1 1.1 Il campo elettrico Azione a distanza L’idea di interazione fra corpi è stata sempre associata all’idea di un contatto: la possibilità che un oggetto potesse esercitare un’azione in una regione di spazio dove esso non si trovava materialmente ha costituito per lungo tempo un grosso ostacolo concettuale alla comprensione del funzionamento della realtà. Ad esempio il rifiuto della possibilità di un’azione a distanza costituiva uno dei presupposti della teoria dell’ horror vacui, che dominò l’approccio scientifico medievale. Tale teoria respingeva con decisione l’esistenza dello spazio vuoto, perché esso avrebbe consentito di pensare ad un’ interazione fra due corpi senza che vi fosse né il contatto diretto né la mediazione di un fluido interposto. Astrazioni come quelle di Galileo, che ipotizzò la caduta dei gravi in uno spazio in assenza d’aria, furono un formidabile sforzo di immaginazione. Anche la formulazione della legge di gravitazione universale da parte di Newton1 era sospetta di basarsi sul modello di attrazione a distanza, e per questo venne inizialmente guardata con diffidenza da qualcuno. Tuttavia Newton si limitò a registrare l’efficacia del modello proposto, e non azzardò mai tentativi di spiegazione del meccanismo di funzionamento che vi stava dietro, forse proprio perché anche lui associava l’idea di interagire a distanza qualcosa di simile ad una credenza occulta. Nel campo delle interazioni elettriche, il problema del meccanismo che realmente governava l’attrazione e la repulsione fra due cariche, si impose all’attenzione di uno dei pionieri in questo ambito, il fisico inglese Michael Faraday (1791-1867). Egli trovava del tutto insoddisfacente l’interpretazione della forza elettrica in termini di azione a distanza, e riteneva che lo spazio interposto dovesse giocare un ruolo importante. Alcune delle sue obiezioni possono essere riassunte nei punti seguenti: a) Un problema di causa ed effetto. Poniamo che una carica A ed una carica B, di segno discorde, siano poste ad una certa distanza r nello spazio vuoto. Per poter interagire secondo la legge di Coulomb, cioè attrarre la B con una forza di intensità 1 | qAq B | , la carica A necessita di alcune 4πε0 r 2 informazioni preliminari. Essa dovrebbe percepire in anticipo l’esistenza di B e conoscere il suo esatto valore e la sua distanza. Soltanto allora può “lanciare un segnale” nella direzione di B dell’intensità corretta. La carica A dovrebbe, in qualche misterioso modo, proiettarsi al di fuori di sé stessa, esplorare l’ambiente, raccogliere le necessarie informazioni e soltanto dopo interagire. b) Un problema di istantaneità. Ammesso che la carica A possegga le informazioni che possono permetterle di attrarre B nel giusto modo, potrebbe accadere che la posizione ed il valore di B non siano costanti. Se B si stesse ad esempio allontanando da A, la forza sarebbe “inviata” da A nella posizione in cui si trovava inizialmente B e, quindi, giungerebbe in un punto vuoto dello spazio. Oppure, nel caso in cui fosse il valore di B a mutare, con una intensità errata. Sembrerebbe che A debba procedere ad una rimodulazione del segnale ogni volta che B si sposta o varia. Questo paradosso, in realtà, è uno degli aspetti di una questione più fondamentale, e cioè se l’interazione impieghi un certo tempo per propagarsi da A verso B oppure sia istantanea2. Per uscire da questi paradossi è necessario cambiare completamente prospettiva. Dobbiamo abbandonare la convinzione che la carica A eserciti un’azione solamente se si trova in presenza di un’altra carica B. Un punto di vista che permette di inquadrare la situazione è quello di ritenere che la carica A, anche se si trova sola nello spazio vuoto, manifesti comunque la sua presenza conferendo allo spazio stesso delle proprietà che prima non aveva. Nel momento in cui la carica A viene posta in un punto, in tutto lo spazio 1 Philosòphiae Naturalis Principia Mathematica, 1687 La non istantaneità delle interazioni a distanza comporta, come vedremo più avanti, anche una temporanea violazione della terza legge di Newton. 