Responsabilità civile e previdenza 3-2011

R E SPONS A BI L I TÀ
CI V ILE E
PR E V I DE NZ A
rivista mensile di dottrina,
giurisprudenza e legislazione
diretta da
Giovanni Iudica – Ugo Carnevali
| e s t rat t o
L’a b u s o d e l d i r i t t o
da parte di uno dei
coniugi separandi
di Valeria Corriero
giurisprudenza
ABUSO DEL DIRITTO
55 LA CONFLITTUALITÀ CONIUGALE
NON RISOLTA DALL’AUTONOMIA
NEGOZIALE
TRIB. VARESE, 23 GENNAIO 2010 (ORD.) - G.U. BUFFONE
Matrimonio - Separazione consensuale - Autonomia negoziale dei coniugi - Impegno a vendere
la casa coniugale - Collegamento contrattuale - Condotta contraria a buona fede di uno dei
coniugi - Responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3, c.p.c.
(cost. artt. 2, 111; c.c. artt. 158, 1322, comma 2, 1375, c.p.c. art. 96, comma 3)
La clausola della separazione consensuale istitutiva dell’obbligo di vendita dell’immobile
adibito a casa coniugale si configura come del tutto « autonoma » rispetto al regolamento
concordato dai coniugi in ordine alla separazione e presuppone la collaborazione di entrambi
i contraenti per la esecuzione della vendita a terzi.
[In materia si vedano Cass. civ., 22 novembre 2007, n. 24321; Cass. civ., 6 novembre 2008, n.
26739]
[La sentenza si legge in www.giuffre.it/riviste/resp] (*)
L’ABUSO DEL DIRITTO DA PARTE DI UNO DEI
CONIUGI SEPARANDI
di Valeria Corriero – Ricercatore di diritto privato nell’Università di Bari
La condotta contraria a buona fede di un coniuge in sede di esecuzione di una clausola dell’accordo di
separazione per la vendita della casa coniugale, non qualificabile correttamente nel caso sottoposto al
vaglio del giudice varesino come contratto preliminare a favore del terzo, trattandosi di un contratto ad
effetti obbligatori rientrante in un collegamento contrattuale volto alla divisione della casa coniugale, è
sanzionabile, quando si traduca in sede giudiziale nell’esercizio abusivo dello strumento processuale.
Sommario 1. L’incerta qualificazione giuridica della fattispecie. — 2. Il collegamento contrattuale
nella regolamentazione della crisi coniugale. — 3. (Segue). Causa di un « accordo » per la vendita della
casa coniugale stipulato dai coniugi separandi. — 4. (Segue). Il venire contra factum proprium in sede di
definizione consensuale della crisi coniugale. — 5. (Segue). Abuso delle situazioni giuridiche soggettive sostanziali e processuali da parte del coniuge separando.
(*) La sentenza si legge anche in questa Rivista,
2010, 1829, con nota di MORANO CINQUE, Lite temera-
ria: la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., tra
funzione punitiva e funzione risarcitoria, ivi, 1837.
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giurisprudenza
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ABUSO DEL DIRITTO
1. L’INCERTA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DELLA FATTISPECIE
La fattispecie in esame offre un esempio di regolamentazione dei rapporti patrimoniali
tra coniugi in occasione di una crisi coniugale (1), in quanto nell’accordo di separazione
consensuale i coniugi, con apposita clausola, si impegnano a vendere l’immobile adibito a casa coniugale (2), eventualmente tramite la nomina di un mediatore. Siamo di
fronte ad un patto propedeutico ad un trasferimento immobiliare, avente un profilo
funzionale del tutto autonomo rispetto alla crisi familiare (3), cui è soltanto occasionalmente connesso, poiché tale patto non assolve una funzione solutoria dell’obbligo
legale di mantenimento a carico del coniuge che promette di trasferire il bene all’altro
coniuge o ai figli (4), in quanto i due coniugi in crisi, processualmente identificati come
(1) Si rinvia all’ampia letteratura sul tema, OBERTO,
I contratti della crisi coniugale, I e II, Milano, 1999;
ID., Del « galateo post-matrimoniale »: ovvero gli accordi sui comportamenti e sul cognome maritale tra
separati e divorziati « Les liens entre les êtres ne
sont pas à notre disposition ». (J. CHARDONNE, Propos
comme ca, 1966, Grasset), in Riv. notariato, 1999, 337
ss.; DORIA, Autonomia privata e « causa » familiare,
Milano, 1996; BRIGANTI, Crisi della famiglia e attribuzioni patrimoniali, in Riv. not., 1997, 1 ss.; CECCHERINI, Contratti tra coniugi in vista della cessazione
del ménage, Padova, 1999; CAPOBIANCO, Crisi familiare ed autonomia privata, in Rass. dir. civ., 2003,
809 ss.; PATTI, Accordi patrimoniali tra coniugi connessi alla crisi del matrimonio. Autonomia negoziale e ruolo del notaio, in Vita not., 2004, II, 1381 ss.;
RUSCELLO, Autonomia coniugale e crisi della famiglia. Rilievi introduttivi, ivi, 2005, I, 68 ss.; QUADRI,
Autonomia dei coniugi e intervento giudiziale nella
crisi della famiglia, in Familia, 2005, 1 ss. Con riferimento all’autonomia privata nel diritto di famiglia,
si rinvia a SANTORO PASSARELLI, L’autonomia privata
nel diritto di famiglia, in Dir. giur., 1945, 3 ss.; ed
anche in ID., Saggi di diritto civile, I, Napoli, 1961,
381 ss.; RUSSO, Negozio giuridico e dichiarazioni di
volontà relative ai procedimenti « matrimoniali » di
separazione, di divorzio, di nullità, in Dir. fam.
pers., 1989, 1079 ss.; DONISI, Limiti all’autoregolamentazione degli interessi nel diritto di famiglia, in
Rass. dir. civ., 1997, 494 ss.; OPPO, Autonomia negoziale e regolamento tipico nei rapporti patrimoniali
tra coniugi, in Riv. dir. civ., 1997, I, 19 ss.; ANGELONI,
Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, Padova, 1997; ZOPPINI, L’autonomia
privata nel diritto di famiglia, sessant’anni dopo, in
Riv. dir. civ., 2002, I, 213 ss.; FERRANDO, Autonomia
privata e rapporti familiari (note a margine del libro
di Giuseppa Palmeri), in Riv. trim. dir. proc. civ.,
2003, 651 ss.; PALMERI, Il contenuto atipico dei negozi
familiari, Milano, 2001; RUSSO, L’autonomia negoziale nei rapporti giuridici familiari. Diritti indero-
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gabili e potere di disposizione dell’assegno di mantenimento, in Scritti in memoria di V.E. Cantelmo, II,
Napoli, 2003, 681 ss.; AUTORINO STANZIONE, Autonomia negoziale e rapporti coniugali, in Rass. dir. civ.,
2004, 1 ss.
(2) Rientrano nell’ambito dell’autonomia contrattuale gli accordi tra i coniugi, anche modificativi,
purché non varchino il limite di inderogabilità di cui
all’art. 160 c.c., secondo Cass. civ., 24 febbraio 1993,
n. 2270, in Dir. fam. pers., 1994, 554 ss., con nota di
DORIA, Autonomia dei coniugi in occasione della separazione consensuale ed efficacia degli accordi
non omologati; per quanto concerne gli accordi anteriori e coevi all’accordo omologato cfr. Cass. civ., 22
gennaio 1994, n. 657, in Fam. dir., 1994, 139 ss., con
nota di CARBONE, Autonomia privata e rapporti patrimoniali tra coniugi in crisi.
(3) In tal senso v. Cass. civ., 22 novembre 2007, n.
24321, in Giust. civ., 2008, 1198 ss.; Cass. civ., 5 marzo
2001, n. 3149, in Fam. dir., 2001, 442 ss.
(4) OBERTO, I trasferimenti patrimoniali in occasione della separazione e del divorzio, in Familia, 2006,
181 ss.; ID., Prestazioni « una tantum » e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, Milano, 2000; ID., I trasferimenti mobiliari e
immobiliari in occasione di separazione e divorzio,
in Fam. dir., 1995, 155 ss.; TRAPANI, Il trasferimento
di beni in esecuzione degli accordi di separazione e
di divorzio, in Riv. notariato, 2007, 1417 ss.; CAPOBIANCO, I trasferimenti patrimoniali nella crisi familiare, in Rass. dir. civ., 2006, 359 ss.; DE SIMONE, I
trasferimenti immobiliari nei giudizi di separazione
e divorzio nella prassi giurisprudenziale, tratto dall’incontro di studi sul tema Crisi coniugale e patrimonio tra prassi e giurisprudenza, organizzato dall’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia, sezione territoriale di Bari, e svoltosi a Bari il 28 ottobre
2005; CARBONE, I trasferimenti immobiliari in occasione della separazione e del divorzio, in Notariato,
2005, 622 ss.; RUSSO, I trasferimenti patrimoniali
tra coniugi nella separazione e nel divorzio.
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ricorrente e resistente, come emerge dalla stessa ordinanza in rassegna nella parte
finale, rappresentano la parte venditrice, quale parte complessa (5), del contratto di
compravendita che stipuleranno, eventualmente attraverso l’attività di un mediatore (6).
