Esercizi di stile

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Esercizi di stile: per un archivio visivo per la didattica in antropologia
Massimo Squillacciotti
L’idea di lavorare intorno a Esercizi di stile nella didattica in antropologia è nata in occasione del
Seminario del 2004 “I saperi dello sguardo”, curato con Riccardo Putti ed il CTA-Centro Televisivo
d’Ateneo (relazione - dibattito), dopo una prima sperimentazione di questo “gioco” visivoconcettuale in alcune situazioni di Orientamento nel presentare alle matricole universitarie del corso
di studi in antropologia “Chi è e cosa cerca l’antropologo?” o nel rappresentare visivamente temi
portanti negli studi storico-antropologici, come “La Conquista dell’America” (America: l’altro
continente, ideazione video e montaggio di Giancarlo Pastonchi, Siena, 1997 - scaletta - video
durata 29 minuti).
In seguito ho ripreso l’idea sistematizzando il principio di Esercizi di stile di R. Queneau (Torino,
Einaudi, 1983) nell’organizzazione del corso di antropologia cognitiva del 2007 sul tema “L’alterità
nel cinema di finzione” con lo scopo di insegnare-facendo una sceneggiatura a posteriori di una
serie di film di spessore antropologico: valga per tutti il lavoro di Giacomo Tagliani Figure di
montaggio e montaggio di figure: il rapporto con l'altro in Werner Herzog (dicembre 2007). Da
qui, come classe, siamo stati invitati a “presentarci” al XII Festival Internazionale del
Cortometraggio di Siena (novembre 2007).
Il gioco è continuato fino al corso della specialistica del 2008-2009 quando alcuni studenti hanno
lavorato in questa direzione proponendo una serie di smontaggi e rimontaggi di film assumendo il
tema di “Margine, Soglia, Confine, Limite” che, nell’ambito del programma della Scuola Superiore
Santa Chiara, era partito nel 2007-2008 come attività di formazione in classe ed in rete per i
dottorandi dell'ateneo senese.
Al sito di SOLIMA rimando ora per il materiale prodotto e presentato alla pagina degli Interventi
sotto il denominatore comune dal titolo Limiti e confini tra codici di espressione del pensiero,
pubblicato il 7 gennaio 2009 e riportato qui di seguito:
Limiti e confini tra codici di espressione del pensiero
Massimo Squillacciotti
Giunti a gennaio 2009, a più di un anno dall’apertura del Programma di Formazione “Margine,
Confine, Soglia, Limite”, e dall’attivazione del relativo sito web “SOLIMA”, intendo qui collegare
tra loro alcuni degli interventi e sconfinamenti che, a vario titolo, ho sollecitato nel tempo e che si
sono venuti raffinando nel metodo e nel tipo di documenti proposti, anche a partire dal laboratorio
didattico della specialistica del mio corso di antropologia cognitiva dal titolo “L’alterità nel cinema
di finzione”, iniziato nel 2007 e proseguito fino ad oggi.
I materiali che qui collego tra loro sono comunque autonomi e trovano per questo una loro specifica
collocazione nel sito, ma tutti hanno qualcosa a che fare sia con ipotesi etno-cognitive che è bene
qui esplicitare congiuntamente sia con i concetti di base del Programma, al di là della specifica
forma di raccordo realizzato da ciascuno. Il loro raccordo è sintetizzabile efficacemente con il titolo
“Limiti e confini tra codici di espressione del pensiero”.
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Punti di partenza sono stati:
1) Esercizi di stile
Applicare gli Esercizi di stile di R. Queneau (Torino, Einaudi, 1983) dalla narrazione alla letturaproduzione di un testo visivo – quale il film di finzione – sia in una funzione comunicativa didattica
(come dire: “Quali sequenze di immagini posso utilizzare per comunicare visivamente i concetti che
voglio presentare abbinati poi alle relative parole e producendo discorsi relativi?”); sia per la
costituzione di un archivio visivo per la didattica in antropologia, da arricchire nel tempo e da poter
utilizzare come “mazzo di carte” per variazione di giochi sul tema.
