Anteprima Estratta dall` Appunto di Propedeutica filosofica

Anteprima Estratta dall' Appunto di
Propedeutica filosofica
Università :
Facoltà : LettereFilosofia
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L' Appunto
Le Domande d'esame
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L' Appunto
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Introduzione alle dispense 2006-2007 Modulo I di propedeutica filosofica
[versione 15.1.07]
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Carlo Penco
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Queste sono “dispense”, cioé appunti di lezione, buttati giù in fretta dopo ogni lezione per aiutare
a fissare le idee discusse in classe. Non sono state accuratamente riviste come si fa per un libro
e non credo sarà difficile trovarvi errori o approssimazioni un po’ grossolane. La lettura di altri
testi può aiutare a chiarire ed approfondire. Le dispense sono quanto basta (e avanza) per poter
sostenere le domande dell’esame scritto per il primo modulo di Propedeutica filosofica.
L’idea che sorregge queste dispense è la seguente:
1-2
presentare il concetto di conoscenza, le fonti della conoscenza, la varietà dei modi di
usare il termine “conoscenza”, dare la definizione “classica” di conoscenza, presentare i dubbi
sulla pretesa di conoscere (lo scetticismo), e alcune risposte allo scetticismo (specie nella sua
versione humeana).
3-6
soffermarsi su una delle fonti della conoscenza - la ragione o il ragionamento - e fornire
gli strumenti con cui si cerca di giustificare la conoscenza razionale, cioé i criteri della logica.
Introdurre quindi il quadrato delle opposizioni aristotelico, e i principi della logica stoica, cercando
di mostrare come oggi le due logiche siano state unificate. Presentare le tavole di verità (che
assieme ai diagrammi di Venn per il sillogismo, costituiscono criteri per valutare la verità e validità
dei nostri ragionamenti). Introdurre il concetto di forma logica.
7-10
mostrare come la fonte di conoscenza data dal ragionamento non è sempre affidabile;
mostrare quindi, i tipi fondamentali di ragionamento (deduttivo e induttivo) e le varie forme di
fallacie in cui possiamo incorrere, sia nelle nostre argomentazioni deduttive, sia in quelle
induttive; mostrare alcuni tipi di fallacie che possono usare sia errori nella forma logica, sia falsità
delle premesse, sia altri modi (richiamo alle emozioni, ecc.) per farci “credere” qualcosa che è
falso o non giustificato a sufficienza.
11-15 presentare l’idea di conoscenza scientifica, che è il prototipo di conoscenza della nostra
epoca storica. Spiegare cosa caratterizza le leggi scientifiche. Discutere la distinzione tra scienza
e non scienza, presentare l’idea di teoria scientifica e di rivoluzione scientifica.
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SPIEGAZIONE DELLA BIBLIOGRAFIA SUGGERITA:
Per l’esame finale PER IL PRIMO MODULO bastano le dispense che verranno messe on line.
La bibliografia presentata è per chi volesse approfondire alcuni degli aspetti presentati a lezione.
Qui alcune spiegazioni sintetiche del contenuto dei libri suggeriti:
C. CASADIO, Psicologia del pensiero, Carocci, Milano, 2006.
Breve presentazione di elementi di logica, più analisi del rapporto tra logica e processi cognitivi.
Una buona analisi del gioco della 4 carte e altri problemi dei limiti del ragionamento effettivo.
A. COLIVA E. LALUMERA, Pensare, Leggi ed errori del ragionamento, Carocci, Roma 2006.
Una ottima introduzione al critical thinking, alle basi elementari della logica. Libretto agile e breve, con
esempi divertenti, di facile lettura.
A. MUSGRAVE, Senso comune, scienza e scetticismo, Cortina, Milano, 1999.
Ottima presentazione del problema dello scetticismo attraverso i ssecoli; una specie di storia della filosofia
vista sotto la lente delle sfide scettiche alla conoscenza e i tentativi di risposta alle sfide scettivhe.
P. ODIFREDDI, Il diavolo in cattedra, Einaudi, Torino, 2004.
Una presentazione della logica nei suoi sviluppi, con presentazione di aspetti della logica antica e moderna.
Esposizione chiara e divulgativa, molto ricca, con polemiche a volte irrilevanti, che comunque alleggeriscono
la lettura.
