MULTILEVEL CONSTITUTIONALISM E DIRITTI FONDAMENTALI
di Silvio Gambino
Università degli Studi della Calabria
Sommario: 1. Crisi dello Stato sociale, dello Stato-Nazione, dello Stato dei partiti e del costituzionalismo contemporaneo; lenta affermazione del
costituzionalismo europeo. Alcune premesse introduttive – 2. I diritti sociali fra ordinamento costituzionale e Unione europea – 3. Diritti
fondamentali (civili e sociali) e riforme costituzionali in Italia – 4. La protezione multilevel dei diritti fondamentali (fra Costituzione, trattati della
U.E. e giurisdizioni) – 4.1. Diritto costituzionale e ordinamenti sovranazionali: princìpi supremi e diritti fondamentali costituzionali come limiti
all’integrazione con altri ordinamenti – 4.2. Quale primazìa del diritto comunitario rispetto ai princìpi e ai diritti costituzionali? – 5. La costituzione
giurisdizionale dell’Unione europea nella materia dei diritti fondamentali – 6. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo: il
parametro della “protezione equivalente” – 7. Primauté comunitaria e identità costituzionali nazionali (secondo gli artt. 5 e 6 dei nuovi trattati) – 8.
Verso il controllo diffuso della costituzionalità comunitaria: alcune riflessioni conclusive.
1. Crisi dello Stato sociale, dello Stato-Nazione, dello Stato dei partiti e del costituzionalismo
contemporaneo; lenta affermazione del costituzionalismo europeo. Alcune premesse introduttive.
Nel più ampio dibattito della dottrina costituzionale ed europea, in corso da più di un decennio, la
riflessione che segue mira ad approfondire le complesse tematiche poste dalla positivizzazione e dalla tutela
giurisdizionale dei diritti fondamentali, soprattutto nei termini della previsione di forme e tecniche di
protezione ulteriori (comunitarie e convenzionali) rispetto a quelle nazionali. Tale quadro coinvolge le stesse
complesse problematiche poste dalle nuove prospettive costituzionali aperte dalla riforma del regionalismo
italiano nonché dal contrastato (ma parimenti crescente) sviluppo del processo d’integrazione europea.
Benché, in tale processo, siano state respinte, di recente, le più ardite prospettazioni costituzionali aperte dal
‘Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa’1, le più recenti ipotesi accolte nella riforma dei
trattati2 ne ripercorrono comunque la sostanza con il riconoscimento alla Carta dei diritti fondamentali3 dello
stesso valore giuridico dei trattati dell’Unione. L’art. 6 del Trattato che modifica il Trattato sull’Unione
Europea, infatti, estende lo stesso valore giuridico dei trattati alla Carta dei diritti fondamentali dell’U.E.,
stabilendo che l’interpretazione da accogliersi con riferimento ai diritti, alle libertà e ai principi della Carta
debba essere la stessa che viene fissata nelle “Disposizioni generali” del relativo Titolo VII. I nuovi trattati,
inoltre, statuiscono l’adesione dell’U.E. alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali (C.E.D.U.), prevedendo, in ogni caso, che tale adesione non comporti modifiche
nelle competenze dell’Unione (per come definite nei trattati). Si prevede, infine, che la protezione dei diritti
fondamentali, per come garantiti dalla C.E.D.U. e per come risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni
agli Stati membri, all’interno del diritto dell’Unione, è quello proprio dei principi generali4.
Si può legittimamente discettare circa la natura di Bill of rights per l’Unione Europea di una simile scelta
operata dai (nuovi) trattati, ma non si può non prendere atto che – fatta eccezione per le limitazioni imposte
dai protocolli aggiuntivi per il Regno Unito e per la Polonia – si pone fine, in tal modo, a una situazione
d’incertezza circa la natura giuridica della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E., che si era protratta per un
tempo indubbiamente eccessivo. Un tempo – quest’ultimo – come si ricorderà e come abbiamo altrove
sottolineato5 – che, anche in ragione di ciò, aveva legittimato quelle innovative letture giurisprudenziali che,
pur a fronte della natura di documento politico della Carta, l’accoglievano come parametro nella tutela dei
diritti fondamentali, ancorché in unum con altri parametri di protezione.
I profili riguardati dalla prospettiva prescelta per la presente analisi riguardano, così, tanto le tematiche
dell’evoluzione (del contenuto) dei diritti dalla fase liberal-democratica (originaria) a quella socialdemocratica (contemporanea), quanto (e soprattutto) le questioni del coordinamento delle tutele accordate
dai diversi livelli istituzionali nei quali va da tempo articolandosi il costituzionalismo contemporaneo, il c.d
constitutionalism multilevel6. In modo pressoché obbligato rispetto al tema assegnato, l’analisi riguarderà le
Cfr. S. Gambino (a cura di), Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, Costituzioni nazionali e diritti fondamentali, Milano, 2006.
