Gesù intuisce che per la sua
missione è giusto percorrere la sua strada fino all'amara conclusione sulla croce. È il compimento
del suo amore, mediante il quale Gesù, arrendendosi totalmente alla volontà del padre, diventa
salvezza per gli uomini.
Pregando il Padre nostro, meditiamo sulla dedizione di Gesù fino alla morte. Avvertiamo lo
spirito di Gesù e il suo amore. E preghiamo di poter cedere alla volontà di Dio così come lui ha
fatto.
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Al tempo stesso possiamo però anche pregare per la guarigione dell'umanità. Per esempio
possiamo pregare che Dio guarisca una persona malata o protegga una donna in pericolo,
confidando che la volontà di Dio è la salvezza e la guarigione dell'uomo. Ma in ogni preghiera ci
arrendiamo, da ultimo, alla volontà divina.
Ogni preghiera si dovrebbe concludere con le parole: «Sia fatta la tua volontà!». Non è
rassegnazione, bensì fiducia che la volontà di Dio sia la cosa migliore per noi e per le
persone per le quali preghiamo. Presentiamo a Dio i nostri desideri e le nostre invocazioni e al
tempo stesso ci arrendiamo alla sua volontà, fiduciosi che voglia la nostra salvezza.
LA VOLONTÀ DI DIO E LE SEI ANTITESI DEL DISCORSO DELLA MONTAGNA
L'invocazione affinché sia fatta la volontà di Dio si realizza nelle sei antitesi del Discorso
della montagna, nelle quali Gesù descrive dettagliatamente la nuova giustizia che richiede ai suoi
discepoli. La volontà di Dio deve manifestarsi anche sulla terra nel nostro nuovo comportamento.
Sei volte Matteo contrappone all'interpretazione dei comandamenti veterotestamentari da
parte dei maestri ebraici l'interpretazione che, con autorità divina, ne dà Gesù. Nel nuovo
comportamento che Gesù si aspetta dai suoi discepoli si esprime una giustizia che deve essere
molto più grande di quella dei dottori della legge e dei farisei (cfr. Mt 5,20).
Così facendo Gesù non abroga la legge dell'Antico Testamento, bensì la integra. Le parole
di Gesù sono la soglia che dobbiamo oltrepassare per comprendere il senso dei comandamenti
divini dell'Antico Testamento.
Il centro della sua nuova visione è l'amore. Della legge e dei profeti l'amore costituisce il
compimento, non l'abolizione. A Gesù non preme né un inasprimento della legge, né la sua
eliminazione, bensì il vero intento di ogni legge. Gesù ci indica il modo per non fermarci alla lettera
della legge, bensì per riconoscerne l'originario intento divino.
Un tempo alle antitesi del Discorso della montagna si dava spesso un'interpretazione
antiebraica. Era però una lettura dettata dal pregiudizio, perché molte delle antitesi di Gesù si
capiscono proprio nel contesto della discussione ebraica sulla comprensione della legge. La
radicalità di Gesù sta nel fatto di mettere, da una parte, l'amore al centro di tutti i precetti e,
dall'altra, di spiegarli in modo da coinvolgere l'intera persona umana. Gesù non proclama qui
una pura etica delle idee, bensì un'etica che esige un comportamento nuovo, che scaturisce da un
cuore che si è aperto totalmente a Dio.
Gesù parte dai pensieri e dai sentimenti. Chi si attiene a un precetto solo esteriormente,
ma nel suo cuore è pieno di rabbia e amarezza, non è giusto né toccato dall'amore di Dio. È perciò
necessario purificare prima di tutto il cuore dall'ira e dal risentimento, ma questo riesce soltanto se
l'uomo fa pace con l'avversario interiore (cfr. Mt 5,21-26).
Per spiegare le antitesi è utile interpretare le parole di Gesù non solo a livello oggettivo, ma
soggettivo. Quando Gesù ci esorta a fare la pace con il nostro avversario mentre siamo ancora
per via, intende anche che dobbiamo dialogare con l'avversario interiore e riconciliarci con lui (cfr.
Mt 5,25-26). Altrimenti può accadere che il giudice che è dentro di noi (il Super-Io) ci getti nel
«carcere» delle nostre autoaccuse, nella «prigione» delle nostre costrizioni e paure. E una
volta finiti in questa prigione interiore, non è tanto facile uscirne, come si vede in molte persone
tormentate dagli scrupoli, che girano sempre intorno alla propria colpa senza trovare una via
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d'uscita.