Il lavoro didattico in questo caso ha comportato:
a) presentazione del materiale visivo costituito da sequenze selezionate per un percorso didattico di
primo approccio (anche in contesto di Orientamento) allo studio dell'antropologia, ed estratte dai
seguenti film:
1 – Amore e altre catastrofi, di Emma-Kate Groghan (1996, Australia)
2 – Blues Brothers, di John Landis (1980, Usa)
3 – Stalker, di Andreij Landis (1980, Urss)
4 – Crocodile Dundee, di Peter Faiman (1986, Australia)
5 – Mission, di Roland Joffè (1986, Gb)
6 – Grido di libertà, di Richard Attenborough (1987, Gb)
7 – Priscilla, la regina del deserto, di Stephan Elliott (1994, Australia)
8 – Blues Brothers, di John Landis (1980, Usa)
9 – Zabriskie Point, di Michelangelo Antonioni (1970, Usa)
b) riflettere sulla portata, funzione ed efficacia comunicativa di questa “azione cognitiva”, dal punto
linguistico, concettuale, visivo :
1) Esercizi di stile di Queneau
- il racconto di 1 episodio viene espresso in tanti “STILI” diversi
- ogni STILE si riferisce ed è all’interno di un contesto
- lo STILE è uno specifico complesso che contiene diversi riferimenti
- ogni STILE ha almeno 2 facce di riferimento: - codice linguistico usato
- cultura di contesto
2) Domanda: Cosa succede quando mettiamo in relazione a:
- codici diversi usati
- sistemi culturali diversi di riferimento
3) Ci muoviamo all’interno di regole e relazioni intersoggettive della didattica
- in un contesto dato (insegnamento/apprendimento)
- per una funzione della comunicazione (trasmissione/acquisizione)
4) Assunti della COMUNICAZIONE DIDATTICA
-"competenza" come abilità di trasferimento delle conoscenze tra campi diversi dall’acquisizione
all’uso
- uso di molteplici tecnologie della comunicazione: parola-scritto-audio-video
- specificità di ciascuna tecnologia: portata e limiti
- interazione tra queste
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- funzioni cognitive attivate: tempo/spazio – fruitore/prodotto
5) Didattica come Costruzione di una Rete di Connessioni Simboliche mediate ed attivate dalle
diverse tecnologie e codici usati
6) Estrapolazione di sequenze video ed inserimento in una nuova rete di significazione
7) Tipologia delle sequenze
- PROMEMORIA: la sequenza video è in relazione ad argomento specifico ed assume la funzione
di icona (metafora visiva)
[esempi di lavori in archivio: Blob Didattica – Blob Antropologia – Solo Guerra]
- TEMARIO: la sequenza viene archiviata e schedata per tutti i suoi possibili usi didattici: varietà di
temi, complessità di linguaggio…
[esempi: Blob Viaggio I – Blob Viaggio II – Archivio Città]
- UNITÀ DIDATTICA: costruzione in continuum di sequenze da film diversi per un prodotto
specifico, autonomo ed autosufficiente su un tema, argomento
[esempi: America altro continente - Linee di Città – Immagini di Città]
- ANELLO: una sequenza o un video vengono ripetute più volte in successione con il cambiamento
di 1 elemento (parola/musica) per addestramento alla lettura, studio…
[esempi: Grecia – Blob Città]
- PLASTICO: un video viene abbinato alla sua versione per non vedenti; la colonna sonora di un
video separata dall’immagine…
esempi: Eiar: medici in prima linea – Duello al sole]
- RESTITUZIONE: un film viene smontato nella sua articolazione interna, nel suo andamento
spazio/temporale e ricostruito secondo l’ordine sequenziale dei singoli svolgimenti; relazione
del testo scritto di opera letteraria con la sua realizzazione filmica
[esempi: Lola corre – Canone inverso]
- RIDUZIONE: estratto delle sequenze di un film per la sua riduzione nel rispetto della storia e
delle proporzioni tematico-temporali
[esempi: Lisbon story – Blade runner]
8) Tecniche
- partire e finire da un fermo immagine
- partire e finire con l’immagine nella sua realtà visiva
- partire dalla 1° immagine della sequenza interessata
- partire dall’ultima immagine della sequenza precedente quella interessata
- evidenza della separazione tra sequenze
- costruzione di un continuum
Riferimenti bibliografici
Chion M., L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema, Torino, Lindau, 2001.
Davydov V. V., Gli aspetti della generalizzazione nell’insegnamento, Firenze, Giunti Barbera,
1979.