N. VASSALLO, Conoscenza e natura, De Ferrari, Genova, 2002.
Una serie di brevi articoli sulla conoscenza, sui fondamenti, sul contestualismo, sul naturalismo, ecc. – di
facile lettura. A me pare una ottima introduzione ai problemi dell’epistemologia, capace di far toccare anche
problemi profondi in modo semplice e chiaro.
N. VASSALLO, Teoria della conoscenza, Laterza, Roma, 2003.
Libro più sistematico sui temi dellìepistemologia. Testi base per l’esame di Teoria della conoscenza.
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Propedeutica filosofica - teoria della conoscenza/1
Il problema della conoscenza
Carlo Penco - appunti da lezione
Obiettivi:
inquadrare sommariamente i diversi campi della filosofia
collegare i settori filosofici alle domande cui cogliono rispondere
presentare la definizione classica di conoscenza
ragionare su esempi sulle condizioni necessarie per la conoscenza
introdurre ad alcuni elementi di terminologia filosofica
INQUADRAMENTO
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Al liceo classico si studia storia della filosofia occidentale, suddivisa di massima nel
modo seguente:
- la filosofia antica, dai presocratici, alle grandi figure di Platone e Aristotele, alla filosofia
medievale almeno fino a Tommaso.
-la filosofia moderna, a partire dalla rivoluzione scientifica di Galileo e i grandi filosofi
razionalisti come Cartesio e Leibniz, fino all'empirismo inglese di Hobbes, Locke e Hume
e le figure centrali della filosofia tedesca classica, Kant e Hegel.
- la filosofia contemporanea, dalla filosofia posthegeliana (Marx e Kiekgaard) a
Nietszche, Husserl, Heidegger, Wittgenstein (raramente ci si spinge a parlare degli
autori a noi contemporanei).
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In queste lezioni non si farà storia della filosofia, ma si cercheranno di chiarire
alcuni dei concetti chiave del metodo filosofico. Una prima distinzione, che è sempre
stata presente sotto forme diverse in quasi tutti i filosofi, è la distinzione fondamentale
tra filosofia pratica e filosofia teorica. In sintesi:
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- la filosofia"pratica" comprende l'etica, la filosofia politica, le varie applicazioni …
- la filosofia "teorica" comprende l'epistemologia, l'ontologia, la metafisica e le varie
"filosofie di" (filosofia della scienza, del linguaggio, della religione, ecc.)
La divisione non è così netta. Ad esempio l'estetica a volte viene collocata nella filosofia
"pratica", perché riguarda i giudizi di gusto, e a volte nella filosofia teoretica perché
studia teoricamente i problemi della percezione; e così per altri settori. In queste lezioni
di "propedeutica filosofica" ci si concentrerà soprattutto sulle idee centrali di
epistemologia, metafisica ed etica, che sono tre discipline che nascono da tre diverse
domande:
(1) come conosciamo? (epistemologia)
(2) cosa conosciamo? (metafisica)
(3) come dobbiamo agire? (etica)
In questa prima parte delle lezioni ci concentriamo sulla prima questione. Mentre la
metafisica e l'ontologia si concentrano sul chiarire ciò che conosciamo, e sulla
definizione di cosa è la realtà, la epistemologia si concerta sul soggetto conoscente, o
meglio sulle fonti e i limiti della conoscenza. Per questo, in modo sbrigativo, si può dire
che la metafisica si occupa del cosa conosciamo e l'epistemologia del come
conosciamo.
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LA NASCITA DEL PROBLEMA DELLA CONOSCENZA
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Conoscenza diretta, sapere come e sapere che
Prima di tutto chiariamo un possibile equivoco; si usano i termini "conoscenza" e
"sapere" in molti modi differenti, e in particolare si distingue tra conoscenza come
capacità di riconoscere, come abilità pratica e come capacità di descrivere. Certo
Venus Williams conosce bene sua sorella Serena, sa giocare bene a tennis, nel senso
che è capace di vincere gare ed è migliore di altre, ma forse non sa gran che della teoria
fisica che permette alla sua racchetta di mandare la palla da tennis a una velocità
superiore, pur con la stessa forza, di una racchetta da tennis di 100 anni fa. Venus
conosce sua sorella, sa come giocare, nel senso che è capace di giocare, ma non è
detto che sappia tutto della storia del tennis; magari non sa che le sue schiacciate sono
migliori di altre perché hanno una certa inclinanzione; non lo sa, lo fa.