Esortandoci a cavarci l'occhio destro se ci dà scandalo o a tagliarci la mano destra,
Gesù non ci incita certo all'automutilazione. Questa infatti era vietata agli ebrei. E qui Gesù pensa
sicuramente da ebreo. Le sue parole vanno sempre intese metaforicamente. L'occhio destro
giudica e valuta tutto, vuole penetrare, denunciare e divulgare. La mano destra assume il controllo,
vuole «fare» tutto e crede di poter fare ciò che vuole anche dentro di noi. Questo lato conscio deve
essere ridimensionato affinché il lato sinistro, inconscio, ottenga giustizia.
L'occhio sinistro è ancora capace di sorprendersi, guarda senza giudicare e lascia che cose
e persone siano così come sono. La mano sinistra accoglie e crea rapporti. Chi vive unilateralmente solo del suo lato conscio, finisce da subito nell'«inferno» delle sue esigenze e forze
inconsce, che lo «dilaniano». Tutte le parole di Gesù sono esortazioni a vivere tese a proteggerci
da un'esistenza unilaterale o autodistruttiva.
Le parole di Gesù a proposito della ritorsione e dell'amore per i nemici sono una
sfida. Non ci consigliano la passività, bensì ci indicano un modo per sconfiggere creativamente il
male. I quattro esempi che Gesù enumera in Matteo 5,38-42 non sono comandamenti, bensì la
concretizzazione di un amore che supera il male. Chi sa di essere amato incondizionatamente da
Dio non ha bisogno di intentare un processo per ottenere i propri diritti o di reagire con la violenza
ai violenti. Si sa protetto da Dio.
Per gli ebrei, colpire la guancia non è tanto un segno di violenza, quanto di disonore.
Chi si sa onorato da Dio, non deve più preoccuparsi del proprio onore. Chi si sa protetto da Dio,
può regalare il mantello di cui forse avrebbe avuto bisogno per ripararsi dal freddo della notte. E
chi riposa nell'amore di Dio, farà amicizia con i soldati dell'esercito di occupazione romano, che
secondo le leggi del tempo potevano costringerlo a percorrere con loro un miglio, e li
accompagnerà per due. Non accetterà l'ostilità che gli viene dimostrata, ma vedrà nell'altro un
possibile amico.
In tal modo Gesù ci indica quei comportamenti che, spezzando l'eterno circolo vizioso della
violenza che risponde alla violenza, dell'odio che risponde all'odio, delle ferite a cui si risponde con
altre ferite, creano nuove possibilità di convivenza.
I padri della Chiesa hanno considerato ed esaltato l'amore per i nemici richiesto da
Gesù nella sesta antitesi come la caratteristica davvero nuova del cristiano. Pure i pagani si
sono meravigliati di questo nuovo comandamento.
All'amore verso tutti gli uomini, compresi quelli ostili o antipatici, esortano però anche autori
ebrei e greci. Marco Aurelio, per esempio, scrive: «Proprio dell'uomo è amare anche coloro che lo
percuotono». La filosofìa stoica motiva l'amore per i nemici che le viene richiesto con la libertà
interiore e l'affinità tra tutti gli uomini. Anche il buddhismo conosce l'amore per i nemici.
II comandamento cristiano dell'amore per i nemici non va usato per porsi al di sopra delle
altre religioni. Si deve invece considerare e capire il motivo specifico per cui Gesù ci dice di amare i
nostri nemici: «Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché
siate figli del Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,44-45).
Gesù indica, come forma di amore per i nemici, la preghiera per loro. Nella preghiera
presento a Dio il mio nemico, glielo affido. Dio deve operare in lui ciò che giova a lui e alla sua
anima. Chi ama il nemico, manifesta il proprio essere figlio e figlia di Dio. L'amore per i nemici è un
segno distintivo dei figli di Dio. Amando i nemici imitiamo il comportamento di Dio, che fa sorgere il
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suo sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (cfr. Mt 5,45).
Contemporaneamente, praticando l'amore per i nemici, ci avviciniamo di più a Dio.
Comportandoci diversamente con i nemici, sperimentiamo anche Dio in modo nuovo. Per
Matteo, il nuovo comportamento non è mai soltanto espressione del nuovo essere, bensì al
contempo un'esercitazione concreta nell'esperienza del nuovo essere: l'esperienza del Dio
misericordioso di cui siamo figli e figlie.