2 1 intorno ad essa viene a crearsi uno stato di cose nuovo: una condizione fisica che prima non c’era. E se la carica A stessa cambia di posizione o di valore, anche la condizione fisica di tutti i punti dello spazio circostante cambiano di conseguenza. Dato che però nessuno ha mai rivelato l’esistenza di segnali che si propaghino istantaneamente, ci vorrà del tempo affinché ogni eventuale modifica della posizione, o del valore di A, possa essere percepita tutt’intorno, conferendo così allo spazio il nuovo assetto fisico. Quando poi una seconda carica B viene posta ad una certa distanza dalla A, troverà che lo spazio nella posizione in cui va a mettersi possiede già uno stato fisico, di cui B risente in termini di una forza che agisce su di essa. A questo stato fisico dello spazio si dà il nome di campo elettrico: esso fa da tramite all’interazione fra A e B e l’idea di una azione a distanza diviene superflua. Se poi B si muove, non è necessario che A moduli il suo segnale per interagire secondo quanto previsto dalla legge di Coulomb: i nuovi punti dello spazio dove B andrà a posizionarsi sono già nello stato fisico che occorre. Se invece un certo corpo viene elettrizzato, qualora si trovi in una regione dello spazio sede di un campo elettrico, questo risentirà immediatamente dell’effetto delle altre cariche che sono all’origine del campo stesso, senza bisogno che venga inviato loro alcun segnale informativo preliminare. Viceversa il campo originato dal corpo appena elettrizzato impiegherà del tempo per conferire le sue proprietà allo spazio circostante, sovrapponendosi agli altri campi esistenti. Questo comporta che, nelle interazioni non “a contatto”, vi sia il problema di una temporanea, brevissima violazione del principio di azione e reazione. Come si vedrà, la soluzione è quella di attribuire una certa quantità di moto al campo stesso e subordinare la terza legge di Newton rispetto al principio di conservazione della quantità di moto. Una grandezza che si presta bene a descrivere la condizione fisica dello spazio sede di campo elettrico, è la forza che agisce su di una carica puntiforme di valore pari all’unità di misura: nel caso del sistema internazionale quindi una carica pari ad 1 C. Associamo quindi ad ogni punto un vettore che abbia per intensità e verso quello della forza che agirebbe su di una carica puntiforme, positiva, pari ad 1C: per sapere quale forza agisce su di una carica qualunque del valore di Q Coulomb, basterà moltiplicare per Q questo vettore che ci dà la forza per ogni Coulomb di carica. In termini operativi, tuttavia, misurare, nel punto P dello spazio, direzione e verso della forza che agisce su ogni Coulomb di carica, significa porre materialmente una carica puntiforme di 1C in P e misurare la forza su di essa. Tuttavia l’introduzione di una nuova carica, specie se di valore non trascurabile, ha l’effetto di modificare la distribuzione nello spazio delle altre cariche, e conseguentemente il valore del loro campo nel punto P. Supponiamo, ad esempio, di voler misurare il campo elettrico poco fuori ad un conduttore metallico carico. La presenza di una ulteriore carica di 1C modifica la posizione delle cariche mobili sul conduttore (è il fenomeno noto come induzione elettrica): in qualche modo il nostro processo di misura influisce su ciò che si desidera misurare. Questo effetto di disturbo sarà tuttavia trascurabile quanto più lo sarà l’azione della carica di misura rispetto alle altre: una carica di 1 Coulomb è però, in genere, un valore abbastanza consistente. Allora converrà prendere una carica che sia il più debole possibile, in modo da non disturbare la configurazione, e misurare, anziché la forza su di una carica che vale 1, il rapporto fra la F . l’intensità della forza F che si registra, e la carica di prova, molto piccola, q p che vi si è posta: qp Infatti questo rapporto ha lo stesso valore numerico della forza che agisce su di una carica che vale 1C, ed è importante convincersi che esso non dipende dalla carica q p che abbiamo scelto: lo si vede chiaramente nel caso semplice del campo generato da una carica anch’essa puntiforme Q. Dato che il valore di q p figura anche nella legge di Coulomb, questo si semplifica: 2 F 1 = qp qp 1 Qq p 4πε r 2 0 1 Q rˆ = rˆ 2 4πε0 r rˆ , come sappiamo già, è per definizione orientato da Q verso q p e per raffigurare la forza che agisce su q p dobbiamo riferirci al suo Q rappresentante applicato dove si trova q p . Il versore F qp q p cambia di valore o di segno, cambiano senz’altro sia il valore che la direzione della forza F , ma non F cambia , che, come si vede dalla formula sopra, rimane