Nulla quaestio sull’autonomia causale della clausola avente ad oggetto la vendita
dell’immobile adibito a casa coniugale dal resto dell’accordo. Tuttavia, ciò che non
convince affatto è la qualificazione giuridica della fattispecie in esame in termini di
«contratto preliminare di contratto definitivo a favore del terzo, attraverso il quale le
parti si impegnano a stipulare un contratto definitivo di compravendita con un terzo da
identificare», operata dal giudice di merito. Desta meraviglia l’erronea qualificazione
della fattispecie, poiché i precedenti giurisprudenziali di legittimità relativi al contratto
preliminare (7), derivanti da una crisi coniugale, configurano chiaramente una diversa
fattispecie. Il contratto preliminare da crisi coniugale (8), rientrante nella definizione
dottrinale di «schema bifasico» (9), si realizza se il trasferimento immobiliare avviene a
beneficio dell’altro coniuge stipulante o della prole, in adempimento degli obblighi di
mantenimento nei confronti di quest’ultimi. Nell’ipotesi di trasferimento immobiliare
a favore dei figli, ricorre la figura del contratto preliminare a favore del terzo, se i
coniugi in sede di separazione consensuale o di divorzio su domanda congiunta, assumono il mero obbligo di trasferimento della proprietà dell’immobile, in adempimento
degli obblighi di mantenimento nei confronti dei figli, cui seguirà il successivo rogito
notarile di cessione, che enuncia come causa il suddetto accordo (10). Il figlio acquista il
diritto contro il promittente per effetto della stipulazione e fino all’accettazione, solo lo
Autonomia negoziale e « crisi » della famiglia, Napoli, 2001.
(5) In dottrina si veda D’ANDREA, La parte soggettivamente complessa. Profili di disciplina, Milano,
2002, 27 ss.; CATERINI-CHIAPPETTA (a cura di), L’autonomia negoziale e il concetto di parte nella dottrina
e nella giurisprudenza, Napoli, 2003.
(6) Nella parte della ordinanza relativa alla condanna ex officio ex art. 96, comma 3, c.p.c., viene
sottolineato l’aspetto dell’unicità di interesse del ricorrente e del resistente rispetto alla vendita dell’immobile, in quanto parte venditrice, seppure non in
riferimento alla natura giuridica della clausola per
cui è lite, ma alla contestazione della mancanza di
imparzialità del mediatore denunciata dalla moglie.
(7) V. di recente Cass. civ., 13 maggio 2008, n.
11914, con nota di MONEGAT, Il creditore del coniuge
può ottenere la revoca dell’attribuzione in proprietà
all’altro coniuge effettuata in sede di separazione
consensuale, in Imm. propr., 2008, 455 ss.
(8) Sul punto v. CORRIERO, I trasferimenti immobiliari e le altre regolamentazioni nella crisi familiare,
in Gazz. not., 2009, 376-378.
(9) BRIGANTI, Crisi della famiglia e attribuzioni patrimoniali, cit., 6 s.
(10) Per quanto attiene il trattamento fiscale v. RUSSO, I trasferimenti patrimoniali tra coniugi nella separazione e nel divorzio, cit., 223 ss., il quale analizza
l’art. 8, lett. f), della parte prima della tariffa allegata
al d.P.R. 6 aprile 1986, n. 131, che individua tra gli atti
soggetti a registrazione a tassa fissa, « gli atti dell’autorità giudiziaria aventi ad oggetto lo scioglimento o
la cessazione degli effetti civili del matrimonio e la
separazione personale, ancorché recanti condanne
al pagamento di assegni o attribuzioni di beni patrimoniali ». Con la sentenza della Corte cost., 10 maggio 1999, n. 154, in Fam. dir., 1999, 539 ss., con nota di
CARAVAGLIOS, La Consulta parifica definitivamente il
trattamento degli atti relativi ai procedimenti di separazione e di divorzio, si è estesa l’applicazione
dell’art. 19, l. 6 marzo 1987, n. 74, anche in caso di
separazione personale dei coniugi, la quale esenta
dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa,
tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al
procedimento di scioglimento del matrimonio o di
cessazione degli effetti civili del matrimonio. Seguono il filone interpretativo inaugurato dal giudice delle leggi le seguenti pronunce della giurisprudenza di
legittimità, quali ad es. Cass. civ., 30 maggio 2005, n.
11458, in Giust. civ. Mass., 2005, 5; Cass. civ., 22
maggio 2002, n. 7493, in Giust. civ. Mass., 2002, 900;
Cass. civ., 17 febbraio 2001, n. 2347, in Riv. giur. trib.,
2001, 1345, con nota di FIGONE, La Suprema Corte
conferma l’esenzione da INVIM per i trasferimenti
immobiliari in sede di divorzio.
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stipulante può revocare ma non anche il promittente. La natura giuridica del contratto
definitivo, invece, è quella di contratto con obbligazioni del solo proponente ex art.
1333 c.c. (11).
Pertanto, si contesta non soltanto la qualificazione in termini di contratto preliminare (12), pur trattandosi, come ammesso dallo stesso giudice, di un contratto ad effetti
obbligatori, ma soprattutto la qualificazione in termini di contratto a favore del terzo,
del quale non sussistono i requisiti codicistici ex art. 1411 c.c. (13). L’intento dei coniugi
è quello di dividere la casa coniugale, attraverso futuri negozi collegati, ma che possano
anche trovare strade alternative alla mediazione immobiliare (14); infatti, la clausola
prevede l’eventualità del ricorso ad un intermediario immobiliare.
2. IL COLLEGAMENTO CONTRATTUALE NELLA REGOLAMENTAZIONE DELLA CRISI CONIUGALE
Altro aspetto controverso risulta essere il profilo della causa concreta (15), individuata
nell’interesse dei coniugi a procedere ad uno scioglimento convenzionale parziale
della comunione legale.
In realtà, lo scioglimento della comunione legale si è prodotto ope legis, ex art. 191
(11) Cass. civ., 21 dicembre 1987, n. 9500, in Giust.
civ., 1988, I, 1237 ss., con nota critica di COSTANZA,
Art. 1333 c.c. e trasferimenti immobiliari solutionis
causa.
(12) Il giudice nell’ordinanza in epigrafe parla esattamente di un’affinità con il preliminare; tuttavia,
non essendo configurabile il preliminare, neanche
unilaterale, l’affinità di cui parla quest’ultimo rileverebbe soltanto in termini di natura giuridica, secondo le tesi tradizionali (contra MONTESANO, Contratto
preliminare e sentenza costitutiva, Napoli, 1953, 84
ss.), ma non univoche, che configurano il preliminare come contratto ad effetti obbligatori.
(13) Per un ampio approfondimento dei rapporti tra
contratto a favore di terzo e c.d. principio di relatività
del contratto v. MOSCARINI, Il contratto a favore di
terzi, in Cod. civ. Commentario Schlesinger, Milano,
1997, 4 ss; in generale, PACCHIONI, Contratto a favore
di terzi, Milano, 1933; MAJELLO, L’interesse dello stipulante nel contratto a favore di terzi, Napoli, 1962;
ANGELONI, Contratto a favore di terzi, in Comm. cod.
civ. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2004.
(14) Secondo Cass. civ., 14 luglio 2009, n. 16382, in
Corr. giur., 2010, 206 ss., con nota di PUCE, La mediazione è attività giuridica in senso stretto. Tutto il
resto è mandato. Approdo discutibile e controverso,
è presente un discrimen tra la mediazione tipica disciplinata dal codice civile, di fonte non negoziale, e
quella che si identifica con il contratto di mandato, e
quindi non riconducibile alla « mediazione negoziale
atipica ». Per una panoramica sulle diverse ricostruzioni dottrinali sulla amorfa natura giuridica della
mediazione v. MARINI, La mediazione, in Cod. civ.
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Commentario Schlesinger, Milano, 1992; VISALLI, La
mediazione, Padova, 1992; GIORDANO-IANNELLI-SANTORO PASSARELLI, Il contratto di agenzia. La mediazione, Torino, 1993; PERFETTI, La mediazione. Profili
sistematici ed applicativi, Milano, 1996; TROISI, La
mediazione come atto del procedimento di formazione del contratto, in Riv. dir. civ., 1997, II, 37 ss.;
SERRAVALLE, I contratti di intermediazione e la garanzia prestata dall’intermediario, Napoli, 2004;
LUMINOSO, La mediazione, Milano, 2006.
(15) La distinzione tra schema causale astratto, rappresentato dalla configurazione della causa come
funzione economico-sociale (BETTI, Teoria generale
del negozio giuridico, Torino, 1952, 172 ss.; SANTORO
PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1977, 128 s.), e causa concreta del negozio, rappresentata dall’interesse perseguito e normato dal regolamento contrattuale (Sez. Un. civ., 11 gennaio 1973,
n. 63, in Foro it., 1973, I, 1085 ss.; Cass. civ., 28 gennaio 1983, n. 808, in Rep. Foro it., 1983, voce Contratto in genere, n. 157; Cass. civ., 22 marzo 2007, n. 6969,
ivi, 2007, voce cit., n. 358), persegue lo scopo di evitare di confondere causa e tipo (FERRI, Causa e tipo
nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, 355
ss., individua nella causa la « la funzione economicoindividuale », la quale ultima stigmatizza la funzione
assolta in concreto dall’operazione economica posta
in essere dalle parti contrattuali), derivante dalle costruzioni dottrinali cosiddette oggettive, il che porterebbe alla conclusione che i contratti tipici, in quanto
previsti dalla legge, non potrebbero che avere causa
lecita. In generale, v. GIORGIANNI, Causa (dir. priv.),
in Enc. dir., VI, Milano, 1960, 547 ss. e 564 ss.