Jung ha interpretato l'esortazione di Gesù ad amare i nemici nel senso che dobbiamo
innanzitutto amare il nemico che è in noi stessi. Soltanto allora saremo capaci di amare anche il
nemico che ci minaccia dall'esterno, perché scorgeremo in chi ci vuole fare del male un fratello e
una sorella dominati, proprio come noi, da impulsi distruttivi. Scopriremo in loro il male che
abbiamo riconosciuto anche in noi stessi.
L'inimicizia nasce spesso dalle proiezioni. L'altro proietta su di me ciò che non riesce
ad accettare in se stesso. Chi si conosce e si accetta, prende atto di queste proiezioni senza
lasciarsene condizionare. Non diventa nemico di chi getta su di lui i propri lati ostili. Vede nell'altro
la persona che anela a essere in pace con se stessa e con la propria vita. L'amore per i nemici non
significa che non si debbano porre dei limiti a chi ci è ostile. All'uomo non giova sfogare senza limiti
le proprie tendenze distruttive: ha bisogno dei limiti posti dagli altri, ma al tempo stesso necessita
dell'amore che può guarire l'ostilità che è in lui.
Chi ama il nemico, partecipa della perfezione di Dio. La parola greca « teleios » non significa
soltanto perfetto, bensì indiviso, intero, integro, completo.
Dio è perfetto perché rivolge all'uomo un amore assoluto. Se l'uomo si affida alla legge di
Gesù - «la legge perfetta, la legge della libertà» (Gc 1,25) - diventa parte di Dio, che è in sé integro
e perfetto.
Anche qui dobbiamo tener conto della tensione derivante dal fatto che, da una parte,
l'esperienza del Dio perfetto rende possibile un comportamento nuovo, ma, dall'altra, il
comportamento al quale Gesù ci chiama può portare anche a una nuova esperienza di Dio.
Chi segue gli insegnamenti di Gesù si libera delle immagini che lui stesso si è fatto di Dio e
può relazionarsi con il vero Dio, sperimentandolo come il Padre celeste che lo rafforza e gli
dà il coraggio di aprire la via della riconciliazione in un mondo dilaniato dalla discordia.
Il comportamento che Gesù ci richiede non è il conformismo di chi non vuole dare
nell'occhio, bensì il comportamento maturo di un figlio e di una figlia che si sanno amati e sostenuti
dal Padre. Poiché il Padre li accompagna, possono percorrere strade nuove di amore e di pace.
La capacità di amare i nemici scaturisce dalla preghiera che Gesù ha insegnato ai suoi
discepoli. E l'amore verso i nemici è la risposta alla preghiera che i cristiani pronunciano ogni
giorno. Nel Padre nostro si aprono a Dio, affinché il suo Spirito li permei sempre più, affinché in loro
e per loro tramite la sua volontà sia fatta sempre più, così da guarire e trasformare questo mondo.
Pregando che la volontà di Dio sia fatta non solo in cielo ma anche in terra, esprimiamo il
nostro anelito a imitare sempre di più il comportamento di Gesù. Nel III secolo, Cipriano di
Cartagine scriveva: «La volontà di Dio è quella che Cristo praticava e insegnava».
Nel Padre nostro chiediamo quindi di fare ciò che faceva Gesù e di seguire i suoi insegnamenti nelle nostre azioni. Pregando avvertiamo che da soli non abbiamo la forza di amare i
nemici come Gesù e di credere nella bontà dell'uomo. Il Padre nostro ci vuole colmare sempre più
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dello spirito di Gesù, così da portare la sua luce nel mondo con il nostro comportamento.
PER LA PREGHIERA
(preghiamo in maniera particolare per tutti i giovani che la sera del
26 maggio riceveranno il Sacramento della Confermazione nella nostra
Parrocchia)
Tutta l' immensità l'unito che tutto trascende lo Spirito Santo è:
il dono che dall'abisso s'effonde e penetra tutto e di sé indivisibile e uno
tutte le cose riempie e tutte in una luce trasforma.
Nessun uomo, nessuna creatura, nulla nel cielo e sopra la terra ti adora più
nessuno ti conosca o ti ammiri, nessuno ti serva, ti ami,
illuminato dallo spirito, battezzato dal fuoco, chiunque tu sia:
laico, vergine, sacerdote, tu sei trono di Dio,
sei la dimora, sei lo strumento, sei la luce della divinità . . . .