Per come i previgenti trattati sono ora denominati, ai sensi dell’art. 1.2.b del Trattato che modifica il Trattato sull’Unione europea e del Trattato
che istituisce la Comunità europea, firmati a Lisbona il 13 dicembre 2007. Per una prima bibliografia sui nuovi trattati cfr. J. Ziller, Il nuovo Trattato
europeo, Bologna, 2007.
3
proclamata a Nizza (il 7 dicembre 2000) e riproclamata solennemente (il 12 dicembre 2007) nella sede del Parlamento europeo a Strasburgo.
4
Fra gli altri, cfr. anche il nostro, “Le sfide dell’Unione Europea: l’integrazione attraverso i diritti”, in D. Infante (a cura di), Crescita e
prospettive dell’Unione Europea allargata, Bologna, 2006.
5
Cfr. il nostro “I diritti fondamentali comunitari fra trattato costituzionale e costituzioni nazionali”, in Studi Urbinati, 2006, n. 57,1.
6
Sul concetto, si veda: I. Pernice, “Multilevel Constitutionalism and the Treaty of Amsterdam: European Constitution – Making Revisited?”, in
Common Market Law Review, 1999, 36, p. 703 ss; I. Pernice, “L’Unione Costituzionale europea (Der Europäische Verfassungsverbund) nella
1
2
problematiche poste dalla evoluzione storico-costituzionale dei diritti nonché dai rapporti esistenti fra
riconoscimento di cataloghi di diritti e relativa protezione giurisdizionale. Rispetto a ognuna di tali
prospettive di analisi si cercherà di offrire una risposta all’interrogativo su chi sia il garante dei diritti
fondamentali (soprattutto di quelli sociali, di cui parleremo meglio in seguito) e quali problematiche pongano
tali garanzie rispetto al processo di integrazione europea (prima e dopo la Carta dei diritti fondamentali
dell’U.E.). L’analisi riguarderà, infine, le forme e i limiti dell’apertura della Unione e di quella
convenzionale, ponendo alcuni interrogativi relativi ai rapporti fra la giurisprudenza comunitaria e quella
interna in tema di primazia del diritto comunitario nella stessa materia dei diritti fondamentali e
interrogandosi in tale ambito sulla perdurante validità della dottrina e della giurisprudenza costituzionale in
tema di ‘controlimiti’.
La complessa architettura del costituzionalismo contemporaneo alla quale si legano gran parte delle
presenti conquiste in termini di civiltà e di giustizia sociale nonché delle concrete aspettative in termini di
organizzazione dei poteri e di tutela dei diritti, agli inizi del nuovo millennio, sembra scomporsi e incrinarsi
sotto l’influsso di una moltitudine di forze e di tendenze che fanno vacillare quelle forme e quei modi di
essere dello Stato costituzionale apparsi mezzo secolo fa saldi e definitivi perchè appropriati a una
democrazia concepita come patrimonio di ciascuno e di tutti. Lo ‘Stato sociale’, lo ‘Stato sovrano’, lo ‘Stato
dei partiti’, forme storiche di questo Stato e di questa democrazia che coniuga libertà ed equità, pluralismo
sociale e pluralismo dei poteri, manifestano attualmente i segni della loro decadenza, coinvolgendo
inevitabilmente nel disfacimento quei principi e quei valori che rappresentano l’impalcatura di tutto il
costituzionalismo del Novecento e che solo in queste forme contemporanee della statualità riescono a trovare
il loro naturale quanto armonioso campo di espansione. La crisi dello Stato contemporaneo si rivela,
pertanto, profonda e complessa perchè variegata e poliedrica; una crisi di forme e di sostanza, di strumenti e
di obiettivi, di principi organizzativi non sempre rivedibili e di principi ispiratori inderogabili. Questa
discrasia tra mezzi e fini che corrode la schiusa architettura ideale del costituzionalismo democratico risulta
particolarmente evidente e intensa nel processo di destrutturazione del Welfare State, in atto ormai da più
tempo in presenza dei fenomeni economici e sociali connessi alla globalizzazione. La crisi dello Stato
sociale, infatti, non rappresenta solo il fallimento di un modello politico dell’economia che vanta il merito
storico di aver consentito l’equilibrio sociale in regime capitalistico. Tale crisi rappresenta anche
l’appannamento di uno Stato costituzionale che assume la dignità dell’uomo come suo punto di partenza
storico-culturale e che fissa una scala di valori dominanti come base di questa dignità e come linea direttrice
del proprio sviluppo funzionale. Con la crisi del sistema economico e del mercato del lavoro, così, lo Stato
sociale, speranza per molti, mezzo di sopravvivenza per tanti, privilegio per alcuni, rivela una sua
caratteristica molto importante: quella di una forma di Stato che proclama i diritti di tutti ma senza
assicurarne la effettività.
