MULTILEVEL CONSTITUTIONALISM E DIRITTI FONDAMENTALI di Silvio Gambino Università degli Studi della Calabria Sommario: 1. Crisi dello Stato sociale, dello Stato-Nazione, dello Stato dei partiti e del costituzionalismo contemporaneo; lenta affermazione del costituzionalismo europeo. Alcune premesse introduttive – 2. I diritti sociali fra ordinamento costituzionale e Unione europea – 3. Diritti fondamentali (civili e sociali) e riforme costituzionali in Italia – 4. La protezione multilevel dei diritti fondamentali (fra Costituzione, trattati della U.E. e giurisdizioni) – 4.1. Diritto costituzionale e ordinamenti sovranazionali: princìpi supremi e diritti fondamentali costituzionali come limiti all’integrazione con altri ordinamenti – 4.2. Quale primazìa del diritto comunitario rispetto ai princìpi e ai diritti costituzionali? – 5. La costituzione giurisdizionale dell’Unione europea nella materia dei diritti fondamentali – 6. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo: il parametro della “protezione equivalente” – 7. Primauté comunitaria e identità costituzionali nazionali (secondo gli artt. 5 e 6 dei nuovi trattati) – 8. Verso il controllo diffuso della costituzionalità comunitaria: alcune riflessioni conclusive. 1. Crisi dello Stato sociale, dello Stato-Nazione, dello Stato dei partiti e del costituzionalismo contemporaneo; lenta affermazione del costituzionalismo europeo. Alcune premesse introduttive. Nel più ampio dibattito della dottrina costituzionale ed europea, in corso da più di un decennio, la riflessione che segue mira ad approfondire le complesse tematiche poste dalla positivizzazione e dalla tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali, soprattutto nei termini della previsione di forme e tecniche di protezione ulteriori (comunitarie e convenzionali) rispetto a quelle nazionali. Tale quadro coinvolge le stesse complesse problematiche poste dalle nuove prospettive costituzionali aperte dalla riforma del regionalismo italiano nonché dal contrastato (ma parimenti crescente) sviluppo del processo d’integrazione europea. Benché, in tale processo, siano state respinte, di recente, le più ardite prospettazioni costituzionali aperte dal ‘Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa’1, le più recenti ipotesi accolte nella riforma dei trattati2 ne ripercorrono comunque la sostanza con il riconoscimento alla Carta dei diritti fondamentali3 dello stesso valore giuridico dei trattati dell’Unione. L’art. 6 del Trattato che modifica il Trattato sull’Unione Europea, infatti, estende lo stesso valore giuridico dei trattati alla Carta dei diritti fondamentali dell’U.E., stabilendo che l’interpretazione da accogliersi con riferimento ai diritti, alle libertà e ai principi della Carta debba essere la stessa che viene fissata nelle “Disposizioni generali” del relativo Titolo VII. I nuovi trattati, inoltre, statuiscono l’adesione dell’U.E. alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (C.E.D.U.), prevedendo, in ogni caso, che tale adesione non comporti modifiche nelle competenze dell’Unione (per come definite nei trattati). Si prevede, infine, che la protezione dei diritti fondamentali, per come garantiti dalla C.E.D.U. e per come risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, all’interno del diritto dell’Unione, è quello proprio dei principi generali4. Si può legittimamente discettare circa la natura di Bill of rights per l’Unione Europea di una simile scelta operata dai (nuovi) trattati, ma non si può non prendere atto che – fatta eccezione per le limitazioni imposte dai protocolli aggiuntivi per il Regno Unito e per la Polonia – si pone fine, in tal modo, a una situazione d’incertezza circa la natura giuridica della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E., che si era protratta per un tempo indubbiamente eccessivo. Un tempo – quest’ultimo – come si ricorderà e come abbiamo altrove sottolineato5 – che, anche in ragione di ciò, aveva legittimato quelle innovative letture giurisprudenziali che, pur a fronte della natura di documento politico della Carta, l’accoglievano come parametro nella tutela dei diritti fondamentali, ancorché in unum con altri parametri di protezione. I profili riguardati dalla prospettiva prescelta per la presente analisi riguardano, così, tanto le tematiche dell’evoluzione (del contenuto) dei diritti dalla fase liberal-democratica (originaria) a quella socialdemocratica (contemporanea), quanto (e soprattutto) le questioni del coordinamento delle tutele accordate dai diversi livelli istituzionali nei quali va da tempo articolandosi il costituzionalismo contemporaneo, il c.d constitutionalism multilevel6. In modo pressoché obbligato rispetto al tema assegnato, l’analisi riguarderà le Cfr. S. Gambino (a cura di), Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, Costituzioni nazionali e diritti fondamentali, Milano, 2006. Per come i previgenti trattati sono ora denominati, ai sensi dell’art. 1.2.b del Trattato che modifica il Trattato sull’Unione europea e del Trattato che istituisce la Comunità europea, firmati a Lisbona il 13 dicembre 2007. Per una prima bibliografia sui nuovi trattati cfr. J. Ziller, Il nuovo Trattato europeo, Bologna, 2007. 3 proclamata a Nizza (il 7 dicembre 2000) e riproclamata solennemente (il 12 dicembre 2007) nella sede del Parlamento europeo a Strasburgo. 4 Fra gli altri, cfr. anche il nostro, “Le sfide dell’Unione Europea: l’integrazione attraverso i diritti”, in D. Infante (a cura di), Crescita e prospettive dell’Unione Europea allargata, Bologna, 2006. 5 Cfr. il nostro “I diritti fondamentali comunitari fra trattato costituzionale e costituzioni nazionali”, in Studi Urbinati, 2006, n. 57,1. 6 Sul concetto, si veda: I. Pernice, “Multilevel Constitutionalism and the Treaty of Amsterdam: European Constitution – Making Revisited?”, in Common Market Law Review, 1999, 36, p. 703 ss; I. Pernice, “L’Unione Costituzionale europea (Der Europäische Verfassungsverbund) nella 1 2 problematiche poste dalla evoluzione storico-costituzionale dei diritti nonché dai rapporti esistenti fra riconoscimento di cataloghi di diritti e relativa protezione giurisdizionale. Rispetto a ognuna di tali prospettive di analisi si cercherà di offrire una risposta all’interrogativo su chi sia il garante dei diritti fondamentali (soprattutto di quelli sociali, di cui parleremo meglio in seguito) e quali problematiche pongano tali garanzie rispetto al processo di integrazione europea (prima e dopo la Carta dei diritti fondamentali dell’U.E.). L’analisi riguarderà, infine, le forme e i limiti dell’apertura della Unione e di quella convenzionale, ponendo alcuni interrogativi relativi ai rapporti fra la giurisprudenza comunitaria e quella interna in tema di primazia del diritto comunitario nella stessa materia dei diritti fondamentali e interrogandosi in tale ambito sulla perdurante validità della dottrina e della giurisprudenza costituzionale in tema di ‘controlimiti’. La complessa architettura del costituzionalismo contemporaneo alla quale si legano gran parte delle presenti conquiste in termini di civiltà e di giustizia sociale nonché delle concrete aspettative in termini di organizzazione dei poteri e di tutela dei diritti, agli inizi del nuovo millennio, sembra scomporsi e incrinarsi sotto l’influsso di una moltitudine di forze e di tendenze che fanno vacillare quelle forme e quei modi di essere dello Stato costituzionale apparsi mezzo secolo fa saldi e definitivi perchè appropriati a una democrazia concepita come patrimonio di ciascuno e di tutti. Lo ‘Stato sociale’, lo ‘Stato sovrano’, lo ‘Stato dei partiti’, forme storiche di questo Stato e di questa democrazia che coniuga libertà ed equità, pluralismo sociale e pluralismo dei poteri, manifestano attualmente i segni della loro decadenza, coinvolgendo inevitabilmente nel disfacimento quei principi e quei valori che rappresentano l’impalcatura di tutto il costituzionalismo del Novecento e che solo in queste forme contemporanee della statualità riescono a trovare il loro naturale quanto armonioso campo di espansione. La crisi dello Stato contemporaneo si rivela, pertanto, profonda e complessa perchè variegata e poliedrica; una crisi di forme e di sostanza, di strumenti e di obiettivi, di principi organizzativi non sempre rivedibili e di principi ispiratori inderogabili. Questa discrasia tra mezzi e fini che corrode la schiusa architettura ideale del costituzionalismo democratico risulta particolarmente evidente e intensa nel processo di destrutturazione del Welfare State, in atto ormai da più tempo in presenza dei fenomeni economici e sociali connessi alla globalizzazione. La crisi dello Stato sociale, infatti, non rappresenta solo il fallimento di un modello politico dell’economia che vanta il merito storico di aver consentito l’equilibrio sociale in regime capitalistico. Tale crisi rappresenta anche l’appannamento di uno Stato costituzionale che assume la dignità dell’uomo come suo punto di partenza storico-culturale e che fissa una scala di valori dominanti come base di questa dignità e come linea direttrice del proprio sviluppo funzionale. Con la crisi del sistema economico e del mercato del lavoro, così, lo Stato sociale, speranza per molti, mezzo di sopravvivenza per tanti, privilegio per alcuni, rivela una sua caratteristica molto importante: quella di una forma di Stato che proclama i diritti di tutti ma senza assicurarne la effettività. Se la crisi dello Stato sociale tende a destrutturare l’ampio e complesso sistema creato da un costituzionalismo in cui la linearità della tradizione liberale si fonde con la complessità della democrazia sociale, la crisi dello Stato-Nazione che a esso si accompagna sembra invece piegarlo dentro un ordine di cose e di tendenze che sfuggono alle sue regole e alle sue determinazioni. Nell’era della globalizzazione in cui il tutto domina sulle parti, l’universale sul particolare, tra nuovi luoghi e nuovi detentori del potere, si disperde, infatti, quell’attributo essenziale della personalità politico-giuridica dello Stato che lo rende istanza originaria, indipendente e suprema. La sovranità, grande sfida del secolo scorso, diventa, così, l’immenso miraggio del nuovo millennio, la copertura rituale di uno Stato che, privo delle sue fondamenta, della sua autorità, si trasforma in ‘non Stato’, in mero elemento costitutivo di una realtà in continua evoluzione. Intaccata l’essenza stessa della statualità, questo vecchio sovrano ormai senza scettro si destruttura e si sfalda avviandosi verso un lento e forse inesorabile declino, sollevando molti dubbi sulla sua capacità di riassorbire la crisi. Questo processo erosivo del potere sovrano che scandisce la crisi dello Stato contemporaneo e del costituzionalismo che lo ha prodotto, comincia storicamente con la perdita del governo statale dell’economia. L’esaurirsi dell’economia nazionale e il sorgere di economie aperte oltre i confini nazionali, con elevato grado di dipendenza dal sistema economico mondiale, infrange, infatti, la storica coincidenza tra mercato e territorio dello Stato, finendo così per privare quest’ultimo di un vasto ambito statale d’intervento. La lunga e contraddittoria esperienza delle Costituzioni del Novecento, iniziata con la riappropriazione dell’economico da parte del politico, sembra chiudersi, così, sulla scia di uno Stato sempre meno sovrano, prospettiva della Conferenza Intergovernativa del 2000” e M. Morlok, “Il diritto costituzionale nel sistema europeo a più livelli”, in S. Panunzio (a cura di), I costituzionalisti e l’Europa. Riflessioni sui mutamenti costituzionali nel processo d’integrazione europea, Milano, 2002. pp. 335 ss. e pp. 507 ss; I. Pernice - F. Mayer, “La Costituzione integrata dell’Europa”, in G. Zagrebelsky, Diritto e Costituzione nell’Unione europea, Roma-Bari, 2003, p. 43 ss.; F. Sorrentino, “La tutela multilivello dei diritti”, in Riv. It. Dir. Pub. Com., 2005; P. Bilancia - E. De Marco, La tutela multilivello dei diritti. Punti di crisi, problemi aperti, momenti di stabilizzazione, Milano, 2004; G. Morbidelli, “La tutela giurisdizionale dei diritti nell’ordinamento europeo”, in AA.VV. (Atti del Convegno annuale A.I.C., 1999), Annuario 1999. La Costituzione europea, Padova, 2000. 2 sempre più spettatore inerme e cassa di risonanza dei grandi processi economico-decisionali che si snodano al di là dei suoi confini geopolitici e che gli sfuggono con il loro dinamismo, sovrastandolo con la loro portata e rendendo incerti i suoi processi decisionali. Nato per governare l’economia, insomma, lo Stato sociale finisce per piegarsi alle sue esigenze, alle sue tendenze, alle sue forze; forze che si sommano e si fertilizzano, determinando la crisi dello Stato sovrano e, con esso, anche il disfacimento del mondo democratico, delle sue istituzioni, delle sue leggi. All’affermazione di un simile processo di mondializzazione dei processi economici corrisponde una crisi della sovranità degli stati contemporanei surrogata dalla crescente centralità del mercato e del contratto come categorie paradigmatiche di un nuovo costituzionalismo ‘conservatore’7, che si presentano come tali da fondare nuove interpretazioni delle stesse norme costituzionali che erano state poste alla base delle modellistiche di Stato sociale nelle Costituzioni del secondo dopoguerra8. La latitudine della crisi in cui si dibatte lo Stato contemporaneo come Stato costituzionale e democratico sospinge, dunque, non solo a ripensare i topoi classici del costituzionalismo, ossia le garanzie imposte costituzionalmente a tutti i poteri a tutela dei diritti fondamentali, ma anche a ripensare a un costituzionalismo sganciato dai suoi luoghi classici, vale a dire a un costituzionalismo disgiunto dalla statualità. Se la destrutturazione della sovranità e la decadenza del Welfare hanno alterato profondamente i tratti originari dello Stato costituzionale, occorre altresì rilevare che tale diminuita capacità d’intervento e di controllo dell’economia finisce per privare partiti e parlamenti dei “tradizionali bersagli verso cui dirigere i loro colpi per indirizzare e correggere la crescita economica sulla base di interessi e visioni del mondo non prettamente economicistiche”9, accentuando, così, nello scorcio della fine del secolo appena trascorso, quella crisi degli attori e degli istituti della rappresentanza politica nella quale è possibile leggere anche il declino dello Stato contemporaneo come ‘Stato dei partiti’ e del modello di democrazia partecipativa che ne sta alla base. Ripercorrendo i sentieri di una storia ormai secolare, così, non è difficile comprendere che i partiti politici hanno rappresentato il presupposto dello sviluppo democratico della società, avendo ‘educato’ questa ultima ad aggregarsi per esprimere le proprie domande e a organizzarsi per entrare nello Stato, e che spesso la ‘democrazia dei partiti’ si è trasformata in una ‘democrazia per i partiti’, che li vede fare del Parlamento una cassa di risonanza di dinamiche e di decisioni politiche assunte al di fuori delle sue aule, occupare le istituzioni dello Stato e utilizzare le sue risorse ai fini del conseguimento del consenso secondo logiche “pigliatutto” che esulano dai canoni classici dell’agire partitico e minano, con la capacità programmatica degli stessi, quella stessa legittimità politica che li aveva resi pilastro portante della democrazia costituzionale pluralista. Strutturalmente inadeguati a rappresentare e a mediare i nuovi conflitti e i nuovi clevages della società post-industriale, i protagonisti assoluti della democrazia rappresentativa di questo secolo, gradualmente, smettono di essere i detentori esclusivi della funzione di raccordo tra Stato e società. Tale funzione finisce, infatti, per essere talora superata, talora compressa, tanto sul piano delle domande sociali, che spesso trovano canali di democrazia diretta, quanto sul piano dei processi di formazione degli orientamenti collettivi che, sempre più basati sulle immagini e sui messaggi diretti di una politica mediatizzata e personalizzata, si allontanano dalle forme e dagli strumenti tradizionali della comunicazione e dell’agire politico. Tendenze ‘plebiscitarie’ e tendenze ‘pubbliche’ della democrazia, insomma, che scardinano il monopolio partitico della rappresentanza degli interessi e sollecitano processi revisionistici delle loro identità e del loro agire. Tali processi ridimensionano, ma non annullano, gli spazi di quei partiti che in modo più o meno adeguato hanno rappresentato per mezzo secolo l’impalcatura materiale dello Stato costituzionale, schiudendo, in questo scenario di fine millennio, nuovi, quanto ambigui, orizzonti per la democrazia. Mutate le condizioni politiche, economiche e sociali del secondo dopoguerra, è difficile stabilire quanta parte resti di quello Stato del pluralismo politico commisurato a una “democrazia che per essere politica e soltanto politica non fu economica e per essere borghese e soltanto borghese, nonostante la forza numerica 7 Cfr. R. Greco, “Diritti sociali, logiche di mercato e ruolo della Corte costituzionale”, in Questioni Giustizia, 1994, n. 2-3; A. Di Giovine - M. Dogliani, “Dalla democrazia emancipante alla democrazia senza qualità?”, in Questione Giustizia, 1993. 8 La rilettura dell’art. 41 Cost. (I co.), che ne è stata fatta da parte di autorevole dottrina (così G. Amato, “Il mercato nella Costituzione”, in AA.VV. (A.I.C.), La Costituzione economica, Padova, 1997), circa la centralità della libertà d’impresa rispetto al suo bilanciamento con le tutele accordate alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità del lavoratore (II co.) e, soprattutto, con le previsioni della riserva di legge, di cui al III co., secondo le quali “la legge determina programmi e controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”, ne costituisce un esempio quanto mai illuminante, con il suo evidenziare una nuova interpretazione della Costituzione alla luce dei princìpi posti a base del processo d’integrazione europea, come è noto, d’ispirazione liberistica. 9 Cfr. A. Cantaro, “Dopo la democrazia dei partiti”, in Democrazia e diritto, 1995, n. 2; S. Gambino, “Forma di governo e rappresentanza politica fra costituzione materiale e prospettive de jure condendo. Riflessioni introduttive”, in S. Gambino (a cura di), Forme di Governo. Esperienze europee e nord-americana, Milano, 2007; S. Gambino, “La difficile riforma della ‘costituzione materiale’ in Italia, fra riforme elettorali, partiti politici e Governo”, in Scritti in onore di Vincenzo Atripaldi (in corso di pubblicazione). 3 dei partiti socialdemocratici, non fu popolare”10. La crisi della sovranità, la decadenza del Welfare, il ridimensionamento del Parteienstaat, infatti, hanno alterato profondamente i tratti di questa forma di Stato e di questa democrazia con ovvie ed evidenti conseguenze per il positivo perseguimento delle finalità statali, per il reale funzionamento delle istituzioni formali, per l’effettiva realizzabilità delle libertà individuali e collettive. La crisi della statualità contemporanea rappresenta, infatti, qualcosa di più e di diverso di un momento di difficoltà dello Stato analogo a quello di cui parlava Santi Romano all’inizio del secolo scorso, in quanto ha posto in gioco aspetti della civiltà e della cultura considerati a lungo come un patrimonio definitivamente acquisito. Essa ha infranto la storica pretesa di limitare il potere attraverso il diritto ed ha riaperto, con la limitata effettività dei diritti sociali, vecchie questioni di libertà e nuovi problemi di democrazia. Questo cambiamento strutturale dello Stato, che procede nei tornanti della storia fra poteri non limitati e principi non realizzati, tende insomma a creare una ‘costituzione materiale’ sempre più distante dalla Costituzione formale e a trasformare quest’ultima in un “ordinamento parziale”11, in una rete che imbriglia solo una parte dei poteri e delle tendenze che determinano il reale funzionamento dello Stato e il concreto rendimento del sistema democratico. La stessa prestazione fondamentale della Costituzione, così, sarebbe venuta meno: da “atto creativo” essa si sarebbe trasformata in “testo responsivo”12, in un testo, cioé, nel quale cercare le soluzioni ai problemi che sorgono nel corso della via costituzionale; quasi un archivio storico-ideale, in grado di fornire informazioni e indicazioni, di provenienza e di direzione. Se è vero che la crisi dello Stato contemporaneo ha aperto una crisi profonda della Costituzione nel suo aspetto progettuale quanto in quello garantistico, tuttavia, nell’era dei poteri reali e delle grandi incertezze, non è venuto a mancare quel bisogno di ordine e di sicurezza che ne ha giustificato (e ne giustifica) l’origine e l’affermazione storica. La necessità di pervenire a un giusto equilibrio tra conservazione e innovazione costituzionale, i richiami a una Costituzione mondiale, o anche solo europea, dimostrano che, nello scenario del nuovo secolo e delle sovranità concrete, la Costituzione continua ad essere vista e vissuta come momento integrante della società e principio ordinatore dei poteri e delle istituzioni. Si scopre così che la decostituzionalizzazione13 non è l’unica tendenza in atto e che a essa si associano anche tendenze al conservatorismo costituzionale e alla ipercostituzionalizzazione14; tendenze diverse e contrastanti, certamente, ma anche tendenze che lasciano intravedere un futuro per la Costituzione e quindi per il governo democratico della società. La democrazia, infatti, non è solo governo del popolo, ma governo del popolo entro determinati canali, regole, procedure15. La Costituzione europea sembra essere divenuta il punto di coagulo di questa esigenza, la risposta formale ai problemi sollevati dalla globalizzazione dei mercati e dal policentrismo dei poteri pubblici, ovverosia dal pluralismo dei centri di decisione tecnocratica e dal polimorfismo delle istituzioni democratiche. Nella idea di una Costituzione ‘allargata’, quindi, non si prefigura solo l’ultimo stadio evolutivo di un costituzionalismo dinamico che reca in sé il germe del sovranazionalismo, ma si palesa anche, e forse soprattutto, l’ennesimo sforzo della teoria costituzionale – esattamente come mezzo secolo fa – di restituire al politico il controllo dell’economico, ridisegnando il sistema delle fonti e degli organi dell’U.E. in cui si sedimenta il potere dell’antico sovrano nazionale e sottoponendolo, da un lato, alle regole della democrazia politica e alle forme della legittimazione democratica e, dall’altro, al principio guida dell’effettività dei diritti fondamentali. Quella che sottende la Costituzione europea si presenta, insomma, come un’idea globale, tanto di rinnovamento del sistema istituzionale delle Comunità, quanto di arricchimento del sistema delle identità e della cittadinanza nell’Unione Europea. Scandagliando il presente con le categorie concettuali del recente passato, non è difficile avvedersi che, al di là delle forzature concettuali e semantiche attraverso cui si cerca di dare veste formale al processo d’integrazione politico avviato dall’Unione Europea, una Costituzione europea in senso proprio non esiste16. La mancanza di un atto costituente riconducibile a un popolo sovrano, il mancato ossequio del montesquieviano principio della separazione dei poteri, l’assenza di un compiuto catalogo dei diritti (almeno fino alla proclamazione della 10 Cfr. N. Bobbio, Tra due Repubbliche, Roma, 1996, p. 40. Cfr. D. Grimm, “Il futuro della costituzione”, in G. Zagrebelsky - P.P. Portinaio - J. Luther (a cura di), Il futuro della costituzione, Torino, 1996, p. 163. 12 Cfr. G. Zagrebelsky, “Storia e costituzione”, in G. Zagrebelsky - P.P. Portinaio - J. Luther (a cura di), Il futuro della costituzione … cit., p. 74 13 Sul punto, cfr. anche S. Gambino, “La revisione della Costituzione fra teoria costituzionale e tentativi (falliti) di decostituzionalizzazione. Limiti sostanziali e Costituzione materiale”, in S. Gambino - G. D’Ignazio (a cura di), La revisione costituzionale e i suoi limiti, Milano, 2007. 14 Cfr. sul punto P. Portinaro, “Il grande legislatore e il custode della Costituzione”, in G. Zagrebelsky - P.P. Portinaio - J. Luther (a cura di), Il futuro della costituzione … cit., passim. 15 Cfr. S. Holmes, “Vincoli costituzionali e paradosso della democrazia”, in G. Zagrebelsky, P.P. Portinaro, J. Luther (a cura di), Il futuro della costituzione … cit., passim. 16 Cfr., sul punto, fra gli altri, D. Grimm e G. Zagrebelsky, in AA.VV., Il futuro della Costituzione, Torino, 1996; S. Gambino (a cura di), Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, Costituzioni nazionali e diritti fondamentali, Milano, 2006; P. Häberle, “Lo Stato costituzionale europeo” (paper). 11 4 Carta di Nizza, nel 2000, ora nuovamente proclamata a Strasburgo, nella sede del Parlamento europeo) capace di porre sotto il principio guida dell’eguaglianza formale e sostanziale i rapporti tra l’Unione Europea e i suoi cittadini, rivelano come si sia davvero distanti dall’impalcatura filosofica e giuridica che sorregge il costituzionalismo moderno e contemporaneo, rappresentandone l’essenza. La Costituzione europea come “atto di un popolo che crea un governo”, come strumento di “limitazione del potere e di garanzia dei diritti”, allo stato attuale, non esiste se non come ‘acquisizione evolutiva’, in bilico tra essere e divenire, se non come progetto politico-ideologico che non ha saputo trasformarsi in realtà né, contrariamente a quanto avviene per la ‘costituzione mondiale’, è rimasta mera utopia. Un progetto, dunque, che si risolve e si surroga in un ordinamento giuridico non originario17 che, pur non trovando in sé il titolo della propria legittimazione, è comunque in grado di esprimere meccanismi propri di produzione e di applicazione di un diritto che, se alla prova dei fatti si svela qualcosa di più di un diritto internazionale, è sicuramente ancora qualcosa di meno di un diritto costituzionale in senso proprio. Quel diritto primario comunitario che mette in discussione la sovranità degli Stati – un tempo loro massimo orgoglio e, secondo la visione hegeliana, loro ultima regola – che arricchisce di nuovi diritti lo status di cittadino dei (e nei) moderni ordinamenti democratici, si rivela, difatti, come un diritto posto ed imposto attraverso i trattati. Pur essendo vincolanti per gli organi dell’Unione e degli Stati membri, questi ultimi non sono espressione dell’autodeterminazione di un popolo europeo che, riconoscendosi come comunità politica, sceglie la forma giuridica della propria unità, né posseggono la totalità materiale della Costituzione, rivelandosi, per le loro intrinseche caratteristiche, degli ordinamenti parziali, geneticamente inadeguati ad assolvere a quelle funzioni di ordine e di sicurezza che sul piano interno spettano alla Costituzione18. Se è chiaro, allora, che il diritto primario comunitario non è declinabile come ‘diritto costituzionale’, è altrettanto evidente, tuttavia, che esso è innervato da molti elementi che tale natura posseggono e che, miscelandosi con dosaggi diversi rispetto agli impianti costituzionalistici del recente passato, danno vita non a una Costituzione europea, bensì a un ‘sistema costituzionale europeo’ che, formalmente retto dai trattati, vive e si esprime materialmente attraverso organi con competenze assimilabili all’esercizio dei poteri tradizionalmente considerati sovrani. Che questo sistema costituzionale, dal carattere frammentario, sia una forma costituzionale priva della sua sostanza o una sostanza costituzionale priva ancora della sua forma è difficile stabilirlo. Quel che è certo è che il processo in atto, che sfuoca e trasfigura i canoni costituzionalistici del Novecento, ha aperto una fase di transizione profonda che amplia gli orizzonti spaziali del costituzionalismo ma non sempre, e nemmeno con la stessa intensità, quelli della democrazia. A voler analizzare questo complesso fenomeno con la cautela di chi, con il bagaglio concettuale del passato, si accinge a intraprendere un viaggio nel presente conservando il gusto di cogliere i particolari nuovi o ancora nascosti di un paesaggio sempre più in controluce, non si può fare a meno di rilevare che il sistema costituzionale dell’Unione, che si dipana nel XXI sec. sotto le insegne della effettività, si definisce sempre più come un ‘costituzionalismo dei governanti’, vale a dire un costituzionalismo dall’alto, molto diverso, quindi, da quel ‘costituzionalismo dei governati’ che è stato protagonista della costruzione degli Stati europei nel primo e (soprattutto) nel secondo Novecento. Ciò non solo perché manca un atto formale voluto e legittimato dal popolo sovrano per suggellare i princìpi regolativi dell’organizzazione istituzionale dell’Unione Europea e i rapporti tra questa e i suoi cittadini; non soltanto perché quel potere costituente attraverso cui il popolo che si riconosce sovrano sceglie la forma giuridica della propria unità politica viene continuamente trasferito a istanze nazionali e sovranazionali, ma anche e soprattutto perché quello stesso potere costituente, che oggi non si riconosce più libero ma vincolato al rispetto dei diritti fondamentali, viene incessantemente rimesso a istanze diverse dal titolare originario. Si scopre, così, che il sistema costituzionale comunitario è ben lungi dal rispondere ai canoni tradizionali della democrazia rappresentativa oramai parte integrante della cultura politica e della tradizione giuridica degli ordinamenti costituzionali occidentali e che il suo Parlamento, organo rappresentativo per antonomasia, pur avendo accresciuto e riformulato significativamente il proprio ruolo negli ultimi anni, non possiede ancora capacità decisionali comparabili a quelle dei parlamenti nazionali degli Stati membri. Le decisioni più importanti, infatti, tendono a essere prevalente (se non proprio esclusivo) appannaggio dei vertici degli esecutivi dei singoli Stati o della tecnocrazia comunitaria, con il risultato, sicuramente ambiguo, che nel sistema dell’Unione Europea l’organo rappresentativo manca di adeguata capacità decisionale e gli organi con capacità decisionale, pur 17 La nozione di originarietà si cui si fonda tale valutazione attinge, naturalmente, alla ricerca costituzionale. Al contrario, nella dottrina europea, si assume che l’ordinamento dell’Unione possa definirsi come originario, in quanto comprende al proprio interno le garanzie di attuazione delle norme. 