Dal Cantico di San Sergio di Radonez, Patrono della Russia, 1314-1392
In questo modo, non auguriamo a Dio di avere successo nella realizzazione dei suoi
disegni, come se un qualche ostacolo potesse impedire alla sua volontà di compiersi, ma
chiediamo che la sua volontà sia fatta in tutti gli uomini. Se vogliamo dare una
interpretazione allegorica facendo riferimento alle immagini di carne e spirito, allora il
cielo e la terra siamo noi. Ma, anche nel suo senso più ovvio, la natura della domanda
resta la stessa, ossia che la volontà di Dio si compia in noi sulla terra, affinché possa
compiersi in noi nel cielo. Orbene, qual è la volontà di Dio, se non che seguiamo i suoi
insegnamenti? Noi dunque lo supplichiamo di comunicarci la sostanza e l'energia della
sua volontà, per essere salvati sulla terra e nei cieli, perché la sua volontà essenziale è di
salvare i figli che ha adottato. Questa volontà di Dio il Signore l'ha realizzata attraverso la
parola, l'azione e la sofferenza. In questo senso, ha detto che faceva non la sua volontà,
ma quella di suo Padre.
Non c'è dubbio che egli faceva la volontà del Padre suo; questo è l'esempio che ci
da anche oggi: pregare, lavorare, soffrire fino alla morte. Per realizzarlo, abbiamo
bisogno della volontà di Dio. Dicendo: Sia fatta la tua volontà, ci rallegriamo dal
momento che la volontà di Dio non è mai un male per noi, anche se ci tratta con rigore a
causa dei nostri peccati.
Anzi, con queste parole ci incoraggiamo a sopportare la sofferenza. Il Signore, per
mostrarci, nell'angoscia della sua Passione, che la debolezza della nostra carne si trovava
nella sua, gli dice anche: «Padre, allontana questo calice». Poi precisa: «Tuttavia, non sia
fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc 22,42). Egli stesso era la volontà e la potenza del
Padre; ma per insegnarci a pagare il debito della sofferenza, si rimette completamente alla
volontà del Padre.
Tertulliano
«La Bibbia, l’evangelo, Cristo, la chiesa, la fede, sono un grido di guerra contro la
paura. La paura: è il nemico originario. Essa si installa nel cuore dell'uomo, lo scava, sino
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a che improvvisamente egli si trova privo di resistenza, senza forza e crolla. Furtivamente
essa corrode tutti i fili che congiungono l'uomo a Dio e agli altri.
Ma l’uomo non deve avere paura! Questo è ciò che distingue l’uomo da tutte le
altre creature: nella mancanza di ogni via di scampo, nella confusione e nella colpa egli
conosce una speranza. E questa speranza si chiama: «Sia fatta la tua volontà», anzi: «La
tua volontà è fatta». «Tutto passa, solo Dio resta e non vacilla; i suoi pensieri, la sua
parola, la sua volontà hanno fondamento per l’eternità». E chiederete: come lo sai? E
allora pronunceremo il Nome di colui che è il grido di vittoria dell’umanità liberata dalla
paura: Gesù Cristo, il Crocifisso, il Vivente.
Nella vostra paura, dunque, guardate a lui, pensate a lui, ponetelo davanti ai vostri
occhi, invocatelo, pregatelo, credete che egli ora è presso di voi e vi aiuta. Allora la paura
impallidirà e indietreggerà, e voi sarete liberi nella fede in Gesù Cristo, il redentore forte
e vivente»
D. Bohnoeffer, Memoria e fedeltà
Mai è così difficile dire dal profondo del cuore: “Padre, sia fatta la tua volontà”,
come nei momenti di profondo affanno, quando si è colpiti da grave malattia e
specialmente allorché si è vittima dell’ingiustizia umana o degli attacchi e delle insidie
del demonio. È difficile dire dal profondo del cuore: “Sia fatta la tua volontà”, anche
quando noi stessi siamo responsabili di qualche disgrazia, poiché crediamo che non sia
stata la volontà di Dio, ma la nostra a ridurci in una siffatta situazione, sebbene nulla
accada se non per volontà di Dio. In genere è difficile credere nel nostro intimo che è
volontà di Dio la nostra sofferenza, quando il cuore sa, per fede e per esperienza, che Dio
è la nostra felicità, per cui è difficile anche dire nell’infelicità: “Sia fatta la tua volontà”.
