Contratti d`impresa - Associazione Legali Italiani

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Estratto da “Contratti d’impresa”
CESI Professionale Edizioni
Avv. Damiano Marinelli – Avv. Elisabetta Spigarelli
Contratto e negozio giuridico
Le nozioni di negozio giuridico e contratto vanno distinte concettualmente sotto svariati profili.
Si intende per negozio giuridico l’istituto attraverso cui i privati, mediante una dichiarazione,
manifestano gli scopi che perseguono. La definizione che ne viene tradizionalmente data è quella di
dichiarazione di volontà con cui si esprimono gli effetti perseguiti ed alla quale l’ordinamento
ricollega effetti giuridici conformi al risultato perseguito. Perché ciò possa verificarsi occorre che la
finalità e gli interessi che fanno da sfondo al negozio siano meritevoli di tutela e che siano rispettate
le prescrizioni eventualmente stabilite dalla legge per le singole figure.
“L'atto di impugnazione del licenziamento ha natura di negozio giuridico unilaterale recettizio, ex
art. 1335 c.c., e come tale deve giungere a conoscenza del destinatario per produrre i suoi effetti;
in particolare, deve pervenire all'indirizzo del datore di lavoro entro i sessanta giorni previsti
dall'art. 6 della legge n. 604 del 1966 per evitare la decadenza dalla facoltà di impugnare; ne
consegue che il deposito dell'istanza di espletamento della procedura obbligatoria di conciliazione,
contenente l'impugnativa scritta del licenziamento, presso la Commissione di conciliazione, non è
sufficiente ad impedire la decadenza, ma è necessario a tal fine che la comunicazione della
convocazione pervenga al datore di lavoro prima del termine di sessanta giorni previsto dalla
legge, ovvero che il lavoratore provveda autonomamente a notificargli tale richiesta, senza
attendere la comunicazione dell'ufficio, onde evitare il rischio del maturarsi della decadenza”
(Cassazione civile , sez. lav., 15 maggio 2006, n. 11116).
La categoria dei negozi giuridici può essere classificata avendo riguardo a diversi “punti di vista”.
Rispetto alla struttura soggettiva, si hanno negozi unilaterali (la dichiarazione proviene da un’unica
parte), che possono essere recettizi o non recettizi, secondo che sia o no necessaria la
comunicazione ad uno specifico destinatario perché l’atto produca i propri effetti, e negozi “bi” o
plurilaterali, se le parti sono due o più. Si distinguono, poi, i negozi mortis causa dai negozi inter
vivos, secondo che la morte di una persona sia presupposto perché l’atto produca i suoi effetti. I
diversi interessi sottesi al negozio differenziano, ancora, i negozi familiari da quelli patrimoniali,
che possono essere a titolo oneroso o gratuito, se una parte consegue un vantaggio senza sopportare
il correlativo sacrificio.
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Dei negozi giuridici fanno parte i contratti, il testamento, il matrimonio, ed altre figure particolari
previste da singole norme, dichiarazioni, appunto, cui si ricollegano effetti giuridici conformi alla
volontà delle parti.
Quanto appena detto serve a chiarire come il contratto sia una fattispecie particolare di negozio
giuridico, non essendo possibile sovrapporre i due concetti. Si intende per contratto, a norma
dell’art. 1321 c.c., “l’accordo di più parti per costituire, regolare, o estinguere tra loro un rapporto
giuridico patrimoniale”. La norma mostra come, rispetto alla definizione generale di negozio
giuridico fornita, emergano diverse differenze. Il contratto, infatti, si connota per la presenza di un
accordo, l’incontro delle volontà, che non rileva in generale per il negozio giuridico, che può
nascere anche dalla sola “dichiarazione”. L’art. 1321 c.c. richiede, inoltre, la presenza di “due o più
parti”, a fronte dell’esistenza di negozi unilaterali (es. testamento). Ancora, il carattere
necessariamente patrimoniale del rapporto che il contratto instaura, regola o estingue, laddove
esistono negozi giuridici che non rispondono o coinvolgono interessi patrimoniali (es. matrimonio).