18 Per uno sviluppo di quest’orientamento cfr. anche i nostri “La (recente) evoluzione dell’ordinamento comunitario come processo materialiter costituente: un’analisi alla luce delle categorie classiche del diritto pubblico europeo e dell’esperienza concreta”, in La cittadinanza europea, 2006, n. 1, nonché “Integrazione comunitaria e legittimazione costituzionale”, in Scritti onore di G. Floridia (in corso di pubblicazione). 5 non mancando di rappresentatività (di primo grado), finiscono per difettare in legittimità oltre che in responsabilità. Se a tutto ciò si aggiunge che i singoli parlamenti nazionali riescono con difficoltà a inserirsi in tali processi decisionali (e solo nelle evoluzioni più recenti dei trattati), non è difficile avvedersi che il costituzionalismo europeo opera una sostanziale espropriazione del potere legislativo e, quindi, anche un’incisiva lesione di quel principio della sovranità popolare. Pilastro portante dello Stato di diritto, oltre a individuare nei cittadini l’origine e il fondamento della sovranità, tale principio assume che i fondamentali poteri dello Stato siano esercitati dagli stessi mediante rappresentanti liberamente eletti. Questo deficit di legittimazione costituzionale (più che democratica) che si consuma sotto le insegne di una politica dell’Unione concepita non dall’organo direttamente rappresentativo delle comunità nazionali, bensì dalle altalenanti maggioranze politiche che queste sono in grado di esprimere, non è l’unico aspetto in cui il costituzionalismo europeo si rivela deficitario sotto il profilo democratico. Anche sul piano dell’effettività dei diritti fondamentali il sistema costituzionale dell’U.E. non è (ancora) in grado di apprestare garanzie analoghe a quelle offerte dal costituzionalismo nazionale specie nella sua versione del secondo dopoguerra. Certo, non si può negare che il riconoscimento ad ogni cittadino europeo del diritto di circolare e di fissare la propria residenza nel territorio di tutti i paesi dell’Unione Europea, di essere eletti al Parlamento di Strasburgo e nelle elezioni comunali del luogo di residenza, indipendentemente dalla cittadinanza nazionale, di rivolgere petizioni al Parlamento europeo e istanze al Mediatore, di vedersi assicurata l’assistenza diplomatico-consolare hanno dilatato il catalogo dei diritti e delle ‘libertà dei moderni’, creando le premesse per l’arricchimento della ‘cittadinanza’, ma non si può neppure fare a meno di riconoscere che il costituzionalismo dell’Unione non ha affatto creato le premesse politico-culturali per il rinnovamento delle identità, né le condizioni materiali per rendere i cittadini dell’U.E. eguali, oltre che in diritti di libertà, anche in dignità. “La mancanza nell’elencazione dei diritti del cittadino europeo [di] ogni riferimento ai diritti sociali, in particolare [al] diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”19 rivela come la sostanza concreta dei diritti continui ad essere custodita dal costituzionalismo nazionale, il che significa che, allo stato attuale, l’essere cittadini europei non dà affatto luogo a eguali posizioni nei contenuti della cittadinanza. Se è chiaro, dunque, che il deficit democratico o, addirittura, le derive tecnocratiche del sistema costituzionale dell’Unione lo rendono, al momento, poco idoneo ad ampliare gli orizzonti della democrazia, appare ancora più evidente che il suo costituzionalismo, con la relativa frammentarietà, non induce a prefigurare un processo lineare di inequivocabile e progressiva riproduzione su vasta scala dei canoni costituzionalistici del XX secolo. Il costituzionalismo europeo, difatti, se, da un lato, assorbe con gradualità crescente i poteri e le competenze degli Stati nazionali, erodendo l’essenza stessa delle loro Costituzioni, dall’altro, non accenna a ricalcarne le forme, a rifletterne i princìpi, a riecheggiarne i valori, dispiegando al nuovo millennio una gracile trama istituzionale su cui appare davvero difficile tessere, con l’ordito di una cittadinanza che ‘integra’ ma non ‘supplisce’ quella nazionale, una nuova e più ampia epoca dei diritti e delle libertà. 2. I diritti sociali fra ordinamento costituzionale e Unione europea Sia pure con formule differenziate, nel costituzionalismo europeo e in quello italiano, in particolare, è ora pienamente positivizzato uno rapporto stretto fra concezione della democrazia, modello di Stato e diritti fondamentali fondato sulla garanzia e sull’ampliamento delle situazioni giuridiche costituzionalmente protette e su una nuova concezione del concetto di eguaglianza: non più solo la eguaglianza che proviene dalla tradizione classica, che vede come intollerabili le discriminazioni fondate sulle differenze di sesso, di religione e di razza, bensì un concetto di uguaglianza che ritiene inaccettabili le differenze che si fondano sul rapporto economico e sociale, ritenendo non più tollerabili le differenze fondate sulla capacità di reddito20. Unitamente ai classici diritti di libertà, in tale concezione, i diritti sociali sono assunti, come condizioni indefettibili, ‘costitutive’, del principio costituzionale di eguaglianza (art. 3 Cost.) e, al contempo, del valore della persona (art. 2 Cost.). Il relativo catalogo costituzionale, come è noto, ha una sua inusuale ampiezza e 19 Cfr. V. Lippolis, “La cittadinanza europea”, in Quaderni costituzionali, 1993, n. 1, p. 136; M. Luciani, “Diritti sociali e integrazione europea”, AA.VV. (A.I.C.), Annuario 1999. La Costituzione europea, Padova, 2000; S. Gambino, “Cittadinanza e diritti sociali fra neoregionalismo e integrazione comunitaria”, in Quaderni costituzionali, 2003, n. 1. 20 Nell’ampia bibliografia, sul punto cfr., almeno, A. Cerri, “Uguaglianza (principio costituzionale di)”, in Enciclopledia Giuridica Treccani, e da ultimo AA.VV. (Atti Convegno in ricordo di Livio Paladin, Padova 2 aprile 2001), Corte costituzionale e principio di eguaglianza, Padova, 2002; R. Greco, “Diritti sociali, logiche di mercato e ruolo della Corte costituzionale”, in Questioni Giustizia, 1994, n. 2-3; A. Di Giovine - M. Dogliani, “Dalla democrazia emancipante alla democrazia senza qualità?”, in Questione Giustizia, 1993; E. Cheli, “Classificazione e protezione dei diritti economici e sociali nella Costituzione italiana”, in Scritti in onore di L. Mengoni. Le ragioni del diritto, Milano, 1995; P. Caretti, I diritti fondamentali. Libertà e diritti sociali, Torino, 2002; B. Pezzini, La decisione sui diritti sociali, Milano, 2002; C. Salazar, Dal riconoscimento alla garanzia dei diritti sociali, Torino, 2000. 6 sistematicità e la relativa tutela è quella propria dei diritti costituzionali e non di quelli ‘legali’, benché in dottrina si sottolinei come, a ben vedere, le forme giurisdizionali della relativa tutela non sono quelle apprestate ai diritti soggettivi (con la forza propria della tutela risarcitoria nei confronti di atti lesivi degli stessi) ma quella degli interessi legittimi, dal momento che fra il relativo esercizio e la previsione legale opera un facere amministrativo, che coinvolge la pubblica amministrazione con la sua supremazia speciale21. Un approccio – quest’ultimo – che è destinato a essere radicalmente riconsiderato alla luce dei princìpi comunitari ma soprattutto alla luce della sentenza n. 500/1999 della Corte di Cassazione22. Tuttavia, mentre altri ordinamenti europei disciplinano la materia mediante clausole generali (art. 20, I co., LFB23) o mediante “Principi informatori della politica sociale ed economica” (Cap. II del Tit. I e Cap. III Costituzione spagnola24), la Costituzione italiana tutela i diritti sociali sia mediante princìpi fondamentali sia (e soprattutto) con disposizioni costituzionali di dettaglio25. Tuttavia, se dalla definizione teorico-costituzionale dello Stato sociale e più in particolare dall’inquadramento dei diritti sociali come diritti inviolabili della persona si passa a verificare il grado di effettività degli stessi, non può non cogliersi lo stridente contrasto tra la loro costruzione come diritti universali e assoluti e il relativo, deprimente, grado di effettività. L’argomento a sostegno di una simile situazione è dato dal fatto che i diritti sociali (istruzione, salute, previdenza, ecc.) costano e lo Stato (in Italia come altrove) conosce seri problemi di fiscalità26. Tale tematica conosce una sua problematizzazione anche con riferimento al grado di riconoscimento e alle relative forme di tutela nell’ordinamento della Unione. È stato ampiamente sottolineato in dottrina come i trattati di Maastricht, di Amsterdam e di Nizza costituiscano momenti qualificanti del lungo percorso nell’evoluzione del diritto costituzionale comune europeo; con essi si determina la trasformazione ordinamentale delle Comunità economiche europee in una Unione politica ispirata ai princìpi fondamentali propri dello Stato democratico e di diritto27. In tale quadro, l’U.E. s’impegna a rispettare i diritti fondamentali, come previsti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e per come risultano dalle “tradizioni costituzionali comuni” degli Stati membri. In assenza di previsioni in materia di diritti fondamentali nei Trattati comunitari originari, il Giudice comunitario ha operato, come è noto, un riconoscimento degli stessi, di tipo pretorio, attingendo al flebile materiale normativo offerto, a tal fine, da specifiche disposizioni in materia di responsabilità extracontrattuale della Comunità e dei connessi obblighi risarcitori (art. 288.2 TCE, vers. cons.)28. Seguendo 21 Autorevoli dottrina (A. Pace, “La garanzia dei diritti fondamentali nell’ordinamento costituzionale italiano: il ruolo del legislatore e dei giudici ‘comuni’”, in Scritti in onore di P. Barile. Nuove dimensioni nei diritti di libertà, Padova, 1993) sottolineano, sotto tale profilo, una certa ‘enfaticità’ dei diritti sociali, qualora analizzati sotto l’angolo visuale della loro concreta giustiziabilità. Il diritto e la giustizia amministrativa diventano, in tale contesto, lo scenario obbligato di verifica dell’effettività del diritto costituzionale e delle tutele sue proprie. Una lettura diversa attinge l’immediata esigibilità giuridica dei diritti sociali all’interpretazione del novellato art. 117, II co., lettera m, Cost., secondo la quale – dal momento che i livelli essenziali delle prestazioni, ivi sanciti, impongono al legislatore statale d’individuare le risorse economiche necessarie alla relativa attuazione amministrativa – non pare potersi ulteriormente accogliere il risalente orientamento del Giudice delle leggi che parlava dei diritti sociali come di “diritti finanziariamente condizionati” (in quest’ultimo senso cfr. anche S. Gambino, “Normazione regionale e locale e tutela dei diritti fondamentali (fra riforme costituzionali, sussidiarietà e diritti fondamentali)”, in A. Ruggeri - L. D’Andrea - A. Saitta - G. Sorrenti (a cura di), Tecniche di normazione e tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali, Torino, 2007. 22 Sul punto cfr., fra gli altri, F. Siciliano – D. D’Alessandro, “L’integrazione comunitaria e la giustiziabilità delle posizioni con particolare riguardo al risarcimento dei danni da lesione di interesse legittimo”, in S. Gambino (cur.), Costituzione italiana e diritto comunitario, Milano, 2002. 23 “La Repubblica Federale di Germania è uno Stato federale democratico e sociale” (su cui cfr., fra gli altri, D. Schefold, “Lo Stato sociale e la costituzione economica”, in Enciclopedia Giuridica Treccani, ad vocem); E. Eichenhofer, “Costituzione e diritto sociale”, in Diritto pubblico, 1997, in part. p. 469 ss.; C. Amirante, “Diritti fondamentali e diritti sociali nella giurisprudenza costituzionale”, in AA.VV., Diritti di libertà e diritti sociali tra giudice costituzionale e giudice comune, Napoli, 1999; L. Violini, “I diritti fondamentali nelle costituzioni dei Laender della Repubblica federale tedesca come fattore di costruzione delle ‘tradizioni costituzionali comuni europee” (paper) e della stessa “Federalismo, regionalismo e sussidiarietà come princìpi organizzativi fondamentali del diritto costituzionale europeo”, in M. Scudiero (a cura di), Il diritto costituzionale comune europeo. Princìpi e diritti fondamentali, Napoli, 2002; V. Baldini, “Autonomia costituzionale dei Laender, principio di omogeneità e prevalenza del diritto federale”, in M. Scudiero (a cura di), Il diritto costituzionale … cit. 24 Su cui cfr., fra gli altri, G. Ruiz-Rico Ruiz, “Fundamentos sociales y politicos en los derechos sociales de la Constitución española”, in Revista de estudios politicos (Nuova Epoca), 1991, n. 71; J.J. Solozábal Echevarría, “El Estado social come Estad autonomico”, in UNED, Teoria y realidad constitucional, 1999, n. 3 pp. 61-78; J.J. Solozábal Echevarría, “Algunas cuestiones basicas de la teoria de los derechos fundamentales”, in Revista de estudios políticos (Nuova Epoca), 1991, n. 71; J.L. Cascajo Castro, La tutela constitucional de los derechos sociales, Madrid, 1988. 25 … anche se si ha l’impressione “che la categoria del diritto sociale sia inadeguata ad esprimere la ricchezza delle indicazioni fornite dai Titoli I e II della Costituzione” (Cfr. G. Corso, “I diritti sociali nella Costituzione italiana”, in Riv. trim. dir. pub., 1981, p. 757) relativamente ai rapporti etico-sociali ed ai rapporti economici (Cfr., almeno, U. Allegretti, "Globalizzazione e sovranità nazionale", in Democrazia e diritto, 1998, G Zagrebelsly, “I diritti fondamentali oggi”, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 1992, 1; L. Carlassare. “Forma di Stato e diritti fondamentali”, in Quaderni costituzionali, 1995, 1). 26 Cfr. fra gli altri, cfr. almeno AA.VV. (a cura di A. Baldassarre – A. Cervati), Critica dello Stato sociale, Bari, 1982. 27 Fra gli altri cfr. anche il nostro “Il diritto costituzionale europeo: princìpi strutturali e diritti fondamentali”, in S. Gambino (a cura di), Costituzione italiana e …cit. 28 A partire dai primi anni ‘60, con la sentenza Stauder, la Corte di Giustizia, come si vedrà meglio in seguito, riconosce, per la prima volta, che la tutela dei diritti fondamentali costituisce una parte integrante dei princìpi generali del diritto, assumendo che essa “è tenuta” a garantirne l’osservanza. Nella ricerca del parametro sul quale fondare una simile (ardita) costruzione giurisprudenziale, essa fa ricorso alle “tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri”, le quali vengono assunte come necessarie nel determinare il contenuto materiale dei diritti fondamentali, intesi come articolazione interna dei principi generali del diritto dell’Unione (sul punto cfr. anche S. Gambino, a cura di, Costituzione italiana e … 7 questa linea giurisprudenziale, il Giudice comunitario ha elaborato un vero e proprio catalogo dei diritti fondamentali, anche se limitato alla categoria dei diritti civili29, in cui appaiono situazioni soggettive legate prevalentemente all’ambito economico e sociale. Più complessa appare l’analisi con riferimento allo statuto comunitario dei diritti sociali – la ‘cittadinanza sociale’ dell’U.E. – e alle relative garanzie rispetto agli ordinamenti costituzionali nazionali. Come è stato bene osservato30, la disciplina dei diritti sociali a livello dell’ordinamento dell’U.E. – anche se considerata nella prospettiva de jure condendo – contrasta nel fondo con la loro concezione negli ordinamenti costituzionali nazionali (fra cui soprattutto quello italiano, quello spagnolo e quello tedesco)31. Ciò che rileva di tali diritti nell’azione e per la realizzazione delle finalità dell’ordinamento dell’Unione è la loro finalizzazione alle esigenze proprie del mercato comune. In una simile ottica, nell’ambito più generale della politica sociale comunitaria, per come disciplinata nel nuovo Capo I del Tit. XI del Trattato CE (art. 136-145), i diritti sociali si trasformano in meri parametri di legittimità normativa, assumendo per questo non più una validità in sé bensì la natura di diritti complementari alle libertà economiche, riservandosene il relativo riconoscimento e la tutela al solo ambito interno degli Stati membri, mentre l’intervento normativo e giurisprudenziale comunitario rimane esterno e subordinato alle tutele assicurate dalle legislazioni e dalle giurisdizioni degli stati membri. A ben considerare, gli artt. 51, 52 e 53 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. non innova in modo significativo in questo assetto normativo di base32. Nella costruzione dell’ordinamento europeo, così, i diritti sociali assumono la natura di diritti ‘residuali’, (sostanzialmente) funzionalizzati agli obiettivi economici del mercato unico europeo, dovendosi giungere a una conclusione, circa la normativa dell’Unione in materia sociale, secondo cui la stessa si limita a disciplinare mere disposizioni programmatiche, poco più che ‘obiettivi’, senza contenuti di prescrittività per le istituzioni dell’Unione a dare attuazione alle stesse se non nell’ottica della funzionalità sociale del mercato economico33. La natura giuridica imprecisa e incerta di tali disposizioni pare, dunque, unicamente superabile con la loro positivizzazione in un ‘catalogo’ di diritti sociali, all’interno di una più ampia e rivisitata Carta europea dei diritti fondamentali, su cui le istituzioni europee e la dottrina vanno discutendo negli ultimi anni, pur senza pervenire ancora a una intesa (stanti, in particolare, le resistenze in tal senso della Gran Bretagna e della Polonia)34. Evidentemente, l’adeguatezza di una simile Carta dei diritti sociali è funzione delle scelte politiche e costituzionali sul futuro (qualora auspicato) dello Stato sociale in Europa. In definitiva, dunque, il futuro dei diritti sociali nel processo di costruzione europea non pare ulteriormente affidabile alla sola giurisprudenza pretoria della Corte di Giustizia, alla discutibilità delle sue tecniche argomentative e ai relativi, sempre possibili, conflitti con le giurisdizioni costituzionali nazionali, dovendosi necessariamente prevedere una loro positivizzazione normativa capace di farsi carico, in modo più convinto (certo e garantito), delle più avanzate ‘tradizioni cit., nonché M. Scudiero (a cura di), Il diritto costituzionale comune … cit.). Con le successive sentenze Internationale Handelsgesellschaft e Nold, la Corte comunitaria darà compiutezza alle sue tecniche argomentative finalizzate alla protezione dei diritti fondamentali dell’Unione. 29 Con la sentenza Kreil, dell’11 gennaio del 2000, tuttavia, la Corte fa un passo in avanti rispetto al rapporto fra diritto dell’U.E. e ordinamenti costituzionali nazionali, sancendo che il primo rappresenta un limite all’applicazione delle norme nazionali, ancorché di natura costituzionale, quando queste violino (o comunque incidano su) i diritti fondamentali dell’Unione. Con tale sentenza la Corte precisa le sue competenze di controllo nell’applicazione del diritto dell’Unione, che si esplicano nell’individuazione di livelli di protezione inderogabile dei diritti fondamentali. 30 Cfr. M. Luciani, “Diritti sociali e integrazione europea”, in AA.VV., Annuario 1999. La Costituzione europea, Padova, 2000, cui adde anche Parlement européen, Droits sociaux fondamentaux en Europe, (Séries Affaires Sociales – SOCI 104 FR), 1999. 31 Cfr. J. Iliopoulos Strangas (ed.), La protection des droits sociaux fondamentaux dans les Etats membres de l’Union européenne, Bruxelles, 2000. 32 Nell’ampia bibliografia cfr. anche A. Ruggeri, “Carta europea dei diritti e integrazione interordinamentale, dal punto di vista della giustizia e della giurisprudenza costituzionale (notazioni introduttive)”, e S. Gambino, “I diritti fondamentali comunitari: fra Corte di Giustizia delle Comunità Europee, trattati e Bill of rights”, ambedue in AA.VV. (Atti della Giornata italo-spagnola, Taormina 4 ottobre 2002), Riflessi della Carta europea dei diritti sulla giustizia e la giurisprudenza costituzionale: Italia e Spagna a confronto, Milano, 2003. 33 La Corte di Giustizia, da parte sua, ha fatto proprio tale indirizzo, quando, dopo un primo orientamento, nel quale assume l’esistenza di limiti ai diritti fondamentali nella sola materia dei diritti economici (Sent. 14 maggio 1974, Nold, causa 4/73, in Racc. Uff., 1974, p. 491; sent. 13 dicembre 1979, Hauer, causa 44/79, in Racc. Uff., 1979, p. 3727, su cui cfr. fra gli altri F. Mancini, “La tutela dei diritti dell’uomo: il ruolo della Corte di Giustizia delle Comunità europee”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1989, n. 1), ha sancito che “i diritti fondamentali riconosciuti dalla Corte non risultano … essere prerogative assolute e devono essere considerati in relazione alla funzione da essi svolta nella società. E’ pertanto possibile operare restrizioni all’esercizio di tali diritti, in particolare nell’ambito di un’organizzazione comune di mercato, purché dette restrizioni rispondano effettivamente a finalità d'interesse generale perseguite dalla Comunità e non si risolvano, considerato lo scopo perseguito, in un intervento sproporzionato e inammissibile che pregiudicherebbe la stessa sostanza di tali diritti” (Sent. 13 luglio 1989, Wachauf, causa 5/88, in Racc. Uff., 1989, p. 2609 ss.). 34 Nell’ampia bibliografia relativa alla Carta di Nizza, cfr. almeno, AA.VV., Riscrivere i diritti in Europa, Bologna, 2001; F. Petrangeli, Una Carta per l’Europa. Diritti fondamentali e mercato nel processo d’integrazione, Roma, 2001; A. Apostoli, La Carta dei diritti dell’Unione Europea, Brescia, 2000; A. Baldassarre, “La Carta europea dei diritti”, in Osservatorio costituzionale Luiss; E. Denninger, “I diritti fondamentali nel quadro dell’Unione Europea”, in Osservatorio costituzionale Luiss; U. De Siervo, “I diritti fondamentali europei ed i diritti costituzionali italiani (a proposito della Carta dei diritti fondamentali”, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2001, n. 1 (cui adde, nella stessa Rivista il Forum, con interventi di V. Atripaldi, G.G. Floridia, A. Giovannelli, M. Luciani, S. Mangiameli, E. Pagano, A. Ruggeri, R. Toniatti); Diritto pubblico, 2001, n. 3 (n. spec.). 8 costituzionali comuni’ in tale materia35. Solo a partire da una disciplina comunitaria capace di conformarsi alle più avanzate ‘tradizioni’ costituzionali europee in materia di diritti e di giustizia sociale, potranno ritenersi risolte le problematiche poste dall’esercizio dello stesso diritto alla tutela giudiziaria effettiva in materia (principio – quest’ultimo – affermato come fondamentale dalla Corte di Giustizia) sia con riferimento ai diritti c.d. negativi, sia e soprattutto ai ‘diritti prestazionali’. Anche a partire da questa riflessione è da chiedersi come il ‘nuovo’ quadro costituzionale previsto per le regioni e per le autonomie locali si rapporti a tali princìpi, dovendosi chiaramente assumere che la nuova architettura costituzionale della ‘Repubblica’ risulta significativamente innovata rispetto all’ordinamento costituzionale previgente, nel quale l’ambito costituzionale delle competenze legislative regionali poco (o nulla) incidevano sullo statuto della cittadinanza. Le pur brevi considerazioni fin qui svolte portano a osservare – in tale ottica – che le istituzioni regionali e le autonomie locali non costituivano, fino alle recenti riforme costituzionali nella materia territoriale, il terreno elettivo per un’indagine sulle tematiche relative alle modalità seguite (e da seguire) per rendere effettivi i diritti sociali, nella misura in cui alle regioni e alle minori autonomie locali non era assegnata la competenza in materia di diritti, che rimaneva attribuita alle istituzioni statali, venendo protetta dalla relativa giurisdizione. La tematica dei diritti fondamentali nello Stato regionale, pertanto, non pare offrire una prospettiva di particolare rilievo teorico se considerata dall’ottica del previgente ordinamento costituzionale; e ciò anche perché il livello regionale non ha consentito di evidenziare, almeno nella prassi, il profilo attuativo delle competenze regionali capace di influenzare l’effettività dei diritti sociali, tranne che nelle tematiche relative al rapporto amministrativo – così come innervato di nuovi diritti dalla più recente legislazione di riforma amministrativa (diritto di partecipazione al procedimento amministrativo, diritto di accesso agli atti e ai documenti amministrativi, diritto alla privacy) – e alla riforma dell’ordinamento locale. Il tema dei diritti sociali, nel dibattito dottrinario italiano, pare doversi limitare, così, alle funzioni svolte dal giudice ordinario e soprattutto da quello costituzionale in tema di garanzia e di effettività degli stessi. L’intervento del Giudice costituzionale nella materia dei diritti sociali, come è noto, è stato richiesto prevalentemente con riferimento alla violazione del principio di eguaglianza e in presenza di comportamenti omissivi da parte del legislatore36. Dopo un’iniziale prudenza, l’orientamento del Giudice delle leggi si è affermato nel senso di riconoscere rango pienamente costituzionale ai diritti sociali, affermandosi, da parte dello stesso, una serie di criteri guida a cui il giudice stesso conforma la propria dottrina 37. Pur accompagnandosi con il riconoscimento della necessaria gradualità delle scelte legislative, lo sforzo della Corte costituzionale teso a dare effettività ai diritti sociali porta a riconoscerli come ‘diritti perfetti’ ed assicurandone una protezione immediata, pur in quelle ipotesi in cui difettasse ancora un intervento regolativo e di protezione da parte del legislatore. Per la Corte, dunque, anche i diritti sociali, e a fortiori quelli a prestazione positiva legislativamente condizionati, assurgono – al pari degli altri diritti fondamentali – al rango di “diritti inviolabili e irretrattabili della persona, in quanto espressione di valori o princìpi costituzionali supremi”38. In breve, nella giurisprudenza della Corte costituzionale si sottolinea come ai diritti sociali debba essere assicurata una protezione costituzionale pienamente comparabile a quella assicurata agli altri diritti fondamentali; in quanto tali, dunque, anche i diritti sociali sono irrinunciabili, inalienabili, indisponibili, intrasmissibili, inviolabili. Ciò non toglie, tuttavia, che l’immediata operatività di tali diritti, come diritti di pretesa di prestazioni pubbliche possa e debba “essere accertata caso per caso, senza confondere ciò che è possibile in virtù della sola efficacia normativa della Costituzione con ciò che è storicamente possibile”39, a seguito di leggi o regolamenti che abbiano assicurato una data disciplina della materia. Le conclusioni che si possono trarre da un simile, essenziale, richiamo dell’evoluzione giurisprudenziale della Corte costituzionale nell’assicurare effettività ai diritti sociali, tuttavia, portano a osservare come le tecniche giurisdizionali utilizzate da parte dei giudici costituzionali sono tali da rendere in 35 Cfr. M. Cartabia, Princìpi inviolabili e integrazione europea, Milano, 1995, nonché (a cura della stessa A.), I diritti in azione. Universalità e pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti europee, Bologna, 2007. 