Goodwin Ch., Il senso del vedere, Roma, Meltemi, 2003.
Maragliano R., Nuovo manuale di didattica multimediale, Roma, Laterza, 1998, 2002/2.
Maragliano R., Tre ipertesti su multimedialità e formazione, Roma, Laterza, 1998, 2000/2.
Mirzoeff N., Introduzione alla cultura visuale, Roma, Meltemi, 2002.
Olson D. R., Linguaggi, media e processi educativi, Torino, Loescher, 1985.
Olson D. R., Torrance N., Alfabetizzazione e oralità, Milano, Cortina, 1995.
Queneau R., Esercizi di stile, Torino, Einaudi, 1983.
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Squillacciotti M. (a cura), LaborArte. Esperienze di didattica per i bambini, Roma, Meltemi, 2004.
2) Sceneggiatura a posteriori
a) estendere la seguente proposizione da Alice nel Paese delle Meraviglie (L. Carroll, Milano, Bur,
1990, p. 98) dalla funzione linguistica a quella meta cognitiva:
“Allora dimmi subito quello che credi” riprese la Lepre.
“Come volete”, rispose in fretta Alice, “Vi dico quello che credo… perché quello che credo
dico… è la stessa cosa”.
“Non è per niente la stessa cosa!”, esclamò il Cappellaio, “Vorresti forse sostenere che la frase vedo
quello che mangio ha lo stesso significato di mangio quello che vedo?”.
“O vorresti sostenere”, proseguì la Lepre Marzolina, “che la frase mi piace quello che prendo ha lo
stesso significato di prendo quello che mi piace?”.
“E vorresti forse sostenere”, concluse il Ghiro… “che la frase respiro quando dormo ha lo stesso
significato di dormo quando respiro?”.
“Per te è la stessa cosa!”, disse il Cappellaio. E a questo punto la conversazione finì”.
b) delineare un metodo di ri-costruzione di “una sceneggiatura a posteriori” (idea ispirata al lavoro
dell'amica ed antropologa Domitilla Olivieri) del film in analisi:
Tempo
Quel che vedo, dico
Quel che
dico, vedo
________________________________________________________________________________
________________________
Quel che vedo, dico
In questo secondo campo vengono segnate tutte le informazioni che, durante la visionatura
dell’audio-visivo, si offrono alla lettura (-ascolto-visione) da parte del regista e/o dell’opera.
L’analista scrive “quello che vede” secondo varie categoria o questioni la storia (dove, chi, cosa,
quando) e le tecniche: codici dell’audio, “testo” parlato/visto, montaggio, piani di
immagini... per sequenze.
Si vuole rendere conto ad un esterno, secondo l’andamento temporale della visione, di quello che il
regista in realtà ha previsto ancor prima di girare il film (o grazie al montaggio): una
sceneggiatura, che per questo chiamiamo a posteriori (anche perché fatta da noi).
Qui si comprendono sia questioni filmiche che meta-filmiche, comunque tutte “dirette” circa il film,
un tipo di pertinenza specifica, dall’interno dell’audio-visivo.
Quel che dico, vedo
In questo terzo campo segno tutte le riflessioni ed appunti che si pongono a partire da QUELLO che
voglio cercare, evidenziare nell’audio-visivo.
“Qual è il mio interesse?” è la domanda che martella quando si scrive a riguardo.
Ad esempio, se mi interessa “l’alterità antropologica”: selvaggi/civili, genere uomo/donna,
normale/deviante; documentario/invenzione del soggetto; oggetti, strumenti, ideologie,
comunicazione tra alterità…
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Qui siamo ad un livello di legittimità più che di pertinenza specifica, di ricerca a partire da
questioni, interessi esterni al film ma su cui evidentemente il film apre...
3) Dal concetto all’immagine
A questo punto del percorso di formazione-addestramento una serie di proposizioni preliminari
hanno guidato sinteticamente – ed insieme spiegano – la costruzione dei lavori di smontaggio di
sequenze visive ed il loro montaggio in un nuovo anello filmico:
a) produrre contesti – comunicare sequenze
b) rete di connessioni simboliche
c) la classificazione scientifica del reale si basa sul principio di costruzione di “classi-finzioni” (J.M. Lévy-Leblond, vedi recensione)
d) "Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili" (Jules Henri
Poincaré)
e) “Per fare qualcosa di interdisciplinare non basta scegliere un ‘soggetto’ e raccogliervi attorno due
o tre scienze. L’interdisciplinarietà consiste nel creare un nuovo oggetto che non appartiene a
nessuno” (Roland Barthes).