Il contratto è, dunque, un tipo di negozio giuridico, caratterizzato dall’accordo delle parti e dalla
patrimonialità degli interessi. L'accordo su alcuni punti essenziali del contratto non esaurisce la fase
delle trattative, perché, al fine di perfezionare vincolo contrattuale, è necessario che tra le parti sia
raggiunta l'intesa sugli elementi costitutivi, sia principali che secondari, dell'accordo. Per quanto
riguarda la patrimonialità, ad esempio il contratto di sponsorizzazione comprende una serie di
ipotesi nelle quali un soggetto detto sponsorizzato si obbliga, dietro corrispettivo, a consentire ad
altri l'uso della propria immagine pubblica ed il proprio nome per promuovere un marchio o un
prodotto specificamente denominato, mentre la patrimonialità dell'oggetto dell'obbligazione dipende
dal fenomeno di commercializzazione del nome e dell'immagine personale affermatasi nel costume
sociale (così la Cassazione civile , sez. III, 29 maggio 2006, n. 12801).
“Ai fini della configurabilità di un definitivo vincolo contrattuale, è necessario che tra le parti sia
raggiunta l'intesa su tutti gli elementi dell'accordo, non potendosene ravvisare pertanto la
sussistenza là dove, raggiunta l'intesa solamente su quelli essenziali ed ancorché riportati in
apposito documento, risulti rimessa ad un tempo successivo la determinazione degli elementi
accessori. Pertanto, anche in presenza del completo ordinamento di un determinato assetto
negoziale, può risultare integrato un atto meramente preparatorio di un futuro contratto, come tale
non vincolante tra le parti, in difetto dell'attuale effettiva volontà delle medesime di considerare
concluso il contratto, il cui accertamento, nel rispetto dei canoni ermeneutici di cui agli art. 1362
ss. c.c., è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in cassazione ove sorretta da
motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici” (Cassazione civile , sez. I, 20 giugno
2006, n. 14267).
“È nozione di comune esperienza che, nel corso delle trattative prodromiche alla conclusione del
contratto, le parti assumono posizioni diverse e prospettano soluzioni varie, svolgendo le
argomentazioni di cui il testo definitivo costituisce espressione della sintesi convenzionalmente
raggiunta ed accettata, solamente a quest'ultimo occorrendo fare, peraltro, riferimento al fine di
stabilire i rispettivi diritti ed obblighi” (Cassazione civile , sez. III, 12 dicembre 2005, n. 27338).
“Il cd. “contratto” concluso con gli Italiani da Silvio Berlusconi in occasione della competizione
politica del 2001 non è qualificabile né come contratto con obbligazioni a carico del solo
proponente né in termini di promessa al pubblico posto che gli impegni ivi assunti – di carattere
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propriamente propagandistico - erano privi del crisma della vincolatività giuridica, e dunque, di un
impegno volto a costituire un rapporto giuridico patrimoniale” (Tribunale Napoli, sez. IV, 03
maggio 2006).
Tracciata la differenza tra i due istituti si rileva come, per la disciplina dei negozi giuridici, la legge
stabilisce all’art. 1324 c.c. che “salvo diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i
contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto
patrimoniale”. Rimangono esclusi, dunque, tutti gli atti mortis causa ed i negozi familiari. Per
esempio, la Corte di Appello di Milano, il 5 Febbraio 2005, così si è espressa rispetto alle lettere di
patronage “La natura di negozio giuridico unilaterale riconosciuta dalla Suprema Corte alle lettere
di patronage, esclude che rispetto ad essa possa porsi un problema di ricerca della «comune
intenzione delle parti», posto che in tal caso l'esistenza di una pluralità di parti è, per definizione,
esclusa. Ma ciò non toglie che anche in detta ipotesi debba trovare applicazione il fondamentale
principio, valido per tutti i negozi "inter vivos", per cui la dichiarazione non può essere intesa nel
senso che le ha attribuito l'autore, se questo senso non è quello - fondato sul criterio di reciproca
lealtà cui debbono ispirarsi le relazioni sociali - in cui può essere intesa dal destinatario o dai
terzi, quando anche costoro siano interessati alla dichiarazione medesima”.
Il contratto è, a norma dell’art. 1173 c.c., una delle possibili fonti di obbligazioni, le quali derivano
espressamente “da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro fatto od atto idoneo a produrle in
conformità dell’ordinamento giuridico”. Così, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla legge, la parti
possono dar vita a rapporti giuridici tra loro vincolanti, potendo, con un unico contratto, creare
anche più obbligazioni, che in esso troveranno la propria fonte.