36 Rimane centrale sul punto il contributo di C. Mortati “Appunti per uno studio sui rimedi giurisdizionali contro comportamenti omissivi del legislatore”, in Foro italiano, 1970, V, p. 257. 37 Essi vanno dal riconoscimento di un principio di gradualità delle riforme legislative relative ai diritti di prestazione (sentt. n. 173 del 1986 e n. 205 del 1995) a un principio di costituzionalità provvisoria di una data disciplina (sent. n. 826 del 1988), ad un principio di attuazione parziale incostituzionale di un diritto sociale (sent. n. 215 del 1987), alla necessità di apprezzamento, infine, dei limiti finanziari posti dal bilancio e dalla necessaria considerazione della discrezionalità del legislatore circa la definizione del quantum delle prestazioni sociali che la Corte deve comunque valutare secondo un necessario parametro di ragionevolezza (sentt. 180 del 1982 e 455 del 1990 in tema di prestazioni sanitarie (per una trattazione organica della materia cfr. C. Colapietro, La giurisprudenza costituzionale nella crisi dello Stato sociale, Padova, 1996). 38 È il caso, ad es., della tutela della salute (sentt. 1011 del 1998, 294 e 184 del 1986 e 88 del 1979), del diritto alla casa (sent. 19 del 1994, 404 e 217 del 1988), del diritto al lavoro (sent. 108 del 1994 e 232 del 1989). Cfr. F. Modugno, I ‘nuovi diritti’ nella giurisprudenza costituzionale, Torino, 1995, p. 66. 39 Cfr. A. Pace, op. cit, p. 61 ss. 9 qualche modo mutevole e instabile il grado di effettività assicurato a tali diritti. Le tecniche di bilanciamento fra interessi egualmente meritevoli di tutela, infatti, portano il Giudice costituzionale a operare una comparazione continua fra diversi princìpi e valori costituzionali e ciò sulla base dell’assunto secondo cui il principio della ponderazione o del bilanciamento fra beni costituzionali rappresenta il parametro in base al quale devono essere determinati i limiti e il contenuto dei diritti fondamentali e tramite il quale vengono risolti i conflitti che possono insorgere tra beni costituzionalmente contigui. Una prospettiva – quest’ultima – che porta a cogliere la Corte costituzionale come vero e proprio legislatore positivo, le cui ambiguità tuttora preoccupano la più attenta dottrina in Italia, come più in generale la dottrina costituzionale europea (e non solo), quando si pone l’interrogativo sul quis costodiet custodes40. La questione oggetto della nostra analisi può essere utilmente affrontata richiamando l’orientamento del Giudice delle leggi nella sent. n. 109/1993. In essa si prevede che l’esercizio del potere statale di concedere agevolazioni alle imprese a prevalente conduzione femminile trova la sua giustificazione nella “necessità di assicurare condizioni di uniformità su tutto il territorio nazionale” in ordine all’attuazione di un valore costituzionale primario, come la realizzazione dell’eguaglianza effettiva delle donne e degli uomini nel campo dell’imprenditoria. Trattandosi di misure (‘azioni positive’) dirette a superare condizioni di diseguaglianza fra soggetti (discriminazioni in ragione del sesso), esse “comportano l’adozione di discipline giuridiche differenziate a favore delle categorie sociali svantaggiate, anche in deroga al generale principio di parità formale di trattamento, stabilito nell’art. 3 Cost.”. Tali differenziazioni, secondo il ragionamento della Corte, esigono che “la loro attuazione non possa subire difformità o deroghe in relazione alle diverse aree geografiche e politiche del paese”. Infatti, se ne fosse messa in pericolo l’applicazione uniforme su tutto il territorio nazionale, il rischio che le ‘azioni positive’ si trasformino in fattori aggiuntivi di disparità di trattamento non più giustificate dall’imperativo costituzionale di riequilibrare posizioni di svantaggio sociale legate alla condizione personale dell’essere donna sarebbe di tutta evidenza. L’indirizzo giurisprudenziale appena richiamato relativamente alle c.d. ‘azioni positive’ in rapporto al principio di uguaglianza e di autonomia territoriale conferma una giurisprudenza costante nella quale la Corte esclude o limita le competenze regionali (sia ordinarie che speciali) ogni qualvolta queste vengano ad incidere su interessi o diritti fondamentali41. Ciò costituisce una conferma dell’interrogativo su chi sia, nello ‘Stato regionale’, il garante dell’effettività dei diritti sociali. Problemi costituzionali omologhi si pongono anche in un modello di Stato federale o di Stato a regionalismo forte, come quello attualmente previsto dal testo di revisione del Tit. V Cost. Ancora una volta, cioè, è il Giudice delle leggi a essere chiamato a far valere, nell’eventuale conflitto delle competenze o nella protezione dei diritti di cittadinanza (ma anche dei diritti della persona), l’effettività di valori e di beni costituzionalmente protetti, limitando l’autonomia politica delle regioni (ordinarie ma anche speciali) ogniqualvolta il legislatore nazionale, nell’esercizio del suo potere e delle sue responsabilità, attui forme di tutela destinate ad assicurare l’eguaglianza e la pari dignità dei soggetti su tutto il territorio e dunque a tutelare la cittadinanza a prescindere dalle articolazioni territoriali/regionali del Paese. 3. Diritti fondamentali (civili e sociali) e riforme costituzionali Rispetto all’innovato quadro costituzionale che costituisce ora la Repubblica, il legislatore di revisione costituzionale pare aver rimodulato, sia pure in modo implicito, la stessa nozione di ‘interesse nazionale’ (di cui all’art. 117, I co., del previgente testo costituzionale), con la previsione di istituti di garanzia posti a tutela di beni costituzionali quali l’unità giuridica o economica, la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti civili e sociali, l’incolumità e la sicurezza pubblica, nonché il rispetto degli obblighi di derivazione comunitaria e internazionale (sanzionati nelle forme del controllo sostitutorio, di cui all’art. 120, II co., Cost.) 42. Alle stesse finalità, ma in una logica di tipo promozionale dello sviluppo 40 L’analisi della giurisprudenza della Corte costituzionale conferma tale assunto (Sentt. C.C. nn. 11 del 1969; 2 del 1972; 243 del 1974; 243 del 1985; 192 del 1987; 31 del 1983; 219 del 1984; 114 del 1985; 165 del 1986; 210 e 433 del 1987; 532, 633, 1000, 1133 del 1988; 234, 447, 623, 829, 924, 1066 del 1988; 372 del 1989; 49 del 1991; 75 del 1992; 3 del 1991. In dottrina, cfr., almeno, S. Bartole, “In terna di rapporti fra legislazione regionale e principio di eguaglianza”, in Giurisprudenza costituzionale, 1967, p. 670; A. Cerri, L’eguaglianza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Milano, 1976, p. 67; F. Sorrentino, “Considerazioni su riserva di legge, principio di eguaglianza ed autonomia regionale nella giurisprudenza costituzionale”, in M. Occhiocupo (a cura di), La Corte costituzionale fra norma giuridica e realtà sociale, Bologna, 1978; p. 471; A. D’Atena, “Regioni, eguaglianza e coerenza dell’ordinamento”, in Giurisprudenza costituzionale, 1978, I, p. 1255); S. Bartole, “In tema di rapporti fra legislazione regionale e principio costituzionale di eguaglianza”, in Giur. cost., 1967, p. 669; L. Paladin, “Un caso estremo di applicazione del principio di eguaglianza”, in Giur. cost., 1965, p. 620, A. Reposo, “Eguaglianza costituzionale e persone giuridiche”, in Riv. trim. di dir. pub., 1973, p. 360. 41 Cfr. sent. C.C. n. 40 del 1993 sul rapporto fra azioni positive e principio di eguaglianza. Sul tema in generale cfr. anche G. Grottanelli de’ Santi, “Perequazione, eguaglianza e principi dell’ordinamento”, in Giur. cost., 1978, p. 710. 42 Sul tema il dibattito è stato molto ampio a partire dalla posizione espressa da A. Barbera nel saggio “Chi è il custode dell’interesse nazionale?”, in Quaderni Costituzionali, 2001, n. 2, p. 345 ss., cui adde, con posizioni diverse, R. Tosi, “A proposito dell’interesse nazionale”, in Quaderni 10 economico, della coesione e della solidarietà sociale, nonché per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, la novellata previsione costituzionale di cui all’art. 119, V co., Cost., prevede che lo Stato destini risorse aggiuntive ed effettui interventi speciali in favore di determinati comuni, province, città metropolitane e regioni. L’insieme delle disposizioni appena richiamate, così, esplicita l’intento del legislatore di revisione di preservare l’interesse nazionale, sia pure rimodulandolo, e di garantire il principio fondamentale (art. 5 Cost.) secondo cui la Repubblica è “una ed indivisibile”. A tal fine, nel riparto delle competenze, il novellato testo costituzionale ha assegnato alla competenza legislativa esclusiva dello Stato “la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti civili e sociali”, prevedendo, parimenti, che le materie di legislazione concorrente (art. 117, III co., Cost.) conoscano il limite dei “princìpi fondamentali”, egualmente riservati alla legislazione dello Stato. Lo stesso limite, a ben vedere, si estende alla potestà legislativa esclusiva (o ‘residuale’) delle regioni (art. 117, IV co., Cost.), secondo un criterio di interpretazione logico-sistematica, che respinge l’esercizio delle competenze regionali ai sensi del IV co. senza l’applicazione alla stessa: a) degli stessi limiti di cui all’art. 117, I co., Cost. (rispetto della Costituzione, vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali), laddove il ‘rispetto della Costituzione’, sulla base di un’interpretazione sistematica e per princìpi, deve intendersi come rispetto di tutti i princìpi fondamentali e delle disposizioni costituzionali in materia di diritti fondamentali; b) dei limiti posti dalle esigenze di unità giuridica e politica e, pertanto, anche dei ‘livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti civili e sociali’, i quali, per espresso dettato costituzionale, “devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Diversamente da quanto si stabiliva nel previgente ordinamento regionale43, il novellato Tit. V Cost. introduce nuove modalità di disciplina dei diritti sociali e civili, che conservano in capo alle regioni il regime giuridico normativo nonché quello organizzativo (nelle materie assegnate alla loro competenza) e in capo allo Stato la definizione dei livelli essenziali di prestazioni, in modo da assicurare un godimento dei diritti non differenziabile sui territori in ragione dei loro contenuti essenziali. Rispetto al precedente testo, la nuova formulazione dell’art. 117 Cost. prevede (e consente) ambiti competenziali in materie che hanno riflessi (non scevri di problematicità interpretative) sui diritti fondamentali, sia sociali che civili44. La quantità e la qualità della nuova allocazione delle competenze a livello regionale appare comparabile, materialiter, a quella operata nei sistemi federali (e perfino confederali), differenziandosene per le sole tecniche istituzionali dell’allocazione e della relativa legislazione attuativa e integrativa. Nell’assegnare alla legislazione esclusiva dello Stato la ‘materia’ – ma che, non di rado, a ben vedere, costituisce una ‘funzione’, come ha già sottolineato la Corte cost. in più sentenze (fra cui, soprattutto, n. 282/2002 e n. 407/2002) – della “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, la novellata disposizione costituzionale si prefigge di assicurare – in modo esplicito – la garanzia del principio di eguaglianza di fronte alla legge – che è da intendersi, qui, soprattutto, come eguaglianza di fronte alla Costituzione – “su tutto il territorio nazionale”. Il legislatore di revisione, cioè, si muove in un quadro teorico-costituzionale nel quale si assume come definitivamente superato il modello dell’uniformismo e del centralismo al quale ha corrisposto, nella prassi, una legislazione regionale sostanzialmente omologa. Rispetto ad un simile orizzonte teleologico, si ponevano, come evenienze possibili, la lesione del principio di eguaglianza dei cittadini (eguaglianza interpersonale) anche all’interno di ogni singola Regione e (soprattutto) la diseguaglianza con riferimento al luogo di residenza (eguaglianza interterritoriale)45. Tuttavia, mentre rispetto alla prima situazione appariva sufficiente, nel senso delle relative garanzie da apprestare, la previsione di cui all’art. 3, I co., Cost., potevano risultare senza copertura costituzionale le eventuali diseguaglianze interterritoriali; ciò in considerazione della realtà socio-politica del Paese, tuttora caratterizzata da una persistente ‘questione meridionale’ e da un forte divario socio-economico fra Nord e Sud. È soprattutto rispetto a tale possibile costituzionali, 1/2002, p. 86 ss.; R. Bin, “L’interesse nazionale dopo la riforma: continuità dei problemi, discontinuità della giurisprudenza costituzionale”, in Le Regioni, 2001, n. 6, p. 1213 ss.; A. Anzon, “Un passo indietro verso il regionalismo ‘duale’”, su Forum-on line, A.I.C.; G. Falcon, “Modello e transizione nel nuovo Titolo V della II parte della Costituzione”, in Le Regioni, 2001, n. 6, p. 1247 ss. 43 Sul punto cfr., fra gli altri, A. Ruggeri - L. D’Andrea - A. Saitta - G. Sorrenti (a cura di), Tecniche di normazione e tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali, Torino, 2007; A. Ruggeri, “Neo-regionalismo e tecniche di regolazione dei diritti social”, in Diritto e società, 2001, n. 2 e, da ultimo, dello stesso A., “Neoregionalismo, dinamiche della normazione, diritti fondamentali”, in D. Dominici - G. Falzea - G. Moschella (a cura di), Il regionalismo differenziato: il caso italiano e spagnolo, Milano, 2004. 44 Cfr. A. Ruggeri, “Neoregionalismo, dinamiche della normazione … cit.; F. Pizzetti, “La tutela dei diritti nei livelli substatuali”, in P. Bilancia E. De Marco (a cura di), La tutela multilivello dei diritti. Punti di crisi, problemi aperti, momenti di stabilizzazione, Milano 2004; E. Rossi, “Principi e diritti nei nuovi statuti regionali”, in Riv. dir. cost., 2005; M. Belletti, “Diritti costituzionali e regioni”, in R. Nania - P. Ridola (a cura di), I diritti costituzionali, Torino 2006; S. Gambino, “Regioni e diritti fondamentali. La riforma costituzionale italiana nell’ottica comparatistica”, in S. Gambino (a cura di), Regionalismo, federalismo, devolution. Competenze e diritti. Confronti europei (Spagna, Germania e Regno Unito), Milano, 2003. 45 La questione è stata bene approfondita dalla dottrina spagnola, di cui cfr., almeno, J. Garcìa Morillo, “Autonomia, asimmetria e principio di eguaglianza: il caso spagnolo”, in S. Gambino (a cura di), Stati nazionali e poteri locali, Rimini, 1998; G. Ruiz-Rico Ruiz, “Il principio di solidarietà inter-territoriale nella Costituzione spagnola del 1978” e “Il principio di solidarietà inter-territoriale nella costituzione spagnola del 1978”, ambedue in M. Scudiero (a cura di), Il diritto costituzionale comune europeo, Napoli, 2002. 11 (ma, come sappiamo, reale) diseguaglianza che costituisce garanzia del diritto di cittadinanza ‘unitaria’ e ‘sociale’ la richiamata previsione di cui alla lettera m dell’art. 117, II co., Cost., nonché la previsione dell’ulteriore limite costituito dai princìpi fondamentali riservati alla legislazione dello Stato. Tuttavia, se alle possibili lesioni del principio di eguaglianza interpersonale e interterritoriale (anche in ragione delle previsioni di cui al novellato art. 116 Cost.) il legislatore di revisione costituzionale ha posto rimedio con le disposizioni di cui alla lettera m dell’art. 117, II co., Cost., nella stessa ottica (di garanzia della cittadinanza ‘unitaria’ e ‘sociale’) deve ritenersi operante l’intero sistema dei princìpi fondamentali (e fra questi in particolare il principio personalistico e solidaristico, di cui all’art. 2 Cost.) e delle disposizioni costituzionali in materia di diritti fondamentali, in quanto patrimonio costituzionale (“principio supremo”, secondo la definizione del Giudice costituzionale), indisponibile alla stessa revisione costituzionale. Nell’attuazione del principio di solidarietà, infatti, alla “Repubblica” (intesa come l’insieme di tutti i pubblici poteri, statali e territoriali) spetta di far valere, a titolo di solidarietà e di coesione sociale, tutte quelle garanzie che concorrono, con il principio di eguaglianza sostanziale, a superare le diseguaglianze originate nel sistema economico e sociale, rimuovendone gli squilibri e favorendo l’effettivo esercizio dei diritti della persona. Al legislatore (statale e regionale) e al rimanente sistema autonomistico della Repubblica, nell’esercizio dei poteri normativi di cui sono attributari (e di quelli ancora che saranno loro riconosciuti a seguito dell’attuazione del disposto dell’art. 117, II co, lettera p, Cost.), e nel rispetto del principio di sussidiarietà e di leale collaborazione, compete di assicurare la tutela dell’unità giuridica (e dell’unità economica), e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali, potendo lo Stato-Governo, in tal senso, sostituirsi agli organi delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni nelle ipotesi normative fissate in Costituzione (art. 120, ult. co., Cost.), nel rispetto delle procedure di legge relative a tale controllo sostitutorio. Così, se pure la previsione di cui all’art. 117 Cost., II co., lettera m, in via di principio, poteva apparire non strettamente necessaria ai fini della tutela dei diritti fondamentali costituzionali – nel novellato ordinamento regionale e locale, infatti, trovano piena applicazione, come si è già ricordato, i princìpi fondamentali posti a tutela dell’unità e dell’indivisibilità della Repubblica e le relative garanzie costituzionali –, tale disposizione costituzionale trova la sua motivazione nell’esigenza di rendere esplicito che il quadro costituzionale dei princìpi fondamentali non ha registrato modifiche sostanziali. In tale quadro, l’ordinamento costituzionale registra i soli limiti – ormai pienamente costituzionalizzati nell’art. 117, I co., Cost. – posti dal rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, questi ultimi, in ogni caso, fatti valere nel rispetto dei princìpi e dei diritti fondamentali (secondo la non superata dottrina dei ‘controlimiti’ argomentata dal nostro Giudice delle leggi). Si tratta di una norma – quest’ultima – che esplicita, in modo meno precario di quanto non fosse consentito dalla vaghezza delle formule di cui all’art. 11 Cost., il vincolo della conformazione agli obblighi posti dal diritto internazionale e dal diritto comunitario. Si tratta – soprattutto nel caso di quest’ultimo –, come è ben noto, di un diritto nato per assicurare l’unità del mercato a livello europeo ed a tal fine la libertà di circolazione delle merci, delle persone e dei capitali, che, in prosieguo, si è aperto al riconoscimento dei princìpi di libertà, di democrazia, di rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dello Stato di diritto, in quanto princìpi e tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (art. 6 TUE) e garanzie assicurate dalle carte internazionali dei diritti (fra cui soprattutto rileva la CEDU)46. Tanto essenzialmente richiamato, può ora sottolinearsi come le questioni interpretative sollevate dall’art. 117 Cost, II co., lettera m, concernono non tanto la ratio della disposizione citata quanto piuttosto i relativi contenuti materiali, e quindi la tipologia dei diritti civili e sociali (categoria per la prima volta entrata nel lessico costituzionale47), da garantirsi su tutto il territorio nazionale nei “livelli essenziali” delle relative prestazioni. La legislazione regionale concorrente nelle nuove materie di cui risulta attributaria – significativamente implementata rispetto al previgente art. 117 Cost. – e quella attribuita residualmente, cioè, dovrà esercitarsi – con le possibili differenziazioni di status delle regioni – senza mettere in questione lo statuto della cittadinanza48, che dovrà restare ‘nazionale’ e ‘sociale’, in tal modo assicurandosi, da parte del complesso dei soggetti ora costituenti la Repubblica, i livelli essenziali di prestazioni in materia di diritti civili e sociali, nonché l’inderogabilità dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale tra i soggetti e 46 Sul punto, di recente, cfr. anche il nostro “La Carta e le Corti costituzionali. ‘Controlimiti’ e ‘protezione equivalente’”, in Politica del diritto, 2006, n. 3. 47 Cfr. G.U. Rescigno, “I diritti civili e sociali fra legislazione esclusiva dello Stato e delle regioni”, in S. Gambino (a cura di), Il ‘nuovo’ ordinamento regionale. Competenze e diritti. Confronti europei (Spagna, Germania e Regno Unito), Milano, 2002. 48 Sul punto cfr. anche il nostro “Il sistema normativo nella Repubblica delle autonomie”, in A. Piraino (a cura di), La funzione normativa di comuni, province, città metropolitane nel nuovo sistema costituzionale, Palermo, 2002. 12 le diverse aree del Paese49. Nel suo fondarsi su una divaricazione ‘innaturale’ tra materie (e potestà/funzioni), da un lato, ed interessi, dall’altro, il riparto operato dal legislatore di revisione costituzionale appare complesso, confuso e perfino “ingenuo” nella sua “pretesa” di fermare il moto irreversibile degli interessi a base dell’ordinamento50. Ancora una volta, così, saranno lo sforzo dell’interprete, i giudici e soprattutto il Giudice delle leggi a (dover) comporre in un quadro di compatibilità costituzionali le opzioni differenziate (nel tempo e nello spazio) del legislatore statale e di quello regionale. Fondamentale ai fini di tale ricomposizione (dottrinaria e giurisprudenziale), risulterà, in particolare, la previsione di cui alla lettera m dell’art. 117, II co., Cost.51 L’interpretazione dei contenuti materiali dell’art. 117 Cost. in materia di diritti (civili e sociali), tuttavia, rinvia a letture fra loro differenziate, a seconda che prevalga o meno un orientamento culturale e istituzionale di discontinuità rispetto alla disciplina della materia nel previgente ordinamento. La questione nasce dalla individuazione dei limiti cui risulta sottoposta la potestà legislativa regionale concorrente – alla cui soluzione provvede in modo esplicito il legislatore di revisione costituzionale quando limita tale potestà alla determinazione (con leggi dello Stato) dei “princìpi fondamentali” – ma soprattutto dalla questione circa la estensibilità o meno di tali vincoli alla stessa potestà legislativa residuale o esclusiva delle regioni. In tal senso, risulta pienamente convincente quell’orientamento dottrinario che invoca la finalità garantistica di tutela del bene costituzionale dell’unità, ed in particolare la protezione delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali a prescindere dai confini territoriali dei governi locali, come titolo di legittimazione della potestà legislativa statale a giustificare l’eventuale intervento, oltre che attraverso princìpi fondamentali anche attraverso una specifica disciplina. In conclusione, siamo in presenza di un nuovo quadro costituzionale e legislativo, nel quale si apre per le regioni un nuovo ambito regolativo e di garanzie in ordine alla materia dei diritti (civili e sociali) ma, al contempo, si conferma per lo Stato la competenza ad intervenire in tale disciplina regionale sia attraverso la statuizione di princìpi fondamentali della materia che attraverso regole legislative (sia pure non di dettaglio). Pur potendo, dunque, la riforma costituzionale apparire come operante nel segno della (sostanziale) continuità, l’angolo di osservazione dei diritti civili e sociali dischiude un quadro ordinamentale regionalistico/autonomistico valorizzato nell’ambito dei suoi poteri e fra questi – diversamente da quanto era previsto nel previgente ordinamento – da ambiti normativi che si estendono alla stessa materia dei diritti civili e sociali. Tali poteri conoscono un limite negativo nel loro esercizio, nel senso che le regioni, sia nell’esercizio della potestà legislativa concorrente che in quella residuale/esclusiva, conoscono il limite costituito dall’obbligo di conformazione ai princìpi fondamentali e alle stesse regole legislative statali poste a garanzia dei beni fondamentali di cui alla lettera m e all’art. 120, II co., Cost. È però da dirsi che in materia sono state proposte altre interpretazioni. In una prima l’essenzialità di cui alla lettera m viene interpretata come “contenuto minimo essenziale”52. Conforterebbe una tale lettura lo stesso approccio comparatistico e comunitario nel quale si rinviene, come clausola generale, quella del “contenuto minimo essenziale” dei diritti fondamentali (è il caso, ad es., dell’art. 19 della LFB, dell’art. 53.1 della Costituzione spagnola, dell’art. 18.3 della Costituzione portoghese, dell’art. 52.1 della Carta europea dei diritti fondamentali). Più motivata e convincente appare a noi l’altra lettura che sottolinea l’irriducibilità (anche semantica) del termine “essenziale” a quello di “minimo” e ciò – oltre che sulle disposizioni costituzionali positivizzate nella Prima Parte della Costituzione – sulla base di una interpretazione logico-sintattica e sistematica del novellato testo costituzionale, nella quale, accanto alle disposizioni della lettera m, si collocano quelle dell’art. 119 Cost., V co., e dell’art. 120 Cost., II co. Tale lettura si pone in linea con le più autorevoli interpretazioni della Costituzione magis ut valeat53. Il termine “essenziale”, in questa ottica, va piuttosto letto come formula relazionale54. Una conferma di tale 49 Così A. Cantaro, “Stato federale, eguaglianza e diritti sociali”, Relazione al Seminario “Quale federalismo: le proposte e i modelli”, Milano, 7 luglio 1994 (paper). 50 Cfr. A. Ruggeri, “Neo-regionalismo e tecniche … cit., p. 199. 51 Ult. op. cit., p. 201 52 Così I. Massa Pinto, “Contenuto minimo essenziale dei diritti costituzionali e concezione espansiva della Costituzione”, in Diritto pubblico, 2001. 53 Per una bibliografia essenziale sul punto cfr., almeno, M. Dogliani, Interpretazioni della Costituzione, Milano, 1982; P. Barile, La Costituzione come norma giuridica, Firenze, 1951; V. Crisafulli, La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano, 1952: L. Gianformaggio, “L’interpretazione della Costituzione tra applicazione di regole e argomentazione basata sui princìpi”, in Rivista internaz. di filosofia del diritto, 1985, G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Torino, 1992. 