,PSDJLQDWRB6HWWHPEUHB T[G 3DJLQD ECONOMIA&BUSINESS BARACHÌ CLIMA METROPOLITANO CUORE NOSTRANO ENOGASTRONOMIA Un aperitivo con l'architetto Michela Lombardoni, ideatore primario di «11», il nuovo bistrot che correda l'offerta del mitico ristorante divenuto famoso per la cucina della carne. Una riuscita commistione tra modernità e tradizione TESTO&PHOTO: GIORGIO CHIESA difficile trovare un termine appropriato che faccia cogliere subito il lavoro che ha portato alla rivisitazione del celeberrimo Barachì nella sua splendida forma attuale. Quella che è stata e continua a essere una delle locande più famose dell'intera Bergamasca, ha deciso di aggiungere alla propria offerta enogastronomica un nuovo spazio, tutto da vivere, battezzato "11". Accanto ai meriti culinari che nel corso degli anni hanno reso il ristorante un'eccellenza per la cucina della carne e non solo, i proprietari hanno voluto aggiungere un altro elemento che caratterizzasse la tradizione di famiglia. L'arduo compito è stato affidato all'architetto Michela Lombardoni e i risultati sono a godimento di tutti. "Ho intrapreso questo incarico a progetto già avviato, - racconta l'architetto -, ciò ha reso più difficile lo studio preliminare ma oggi sono estremamente soddisfatta per quanto insieme abbiamo realizzato. Nel corso dei lavori si è creata un'ottima sintonia con i committenti e in questi mesi l'atmosfera è stata ideale. Inoltre, aver avuto a fianco maestranze serie e puntuali (dal fabbro all'imbianchino, dal giardiniere all'elettricista) ha creato una sinergia che ha donato un valore aggiunto all'intero intervento. "L'input iniziale si è generato a seguito di riflessioni rivolte al loco, al preesistente. In ogni luogo vi sono equilibri molto delicati che devono essere rispettati e spesso valorizzati. Mi recavo in cantiere molto spesso; volevo cogliere ogni singolo dettaglio, il più piccolo segnale che l'ambiente, le mura e le persone mi lanciavano, nulla doveva cadere nel vuoto. Così ho "radiografato" tutto, cogliendo le positività e le negatività e quindi tutte le peculiarità che si sarebbero dovute evidenziare". E' 74 Bar 11 vista interna Veduta notturna del giardino ,PSDJLQDWRB6HWWHPEUHB T[G 3DJLQD Particolare del tunnel di collegamento bar ristorante 75 ,PSDJLQDWRB6HWWHPEUHB T[G 3DJLQD Da destra l'arch. Lombardoni, Ferdinando Limonta con la compagna Sabrina e l'amico Spartaco Ci racconta il rapporto che ne è scaturito con la committenza? "In seguito alle prime indagini e riflessioni incontrai la committenza, ci scambiammo osservazioni che vertevano sulle linee guida e sugli obiettivi prefissati per il nuovo spazio. Colsi nella proprietà l'intento, peraltro condividendolo totalmente, di conservare l'atmosfera familiare, ma non per forza rustica. Da subito cercai di percepire la personalità di Ferdinando in modo da creare un locale che rispecchiasse l'anima della proprietà. L'architettura deve essere necessariamente in euritmia con coloro che in primis la vivono. Credo sia importante avere la percezione che tutto sia in armonia. In questo caso specifico il progetto è stato studiato approfondendo le macro aree relative ai percorsi, alla luce naturale e artificiale, ma anche ogni piccolo dettaglio: sono stati ideati elementi architettonici creati in chiave scultorea, come l'albero in ferro situato all'ingresso del ristorante a sostegno futuro di una copertura, sono state progettate esclusivamente per il locale sculture raffiguranti macro forchetta e coltello, è stato progettato il bancone bar in ogni dettaglio materico, dimensionale con effetti di luce suggestivi, come per l'area interna ed esterna del locale. Si è voluta materializzare la genuinità, valore condiviso appieno dal padre Mario Limonta, artefice iniziale e guida spirituale per il figlio, con una propria forma di bellezza trovando la giusta alchimia che caratterizzasse, evidenziandola, la