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L’autonomia negoziale, l’accordo delle parti e la responsabilità precontrattuale
Il contratto è espressione del principio di autonomia contrattuale, riconducibile ai più ampi principi
di autonomia negoziale e privata. La disposizione cui riferirsi è l’art.1322 c.c. a norma del quale “le
parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge. Le
parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina
particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento
giuridico”.
E’ evidente, dunque, come i contraenti godano di una libertà che si connota di due aspetti. Non
solo, infatti, all’interno delle figure previste dalla legge, si ha la possibilità di regolare il contenuto
del contratto nei suoi elementi essenziali ed accidentali, ma si possono anche scegliere schemi
contrattuali diversi rispetto a quelli disciplinati. In questo modo il privato può disporre dei propri
interessi secondo le più diverse esigenze e necessità. C’è la possibilità, infatti, di stipulare contratti
atipici, potendo le parti autodisciplinarsi nei modi più disparati. Di questo specifico argomento si
tratterà con dovizia del prosieguo del volume.
A tali ampie facoltà sono posti dei confini dallo stesso art. 1322 c.c. che prevede al I° comma come
il regolamento scelto dai contraenti debba rispettare i limiti imposti dalla legge. Ci si riferisce a tutte
le norme imperative in tema di contenuto del contratto (es. requisiti della prestazione, dell’oggetto)
che, in caso di violazione, ne comportano la nullità. La seconda parte della norma stabilisce che, per
poter adottare un tipo di contratto diverso dagli schemi tipici, le parti debbano perseguire “interessi
meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”, nel senso che non possono trovare protezione
ed espressione esigenze che siano in contrasto con i valori del sistema, poiché, ad esempio, illecite o
abiette. Il controllo sulla meritevolezza degli interessi si considera comunemente esteso anche alle
fattispecie del primo comma, i contratti tipici di cui le parti determinano autonomamente solo il
contenuto. Apparirebbe incoerente, infatti, un Sistema che prevedesse un controllo sugli intenti
perseguiti solo nel caso in cui i contraenti si discostino dagli schemi legali.
Chiarita la funzione dell’autonomia contrattuale, senza cui non si potrebbe attuare il principio di
libertà cui è informato il sistema del diritto dei contratti, si coglie il ruolo fondamentale che è
rivestito dall’accordo. Ad esso la legge si riferisce nell’art. 1325 c.c. che, in tema di requisiti del
contratto, elenca l’accordo delle parti, la causa, l’oggetto e la forma, quando sia prescritta dalla
legge a pena di nullità. La mancanza di ciascuno di questi elementi, unitamente alle altre cause
previste dalla legge, è motivo di nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418 c.c. La ragione è,
intuitivamente, che, data la definizione dell’art. 1321 c.c., l’accordo delle parti costituisce il fulcro
dell’istituto, non potendo, in mancanza, parlarsi di “contratto”. L’importanza dell’elemento si coglie
anche dall’ampia regolamentazione che il codice gli riserva, agli artt. 1326-1342 c.c.. I vari aspetti
che caratterizzano l’accordo, quali, ad esempio, i modi, termini e condizioni di proposta, revoca e
accettazione, infatti, possono atteggiarsi in maniera differente secondo il tipo di contratto. Quando
siano, cioè, coinvolti interessi che richiedono una tutela particolare o il tipo di contrattazione si
caratterizzi per aspetti peculiari, la legge appresta un’apposita disciplina. Il codice si preoccupa,
inoltre, di chiarire quali siano le sorti dell’accordo in caso di morte o incapacità dell’imprenditore
(art. 1330 c.c.) e come esso si perfezioni in caso di atti unilaterali (1334 c.c.).