Se la crisi dello Stato sociale tende a destrutturare l’ampio e complesso sistema creato da un
costituzionalismo in cui la linearità della tradizione liberale si fonde con la complessità della democrazia
sociale, la crisi dello Stato-Nazione che a esso si accompagna sembra invece piegarlo dentro un ordine di
cose e di tendenze che sfuggono alle sue regole e alle sue determinazioni. Nell’era della globalizzazione in
cui il tutto domina sulle parti, l’universale sul particolare, tra nuovi luoghi e nuovi detentori del potere, si
disperde, infatti, quell’attributo essenziale della personalità politico-giuridica dello Stato che lo rende istanza
originaria, indipendente e suprema. La sovranità, grande sfida del secolo scorso, diventa, così, l’immenso
miraggio del nuovo millennio, la copertura rituale di uno Stato che, privo delle sue fondamenta, della sua
autorità, si trasforma in ‘non Stato’, in mero elemento costitutivo di una realtà in continua evoluzione.
Intaccata l’essenza stessa della statualità, questo vecchio sovrano ormai senza scettro si destruttura e si sfalda
avviandosi verso un lento e forse inesorabile declino, sollevando molti dubbi sulla sua capacità di riassorbire
la crisi. Questo processo erosivo del potere sovrano che scandisce la crisi dello Stato contemporaneo e del
costituzionalismo che lo ha prodotto, comincia storicamente con la perdita del governo statale
dell’economia. L’esaurirsi dell’economia nazionale e il sorgere di economie aperte oltre i confini nazionali,
con elevato grado di dipendenza dal sistema economico mondiale, infrange, infatti, la storica coincidenza tra
mercato e territorio dello Stato, finendo così per privare quest’ultimo di un vasto ambito statale d’intervento.
La lunga e contraddittoria esperienza delle Costituzioni del Novecento, iniziata con la riappropriazione
dell’economico da parte del politico, sembra chiudersi, così, sulla scia di uno Stato sempre meno sovrano,
prospettiva della Conferenza Intergovernativa del 2000” e M. Morlok, “Il diritto costituzionale nel sistema europeo a più livelli”, in S. Panunzio (a
cura di), I costituzionalisti e l’Europa. Riflessioni sui mutamenti costituzionali nel processo d’integrazione europea, Milano, 2002. pp. 335 ss. e pp.
507 ss; I. Pernice - F. Mayer, “La Costituzione integrata dell’Europa”, in G. Zagrebelsky, Diritto e Costituzione nell’Unione europea, Roma-Bari,
2003, p. 43 ss.; F. Sorrentino, “La tutela multilivello dei diritti”, in Riv. It. Dir. Pub. Com., 2005; P. Bilancia - E. De Marco, La tutela multilivello dei
diritti. Punti di crisi, problemi aperti, momenti di stabilizzazione, Milano, 2004; G. Morbidelli, “La tutela giurisdizionale dei diritti nell’ordinamento
europeo”, in AA.VV. (Atti del Convegno annuale A.I.C., 1999), Annuario 1999. La Costituzione europea, Padova, 2000.
2
sempre più spettatore inerme e cassa di risonanza dei grandi processi economico-decisionali che si snodano
al di là dei suoi confini geopolitici e che gli sfuggono con il loro dinamismo, sovrastandolo con la loro
portata e rendendo incerti i suoi processi decisionali. Nato per governare l’economia, insomma, lo Stato
sociale finisce per piegarsi alle sue esigenze, alle sue tendenze, alle sue forze; forze che si sommano e si
fertilizzano, determinando la crisi dello Stato sovrano e, con esso, anche il disfacimento del mondo
democratico, delle sue istituzioni, delle sue leggi. All’affermazione di un simile processo di
mondializzazione dei processi economici corrisponde una crisi della sovranità degli stati contemporanei
surrogata dalla crescente centralità del mercato e del contratto come categorie paradigmatiche di un nuovo
costituzionalismo ‘conservatore’7, che si presentano come tali da fondare nuove interpretazioni delle stesse
norme costituzionali che erano state poste alla base delle modellistiche di Stato sociale nelle Costituzioni del
secondo dopoguerra8. La latitudine della crisi in cui si dibatte lo Stato contemporaneo come Stato
costituzionale e democratico sospinge, dunque, non solo a ripensare i topoi classici del costituzionalismo,
ossia le garanzie imposte costituzionalmente a tutti i poteri a tutela dei diritti fondamentali, ma anche a
ripensare a un costituzionalismo sganciato dai suoi luoghi classici, vale a dire a un costituzionalismo
disgiunto dalla statualità.