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c.c., sì che non si configura uno scioglimento convenzionale della comunione legale,
ma l’autonomia negoziale investe in modo unitario l’operazione divisionale.
Come sostenuto da acuta dottrina (16), gli accordi relativi allo scioglimento della
comunione legale ineriscono alla sedes materiae del matrimonio e quindi rientrano
nell’ambito di applicazione dell’art. 162 c.c., mentre i negozi che attengono alla divisione dei beni della comunione presentano la stessa natura giuridica di quelli relativi
allo scioglimento della comunione ereditaria (17) o di quella ordinaria, sì che devono
rispettare la forma prevista nell’art. 1350, n. 11.
La pattuizione preliminare precorre le successive fasi negoziali, le quali risultano
essere caratterizzate da un collegamento negoziale, come sottolineato dalla ordinanza
in rassegna. Tuttavia, la clausola in questione non presenta i requisiti e i presupposti di
legge del contratto preliminare, ma rientra in una programmazione negoziale più
ampia, che esprime la sua atipicità negoziale ex art. 1322, comma 2, c.c., sotto il profilo
del collegamento negoziale «volontario» e «atipico» (18), del tutto autonomo rispetto
all’accordo di natura non patrimoniale sul vivere separati (19).
Secondo un’autorevole ricostruzione dottrinale (20) il collegamento contrattuale è
caratterizzato da una pluralità di distinti contratti, i quali risultino collegati da un nesso
di interdipendenza funzionale e teleologica (21) e dalla traslazione degli effetti di un
contratto agli altri.
Ebbene, nel caso in esame è presente anche l’elemento soggettivo, costituito dalla
volontà dei coniugi di regolamentare i loro rapporti patrimoniali in occasione del
procedimento di separazione consensuale, che sfocia preliminarmente nell’impegno
reciproco di vendere l’immobile, con la espressa previsione dell’eventuale nomina di
un mediatore immobiliare, cui seguirà la vendita effettiva e la conseguente divisione, la
quale ultima rappresenta il fine dell’operazione economica unitaria. L’equivoco sull’erronea qualificazione del contratto definitivo potrebbe derivare dalla circostanza
che in questi negozi collegati le parti non coincidono sempre nella figura dei due
coniugi (22), i quali nel negozio ad effetti obbligatori e nella futura divisione rappresen(16) BARBIERA, La comunione legale, in Tratt. dir.
priv., diretto da Rescigno, 3, Torino, 1982, II ed., 642.
(17) Sul punto si rinvia a BURDESE, La divisione ereditaria, Torino, 1980, 117-128; sulla natura del contratto di divisione v. MORA, Il contratto di divisione,
Milano, 1995, 77 ss.
(18) Sul tema v. amplius MAISTO, Il collegamento
volontario tra contratti nel sistema dell’ordinamento giuridico. Sostanza economica e natura giuridica
degli autoregolamenti complessi, Napoli, 2000, passim.
(19) Secondo ZATTI, I diritti e i doveri che nascono
dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in
Tratt. dir. priv. Rescigno, 3, Torino, 1982, 135, l’accordo sul vivere separati rappresenta uno dei momenti più significativi dell’autonomia negoziale nel
diritto familiare; sulla natura negoziale dell’accordo
di vivere separati v. anche FALZEA, La separazione
personale, Milano, 1943, 93 ss.; ANGELONI, Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti
familiari, cit., 221; RUSSO, Negozio giuridico e dichiarazioni di volontà, cit., 1093; OBERTO, La natura dell’accordo di separazione consensuale e le regole ad
esso applicabili, in Fam. dir., 1999, 601 ss.; in giurisprudenza v. Cass. civ., 24 febbraio 1993, n. 2270, in
Dir. fam. pers., 1994, 554 ss., con nota di DORIA, Autonomia dei coniugi in occasione della separazione
consensuale ed efficacia degli accordi non omologati; Trib. Napoli, 13 marzo 1989, ivi, 1990, 135 ss.
(20) GIORGIANNI, Negozi giuridici collegati, in Riv.
it. sc. giur., 1937, 275 ss.
(21) Cass. civ., 18 luglio 2003, n. 11240, in Contratti,
2004, 118, con nota di BRAVO, L’unicità di regolamento nel collegamento negoziale: la « sovrapposizione » contrattuale. V. anche Cass. civ., 16 gennaio
2006, n. 5851, in Giust. civ. Mass., 2006, 3.
(22) Sull’inessenzialità della identità delle parti rispetto alla struttura del collegamento v. MAISTO, Il
collegamento volontario tra contratti nel sistema
dell’ordinamento giuridico, cit., 138.
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giurisprudenza
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ABUSO DEL DIRITTO
tano parti contrapposte, mentre nel contratto di compravendita costituiscono la parte
complessa.
Infatti, la clausola in questione prevede l’eventualità della nomina di un mediatore
immobiliare, il quale, all’esito del suo mandato, se non si fossero verificati comportamenti scorretti da parte di uno dei due coniugi, contrari alla clausola generale di buona
fede, come invece accaduto, avrebbe consentito ai separandi, a seguito della vendita
della casa coniugale, di poter dividere in parti uguali il ricavato.
Condivisibile è la tripartizione del collegamento negoziale indicata dal giudice
varesino, costituita dal contratto ad effetti obbligatori per cui è causa, dalla successiva
compravendita, anche se non qualificabile come vendita a favore del terzo, come sopra
chiarito, e dalla divisione del ricavato della vendita del bene. Ed ecco perché, nell’esercizio dell’autonomia negoziale di diritto familiare, i coniugi decidono di accelerare la
divisione della casa coniugale, seppure nell’ambito della disgregazione familiare, attraverso la nomina di un mediatore immobiliare, con consequenziale vendita dell’immobile e divisione in parte uguale del ricavato.
3. (SEGUE). CAUSA DI UN « ACCORDO » PER LA VENDITA DELLA
CASA CONIUGALE STIPULATO DAI CONIUGI SEPARANDI
La giurisprudenza riconosce ormai da tempo l’ammissibilità dei trasferimenti in occasione, e non solo in sede, di separazione e divorzio, in relazione sia ai negozi aventi
efficacia meramente obbligatoria, sia agli atti immediatamente traslativi (23). Il leading
case risale alla celebre sentenza della Suprema Corte del 1997 (24), la quale chiarisce la
natura di atto pubblico del verbale di separazione consensuale e la sua idoneità a
costituire titolo per la trascrizione. La Cassazione statuisce l’ammissibilità degli accordi
di separazione che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di
beni mobili o immobili, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi al fine
di assicurarne il mantenimento, inseriti in un verbale di separazione consensuale. In
tale occasione, la giurisprudenza di legittimità puntualizza le questioni sulla forma
dell’accordo di separazione; quest’ultimo confluisce nel verbale d’udienza, redatto da
un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato, sì che
assume forma di atto pubblico ai sensi dell’art. 2699 c.c., e, ove implichi il trasferimento
di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l’omologazione che lo rende efficace, titolo
per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c.
Occorre, tuttavia, distinguere i trasferimenti immobiliari o le altre regolamentazioni tra coniugi in funzione di definizione della crisi coniugale, e quindi con funzione
solutoria dell’obbligo legale di mantenimento a carico del coniuge che trasferisce o
(23) Cass. civ., 11 novembre 1992, n. 12110, in Giur.
it., 1994, 304 ss., con nota di MORACE PINELLI, Separazione consensuale e negozi atipici familiari, aveva
qualificato come negozio traslativo la dichiarazione
contenuta nel verbale di separazione personale consensuale, con la quale era stata a suo tempo riconosciuta al marito la proprietà esclusiva di un appartamento, malgrado il giudice di primo grado l’avesse
qualificata come una mera dichiarazione di scienza,
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disconoscendo la volontà negoziale rientrante in un
complessivo regolamento di interessi.
(24) Cass. civ., 15 maggio 1997, n. 4306, in Fam. dir.,
1997, 417 ss., con nota di R. CARAVAGLIOS, Trasferimenti immobiliari nella separazione consensuale
tra coniugi; in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, 278
ss., con nota di ZANUZZI, I trasferimenti immobiliari
tra coniugi in sede di separazione consensuale.
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promette di trasferire il bene all’altro coniuge o ai figli, da quelli che hanno funzione
anche addizionale rispetto all’adempimento già onorato con il versamento di un assegno periodico oppure hanno un profilo funzionale del tutto autonomo rispetto alla crisi
familiare cui sono solo occasionalmente connessi.
Nel caso in esame, non trattandosi di un trasferimento tra coniugi, ma di un contratto ad effetti obbligatori, avente ad oggetto l’impegno dei coniugi ad una vendita,
collegato alla consequenziale divisione della casa coniugale, siamo dinanzi ad un’ipotesi negoziale di sistemazione complessiva dei rapporti patrimoniali tra coniugi derivanti dalla disgregazione della famiglia.
Della natura onerosa dei «contratti della crisi coniugale» (25), né la giurisprudenza di
merito, né quella di legittimità (26), né tanto meno la dottrina (27), dubitano più, data
l’assenza dell’animus donandi in occasione della separazione e del divorzio e le notevoli difficoltà applicative della disciplina del contratto di donazione sia dal punto di
vista sostanziale, con particolare riferimento all’azione di revocazione per ingratitudine o per sopravvenienza di figli, o a quella di riduzione ed infine all’obbligo della
collazione, sia formale. Il difetto di forma deriverebbe dall’inidoneità del verbale di
separazione o di divorzio, data l’assenza dei due testimoni richiesti dall’art. 48 l. not., sì
che in sede giurisdizionale, non sarebbe soddisfatto il requisito della forma ad substantiam.