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Tra le norme che si riferiscono all’accordo particolare rilievo riveste l’art. 1337 c.c. che, rubricato
“trattative e responsabilità contrattuale” statuisce che “le parti, nello svolgimento delle trattative e
nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buone fede”. Si deve cercare, cioè, un
bilanciamento tra le opposte esigenze immanenti alla stipula dell’atto. Da una parte, infatti, è
fisiologico che ciascuno dei soggetti persegua il proprio interesse, cercando di stipulare il contratto
nel modo che più gli conviene. Dall’altra è necessario che le trattative e la conclusione dell’accordo
avvengano in modo corretto, secondo buona fede. Questa funge, ad un tempo, da limite e mezzo di
tutela degli interessi privati. Se, cioè, il maggior soddisfacimento degli intenti di ciascuna parte
implichi che le trattative siano gestite in maniera scorretta, allora dette esigenze devono
soccombere. Il concetto di buona fede, così, se da un lato “comprime” il perseguimento dei legittimi
interessi privatistici, dall’altro protegge proprio detti interessi, poiché garantisce ai contraenti la
reciproca correttezza nelle trattative. La buona fede ex. art. 1337 c.c. comporta il divieto per il
contraente di interrompere ingiustificatamente le trattative, quando l’altra parte abbia riposto un
ragionevole affidamento nella conclusione del contratto. Si considera attratta nella norma anche
l’ipotesi in cui, sebbene la stipula vi sia stata, la mala fede abbia determinato un contenuto
pregiudizievole per la vittima.
“Non costituisce ipotesi di responsabilità precontrattuale la fattispecie in cui l'accordo tra le parti
si é formato, ma a condizioni diverse da quelle che si sarebbero avute se la parte venditrice non
avesse tenuto nei confronti degli acquirenti un comportamento contrario alla buona fede, in quanto
la configurabilità della responsabilità precontrattuale è preclusa dalla intervenuta conclusione del
contratto” (Cassazione civile , sez. II, 05 febbraio 2007, n. 2479).
Sempre rispetto alla buona fede, in un tema molto attuale il Tribunale Ferrara, il 15 maggio 2006,
ha statuito che in caso di investimento suggerito dalla banca in bond argentini con esito negativo a
seguito dell’epilogo fallimentare dello stato, è equo che la banca risponda in via precontrattuale
della propria mancanza di diligenza da individuarsi in una carenza di caratura adeguata del profilo
di rischio della investitrice, carenza informativa sui rating; al quale concorre un concorso di colpa
della attrice, la quale secondo un elementare principio di autoresponsabilità avrebbe dovuto
informarsi sui titoli che andava ad acquistare. Infatti La violazione degli obblighi informativi in
materia di intermediazione mobiliare genera un obbligo risarcitorio fondato sulla responsabilità
contrattuale di cui all’art. 1337 c.c., per la perdita subita in conseguenza delle operazioni bancarie
compiute senza adeguata informazione e ragguagliato al minor vantaggio o maggior aggravio
economico causato dal contegno sleale della parte (così anche il Tribunale di Padova, il 30 marzo
2006).
Ancora in tema di correttezza l’art. 1338 c.c., a norma del quale “la parte che, conoscendo o
dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia
all’altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per aver confidato, senza sua colpa,
nella validità del contratto”. Come la rottura arbitraria delle trattative, dunque, è sanzionabile la
mala fede che abbia causato la stipula di un contratto invalido o inefficace. Risulta così come con le
due disposizioni precedentemente analizzate si imponga alle parti un dovere di cooperazione ed
informazione. Non è sufficiente, infatti, che i contraenti evitino comportamenti maliziosi o
volutamente ingannatori, ma è necessario che interagiscano, ad esempio, comunicandosi notizie che
possano influire sul contenuto del contratto. Tanto è importante che vi sia una collaborazione attiva
tra le parti, che la legge sanziona la violazione anche solo colposa dell’obbligo di buona fede.
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L’interruzione ingiustificata delle trattative, infatti, è illegittima anche se dovuta a semplice
leggerezza, e l’art. 1338 c.c., quando parla di cause di invalidità che la parte “avrebbe dovuto
conoscere”, si riferisce ad ipotesi di condotta evidentemente colposa. Quindi già nelle fasi di
trattativa esistono in capo alle parti, un dovere di informazione (dovere di informare l’altra parte di
elementi che sono a quest’ultima ignoti e che potrebbero essere determinanti per il suo consenso) ed
un dovere di protezione (dovere di adottare le necessarie cautele per proteggere le prerogative ed i
diritti dell’altra parte). Perché sia riscontrata una responsabilità precontrattuale (che rientra nel
genus della responsabilità extracontrattuale), si devono ritrovare questi presupposti:
-
comportamento doloso o colposo di una parte;
danno ingiusto alla controparte;
nesso di causalità tra comportamento e danno.