Se la destrutturazione della sovranità e la decadenza del Welfare hanno alterato profondamente i tratti
originari dello Stato costituzionale, occorre altresì rilevare che tale diminuita capacità d’intervento e di
controllo dell’economia finisce per privare partiti e parlamenti dei “tradizionali bersagli verso cui dirigere i
loro colpi per indirizzare e correggere la crescita economica sulla base di interessi e visioni del mondo non
prettamente economicistiche”9, accentuando, così, nello scorcio della fine del secolo appena trascorso, quella
crisi degli attori e degli istituti della rappresentanza politica nella quale è possibile leggere anche il declino
dello Stato contemporaneo come ‘Stato dei partiti’ e del modello di democrazia partecipativa che ne sta alla
base. Ripercorrendo i sentieri di una storia ormai secolare, così, non è difficile comprendere che i partiti
politici hanno rappresentato il presupposto dello sviluppo democratico della società, avendo ‘educato’ questa
ultima ad aggregarsi per esprimere le proprie domande e a organizzarsi per entrare nello Stato, e che spesso
la ‘democrazia dei partiti’ si è trasformata in una ‘democrazia per i partiti’, che li vede fare del Parlamento
una cassa di risonanza di dinamiche e di decisioni politiche assunte al di fuori delle sue aule, occupare le
istituzioni dello Stato e utilizzare le sue risorse ai fini del conseguimento del consenso secondo logiche
“pigliatutto” che esulano dai canoni classici dell’agire partitico e minano, con la capacità programmatica
degli stessi, quella stessa legittimità politica che li aveva resi pilastro portante della democrazia
costituzionale pluralista. Strutturalmente inadeguati a rappresentare e a mediare i nuovi conflitti e i nuovi
clevages della società post-industriale, i protagonisti assoluti della democrazia rappresentativa di questo
secolo, gradualmente, smettono di essere i detentori esclusivi della funzione di raccordo tra Stato e società.
Tale funzione finisce, infatti, per essere talora superata, talora compressa, tanto sul piano delle domande
sociali, che spesso trovano canali di democrazia diretta, quanto sul piano dei processi di formazione degli
orientamenti collettivi che, sempre più basati sulle immagini e sui messaggi diretti di una politica
mediatizzata e personalizzata, si allontanano dalle forme e dagli strumenti tradizionali della comunicazione
e dell’agire politico. Tendenze ‘plebiscitarie’ e tendenze ‘pubbliche’ della democrazia, insomma, che
scardinano il monopolio partitico della rappresentanza degli interessi e sollecitano processi revisionistici
delle loro identità e del loro agire. Tali processi ridimensionano, ma non annullano, gli spazi di quei partiti
che in modo più o meno adeguato hanno rappresentato per mezzo secolo l’impalcatura materiale dello Stato
costituzionale, schiudendo, in questo scenario di fine millennio, nuovi, quanto ambigui, orizzonti per la
democrazia.
Mutate le condizioni politiche, economiche e sociali del secondo dopoguerra, è difficile stabilire quanta
parte resti di quello Stato del pluralismo politico commisurato a una “democrazia che per essere politica e
soltanto politica non fu economica e per essere borghese e soltanto borghese, nonostante la forza numerica
7
Cfr. R. Greco, “Diritti sociali, logiche di mercato e ruolo della Corte costituzionale”, in Questioni Giustizia, 1994, n. 2-3; A. Di Giovine - M.
Dogliani, “Dalla democrazia emancipante alla democrazia senza qualità?”, in Questione Giustizia, 1993.
8
La rilettura dell’art. 41 Cost. (I co.), che ne è stata fatta da parte di autorevole dottrina (così G. Amato, “Il mercato nella Costituzione”, in
AA.VV. (A.I.C.), La Costituzione economica, Padova, 1997), circa la centralità della libertà d’impresa rispetto al suo bilanciamento con le tutele
accordate alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità del lavoratore (II co.) e, soprattutto, con le previsioni della riserva di legge, di cui al III co.,
secondo le quali “la legge determina programmi e controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e
coordinata a fini sociali”, ne costituisce un esempio quanto mai illuminante, con il suo evidenziare una nuova interpretazione della Costituzione alla
luce dei princìpi posti a base del processo d’integrazione europea, come è noto, d’ispirazione liberistica.
9
Cfr. A. Cantaro, “Dopo la democrazia dei partiti”, in Democrazia e diritto, 1995, n. 2; S. Gambino, “Forma di governo e rappresentanza politica
fra costituzione materiale e prospettive de jure condendo. Riflessioni introduttive”, in S. Gambino (a cura di), Forme di Governo. Esperienze europee
e nord-americana, Milano, 2007; S. Gambino, “La difficile riforma della ‘costituzione materiale’ in Italia, fra riforme elettorali, partiti politici e
Governo”, in Scritti in onore di Vincenzo Atripaldi (in corso di pubblicazione).