Noi ci chiediamo: “È possibile che questa sia la volontà di Dio? Perché Dio ci tormenta?
Perché altri sono tranquilli e felici? Che cosa abbiamo fatto? Avrà un fine la nostra
sofferenza?”. Ma se alla nostra natura corrotta è difficile riconoscere sopra di sé la
volontà di Dio, e piegarsi ad essa umilmente, allora l’uomo si sottometta alla volontà di
Dio ed offra al Signore la sua vittima più preziosa, si affidi cioè a lui di tutto cuore non
solo nei momenti di quiete e di felicità, ma anche negli affanni e nelle disgrazie.
Sottometta la sua vana e inconsistente sapienza a quella perfetta di Dio, poiché quanto
dista il Cielo dalla terra, altrettanto distano i nostri pensieri da quelli di Dio (Isaia 55, 89). Ogni uomo offra a Dio il suo Isacco, il proprio unigenito, il proprio prediletto, il suo
promesso (a cui erano stati promessi pace e felicità, non affanni) come vittima a Dio e gli
provi la sua fede e la sua obbedienza, per essere degno dei doni di Dio già ricevuti o che
riceverà.
San Giovanni di Kronstadt
La quarta frase è la frase centrale del “Padre nostro” e il punto centrale della vita
del Signore e della nostra vita:“sia fatta la tua volontà”.
Forse, la frase “sia fatta la tua volontà” può essere paragonata all’ “Amen”
dell’invocazione e costituisce anche la conclusione e la ricapitolazione delle frasi
precedenti “sia santificato il tuo Nome”, “venga il tuo regno”, “sia fatta la tua volontà”.
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Ci riferiamo al nome di Dio, dicendo sia santificato il Suo nome, venga il Suo regno, sia
fatta la Sua volontà. Offriamo tutto a Dio e questo si conferma e si ricapitola in questa
frase: “Sia fatta la Tua volontà”. Per poter capire meglio cosa significa la frase “sia fatta
la Tua volontà”, è bene ricordare ciò che Dio disse appena scese dal Cielo: “Sono disceso
dal cielo per fare la volontà di Colui che mi ha mandato e compiere la sua opera”. Poi
dice “il mio giudizio è giusto…”; il mio giudizio è giusto “perché non cerco la mia
volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato”. Ricordate quando Cristo incontrò la
Samaritana ? Appena arrivati i discepoli dissero al Signore: “Rabbì, mangia” e lui rispose
“Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete... Mio cibo è fare la volontà di colui che
mi ha mandato e compiere la sua opera”.
Vuole dire, in altre parole, quello che mi nutre è fare la volontà del Padre che mi ha
mandato. Credo che questo sia l’elemento sostanziale che determina sia la vita del
Signore sia la nostra. Per questo vediamo in seguito il Signore al Getsemani, nel
momento della vera angoscia – si potrebbe anche paragonare al momento di un forte
terremoto quando tutto si mette alla prova, e il Signore “in preda all’angoscia, pregava
più intensamente”, dicendo “Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che
io lo beva, sia fatta la tua volontà” (Matteo 26, 42). Il Signore stesso, nel momento
difficile, disse proprio quello che c’insegnò a dire e poi riprese la strada verso la passione,
calmo ma onnipotente, appunto perché dicendo “non come voglio io, ma come vuoi tu” si
volta verso sé stesso, prende forza e prosegue. Dovremmo soffermarci adesso sulla nostra
vita. Lottiamo, cominciamo, abbiamo dei programmi, proseguiamo, ma fronteggiamo a
volte anche delle difficoltà. Credo che non ci sia una persona nel mondo che non abbia
vissuto il proprio Getsemani. Nel momento in cui tutto crolla, allora e solo allora tutto
resuscita e solo allora si può capire ciò che disse il Signore, faccio la volontà del Padre
che mi mandò e non la mia, proprio questo mi nutre. Nel momento in cui tutto sembra
distrutto e non c’è né speranza né alcuna luce, quando tutto è coperto dalle tenebre, se
uno dice “Mio Dio, sia fatta la tua volontà” allora prende coraggio, risuscita e prosegue
con reverenza e fermezza sulla via, sul passaggio, verso la Pasqua che è Cristo, in
un’evoluzione che non si ferma mai. E alla fine, uno ringrazia Dio non per le cose facili,
ma per le difficoltà che ha dovuto affrontare nella vita e per il suo Getsemani che,
attraverso il crollo della sua persona, gli ha permesso di esprimere liberamente il proprio
pensiero per concludere “Mio Dio, sia fatta la tua volontà”.