Un altro orientamento della giurisprudenza di legittimità ha qualificato l’accordo
traslativo come accordo transattivo e aleatorio (28), ossia come modalità di risoluzione
dei conflitti familiari in atto.
In dottrina si è sostenuta la nullità radicale per illiceità degli accordi traslativi
transattivi (29), in quanto aventi ad oggetto diritti indisponibili, come il diritto al mantenimento del coniuge separato ex art. 156 c.c., che è considerato indisponibile, in quanto
prosecuzione del dovere di contribuzione ex art. 143 c.c.
In realtà, la negoziabilità dei rapporti tra i coniugi in sede di separazione e di
divorzio, la quale si sostanzia nell’esercizio da parte del titolare del potere di determinare la misura e le modalità di esercizio dello stesso, non incide sull’indisponibilità di
un diritto inderogabile, qualora non vengano lesi «gli interessi primari della persona
che costituiscono la ratio dell’inderogabilità» (30).
In tale prospettiva, si considererà illegittima la transazione che subordini il consenso al mutamento di status a trasferimenti patrimoniali, con la consequenziale
incidenza sulla libertà di difendersi in giudizio (31).
(25) OBERTO, Prestazioni « una tantum » e trasferimenti tra coniugi, cit., 122 s.
(26) Cass. civ. n. 4306/1997, cit. (v. supra nota n. 24);
Cass. civ., 23 marzo 2004, n. 5741, in Riv. dir. comm.,
2004, 283 ss., con nota di FARINA; Cass. civ., 17 giugno
2004, n. 11342, in Giust. civ., 2005, 2, I, 415 ss.; Cass.
civ., 14 marzo 2006, n. 5473, in Giust. civ. Mass.,
2006, 3; Cass. civ., 24 aprile 2007, n. 9863, in Giust.
civ., 2008, 1017 ss.
(27) METITIERI, La funzione notarile nei trasferimenti di beni tra coniugi in occasione di separazione e di divorzio, in Riv. not., 1995, 1166 s.
(28) Cass. civ., 5 settembre 2003, n. 12939, in Dir.
fam. pers., 2004, 66 ss.
(29) RUSSO, Gli atti determinativi del contenuto di
obblighi legali nel diritto di famiglia, in ID., Le convenzioni matrimoniali ed altri saggi sul nuovo diritto di famiglia, Milano, 1983, 223.
(30) RUSSO, I trasferimenti patrimoniali tra coniugi,
cit., 140 s.
(31) Cass. civ., 14 giugno 2000, n. 8109, in Giur. it.,
2000, III, 2229 ss., con nota critica di BARBIERA, Un
incerto revirement della Cassazione in favore della
validità degli accordi sui rapporti patrimoniali fra i
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giurisprudenza
55
ABUSO DEL DIRITTO
La difficoltà oggettiva di qualificare in termini di transazione i trasferimenti immobiliari in sede di separazione consensuale e di divorzio su domanda congiunta, deriverebbe piuttosto dalla tipica efficacia preclusiva della transazione, in contrasto con il
diritto di chiedere la revisione delle condizioni di separazione di cui agli artt. 156 c.c.,
710 c.p.c. e 9 l. div., nonché dall’assenza della causa transattiva, che si esprime in
concessioni reciproche (32), giacché i trasferimenti immobiliari o mobiliari in sede di
separazione o di divorzio si configurano generalmente come obblighi unilaterali (33).
Tuttavia, la variegata tipologia di interessi in gioco al momento della separazione e
del divorzio non consente di escludere a priori la possibilità che l’attività negoziale dei
coniugi sia sostenuta da un interesse transattivo, pur non potendo l’aspetto transattivo
costituirne la causa esclusiva.
Secondo un’autorevole ricostruzione dottrinale (34), la quale si riferiva all’epoca alla
dichiarazione di nullità del matrimonio, poi seguita dalla giurisprudenza con riferimento alla separazione e al divorzio, le attribuzioni patrimoniali tra i coniugi sarebbero
qualificabili in termini di contratto atipico, volto a realizzare interessi meritevoli di
tutela secondo l’ordinamento giuridico ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c., la cui causa
consisterebbe nell’adempimento dell’obbligazione di mantenimento nei confronti del
coniuge o della prole (35). Trasponendo la condivisibile teoria alla fattispecie in esame,
la causa coinciderebbe con l’impegno di dividere la casa coniugale attraverso operazioni di vendita coordinate dai coniugi, con la possibilità (prevista nella clausola n. 2
dell’accordo di separazione) dell’ausilio di un esperto del settore immobiliare.
Un’altra tesi di matrice giurisprudenziale è rappresentata dalla qualificazione delle
operazioni negoziali in sede di crisi familiare come «contratti atipici, ma con propri
presupposti e finalità» (36).
Secondo parte della dottrina, alla luce delle norme in tema di separazione consensuale e di divorzio su domanda congiunta, sarebbe configurabile una «causa tipica di
definizione della crisi coniugale», o, come meglio puntualizzato, una «causa tipica di
definizione degli aspetti economici della crisi coniugale» (37). La tipicità del negozio
deriverebbe dalla lettura coordinata delle norme contenute negli artt. 711 c.p.c. e 4,
comma 16, l. div.; il nomen iuris di tali accordi è anche stato individuato nel «contratto
tipico della crisi coniugale» o di «contratto post-matrimoniale». Gli accordi in oggetto
rappresentano condizioni della separazione o del divorzio, finalizzati a definire gli
coniugi da valere anche dopo il divorzio; in Fam.
dir., 2000, 429 ss., con nota di CARBONE, Accordi patrimoniali deflattivi della crisi coniugale.
(32) PALAZZO, La transazione, in Tratt. dir. priv. Rescigno, 13, Torino, 1985, 303 ss.
(33) OBERTO, I trasferimenti mobiliari e immobiliari
in occasione di separazione e divorzio, in Fam. dir.,
1995, 160.
(34) JEMOLO, Convenzioni in vista di annullamento
di matrimonio, in Riv. dir. civ., 1967, II, 530.
(35) Si tratterebbe di un contratto atipico con funzione solutoria, ove la dazione solutoria una tantum
ex art. 1197 c.c., secondo la Suprema Corte (Cass.
civ., 21 dicembre 1987, n. 9500, in Corr. giur., 1988,
⎪ P.676
144 ss.), sarebbe valida e in grado di estinguere definitivamente l’obbligo di mantenimento. Il coniuge
beneficiario dell’attribuzione accetta l’alea del sopravvenire di situazioni che rendono l’attribuzione
stessa inadeguata, ma, qualora venga a trovarsi in
stato di bisogno, resta sempre salvo il suo diritto a
chiedere gli alimenti all’altro coniuge.
(36) Cass. civ., 11 maggio 1984, n. 2887, in Mass.
Giur. it., 1984; Cass. civ., 12 settembre 1997, n. 9034,
in Fam. dir., 1998, 81 ss., seppure relativo ad un caso
di separazione di fatto.
(37) OBERTO, Prestazioni « una tantum » e trasferimenti tra coniugi, cit., 122-123.
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giurisprudenza
ABUSO DEL DIRITTO
55
aspetti economici della crisi coniugale, sì che ad essi saranno applicabili tutte le regole
codicistiche in tema di contratti (38).
4. (SEGUE). IL VENIRE CONTRA FACTUM PROPRIUM IN SEDE DI
DEFINIZIONE CONSENSUALE DELLA CRISI CONIUGALE
Il caso in esame desta interesse per la corretta applicazione della clausola generale di
buona fede in senso oggettivo (39) nella sua duplice valenza, interpretativa (art. 1366 c.c.)
e sostanziale (art. 1375 c.c.). Il diritto di famiglia è stato caratterizzato da incisive
connotazioni di carattere pubblicistico (40), derivanti dalla concezione della famiglia
quale istituzione sovraordinata rispetto ai singoli componenti (41), destinata a prevalere
nelle ipotesi di conflitto con gli interessi personali dei singoli componenti del nucleo
familiare. Tuttavia, l’apertura del diritto di famiglia alle «mobili frontiere della responsabilità civile» (42), e prim’ancora la caduta del principio di indissolubilità del matrimonio, seguita dall’eliminazione della patria potestà, ha consentito un riconoscimento
graduale e crescente della individualità e della personalità dei singoli (43) — finanche del
minore (44) — fondato sul precetto costituzionale dell’uguaglianza morale e giuridica dei
coniugi (artt. 29 e 30 Cost.), che si manifesta anche attraverso il dispiegarsi dell’autonomia contrattuale dei coniugi, fondata sul consenso.
Oltre che in caso di violazione dei doveri coniugali ex art. 143 c.c., i comportamenti
dei coniugi sono sanzionabili anche nelle ipotesi di patologia dell’autonomia negoziale,
la quale dovesse verificarsi a causa di comportamenti sleali e scorretti posti in essere
dalle parti contrattuali in fase esecutiva, e in particolare nella fattispecie in esame da
parte della moglie, in violazione dell’art. 1375 c.c., e in aperta violazione dei principi
(38) Cass. civ., 4 settembre 2004, n. 17902, in Vita
not., 2005, 273 ss., statuisce l’ammissibilità dell’azione di annullamento della separazione consensuale
omologata per vizi della volontà. Diversamente, non
è ammissibile l’impugnazione della separazione per
simulazione quando i coniugi abbiano chiesto al tribunale l’omologazione della loro (simulata) separazione, con particolare rifermento all’accordo di natura negoziale, ma non contrattuale sul vivere separati:
Cass. civ., 20 novembre 2003, n. 17607, in Dir. giust.,
2004, 36 ss, con nota di DANOVI, È davvero irrilevante
(e inaccettabile) la simulazione della separazione?,
in Dir. fam. pers., 2005, 455 ss.