contemporaneità del figlio Ferdinando". Qual è stato l'impatto dinanzi alla prima bozza di progetto? "Presentai il primo progetto con una proposta in 3D, dove abbiamo raggruppato riflessioni, spunti e proposte generali. I committenti si sono dimostrati da subito molto entusiasti. Il passo successivo, è stato quello di trasformare in sintesi espressiva lo spirito dinamico della proprietà che si mantiene al contempo concreta, metropolitana ma con il cuore radicato nel territorio. Il lavoro di dettaglio è nato giorno dopo giorno, cercando di trovare attraverso la poesia e l'esperienza un modo per fare vivere la materia e suscitare emozioni anche inconsce". Ci racconta quale è il suo modus operandi, la sua filosofia di lavoro? "Quando inizio un progetto non voglio autocelebrare me stessa, cerco anzi di annullarmi completamente per avere un foglio bianco su cui 76 lavorare. Ogni lavoro è unico, come il committente che ho di fronte e lo scopo del progetto che si va ad affrontare: questo mi porta a essere eclettica e al contempo estremamente rigorosa" Nonostante sia un metodo faticoso, che assorbe moltissimo di se, sono convinta sia l'unica via che permette di raggiungere il risultato sperato e quel grado di soddisfazione professionale impagabile, inesauribile e sempre diversa". Lascia "margini attivi" al committente per dire la sua, anche all'ultimo secondo? "Non do tutto per definito e intoccabile. Ci possono essere cambiamenti, trasformazioni, modifiche e anche reset se necessario. Ogni progetto ed anche ogni committente ha la propria personalità che deve essere ben focalizzata e ciò può avvenire solo con la "lettura" dell'altro, con il tempo e con l'esperienza". Qui al Barachì per esempio, più d'una volta ci siamo ritrovati con Ferdinando e Sabrina (e naturalmente la signora Teresa mamma di Ferdinando) a condividere pensieri e nuove considerazioni, non previste, non pianificate. Questo modo di affrontare le cose penso sia, oltre che stimolante, anche molto proficuo. Parimenti, trovo che il confronto con le maestranze sia fondamentale per la buona riuscita di un'opera, divenendo vero motore di quella partecipazione e attaccamento al proprio lavoro, alle proprie responsabilità che porta tutti a guardare nella medesima direzione e con un obiettivo condiviso. Chi come l'architetto ha la regia delle operazioni non deve sentirsi l'unico depositario di verità; la sinergia tra architetto e committenza deve essere magica, unica, ogni volta, altrimenti si rischiano "copia-incolla" e, mi creda, ve ne sono già troppi." Che legame mantiene il ristorante Barachì con il territorio? "Questa nuova realizzazione ha voluto creare uno spazio che fosse innovativo, ma in assoluta sintonia con il contesto. Volevo che si creasse un clima che uscisse dal provincialismo per divenire metropolitano ma al contempo caratteristico e unico, riservato e con spazi delicati oltre che dedicati. Non avrei mai voluto che potesse essere stravolto l'equilibrio tra forma e dimensione della struttura che ha reso celebre e famoso il Barachì". In conclusione, ci lascia un suo pensiero sulle sensazioni che ha voluto suscitare nel cliente? "Il mio principale obiettivo è da sempre quello di poter donare la sensazione di benessere. Nel caso specifico aggiungerei lo stupore fanciullesco e ironico. A mio avviso è ciò che non si razionalizza a fare stare bene: sono armonie create da percorsi, materiali e altri particolari che possono anche apparire secondari. Mi piace pensare che il cliente possa percepire le novità, la ricercatezza e la cultura della scelta, ma maggiormente, è di mio interesse che non dimentichi l'atmosfera: un luogo che in qualche modo ti porti alla tranquillità di casa ed anche al clima rilassante che si prova quando si è in vacanza, una parentesi distensiva che ha da sempre caratterizzato questo speciale luogo d'incontro".