54 Cfr. M. Luciani, “La tutela costituzionale dei livelli essenziali di assistenza”, Relazione al Seminario “I livelli essenziali di assistenza nella Costituzione. Doveri dello Stato, diritti dei cittadini”, Roma, 12 marzo 2002, p. 49; L. Principato, “L’immediata precettività dei diritti sociali ed il ‘contenuto minimo’ del diritto fondamentale alla salute”, in Giur. cost. 1998, n? 6, p. 3853 ss.; L. Principato, “I diritti costituzionali e l’assetto delle fonti dopo la riforma dell’art. 117 della Costituzione”, in Giur. cost., 2002, n. 2, p. 1169 ss.. Cfr. anche sent. T.A.R. Lazio, sez. III-ter, n. 6252 del 10 luglio 2002, secondo cui “ … la fissazione dei LEA sanitari afferisce, quindi, ancor prima che alla tutela operativa del diritto alla salute, all'individuazione del contenuto stesso del diritto alla salute che l'ordinamento generale deve garantire a chicchessia ed ovunque nel territorio e, perciò, prevale sulla legislazione concorrente regionale in materia sanitaria” (per un commento della sentenza cfr. anche E. Bonelli, “In tema di 13 interpretazione è rinvenibile, infatti, nella considerazione secondo cui la natura dei “livelli essenziali delle prestazioni” non riguarda solo i diritti sociali ma include anche quelli civili, che, per consolidata dottrina – benché essi stessi diritti che ‘costano’ – non possono conoscere una riduzione/degradazione dei relativi contenuti. D’altra parte, la disposizione costituzionale di cui all’art. 120 Cost., II co. – nel suo farsi carico delle ricadute organizzativo-amministrative (servizi pubblici) di tali prestazioni, che sono erogate, oltre che dallo Stato, dalle regioni e dagli altri enti autonomi della Repubblica, e nell’individuare la tutela dei “livelli essenziali” delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale – conforta una lettura dell’‘essenzialità’ non ridotta al “contenuto minimo”. Con ciò si conferma una possibile, convincente, lettura di un non scomparso ‘interesse nazionale’, da ritenersi come vero e proprio titolo abilitativo statale ad intervenire su tutte le materie (riallocate ai sensi dell’art. 117 Cost.). Certo, non siamo in presenza della stessa nozione di ‘interesse nazionale’ di cui al previgente ordinamento regionale, in quanto l’interesse ‘nazionale’ di cui ora trattasi è l’interesse tipizzato nelle sue fattispecie, anche se queste ultime, a loro volta, meritevoli di interpretazione. Nel fondo, e a conferma degli orientamenti appena richiamati, rimane che le chiavi di volta di questo difficile equilibrio stanno nel valore della solidarietà e negli strumenti della perequazione finanziaria (art. 119, III co., Cost.)55. Possiamo concludere, così, sottolineando come il rischio di uno scivolamento verso il basso dei contenuti della nuova disciplina delle prestazioni essenziali in materia di diritti civili e sociali, e con esso di un difficile limite da opporre all’“arbitrio delle maggioranze” (parlamentari e regionali) nel tempo, può e deve ritenersi superato. Ciò può e deve farsi attingendo alle più avanzate (e motivate) interpretazioni della Costituzione magis ut valeat, nonché alla stessa giurisprudenza costituzionale che, nelle tecniche giurisdizionali fin qui utilizzate, ha saputo dare prova di equilibrio (ma anche di prudenza) nel bilanciamento dei beni costituzionali di volta in volta coinvolti nel processo costituzionale, comprensivo sia della necessaria gradualità nell’attuazione legislativa, sia dello stesso rispetto della discrezionalità del legislatore. Né, d’altronde, potrebbe essere altrimenti in uno Stato caratterizzato da una Costituzione rigida, nel quale la materia dei ‘contenuti essenziali’ si ricollega in modo stretto ed indissolubile a quella dei ‘princìpi supremi’ e dei diritti inviolabili dell’uomo, come la dottrina e la giurisprudenza costituzionale (soprattutto, sent. n. 1146/1988) assumono quando richiamano la sottrazione della relativa disciplina costituzionale allo stesso potere di revisione costituzionale. La questione, così richiamata (sia pure nei suoi termini essenziali), pertanto, non pone problemi interpretativi quando si faccia riferimento al ‘contenuto essenziale’ dei diritti di libertà classici (‘libertà negative’). Qualificandosi la protezione di tali diritti non in modo assoluto ma con il necessario bilanciamento reciproco (essi infatti non sono da considerare in modo assolutistico, ma come “diritti fra diritti”), il contenuto degli stessi non può essere predeterminato a priori ma solo ex post, in ragione dello scrutinio costituzionale della irragionevolezza delle disposizioni legislative eventualmente limitatrici. La questione, al contrario, resta posta con riferimento alla delicata e complessa questione della individuazione del ‘contenuto essenziale’ dei diritti sociali, per la cui esistenza giuridica si richiede come condizione necessaria l’interpositio legislatoris e l’adozione di misure organizzative necessarie alla relativa implementazione amministrativa. Pur nel rispetto del principio di gradualità e del bilanciamento con altri beni o interessi costituzionalmente protetti, è ragionevole chiedersi se la garanzia costituzionale riguardi il ‘contenuto essenziale’ dei diritti con riferimento alla mera esistenza degli stessi, oppure, in senso contrario, se tale tutela non debba anche estendersi al quantum (standard) dei diritti medesimi. Lo scrutinio della copiosa giurisprudenza costituzionale fa propendere per la prima soluzione, limitandosi tale controllo costituzionale a non mettere in questione la necessaria discrezionalità del legislatore nel dare attuazione ai princìpi ed ai diritti fondamentali. Se è vero che tale discrezionalità conosce il limite della “riserva del ragionevole e del possibile”, come osserva la stessa Corte, ne segue che “la determinazione legislativa di ciò che ha da essere l’indennizzo equo (e noi possiamo intendere come contenuto essenziale del diritto) potrebbe essere oggetto di censura in sede di giudizio di legittimità costituzionale solo in quanto risultasse tanto esiguo da vanificare, riducendolo ad un nome privo di concreto contenuto, il diritto all’indennizzo stesso” (sent. n. 27/1998). Se ne può trarre la conclusione, non certo esaltante per l’orientamento fin qui sviluppato, che la stessa giurisprudenza costituzionale in materia di contenuto essenziale dei diritti sociali non sempre pare assicurare una tutela più salda e stabile di quanto non riesca a fare con le sue scelte politiche il legislatore (un tempo solo statale, oggi anche regionale). Ma – per riprendere il ragionamento sviluppato in precedenza – se la Costituzione è costituita da un insieme di valori articolati e positivizzati in princìpi fondamentali ed in disposizioni di protezione, è a una interpretazione necessariamente “per princìpi” attuazione del nuovo titolo V della Costituzione: la problematica redistribuzione della funzione legislativa ed amministrativa”, in Riv. amm. Rep. it., 2002, nn. 5-6. 55 Ult. op. cit. pp. 23- 24, cui adde anche F. Puzzo, Il federalismo fiscale, Milano, 2002; E. Jorio, Attuazione del federalismo fiscale per regioni, enti locali, sanità, Rimini, 2007. 14 e non solo “per regole” che l’interprete, e a fortiori il Giudice delle leggi, deve ricorrere se non vuole disattendere il mandato costituzionale cui lo stesso è chiamato nel rendere vivente un patrimonio costituzionale di garanzie, che, pur diffondendosi in un’eterogeneità di disposizioni, solo attraverso una interpretazione sistematica ed evolutiva può conoscere la sua piena ricostruzione e con essa la relativa vigenza nella ‘Costituzione vivente’. Tale orientamento, come si può cogliere, assegna all’interprete (dottrina e Giudice costituzionale) un ruolo di garante dei contenuti essenziali dei diritti fondamentali, intesi non come astratte categorie metafisiche ma come il “prodotto di una congerie di atteggiamenti pratici rispetto a criteri di condotta”56, cioé come risultato di una lettura stratificata e consolidata della Costituzione, ponendo in tal modo un paletto verso il basso nell’individuazione del ‘contenuto essenziale’ dei diritti. Un paletto che – nel rispetto di princìpi e disposizioni inviolabili (e pertanto inderogabili) – deve valere tanto per il legislatore (statale e regionale) nella sua discrezionalità politica, tanto per il Giudice costituzionale nel bilanciamento secondo ragionevolezza. 4. La protezione multilevel dei diritti fondamentali (fra Costituzione, trattati e giurisdizioni) Nei suoi diversi profili, così, il “diritto costituzionale europeo”, che è da tempo in via di lenta (ancorché contrastata) formazione, evidenzia due fondamentali, distinte, componenti. Una prima – più immediata da cogliere – è data dal diritto comunitario che penetra, anche sulla base della creazione giurisprudenziale comunitaria di princìpi generali, in tutti i diritti positivi nazionali e la cui prevalenza e diretta applicabilità risulta da tempo consolidata nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, conoscendo i soli limiti dell’eventuale contrasto con i diritti fondamentali (soprattutto sociali) costituzionalmente garantiti dai singoli Stati. Sulla seconda ci soffermeremo in seguito, sottolineando luci e ombre della tutela dei diritti fondamentali a livello comunitario57, fra prospettive di una giurisprudenza europea di tipo pretorio e incertezze del processo di positivizzazione normativa dei diritti fondamentali, il cui approdo (prima del Trattato costituzionale ed ora della sua riforma a Lisbona) è costituito dalla Carta europea dei diritti fondamentali proclamata a Nizza (il 7 dicembre 2000), un documento politico che ha ambìto a divenire strumento giuridico di tutela effettiva degli stessi e, al contempo, vero e proprio Bill of rights del costituzionalismo comunitario58 e del relativo ‘Trattato che istituisce una Costituzione europea’, nonché del più recente Trattato modificativo (approvato dai 27 Paesi membri nella riunione di Lisbona del 18/19 ottobre 2007 e firmato il 13 dicembre 2007). Cfr. G. Zagrebelsky, Il diritto mite … cit. Fra gli altri, sul punto, cfr, almeno, M. Cartabia, Princìpi inviolabili e integrazione europea, Milano, 1995 e della stessa “I diritti fondamentali e la cittadinanza dell’Unione”, in F. Bassanini - G. Tiberi, La Costituzione europea. Un primo commento, Bologna, 2004; S. Gambino, “Cittadinanza e diritti sociali fra neoregionalismo e integrazione comunitaria”, in Quaderni costituzionali, 2003, n. 1; S. Gambino, “Los derechos fundamentales comunitarios: entre Tribunal de Justicia de la Comunidad Europea, tratados y Bill of rights”, in Revista Vasca de Administracion publica, 2003, Vol. 65 (II); V. Lippolis, “La cittadinanza europea”, in Quaderni costituzionali, 1993, n. 1, p. 136; G. Zagrebelsky (a cura di), Diritti e Costituzione nell’Unione europea, Roma-Bari, 2003; O. De Schutter, “La garanzia dei diritti e principi sociali nella Carta dei diritti fondamentali”, in G. Zagrebelsky, Diritti e Costituzione nell’Unione Europea, Roma-Bari, 2003; O. De Schutter, “Les droits fondamentaux dans le projet européen”, in O. de Schutter - P. Nihoul, Une Constitution pour l’Europe, Bruxelles, 2004; U. De Siervo, “I diritti fondamentali europei e i diritti costituzionali italiani (a proposito della Carta dei diritti fondamentali)”, in G. Zagrebelsky (a cura di), Diritti e Costituzione… cit.; A. Pizzorusso, Il patrimonio costituzionale europeo, Bologna, 2002). 58 Nell’ampia bibliografia antecedente a queste modifiche cfr. anche S. Gambino (a cura di), Costituzione italiana e diritto comunitario, Milano, 2002; C. Pinelli, Il momento della scrittura, Bologna, 2002; S. Rodotà, “La Carta come atto politico e documento giuridico”, in AA.VV. (A. Manzella - P. Melograni - E. Paciotti - S. Rodotà), Riscrivere i diritti in Europa, Bologna, 2001; R. Bifulco - M. Cartabia - A. Celotto, Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, Bologna, 2001; L.S. Rossi, “‘Constitutionnalisation’ de l’Unione européenne et des droits fondamentaux”, in R.T.D.E., 2002, 1, p. 27, nonché Carta dei diritti fondamentali e Costituzione dell’Unione europea, Milano, 2002; A. Pace, “A che serve la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea? Appunti preliminari”, in Giur. cost., 2001, p. 194; A. Barbera, “La Carta europea dei diritti e la Costituzione italiana”, in AA.VV. (Atti della giornata di studio in memoria di Paolo Barile, Firenze 25 giugno 2001), La libertà e i diritti nella prospettiva europea, Padova, 2002; G. Tesauro, “Il ruolo della Corte di Giustizia nella elaborazione dei princìpi generali dell’ordinamento europeo e dei diritti fondamentali”, in AA.VV. (A.I.C.), La Costituzione europea, Padova, 2000; G. Recchia, “Corte di Giustizia delle Comunità europee e tutela dei diritti fondamentali nella giurisprudenza costituzionale italiana e tedesca. Verso un ‘catalogo’ europeo dei diritti fondamentali?”, in AA.VV., La Corte costituzionale tra diritto interno e diritto comunitario, Milano, 1991; G. Gaja, “Aspetti problematici della tutela dei diritti fondamentali nello ordinamento comunitario”, in Riv. di diritto internazionale, 1988; E. Pagano, “I diritti fondamentali nella Comunità europea dopo Maastricht”, in Il diritto dell’Unione Europea, 1996, n. 1; L. Scudiero, “Comunità europea e diritti fondamentali: un rapporto ancora da definire”, in Rivista di diritto europeo, 1996. 56 57 15 4.1. Diritto costituzionale e ordinamenti sovranazionali: princìpi supremi e diritti fondamentali costituzionali come limiti all’integrazione con altri ordinamenti Nel dibattito costituente e dottrinario svolto nel Paese si era già affermato un orientamento prevalente in merito all’esistenza di limiti materiali operanti nei rapporti fra l’ordinamento costituzionale interno e gli altri ordinamenti (soprattutto quello canonico e quello comunitario) nonché in riferimento alla stessa revisione costituzionale. Tale orientamento risulta pienamente affermato nella sentenza n. 1146 del 1988 della Corte costituzionale. Se ne ripercorrerà ora il percorso evolutivo, sia pure brevemente, per concludere con il richiamo della prevalente dottrina costituzionale intervenuta nell’analisi della questione, fino ai giorni nostri, riflettendo, nel prosieguo della riflessione, soprattutto sui rapporti fra ordinamento costituzionale e quello dell’Unione rispetto al parametro del limite dei princìpi e dei diritti fondamantali nella stessa ottica volta a interrogarsi sull’efficacia ermeneutica della c.d. dottrina dei ‘controlimiti’. Tanto richiamato, e prima ancora di procedere all’analisi dell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale italiana in materia, appare necessario porsi l’interrogativo sul fondamento della qualificazione come inviolabili dei diritti fondamentali e se possa individuarsi compiutamente il contenuto dei princìpi supremi della Costituzione, per come riconosciuti dal Giudice delle leggi, quali fondamento dei diritti inviolabili59. D’altra parte, nell’ordinamento italiano, diversamente da altri, la forza giuridica della garanzia dei diritti fondamentali, che si fonda sullo stesso rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali (e si accompagna con quello comunitario, in un’ottica di multilevel constitutionalism60), ha di proprio e specifico quello della fonte (legislativa ordinaria, sia pure atipica, secondo una diffusa e convincente interpretazione) che recepisce nel diritto interno la protezione internazionale, offrendosi a svolgere soprattutto una funzione ermeneutica nei confronti delle stesse disposizioni costituzionali positive sui diritti fondamentali61. Omologo analisi può farsi, come si dirà in seguito, per la protezione a livello di U.E. dei diritti fondamentali e del dialogo fra le Corti, nel quale soccorre, comunque, la nota giurisprudenza sui ‘controlimiti’, per sottolineare che, se la C.G.U.E. ha proceduto a una ricostruzione pretoria del diritto costituzionale dell’Unione (in assenza di parametri specifici positivizzati nei relativi trattati)62, il Giudice delle leggi interno ha comunque ribadito l’esistenza di princìpi supremi del sistema costituzionale che si pongono come limite alla piena operatività nel diritto interno del diritto dell’Unione, tanto primario che derivato63. Giungendo al merito dell’analisi che ora ci occupa, è da sottolinearsi come le diverse letture che precedono non possano che far rinvenire, all’interno della Costituzione, e a prescindere dalle regole che ne disciplinano il cambiamento, una serie di princìpi fondamentali qualificativi della architettura e della fisionomia, in una parola della struttura e dell’identità dell’intero ordinamento costituzionale64. L’individuazione puntuale di tali princìpi, tuttavia, appare molto più complessa e anche problematica nei suoi esiti. Sul punto, tuttavia, non può non convenirsi con quelle autorevoli interpretazioni che individuano come princìpi fondamentali/supremi non tutti i principi e i diritti fondamentali positivizzati nel testo costituzionale bensì il solo loro ‘contenuto essenziale’65. Nella prima fattispecie, l’individuazione dei princìpi supremi opera a mo’ di garanzia, opponendo specifici ‘controlimiti’ nel rapporto fra ordinamenti sovrani, benchè separati e reciprocamente integrati; nella seconda, gli stessi aiutano a fissare, identificandoli come suo architrave, princìpi di caratterizzazione del sistema costituzionale 59 Sul punto appare condivisibile quell’autorevole orientamento dottrinario che parla comunque di un “carattere relativo dei limiti sostanziali della revisione” (Cfr. L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, p. 154), sottolineandosi, al contempo, che “l’idea di un nucleo costituzionale iperrigido” (ult. op. cit., p. 155) assume senso e contenuto forte nelle sole costituzioni che prevedano una garanzia della loro rigidità. 60 Fra gli altri, sul punto, cfr. F. Sorrentino, “La tutela multilivello dei diritti”, in AA.VV. (Atti Convegno A.I.C, 2004), in www.associazionedeicostituzionalisti.it. Sul punto cfr. inoltre le recenti sentt. nn. 348 e 349 del 2007, sulle quali cfr. A. Ruggeri, “La CEDU alla ricerca di una nuova identità, tra prospettiva formale-astratta e prospettiva assiologia-sostanziale d’inquadramento sistematico (a prima lettura di Corte cost. nn. 348 e 349 del 2007)”, in Forum di Quaderni costituzionali, 2007. 61 Come è dimostrato dal ricorso che ne fa il Giudice delle leggi in moltissime motivazione delle sue decisioni, fra cui cfr. almeno sentt. 127/77; 128/87; 404/88; 50 e 103/89; 62 e 278/92; 168/94 e più d irecente nelle sentt. nn. 348 e 349 del 2007. In dottrina, fra gli altri, cfr. F. Modugno, I ‘nuovi diritti’ nella giurisprudenza costituzionale, Torino, 1995; dello stesso Autore cfr. anche “Il problema dei limiti alla revisione costituzionale (in occasione di un commento al messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica del 26 giugno 1991”, in Giur. cost., 1992; “I princìpi costituzionali supremi come parametro nel giudizio di legittimità costituzionale”, in AA.VV. (a cura di F. Modugno - A.S. Agrò - A. Cerri), Il principio di unità del controllo sulle leggi nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Torino, 2002; “Qualche interrogativo sulla revisione costituzionale e i suoi possibili limiti”, in Studi in onore di Gianni Ferrara, Torino, 2005. 62 Cfr. A Pizzorusso, Il patrimonio costituzionale europeo, Bologna, 2002, nonché S. Gambino (a cura di), Costituzione italiana e diritto comunitario. Princìpi e tradizioni costituzionali comuni. La formazione giurisprudenziale del diritto costituzionale europeo, Milano, 2002; S. Gambino, “Diritti fondamentali, costituzioni nazionali e trattati comunitari”, in S. Gambino (a cura di), Trattato che adotta una … cit. 63 Fra gli altri, sul punto, cfr. anche S. Gambino, “La Carta e le Corti costituzionali. ‘Controlimiti’ e ‘protezione equivalente’”, in Politica del diritto, 2006, n. 3. 64 Come è stato bene osservato, “questi princìpi non soltanto debbono ritenersi immodificabili per vie legali, ma si pongono come assolutamente condizionanti l’intero ordinamento, si irradiano in esso e lo pervadono, al punto che da essi non possa mai prescindersi, che con essi si debba necessariamente fare i conti, quali che siano le regoli legali che lo costituiscono” (cfr. F. Modugno, I ‘nuovi diritti’ … cit., p. 93). 65 Cfr. A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali, Padova, 2003, p. 45 ss. 16 complessivo, ancorché al loro interno il Giudice delle leggi dovrà operare quel necessario (‘mite’, ragionevole, ‘giusto’) bilanciamento nell’accordare le previste protezioni costituzionali. Costituisce un buon esempio della prima ipotesi richiamata il rapporto fra ordinamento canonico e quello costituzionale rispetto alla valenza del principio di eguaglianza, nel quale quest’ultimo appare chiaramente cedevole nei confronti della legislazione concordataria e ciò in ragione dell’efficacia derogatoria accordata dall’art. 7 Cost.66 e in modo implicito dall’art. 11 Cost.67. Un altro insieme di decisioni della Corte appare particolarmente utile da richiamare ai fini dell’analisi che si sta qui svolgendo circa l’individuazione di princìpi supremi da parte del Giudice delle leggi. Sono quelle sentenze che vanno a disciplinare le antinomie (se non vere e proprie confliggenze) fra diritto interno e diritto dell’Unione. Capofila di tali pronunce è la sentenza n. 183 del 197368 (ma anche, fra le altre, la sent. n. 170 del 1984), nella quale la Corte inizia ad affermare in modo netto ciò che ripeterà più volte in seguito, e cioè che le norme dell’Unione non possono violare i princìpi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale o i diritti inalienabili della persona umana. La giurisprudenza costituzionale italiana in tema di contrasto fra norme dell’Unione e princìpi supremi dell’ordinamento costituzionale, come si vedrà meglio in seguito, rinvia a un controllo di costituzionalità che si estende a qualsiasi norma del Trattato per come interpretata e applicata dalle istituzioni dell’U.E.69. Centrale ai fini dell’analisi di tale problematica è il richiamo della giurisprudenza costituzionale italiana in tema di diritti fondamentali con riferimento ai relativi rapporti (di primato e diretta applicabilità) con il diritto dell’Unione. In tale ottica, nella sentenza Frontini70, la Corte costituzionale, pur confermando pienamente i princìpi del primato e della diretta applicabilità del diritto dell’Unione, oppone nette riserve per quanto attiene ai diritti fondamentali, sottolineando il carattere eminentemente strumentale della protezione dei diritti fondamentali da parte della Corte medesima. Offrendo più di un’argomentazione a sostegno del suo persistente rifiuto a ricorrere alla C.G.U.E. mediante rinvio pregiudiziale, il Giudice costituzionale afferma, al contempo, la necessarietà di un suo sindacato a protezione della intangibilità dei princìpi supremi dell’ordinamento costituzionale e del “nucleo essenziale” dei diritti ivi garantiti in ogni ipotesi in cui la prevalenza del diritto dell’Unione apparisse in contrasto con tale ‘controlimite’ costituzionale. Un decennio dopo questa prima sentenza, nel caso Granital71, il Giudice delle leggi ribadiva l’esistenza di tali ‘controlimiti’ nel quadro di una ricostruzione in senso dualistico dei rapporti fra l’ordinamento comunitario e quello statale. Trattasi – secondo tale giurisprudenza – di due sistemi configurati come “autonomi e distinti ancorché coordinati”, secondo la ripartizione di competenza stabilita e garantita dal Trattato. Nella dottrina della Corte72, la forza giuridica alla base della preminenza del diritto dell’Unione sul diritto interno può pacificamente individuarsi nell’art. 11 Cost.73 L’assunzione di un principio che vede i due ordinamenti distinti, e al contempo coordinati, porta la Corte a ribadire come – appartenendo la fonte dell’U.E. ad altro ordinamento – “le norme da esso derivanti vengono, in forza dell’art. 11 Cost., a ricevere diretta applicazione nel territorio italiano, ma rimangono estranee al sistema delle fonti interne: e se così è, esse non possono, a rigor di logica, essere valutate secondo gli schemi predisposti per la soluzione dei conflitti tra le norme del nostro ordinamento”74. La ricostruzione dualistica di tali rapporti e, al suo interno, la richiamata primazìa del diritto dell’Unione, tuttavia, non è tale, per la Corte, da potersi ipotizzare una sottrazione alla sua competenza dell’intero settore dei rapporti fra diritto dell’Unione e diritto interno. Come lo stesso Giudice delle leggi sancisce, infatti, “questo collegio ha, nella sentenza 183/1973, già avvertito come la legge di esecuzione del Trattato possa andar soggetta al suo sindacato, in riferimento ai princìpi fondamentali e ai diritti inalienabili della persona umana, nell’ipotesi contemplata, sia pure come improbabile al numero 9 66 Si ricordano, in tal senso, almeno le sentt. nn. 30, 31 e 32 del 1971; le sentt. nn. 195 del 1972, 175 del 1973, 16 e 18 del 1982, 203 del 1989. Cfr. anche S. Gambino - G. Moschella, “L’ordinamento giudiziario fra diritto comparato, diritto comunitario e C.E.D.U.”, in Politica del diritto, 2005, n. 4. 68 Sent. Corte cost. n. 183 del 1973: “Occorre, d’altro canto, ricordare che la competenza normativa degli organi della CEE è prevista dall’art. 189 del Trattato di Roma limitatamente a materie concernenti i rapporti economici, ossia a materie in ordine alle quali la nostra Costituzione stabilisce bensì la riserva di legge o il rinvio alla legge, ma le precise e puntuali disposizioni del Trattato forniscono sicura garanzia, talché appare difficile configurare anche in astratto l’ipotesi che un regolamento comunitario possa incidere in materia di rapporti civili, etico-sociali, politici, con disposizioni contrastanti con la Costituzione italiana. È appena il caso di aggiungere che in base all’art. 11 della Costituzione sono state consentite limitazioni di sovranità unicamente per il conseguimento delle finalità ivi indicate; e deve quindi escludersi che siffatte limitazioni, concretamente puntualizzate nel Trattato di Roma — sottoscritto da Paesi i cui ordinamenti s’ispirano ai princìpi dello Stato di diritto e garantiscono le libertà essenziali dei cittadini —, possano comunque comportare per gli organi della CEE un inammissibile potere di violare i princìpi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, o i diritti inalienabili della persona umana”. Sul punto cfr. anche G. Recchia, “Osservazioni sul ruolo dei diritti fondamentali nell’integrazione europea”, in Diritto e società, 1991, n. 4, p. 133 ss. 69 In particolare nella sent. cost. n. 232/1989. 70 Corte cost., sent. n. 183, del 27 dicembre 1973. 71 Corte cost., sent. 170, dell’8 giugno 1984. 72 Che si richiama a quanto la stessa aveva già affermato nella sent. n. 183 del 1973. 73 Considerato in diritto, 4. 74 Considerato in diritto, 4. 67 17 della parte motiva di detta pronuncia”75. Con tale giurisprudenza si chiarisce, al contempo, come la Corte escluda la sua competenza a far valere la compatibilità del diritto interno rispetto a quello dell’Unione riconoscendo tale competenza ai soli giudici ordinari, nonché agli altri soggetti cui compete di dare esecuzione al diritto dell’Unione76. Ciò deve dirsi con riferimento al diritto dell’Unione che si qualifica come direttamente applicabile, residuandosi in capo alla Corte il sindacato della compatibilità del diritto interno a quello dell’Unione nell’ipotesi di norma disciplinante un principio di diritto dell’Unione, ancorché quest’ultima ha preferito seguire un prevalente orientamento di self restraint, nel senso della restituzione degli atti di causa al giudice a quo perché lo stesso si attivi nei confronti della C.G.U.E. al fine di conseguire una “interpretazione certa e affidabile”77. Nello stesso senso, la Corte si esprime nella sentenza Fragd c/Amministrazione Finanze Stato78. Come è stato bene sottolineato, in questa pronuncia, sia pure tra le righe, la dottrina della Corte “lascia emergere l’impressione di non essere voluta andare oltre, per non porsi in aperto contrasto con la Corte e l’ordinamento comunitario, pur avendo voluto comunque riaffermare decisamente il proprio potere di garantire i controlimiti all’ingresso del diritto comunitario”79. Il diritto coinvolto nella questione oggetto del giudizio – relativo agli effetti di una sentenza pregiudiziale, e in tale ambito il diritto a un giudice e a un giudizio, ai sensi dell’art. 24 Cost. – rientra fra quei diritti – la tutela giurisdizionale – di cui l’ordinamento dell’Unione e quello internazionale (C.E.D.U.) si fanno ampiamente carico80, risultando la pronuncia ora in esame, per tale ragione, più una ‘sentenza monito’ che una riaffermazione di diritto di cui si prefigge la tutela, in quanto “controlimite” all’assoluta primazìa del diritto comunitario su quello costituzionale interno. D’altra parte, il giudizio si conclude appunto con un’ordinanza d’inammissibilità per non rilevanza della questione. Tuttavia, in sintonia con quanto aveva già fatto il Giudice costituzionale tedesco, la Corte non perde comunque l’occasione di evidenziare una riserva d’interlocuzione con il Giudice dell’Unione in una materia relativa ai diritti81. Dunque, più che altro, una mera affermazione di principio … a futura memoria! In conclusione, la Corte, nel quadro di una concezione dualistica dei due ordinamenti, come si è già ricordato, ha pienamente confermato la primazìa del diritto dell’Unione rispetto a quello interno, limitandosi in gran parte ad adottare sentenze monitorie, circa l’esistenza di ‘controlimiti’ in difesa dei princìpi e dei diritti fondamentali garantiti dall’ordinamento costituzionale, o anche solo ordinanze di inammissibilità, fino a quando il Giudice dell’Unione non si fosse pronunciato – in ciò fruendo delle possibilità consentite dal giudizio incidentale. Resta da analizzare, nell’immediato futuro, come è già avvenuto in una prima, recente, pronuncia82, quel diverso quadro normativo nel quale la Corte sarà chiamata a giudicare nell’ambito di giudizi in via principale, utilizzando il nuovo parametro costituzionalizzato nel novellato art. 117, I co., della Costituzione. Possiamo ora rivolgere l’attenzione che merita alla importante pronuncia della Corte con la sent. n. 1146 del 198883, la quale pare trovare la propria ratio giustificatrice nel superamento dei limiti e delle 75 Considerato in diritto, 5. in quest’ultimo senso, Corte cost. sent. n. 389/1989. 