uguale a prima tanto in intensità quanto in qp Se direzione. Dal principio di sovrapposizione, immaginando una configurazione di carica come sovrapposizione di |F | tante cariche puntiformi distribuite, possiamo far discendere l’indipendenza di dal valore di q p in qp qualunque caso. Basta infatti pensare che la forza F come il risultato dell’azione congiunta di tutte queste cariche puntiformi, e che per ognuna di esse l’interazione con q p è regolata dalla legge di Coulomb, e così si può ripetere il ragionamento fatto sopra. Definiamo quindi campo elettrico E la grandezza vettoriale3 che fornisce la forza per ogni unità di carica e che operativamente è misurabile come: F E≡ qp F va inteso come misurato dove q p è una carica di prova ed F la forza che agisce su di essa; il valore di qp nel caso limite in cui q p è così debole da non alterare la configurazione che origina F . 3 La presenza del segno “ ≡ ” nell’uguaglianza indica che non si stanno comparando dei valori numerici , ma che si sta solamente dando un nome al rapporto F qp . L’idea nuova è a destra dell’uguale, non a sinistra! 3 1.2 Le linee di forza L’intensità e la direzione del campo elettrico nello spazio risultano efficacemente visualizzate se si adoperano delle curve dette linee di forza. Esse sono definite come segue: E 1) La linea di forza (o di campo) è una linea orientata, e la sua direzione è tale che in ogni suo punto il vettore E sia ad essa tangente ed equiverso. 2) Le linee di forza non si intersecano mai perché se così fosse vi sarebbe una ambiguità sulla tangente nel punto di intersezione. A 3) Le linee di forza hanno verso uscente da una carica, se essa è positiva, entrante se è negativa. Nascono nelle cariche positive (o dall’infinito) e terminano nelle cariche negative (o all’infinito). 4) Lontano dalle sorgenti le linee di forza del campo elettrico sono linee aperte: percorrendole sempre nello stesso verso non si ritornerebbe mai al punto di partenza 5) Criterio di Faraday: presa una superficie che attraversi a 90 gradi le linee di campo si assume che quanto più sono numerose le linee che passano attraverso la superficie, tanto più intenso è il campo elettrico in quella regione. Vediamo di seguito la rappresentazione del campo elettrico generato da una coppia di cariche positive e da un dipolo, cioè una coppia di cariche uguali di segno opposto. Come si vede le linee si infittiscono in prosismità della carica, dove il campo si fa più intenso. 4 Esempio Con riferimento alla figura si calcoli il valore della carica negativa q1 supponendo noto quello della carica positiva q2 . In q1 entrano 8 linee di forza, mentre da q2 ne escono 14 . Quindi l’intensità del campo elettrico originato da q2 deve 14 7 = di quello originato da q1 . essere maggiore di un fattore 8 4 Nello stesso rapporto, con segno invertito, sono i valori delle due cariche: 4 q1 = − q2 7 q2 q1 Esempio Come vedremo, per ottenere un campo elettrico costante in intensità e direzione, le cui linee di forza siano lungo rette parallele occorre prendere un sistema di due strati piani infiniti, carichi uniformemente di segno opposto, sistema detto condensatore piano. Si calcoli l’angolo ϑ e la tensione del filo a cui è appesa una pallina di massa m e carica q > 0 che si trovi in equilibrio nel condensatore piano in figura. Applichiamo il secondo principio della dinamica. Direzione orizzontale: qE − T sin ϑ = max = 0 Direzione verticale: T cos ϑ − mg = may = 0 ⇒ ⇒ T = T = qE sin ϑ mg cos ϑ Uguagliando i risultati si ottiene: qE mg = sin ϑ cos ϑ e ricordando che sin ϑ = ⇒ ϑ T qE mg tan ϑ = ± tan ϑ 2 qE mg ⇒ , cos ϑ = 1 + tan ϑ qE ϑ = arctan mg ±1 1 + tan2 ϑ si ottiene: qE 2 = (mg )2 + (qE )2 T = mg 1 + mg Una successione di due condensatori piani orientati perpendicolarmente trova applicazione nel tubo catodico dei vecchi televisori per deflettere i fasci di elettroni emessi dal filamento che colpiscono i pixel rossi, verdi e blu. Stessa tecnica nelle stampanti a getto d’inchiostro dove le goccioline d’inchiostro sono caricate elettricamente e poi guidate sul punto desiderato della pagina cambiando il valore del campo elettrico dei condensatori. Studiare linee di forza pp 19-22 es p 39 n. 37; p40 n. 40 Esercizi come quello del filo nel condensatore: p 40 n. 42, p 42 n. 65 esercizi sul calcolo del campo elettrico semplici p. 39 n. 28,29,30, difficile p.39 n. 34 5