I tre modi di usare i termini "sapere" e "conoscere" vengono classificati come riguardanti
diversi genere di conoscenza chiamati rispettivamente
1) conoscenza diretta (conoscenza "by acquaintance" diceva Russell)
2) conoscenza pratica ("know how")
3) conoscenza proposizionale ("knowing that")
Molti sono bravi a fare una cosa senza saperla descrivere. Il loro è un sapere
pratico, una padronanza di certe abilità. In quanto segue ci interesseremo non di questo
tipo di sapere, ma di quella conoscenza che si esprime a parole, e di cui si usa parlare
dicendo "x sa che …..", dove, dopo il "che", segue una qualsiasi proposizione. Per
questo si suole parlare di "conoscenza proposizionale".
D'ora in poi parlerò semplicemente di "conoscenza".
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Conoscenza e credenza
Il termine "epistemologia" deriva dal greco "epistéme", che vuol dire "conoscenza" e
viene contrapposto tipicamente a "dòxa" o credenza. La distinzione risale almeno a
Platone, che distingue
- la mera credenza intrattenuta senza alcuna giustifiazione,
- la conoscenza, che richiede di essere solidamente fondata:
La distinzione tra credenza e conoscenza è il primo passo della filosofia; non
basta credere che un fatto sia così è così affinché quel fatto sia davvero così. Credere
qualcosa non comporta necessariamente la verità di questo qualcosa. La maggior parte
delle cosiddette "persone comuni" (magari quelle un po' arroganti) sono così convinte
delle loro idee che pensano che tutto ciò che credono sia vero, e non si rendono conto
che non basta credere qualcosa affinché questo sia vero. Se credo che la luna è fatta di
formaggio, non per questo la luna è fatta di formaggio; allo stesso modo se credo che il
sole gira attorno alla terra, non per questo è vero che sia così. Ci sono voluti secoli di
discussioni scientifiche per capirlo.
Spesso ci rendiamo conto di non conoscere la verità, e questa consapevolezza
aiuta a distinguere tra credenza e conoscenza. Il bisogno di conoscenza è l'esigenza di
raggiungere qualcosa di più della credenza, e nasce dalla consapevolezza che altre
persone hanno credenze diverse dalle nostre. Se due persone credono cose diverse,
come fare? O entrambi si chiudono nella propria convinzione e rifiutano le idee altrui, o
cercano di giustificare quello che credono per dimostrare che è vero.
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Lasciamo per ora il problema della credenza religiosa, della fede che spesso è
der definizione "cieca" ("credo quia absurdum"). Occupiamoci della dimensione più
terrrena del credere, quando usiamo normalmente espressioni come "credo che domani
pioverà", "credo che Pia non sia in casa", "credo che il treno sia già partito", ecc.
Possiamo dire che ci interessa l'uso "proposizionale" del credere, nel senso che una
qualsiasi proposizione p puo' seguire l'espressione "credo che ….". Facciamo
normalmente una netta distinzione tra chi dice "credo che il treno sia già partito" e chi ci
dice "so che il treno è già partito". Solo nel secondo caso siamo autorizzati a
domandare: "e come lo sai?". In molti casi infatti non possiamo sapere a priori che
qualcosa sia vero, ma abbiamo bisogno di una giustificazione, o di una prova o verifica
nei fatti. E' infatti possibile che si creda qualcosa, ma quello che si crede sia falso. E
anche se si crede casualmente qualcosa di vero, non basta crederlo per dire di saperlo.
L'idea - che deriva per la prima volta da Platone - è che una credenza, anche se
vera, non è sufficientemente solida per potersi dire conoscenza; infatti - dice Socrate in
un famoso dialogo platonico, Il Menone,
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"le opinioni vere, finché restano, sono cose belle, capaci di realizzare tutto il bene possibile;
solo che non acconsentono a rimanere per lungo tempo,e fuggono via dall'anima umana, per
cui non hanno un gran significato, a meno che non si incatenino con un ragionamento fondato
sulla causalità […] Ecco perché la conoscenza vale più della retta opinione: la differenza tra
conoscenza e retta opinione sta, appunto, nel collegamento."
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Ai giorni nostri si usa considerare la tesi di Platone alla stregua di una definizione
"classica" di conoscenza come credenza vera giustificata.