77 Cfr. V. Onida, “Armonia tra diversi” e problemi aperti. La giurisprudenza comunitaria sui rapporti fra ordinamento interno e ordinamento comunitario”, in Quad. cost., 2002, 3, p. 551, per il quale il “passaggio attraverso la Corte costituzionale (dopo il giudizio della C.G.C.E.) si potrebbe rivelare dunque in ogni caso superfluo”. In questo stesso senso cfr. anche, successivamente, ord. n. 536/1995. 78 Corte cost., sent. n. 232 del 1989: “Vero è che l’ordinamento comunitario – come questa Corte ha riconosciuto nelle sentenze sopra ricordate ed in numerose altre – prevede un ampio ed efficace sistema di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi dei singoli, di cui il ricorso incidentale alla Corte di Giustizia ex art. 177 Trattato CEE costituisce lo strumento più importante; ed è non meno vero che i diritti fondamentali desumibili dai princìpi comuni agli ordinamenti degli Stati membri costituiscono, secondo la giurisprudenza della Corte delle Comunità europee, parte integrante ed essenziale dell’ordinamento comunitario. Ma ciò non significa che possa venir meno la competenza di questa Corte a verificare, attraverso il controllo di costituzionalità della legge di esecuzione, se una qualsiasi norma del Trattato, così come essa è interpretata ed applicata dalle istituzioni e dagli organi comunitari, non venga in contrasto con i princìpi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale o non attenti ai diritti inalienabili della persona umana. In buona sostanza, quel che è sommamente improbabile è pur sempre possibile; inoltre, va tenuto conto che, almeno in linea teorica generale, non potrebbe affermarsi con certezza che tutti i princìpi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale si ritrovino fra i princìpi comuni agli ordinamenti degli Stati membri e quindi siano compresi nell’ordinamento comunitario”. 79 Cfr. A. Celotto e T. Groppi, “Diritto UE e diritto nazionale: primauté vs controlimiti”, in Riv. It. Dir. Pub. Com., 2004; P. Mengozzi, “L’attuazione del diritto comunitario e i dubbi che possono essere avanzati anche in Italia sulla conformità del nostro ordinamento costituzionale del principio di prevalenza scritto nell’art. I-6 del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa”, in Sud in Europa, 20.03.2006. 80 Cfr. anche S. Gambino - G. Moschella, “L’ordinamento giudiziario … cit. 81 Per un’analisi essenziale della giurisprudenza costituzionale tedesca in tema di rapporti fra diritto costituzionale tedesco e diritto comunitario cfr. anche, di recente, S. Gambino. “La Carta e le Corti costituzionali … cit., note 40-42. 82 Corte cost., sent. n. 406 del 2005, nella quale è stato fatto valere per la prima volta il parametro del novellato art. 117, I co., Cost. 83 “La Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. Tali sono tanto i principi che la stessa Costituzione esplicitamente prevede come limiti assoluti al potere di revisione costituzionale, quale la forma repubblicana (art. 139 Cost.), quanto i principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana. Questa Corte, del resto, ha già riconosciuto in numerose decisioni come i principi supremi dell’ordinamento costituzionale abbiano una valenza superiore rispetto alle altre norme o leggi di rango costituzionale, sia quando ha ritenuto che anche le disposizioni del Concordato, le quali godono della particolare ‘copertura costituzionale’ fornita dall’art. 7, comma secondo, Cost., non si sottraggono all'accertamento della loro conformità ai ‘principi supremi dell’ordinamento costituzionale’ (v. sentt. nn. 30 del 1971, 12 del 1972, 175 del 1973, 1 del 1977, 18 del 76 18 insufficienze della prevalente e persistente lettura giuspositivistica del testo costituzionale che aveva caratterizzato gli orientamenti prevalenti della dottrina fino a quel momento84. Con la sent. n. 1146 del 1988, dunque, la Corte fa un significativo passo in avanti nella garanzia della rigidità della Costituzione e con essa del riconoscimento di princìpi supremi “che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro nucleo essenziale neppure da leggi di revisione o da altre leggi costituzionali”. In breve, la Corte riconosce l’esistenza, nel sistema costituzionale, di un suo ‘nucleo duro di valori’, irrivedibile e irrinunciabile; esso consiste tanto nei princìpi che la stessa Costituzione esplicitamente prevede come limiti assoluti al potere di revisione costituzionale, quale la forma repubblicana (art. 139 Cost.), quanto nei princìpi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana. Per giungere a tale decisione, il Giudice delle leggi, in modo obiettivamente discutibile per quanto concerne l’iter argomentativo seguito (invero non molto motivato), forza la stessa regola processuale da sempre seguita, quella cioé di pronunciarsi nel senso dell’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sottopposta al suo vaglio ogni volta che il suo sindacato riguardasse quesiti non chiari o che prevedano interpretazioni alternative della disposizione impugnata (senza cioè che il giudice a quo ponga espressamente il suo petitum su una soltanto delle due alternative interpretative in campo). Nel suo iter argomentativo a supporto della decisione – che ha come oggetto una questione di legittimità costituzionale di due articoli dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige – la Corte ha modo di sottolineare come già in sue precedenti decisioni i “princìpi supremi dell’ordinamento costituzionale abbiano una valenza superiore rispetto alle altre norme o leggi di rango costituzionale, sia quando ha ritenuto che anche le disposizioni del Concordato, le quali godono della particolare ‘copertura costituzionale’ fornita dall’art. 7, II co., Cost., non si sottraggono all’accertamento della loro conformità ai ‘princìpi supremi dell’ordinamento costituzionale’ (v. sentt. nn. 30 del 1971, 12 del 1972, 175 del 1973, 1 del 1977, 18 del 1982), sia quando ha affermato che la legge di esecuzione del Trattato della CEE può essere assoggettata al sindacato di questa Corte ‘in riferimento ai princìpi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e ai diritti inalienabili della persona umana’ (v. sentt. nn. 183 del 1973, 170 del 1984). Non si può, pertanto, negare che questa Corte – così la stessa assume, invero in modo alquanto apodittico – sia competente a giudicare sulla conformità delle leggi di revisione costituzionale e delle altre leggi costituzionali anche nei confronti dei princìpi supremi dell’ordinamento costituzionale. Se così non fosse, del resto, si perverrebbe all’assurdo di considerare il sistema di garanzie giurisdizionali della Costituzione come difettoso o non effettivo proprio in relazione alle sue norme di più elevato valore”85. La dottrina ora espressamente affermata dalla Corte, secondo la quale alla stessa compete di sindacare le stesse leggi costituzionali e di revisione costituzionale, pertanto, costituisce il portato principe della teoria 1982), sia quando ha affermato che la legge di esecuzione del Trattato della CEE può essere assoggettata al sindacato di questa Corte ‘in riferimento ai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e ai diritti inalienabili della persona umana’ (v. sentt. nn. 183 del 1973, 170 del 1984). Non si può, pertanto, negare che questa Corte sia competente a giudicare sulla conformità delle leggi di revisione costituzionale e delle altre leggi costituzionali anche nei con fronti dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale. Se così non fosse, del resto, si perverrebbe all’assurdo di considerare il sistema di garanzie giurisdizionali della Costituzione come difettoso o non effettivo proprio in relazione alle sue norme di più elevato valore”. 84 A ben cogliere, con questa dottrina, la Corte si richiama, nei fatti (pur senza mai farne espressa menzione), alle risalenti teorie mortatiane della ‘costituzione in senso materiale’ (così anche A.A. Cervati, “La revisione costituzionale ed il ricorso a procedure straordinarie di riforma delle istituzioni”, in A.A. Cervati - S.P. Panunzio - P. Ridola (a cura di), Studi sulla riforma costituzionale, Torino, 2001, p. 21). Se, infatti, si esclude ogni lettura che si fondi su una inaccettabile funzione esclusiva della stessa come interprete della ‘super-costituzionalità’, altra fondazione di tali valori non può esserci se non quella che rinvii al “diffuso consenso intorno ai valori fondanti l’unità e l’identità di un determinato ordinamento costituzionale” (Ult. op. cit., p. 19. Per il dibattito dottrinario volto a cogliere la natura assiologica di valore nei princìpi e nei diritti fondamentali, cfr. soprattuto A. Baldassarre, “Diritti inviolabili”, in Enc. Giur. Treccani, ma anche P. Ridola, “Libertà e diritti nello sviluppo storico del costituzionalismo”, in I diritti costituzionali … cit., nonché i recenti saggi, già citati, di F. Modugno, P.F. Grossi, P. Caretti, e in senso critico di A. Pace, per il quale ultimo “non si vede come un concetto dichiaratamente metagiuridico, come quello di valore, possa di per sé essere utilizzato per porre un limite giuridico” (in Problematica delle libertà … cit., p. 49). Se così non fosse, ove cioè si volesse assegnare un plus di valore alle disposizioni scritte in materia di revisione costituzionale, non resterebbe, inevitabilmente, altra via, per raggiungere lo scopo, di forzare le clausole della irrevidibilità mediante il già richiamato ricorso alla revisione ‘di doppio grado’, ipotesi – quest’ultima – già ritenuta impraticabile secondo le letture più accreditate di tali disposizioni costituzionali. 85 Come è stato autorevolmente osservato, per molti profili, nel pervenire ad una simile pronuncia, la motivazione del Giudice costituzionale si presenta idonea a fare “apoditticamente proprie le conclusioni di dottrine, peraltro autorevolmente sostenute e largamente diffuse” (Cfr. M. Mazziotti di Celso, “Principi supremi dell’ordinamento costituzionale e forma di Stato”, in Diritto e società, 1996, n. 3, p. 308). Essa, infatti, come è stato sottolineato, “costituisce … un tassello importante del diritto costituzionale giurisprudenziale, o meglio scientifico-giurisprudenziale, perché sancisce un principio ormai (seppure dopo una originaria divaricazione di opinioni) largamente affermato nella giuspubblicistica, ma che la Corte aveva finora evitato di affermare apertamente, sia quando lo applicò di fatto, senza enunciarlo (sent. 38/1957), sia quando ne pose tutti i presupposti affermando il principio della sottoponibilità al sindacato di costituzionalità delle fonti autorizzate a derogare la Costituzione in quanto dotate di una particolare copertura costituzionale: fonti dunque che hanno una efficacia ed una posizione sistematica simile a quella delle leggi costituzionali (sentt. 30, 31, 32/1971; 12 e 195/1972; 175/1973; 1/1977; 16/1978; 16 e 18/1982; ord. 26/1985, in materia di leggi di esecuzione del concordato: 48/1979, in materia di consuetudini internazionali generalmente riconosciute; 183/1973; e 170/1984 in materia di trattati comunitari)” (Cfr. M. Dogliani, “La sindacabilità delle leggi costituzionali, ovvero la ‘sdrammatizzazione’ del diritto costituzionale”, in Le Regioni, 1990, n. 3). 19 costituzionale nei termini di una “verità autoevidente”86. Possono, in tal senso, definirsi pacifiche quelle ricostruzioni dottrinarie che, a partire dalla teorica mortatiana della ‘costituzione in senso materiale’, fino alle più recenti evoluzioni del costituzionalismo rigido e protetto nella sua superiorità rispetto alle leggi, portano a riconoscere nella Costituzione la relativa natura di hinner law e dei relativi contenuti garantistici. Quello su cui soltanto può ancora dubitarsi, come si fa bene sottolineare, è la “possibilità, sia teorica … che pratica … di tutelare attraverso la garanzia giurisdizionale il rispetto di quei princìpi, considerandosi limiti assoluti al potere di revisione”87. Ed è qui appunto che sono stati sottolineati i più significativi limiti argomentativi della decisione, in quanto la Corte utilizza a sostegno della decisione ora in esame, e dunque per risolvere la questione concretamente sottoposta al suo giudizio, precedenti giurisprudenziali fondati su una distinzione concettuale fra leggi di revisione in deroga o in sostituzione. La forzatura argomentativa risiede, così, nell’aver “esplicitamente esteso a tutte le fonti di cui all’art. 138 Cost. i princìpi che la Corte aveva elaborato solo in riferimento a fonti non altrimenti concepibili che come autorizzate a derogare norme costituzionali ‘ordinarie’, e di per sé non idonee a sostituire … i princìpi supremi della Costituzione stessa”88. Dunque, una forzatura che pare trovare la sua più profonda ratio nella coscienza che la Corte ha della ‘smodatezza’ del processo politico e dei rischi cui appare assogettato il testo costituzionale nel nucleo fondamentale dei suoi valori. In breve, la Corte sentenzia ma pensa alle riforme istituzionali 89, come è stato bene sottolineato. L’effetto più evidente di una simile giurisprudenza è quello – bene argomentato dalla dottrina che si è occupato di tale tematica – di un superamento del classico principio di gerarchia e di competenza nella sistematica delle fonti; il che implica, in modo evidente, “la costruzione di una gerarchia sostanziale delle norme, destinata ad affiancare quella formale, se non – come nel caso – ad essa addirittura sovrapporsi”90. Ampliando a dismisura i propri poteri, al di là di quelli (almeno apparentemente) consentiti alla stessa dall’art. 134 Cost., in tal modo, la Corte “intende ergersi a giudice della fedeltà dell’ordinamento ai suoi valori fondamentali anche nei confronti di atti che, in quanto autorizzati a procedere alla revisione della Costituzione, sembrerebbero anche facultizzati a discostarsi da quei valori. Essa si pronuncia nel senso dell’esistenza di un nucleo duro di valori irrivedibile ed irrinunciabile, a pena dell’alterazione dell’identità stessa dell’ordinamento”91. Un’anticipazione, in breve, di quell’orientamento che la porterà, di recente, e invero con esiti meritevoli di valutazione problematica, a identificare un limite aggiuntivo nello stesso “spirito della Costituzione” (nel caso specifico si trattava dell’ambito statutario riconosciuto alle regioni in materia di forma di governo dalle novellate disposizioni del nuovo Tit. V Cost.)92. 4.2. Quale primazìa del diritto dell’Unione rispetto ai princìpi e ai diritti costituzionali? La riflessione sul tema dovrà ora incentrarsi sulle problematiche poste dalla formazione giurisprudenziale del diritto costituzionale europeo in materia di diritti fondamentali e dei relativi rapporti con la giurisprudenza costituzionale interna in tema di protezione del ‘nucleo duro’ della Costituzione (princìpi e diritti fondamentali). Da tempo, come è noto alla dottrina costituzionale e a quella europea, tale giurisprudenza ha surrogato un persistente deficit di legittimazione costituzionale delle istituzioni e del diritto dell’Unione. In tale quadro, i Giudici di Lussemburgo hanno svolto (e svolgono tuttora) il complesso e delicato compito di sostenere il processo d’integrazione sovranazionale, regolando, al contempo, le disarmonie e le potenziali confliggenze fra diritto dell’Unione e diritto interno ai singoli Stati, con particolare riferimento alle tematiche della protezione dei diritti fondamentali per come, da ultimo, riconosciuti e garantiti dall’art. 6 del Trattato che modifica il Trattato sull’Unione Europea (già art. I-6 e art. I-9 TC del testo – non ratificato – del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa). Né, invero, possono ritenersi convincenti sul punto quegli orientamenti dottrinari che, nell’argomentare l’esistenza di una (pressoché compiuta) Costituzione europea, sottolineano come, in base ai princìpi sanciti dalla Corte di Giustizia in tema di primato e di diretta applicabilità del diritto dell’Unione su quello interno, i trattati e i regolamenti dell’Unione risultino dotati di diretta applicazione, producendo una deroga generalizzata al diritto interno, 86 Ult. op. cit. Ult. op. cit., p. 785. 88 Ult. op. cit., p. 785. 89 Cfr. S. Bartole, “La Corte pensa alle riforme istituzionali?”, in Giur. cost., I, 1988, p. 5570. 90 Ult. op. cit., p. 5571. 91 Ult. op. cit., p. 5572. 92 Sul punto, fra gli altri, cfr. anche il nostro “La forma di governo regionale (fra ‘chiusure’ del giudice costituzionale, ‘incertezze’ degli statuenti regionali e ‘serrato’ confronto nella dottrina)”, in Le istituzioni del federalismo, 2004; A. Spadaro, “I ‘contenuti’ degli statuti regionali con particolare riguardo alle forme di governo”, in A. Ruggeri - G. Silvestri (a cura di), Le fonti di diritto regionale alla ricerca di una nuova identità, Milano, 2001. 87 20 resistendo alle stessi leggi di rango costituzionale, svalutandosi, in tal modo, come “velleitarie” quegli orientamenti giurisprudenziali (soprattutto giudici costituzionali tedeschi ed italiani) che hanno portato a identificare livelli di resistenza costituzionali a tale primato (con la dottrina appunto dei “controlimiti”). All’interrogativo su quale sia la fonte primaria alla base di tale primazìa dell’Unione sul diritto interno – se possa essere individuata nell’apposita norma legittimante delle varie Costituzioni nazionali, cioè, o piuttosto nell’Unione europea, per forza costituzionale propria93 – pertanto, si può rispondere che il primato è da riconoscersi indubbiamente all’Unione europea, ma a condizione che tale ‘autorizzazione’ conosca dei limiti inderogabili, quelli appunto dei princìpi supremi degli ordinamenti nazionali, che non certo un giudice può rimuovere ma solo un procedimento, una decisione costituente, che rinvii ai popoli-sovrani dell’Europa. La risoluzione di tali problematiche (di legittimazione costituzionale) non può che prodursi ricorrendo al potere costituente originario (ancorché problematico nelle forme del suo esercizio)94. Non è appropriatamente, infatti, di deficit democratico che può correttamente parlarsi quando si affrontano le tematiche dei rapporti fra Costituzione nazionale e diritto dell’Unione, infatti, quanto piuttosto di deficit costituzionale, che risulta superabile mediante il rinvio ai soggetti che unicamente possono risolvere tale deficit di legittimazione costituzionale: i popoli europei, sovrani decisori della Costituzione europea. È pur vero, sotto tale profilo, che i conflitti fra gli ordinamenti – nazionali, europeo e internazionale (C.E.D.U.) – sono (in gran parte) più paventati che effettivi, anche in considerazione del surplus di tutele che tale protezione multilivello assicura ai soggetti (dei 27 Stati membri) europei95. In tale contesto, i giudici nazionali sono chiamati a conciliare regole costituzionali e diritto dell’Unione, assicurando la primazia e la diretta applicabilità di tale diritto (regolamenti ma anche direttive self-executing), azionando, al contempo, nel caso si renda necessario, il sindacato delle leggi di recezione dei trattati, almeno rispetto ai profili riguardati dal giudizio in corso e comunque dopo avere operato nel senso di una interpretazione conforme al diritto dell’Unione (sent. Marleasing)96. Omologo percorso dovrà seguire (ed ha seguito fin qui, con la sola eccezione del caso Kreil) la giurisprudenza della Corte di Giustizia a sostegno del primato del diritto dell’Unione su quello degli Stati membri dell’Unione, con il corrispettivo riconoscimento delle funzioni di garanzia assicurata dalle Corti costituzionali nazionali ai relativi ordinamenti. 5. La costituzione giurisdizionale dell’Unione europea nella materia dei diritti fondamentali Nell’indagine sugli apporti della Corte di Giustizia delle Comunità Europee alla formazione del diritto costituzionale dell’Unione, un posto centrale è occupato dai princìpi generali elaborati dalla stessa Corte, cui si deve, unitamente alle norme del TCEE (e di quelle che lo hanno modificato e integrato), un’influenza determinante sugli ordinamenti giuridici degli Stati membri97. In assenza di un catalogo di diritti nei trattati originari, è al loro interno e come loro contenuto fondamentale che hanno trovato collocazione, soprattutto a partire dai primi anni ’70, i diritti fondamentali, sul cui rispetto la Corte di Giustizia si è riconosciuta competente a ‘vigilare’98. L’indagine sul contenuto materiale della giurisprudenza della Corte di Giustizia in 93 A. Barbera, “Esiste una ‘costituzione europea’?”, in Quaderni costituzionali, 2000, n. 1, p. 65 ss. e dello stesso Autore, “La Carta dei diritti dell’Unione Europea”, Relazione al Convegno in memoria di Paolo Barile (Firenze, 25 giugno, 2001). 94 Cfr. anche i nostri “Integrazione comunitaria e legittimazione costituzionale”, in Scritti onore di G. Floridia (in corso di pubblicazione), nonché (a cura di), Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, costituzioni nazionali … cit.. In questa stessa direzione cfr. anche, di recente, P.V. Dastoli, Relazione al Colloque (organizzato dal Robert Schuman Centre for Advanced Studies – European University Institute, Firenze, 9/II/2007): “Un référendum européen pour la Constitution européenne. Problèmes juridiques et politique”. 95 Sul punto cfr. anche, fra l’altro, V. Zagrebelsky, “La Corte europea dei diritti dell’uomo e i diritti nazionali”, in http://www.luiss.it (Bollettino n. 6/2005); S. Panunzio, “I diritti fondamentali e le Corti in Europa: una introduzione”, in http://www.luiss.it (Bollettino n. 1/2003); G. Zagrebelsky, “Corti europee e Corti nazionali”, in http://www.luiss.it (Bollettino n. 1/2001). Sui rapporti reali e virtuali della Corte di Giustizia e di quella C.E.D.U. cfr., in particolare, G. Demuro, “I rapporti fra C.G.C.E. e Corte europea dei diritti dell’uomo”, in P. Falzea - A. Spadaro - L. Ventura, La Corte costituzionale e le Corti d’Europa, Torino, 2003; A. Tizzano, “Corte e Corte di giustizia”, in Il foro italiano, 2006 (num. spec.: AA.VV., La Corte costituzionale compie cinquant’anni) 96 “Le juge national qui est saisi d’un litige dans une matière entrant dans le domaine d’application de la directive 68/151 … est tenu d’interpréter son droit national à la lumière du texte et de la finalité de cette directive, en vue d’empêcher la déclaration de nullité d’une société anonyme pour une cause autre que celles énumérées à son article 11. Ces dernières doivent elles-mêmes, au vu de ladite finalité, être interprétées strictement, de sorte que celle tenant au caractère illicite ou contraire à l’ordre public de l’objet de la société doit s’entendre comme visant exclusivement l’objet de la société tel qu’il est décrit dans l’acte de constitution ou dans les statuts”. Sul punto cfr. anche F. Balaguer Callejòn, “Le corti costituzionali e il processo di integrazione europea”, in Convegno AIC (Roma 27-28 ottobre 2006), “La circolazione dei modelli e delle tecniche del giudizio di costituzionalità in Europa” (in corso di pubblicazione); S. Panunzio, “I diritti fondamentali e le Corti in Europa”, in S. Panunzio (a cura di), I diritti fondamentali e le Corti in Europa, Napoli, 2005; A. Ruggeri, “Carte internazionali dei diritti, Costituzione europea, Costituzione nazionale: prospettive di ricomposizione delle fonti in sistema” (Atti CSM, Roma 28 febbraio- 2 marzo 2007). 97 Cfr. A. Adinolfi, “I princìpi generali nella giurisprudenza comunitaria e la loro influenza sugli ordinamenti degli Stati membri”, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 1994, p. 525. 98 Cfr. Sent. Stauder del 12 novembre 1969, causa 29/69, in Racc. Uff. 1969, p. 420; sent. Internationale Handelsgesellschaft del 17 dicembre 1970, causa 11/70, in Racc. Uff. 1979, p. 1125; sent. Hauer, causa 44/1979, in Racc. Uff. 1979, p. 3727. 21 tema di princìpi e di diritti fondamentali dell’Unione, peraltro, si presta a una riflessione cui la dottrina costituzionale, e già in precedenza quella internazionalistica, ha dedicato crescente attenzione. È in questo ambito che si colloca il dibattito sui rapporti fra giurisprudenza costituzionale interna e giurisprudenza dell’Unione, meglio nota come dottrina dei ‘controlimiti’99 opponibili da parte dei singoli ordinamenti costituzionali nazionali a un processo di potenziale limitazione degli stessi, soprattutto in materia di princìpi supremi e di diritti fondamentali. Tale percorso – allo stato, e nelle more del superamento del deficit costituzionale dell’Unione – appare una strada ancora necessaria da percorrere per la piena realizzazione del processo d’integrazione europeo. Ma ciò che maggiormente rileva di tale rapporto, con peculiare riferimento alla garanzia delle posizioni giuridiche soggettive costituzionalmente garantite, in passato solo rinviato con la nota giurisprudenza sui ‘controlimiti’, pare da individuare nella necessità (costituzionale ma anche politica) di una “riforma costituzionale sia a livello di Unione che a livello nazionale”100, non potendosi continuare a ipotizzare e praticare un processo d’integrazione europeo, che diviene in itinere (quasi fattualmente) processo compiuto di costituzionalizzazione dell’Unione, in assenza di una legittimazione democratica adeguatamente rappresentativa, come solo le procedure costituenti possono assicurare, e attenta “a progettare un sistema di garanzie davvero funzionale”101. In tale ottica, le ‘sorti’ dei ‘controlimiti’ nell’ottica della positivizzazione dell’art. 53 della Carta nei (nuovi) trattati sono da individuarsi con riferimento alla giurisprudenza costituzionale in materia (sia di quella nazionale che delle altre Corti costituzionali europee)102. Analogamente, assai importante nel moderno costituzionalismo appare “l’esatta predeterminazione dei casi nei quali l’esercizio dei poteri limitativi delle libertà sarà riservato alle sole autorità giurisdizionali piuttosto che alle autorità amministrative. Il rischio conseguente è che tutta una serie di importanti libertà possono essere in concreto garantite assai meno che nel nostro ordinamento”103. In tale ottica, rimane confermato che la prospettiva più completa per lo sviluppo di tale processo passa ancora, nella fase attuale, per una necessaria “coabitazione” fra ordinamenti giuridici che impone un “rapporto di cooperazione” fra Corti costituzionali e Corte di Giustizia104. Tale rapporto lascia pienamente attivo il sindacato costituzionale delle norme dell’Unione per contrasto con i princìpi fondamentali dell’ordinamento costituzionale mediante il controllo della legge di esecuzione del Trattato per quegli ordinamenti che non prevedono la previa revisione dei trattati, come fra gli altri l’ordinamento spagnolo e quello francese, ma, al contempo, lascia aperta la possibilità (negli altri ordinamenti, come quello italiano) per il Giudice delle leggi di impiegare quegli strumenti persuasivi e interpretativi che, senza giungere alla sanzione 99 Per una lucida analisi sulle ‘sorti’ dei ‘controlimiti’ nell’ottica della positivizzazione dell’art. II-53 della Carta dei diritti nel TC, cfr. A. Ruggeri, “Tradizioni costituzionali comuni e controlimiti, tra teoria delle fonti e teoria dell’interpretazione”, in P. Falzea - A. Spadaro - L. Ventura, La Corte costituzionale e le Corti … cit.; A. Ruggeri, “Trattato costituzionale, europeizzazione dei controlimiti e tecniche di risoluzione delle antinomie tra diritto comunitario e diritto interno (profili problematici)”, in Forum di Quaderni costituzionali; A. Celotto e T. Groppi, “Diritto U.E. e diritto nazionale: primauté vs controlimiti”, in Riv. It. Dir. Pub. Com., 2004; A. Celotto e T. Groppi, “Primauté e controlimiti nel Progetto di Trattato costituzionale”, in Quad. cost., 2004, n. 4, p. 868 ss.; M. Cartabia e A. Celotto, “La giustizia costituzionale dopo Nizza”, in Giur. cost., 2002; T. Groppi, “La primauté del diritto europeo sul diritto costituzionale nazionale: un punto di vista comparato”, in Astrid. Rassegna, 2005, n. 13; AA.VV. (a cura di M. Cartabia, B. de Witte, P. Pérez Tremps), Constitución europea y Constituciones nacionales, Valencia, 2005; F. Salmoni, “La Corte costituzionale, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee e la tutela dei diritti fondamentali”, in AA.VV. (a cura di P. Falzea, A. Spadaro, L. Ventura), La Corte costituzionale e le Corti … cit.; G. Azzariti, “La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nel “processo costituente europeo”, in Rass. dir. pub. eur., 2002; V. Onida, “Armonia tra diversi e problemi aperti, La giurisprudenza costituzionale sui rapporti tra ordinamento interno e ordinamento comunitario”, in Quad. cost., 2003; A. Celotto, “L’efficacia giuridica della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (rassegna giurisprudenziale 2001-2004)”, in Giur. It., 2005; S. Gambino. “La Carta e le Corti costituzionali … cit. 100 Cfr. U. De Siervo, “I diritti fondamentali europei e i diritti costituzionali nazionali”, in G. Zagrebelsky, Diritti e Costituzione … cit., p. 259; A. Ruggeri, “Trattato costituzionale, europeizzazione dei ‘controlimiti’ … cit.; S. Gambino (a cura di), Trattato che istituisce una Costituzione … cit. 101 Cfr. U. De Siervo, “I diritti fondamentali europei … p. 259. 