(39) Sui principi e le clausole generali v. ENGISCH,
Introduzione al pensiero giuridico, Milano, 1970,
193, secondo il quale « per “clausola generale” dobbiamo dunque intendere una forma di fattispecie
che descrive con grande generalità un ambito di casi
e li consegna alla valutazione giuridica »; RODOTÀ, Il
tempo delle clausole generali, in Riv. crit. dir. priv.,
1987, 726 ss. A proposito della tecnica delle clausole
generali e della loro storicità v. PERLINGIERI, Il diritto
civile nella legalità costituzionale secondo il sistema
italo-comunitario delle fonti, Napoli, 2006, 223, il
quale pone in luce che « le clausole che nel codice del
1942 erano ispirate ad un’ideologia produttivistica e
autarchica, assumono un significato diverso se rilet-
te e applicate nella logica della solidarietà costituzionale ».
(40) Sull’ormai superata visione pubblicistica del
diritto di famiglia v. CICU, Il diritto di famiglia. Teoria
generale (rist. Bologna, 1978, a cura di SESTA), Roma,
1914, 13 ss.
(41) RESCIGNO, Ascesa e declino della società pluralista, in Persona e comunità, Bologna, 1966, 3 ss.
(42) L’espressione è di GALGANO, Le mobili frontiere
del danno ingiusto, in Contratto impr., 1985, 1 ss.
(43) In senso critico nei confronti del rifiuto della
giurisprudenza del superamento dell’immunità familiare, realizzabile attraverso l’esercizio da parte
dei componenti della famiglia dell’azione di risarcimento del danno per atti illeciti compiuti dall’altro
coniuge o dal genitore nei confronti del figlio, al fine
di non intaccare la tranquillità familiare e di non
violare l’intimità domestica, RESCIGNO, Immunità e
privilegio, in Riv. dir. civ., 1961, I, 438 ss., poiché
secondo l’autorevole a. non è sancita l’irresponsabilità penale tra i componenti del nucleo familiare.
(44) BESSONE, Rapporti etico-sociali, in Commentario Cost. Branca, Bologna-Roma, 1976, 86 ss. Sul
punto sia consentito il rinvio a CORRIERO, Privacy del
minore e potestà dei genitori, in Rass. dir. civ., 2004,
998 ss.
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P.677 ⎪
giurisprudenza
55
ABUSO DEL DIRITTO
costituzionali di solidarietà e di uguaglianza ex artt. 2 e 3 Cost., rafforzati, nell’ambito
del rapporto coniugale, dai corrispondenti principi di solidarietà coniugale e di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi ex art. 29 Cost.
L’ordinamento interviene attraverso quello che è stato definito un «principio supernormativo», ossia la clausola generale della buona fede (45), tesa a moralizzare i
rapporti interprivatistici caratterizzati dalla irragionevolezza.
Non soltanto la dottrina, ma anche la girisprudenza ha sottolineato la natura di
clausola generale della buona fede (46), a causa dell’ampiezza del contenuto del suo
ambito applicativo, che parte dalle obbligazioni (art. 1175 c.c.) e pervade tutta la materia contrattuale (artt. 1337, 1358, 1366, 1375, 1391 e 1460, comma 2, c.c.) (47).
La buona fede costituisce per il giudice un utile strumento di «governo della discrezionalità nell’esecuzione del contratto» e ne vieta, quindi, l’abuso (48), che nel caso
in esame è rappresentato dalla reiterata richiesta in sede giudiziale di nomina di un
nuovo mediatore da parte della moglie, malgrado la precedente istanza rivolta al
marito in sede di esecuzione del contratto, il quale, attenendosi a quanto contenuto
nell’accordo omologato, aveva provveduto, rispettando in fase esecutiva gli accordi
assunti in sede contrattuale; tuttavia, la moglie, pur manifestando la volontà di affidarsi
alla scelta univoca e discrezionale del marito nel sollecito all’adempimento della clausola contrattuale, sostiene in giudizio l’inefficienza del mediatore nominato dal resistente, nonostante si tratti di operatore regolarmente iscritto all’albo dei mediatori
immobiliari.
L’atteggiamento ambiguo e contradditorio della moglie viene ben stigmatizzato
dall’organo giudicante attraverso il tradizionale principio secondo cui nemo potest
venire contra factum proprium (49), del quale è attuazione la clausola generale di buona
(45) In tal senso v. ZACCHEO, Diritto privato e buona
fede, in AA.VV., Il diritto civile oggi. Compiti scientifici e didattici del civilista, Atti del I Convegno nazionale S.I.S.Di.C., Capri 7-9 aprile 2005, Napoli,
2006, 810. Per l’applicazione della clausola generale
di buona fede nell’esecuzione dei rapporti contrattuali v., in generale, NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, I, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu-Messineo, Milano, 1974; BRECCIA, Diligenza e buona fede
nell’attuazione del rapporto obbligatorio, Milano,
1968; PIETROBON, Il dovere generale di buona fede,
Padova, 1969; BIANCA, La nozione di buona fede come regola di comportamento contrattuale, in Riv.
dir. civ., 1983, I, 205 ss.; NANNI, La buona fede contrattuale, Padova, 1988; D’ANGELO, Il contratto in generale, IV, La buona fede, in Tratt. dir. priv. Bessone, Torino, 2004; CALDERAI, Buona fede in senso oggettivo, in PATTI-SIRENA (a cura di), Diz. sist., Diritto
civile. Famiglia successioni e proprietà, Milano,
2008, 11 ss.; GALLO, Contratto e buona fede. Buona
fede in senso oggettivo e trasformazioni del contratto, Torino, 2009.
(46) ROSELLI, Il controllo della Cassazione civile sull’uso delle clausole generali, Napoli, 1983, 7 ss., il
quale preferisce parlare di « disposizione di legge
⎪ P.678
elastica », a causa della ampiezza semantica della
espressione di clausola generale.
(47) NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 11 ss., sostiene che alla differenza terminologica tra correttezza (art. 1175 c.c.) e buona fede non
corrisponda una differenza concettuale.
(48) Cass. civ., 11 febbraio 2005, n. 2855, in Giur. it.,
2005, 1810 ss., con nota di SORRENTINO, Giudizio di
buona fede e rapporto di locazione, secondo la quale
la buona fede « opera sul piano della selezione delle
scelte discrezionali dei contraenti, assicurando che
l’esecuzione del contratto avvenga in armonia con
quanto emerge dalla ricostruzione dell’operazione
economica che le parti avevano inteso porre in essere, filtrata attraverso uno standard di normalità sociale, e, quindi, di ragionevolezza ».
(49) Per un approfondimento del principio si vedano i contributi monografici di FESTI, Il divieto di « venire contro il fatto proprio », Milano, 2007; ASTONE,
Venire contra factum proprium, Napoli, 2006. Sull’affermazione del principio di non contraddizione
negli ordinamenti europei v. GALLO, Contratto e buona fede, cit., 786 ss. V., altresì, SCARSO, Venire contra
factum proprium e responsabilità, in questa Rivista,
2009, 513.
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giurisprudenza
ABUSO DEL DIRITTO
55
fede (50). Nessuno, in esecuzione di uno schema negoziale cui ha aderito, può porre in
essere comportamenti apparentemente in linea con quanto previsto nel regolamento
contrattuale e che generano un legittimo affidamento (51), ma ai quali seguono comportamenti in contraddizione con gli accordi assunti in sede contrattuale. La scelta del
mediatore da parte del marito è perfettamente in sintonia con i suoi doveri contrattuali;
piuttosto la moglie si mostra inadempiente rispetto all’obbligo di collaborazione per
l’esecuzione dell’accordo raggiunto in sede di separazione consensuale (52). In tal senso,
il dovere di cooperazione si inserisce in una logica di efficiente conservazione del
contratto (53), in conformità con le esigenze della sicura circolazione della ricchezza. Si
richiamano, di sfuggita, nell’ordinanza in epigrafe, i Principi Unidroit, relativi ai contratti commerciali internazionali, i quali, per quanto lontani dai rapporti patrimoniali
tra coniugi in crisi, sanciscono all’art. 5.1.3, oltre ai vari richiami al principio di ragionevolezza e alla tutela dell’affidamento, che «ciascuna parte è tenuta a cooperare con
la controparte, quando questa può ragionevolmente attendersi tale cooperazione per
l’adempimento delle proprie obbligazioni».
In sede esecutiva del regolamento contrattuale divisato dai coniugi in crisi, la
moglie pone in essere un comportamento negoziale contrario alla buona fede (54),
attraverso l’esercizio della situazione giuridica di origine contrattuale in modo contrario alla funzione della stessa, da cui consegue la deviazione dalla causa del negozio.
La giurisprudenza di legittimità non ha mancato di sottolineare che la buona fede
(50) In tal senso v. PENNASILICO, Abuso del diritto e
regime dei rimedi, in Gazz. not., 2008, 451, seppure
riferito alla tutela del contraente debole, rappresentata dalle nullità di protezione ex art. 33 cod. cons., in
coerenza col tradizionale principio del nemo potest
venire contra factum proprium.