(1)
(2)
(3)
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La teoria "standard" della conoscenza come credenza vera giustificata
In altre parole, se una persona dice che sa che p, allora ci aspettiamo che questa
persona abbia una giustificazione per quello che dice, e inoltre assumiamo che p sia
vero. Per essere più precisi, una condizione necessaria e sufficiente per dire che un
soggetto sa che p è che p sia vera e che vi sia una giustificazione (che per lo più ci
aspettiamo che ci venga data da chi ha pronunciato p). Schematizzando:
S crede che p
p è vera
p è giustificata (o S ha una giustificazione per p)
Questa definizionie di conoscenza va sotto il nome di teoria della conoscenza come
credenza vera giustificata (in inglese JTB: justified true belief).
Cosa comporta questa definizione? Che condizione necessaria e sufficiente per
avere conoscenza sia (1) credere qualcosa (2) che questo qualcosa sia vero (3) che si
abbia una giustificazione per ciò. Tutte e tre le condizioni devono essere soddisfatte
affinché si dia conoscenza; due sole non bastano. Vediamo due casi:
Non basta avere (1) e (2) per avere conoscenza; se io credo che piova solo perché me
lo immagino e di fatto piove, non posso sensatamente dire di "sapere" che piove (posso
dire di sentirlo in cuor mio, o di averci "azzeccato", ma sentire in cuor proprio non è
sapere, almeno in questo senso di conoscenza). [provate a fare altri esempi del genere]
Non basta avere (1) e (3) per avere conoscenza: se io credo che il sole giri intorno alla
terra e ho giustificazioni (dalle teorie astronomiche e dall'osservazione) ma è falso che il
sole giri intorno alla terra, allora non so che il sole gira intorno alla terra (e di fatto
diciamo degli antichi che credevano che il sole girasse intorno alla terra, non che lo
sapevano (anche se credevano di saperlo). [provate a fare altri esempi del genere]
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Problemi della teoria standard della conoscenza
A partire dalla seconda metà del secolo scorso sono iniziate diverse critiche a
questa visione della conoscena; molti filosofi (a partire da E. Gettier) hanno sostenuto
che le 3 condizioni della visione JTB della conoscenza sono necessarie, ma non
sufficienti. Ci possono cioé essere casi in cui valgono tutte e tre le condizioni, eppure
siamo portati a dire che non c'è una vera e propria conoscenza.
Prendiamo un esempio: ho un orologio che credo funzionante, e - guardandolo noto che sono le 11. Sono le 11. Ma non so che questo accade per puro caso, dato che
il mio orologio si era rotto alle 11 di qualche giorno fa. Per puro caso accade che lo
guardi nel momento in cui la lancetta è sull'ora giusta. Le condizioni sembrano rispettate:
(1) credo che siano le 11 (2) sono le 11 (3) sono giustificato nel credere che siano le 11
perché ritengo (erroneamente) che il mio orologio funzioni benissimo. Eppure viene il
dubbio se posso dire di sapere che sono le 11. Più che altro ci ho azzeccato per puro
caso!
Altro esempio: metto due birre in frigo, esco; entra Maria che se le beve; poi
entra Giorgio che ne compra altre due; io ritorno a casa e dico a Giorgio: "so che ci sono
due birre in frigo"; in effeti, dato p = "ci sono due birre in frigo", vale che (1) credo che p,
(2) p è vera (3) io sono giustificato a credere che p perché ho messo due birre in frigo.
Ma qualcosa ci dice che il mio sapere che ci sono due birre in frigo non è una piena
conoscenza, ma dipende dal caso - dal fatto che Giorgio ha messo - a mia insaputa due birre in frigo, perché le mie - che credevo vi fossero - non ci sono più.
Questo tipo di problemi sono al centro della discussione contemporanea sulla
definizione di conoscenza. Molti filosofi ritengono che alle tre condizioni della definizione
standard vadano aggiunte altre caratteristiche. Ad esempio si potrebbe sostenere che
occorre anche
(4) un nesso causale tra la mia giustificazione e lo stato di cose
(Platone parlava di legame causale, come potete vedere dalla citazione)
oppure anche che
(4bis) che la conoscenza sia realizzata attraverso un processo affidabile.
La discussione di queste teorie vanno oltre a una presentazione elementare e saranno
oggetto di studio nei corsi di "teoria della conoscenza" e di "epistemologia".
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