102 Cfr. M. Cartabia, Principi inviolabili … cit., pp. 95 ss.; A. Celotto – T. Groppi, “Diritto U.E. e diritto nazionale … cit. Da una parte, così, gli stessi sarebbero da intendere “come rigurgito di orgoglio nazionale (… soprattutto in ragione della considerazione secondo cui è ormai chiaro come) l’intervento del diritto comunitario non costituisca un attentato agli ordinamenti costituzionali nazionali, bensì, piuttosto, uno strumento di notevole potenzialità per dare sviluppo a principi a valori presenti nelle Costituzioni, ma spesso negletti o dimenticati” (cfr. A. Celotto - T. Groppi, “Primauté e controlimiti … cit.); dall’altra, sarebbe da sottolineare “l’inutilità di questi indirizzi, in quanto nessuno Stato ha avuto il ‘coraggio’ davvero di dichiarare la prevalenza di un ‘controlimite’ sulle norme comunitarie … il diritto comunitario (infatti) ‘aggira’ le garanzie poste a tutela della rigidità delle Costituzioni, grazie ai principi di primauté e di efficacia diretta, che non possono non valere anche rispetto alle norme di rango costituzionale”, come il ‘caso Kreil’ avrebbe bene dimostrato. In questa lettura invero abbastanza ottimistica, ne segue che i “i controlimiti si avviano a divenire non più il rigido muro di confine fra ordinamenti, ma il punto di snodo, la cerniera nei rapporti fra U.E. e Stati membri … Una U.E. che tende alla formazione di un vero Stato unitario di tipo federale non può non consentire che i singoli Stati membri, soprattutto in materia di diritti, non applichino le proprie disposizioni che riconoscono livelli di protezione più elevati, al pari di quanto avviene tradizionalmente negli Stati federali … (in questa ottica, pertanto) i ‘controlimiti’ acquistano una propria legittimazione, quale forma dinamica di prevalenza del diritto nazionale, rispetto al caso concreto; la primauté assume contenuti nuovi e differenti, ammettendo deroghe a livello nazionale” (ult. op. cit. Sul tema cfr. anche, fra gli altri, F. Salmoni, “La Corte costituzionale, la Corte di Giustizia … cit. ). Al momento, queste ultime risultano assenti nella previsione comunitaria de jure condendo, la quale si limita “ad affermare libertà e diritti, allorché il moderno costituzionalismo esige quanto meno che nelle disposizioni di garanzia si predeterminino anche le categorie dei limiti che potranno essere successivamente sviluppate dal legislatore alle situazioni soggettive di vantaggio” (cfr. U. de Siervo, “I diritti fondamentali europei … cit., p. 266). 103 Cfr. U. de Siervo, “I diritti fondamentali europei … cit., p. 266. 104 Cfr. anche M. Cartabia, Princìpi inviolabili … cit., p. 241; L. Dubois, “Le rôle de la Cour de justice des Communautés européennes. Objet et portée de la protection”, in L. Favoreau, Cours constitutionelles et droits fondamentaux, Aix-en-Provence, 1983. 22 dell’incostituzionalità delle norme dell’Unione, permettono di rendere presenti a livello di Unione (e alla Corte di Giustizia innanzitutto) le esigenze del sistema costituzionale dei singoli Stati membri e dei relativi elementi fondamentali. Tale dialogo può validamente continuare, quando si rifletta, come si è già ricordato, sulla disponibilità di strumenti giuridici, come il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia per l’interpretazione o per il giudizio di validità delle norme dell’Unione da parte del giudice ordinario e della stessa Corte costituzionale, come si dirà meglio in seguito105. Tanto brevemente richiamato circa la forza creatrice di diritto dei princìpi generali del diritto dell’Unione e del necessario dialogo fra giurisdizioni costituzionali nazionali e Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in un’ottica di garanzia della coesistenza dei valori e dei princìpi supremi dei due ordinamenti, può ora ricordarsi come, in assenza di disposizioni nei trattati in materia di diritti fondamentali, la costruzione originaria di un ‘catalogo’, sia pure limitato, di diritti fondamentali dell’Unione sia opera della sola Corte di Giustizia. Solo successivamente, con il Trattato di Maastricht prima e di Amsterdam e di Nizza poi, sono state positivizzate disposizioni nelle quali il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali viene assunto come fondamento della stessa U.E., unitamente ai princìpi di libertà, di democrazia e dello Stato di diritto, in quanto princìpi comuni agli Stati membri. L’evoluzione di questa giurisprudenza in tema di diritti fondamentali – benché ampiamente nota – risulta utile da richiamare, unitamente ai contenuti più significativi che la connotano, per argomentare circa l’effettività delle relative tutele nonché ai fini di una ricognizione nel merito dell’analisi dei contenuti delle giurisprudenze dei due ordinamenti (comunitario e nazionale). Dopo una prima fase di sostanziale indifferenza al tema, è solo negli anni ‘60, con la sentenza Stauder106 e soprattutto in uno storico ‘considerando’ della sentenza Internationale Handelsgesellschaft107 che la Corte di Giustizia perviene a riconoscere che la “tutela dei diritti fondamentali costituisce parte integrante dei princìpi giuridici generali di cui la Corte di Giustizia garantisce l’osservanza”. Per il Giudice di Lussemburgo, “la salvaguardia di questi diritti, pur essendo informata alle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri, deve essere garantita entro l’ambito della struttura e delle finalità della Comunità”. Solo accennati nella sentenza Stauder, in quest’ultima sentenza – che si fonda comunque su un concezione dualista del rapporto fra i due ordinamenti – la Corte di Giustizia, al fine di poter determinare il contenuto materiale dei princìpi generali del diritto dell’Unione, ricorre alle ‘tradizioni costituzionali comuni agli stati membri’, riconoscendo, per la prima volta, che di essi fa parte integrante la tutela dei diritti fondamentali. Con la successiva sentenza Nold108, seguendo lo stesso iter argomentativo, la Corte di Giustizia completa il ricorso alle ‘tradizioni costituzionali comuni’, incorporando gli strumenti internazionali di protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito). Benché non espressamente citato, il riferimento è alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, cui la Corte di Giustizia fa espresso richiamo solo nella successiva sentenza Rutili109, e in particolare agli artt. 8, 9, 10, 11 della C.E.D.U., nonché all’art. 2 del Protocollo n. 4 della medesima Convenzione, quando assume che determinate misure di polizia per gli stranieri (oggetto della causa) “non possono andare oltre ciò che è necessario per il soddisfacimento di tali esigenze in una società democratica”. A seguito di questa giurisprudenza – nel fondo essenziale – si riconosce come l’incorporazione dei diritti fondamentali risulti pienamente conseguita nell’ordinamento dell’Unione, almeno nel senso che tale giurisprudenza si estende, oltre che alle istituzioni e agli atti dell’Unione (come si sancisce nella sentenza 105 Benché sia noto che, allo stato, la strada seguita dalla Corte costituzionale nella sua giurisprudenza – diversamente, ad esempio, dall’orientamento seguito dal Giudice delle leggi spagnolo, austriaco e belga – non appaia disponibile ad accogliere tale orientamento, rimane che il Giudice costituzionale, nell’eventualità di un mutamento giurisprudenziale in materia, potrebbe trovarsi nella migliore delle condizioni per facilitare, nello stato attuale dei rapporti fra ordinamenti, “l’integrazione europea nella dimensione dei valori, indispensabile per uno sviluppo equilibrato dell’U.E. … da ponderare adeguatamente nel bilanciamento con gli altri princìpi supremi” (Cfr. M. Cartabia, Princìpi inviolabili … cit., pp. 248/249). Cfr. anche C. Di Turi, “Ancora sul rapporto tra giurisdizioni nazionali e Corte comunitaria in tema di rinvio pregiudiziale ex art. 177 del Trattato di Roma”, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 1997, n. 2. 106 Del 12 novembre 1969, causa 29/69, in Racc. Uff. 1969, p. 420. Secondo la Corte di Giustizia, “così interpretata, la disposizione di cui è causa non rivela alcun elemento che possa pregiudicare i diritti fondamentali della persona, che fanno parte dei principi generali del diritto comunitario, di cui la Corte riconosce l’osservanza”. 107 Del 17 dicembre 1970, causa 11/70, in Racc. Uff. 1970, p. 1125. Secondo la Corte di Giustizia, “il fatto che siano menomati vuoi i diritti fondamentali sanciti dalla costituzione di uno Stato membro, vuoi i principi di una costituzione nazionale, non può sminuire la validità di un atto della Comunità, né la sua efficacia nel territorio dello stesso Stato. È tuttavia opportuno accertare se non sia stata violata alcuna garanzia analoga, inerente al diritto dell’Unione. La tutela dei diritti dell’Unione costituisce infatti parte integrante dei principi giuridici generali di cui la Corte di Giustizia garantisce l’osservanza. La salvaguardia di questi diritti, pur essendo informata alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, va garantita entro l’ambito della struttura e delle finalità della Comunità”. 108 Del 14 maggio 1974, causa 4/73, in Racc. Uff. 1974, p. 491. Secondo la Corte di Giustizia “i diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto, di cui essa garantisce l’osservanza. La Corte, garantendo la tutela di tali diritti, è tenuta ad ispirarsi alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e non potrebbe, quindi, ammettere provvedimenti incompatibili con i diritti fondamentali riconosciuti dalle costituzioni di tali Stati. I trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’uomo, cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito, possono del pari fornire elementi di cui occorre tenere conto nell’ambito del diritto dell’Unione”. 109 Del 28 ottobre 1975, causa 36/75, in Racc. Uff. 1975, p. 1219. 23 Wachauf110), alla stessa normativa degli Stati membri attuativa del diritto dell’Unione. Ne resta preclusa la sola normativa nazionale priva di ogni legame con il diritto dell’Unione (come viene sancito nella sentenza Kremzow111), sottolineandosi, in tal modo, come i diritti fondamentali di cui la Corte di Giustizia assicura la tutela sono “sì libertà fondamentali ma … in quanto strumentali agli obiettivi economici dei trattati, cioè come garanzie proprie del sistema comunitario”112. Non è il caso, in questa sede, di approfondire le ragioni alla base di tale orientamento giurisprudenziale, dovendoci limitare a sottolineare, piuttosto, come esso si accompagni, e di certo si correli, all’affermazione dei princìpi della primazia e della diretta applicabilità del diritto dell’Unione negli ordinamenti nazionali. Una parte della dottrina, com’è noto, ha cercato in essa una correlazione per così dire ‘polemica’ con le Corti costituzionali nazionali, richiamandosi, in tal senso, alle preoccupazioni sollevate dalla giurisprudenza costituzionale tedesca (Solange I, del 20 maggio 1974)113, nel suo accettare il controllo di costituzionalità sul diritto dell’Unione nella materia della protezione dei diritti fondamentali. Con successiva sentenza (Solange II, del 22 ottobre 1986)114, tuttavia, lo stesso Tribunale Costituzionale dichiara superati i motivi posti a base del primo orientamento giurisprudenziale, essendosi la tutela dei diritti fondamentali elevata, a livello di Unione, a “livelli equivalenti” a quelli assicurati dalla Legge Fondamentale di Bonn115. Nella sentenza Maastricht116, infine, tale orientamento giurisprudenziale si perfeziona, assumendosi in via di principio incompetente a sentenziare in materia di protezione dei diritti fondamentali negli atti comunitari, attesa l’attivabilità in via pregiudiziale del Giudice di Lussemburgo ai sensi dell’art. 234 TCE, e dunque assumendo ormai come mera ipotesi astratta l’attivazione del precedente orientamento in materia di controlimiti. In relazione a un diritto fondamentale non riconosciuto dall’art. 12.a della LFB (divieto di discriminazione fra uomini e donne nell’accesso al lavoro ed in particolare nelle forze armate), tuttavia, con la sentenza Kreil 117, la Corte di Giustizia sposta ulteriormente in avanti la frontiera europea dei diritti fondamentali, riproponendo il risalente tema dei rapporti fra primato del diritto dell’Unione e superiorità degli ordinamenti costituzionali nazionali118. Con la sentenza Kreil, in breve, la 110 Del 13 luglio 1989, causa 5/88, in Racc. Uff. 1988, p. 2609, nella quale, da parte della CGCE, si riconosce che “i diritti fondamentali costituiscono parte integrante dei princìpi generali del diritto di cui la Corte garantisce l’osservanza. In tale compito essa è tenuta ad uniformarsi alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, di guisa che non possono essere ammessi nella Comunità provvedimenti incompatibili con i diritti fondamentali riconosciuti dalle costituzioni di detti Stati”, aggiungendosi, inoltre, da parte della Corte, che “i diritti fondamentali riconosciuti dalla Corte non risultano essere prerogative assolute (corsivo nostro) e debbono essere considerati in relazione alla funzione da essi svolta nella società. È pertanto possibile operare restrizioni di detti diritti, in particolare nell’ambito di unA organizzazione comune di mercato, purché dette restrizioni rispondano effettivamente a finalità d’interesse generale perseguite dalla Comunità e non si risolvano in un intervento sproporzionato ed inammissibile che pregiudicherebbe la stessa sostanza di tali diritti”. 111 Del 29 maggio 1997, causa C-299/95, in Racc. Uff. 1995, p. I-2695. 112 Cfr. G. Tesauro, “Il ruolo della Corte di Giustizia … cit., p. 313; E. Pagano, “I diritti fondamentali … cit., p. 170, in part. nota 22. 113 BVerfGE, 37, p. 271, cui adde il commento di C. Autexier, “L’hétérogénéité du droit communautaire”, in Revue int. droit comparé, 1982, p. 337. 114 BVerfGE, 73, p. 339, su cui cfr. C. Autexier, “Obeservations”, in Annuaire international de justice constitutionnelle, vol. III, 1987, p. 429 ss.). 115 “Se si considera il livello ormai raggiunto dalla giurisprudenza della C.G.C.E. non ci si può più attardare sulla considerazione secondo cui, in materia di rapporti normativi fra diritto comunitario e Costituzioni degli Stati membri, possa prodursi un abbassamento dello standard dei diritti fondamentali nel diritto comunitario ad un livello tale per cui non possa più parlarsi di una protezione giuridica appropriata dei diritti fondamentali nel senso della Legge fondamentale. Da una parte, la C.G.C.E. non è tenuta a porre i principi generali del diritto comunitario al livello più basso, del minor comune denominatore rispetto alle Costituzioni degli Stati membri … Occorre piuttosto attendersi che la C.G.C.E. si orienti verso uno sviluppo ottimale del principio dei diritti fondamentali nel diritto comunitario. Dall’altra, l’assunzione del parametro normativo costituito dalla C.E.D.U., ivi compresa la giurisprudenza ormai estesissima della Corte europea dei diritti dell’uomo, assicura uno standard minimo del contenuto della protezione dei diritti fondamentali, che soddisfa in via di principio alle esigenze costituzionali della LF (385-386) … Considerata tale evoluzione si deve osservare quanto segue: fintanto che le Comunità europee, e soprattutto la giurisprudenza della C.G.C.E., garantiranno in via generale una protezione efficace dei diritti fondamentali contro il potere sovrano delle Comunità, secondo modalità che possano essere considerate come sostanzialmente eguali alla protezione dei diritti fondamentali assunta come inderogabili dalla LF, e fintanto che le stesse garantiranno … il contenuto sostanziale dei diritti fondamentali, la Corte costituzionale federale non eserciterà il proprio sindacato sull’applicabilità del diritto comunitario derivato invocato come fondamento del comportamento di tribunali e di autorità tedesche nel’ambito della sovranità della RFT e, di conseguenza, essa non controllerà più tale diritto derivato con riferimento ai diritti fondamentali della LF … (387)”. 116 BVerfGE, sent. 7 giugno 2000, su cui, nell’ampia bibliografia, cfr., almeno, I. Pernice, “Les bananes et les droits fondamentaux: la Cour constitutionnelle allemande fait le point”, in Cahier de droit européen, 2001, p. 427 ss.; F. Palermo, “La giurisprudenza costituzionale tedesca nel biennio 1999-2000”, in Giur. cost., 2001, p. 3301 ss. 117 Caso C-285/1998, dell’11 gennaio 2000. 118 Con l’interpretazione della Direttiva 76/207 C.E.E., in tema di divieto di discriminazione in base al sesso nell’accesso al lavoro, la Corte di giustizia perviene alla conclusione secondo cui la richiamata disposizione dell’Unione “osta all’applicazione di norme nazionali, come quelle del diritto tedesco che escludono, in generale, le donne dagli impieghi militari che comportino l’uso delle armi e che ne autorizzano l’accesso soltanto ai servizi di sanità e alle formazioni di musica militare”. Riconoscendo il contrasto con tale Direttiva dell’art. 12.a della LFB, essa assume come inapplicabile tale ultima disposizione costituzionale, impedendo che la stessa possa venire interpretata come fonte costituzionale generale di esclusione delle donne dai servizi che prevedano l’uso delle armi. Invero, una riflessione su tale giurisprudenza condurrebbe a ritenere che, nel rapporto tra diritto dell’Unione e costituzioni nazionali, la giurisprudenza di Lussemburgo non debba cogliersi come limitativa delle tutele assicurate a livello nazionale, se non, piuttosto, come una “tutela rinforzata” (così M.A. Cabellos Espiérrez, “La contribución del derecho comunitario a la interpretación de los derechos constitucionales: la sentencia de TJCE de 11 de enero de 2000 (Kreil) y el art. 12.a de la Constitución alemana”, in M.A. Aparicio, Derechos constitucionales y formas politicas, Barcelona, 2000, p. 779), potendosi concludere, così, non certo nella direzione di una obbligatorietà (sempre auspicabile) della revisione costituzionale da parte dei singoli ordinamenti costituzionali nazionali, quanto piuttosto nella direzione di un vincolo interpretativo da parte delle giurisprudenze nazionali e fra queste, in particolare, di quelle costituzionali. 24 Corte di Lussemburgo precisa, in modo ulteriormente espansivo, le sue competenze di controllo dell’applicazione del diritto dell’Unione, che si esplicitano nell’individuazione di livelli di protezione assolutamente inderogabili dei diritti fondamentali e, dunque – mutuando la formulazione dell’art 19.2 della LFB – del loro “contenuto essenziale”. Al contempo, però, la stessa afferma che la giurisdizione delle Corti costituzionali nazionali sarà esercitata in un “rapporto di cooperazione” con la Corte di Giustizia. Tale riformulazione della tematica dei rapporti tra giurisdizioni (costituzionali e comunitaria), a ben vedere, non fa che riproporre in termini diversi il risalente problema del potenziale conflitto tra Corti costituzionali e Corte di Giustizia, la cui soluzione, allo stato degli ordinamenti in esame, non può che affrontarsi tenendo presente la giurisprudenza del Tribunale costituzionale federale (in tema di limiti al carattere vincolante degli atti dell’Unione non conformi alla legge tedesca di approvazione dei trattati di Maastricht e di Amsterdam) e quella del Giudice delle leggi italiano. D’altra parte, e prescindendo in questa sede dall’affrontare le problematiche, pur rilevanti, poste dalle diverse modalità delle tutele al livello di Unione in tema di diritti fondamentali – quello della Convenzione di Roma e quello dei trattati – non può che sottolinearsi come, proprio a partire da tale giurisprudenza (Kreil), in particolare, si appalesino tutti i limiti del ricorso alle ‘tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri’, quando, come nel caso in esame, è appunto di un esplicito contrasto fra disposizioni (e non solo fra tradizioni) costituzionali nazionali e diritto dell’Unione che, in realtà, si tratta119. Tale considerazione costituisce, al contempo, una sottolineatura ulteriore della limitata trasparenza della giurisprudenza nel suo riferimento ai princìpi generali del diritto dell’Unione120. Le stesse modalità sono seguite dalla Corte di Lussemburgo quando pone le premesse per assicurare il suo ruolo di garante dei diritti, per come stabiliti nella Convenzione di Roma, benché limitatamente a norme connesse con il diritto dell’Unione121. 6. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo: il parametro della “protezione equivalente” Un richiamo a parte va fatto a proposito del ruolo, esplicitamente richiamato dall’art. 6 del TUE (vers. cons.), delle convenzioni internazionali quale parametro utilizzato dalla Corte di Giustizia nella protezione dei diritti fondamentali e fra queste, in particolare, della Convenzione di Roma per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ove (nei suoi artt. 8.2, 9.2, 10.2, e 11.2) si sancisce che la tutela dei diritti fondamentali sarebbe derogabile nei soli limiti del rispetto dei princìpi di legalità e di necessarietà “in una società democratica”122. Benché debba osservarsi che, allo stato, fra i sistemi giudiziari dell’Unione, sussiste un “modus operandi in forza del quale le Corti costituzionali e gli organi della Corte europea dei diritti dell’uomo … (fanno) credito (alla Corte di giustizia ed) alla capacità di questa di assicurare una tutela soddisfacente dei diritti fondamentali”123, la questione deve essere affrontata in ragione della non astratta ipotesi che si determini una discordanza nella tutela dei diritti fra l’ordinamento dell’Unione e i diritti tutelati dalla C.E.D.U., come, peraltro, si è già osservato a proposito delle stesse ‘tradizioni costituzionali comuni’124. Ciononostante, i problemi del coordinamento e dell’armonizzazione giurisprudenziale tra tali Corti rimangono aperti, includendosi in tale affermazione la stessa questione della c.d. “protezione equivalente” accordata dal Giudice di Strasburgo125. Alcuni anni dopo la nota sentenza Matthews 119 Cfr. E. Denninger, “I diritti fondamentali nel quadro dell’Unione Europea”, in Osservatorio costituzionale Luiss; p. 9, che, a proposito dei diritti fondamentali europei, afferma che “la cultura europea dei diritti fondamentali non farà nessun progresso sostanziale, e quindi non ci sarà nessun catalogo dei diritti fondamentali sostanziale e praticabile, se non verranno sviluppate allo stesso tempo e in maniera democratica le istituzioni legislative; o, detto in termini più astratti, senza quella connessione intrinseca tra Stato di diritto e democrazia, tra autonomia politica e autonomia privata ... Questa correlazione reciproca deve essere rafforzata ed allargata anche al livello sovranazionale della Comunità europea, altrimenti la politica dei diritti fondamentali rimarrà mera retorica idealistica, o verrà a snaturarsi in argomentazioni burocratiche”. 120 La cui tecnica giurisdizionale assolve, appunto, in modo essenziale, alla “funzione di rendere meno trasparente, con l’utilizzazione di un parametro che può sembrare obiettivo, il ruolo creativo di regole giuridiche che la Corte di giustizia svolge” (Così G. Gaja, “Princìpi del diritto … cit., p. 543; A. Baldassarre, “La Carta europea dei diritti … cit., p. 3). 121 Cfr. anche sent. 159/1990, Grogan, in Racc. Uff. 1991, I, p. 4685. 122 Cfr. A. Rizzo, “L’Unione Europea e la Carta dei diritti fondamentali. Un rapporto ancora da definire”, in La Comunità internazionale, 2001, n. 1, p. 112. 123 Cfr. E. Pagano, “I diritti fondamentali … cit., p. 180; G. Gaja, “Gli atti comunitari dinnanzi alla Commissione dei diritti dell’uomo: di nuovo Solange?”, in Riv. dir. int., 1990, p. 388. 124 Come, fra l’altro, è dato osservare nella nota giurisprudenza Matthews c/Regno Unito (del 18 febbraio 1999) della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale assume di sanzionare il rispetto dei diritti garantiti dalla C.E.D.U. con riferimento ad atti interni di attuazione del diritto dell’Unione (nella fattispecie del diritto britannico), pur dopo aver osservato come “gli atti delle Comunità europee non possono essere impugnati come tali davanti alla Corte, perché la Comunità in quanto tale non è parte contraente”. Cfr. G. Demuro, “I rapporti fra Corte di Giustizia …, p. 18 ss. Sul punto cfr. anche L.S. Rossi (a cura di), Carta dei diritti fondamentali e Costituzione dell’Unione europea, Milano, 2002 (in particolare il contributo di B. Conforti, “La Carta dei diritti fondamentali dell’UE e la Convenzione europea dei diritti umani”, p. 13). 125 Per un primo commento cfr. anche G. Repetto, “La Corte di Strasburgo e il sindacato sugli atti comunitari: al solange non c’è mai fine”, in http://www.associazionedeicostituzionalisti.it (27/07/2005). 