(51) Nell’ambito delle applicazioni pratiche del
principio di buona fede, quest’ultima « obbliga la
parte alla coerenza dei propri comportamenti, per
non deludere gli affidamenti che questi hanno generato in controparte: essa fonda l’antico precetto che
vieta di venire contra factum proprium », secondo
ROPPO, Il contratto, in Tratt. dir. priv. Iudica-Zatti,
Milano, 2001, 496. RANIERI, Il principio generale di
buona fede, in CASTRONOVO-MAZZAMUTO (a cura di),
Manuale di diritto privato europeo, Milano, 2007, II,
495, alla luce degli orientamenti giurisprudenziali
italiani più recenti, scorge un parziale assorbimento
del modello tedesco derivante dalla prassi giurisprudenziale applicativa del § 242 BGB, sotto il profilo
della « preclusione dall’esercizio di una posizione
giuridica formale quale sanzione nei confronti del
creditore che faccia valere il proprio diritto in maniera sleale o contraria agli affidamenti fatti nascere dal
proprio comportamento nella controparte ».
(52) Sulla necessità di cooperazione tra coniugi al
fine di dare esecuzione agli accordi, assunti in sede di
separazione consensuale, di vendita della casa coniugale a terzi v. anche Cass. civ., 6 novembre 2008,
n. 26739, in www.studiolegalelagreca.it, con breve
nota di LAGRECA, Ex coniugi non si accordano sulle
sorti della casa coniugale. In generale, « sulla necessità per ciascuna delle parti di una cooperazione reciproca affinché l’attuazione del rapporto si svolga il
più agevolmente possibile e nel modo più vantaggioso per entrambe (Mitwirkungspflichten) », v. NATOLI,
L’attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 14.
(53) Sul principio di conservazione degli effetti, si
rinvia a PENNASILICO, Controllo e conservazione degli
effetti, in Rass. dir. civ., 2004, 121 ss.; e ID., L’operatività del principio di conservazione in materia negoziale, ivi, 2003, 702 ss.
(54) Parla di divieto dell’abuso della pretesa (arglistige Rechtsausübung) NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 14. V. anche ID., Note preliminari ad una teoria dell’abuso del diritto nell’ordinamento giuridico italiano, in Riv. trim. dir. proc.
civ., 1958, 18 ss. Per una ricostruzione della teoria
dell’abuso del diritto enucleato dal § 242 BGB da
parte della giurisprudenza tedesca v. RANIERI, Norma
scritta e prassi giudiziale nell’evoluzione della dottrina tedesca del Rechtsmissbrauch, ivi, 1972, 1216
s.; ID., Il principio generale di buona fede, in CASTRONOVO-MAZZAMUTO (a cura di), Manuale di diritto privato europeo, cit., alla luce degli orientamenti giurisprudenziali italiani più recenti, scorge un parziale
assorbimento del modello tedesco, sotto il profilo
della « preclusione dall’esercizio di una posizione
giuridica formale quale sanzione nei confronti del
creditore che faccia valere il proprio diritto in maniera sleale o contraria agli affidamenti fatti nascere dal
proprio comportamento nella controparte ».
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giurisprudenza
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ABUSO DEL DIRITTO
nel nostro ordinamento si pone come limite interno di ogni situazione giuridica soggettiva, attiva o passiva, derivante da operazioni contrattuali, «concorrendo, quindi,
alla relativa conformazione in senso ampliativo o restrittivo rispetto alla fisionomia
apparente, per modo che l’ossequio alla legalità formale non si traduca in sacrificio
della giustizia sostanziale e non risulti, quindi, disatteso quel dovere (inderogabile) di
solidarietà, ormai costituzionalizzato (art. 2 Cost.), che, applicato ai contratti, ne determina integrativamente il contenuto o gli effetti (art. 1374 c.c.), e deve, ad un tempo,
orientarne l’interpretazione (art. 1366 c.c.) e l’esecuzione (art. 1375), nel rispetto del
noto principio secondo cui ciascuno dei contraenti è tenuto a salvaguardare l’interesse
dell’altro, se ciò non comporti un apprezzabile sacrificio dell’interesse proprio» (55).
5. (SEGUE). ABUSO DELLE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE SOSTANZIALI E PROCESSUALI DA PARTE DEL CONIUGE
SEPARANDO
L’esercizio abusivo delle situazioni giuridiche soggettive nell’ambito dell’autonomia
negoziale dei coniugi (56), ed in particolare del coniuge che ha assunto comportamenti
scorretti e contraddittori in executivis, si riverbera senza soluzione di continuità nell’esercizio abusivo dello strumento processuale (57), che assume le fattezze della lite
temeraria ex art. 96, comma 3, c.p.c., in quanto la domanda giudiziale della moglie, la
quale prescinde dall’esperimento di una soluzione conciliativa, risulta essere priva di
(55) Cass. civ., 20 aprile 1994, n. 3775, in Giur. it.,
1995, I, 852, con nota di PICARDI, Tutela dell’avviamento, discrezionalità e buona fede contrattuale, in
una complessa vicenda di affitto d’azienda; in Giust.
civ., 1994, I, 2159 ss., con nota di MORELLI, La buona
fede come limite all’autonomia negoziale e fonte di
integrazione del contratto nel quadro dei congegni
di conformazione delle situazioni soggettive alle esigenze di tutela degli interessi sottostanti.
(56) Sull’abuso delle situazioni giuridiche soggettive v. NATOLI, Note preliminari ad una teoria dell’abuso del diritto nell’ordinamento giuridico italiano, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, 18 ss.; ROMANO,
Abuso del diritto, c) diritto attuale, in Enc. dir., I,
Milano, 1958, 166 ss., con particolare riferimento all’ipotesi di abuso derivanti da condotte di rapporti
giuridici contrari a buona fede, 168; GIORGIANNI,
L’abuso del diritto nella teoria della norma giuridica, Milano, 1963; RESCIGNO, L’abuso del diritto, in
Riv. dir. civ., 1965, I, 205 ss.; e ID., L’abuso del diritto,
1998, passim; DEL PRATO, La minaccia di far valere
un diritto, Padova, 1990; MESSINA, L’abuso del diritto,
Napoli, 2004; VITOLO, Atti emulativi e solidarietà costituzionale, Napoli, 2006; PATTI, Abuso del diritto, in
PATTI-SIRENA (a cura di), Diz. sist., Diritto civile. Famiglia successioni e proprietà, cit., 3 ss.; PAGLIANTINI
(a cura di), Abuso del diritto e buona fede nei contratti, Torino, 2010.
(57) Sull’abuso del processo v. PAOLANTONIO, Abuso
del processo (diritto processuale amministrativo),
⎪ P.680
in Enc. dir., Annali, II, Milano, 2008, 3 ss.; e ANSANELLI, Abuso del processo, in Dig. disc. priv., Sez. civ.,
Agg., I, Torino, 2007, 1 ss., cui si rinvia per l’ulteriore
bibliografia. In giurisprudenza, si v. Trib. Roma, Sez.
XI, 11 gennaio 2010, n. 529, in Giur. merito, 2010,
2178 ss., con nota di BUFFONE, Il ricorso c.d. « anomalo » al credito costituisce abuso del diritto di difesa,
sanzionabile mediante condanna per responsabilità
processuale aggravata, relativa ad un caso di abuso
del processo da parte del debitore, il quale persegue
esclusivamente l’obiettivo di ritardare l’adempimento, ma all’esito del giudizio, viene condannato ex art.
96 c.p.c. al risarcimento del danno per responsabilità
processuale aggravata, quantificato dal giudice romano nello stesso importo del credito, oggetto del
giudizio; in altri termini, « il debitore, all’esito del giudizio, dovrà pagare il “doppio” del corrispettivo oltre
alle spese del processo ». Trib. Prato, 6 novembre
2009, n. 386, secondo il quale « sussistono gli estremi
per procedere alla condanna della somma equitativamente determinata a favore dell’opposto ai sensi
dell’art. 96 comma 3 c.p.c. (introdotto dalla l. n. 69/
2009 quale sorta di sanzione civile a carico del soccombente), in tutte le ipotesi nelle quali il processo
venga instaurato senza valide ragioni e con condotte
processuali unicamente volte ad ostacolare la realizzazione del diritto del creditore mediante l’abuso del
processo ». Contra SCARSELLI, Le novità per il processo civile (l. 18 giugno 2009 n. 69). Le modifiche in
tema di spese, in Foro it., 2009, V, 258 ss.
responsabilità civile e previdenza – n. 3 – 2011
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ABUSO DEL DIRITTO
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fondamento in fatto e in diritto, quindi di senso, ma soprattutto di buon senso. Si muove
da un esercizio «finto» dell’autonomia negoziale, in quanto priva di consenso (58), che
sottintende una litigiosità latente tra i coniugi, che si riflette in ambito giudiziale nell’esercizio contrario a buona fede degli strumenti processuali; in mancanza di un
effettivo accordo tra i coniugi in sede di crisi coniugale (59), gli stessi avrebbero potuto
ragionevolmente ricorrere all’istituto della separazione giudiziale.