Secondo me la frase “sia fatta la tua volontà” assomiglia con il “sia fatto” creativo
(quando il Signore “Disse: sia (...) e (...) fu, disse (...) e così avvenne...”) e con il “così
sia” liturgico (quando il Sacerdote celebrando il mistero della Santa Eucaristia, prega il
Padre di mandare il Santo Spirito e di far diventare il pane, Corpo di Cristo, e il vino nel
calice, Sangue di Cristo, e conclude con le parole “Amìn, Amìn, Amìn” mostrando che il
mistero si è celebrato. C’è un rapporto tra il “così sia” creativo e quello liturgico).
Quando uno dice consapevolmente “mio Dio, sia fatta la tua volontà nei miei riguardi” la
frase assomiglia a quello che la Madre di Dio disse all’Arcangelo Gabriele: “Avvenga di
me quello che hai detto”, cioè sia fatta la tua volontà, mio Dio, nei miei riguardi, nella
mia esistenza, dentro di me. Allora l’uomo si santifica e ne prende coraggio.
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L’abate Isacco dice che l’uomo può, obbedendo a Dio, diventare Dio per grazia e
può anche creare dei mondi nuovi dal niente. Allora, l’uomo diventa una persona
assolutamente nuova, il debole si rafforza e il morto riceve nuova vita e va avanti. A
questo punto uno capisce che arrivare a dire tranquillamente “Mio Dio, sia fatta la tua
volontà e non la mia” rappresenta per noi un vero e proprio cibo. Proprio per questo si
vede che il vero teologo non è colui che frequenta l’Università e si laurea con il massimo
dei voti perché ha potuto memorizzare alcune date e alcuni nomi o perché fa un compito.
Il vero teologo è invece colui che conosce qual è la forza e la verità dell’insegnamento
del Signore, colui che nel momento difficile dice: “sia fatta non la mia volontà ma la tua”.
Allora tutto Dio entra in lui, rende l’uomo stesso teologo, lo rende dio per grazia e
prosegue sulla strada di Gesù Cristo in un’altra maniera. E così come il Signore risorto
camminava, anche se le porte erano chiuse, nello stesso modo l’uomo, debole sì ma anche
onnipotente grazie a Dio, va avanti con problemi che possono essere o non essere risolti.
Così, se affrontiamo delle difficoltà, esprimiamo le nostre riflessioni liberamente, che
ognuno si esprima nella maniera in cui vuole esprimersi, perché Dio è nostro Padre. Poi,
dobbiamo dire: mio Dio, io non so, tu solo sai, tu mi ami più di quanto io ami loro e tutti
appartengono più a te che a me. Proprio per questo, sia fatta la tua volontà. Se la tua
volontà ha l’apparenza di una catastrofe, allora sia la catastrofe. Meglio vivere una
catastrofe voluta da Dio che un successo, frutto della volontà umana, che può dimostrarsi
una vera e propria catastrofe. Il detto “sia fatta la tua volontà” è la frase che ci nutre e ci
fa risorgere in un altro luogo.
La frase seguente è “come in cielo così in terra”. Qui, secondo san Giovanni
Crisostomo, Cristo considera tutti noi responsabili della salvezza del mondo. Non dice
“Mio Dio, sia fatta la tua volontà nella mia vita”, ma sia fatta la tua volontà in cielo e in
terra, su tutta la terra. Mi ricordo che una volta, nell’isola di Kos, incontrai una
vecchietta. Mi disse “Io non sono istruita e non conosco delle preghiere, né il “Padre
nostro” conosco né il “Credo”. Proprio per questo, ogni sera, prima di andare a letto,
faccio il segno della croce e prego Dio di dare la luce del giorno a tutto il mondo”. E mi
chiese: “Faccio bene?”. Io risposi: “Fai bene”. La vecchietta aveva capito il segreto di
questa preghiera. Poiché viveva nella Chiesa e la grazia di Dio circolava silenziosamente
dentro di lei, così come la linfa passa dalla vite ai tralci, pur non essendo istruita pregava
Dio di dar la luce a tutto il mondo. Diciamo dunque “come in cielo così in terra”.