25 (18.02.1999), con una decisione criticata in ragione dell’assunzione del parametro della Convenzione quale standard minimo comune inderogabile nella protezione dei diritti, l’affermazione del principio della ‘protezione equivalente’ viene ribadito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza Bosphorus Hava Jollari Turizm ve Ticaret anonim sirketi/Irlanda (n. ric. 45036/98 del 30.06.2005), con riferimento alla violazione dell’art. 1 del Protocollo integrativo della C.E.D.U. da parte di atti nazionali adottati in applicazione di norme dell’Unione. Nella ricostruzione del parametro dell’Unione, il Giudice di Strasburgo si richiama, fra l’altro, alla nota giurisprudenza in tema di tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, all’art. 6 del TUE nonché alla stessa Carta di Nizza (art. 52.3) e al TCE (del 29 ottobre 2004), oltre che alla disposizioni dell’art. 5 e 189 del T.U.E. Tanto richiamato, la Corte europea dei diritti dell’uomo ricorda come, a partire dalla sentenza Francovich c/ Italia, la Corte di Giustizia “ha esteso la responsabilità dello Stato all’insieme degli atti e delle omissioni delle autorità nazionali (legislative, esecutive e giudiziarie) assunti in violazione del diritto comunitario, a condizione che siano soddisfatte le condizioni di responsabilità” (§ 95). Dovendo, la Convenzione, essere interpretata in modo che gli Stati possano rispettare i loro obblighi internazionali e in modo che non sia ostacolata l’intensificazione della cooperazione internazionale, per il Giudice di Strasburgo, ne segue che l’unico problema da risolvere rimane quello della natura discrezionale o meno dell’obbligazione assunta dagli Stati medesimi. Così ricostruita la fattispecie, non vi è dubbio, per la Corte europea dei diritti dell’uomo, che “non contrasta alla Convenzione l’adesione da parte di uno Stato a una organizzazione internazionale (nella specie la C.E.E.) nella quale le sia richiesto di accollarsi altre obbligazioni a condizione che in questa organizzazione i diritti dell’uomo ricevano una protezione equivalente a quella accordata dalla Convenzione” (§108). Un principio – quest’ultimo – come si è fatto ricordare da parte della stessa Corte – già fatto valere nella sentenza M. and Co. c./République fédérale d’Allemagne (n. 13258/87, del 9 febbraio 1990) e confermato nel caso Karl Eckart Heinz c/ Etats contractants également Parties à la Convention sur le brevet européen (n. 21090/92, del 10 gennaio 1994). La Corte europea dei diritti dell’uomo, così, ha stabilito che le Parti contraenti sono responsabili, ai sensi dell’art. 1 della Convenzione di tutti gli atti e le omissioni dei loro organi, tanto che gli stessi derivino dal diritto interno tanto che si fondino sulla necessità di adempiere a obbligazioni giuridiche internazionali. Secondo la Corte, in tal senso, “una misura dello Stato adottata in esecuzione di tali obbligazioni deve ritenersi giustificata a condizione che sia accertato che la organizzazione (internazionale) in questione riconosca ai diritti fondamentali (assumendosi sotto tale nozione, al contempo, le garanzie sostanziali e quelle procedurali) una protezione almeno equivalente a quella assicurata dalla Convenzione” (§155). In tali condizioni, la Corte assume di poter considerare che la protezione dei diritti fondamentali assicurata dal diritto dell’Unione è, ed era all’epoca dei fatti (di causa), “equivalente” a quella assicurata dal meccanismo della Convenzione. Nella sentenza Bosphorus ritroviamo, pertanto, “e per la prima volta”, un chiaro orientamento del Giudice di Strasburgo volto a “riappropriarsi del controllo sugli atti nazionali di attuazione del diritto comunitario”. Nelle more di una soluzione che risolva il modo della “collocazione della C.E.D.U. ai vertici del sistema delle fonti”, con tutte le implicazioni problematiche sollevate dalla stessa Corte di Lussemburgo, rimane forse aperta la sola strada – bene sottolineata dalla dottrina126 – dell’armonizzazione giurisprudenziale delle corti nazionali e delle due Corti europee, grazie a una uniformis interpretatio delle disposizioni della Convenzione. È su questa base che dovrà ancora fondarsi il ‘diritto comune delle libertà’ in Europa, una base che pare pienamente seguita dalla stessa ‘Carta dei diritti’, che espressamente prevede che “laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta Convenzione. La presente disposizione non osta al diritto dell’Unione di concedere una protezione più estesa” (art. 52.3) e secondo la quale “nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti nel rispettivo ambito di applicazione dal diritto della Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l’Unione, la Comunità o tutti gli Stati membri sono parti contraenti, in particolare la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dalle Costituzioni degli Stati membri” (art. 53). 126 Cfr. F. Cocozza, Diritto comune delle libertà in Europa, Torino, 1994, p. 132. Nella dottrina di lingua francese, posizioni simili sono state espresse da F. Benoît-Rohmer, “Valeurs et Droits fondmaentaux dans la Constitution”, in Révue trimestrielle de droit européen 2005 p. 261 ss. secondo cui “…un système cohérent de de protection des droits de l’homme … ne peut se réaliser que si la Convention européenne des droits de l’homme apparaît comme le standard minimal commun aux démocraties européennes. Dès lors, il faut éviter (que) deux systèmes des protection … puissent se trouver en concurrence et donner lieu à des divergences de jurisprudence, et s’assure que le standard minimal européen de la Convéntion européenne des droits de l’homme soit observé à l’égard de tout individu placé sous la juridiction de l’Union” (p. 280). 26 Le soluzioni accolte dagli ordinamenti nazionali, che assegnano alla C.E.D.U. la forza propria della legge ordinaria127, impongono, pertanto, a livello nazionale, e nella direzione della valorizzazione della C.E.D.U., un ricorso, da parte dei giudici, “a prassi proprie della’‘interpretazione costruttiva’, in base alla quale il criterio della lex posterior non può essere applicato a detrimento delle garanzie offerte dalla C.E.D.U., se non vi è nella lex posterior stessa l’espressa menzione della volontà di perseguire effetti, anche in contrasto con la C.E.D.U., subendo lo Stato italiano le conseguenze derivanti sul piano internazionale dalla violazione della Convenzione”128. Tuttavia, in parte, tale orientamento (giurisprudenziale e dottrinario, al contempo) appare convincente quando si rifletta a quello che, a buona ragione, Ruggeri definisce il punctum crucis della questione ora in esame e cioè alla questione di sapere se, nella dinamica interordinamentale, il diritto dell’Unione trovi comunque e sempre un limite alla sua primazìa in presenza di giudicati costituzionali, tanto che questi si pongano a garanzia dei principi e dei diritti fondamentali nazionali, tanto che riguardino in generale le funzioni esercitate dalla Corte costituzionale ai sensi dell’art. 137 Cost., che in questa ottica dovrebbe assumere la natura di vero e proprio principio supremo dotato di una forza “supercostituzionale”129. Ragioni sistemiche dovrebbero portare ad assumere che, in via generale, il giudicato costituzionale sia chiamato a svolgere una simile funzione di chiusura nei confronti del processo d’integrazione europea e che pertanto il diritto dell’Unione non possa che fermarsi di fronte a tale giudicato espressivo dell’autonomia costituzionale dell’ordinamento interno. Vero è che il giudicato costituzionale appare meritevole di considerazione nella concreta dinamica dell’interpretazione, rispetto alla quale lo stesso giudicato, sulla base di diversi parametri invocati dal giudice a quo, potrebbe portare a diversi esiti, in ragione dei parametri costituzionali di volta in volta richiamati nel caso concreto. Cionondimeno non può negarsi che, Corte locuta, la soluzione delle antinomie, ivi comprese quelle eventuali con l’ordinamento dell’Unione, dovrebbe ritenersi risolta. Ancora una volta, dunque, la questione che si pone e che appare senza risposte è quella relativa alla ricerca delle soluzioni normative più adeguate alla riconciliazione dei due ordinamenti, fra di loro in tensione dinamica, fra cui il dialogo fra Corti e il rinvio pregiudizale, nelle more di una rivisitazione generale delle fonti di legittimazione costituzionale del diritto dell’Unione, rimangono al momento forme necessarie e probabilmente ineludibili. Insomma, come bene sottolinea Ruggeri, rileggendo il rapporto fra le due Corti alla luce della positivizzazione del mutuo riconoscimento degli ordinamenti nazionali e comunitari (art. 4 nuovo Trattato; già art. I-5 del T.C.E.), “i conflitti fra le Corti rimangono pur sempre possibili … nessun potere esclusivo, d’interpretazione ‘autentica’, sarebbe riconoscibile a beneficio degli uni o degli altri giudici, piuttosto ammettendosi la eventualità di un libero confronto tra opzioni ricostruttive operate in seno ai due ordinamenti, nel corso di una partita apparentemente aperta a ogni possibile esito”130. Insomma, il cantiere dell’integrazione europea resta aperto a un’operosa pratica, volta ad “agevolare la formazione di vere e proprie consuetudini interpretative, idonee a consolidarsi dunque in ‘indirizzi’ stabili di produzione e di interpretazione giuridica, in forza dei quali gli enunciati costituzionali, in ambito comunitario come pure in ambito nazionale, si volgano naturalmente gli uni verso gli altri, alimentandosi e rinnovandosi reciprocamente di senso (in modo circolare, appunto), e tendendo alla più ampia espansione e realizzazione, al servizio dei diritti di singoli e gruppi e al fine del loro massimo, alle condizioni storicamente date, appagamento. Il che vale come dire che nell’uno come nell’altro ordinamento sono sollecitate a prendere corpo delle pratiche d’interpretazione doppiamente conformi … che metodicamente e teoricamente s’ispirino al principio della mutua ‘apertura’, del reciproco ‘fondamento’. (In tal senso) ... il disposto di cui all’art. I-5, nella sua più densa e qualificante espressione, dà una ferma e non equivoca indicazione a sostegno di siffatto indirizzo metodico-teorico, naturalmente sollecitato a convertirsi in diritto vivente ‘intercostituzionale’ … L’ipotesi, dunque, che norme dell’Unione (forse, pure principi fondamentali della stessa) risultino incompatibili coi ‘controlimiti’, sì da far attivare la clausola di salvaguardia della identità costituzionale fissata nell’art. I-5, non può, per eccessivo ottimismo o disarmante ingenuità, esser interamente scartata. E allora è nuovamente da chiedersi quali tecniche di ripristino dell’armonia in seno alle relazioni tra gli ordinamenti possano essere messe in campo, tecniche che si ispirino alla clausola stessa e con essa dunque si mostrino, nei loro concreti sviluppi applicativi, pienamente coerenti. È evidente, infatti, come non ci si possa arrestare alla sola inappagante conclusione precedentemente raggiunta secondo cui l’accertamento della violazione dei ‘controlimiti’ … abbia luogo, ora in prima ed ora in seconda battuta, in 127 Per un superamento di questa sistematica delle fonti, tuttavia, cfr. ora, nella recente revisione della Costituzione italiana, la nuova disciplina dei limiti all’esercizio della potestà legislativa statale e regionale, ai sensi dell’art. 117, I co., Cost.. Sul punto, nell’ampia bibliografia, di recente, cfr. anche A. Ruggeri, “La C.E.D.U. alla ricerca di una nuova identità, tra prospettiva formale-astratta e prospettiva assiologia-sostanziale d’inquadramento sistematico (a prima lettura di Corte cost. nn. 348 e 349 del 2007)”, in Forum di Quaderni costituzionali, 2007. 128 Cfr. F. Cocozza, Diritto comune … cit., p. 134; L. Cassetti, “Princìpi supremi e diritti fondamentali nel Trattato di Amsterdam”, in Gazzetta Giuridica, 1999, n. 36, p. 8. Sul punto cfr. ora le recenti sentt. nn. 348 e 349 del 2007. 129 Cfr. A. Ruggeri, “Le pronunzie della Corte costituzionale … cit. 130 Ult. op. cit., p. 6. 27 questo o quell’ordinamento. Si tratta, infatti, di chiedersi da chi e con quali effetti l’accertamento stesso sia compiuto, in ragione appunto della ormai avvenuta europeizzazione dei ‘controlimiti’ stessi, e quali esiti possano pertanto immediatamente, naturalmente discenderne”131. Se il Giudice delle leggi, come si è già osservato, si riconosce ormai pienamente competente (ciò rimane vero al momento solo in sede di giudizi in via principale, non potendosi realisticamente ipotizzare svolte radicali con riferimento alla precedente giurisprudenza costituzionale, a partire dalla nota sentenza Frontini e, corrispondentemente dal fronte dell’Unione, a partire dalla sentenza Simmenthal132) a far valere innanzi a sé il bilanciamento fra vincolo dell’Unione e ‘controlimite’ a protezione dei principi e dei diritti fondamentali interni, può ormai dirsi che siamo in presenza di una ricomposizione all’interno di quel complesso percorso cui la Corte era fin qui pervenuta133. Come è stato bene sottolineato, così, “a ben vedere la legittimità comunitaria assorbe la legittimità costituzionale”134 e la Corte ora lo riconosce espressamente. In breve, il nuovo riparto delle competenze fra Stato e regioni e la stessa legittimità di tali fonti, oltre a soggiacere al limite ampiamente fatto valere da un quinquennio di giurisprudenza costituzionale sulla natura eminentemente “trasversale” di talune materie/funzioni di competenza esclusiva dello Stato (livelli essenziali di prestazioni in materia di diritti civili e sociali, tutela della concorrenza, perequazione finanziaria, ecc.), con una recente sentenza135 della Corte, tale riparto soggiace al rispetto del vincolo comunitario. Con tale pronuncia, la Corte “non ha potuto fare a meno di ammettere l’idoneità del diritto comunitario a prevalere sul riparto interno delle competenze (e quindi ad assorbire i problemi di costituzionalità)”136. Rimane il dubbio se un simile orientamento del Giudice delle leggi si limiterà alle sole impugnazioni delle leggi in via principale, ovvero si estenderà anche al giudizio in via incidentale, e se in tale ambito potrà darsi un superamento di quella giurisprudenza (Simmenthal) che ha sempre rifuggito dalla declaratoria d’incostituzionalità di leggi per violazione del diritto dell’Unione, dovendo le stesse, a cura del giudice ordinario, conoscere la mera disapplicazione. Se dunque questo orientamento avrà seguito potrà dirsi che, dopo più di un trentennio di costante giurisprudenza, quella logica dualistica che aveva presidiato il rapporto fra gli ordinamenti e le relative Corti potrà trovare una sua definitiva sistemazione in un innovato quadro monistico, capace, tuttavia, di riconoscere alla Corte costituzionale il sindacato del ‘controlimite’, almeno fino al ripensamento delle forme della legittimazione costituzionale dell’ordinamento dell’Unione. Il problema della non applicabilità/invalidità del diritto interno rispetto a quello dell’Unione, tuttavia, anche dopo l’appena richiamata sentenza della Corte italiana, continua a porsi quando si rifletta alla giurisprudenza recente del Giudice della nomofilachia italiano137. Diversamente dall’apertura riconosciuta dalla dottrina ai recenti orientamenti del Giudice delle leggi, e in sostanziale continuità con previgenti letture dualistiche del rapporto fra i due ordinamenti, l’Alta Corte di legittimità assume che il novellato art. 117, I co., Cost. altro non farebbe che costituzionalizzare un “assetto dato” di rapporti fra ordinamenti, che vedrebbe “i vincoli derivanti dallo ordinamento comunitario” (di cui al novellato art. 117, I co., Cost.) come meramente riferibili “alla sedes materiae e cioè al rapporto fra ordinamenti e non anche ai rapporti fra le diverse fonti”. Una lettura – quest’ultima – più che discutibile, 131 Ult. op. cit., pp. 7-8. C-106/77, nella cui massima è dato leggere “(2) L’applicabilità diretta del diritto dell’Unione significa che le sue norme devono esplicare pienamente i loro effetti, in maniera uniforme in tutti gli Stati membri, a partire dalla loro entrata in vigore e per tutta la durata della loro validità. Le disposizioni direttamente applicabili sono una fonte immediata di diritti e di obblighi per tutti coloro ch’esse riguardano, siano questi gli Stati membri ovvero i singoli, soggetti di rapporti giuridici disciplinati dal diritto dell’Unione. Questo effetto riguarda anche tutti i giudici che, aditi nell’ambito della loro competenza, hanno il compito, in quanto organi di uno stato membro, di tutelare i diritti attribuiti ai singoli dal diritto dell’Unione. (3). In forza del principio della preminenza del diritto dell’Unione, le disposizioni del trattato e gli atti delle istituzioni, qualora siano direttamente applicabili, hanno l’effetto, nei loro rapporti col diritto interno degli Stati membri, non solo di rendere ‘ipso jure’ inapplicabile, per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale preesistente, ma anche - in quanto dette disposizioni e detti atti fanno parte integrante, con rango superiore rispetto alle norme interne, dell’ordinamento giuridico vigente nel territorio dei singoli Stati membri - di impedire la valida formazione di nuovi atti legislativi nazionali, nella misura in cui questi fossero incompatibili con norme comunitarie … (4) Il giudice nazionale , incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le disposizioni di diritto comunitario, ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale”. Nello stesso filone giurisprudenziale, si deve anche richiamare la sentenza (F.lli Costanzo, del 22 giugno 1989, C-103/88) che impone anche alle pubbliche amministrazioni, con riferimento ad una direttiva auto-applicativa, la diretta applicabilità del diritto dell’Unione con la conseguente disapplicazione delle norme nazionali contrastanti. “(2). In tutti i casi in cui talune disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, tanto se questo non abbia trasposto tempestivamente la direttiva nel diritto nazionale, quanto se l' abbia trasposta in modo inadeguato. Qualora sussistano i presupposti occorrenti perché la direttiva possa essere fatta valere dai singoli dinanzi ai giudici nazionali, tutti gli organi della pubblica amministrazione, ivi compresi gli enti territoriali, come i comuni, sono tenuti ad applicare la direttiva stessa”. 133 Cfr. S. Panunzio, I diritti fondamentali e le Corti in Europa, Napoli, 2005. 134 Cfr. A. Celotto, “La Corte costituzionale finalmente applica … 135 Corte cost., sent. n. 405 del 2005. 136 Ult. op. cit. 137 Corte di cassazione, 10 dicembre 2002, n. 17564. 132 28 quando si rifletta sugli effetti legittimanti sul sistema delle fonti e pertanto sulla primazìa del diritto dell’Unione su quello interno derivanti, nell’ordinamento positivo, dall’art. 11 Cost. e pienamente riconosciuti da una giurisprudenza costituzionale e dell’Unione senza eccezioni di rilievo. In tale ottica, ne dovrebbe logicamente conseguire che la questione dei rapporti fra gli ordinamenti deve continuare a leggersi nell’ottica dell’invalidità della legge interna, quando la stessa si ponga in contrasto con i princìpi e le disposizioni dell’Unione. Tale mancata conformità costituirebbe null’altro che un vizio di legittimità costituzionale ai sensi e per gli effetti dell’operatività del fondamento dell’art. 11 Cost. La mancata opzione da parte della Corte costituzionale di avvalersi del rinvio pregiudiziale può anche individuarsi all’origine di importanti questioni interpretative, con riferimento alla giurisprudenza recente di altre magistrature di vertice, volte ad assicurare nel loro giudicato le garanzie dei ‘controlimiti’. Si tratta, in particolare, di una recente pronuncia del Consiglio di Stato138, particolarmente importante per più ragioni: la prima, perché il Supremo giudice amministrativo si è pronunciato a valle di una sentenza additiva della Corte costituzionale139 che, effettivamente, invocava il parametro di cui all’art. 3 e all’art. 32 (dunque a protezione del diritto fondamentale alla salute) per censurare la legge oggetto di ricorso costituzionale asseritamente ritenuta in violazione delle richiamate disposizioni costituzionali (l. n. 362/91); la seconda, in ragione della mancata disapplicazione della norma interna censurata di contrasto con il diritto dell’Unione, in ragione della considerazione secondo cui non si sarebbe trattato di una disciplina dell’Unione direttamente applicabile, ma solo di un contrasto della legge nazionale con i principi generali del diritto dell’Unione (in materia di non discriminazione sulla base nella nazionalità, ex art. 12 T.C.E.)140. In altri termini, il Consiglio di Stato omette, d’emblée, di far valere quella risalente giurisprudenza che impone al giudice nazionale (come anche agli organi competenti a dare attuazione al diritto e alla giurisprudenza dell’Unione) di risolvere le antinomie interpretative sulla base di una “interpretazione conforme al diritto comunitario”141, di cui fa parte organica non solo il diritto primario ma la stessa giurisprudenza della C.G.U.E., come questa ultima ha sempre confermato, a partire dai casi CILFIT142, Sanz de Laera143, Ospelt144, Reyners145, Commissione/Francia146 in poi. E in più il Supremo giudice amministrativo si rifiuta, al contempo, di promuovere il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, in quanto, appunto, “la matrice costituzionale” della disposizione interna, per come risultante a seguito della sentenza interpretativa di accoglimento, trova la propria ratio nel quadro della giurisprudenza costituzionale in materia di ‘controlimiti’. Come si può osservare, siamo qui in presenza di una concreta operatività della teoria dei ‘controlimiti’ nello stesso ambito giurisprudenziale (ordinario e) amministrativo, espressione forse di quel “rigurgito” nazionale nei confronti del processo d’integrazione europea seguito ai due referendum contro la ratifica del Trattato costituzionale, di cui si è già detto in precedenza. Tuttavia, rimane confermato come una simile giurisprudenza, salvo per quanto si è già osservato, appare poco o approssimativamente motivata con riferimento al parametro della Carta di Nizza, 138 Consiglio di Stato, Sez. V, sent. n. 4207/2005. Corte cost., n. 275/2003. 140 È ragionevole chiedersi se alla luce di tale evoluzione giurisprudenziale dell’Unione, regga ancora la giurisprudenza dualistica del Giudice delle leggi nazionali, per come affermata nella richiamata sentenza Granital. Al momento la Corte costituzionale (ord. 165/2004) pare orientata nel senso dell’approfondimento della questione, atteso la sua decisione processuale di rinviare a nuovo ruolo le questioni sollevate, “stante la sostanziale coincidenza fra il quesito di costituzionalità, attinente all’asserito contrasto delle norme impugnate con il diritto comunitario, e quello che costituisce oggetto delle… cause” instaurate di fronte alla Corte di giustizia”. È ragionevole interrogarsi, come è stato già fatto, se non si tratti di un precedente che “prelude ad un revirement della giurisprudenza costituzionale, fino ad ora saldissima nell’escludere che la Consulta possa operare quale giudice di rinvio, ai sensi dell’art. 234 Tr. CE”. Per una prima analisi di tale evoluzione cfr. A. Borzì, “Interpretazione autentica, disapplicazione e giudizio di costituzionalità in una vicenda di contrasto tra diritto interno e ordinamento comunitario. A propositivo della sentenza della Corte di Giustizia, 11 novembre 2004, Causa C-457/02, Niselli”, in http://www.federalismi.it (n. 12/2005). Una recente sentenza può parimenti richiamasi in tema di rapporti fra diritto interno e decisioni quadro, adottate nell’ambito del terzo pilastro dell’UE; si tratta del noto caso Pupino (C-105/03), sul quale cfr. due primi commenti a caldo di R. Calvano, “Il caso Pupino: ovvero dell’alterazione per via giudiziaria dei rapporti tra diritto interno (processuale penale), diritto Ue e diritto comunitario”, in http://www.associazionedeicstituzionalisti.it (13 febbraio 2006). La questione appare di particolare interesse sotto il profilo affrontato in questo saggio, in ragione della considerazione secondo cui la Corte di Giustizia, in una decisione interpretativa sollevata su rinvio pregiudiziale di un Tribunale (Firenze), adotta una lettura che si pone in evidente contrasto con principi garantistici dell’ordinamento processuale penale italiano. La questione formale, come è noto, si poneva con riferimento all’obbligo di interpretazione del diritto interno in modo conforme alle decisioni quadro previste dall’art. 34.2.b del T.U.E., allorché, expressis verbis, il T.U.E. prevede che tali decisioni quadro non abbiano efficacia diretta, bensì la sola obbligazione di risultato. La Corte di Giustizia, con orientamento pretorio, ha assunto che anche nei confronti di tali decisioni quadro deve riconoscersi il principio della interpretazione conforme, già accolto nel caso Marleasing (C-106/89), benché aggiunga che tale interpretazione dovrà comunque effettuarsi nel rispetto dei principi dell’ordinamento nazionale e pertanto non potrà giustificarsi una interpretazione contra legem”. Un nuovo tassello viene in tal modo aggiunto al processo d’integrazione europea per via giurisprudenziale. Come bene è stato già sottolineato, infatti, la Corte di Giustizia non si limita a motivazioni di carattere giuridico ma si estende agli stessi obiettivi dell’U.E., pur in una fase di evidenti difficoltà. 141 C.G.C.E., sent. Marleasing, causa C-106/89. 142 C.G.C.E., causa C-283/81. 143 C.G.C.E., C-163/94. 144 C.G.C.E., C-451/01. 145 C.G.C.E., C-2/74. 146 C.G.C.E., C-270/83. 139 29 perfino richiamata, impropriamente, come Trattato di Nizza 147. Ma rimane parimenti confermato che tale indirizzo ‘resistenziale’, in ragione del richiamato rifiuto ad avvalersi del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, ha finito con l’allontanarsi dallo stesso orientamento del Giudice di Lussemburgo che, dal caso ERT148 in poi, appare ben rendersi conto delle ragioni opposte dagli ordinamenti interni in sede di ‘controlimiti’, affermando che i diritti fondamentali europei rientrano fra quei principi generali dell’Unione di cui la stessa si prefigge di assicurarne la garanzia sulla base delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e che, in tale ottica, “non può essere legittima nessuna misura incompatibile con i diritti fondamentali riconosciuti e tutelati nelle costituzioni di detti stati”149. Se la tematica dei rapporti fra l’ordinamento dell’Unione e quello interno è stata fin qui analizzata alla luce della giurisprudenza costituzionale sui cd. ‘controlimiti’, occorre ora rivolgere l’attenzione all’altro versante, quello della giurisprudenza e del diritto derivato dell’Unione, che pure si sono già richiamati in precedenza, ma su cui conviene ora ritornare per una disamina meglio approfondita. Non prima, tuttavia, di aver ricordato come il modo di procedere delle istituzioni dell’Unione muovano, di recente, nell’ottica di un’evidente forzatura del rapporto di integrazione fra i due ordinamenti (come bene è stato osservato, in proposito150, con riferimento a un discutibile regolamento dell’Unione, in materia di divieto da parte delle giurisdizioni nazionali di adottare decisioni in contrasto con la decisione adottata dalla Commissione151, in materia di aiuti di Stato). Una normativa dell’Unione – quest’ultima – che, pur apparendo in continuità con un indirizzo risalente del Giudice di Lussemburgo152 e pur essendo confermata dal nostro Giudice di legittimità153, relativamente alla insindacabilità da parte dello stesso giudice nazionale della illegittimità di aiuti dello Stato accertati dalla Commissione (ai sensi dell’art. 88 §2 del TCE) – solleva molto più di un dubbio quanto alla ‘limitazione’ del singolo giudice nel potere/dovere di valutare, nel caso concreto, la conformità al diritto dell’Unione della disposizione nazionale di merito; ciò tanto più quando si rifletta sulla dubbia efficacia diretta e prevalente delle decisioni della Commissione. A buona ragione, quei ‘controlimiti’ che pure erano stati ritenuti nulla più che “una tigre di carta”, così, ritrovano un nuovo spazio, dimostrandosi tutt’altro che “velleitari” o “inutili”154. 7. Primauté dell’Unione Europea e identità costituzionali nazionali (secondo gli artt. 5 e 6 dei nuovi trattati) Argomenti nuovi e importanti per tale nuova apertura di orizzonti venivano dalle disposizioni di cui agli artt. I-5 e I-6 del (non ratificato) Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, letti anche nella loro successione, ove nella prima disposizione si sanciva come “L’Unione rispetta l’uguaglianza degli Stati membri davanti alla Costituzione e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale”, mentre nella seconda che “La Costituzione e il diritto adottato dalle istituzioni della Unione nell’esercizio delle competenze a questa attribuite prevalgono sul diritto degli Stati membri”. Due disposizioni – queste ultime – che, nel testo del Trattato costituzionale non ratificato, riepilogavano e sancivano i rapporti fra i due ordinamenti, portando ad assumere come, nella dinamica dei rapporti fra primauté del diritto dell’Unione e controlimiti, oggi non potesse più cogliersi una tensione oppositiva quanto piuttosto una necessaria coesistenza (diremmo “mite”, richiamando non invano Gustavo Zagrebelsky155). Il quadro normativo è tuttora significativamente innovato con i nuovi trattati, seguendo, come si è già ricordato in precedenza, la tecnica della modifica e non quella della loro sostituzione in toto. In tal modo, il Trattato sull’U.E., benché modificato in molte delle sue disposizioni, ne conserva il nome, mentre il Trattato che 147 In una valutazione nettamente critica, cfr. A. Ruggeri, “Le pronunzie della Corte costituzionale come ‘controlimiti’ alle cessioni di sovranità a favore dell’ordinamento comunitario?, (A margine di Cons. St., sez. V, n. 4207 del 2005)”, in Forum di Quaderni costituzionali, 2005; O. Pollicino, “Il difficile riconoscimento delle implicazioni della supremazia del diritto europeo: una discutibile pronuncia del Consiglio di Stato”, in www.forumcostituzionale.it, 2005; di quest’ultimo autore cfr. anche “Principio di tolleranza costituzionale tra self restraint e judicial activism della Corte di Giustizia”, in Atti Ass. dir. pub. comp. ed eur. (Università di Teramo, 27-28 giugno 2003, R. Orrù – L. Sciannella (a cura di), Torino, 2004. 148 Cfr. sent. ERT, C-260/89, in Racc. I-1295. 149 Cfr. sent. ERT, C-260/89, in Racc. I-1295. 