Pur nella loro difformità logica ed epistemologica, queste proposizioni da una parte hanno
individuato come i concetti in questione di Margine, Confine, Soglia, Limite siano governati da una
logica binaria, di inclusione/esclusione: non ci sono sfumature intermedie; le linee che ciascun
concetto definisce e de-linea sono segni-tratti che dividono in due. Questo è un principio di
classificazione che ciascuno di questi concetti assume per de-finire il reale (e la parola che è rinviata
dal concetto stesso) .
Dall’altra questi stessi concetti possono essere sottoposti con efficacia a processi cognitivi di
Dislocazione, Trasferimento, Traduzione, Transcodifica… permettendo una connessione immediata
tra concetti ed immagini a partire proprio dalle immagini o facendo ricorso alle immagini quale
luogo di espressione extra-linguistica dei concetti.
4) Alcuni risultati (con riflessioni)
Giacomo Tagliani compone un intervento testuale e visivo su Montaggio di figure e figure di
montaggio: il rapporto con l’altro in Werner Herzog, (aprile 2007, durata 56’).
Dalla presentazione: “Questo lavoro è il frutto di una ricerca che trae spunto da un ciclo di lezioni
inerente alle contaminazioni tra antropologia e cinema; in particolare verranno esaminati in questa
sede le problematiche connesse al rapporto con l'altro, non necessariamente inteso come essere
umano, ma più in generale come istanza esterna ad un soggetto. Il punto di partenza è costituito dai
alcuni film del regista tedesco Werner Herzog, il cui lavoro verte da anni sulla problematizzazione
del concetto di visione, concetto che presiede, ovviamente, alla costruzione della dicotomia identitàalterità.
Prima di soffermarsi sul tema specifico, risulta particolarmente proficuo tracciare alcune linee
comuni all'intera produzione herzoghiana presa in considerazione, Fata morgana, Aguirre furore di
Dio, Fitzcarraldo, Cobra Verde, Dove sognano le formiche verdi e The Wild Blue Yonder.
Innanzitutto ciò che contraddistingue questo corpus è una tensione costante verso l'estremo,
connotato come frontiera e come limite; si tratta in particolare di mettere in scena situazioni di
attrito fra entità eterogenee, tanto, come già detto, fra uomo e uomo che fra uomo e natura. Questa
liminalità figurativa trova una forte corrispondenza con una liminalità geografica entro la quale si
inscrivono i differenti testi: più che di regista-viaggiatore, quale più propriamente può essere
definito Wim Wenders, ad esempio, si dovrebbe parlare piuttosto di un regista-esploratore che porta
ad esaurimento il substrato latente dei vari ambienti che utilizza, non giustapponendo
esclusivamente una successione di luoghi, trasfigurati o meno secondo una precisa intenzione, ma
creando un mondo conchiuso entro le soglie imposte da lui stesso. In questo senso, la lavorazione
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del film diventa materiale per il film stesso, tanto che filmico e profilmico sembrano entrare in una
relazione sinergica e di reciproca influenza. Si vedrà più nel dettaglio cosa comporti questa tensione
e come essa sia parte attiva nella messa in questione di uno sguardo europocentrico tramandato nel
corso della storia e oramai consolidato”.
Agostino Arciuolo approfondisce l’interesse per un regista così complesso ed “antropologico”
come Herzog con l’intervento testuale e visivo Uomo e natura in Herzog. (S)montaggio critico
(novembre 2008, durata 17’). Dalla presentazione: "Al pari della creazione, anche la morte del
sistema solare avverrà con maestoso splendore": con queste parole (attribuite al filosofo Blaise
Pascal) Werner Herzog apre il suo Apocalisse nel deserto (Germania 1992). Ci si rende subito conto
che il senso profondo della frase sta tutto nella consapevolezza, tanto implicita quanto lampante,
che l'uomo, creatura fragile come una "canna al vento" (per dirla di nuovo con Pascal), non ha
alcuna possibilità di assistere al solenne spettacolo cosmico dell'inizio o della fine dell'universo.