Archimandrita Basilio, Egùmeno del Monastero di Iviron
Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra"
La volontà di Dio non è un valore giuridico, è un influsso di vita che dona l'esistenza e la
rinnova quando essa si smarrisce. La volontà di Dio è innanzitutto la creazione stessa,
l'universo intero sostenuto dalle idee-volontà, i logoi, le parole efficaci del Dio-profeta. E poi
la storia di salvezza, il drammatico dialogo d'amore tra Dio e l'umanità affinché "tutti gli
uomini siano salvati", sottolinea Paolo. E questo il motivo per cui dobbiamo pregare ogni
giorno affinché davvero tutti siano salvati, pregare per tutti quelli che "non sanno, non
vogliono o non possono pregare", come chiedeva ai suoi monaci il patriarca Giustino di
Romania.
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"Sia fatta la tua volontà..."
La storia, diceva Bulgakov, non è un corridoio vuoto
La volontà di Dio non è fatta. Il mondo, bello-e-buono secondo la Genesi, si trova immerso
nell'orrore. C'è la luce, leggiamo nel prologo di Giovanni, ma ci sono anche le tenebre.
L'onnipotenza di Dio è quella dell'amore. E come l'amore non può imporsi senza negarsi,
così questa onnipotenza - capace di creare esseri che la rifiutano! - questa onnipotenza è
anche un' onnidebolezza. Può agire solo attraverso cuori umani che, liberamente, si fanno
trasparenti alla sua luce. Dio rispetta la libertà dell'uomo, come ha rispettato quella dell'
angelo. Ma affinché questa libertà non soccomba alle tenebre, egli si incarna e scende nella
morte, nell'inferno, perché ci sia finalmente un luogo in cui la volontà dell'uomo possa unirsi
alla volontà divina. Questo luogo è Cristo. In Cristo la volontà umana si è dolorosamente e
gioiosamente unita a quella del Padre. Nel Risorto assiso alla destra del Padre la volontà di
Dio è fatta come in cielo così in terra. Anche qui ci basta aderire con tutto il nostro essere a
Cristo. "Venite a me, voi che siete stanchi e affaticati e io vi darò riposo. Prendete su di voi il
mio giogo e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre
anime. Il mio giogo infatti è soave e il mio carico leggero." (Mt 11.28-30).
Il Regno, in cui la volontà di Dio è fatta come in cielo così in terra, "non è di questo mondo",
e non si realizzerà nella storia. La preghiera perché si faccia la volontà di Dio ci offre così un
uso disincantato, realistico e paziente della politica, laicizza l'esercizio del potere, relativizza
le ideologie e gli entusiasmi della storia - la storia delle forze collettive, in senso marxista.
In un primo approccio non sogniamo di trasformare la società in paradiso, lottiamo perché
non diventi un inferno, vi manteniamo gli equilibri necessari, che si tratti della "separazione
dei poteri" di Montesquieu, o dei checks and balances della concezione anglosassone - e
protestante - dello stato. L'uomo di preghiera e di speranza evita come può da un lato il
cinismo dei conservatori, la buona gestione dei mali cosiddetti inevitabili (per gli altri!),
d'altro lato l'amarezza dei rivoluzionari, forzatamente delusi dalle rivoluzioni mai fatte e
dalle rivoluzioni fatte troppo bene. Egli sa bene che la stupidità e l'odio non cesseranno mai,
ma che questo non è un motivo per arrendersi! Nello stesso tempo dobbiamo affermare, con
Sergej Bulgakov, che "la storia non è un corridoio vuoto". Questa immensa forza di vita, di
autentica vita, che la resurrezione ha immesso nel mondo e che deborda dal calice eucaristico
e dalla preghiera dei santi, non può esprimersi solo in destini individuali. La società e la
cultura sono dimensioni della persona e del rapporto tra persone.