In più, il recesso dalle trattative deve essere senza giusta causa e si deve essere ingenerato un
affidamento della controparte sulla positiva conclusione della trattativa (per esempio, quando le
parti abbiano già preso in considerazione gli elementi essenziali del contratto, come ad esempio la
natura delle prestazioni o l’entità del corrispettivo, risultando invece irrilevante l’eventuale breve
durata od il numero minimo degli incontri). Consegue da quanto detto, che la parte lesa dovrà
dimostrare il comportamento illegittimo della controparte (consistente nel recesso senza giusta
causa), e il proprio legittimo affidamento circa la conclusione del contratto.
“La responsabilità precontrattuale è configurabile in tutti i casi in cui un soggetto abbia compiuto
azioni o sia incorso in omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della buona fede,
alla cui osservanza sono tenuti anche la p.a. e gli enti pubblici, nell'ambito del rispetto dei principi
garantiti dall'art. 2043 c.c. Pertanto, ai fini dell'affermazione di tale responsabilità, è sufficiente il
comportamento non intenzionale o meramente colposo della parte che - senza giusto motivo - abbia
interrotto le trattative eludendo così le aspettative della controparte, la quale, confidando nella
conclusione del contratto, sia stata indotta a sostenere spese o abbia rinunciato ad occasioni più
favorevoli. In caso di violazione della norma di cui all'art. 1337 c.c. il risarcimento del danno è
limitato al c.d. "interesse negativo", con la conseguenza che esso è cumulabile con risarcimento del
maggior danno previsto dall'art. 1591 c.c.” (Cassazione civile , sez. III, 07 febbraio 2006, n. 2525).
“Integra un'ipotesi tipica di responsabilità precontrattuale, ai sensi dell'art. 1338, c.c., il
comportamento dell'amministrazione (concretizzatosi in apposito provvedimento dichiarato
illegittimo) che ha illegittimamente arrestato il procedimento di definitivo perfezionamento dei
contratti di locazione futura, già stipulati, impedendo ad essi di conseguire il necessario visto e la
necessaria registrazione ai fini della loro completa efficacia, violando così l'interesse delle società
costruttrici e locatrici all'efficacia e validità dei contratti (già stipulati), attraverso un
comportamento caratterizzato dalla violazione dei principi di imparzialità e buon andamento
dell'azione amministrativa” (Consiglio Stato , sez. IV, 15 novembre 2004, n. 7449).
“La responsabilità ex art. 1338 c.c., che costituisce una specificazione della responsabilità
precontrattuale di cui all'articolo precedente, presuppone non solo la colpa di una parte
nell'ignorare la causa di invalidità del contratto, ma anche la mancanza di colpa dell'altra parte
nel confidare nella sua validità” (Cassazione civile , sez. lav., 21 agosto 2004, n. 16508).
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L’effettività del principio di buona fede è garantita con la previsione del risarcimento del danno a
carico di chi l’abbia violata. Trattasi, in ognuna delle ipotesi considerate, di responsabilità
precontrattuale. In caso di rottura ingiustificata delle trattative o di contratto invalido o inefficace
dovrà essere risarcito l’interesse cc.dd. negativo dell’altra parte a non essere coinvolta in
contrattazioni inutili, salve le spese affrontate per la conclusione del contratto, la perdita di
eventuali diverse occasioni più favorevoli ed i danni ulteriori. Per esempio, se Caio non avesse
perso tempo in trattative infruttuose con Tizio, avrebbe potuto concludere altre trattative con altri
soggetti e quindi Caio ha diritto all’utile che sarebbe derivato dalle vendite perse (“utile atteso”).
Nell’ipotesi, invece, di contratto dal contenuto solo pregiudizievole deve essere risarcito il minor
vantaggio o il maggior aggravio economico causato dal comportamento illegittimo, salvi gli
eventuali ulteriori danni. Sono causa di esonero da responsabilità il dimostrare che vi sia giusta
causa per il recesso dalle trattative o che non era sorto alcun affidamento della controparte, perché
la trattativa non aveva ancora avuto ad oggetto elementi essenziali del contratto.
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