Fosse anche per negarla, l'occhio umano si trova costretto a fare i conti con questa "scandalosa" e
originaria evidenza: l'esistenza di una realtà immensamente più grande di noi, di una "alterità"
primitiva che, per quanto si possa pensare estranea, distante, talvolta pura apparenza e illusione,
rimane incollata al nostro attonito sguardo, smarrito nella ricerca di una giustificazione alla sua
primordiale incredulità. Eppure l'essere umano non sembra arrendersi di fronte a tutto ciò: egli,
ignaro quasi sempre del prezzo da pagare, continua ostinatamente a inseguire i suoi progetti, le sue
ambizioni, la sua smania di potere.
Ed è esattamente tale sforzo ciò che il nostro regista intende mostrarci: la sua cinematografia sgorga
di figure umane che, sospinte dal loro folle "eroismo", trovano il coraggio di sfidare ciò che per
natura rimane invincibile, di oltrepassare quella "soglia" oltre la quale c'è solo solitudine e morte:
basti pensare a come il delirante egocentrismo di Aguirre trascini lui e i suoi compagni verso la
distruzione, o a come Timothy Treadwell, protagonista del documentario Grizzly Man, vada
incontro, pur mosso da buone intenzioni (o forse proprio per questo), alla sua tragica fine”.
Aurora Iandolo e Giovanni Balsamo propongono testo e video sul tema dell’alterità con il titolo
Se stesso come l’altro (novembre 2008, durata 24’). Dalla presentazione: “Nella vita di tutti i giorni
dinanzi all’alterità ci capita spesso di fare un passo indietro, affinché la nostra identità non corra il
pericolo di essere scalfita da qualcosa che, per il semplice fatto di occupare uno spazio, viene
considerata destabilizzante. La presa di distanza nei confronti del diverso sembra marcare una linea
di confine, un orizzonte invalicabile oltre il quale si realizza lo scacco di una serie di convinzioni,
che hanno costruito la nostra identità. Ma ciò che crediamo di essere, fino a che punto può arrogarsi
il diritto di escludere l’altro? Siamo proprio sicuri che chiudendoci in una torre d’avorio insieme
alle nostre paure si riesca a vivere meglio? E nel momento in cui sarà l’altro a cercarci come
reagiremo? Continueremo a marcare la linea di confine arroccandoci dietro una trincea? Oppure
prenderemo coscienza della necessità di un dialogo, di una messa in discussione che, partendo da
noi stessi, possa rielaborare un nuovo concetto di alterità? Scalfire una serie di luoghi comuni,
contrastare linee di pensiero obsolete, può servire a prendere coscienza che se esiste un’identità ciò
è dovuto anche all’altro, il quale, ponendosi come termine di paragone, ci aiuta a capire ciò che è
alla base della nostra persona. Bisogna imparare a vedere l’altro come un compagno di viaggio,
dunque, non come il termine primo di un processo di esclusione, ma come termine ultimo di un
processo di conoscenza, che lo ponga come meta da raggiungere, affinché la nostra stessa identità
possa rivelarsi veritiera”
Michela Entradi, con la sua proposta di Sconfinamenti (novembre 2008, durata 29’), è presente
invece solo con un montaggio visivo realizzato a partire dalla definizione di: “Limen/limes è una
parola latina la cui area semantica va dal significato di soglia, limite, ingresso a quello di confine, di
casa e dimora, fino a quello di traguardo. L’idea che accomuna tutti questi termini è la presenza di
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una linea di demarcazione che stabilisce un rapporto di inclusione/esclusione tra gli elementi interni
ed esterni ad essa…”.
Che succede quando i concetti di Margine, Soglia, Confine, Limite vengono “visti”, cioè quando
questi concetti non vengono espressi con parole che le spieghino ma vengono “trasferiti” con un
processo cognitivo in e con immagini filmiche, quando prendono corpo visivo? Non si tratta con
questa “azione” cognitiva tanto di esprimere e definire concetti né forse di sostituire
“semplicemente” le parole con immagini, di corredare, supportare od illustrare i concetti con
immagini: al contrario si tratta di stabilire una connessione immediata tra concetti ed immagini a
partire proprio dalle immagini (come dire “questa immagine mi significa questo concetto”), o
facendo ricorso alle immagini quale luogo di espressione di concetti (come dire “lo vedo con gli
occhi della mente”).