La traduzione in termini processuali del comportamento contrario a buona fede, in
violazione del canone del giusto processo, posto in essere dalla litigiosa moglie, seppure a monte contraddittoriamente pervenuta ad una definizione consensuale della
crisi coniugale, e che conferma l’affermazione del principio del venire contra factum
proprium, richiamato dall’estensore della ordinanza in commento e prim’ancora dalla
difesa del resistente, è rappresentata dal nuovo istituto introdotto dalla l. 18 giugno
2009, n. 69, che ha novellato l’art. 96 c.p.c., inserendo il comma 3 (60). L’istituto della lite
temeraria appare, così, rimodellato e pronto per applicazioni giurisprudenziali volte a
conferire una qualificazione in termini di danno punitivo (61), allo scopo di tentare una
(58) RIMINI, La gestione collaborativa del conflitto
coniugale (collaborative law) in Italia? Si può fare,
in Dir. fam., 2009, 1318 ss., sostiene che nell’ambito
del processo di « consensualizzazione », sarebbe auspicabile l’applicazione nel nostro ordinamento del
cosiddetto divorzio collaborativo (collaborative law),
attraverso il quale un esperto, terzo rispetto al conflitto coniugale, assume il compito di addivenire ad
un’equa composizione del conflitto, considerando le
opposte pretese di ciascuno dei coniugi. L’a. sottolinea — considerazione valida anche per la separazione consensuale, per quanto si tratti di un procedimento giudiziale — che questo tentativo presuppone
che « i coniugi abbiano la consapevolezza della opportunità di collaborare per evitare di avventuarsi
nel giudizio di separazione o divorzio ». La proposta
dell’esperto non assume le vesti giuridiche del lodo
vincolante, in quanto non siamo dinanzi ad un giudizio arbitrale, giacché si tratta di diritti indisponibili.
Il divorzio collaborativo non deve essere confuso con
la mediazione familiare, in quanto quest’ultima presuppone la presenza dei figli ed è finalizzata a neutralizzare gli effetti della crisi del matrimonio nei
confronti dei figli; inoltre, è rivolta esclusivamente ai
coniugi che si separano quando dal matrimonio sono
nati dei figli.
(59) Sul contenuto semantico dell’accordo v. TRABUCCHI, Il contratto come fatto giuridico. L’accordo.
L’impegno, in Il contratto. Silloge in onore di G.
Oppo, I, Profili generali, Padova, 1992, 11 ss.; FERRI,
Il negozio giuridico, Padova, 2001, 198 s.; MAJELLO,
Essenzialità dell’accordo e del suo contenuto, in
Rass. dir. civ., 2005, I, 113 ss.; DI GIOVANNI, Di che
cosa parliamo quando parliamo di accordo contrattuale, in AA.VV., Studi in onore di C.M. Bianca, Milano, III, 2006, 185 ss.
(60) POTETTI, Novità della l. n. 69 del 2009 in tema di
spese di causa e responsabilità aggravata, in Giur.
merito, 2010, 936 ss. Configura l’art. 96, comma 3, del
codice di rito come norma di chiusura PORRECA, La
riforma dell’art. 96 c.p.c. e la disciplina delle spese
processuali nella l. n. 69 del 2009, ibidem, 1836 ss.,
richiamando il dovere di collaborazione nella risoluzione dei conflitti, il quale rappresenta un aspetto
conformativo e non ablativo del diritto di difesa, alla
luce del coordinamento tra gli artt. 2 e 24 della Carta
costituzionale.
(61) Non condivide l’interpretazione e la qualificazione giuridica del danno da lite temeraria di cui al
comma 3 dell’art. 96 c.p.c. operata dal Tribunale di
Varese in termini di danno punitivo, nel commento
delle tre decisioni emanate dallo stesso giudice relatore (Trib. Varese, 27 maggio 2010; Trib. Varese, 23
gennaio 2010 (ord.); Trib. Varese, 30 ottobre 2009, n.
1094, rel. Buffone), delle quali la seconda viene qui
annotata in un’ottica più sostanzialistica e in una
visione d’insieme, MORANO CINQUE, Lite temeraria: la
condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., tra funzione
punitiva e funzione risarcitoria, cit., in part. 1850 ss.,
sì che, attraverso una interpretazione costituzionalmente orientata, « prediligendo il criterio ermeneutico assiologico e teleologico » (cita PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, t. I e II, Napoli, 2007), giunge ad una soluzione alternativa e non
univoca, per cui tale istituto o è ricollocabile nella
logica dell’illecito aquiliano o assolve la funzione di
pena accessoria di natura civile, a seconda che rispettivamente il valore sotteso alla norma tuteli un
interesse privato o un interesse pubblico. Un breve
commento adesivo sotto il profilo applicativo della
responsabilità processuale aggravata, ma critico rispetto alla qualificazione dell’istituto di cui all’art. 96,
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deflazione del contenzioso italiano, che molto probabilmente origina dal carattere
litigioso della nostra popolazione.
Nel caso in esame soltanto la moglie pone in essere comportamenti scorretti,
abusando dei propri diritti (62), in sede giudiziale e stragiudiziale. Pertanto, assolutamente condivisibile è la condanna al risarcimento del danno da lite temeraria, intervenuta d’ufficio e affidata nella quantificazione del pregiudizio all’equo apprezzamento del giudice, in applicazione del divieto generale di abuso del diritto.
L’abuso del processo rappresenta il culmine dell’esercizio controfunzionale delle
situazioni giuridiche soggettive, giacché il singolo perfino in sede giudiziale persegue
attraverso lo strumento processuale finalità personali, in conflitto tanto con le esigenze
istituzionali degli organi giudiziari, tanto con quelle della giustizia sostanziale.
Più che attraverso il potere correttivo da parte dell’autorità giudiziale dell’autonomia negoziale dei coniugi, il caso in esame viene condivisibilmente risolto nel merito,
malgrado le critiche su avanzate sulla qualificazione giuridica della fattispecie, alla luce
comma 3, c.p.c., in termini di punitive damages, in
quanto disancorato dal primo comma, si veda in
MAZZOLA, Danno da lite temeraria e danno punitivo:
il terzo comma dell’art. 96 c.p.c., in www.personaedanno.it, che annota la stessa ordinanza in epigrafe;
per ulteriori approfondimenti, l’autore rinvia a ID.,
Responsabilità processuale e danno da lite temeraria, Milano, 2010. In senso critico rispetto al filone
giurisprudenziale che vede nell’art. 96, comma 3,
c.p.c., « il nuovo grimaldello di repressione dei comportamenti difensivi non in linea con il giusto processo », anche SCARSELLI, Il nuovo art. 96, 3º comma,
c.p.c.: consigli per l’uso; invece PORRECA, L’art. 96, 3º
comma, c.p.c., tra ristoro e sanzione, individua il
fulcro dell’attuale lettura ermeneutica del comma in
esame nell’emancipazione dal collegamento con i
primi due commi dell’art. 96 del codice di rito, nel
commento alle seguenti pronunce di merito, Trib.
Varese, Sez. dist. Luino, 23 gennaio 2010 (ord.), Trib.
Prato, 6 novembre 2009 (sent.), Trib. Milano, 20 agosto 2009 (ord.), in Foro it., 2010, 2229 ss. Da ultimo, v.
anche Trib. Bari, Sez. II, 14 ottobre 2010, n. 3090, in
www.giurisprudenzabarese.it, 2010. Sui punitive
damages nell’esperienza giuridica inglese e nella realtà giuridica italiana v. PARDOLESI, Danni punitivi, in
Dig. disc. priv., Sez. civ., Agg., I, Torino, 2007, 452 ss.,
in particolare 462 s.
(62) I casi di abuso del diritto oggetto di analisi da
parte della giurisprudenza di legittimità si riferiscono all’arbitrario recesso dal contratto di apertura di
credito, v. ad es. Cass. civ., 21 maggio 1997, n. 4583, in
Foro it., 1997, I, 2479, con osservazioni di CAPUTI. Più
recentemente, le Sezioni Unite della Suprema Corte,
con la pronuncia del 15 novembre 2007, n. 23726, in
Foro it., 2008, I, 1514 ss., con nota di PALMIERI-PARDOLESI, Frazionamento del credito e buona fede inflessibile; e con nota di CAPONI, Divieto di fraziona-
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mento giudiziale del credito: applicazione del principio di proporzionalità nella giustizia civile?; in
Corr. giur., 2008, 745, con nota di RESCIGNO, L’abuso
del diritto (una significativa rimeditazione delle Sezioni Unite), richiamata nel testo della ordinanza che
qui si annota, hanno ritenuto contrario alla regola
generale di correttezza e di buona fede, in relazione
al dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2
Cost., il frazionamento giudiziale del credito unitario
da parte del creditore, in quanto, peraltro, si traduce,
come nel caso in esame, in abuso del processo. Con
la sentenza della Sez. Un. civ., 18 dicembre 2007, n.
26617, in Foro it., 2008, 503 ss., è stato sancito il
principio secondo il quale il creditore di una somma
di denaro inferiore ad euro 12.500 può rifiutare il
pagamento con assegno circolare, in alternativa al
denaro contante, soltanto per giustificato motivo da
valutare secondo le regole della correttezza e della
buona fede oggettiva. Da ultimo v. Cass. civ., 19 maggio 2010, n. 12249, in Fisco, 2010, 4115, con nota di
ACIERNO, Cass., n. 12249 del 19 maggio 2010 - Abuso
del diritto e disconoscimento di contratti tipici: lo
stato della situazione e le prospettive, ove si applica
il divieto di abuso di diritto anche alle ipotesi di contratti tipici, posti in essere con l’esclusiva finalità di
ottenere un indebito risparmio di imposta. Sez. Un.
civ., 26 giugno 2009, n. 15029, in Obbl. contr., 2010,
503 ss., con nota di CAPO, Abuso del diritto: il contratto inopponibile all’erario; Cass. civ., 18 settembre
2009, n. 20106, in Giur. it., 2010, con nota di SALERNO,
Abuso del diritto, buona fede, proporzionalità: i limiti del diritto di recesso in un esempio di jus dicere
« per princìpi »; con nota di ORLANDI, Contro l’abuso
del diritto (in margine a Cass. 18 settembre 2009, n.