150 Cfr. N. Zanon, “Decisioni della Commissione europea, regolamenti comunitari e indipendenza funzionale del giudice italiano: se discutessimo un po’ di ‘controlimiti’”?, in www.forumcostituzionale.it.; A. Celotto, “Una nuova ottica dei ‘controlimiti nel T.C.E.?”, in www.forumcostituzionale.it. 151 Reg. CE 16.12.2002, n. 1/2003 152 C.G.C.E., C-249/85. 153 Cass. Civ., sez. trib., n. 17564/2002. 154 Cfr. M. Cartabia, “’Unità nella diversità’: il rapporto fra la Costituzione europea e le Costituzioni nazionali”, in Giornata di studio in ricordo al Alberto Predieri. Sul Trattato che istituisce una Costituzione per l’UE” (Firenze, 18 febbraio, 2005). 155 Per uno sviluppo di tale orientamento cfr. G. Zagrebelsky, “Le Corti costituzionali, le Costituzioni democratiche, l’interdipendenza e l’indivisibilità dei beni costituzionali”, Discorso pronunciato in Campidoglio per la celebrazione dei 50 anni di attività della Corte costituzionale (Roma, 22 aprile 2006). 30 istituisce la Comunità europea (Trattato di Roma) diviene ora il Trattato sul funzionamento dell’Unione. Quanto alle più significative modifiche apportate all’interno dei nuovi trattati, deve osservarsi come gli stessi, sulla base di un preciso mandato ricevuto in tal senso da parte del Consiglio europeo (di Bruxelles, 21/22 giugno 2007), si caratterizzino per il netto abbandono di ogni idea e di ogni simbologia costituzionale156. Ancorché la Carta dei diritti fondamentali non venga incorporata nei trattati, come avveniva nel caso del (non ratificato) Trattato costituzionale, si è già ricordato, inoltre, come venga assegnato alla stessa il medesimo valore giuridico riconosciuto ai trattati157. A tali più significative innovazioni vanno aggiunte quelle altre che assumono un significato maggiore nell’ottica della trattazione che stiamo ora svolgendo: innanzitutto le tavole dei valori ora sono richiamate nei preamboli e nei primi articoli; le disposizioni sugli inni e la bandiera sono soppresse. Nel sancire il rispetto da parte dell’U.E dell’eguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati nonché la loro identità nazionale (per come “insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali”), due disposizioni fondamentali del nuovo Trattato (artt. 4 e 5) disciplinano i rapporti fra le sovranità nazionali e l’U.E.: il principio di attribuzione (art. 5.2), il principio di sussidiarietà (art. 5.3), il principio di proporzionalità (art. 5.4). In questa ottica rileva la soppressione della disposizione contenuta nell’art. I-6 del Trattato costituzionale (non ratificato), destinato espressamente a far valere il principio della primazia dell’Unione sul diritto degli Stati membri. Il sistema costituzionale dell’Unione risultante dal conferimento alla Carta dei diritti fondamentali “dello stesso valore giuridico dei trattati” (art. 6.1), ancorché non sembra poter conferire a questa Carta lo stesso valore (almeno simbolico) di un Bill of rights, fa, in ogni caso, evolvere tale ordinamento rispetto alle missioni originarie, vedendo ora incluse fra i suoi compiti quello di garantire i diritti fondamentali, in unum con le persistenti garanzie da assicurare al mercato comune europeo. La sovranità nazionale e con essa le garanzie apprestate a tutela dei diritti fondamentali non deve poter consentire valutazioni preoccupate circa il processo ulteriore d’integrazione, dal momento che il singolo soggetto si vede garantito, in una logica multilevel, che assegna alle istituzioni europee e soprattutto al Giudice di Lussemburgo il compito di assicurare la massima garanzia a tali diritti, in unum con il vincolo all’interpretazione nel senso più favorevole ai diritti dell’uomo e alle libertà fondamentali, ora positivizzato con forza giuridica all’art. 53 della Carta dei diritti fondamentali. Gli stessi giudici nazionali, sia costituzionali che ordinari, disporranno ora di un nuovo parametro al fine di procedere alla disapplicazione della norma dell’Unione in favore di quella costituzionale nazionale ritenuta più favorevole, “in un’applicazione pro individuo dello standard di tutela comunitario o nazionale che sia”158. Tutto al contrario di assumere una natura “velleitaria”, come pure taluno aveva argomentato, dunque, alla luce dei nuovi trattati (di Lisbona), i ‘controlimiti’ della Corte costituzionale ritrovano un nuovo e più ampio orizzonte, dinamizzato dalla nuova ottica dell’integrazione europea, ora arricchita da una Carta dei diritti idonea, molto più di quanto non lo fosse la primitiva giurisprudenza comunitaria, a farsi garante di un ulteriore livello di garanzia dei diritti, in unum con gli standard più elevati (art. 53 Carta) agli stessi riconosciuti sia dalle Costituzioni nazionali sia dalle Carte internazionali e soprattutto dalla C.E.D.U. Il nuovo diritto dell’Unione (benché in forme meno esplicite di quelle previste negli artt. I-5, I-6, II-111 e II-113 del Trattato costituzionale, non ratificato), in tale ottica, consentirebbe tre principali conclusioni. Innanzitutto, il principio che dovrà guidare l’interprete dell’indagine relativa ai rapporti fra (nuovi) trattati e Costituzioni nazionali rimane quello della “suddivisione dei rispettivi 156 A tal fine, il Consiglio europeo di Bruxelles (21 e 22 giugno 2007) conferiva un mandato chiaro e ben delimitato alla CIG, la quale, nel predisporre lo schema del nuovo Trattato, avrebbe dovuto pienamente conformarvisi: “Il T.U.E. e il trattato sul funzionamento dell’Unione non avranno carattere costituzionale. La terminologia utilizzata in tutto il testo dei trattati rispecchierà tale cambiamento: il termine “Costituzione” non sarà utilizzato, il “Ministro degli affari esteri dell’Unione” sarà denominato Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e i termini “legge” e “legge quadro” saranno abbandonati mentre i termini attuali “regolamenti”, “direttive” e “decisioni” saranno mantenuti. Parimenti, i trattati modificati non conterranno alcun articolo che faccia riferimento ai simboli dell’UE quali la bandiera, l’inno o il motto. Per quanto riguarda il primato del diritto dell’UE, la CIG adotterà una dichiarazione contenente un richiamo alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE” (Mandato della CIG – Allegato I – I.3). 157 Non si condivide, in tal senso (e invero non si comprende nemmeno la ratio che la supporta), quella lettura fortemente svalorizzatrice della disposizione dei nuovi trattati (art. 6) con la quale si conferisce alla Carta dei diritti fondamentali lo stesso valore giuridico dei trattati. Secondo questo non convincente orientamento, infatti (L. Patruno, “Addio ‘Costituzione’ europea? I nomi: Trattato, Costituzione; la cosa: il diritto europeo”, in http://www.costituzionalismo.it (2007)): “Quasi nulla, invece, sembrerebbe la portata della carta dei diritti di Nizza del 2000. Essa costituisce un corpo separato dai Trattati e, nella determinazione del Consiglio europeo, dovrebbe vedersi riconosciuto solo un riferimento incrociato (cross reference) nell’ambito dell’articolo sui diritti fondamentali. E, forse, in questo caso, ancora di più occorrerebbe domandarsi che forza possa avere la proclamazione di una Carta dei diritti all’interno di un contesto ordinamentale (istituzionale, normativo, giurisprudenziale) stratificatosi attorno al riconoscimento di regole di convivenza prevalentemente tecno-economiche”. Diversa e ben più convincente risulta essere, al contrario, quella critica che invita a riflettere sui limiti in cui incorre la vera e propria “apologia dei diritti fondamentali” quando (e ove) risulti disancorata da un suo stretto raccordo con le esigenze pratiche del mercato (“costituzionalismo irenico”). In quest’ultima direzione cfr. M. Luciani, “Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico”, in http://www.associazioneeicostituzionalisti.it; cui adde anche C. Amirante, “European governance e costituzione europea: fra revisione tacita e ‘anestesia’ dei sistemi costituzionali degli Stati membri”, in S. Gambino e G. D’Ignazio (a cura di), La revisione costituzionale e i suoi limiti. Fra teoria costituzionale, diritto interno, esperienze straniere, Milano, 2007. 158 Cfr. A. Celotto, “Una nuova ottica dei ‘controlimiti … cit., p. 3. 31 ambiti di operatività in base ad un principio di competenza, rimanendo ciascun ordinamento fondato e orientato su una propria Carta costituzionale”159. Nell’ipotesi d’intreccio e sovrapposizione fra discipline dei diversi ordinamenti, i trattati godono di supremazia e prevalenza sulle Costituzioni nazionali. Tale supremazia, tuttavia, allorché tocca l’ambito dei principi e dei diritti fondamentali dei singoli ordinamenti costituzionali nazionali, lascia l’ultima parola alle Costituzioni nazionali e per esse ai relativi giudici costituzionali, in una sorta di “primato invertito”160. In questa ottica trova piena conferma quella convincente lettura che vede i ‘controlimiti’ non proporsi più come “un rigido muro di confine fra ordinamenti”, bensì come “il punto di snodo, la cerniera dei rapporti tra U.E. e Stati membri”, divenendo ormai gli stessi un elemento positivo e dinamico d’integrazione fra gli ordinamenti, rispetto a cui i giudici dei due sistemi potranno meglio e più proficuamente ricostruire quel necessario dialogo fra le Corti e quella circolazione di giurisprudenza che avrà il suo riscontro, in ogni caso, con riferimento al livello di protezione più elevato, di volta in volta al caso concreto, “in un’applicazione pro individuo dello standard di tutela comunitaria o nazionale che sia”161. 8. Verso il controllo diffuso della costituzionalità dell’Unione: alcune riflessioni conclusive Per richiamare ora (sia pure in modo essenziale) un tema centrale – quello della giurisdizione e della relativa effettività della tutela giudiziaria delle pretese giuridicamente riconosciute ai soggetti – può osservarsi che le recenti evoluzioni nel processo d’integrazione europea appaiono destinate a una valorizzazione ulteriore del sistema giurisdizionale, al cui interno potrà assistersi (in modo pressoché inevitabile) a un nuovo protagonismo sia della Corte di Giustizia che di quelli nazionali. Tale protagonismo potrà esprimersi sia nella fase ascendente, di adizione al Giudice di Lussemburgo da parte del giudice nazionale (ed auspicabilmente, come si è più volte sottolineato dello stesso Giudice costituzionale) attraverso lo strumento del ‘rinvio pregiudiziale’, che avrà nuove e più complesse disposizioni su cui esercitarsi, sia, e soprattutto, nella fase discendente, con riferimento cioè alla disapplicazione del diritto interno per contrasto con la normativa comunitaria, ora composta sia da disposizioni di garanzia dei diritti, sia da disposizioni che sanciscono princìpi162. Quanto alla disapplicazione del diritto interno per contrasto con la disciplina dell‘Unione in tema di diritti, in realtà, non sembrano sussistere dubbi di sorta; disponiamo, infatti, di una giurisprudenza ampiamente consolidata. Dalle sentenze Van Gend en Loos163 e Costa/Enel164 in poi, la prevalenza e la diretta applicabilità del diritto dell’Unione nell’ambito del diritto interno costituiscono princìpi pienamente riconosciuti e consolidati, ancorché non possa sottacersi l’almeno apparente ripensamento del Giudice delle leggi nella sentenza ICIC165. Rispetto alla questione relativa all’operatività dei regolamenti dell’Unione riguardati da leggi di recepimento (non previsti dai trattati) in contrasto con gli stessi, la Corte costituzionale, infatti, assume che il giudice ordinario non ha il potere di disapplicare le leggi contrastanti, potendo lo stesso solo sollevare la questione della loro legittimità costituzionale, per violazione dell’art. 11 Cost. Tale primauté risulterà pienamente confermata dalla giurisprudenza di Lussemburgo, ancorché ispirata a un prudente self restraint nella materia dei principi e dei diritti fondamentali nazionali. Si ricordino in merito l’importante considerando della sentenza Internationale Handelsgesellschaft166, la sentenza Tanja Kreil167, e più di recente la sentenza Omega168, in cui la tutela della dignità umana, in quanto valore fondamentale, è assunta come parametro per giustificare la restrizione a una delle libertà fondamentali (nella specie, il divieto di esercitare un’attività economica) sancite dai trattati. Rispetto alla questione sottoposta, se cioè il divieto di un’attività economica per motivi basati sulla protezione di valori fondamentali consacrati dalla Costituzione nazionale come, in questo caso, la dignità umana, sia compatibile con il diritto dell’Unione, la Corte di Giustizia non ha esitato ad assumere che “l’ordinamento giuridico comunitario ha, senza dubbio, il fine di garantire il rispetto della dignità umana come principio generale di 159 Cfr. M. Cartabia, in “Unità nella diversità: il rapporto fra la Costituzione europea e le costituzioni nazionali” (Relazione alla Giornata di studio in ricordo di Alberto Predieri, Firenze, 18 febbraio 2005). 160 Ult. op. cit. 161 Cfr. A. Celotto, “Una nuova ottica dei ‘controlimiti’ … cit., p. 3. 162 Fra gli altri, cfr. anche R. Alonso García, “Il giudice nazionale come giudice europeo”, in Quad. cost., 2005. 163 Sent. 5 febbraio 1963, causa 26/62, in Racc., 1963, p. 3. 164 Sent. 15 luglio 1964, causa 6/64, in Racc., 1964, p. 1160. 165 Corte cost., sent. 30 ottobre 1975, n. 232. 166 C.G.C.E., sent. 17 dicembre 1970, C-11/70, § 3. 167 C.G.C.E., sent. 11 gennaio 2000, C-285/98. 168 C.G.C.E., sent. 14 ottobre 2004, C-36/02 Omega Spielhallen. 32 diritto. Pertanto, è indubbio che l’obiettivo di proteggere la dignità umana è compatibile con il diritto comunitario, essendo irrilevante a questo riguardo che, in Germania, il principio del rispetto della dignità umana gode di un regime particolare come diritto fondamentale autonomo” e, pertanto, “da un lato, il divieto di sfruttamento commerciale di giochi che comportano la simulazione di atti di violenza contro persone, in particolare la rappresentazione di omicidi, corrisponde al livello di tutela della dignità umana che la Costituzione nazionale intende assicurare sul territorio della Repubblica federale di Germania. Dall’altro, si deve constatare che, vietando unicamente la variante del gioco laser finalizzata a colpire bersagli umani e dunque a “giocare ad uccidere”, il provvedimento controverso non ha ecceduto quanto necessario per conseguire l’obiettivo perseguito dalle autorità nazionali competenti”169. A questa deve anche aggiungersi la sentenza Kobler170, nella quale viene sancito il principio “secondo cui gli Stati membri sono obbligati a riparare i danni recati ai singoli dalle violazioni del diritto dell’Unione che sono loro imputabili … anche allorché la violazione deriva dal contenuto di una decisione di un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado”. Tuttavia, ora, tali principi si fondono su nuovi e ben più densi parametri di costituzionalità europea – quelli dei diritti (da rispettare) e dei princìpi (da osservare e promuovere) –; ben più significativo sarà, di conseguenza, il ruolo cui è ora chiamato il giudice nazionale sia nella fase ascendente che in quella discendente. Un quesito, tuttavia, s’impone. Quid iuris con riferimento all’esercizio delle funzioni giurisdizionali del giudice nazionale in presenza di princìpi fondamentali dell’Unione? La risposta maggiormente plausibile all’interrogativo, rispetto al diritto vigente (art. 52 Carta dei diritti fondamentali), porta a ritenere tanto che gli stessi possano costituire materia opportuna di ‘rinvio pregiudiziale’, quanto che possano costituire valido parametro ai fini dell’interpretazione degli atti sottoposti alla sua cognizione (‘interpretazione conforme al diritto dell’Unione). È appunto in tale ambito che si dischiudono significative questioni poste dall’intersezione fra la disciplina europea in tema di diritti e di princìpi fondamentali (si pensi, fra le tante, alla materia del bio-diritto o a quella della famiglia) e quella costituzionale di ogni singolo Paese membro dell’U.E., di norma garantita dal principio della rigidità costituzionale e da quello connesso di controllo giurisdizionale della costituzionalità delle leggi. Da una parte, così, ritroviamo la Corte di Giustizia costituita (art. 9 F, nuovo Trattato) a presidio del rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati, dall’altra, gli Stati membri chiamati a stabilire i rimedi per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione europea. Sempre nell’ambito delle cosiddette ‘clausole orizzontali’ ritroviamo sancito, parimenti, che i trattati tengono conto delle legislazioni e delle prassi nazionali. Risolutiva della questione ora in considerazione appare, infine, la disposizione della Carta dei diritti fondamentali relativa al “livello di protezione” dei diritti (art. 53), secondo cui nessuna disposizione della Carta medesima può essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, oltre che dal diritto dell‘Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l’U.E. o tutti gli Stati membri sono parti, in particolare la C.E.D.U, e dalle Costituzioni nazionali (art. 54 Carta dei diritti fondamentali). Nulla quaestio, pertanto, circa l’individuazione della portata e del livello di protezione dei diritti fondamentali europei. Questi ultimi sono da individuare e da proteggere secondo lo standard più elevato e con preferenza delle garanzie costituzionali assicurate da ogni singolo Paese membro dell’Unione europea, e naturalmente con preferenza del parametro dell’Unione in presenza di c.d. diritti nuovi. L’espansione del ruolo del giudice ordinario, pertanto, pare trovare un suo spazio particolare negli interstizi di questi due ordinamenti giuridici. Ogni volta che la norma da utilizzarsi per la risoluzione della singola controversia sia da valutare con riferimento al sospetto di una sua incostituzionalità, la procedura è quella del ricorso alla Corte costituzionale la quale, in tal caso – e nell’auspicio di un superamento del suo attuale orientamento giurisprudenziale in riferimento ai casi di “doppia pregiudizialità comunitaria e costituzionale”171 – dovrebbe entrare nel merito della questione sottopostale a prescindere dalla questione se la norma dell’Unione sia o meno priva di effetti diretti. Tuttavia, se la stessa norma da utilizzarsi come parametro non ricade espressamente nei parametri costituzionali e nella giurisprudenza costituzionale già disponibile – nonché nell’interpretazione conforme alla Costituzione medesima – pare aprirsi più di un varco a questo stesso giudice di adire la Corte di Giustizia, o mediante il rinvio pregiudiziale o mediante la risoluzione della controversia con un’interpretazione conforme alle disposizioni dei trattati. L’orizzonte che si apre, come si può cogliere, appare indubbiamente nuovo; è l’orizzonte di un controllo diffuso della costituzionalità a livello dell’Unione. Possiamo, ora, trarre qualche considerazione conclusiva, anche richiamando la più autorevole dottrina 169 C.G.C.E., sent. 14 ottobre 2004, C-36/02 Omega Spielhallen. C.G.C.E., sent. 30 settembre 2003, C-224/01. 171 Cfr. M. Cartabia, “Considerazioni sulla posizione del giudice comune di fronte a casi di doppia pregiudizialità comunitaria e costituzionale”, in Foro it., 1997, V, 222 ss. 170 33 italiana che si è fin qui espressa in materia. La questione centrale da dipanare – con riferimento alla forza giuridica accordata alle disposizioni generali (Capo VII) della Carta – rimane quella del rapporto esistente fra la tutela europea dei diritti fondamentali, le altre disposizioni costituzionali europee e le ‘tradizioni costituzionali comuni’ agli Stati membri, nonché quella – strettamente connessa – se sia stato (o meno) previsto un controllo di costituzionalità dell’Unione sugli atti normativi ‘ordinari’. La risposta che può darsene è nel senso assertivo, e da ciò può trarsene la conclusione che tale controllo costituisce sintomo ed evidenziamento di un processo di costituzionalizzazione dell’Unione che, se non può ancora definirsi compiuto, indubbiamente si spinge fino ai ‘controlimiti’ opponibili dai livelli costituzionali nazionali di protezione costituzionale dei diritti e dei principi fondamentali. “Questo sembra il momento essenziale in cui nasce una vera Costituzione: finché non c’è nessun giudice che può utilizzare la Costituzione per contestare la legalità di un altro atto, anche legislativo, il documento rimane una mera enunciazione politica; si trasforma in un documento giuridico quando questo controllo è possibile”172. Pertanto, che si dia una competenza (di giurisdizione costituzionale europea) in capo alla Corte di Giustizia pare problema non più revocabile in dubbio. Che tale competenza confonda in una sola giurisdizione competenze di merito (a risolvere la causa) e competenze di legittimità (degli atti dell’Unione rispetto al relativo diritto) è parimenti indubitabile. Ciò che costituisce, al momento, un problema aperto (e che potrà accompagnarsi con eventuali pronunce divergenti fra le diverse giurisdizioni in sede di applicazione del diritto dell’Unione e di quello convenzionale-C.E.D.U.) – più che l’incerta individuazione del contenuto dei singoli diritti (che pure è problema aperto) – è data da quello, risalente e ancora senza soluzione, del “rapporto fra le diverse enunciazioni degli stessi diritti e fra le diverse giurisdizioni sui diritti” e in particolare del rapporto fra Giudice comunitario, Corti costituzionali nazionali e Corte europea dei diritti dell’uomo173. Rispetto a tali problematiche, in dottrina174, si sottolinea opportunamente la problematicità delle soluzioni di riforma accolte nei trattati al fine di garantire l’effettiva tutela dei diritti (incorporati nel trattato medesimo mediante la tecnica del riconoscimento alla Carta dello stesso valore giuridico dei trattati) nell’ambito dello spazio giuridico europeo. La Corte di Lussemburgo sarebbe inevitabilmente chiamata a svolgere il delicato compito di garantire i contenuti normativi della Carta dei diritti, che ora diviene pleno jure diritto dell’U.E.; né appare proponibile (o auspicabile) l’attribuzione di tale incombenza alla Corte di Strasburgo, ovvero, ancora, a una Corte istituita ad hoc, una sorte di ‘Corte europea bis’, come pure era stato autorevolmente suggerito. Molteplici elementi osterebbero all’efficace svolgimento di tale compito cui le nuove disposizioni dei trattati non aggiungerebbero nessuna reale garanzia di miglioramento. D’altra parte, i giudici nazionali, chiamati a fare riferimento alle disposizioni dei (nuovi) trattati in tema di diritti fondamentali nell’ambito di applicazione del diritto dell’U.E., non avrebbero competenza per sottoporre al controllo di tutela dei diritti gli atti dell’Unione secondo quanto si è già osservato; le Corti nazionali non potrebbero, quindi, che limitarsi al controllo dell’attività degli organi degli Stati membri, in unum con le classiche funzioni di sindacato della legittimità costituzionale delle leggi e degli atti con forza di legge. In verità, non è mancato chi, autorevolmente, si è chiesto se il nuovo ordinamento dei diritti fondamentali a livello di Unione Europea non autorizzi gli stessi giudici nazionali, in un controllo che diverrebbe così di costituzionalità diffusa, alla disapplicazione del diritto nazionale in contrasto con quello dell‘Unione nell’ambito della stessa materia dei diritti fondamentali175. Negli ordinamenti europei, si dischiude, in tal modo, una inedita via a forme di controllo diffuso della costituzionalità delle leggi a livello di Unione, “che certamente riceverà un incremento, mano a mano che i magistrati e gli avvocati dei vari Paesi realizzeranno una piena maturazione culturale che li porterà a utilizzare meglio queste tecniche fino ad ora poco conosciute”176. Tale prospettiva, in Italia, – come osserva Pizzorusso – è stata recentemente rafforzata, tra l’altro, dalla modifica dell’art. 117 della Costituzione “che ha introdotto un primo comma che sembra possa consentire sviluppi di questo tipo, per quanto la giurisprudenza non si sia ancora pronunciata in proposito. Quando le disposizioni del Trattato … entreranno in vigore, inclusa la Carta dei diritti, queste opportunità probabilmente cresceranno e la prospettiva di sviluppo della giurisdizione costituzionale diffusa potrà probabilmente avere ragione anche 172 Così ha già autorevolmente osservato V. Onida, “Il problema della giurisdizione”, in AA.VV. (a cura di E. Paciotti), La Costituzione europea. Luci e ombre, Roma, 2003. 173 Sulla natura “praticamente velleitaria” del tentativo di pervenire per via ermeneutica a qualsiasi razionalizzazione dei rapporti in essere fra le diverse Corti europee cfr., da ultimo, A. Spadaro, “Una (sola) Corte per l’Europa”, in AA.VV. (a cura di P. Falzea, A. Spadaro, L. Ventura), La Corte costituzionale e le Corti d’Europa, Torino, 2003; L. Favoreu, “Corti costituzionali nazionali e Corte europea dei diritti dell’uomo”, in Riv. Dir. Cost., 2004. 174 Cfr. L. Favoreu, “I garanti dei diritti fondamentali europei, in G. Zagrebelsky (a cura di), Diritti e Costituzione nell’Unione Europea, RomaBari, 2003. 175 Cfr. A. Pizzorusso, “Una Costituzione ‘ottriata’”, in AA.VV (a cura di E. Paciotti), La Costituzione europea … cit.; V. Onida, “Il problema della giurisdizione”, in AA.VV (a cura di E. Paciotti), La Costituzione europea … cit. 176 Cfr. A. Pizzorusso, “Una Costituzione ‘ottriata’” … cit. 34 della modificazione apportata all’art. 52 della ‘Carta’, di cui si è detto sopra. Per non dire che, se per avventura tale disposizione funzionasse nel senso di escludere la possibilità di utilizzare le norme della ‘Carta’, in loro vece ben potrebbero essere utilizzate moltissime altre norme di carattere internazionale di analogo contenuto che sono comunque in vigore anche negli ordinamenti statali. Ci sono ormai decine di testi internazionali che, in un modo o in un altro, sono stati recepiti nel diritto interno di molti Stati e ciò fa sì che il mondo del diritto sia ormai quasi sempre permeabile a questo tipo di esigenze, per cui le idee che si sono concretizzate in un modo o nell’altro in questi testi hanno grandi possibilità di trovare attuazione soprattutto nella misura in cui esiste una maturazione culturale degli operatori che rende tutto questo possibile (insieme ovviamente con tutte le altre circostanze che si possono presentare nel corso della storia dei singoli Paesi)”177. Tali autorevoli orientamenti della dottrina costituzionale nel senso di un’apertura al nuovo quadro normativo dell‘Unione – che resta incerto e ambiguo per quanto concerne il tema della effettività della protezione giurisdizionale dei diritti e, a tal fine, della precaria definizione del sistema dei raccordi giurisdizionali (nazionale/comunitario/convenzionale) – pertanto, non fanno che sottolineare, sia pure in modo implicito, il persistente deficit regolativo in tema di verifica degli atti dell’Unione e d’insufficienza delle vie di ricorso disponibili per far valere i diritti fondamentali178. Dopo le incertezze sul punto del TCE, anche i nuovi trattati non hanno compiuto grandi passi in avanti sotto questo profilo. Tali considerazioni riportano, ancora una volta, alla questione della necessità di una positivizzazione di adeguate tutele giurisdizionali dei diritti fondamentali dell‘Unione, la garanzia dei quali non può che chiamare in causa il livello della Costituzione e pertanto di forme adeguate di legittimazione politica del diritto dei trattati179. Si ribadisce, in conclusione, come parlare di diritti e di Costituzione nell’ambito dell’Unione europea voglia dire porsi degli interrogativi sulla natura stessa dell’integrazione europea, superando l’approccio funzionalista che l’ha caratterizzata fin dalle origini per ridefinirne le fonti di legittimazione e i valori fondanti (rispettando ed esprimendo realmente le tradizioni costituzionali comuni degli Stati). 177 Ult. op. cit. Nell’ampia bibliografia cfr., di recente, U. Villani, “Principi democratici e diritti fondamentali nella ‘Costituzione europea’”, in La Comunità internazionale, 2005, n. 4; A. Tizzano, “I ‘diritti fondamentali e le Corti in Europa’”, in Il dir. dell’UE, 2005, n. 4. 179 Cfr. anche i nostri “Integrazione comunitaria e legittimazione costituzionale”, in Scritti onore di G. Floridia (in corso di pubblicazione), nonché (a cura di), Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, costituzioni nazionali e diritti fondamentali, Milano, 2006. 178 35