E’ questa la proposta di Sconfinamenti cognitivi in video realizzata da Michela Entradi con un
montaggio di sequenze filmiche che significano questi concetti, sconfinando con un principio di
Traduzione-Transcodifica-Trasferimento che può essere senza fine, proprio come un racconto che
trova nel raccontarsi stesso l’annullamento o superamento del confine del codice espressivo
realizzato: il concetto-parola si presenta allora sotto forma di metafora visiva.
Ancora una spiegazione riguardo all’azione cognitiva implicata in questa costruzione d’espressione:
il montaggio visivo realizzato si pone come nuovo film, di livello “meta” rispetto ai singoli e
specifici film di partenza ed utilizzati, ma film del tutto particolare: come prodotto che “crea
contesti e comunica sequenze” e che nell’atto della fruizione si colloca e definisce come “rete di
connessioni simboliche”.
Ma se queste costruzioni filmiche, questi meta-film, questi nuovi film sono un puzzle che si
combina non in sé ma in una rete di connessioni simboliche, che succede dello e nello spazio che si
viene a creare tra una sequenza e l’altra? Da una parte nel film originario l’autore-regista lascia allo
spettatore-fruitore il compito di completamento della successione delle sequenze sia in funzione
della “storia” che per il regista è chiusa e contenuta nel film stesso nel momento in cui questo viene
proposto al pubblico, sia nella libertà dello spettatore come interprete, soggetto storico. Dall’altra
nel meta-film “ri-costruito” sono le categorie concettuali contenute nel montaggio a chiudere lo
spettatore in una specie di testo visivo, del tutto speciale: in questo caso autore e fruitore vengono
ad essere isomorfi, se l’operazione è ben riuscita…
Michele Di Giorgio, Il margine sociale, esistenziale e politico nel cinema di Ken Loach (dicembre
2008, durata 1.54’).
Dal cartello in apertura del montaggio: “Ken Loach propone una forma di cinema militante,
scandaglia con sguardo clinico il disagio delle persone in tutte le sue forme. Predilige la descrizione
di periferie sociali, politiche e geografiche. Le difficoltà e le disgrazie degli abitanti dei sobborghi
periferici di Glasgow (My name is Joe, Sweet Sixteen); la ricerca incessante di un lavoro per
garantire il necessario alla propria famiglia (Raining Stones); la precarietà, generata dalle
privatizzazioni selvagge che hanno sconvolto la Gran Bretagna, vista attraverso la vita quotidiana di
un gruppo di ferrovieri dello Yorkshire (The Navigators); storie personali di operai edili sottopagati,
costretti a vivere in situazioni di fortuna e che ogni giorno rischiano la vita sul posto di lavoro (Riff
Raff); lavavetri e pulitori che nella scintillante Los Angeles vengono sfruttati in cambio di paghe da
fame (Bread and Roses); ragazzi dei quartieri poveri della “ricca e civile” Gran Bretagna ridotti a
vendersi e a spacciare per sopravvivere (My name is Joe, Sweet Sixteen); persone che lottano per la
libertà contro un regime oppressivo (Fatherland, Land and Freedom, Carla’s Song), per
l’indipendenza del loro paese (The Wind that Shakes the Barley) o contro pregiudizi sociali e
religiosi che intralciano la loro vita (Ae Fond Kiss); questi sono i luoghi e i temi che caratterizzano
il cinema dell’acuto regista britannico.
I concetti di margine, soglia, confine, limite si trovano espressi, in tutta la loro concretezza, nella
filmografia di Ken Loach. In particolare, il concetto di margine, è costituito dal disagio.
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Rappresentato in ogni sua forma (politica, economica, esistenziale), questo tema è sempre al centro
dei lavori del regista inglese.
La sequenza che segue non ha un ordine preciso, ogni frammento è come un’istantanea, una short
story. Alcune scene si ricollegano tra loro in quanto appartenenti allo stesso film, altre sono sciolte e
significano esattamente ciò che mostrano.”
Cristina Salvadori, L’alterità: interazione statica o dinamica? Una possibilità di risposta
attraverso “American History X” di Tony Kaye (8 febbraio 2009, durata 18’).