3
dei partiti socialdemocratici, non fu popolare”10. La crisi della sovranità, la decadenza del Welfare, il
ridimensionamento del Parteienstaat, infatti, hanno alterato profondamente i tratti di questa forma di Stato e
di questa democrazia con ovvie ed evidenti conseguenze per il positivo perseguimento delle finalità statali,
per il reale funzionamento delle istituzioni formali, per l’effettiva realizzabilità delle libertà individuali e
collettive. La crisi della statualità contemporanea rappresenta, infatti, qualcosa di più e di diverso di un
momento di difficoltà dello Stato analogo a quello di cui parlava Santi Romano all’inizio del secolo scorso,
in quanto ha posto in gioco aspetti della civiltà e della cultura considerati a lungo come un patrimonio
definitivamente acquisito. Essa ha infranto la storica pretesa di limitare il potere attraverso il diritto ed ha
riaperto, con la limitata effettività dei diritti sociali, vecchie questioni di libertà e nuovi problemi di
democrazia. Questo cambiamento strutturale dello Stato, che procede nei tornanti della storia fra poteri non
limitati e principi non realizzati, tende insomma a creare una ‘costituzione materiale’ sempre più distante
dalla Costituzione formale e a trasformare quest’ultima in un “ordinamento parziale”11, in una rete che
imbriglia solo una parte dei poteri e delle tendenze che determinano il reale funzionamento dello Stato e il
concreto rendimento del sistema democratico. La stessa prestazione fondamentale della Costituzione, così,
sarebbe venuta meno: da “atto creativo” essa si sarebbe trasformata in “testo responsivo”12, in un testo, cioé,
nel quale cercare le soluzioni ai problemi che sorgono nel corso della via costituzionale; quasi un archivio
storico-ideale, in grado di fornire informazioni e indicazioni, di provenienza e di direzione. Se è vero che la
crisi dello Stato contemporaneo ha aperto una crisi profonda della Costituzione nel suo aspetto progettuale
quanto in quello garantistico, tuttavia, nell’era dei poteri reali e delle grandi incertezze, non è venuto a
mancare quel bisogno di ordine e di sicurezza che ne ha giustificato (e ne giustifica) l’origine e
l’affermazione storica. La necessità di pervenire a un giusto equilibrio tra conservazione e innovazione
costituzionale, i richiami a una Costituzione mondiale, o anche solo europea, dimostrano che, nello scenario
del nuovo secolo e delle sovranità concrete, la Costituzione continua ad essere vista e vissuta come momento
integrante della società e principio ordinatore dei poteri e delle istituzioni. Si scopre così che la
decostituzionalizzazione13 non è l’unica tendenza in atto e che a essa si associano anche tendenze al
conservatorismo costituzionale e alla ipercostituzionalizzazione14; tendenze diverse e contrastanti,
certamente, ma anche tendenze che lasciano intravedere un futuro per la Costituzione e quindi per il governo
democratico della società. La democrazia, infatti, non è solo governo del popolo, ma governo del popolo
entro determinati canali, regole, procedure15.
La Costituzione europea sembra essere divenuta il punto di coagulo di questa esigenza, la risposta
formale ai problemi sollevati dalla globalizzazione dei mercati e dal policentrismo dei poteri pubblici,
ovverosia dal pluralismo dei centri di decisione tecnocratica e dal polimorfismo delle istituzioni
democratiche. Nella idea di una Costituzione ‘allargata’, quindi, non si prefigura solo l’ultimo stadio
evolutivo di un costituzionalismo dinamico che reca in sé il germe del sovranazionalismo, ma si palesa
anche, e forse soprattutto, l’ennesimo sforzo della teoria costituzionale – esattamente come mezzo secolo fa
– di restituire al politico il controllo dell’economico, ridisegnando il sistema delle fonti e degli organi
dell’U.E. in cui si sedimenta il potere dell’antico sovrano nazionale e sottoponendolo, da un lato, alle regole
della democrazia politica e alle forme della legittimazione democratica e, dall’altro, al principio guida
dell’effettività dei diritti fondamentali. Quella che sottende la Costituzione europea si presenta, insomma,
come un’idea globale, tanto di rinnovamento del sistema istituzionale delle Comunità, quanto di
arricchimento del sistema delle identità e della cittadinanza nell’Unione Europea. Scandagliando il presente
con le categorie concettuali del recente passato, non è difficile avvedersi che, al di là delle forzature
concettuali e semantiche attraverso cui si cerca di dare veste formale al processo d’integrazione politico
avviato dall’Unione Europea, una Costituzione europea in senso proprio non esiste16. La mancanza di un atto
costituente riconducibile a un popolo sovrano, il mancato ossequio del montesquieviano principio della
separazione dei poteri, l’assenza di un compiuto catalogo dei diritti (almeno fino alla proclamazione della
10
Cfr. N. Bobbio, Tra due Repubbliche, Roma, 1996, p. 40.