L'humus segreto
dal quale si innalzeranno le foreste
La chiesa ortodossa ha insistito molto sulla santificazione della cultura, sull'impero come
crisalide del Regno. Questo le ha permesso di sfuggire alle nostalgie, alla mentalità di
fortezza assediata, per pensare l'universo e diventare o ridiventare l'humus segreto dal quale
si innalzeranno le foreste del futuro. Non da sola, d'altronde, ma in collaborazione con tutte
le ricerche convergenti - e in primo luogo cristiane -, con tutte le attese e le intuizioni della
cultura contemporanea: che si tratti della rinnovata riflessione sui diritti dell'uomo o della
metanoia abbozzata da una filosofia in cui ciò che non è oreficeria del nulla concerne la
relazione e il volto, delle aperture della scienza o della critica all'economismo, sia marxista
che liberale. Con il crollo delle ideologie e l'ascesa del nichilismo, è giunto il momento per
un cristianesimo creatore. Anche pensa tori non cristiani, come Gramsci e Foucault, ci hanno
suggerito che l'autentica infrastruttura della storia è la cultura. E noi, da parte nostra, siamo
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perfettamente coscienti che la cultura, a meno che non diventi una falsificazione, ,si nutre di
ciò che è spirituale. È come nei movimenti tettonici: basta che le placche più profonde della
scorza terrestre si spostino anche di pochi millimetri perché in superficie avvengano dei
terremoti. Le vere rivoluzioni sono quelle dello spirito, ricordava Berdjaev; la "rivoluzione
delle coscienze", invoca oggi il vescovo Ireneo di Creta. I filosofi religiosi russi della prima
metà del secolo, i grandi dissidenti che sono venuti da oltre cortina o che là continuano a
lavorare "sotto le macerie", hanno aperto delle piste, offerto un'ispirazione.
Negli anni a venire saranno necessarie iniziative e proposte cristiane pienamente immerse
nella pasta della società civile e della cultura. Ci sarà bisogno di cristiani che, possibilmente
in gruppo e spalleggiati da comunità ecclesiali, propongano nuovi atteggiamenti, inventino
nuove forme di vita nelle loro professioni, a scuola, nei tribunali, negli ospedali, nei quartieri
abitati da squallore e disperazione in cui germina la violenza... Non ci sarà mai, se non come
ideale e come fermento, una "civiltà dell'amore". Ci sarà sempre, nella vita delle collettività,
un sottofondo di pulsioni irrazionali che bisogna saper gestire, utilizzare, contenere (e in
questo i machiavellici moderati e lucidi sono più preziosi degli ingenui imbrattati di
sentimentalismo). Solo la santità può sanare in radice il male. Ma la santità, l'evangelo
devono introdurre nella società una tensione, un fermento, oppure una ferita, tali da costituire
il luogo stesso della libertà dello Spirito. E se non può esserci una completa e definitiva
"civiltà della comunione", dobbiamo instancabilmente aprire quelle che in linguaggio tecnico
vengono chiamate 'vie di comunicazione secondarie’ " !
Olivier Clèment
Sia fatta la tua volontà
come in cielo, così in terra;
affinché ti amiamo con tutto il cuore,
pensando sempre a te;
con tutta l'anima, desiderandoti sempre;
con tutta la mente,
dirigendo a te tutte le nostre intenzioni,
e cercando in tutte le cose I'onor tuo;
e con tutte le nostre forze,
impiegando tutte le potenze dell'anima
e i sentimenti del corpo
in ossequio del tuo amore,
e non in altro.
Sia fatta la tua volontà
come in cielo, così in terra;
affinché amiamo altresì i nostri prossimi,
come noi stessi, traendo tutti,
giusta le nostre forze, al tuo amore,
godendo dei beni e avendo compassione
dei mali altrui, come dei nostri,
e non recando a chicchessia
offesa alcuna.
S. Francesco d'Assisi
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Mio Dio, non dimenticarti di me,
quando io mi dimentico di te.
Non abbandonarmi, Signore,
quando io ti abbandono.
Non allontanarti da me,
quando io mi allontano da te.
Chiamami se ti fuggo,
attirami se ti resisto,
rialzami se cado.
Donami, Signore, Dio mio,
un cuore vigile
che nessun vano pensiero porti lontano da te,
un cuore retto
che nessuna intenzione perversa possa sviare,
un cuore fermo
che resista con coraggio ad ogni avversità,
un cuore libero
che nessuna torbida passione possa vincere.
Concedimi, ti prego, una volontà che ti cerchi,
una sapienza che ti trovi,
una vita che ti piaccia,
una perseveranza che ti attenda con fiducia
e una fiducia che alla fine giunga a possederti.
S.Tommaso
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