Testo del progetto del montaggio: cogliendo l’input iniziale che cerca di testimoniare e di elaborare
cognitivamente la presenza dell’alterità all’interno del vario mondo del cinema, ho tentato di
interagire con la pellicola di “American History X” (Tony Kay, USA, 1999) dando vita ad una
cosiddetta “sceneggiatura a posteriori“, funzionale alla resa di uno scopo prefisso, ovvero quello di
esaminare la possibilità di un cambiamento verso l’alterità a partire da situazioni estreme, arroccate
su un sentimento di avversione che sembra non lasciare intravedere spiragli di mutamento. Ecco
allora che un unico film è stato visionato, spezzettato, rincollato nelle parti interessate e reinserito
all’interno di una nuova cornice interpretativa che spera di comunicare il messaggio e la tesi di
fondo. La suddivisione in tre capitoli aiuta a mantenere il ritmo illustrativo della questione dando
valore ermeneutico alle immagine selezionate.
Il primo capitolo (Odio … / … genera odio … / … riproduce odio …) ci descrive la situazione di
partenza. Il nostro protagonista appartiene ad un gruppo di naziskin sorto nei quartieri periferici di
Los Angeles, come simbolo di sfogo sociale nonché di ricostruzione vivente dell’ideologia nazista,
esternata mediante richiami storico-culturali, valori e simbologie. Il contatto con l’alterità
afroamericana si esplica in comportamenti violenti, razzisti e xenofobi, provenienti da un puro
sentimento di odio che crea un vero e proprio limite: il baratro dell’ignoto che costruisce una
barriera tra i due mondi provocando una risposta analoga da parte della diversità disprezzata,
nonché forme di emulazione di tale atteggiamento messe in atto da chi sta maturando la costruzione
di un’identità e di una coscienza (fratello minore del protagonista).
Il capitolo successivo (Mutamento …) ci apre le porte al nuovo mondo tirato su dal protagonista:
l’estremo gesto del porre fine alla vita di un essere umano solo per il diverso colore della pelle ha
come conseguenza la prigione, che assume qui la funzione di tempio per la redenzione. La caduta
degli ideali, la condivisione della dura esperienza della reclusione, i significativi incontri, il
ridimensionamento della visione precedente ed infine l’amicizia con il ragazzo afroamericano,
protettore dell’incolumità fisica e supporto dell’integrità psicologica del protagonista, sradicano la
posizione estrema del naziskin trasportando la sua identità in un’opposta dimensione attraverso un
movimento dinamico che fa risaltare in positivo l’interazione con l’alterità, nonché la ricchezza
proveniente dalla diversità.
Il terzo ed ultimo capitolo (Ritorno alla origini …) blocca, in un certo senso, la fluidità dinamica
messa in evidenza nei frames precedenti poiché si assiste ad un ritorno alle origini, all’immobile
situazione iniziale di violenza che assegna un andamento circolare al montaggio dove l’inizio
coincide con la fine e depotenzia il cambiamento messo in atto. Certo si deve tener conto delle
generali variabili sociali, storiche, culturali e politiche nell‘assistere a tale risposta, ma, in questo
piccolo spazio ricreato, il finale pone l’accento su una “dinamicità statica”, ossimoro che mette in
evidenza l’utilità mancata di una dinamicità parziale e a senso unico, che regredisce verso la
staticità interrelata presentata all’inizio e fonte di chiusura e violenza. L’interazione allora sarà
totalmente dinamica nel momento in cui la volontà si farà viva da entrambe le parti materializzando
il miraggio dell’intercultura.
Rinvio ai documenti (la durata del video si riferisce al suo formato originale):
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Giacomo Tagliani, Montaggio di figure e figure di montaggio: il rapporto con l’altro in Werner
Herzog, durata 56’. Testo – Video: parte 1 – parte 2
Agostino Arciuolo, Uomo e natura in Herzog. (S)montaggio critico, durata 17’. Testo - Video
Aurora Iandolo e Giovanni Balsamo, Se stesso come l’altro, durata 24’. Testo – Video
Michela Entradi, Sconfinamenti, durata 29’. Video
Michele Di Giorgio, Il margine sociale, esistenziale e politico nel cinema di Ken Loach, durata
1.54’. Testo - Video: parte 1 – parte 2
Cristina Salvadori, L’alterità: interazione statica o dinamica? Una possibilità di risposta
attraverso “American History X” di Tony Kaye, durata 18’. Progetto – Video
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