Cfr. D. Grimm, “Il futuro della costituzione”, in G. Zagrebelsky - P.P. Portinaio - J. Luther (a cura di), Il futuro della costituzione, Torino,
1996, p. 163.
12
Cfr. G. Zagrebelsky, “Storia e costituzione”, in G. Zagrebelsky - P.P. Portinaio - J. Luther (a cura di), Il futuro della costituzione … cit., p. 74
13
Sul punto, cfr. anche S. Gambino, “La revisione della Costituzione fra teoria costituzionale e tentativi (falliti) di decostituzionalizzazione.
Limiti sostanziali e Costituzione materiale”, in S. Gambino - G. D’Ignazio (a cura di), La revisione costituzionale e i suoi limiti, Milano, 2007.
14
Cfr. sul punto P. Portinaro, “Il grande legislatore e il custode della Costituzione”, in G. Zagrebelsky - P.P. Portinaio - J. Luther (a cura di), Il
futuro della costituzione … cit., passim.
15
Cfr. S. Holmes, “Vincoli costituzionali e paradosso della democrazia”, in G. Zagrebelsky, P.P. Portinaro, J. Luther (a cura di), Il futuro della
costituzione … cit., passim.
16
Cfr., sul punto, fra gli altri, D. Grimm e G. Zagrebelsky, in AA.VV., Il futuro della Costituzione, Torino, 1996; S. Gambino (a cura di),
Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, Costituzioni nazionali e diritti fondamentali, Milano, 2006; P. Häberle, “Lo Stato costituzionale
europeo” (paper).
11
4
Carta di Nizza, nel 2000, ora nuovamente proclamata a Strasburgo, nella sede del Parlamento europeo)
capace di porre sotto il principio guida dell’eguaglianza formale e sostanziale i rapporti tra l’Unione Europea
e i suoi cittadini, rivelano come si sia davvero distanti dall’impalcatura filosofica e giuridica che sorregge il
costituzionalismo moderno e contemporaneo, rappresentandone l’essenza. La Costituzione europea come
“atto di un popolo che crea un governo”, come strumento di “limitazione del potere e di garanzia dei diritti”,
allo stato attuale, non esiste se non come ‘acquisizione evolutiva’, in bilico tra essere e divenire, se non come
progetto politico-ideologico che non ha saputo trasformarsi in realtà né, contrariamente a quanto avviene per
la ‘costituzione mondiale’, è rimasta mera utopia. Un progetto, dunque, che si risolve e si surroga in un
ordinamento giuridico non originario17 che, pur non trovando in sé il titolo della propria legittimazione, è
comunque in grado di esprimere meccanismi propri di produzione e di applicazione di un diritto che, se alla
prova dei fatti si svela qualcosa di più di un diritto internazionale, è sicuramente ancora qualcosa di meno di
un diritto costituzionale in senso proprio. Quel diritto primario comunitario che mette in discussione la
sovranità degli Stati – un tempo loro massimo orgoglio e, secondo la visione hegeliana, loro ultima regola –
che arricchisce di nuovi diritti lo status di cittadino dei (e nei) moderni ordinamenti democratici, si rivela,
difatti, come un diritto posto ed imposto attraverso i trattati. Pur essendo vincolanti per gli organi
dell’Unione e degli Stati membri, questi ultimi non sono espressione dell’autodeterminazione di un popolo
europeo che, riconoscendosi come comunità politica, sceglie la forma giuridica della propria unità, né
posseggono la totalità materiale della Costituzione, rivelandosi, per le loro intrinseche caratteristiche, degli
ordinamenti parziali, geneticamente inadeguati ad assolvere a quelle funzioni di ordine e di sicurezza che sul
piano interno spettano alla Costituzione18. Se è chiaro, allora, che il diritto primario comunitario non è
declinabile come ‘diritto costituzionale’, è altrettanto evidente, tuttavia, che esso è innervato da molti
elementi che tale natura posseggono e che, miscelandosi con dosaggi diversi rispetto agli impianti
costituzionalistici del recente passato, danno vita non a una Costituzione europea, bensì a un ‘sistema
costituzionale europeo’ che, formalmente retto dai trattati, vive e si esprime materialmente attraverso organi
con competenze assimilabili all’esercizio dei poteri tradizionalmente considerati sovrani. Che questo sistema
costituzionale, dal carattere frammentario, sia una forma costituzionale priva della sua sostanza o una
sostanza costituzionale priva ancora della sua forma è difficile stabilirlo. Quel che è certo è che il processo in
atto, che sfuoca e trasfigura i canoni costituzionalistici del Novecento, ha aperto una fase di transizione
profonda che amplia gli orizzonti spaziali del costituzionalismo ma non sempre, e nemmeno con la stessa
intensità, quelli della democrazia.