20106), in Riv. dir. civ., 2010, 147 ss.; con nota di
MONTELEONE, Clausola di recesso ad nutum dal contratto e abuso del diritto, in Giur. it., 2010, 3 ss.
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dei principi costituzionali di proporzionalità ed adeguatezza (63), che si attuano mediante la clausola generale della buona fede e il canone del giusto processo. Pertanto, di
fronte ad un esercizio abusivo delle situazioni giuridiche soggettive da parte della
moglie, sin dalla fase negoziale tesa a gestire in modo contradditorio i rapporti patrimoniali con il marito, il giudice condanna d’ufficio la prima per responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3, c.p.c., al fine di responsabilizzare la parte attorea che avrebbe
potuto percorrere la strada della conciliazione, in linea con lo spirito consensuale che
in apparenza aveva caratterizzato la gestione dei rapporti patrimoniali di questa crisi
coniugale.
L’estraneità dell’art. 96, comma 3, c.p.c., alla figura dell’illecito civile (64) deriva dalla
funzione più ambiziosa, non solo compensativa, ma anche punitiva, dell’istituto in
questione, che oltre ad assicurare la tutela del principio del neminem laedere nei
rapporti interprivastici attraverso la condanna al pagamento di una somma determinata equitativamente dal giudice a favore della controparte, che subisce gli effetti di un
contenzioso infondato in fatto e in diritto, garantisce la tutela del canone del giusto
processo, in ossequio ai principi costituzionali di proporzionalità e adeguatezza che
devono ispirare l’agire in sede giudiziale dei privati (art. 24 Cost.). L’abuso del processo
si ripercuote sulla controparte che subisce un danno alla vita, alle sue relazioni a causa
dell’instaurazione dell’infondato giudizio (65) e sull’efficiente funzionamento del sistema giudiziario, che subisce un pregiudizio a causa della strumentalizzazione del processo per rappresaglie private lontane dai fini istituzionali dell’ordinamento giudiziario. Non occorre addivenire ad una lettura «costituzionalmente orientata» dell’art. 96,
comma 3, c.p.c., soprattutto de iure condendo (66), perché altrimenti si vanificherebbe la
portata precettiva della nostra carta costituzionale, che non è solo criterio ermeneutico,
(63) In tal senso magistralmente Sez. Un. civ., 15
novembre 2007, n. 23726, cit., 1525, sancisce « una
lettura “adeguata” della normativa di riferimento (in
particolare dell’art. 88 c.p.c.), nel senso del suo allineamento al duplice obiettivo della “ragionevolezza
della durata” del procedimento e della “giustezza”
del “processo”, inteso come risultato finale (della risposta cioè alla domanda della parte), che “giusto”
non potrebbe essere ove frutto di abuso, appunto,
del processo, per l’esercizio dell’azione in forme eccedenti, o devianti, rispetto alla tutela dell’interesse
sostanziale, che segna il limite, oltreché la ragione
dell’attribuzione, al suo titolare, della potestas agendi ».
(64) Da ultimo, si segnala un orientamento della
giurisprudenza di merito che riconosce natura extracontrattuale alla responsabilità derivante da lite temeraria ex art. 96 c.p.c., senza diversificare e rendere
autonome le tre ipotesi disciplinate dal codice di rito,
Trib. Bari, Sez. II, 14 ottobre 2010, n. 3090, in www.
giurisprudenzabarese.it.
(65) Sul danno non patrimoniale da responsabilità
aggravata, nell’ambito del panorama delle applicazioni giurisprudenziali sul danno esistenziale, v. BILOTTA, L’applicazione della categoria del danno esistenziale nelle pronunce del 2005, in Giur. merito,
2006, 1084 ss. Si rinvia alle ormai storiche sentenze
della Sez. Un. civ., 11 novembre 2008 nn. 26972,
26973, 26974, 26975, in questa Rivista, 2009, 38 ss,
con nota di MONATERI, Il pregiudizio esistenziale come voce del danno non patrimoniale; di NAVARRETTA,
Il valore della persona nei diritti inviolabili e la complessità dei danni non patrimoniali; di POLETTI, La
dualità del sistema risarcitorio e l’unicità della categoria dei danni non patrimoniali; di ZIVIZ, Il danno
non patrimoniale: istruzioni per l’uso. Da ultimo,
nell’ambito della sconfinata letteratura giuridica sul
tema del danno non patrimoniale, v. BILOTTA-ZIVIZ, Il
nuovo danno esistenziale - Dalla Cassazione nel
2003 alle Sezioni Unite del 2008, Bologna, 2009.
(66) In tal senso, invece, v. MORANO CINQUE, op. cit.,
1837 e spec. 1849 s., la quale cita, a sua volta, MASONI,
Interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 96 c.p.c. tra danno esistenziale e « giusto processo », in Giur. merito, 2007, 1611, di cui si giustifica
una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 96,
in quanto effettuata prima dell’emanazione della novella del 2009, ispirata ai principi del giusto processo
e della sua ragionevole durata, alla luce del rinnovato
art. 111 Cost., introdotto con l. cost. 23 novembre
1999, n. 2. Nel commento adesivo alla pronuncia di
merito capitolina (Trib. Roma, Sez. VI, 18 ottobre
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ma si applica direttamente in combinato disposto con la norma ordinaria (67). Piuttosto,
è proprio la lettura sistematica e assiologica della norma che consente di individuare la
ratio della nuova figura di responsabilità aggravata nel principio del giusto processo, di
cui al novellato art. 111 Cost. Si tratta di una sanzione privata a tutela di un interesse
pubblico (68), i cui effetti, come condivisibilmente rilevato (69), investono gli operatori del
diritto e i privati, sensibilizzati ad una maggiore responsabilizzazione da questa pronuncia.
La nuova disposizione, introdotta nel comma 3 dell’art. 96 del codice di rito, si
appresta a divenire de iure condito un possibile rimedio agli abusi del diritto (70), che
partono dal piano sostanziale e, senza soluzione di continuità, si riflettono in ambito
processuale, contribuendo a delineare un uso distorto e antifunzionale della giustizia.
2006), l’a. incoraggia la giurisprudenza di merito a
dare una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 96 ante-riforma, al fine di assicurare « un proficuo antidoto contro l’abuso del processo ». L’introduzione del nuovo comma nell’ambito della disciplina della responsabilità aggravata solleva i giudici dal
compito di « battistrada, in grado di aprire nuovi percorsi ermeneutici », giacché la norma è espressione
del canone del giusto processo e rappresenta, nel
contempo, un rimedio contro l’abuso del processo.
Partendo dal presupposto della natura precettiva
della Costituzione, attualmente non può sostenersi
la necessità di una lettura costituzionalmente orientata dello ius positum, se non in chiave di interpretazione evolutiva, come avviene nel caso dell’art. 844
c.c., che è stato oggetto nel corso degli anni di interpretazioni diametralmente opposte, e precisamente
è passata dalla prevalenza accordata alle esigenze
della produzione, ad una rilettura in chiave di tutela
della salute del proprietario e dell’ambiente. In tal
senso v. la recentissima pronuncia di Cass. civ., 8
marzo 2010, n. 5564, con nota di MAZZOLA, Immissioni intollerabili, danno non patrimoniale e lettura
costituzionalmente orientata dell’art. 844 c.c., in
questa Rivista, 2010, 1526. Per una rilettura di un
altro istituto codicistico del 1942 « in chiave conformativa ai superiori precetti costituzionali, ossia al
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dovere di solidarietà nei rapporti intersoggettivi, al
principio di inesigibilità delle pretese creditorie,
nonché ai canoni generali di buona fede in senso
oggettivo e di correttezza », v. MASTRANDREA, Riduzione della penale ex officio: una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 1384 c.c., in Obbl. contr.,
2008, 824 ss.
(67) Sul punto, v. PERLINGIERI, Il diritto civile nella
legalità costituzionale, cit., 540 ss.
(68) Sul tema si rinvia per un approfondimento a
PATTI, voce Pena privata, in Dig. disc. priv., Sez. civ.,
V, Torino, 1995, 335 ss.
(69) MORANO CINQUE, op. cit., 1858, di cui si condivide soltanto quanto affermato nell’ultimo periodo.
(70) Sul regime dei rimedi v. PENNASILICO, Abuso del
diritto e regime dei rimedi, cit., 447 ss., il quale, contrariamente a quanto affermato da RESTIVO, Contributo ad una teoria dell’abuso del diritto, Milano,
2007, 283 ss., sostiene che « dall’abuso scaturisce la
lesione, la lesione rappresenta la fattispecie dell’effetto ulteriore, cioè il rimedio, la conseguenza ultima,
finale ». In particolare sul rimedio di natura processuale dell’exceptio doli generalis v. amplius MERUZZI, L’exceptio doli dal diritto civile al diritto commerciale, Padova, 2005; TULLIO, Eccezione di abuso e
funzione negoziale, Napoli, 2005, passim.
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