A voler analizzare questo complesso fenomeno con la cautela di chi, con il bagaglio concettuale del
passato, si accinge a intraprendere un viaggio nel presente conservando il gusto di cogliere i particolari nuovi
o ancora nascosti di un paesaggio sempre più in controluce, non si può fare a meno di rilevare che il sistema
costituzionale dell’Unione, che si dipana nel XXI sec. sotto le insegne della effettività, si definisce sempre
più come un ‘costituzionalismo dei governanti’, vale a dire un costituzionalismo dall’alto, molto diverso,
quindi, da quel ‘costituzionalismo dei governati’ che è stato protagonista della costruzione degli Stati europei
nel primo e (soprattutto) nel secondo Novecento. Ciò non solo perché manca un atto formale voluto e
legittimato dal popolo sovrano per suggellare i princìpi regolativi dell’organizzazione istituzionale
dell’Unione Europea e i rapporti tra questa e i suoi cittadini; non soltanto perché quel potere costituente
attraverso cui il popolo che si riconosce sovrano sceglie la forma giuridica della propria unità politica viene
continuamente trasferito a istanze nazionali e sovranazionali, ma anche e soprattutto perché quello stesso
potere costituente, che oggi non si riconosce più libero ma vincolato al rispetto dei diritti fondamentali, viene
incessantemente rimesso a istanze diverse dal titolare originario. Si scopre, così, che il sistema costituzionale
comunitario è ben lungi dal rispondere ai canoni tradizionali della democrazia rappresentativa oramai parte
integrante della cultura politica e della tradizione giuridica degli ordinamenti costituzionali occidentali e che
il suo Parlamento, organo rappresentativo per antonomasia, pur avendo accresciuto e riformulato
significativamente il proprio ruolo negli ultimi anni, non possiede ancora capacità decisionali comparabili a
quelle dei parlamenti nazionali degli Stati membri. Le decisioni più importanti, infatti, tendono a essere
prevalente (se non proprio esclusivo) appannaggio dei vertici degli esecutivi dei singoli Stati o della
tecnocrazia comunitaria, con il risultato, sicuramente ambiguo, che nel sistema dell’Unione Europea
l’organo rappresentativo manca di adeguata capacità decisionale e gli organi con capacità decisionale, pur
17
La nozione di originarietà si cui si fonda tale valutazione attinge, naturalmente, alla ricerca costituzionale. Al contrario, nella dottrina europea,
si assume che l’ordinamento dell’Unione possa definirsi come originario, in quanto comprende al proprio interno le garanzie di attuazione delle
norme.
18
Per uno sviluppo di quest’orientamento cfr. anche i nostri “La (recente) evoluzione dell’ordinamento comunitario come processo materialiter
costituente: un’analisi alla luce delle categorie classiche del diritto pubblico europeo e dell’esperienza concreta”, in La cittadinanza europea, 2006, n.
1, nonché “Integrazione comunitaria e legittimazione costituzionale”, in Scritti onore di G. Floridia (in corso di pubblicazione).
5
non mancando di rappresentatività (di primo grado), finiscono per difettare in legittimità oltre che in
responsabilità. Se a tutto ciò si aggiunge che i singoli parlamenti nazionali riescono con difficoltà a inserirsi
in tali processi decisionali (e solo nelle evoluzioni più recenti dei trattati), non è difficile avvedersi che il
costituzionalismo europeo opera una sostanziale espropriazione del potere legislativo e, quindi, anche
un’incisiva lesione di quel principio della sovranità popolare. Pilastro portante dello Stato di diritto, oltre a
individuare nei cittadini l’origine e il fondamento della sovranità, tale principio assume che i fondamentali
poteri dello Stato siano esercitati dagli stessi mediante rappresentanti liberamente eletti. Questo deficit di
legittimazione costituzionale (più che democratica) che si consuma sotto le insegne di una politica
dell’Unione concepita non dall’organo direttamente rappresentativo delle comunità nazionali, bensì dalle
altalenanti maggioranze politiche che queste sono in grado di esprimere, non è l’unico aspetto in cui il
costituzionalismo europeo si rivela deficitario sotto il profilo democratico. Anche sul piano dell’effettività
dei diritti fondamentali il sistema costituzionale dell’U.E. non è (ancora) in grado di apprestare garanzie
analoghe a quelle offerte dal costituzionalismo nazionale specie nella sua versione del secondo dopoguerra.
Certo, non si può negare che il riconoscimento ad ogni cittadino europeo del diritto di circolare e di fissare la
propria residenza nel territorio di tutti i paesi dell’Unione Europea, di essere eletti al Parlamento di
Strasburgo e nelle elezioni comunali del luogo di residenza, indipendentemente dalla cittadinanza nazionale,
di rivolgere petizioni al Parlamento europeo e istanze al Mediatore, di vedersi assicurata l’assistenza
diplomatico-consolare hanno dilatato il catalogo dei diritti e delle ‘libertà dei moderni’, creando le premesse
per l’arricchimento della ‘cittadinanza’, ma non si può neppure fare a meno di riconoscere che il
costituzionalismo dell’Unione non ha affatto creato le premesse politico-culturali per il rinnovamento delle
identità, né le condizioni materiali per rendere i cittadini dell’U.E. eguali, oltre che in diritti di libertà, anche
in dignità. “La mancanza nell’elencazione dei diritti del cittadino europeo [di] ogni riferimento ai diritti
sociali, in particolare [al] diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”19 rivela come la sostanza concreta
dei diritti continui ad essere custodita dal costituzionalismo nazionale, il che significa che, allo stato attuale,
l’essere cittadini europei non dà affatto luogo a eguali posizioni nei contenuti della cittadinanza. Se è chiaro,
dunque, che il deficit democratico o, addirittura, le derive tecnocratiche del sistema costituzionale
dell’Unione lo rendono, al momento, poco idoneo ad ampliare gli orizzonti della democrazia, appare ancora
più evidente che il suo costituzionalismo, con la relativa frammentarietà, non induce a prefigurare un
processo lineare di inequivocabile e progressiva riproduzione su vasta scala dei canoni costituzionalistici del
XX secolo. Il costituzionalismo europeo, difatti, se, da un lato, assorbe con gradualità crescente i poteri e le
competenze degli Stati nazionali, erodendo l’essenza stessa delle loro Costituzioni, dall’altro, non accenna a
ricalcarne le forme, a rifletterne i princìpi, a riecheggiarne i valori, dispiegando al nuovo millennio una
gracile trama istituzionale su cui appare davvero difficile tessere, con l’ordito di una cittadinanza che
‘integra’ ma non ‘supplisce’ quella nazionale, una nuova e più ampia epoca dei diritti e delle libertà.
2. I diritti sociali fra ordinamento costituzionale e Unione europea
Sia pure con formule differenziate, nel costituzionalismo europeo e in quello italiano, in particolare, è ora
pienamente positivizzato uno rapporto stretto fra concezione della democrazia, modello di Stato e diritti
fondamentali fondato sulla garanzia e sull’ampliamento delle situazioni giuridiche costituzionalmente
protette e su una nuova concezione del concetto di eguaglianza: non più solo la eguaglianza che proviene
dalla tradizione classica, che vede come intollerabili le discriminazioni fondate sulle differenze di sesso, di
religione e di razza, bensì un concetto di uguaglianza che ritiene inaccettabili le differenze che si fondano sul
rapporto economico e sociale, ritenendo non più tollerabili le differenze fondate sulla capacità di reddito20.
Unitamente ai classici diritti di libertà, in tale concezione, i diritti sociali sono assunti, come condizioni
indefettibili, ‘costitutive’, del principio costituzionale di eguaglianza (art. 3 Cost.) e, al contempo, del valore
della persona (art. 2 Cost.). Il relativo catalogo costituzionale, come è noto, ha una sua inusuale ampiezza e
19
Cfr. V. Lippolis, “La cittadinanza europea”, in Quaderni costituzionali, 1993, n. 1, p. 136; M. Luciani, “Diritti sociali e integrazione europea”,
AA.VV. (A.I.C.), Annuario 1999. La Costituzione europea, Padova, 2000; S. Gambino, “Cittadinanza e diritti sociali fra neoregionalismo e
integrazione comunitaria”, in Quaderni costituzionali, 2003, n. 1.
20
Nell’ampia bibliografia, sul punto cfr., almeno, A. Cerri, “Uguaglianza (principio costituzionale di)”, in Enciclopledia Giuridica Treccani, e da
ultimo AA.VV. (Atti Convegno in ricordo di Livio Paladin, Padova 2 aprile 2001), Corte costituzionale e principio di eguaglianza, Padova, 2002; R.
Greco, “Diritti sociali, logiche di mercato e ruolo della Corte costituzionale”, in Questioni Giustizia, 1994, n. 2-3; A. Di Giovine - M. Dogliani,
“Dalla democrazia emancipante alla democrazia senza qualità?”, in Questione Giustizia, 1993; E. Cheli, “Classificazione e protezione dei diritti
economici e sociali nella Costituzione italiana”, in Scritti in onore di L. Mengoni. Le ragioni del diritto, Milano, 1995; P. Caretti, I diritti
fondamentali. Libertà e diritti sociali, Torino, 2002; B. Pezzini, La decisione sui diritti sociali, Milano, 2002; C. Salazar, Dal riconoscimento alla
garanzia dei diritti sociali, Torino, 2000.
6
sistematicità e la relativa tutela è quella propria dei diritti costituzionali e non di quelli ‘legali’, benché in
dottrina si sottolinei come, a ben vedere, le forme giurisdizionali della relativa tutela non sono quelle
apprestate ai diritti soggettivi (con la forza propria della tutela risarcitoria nei confronti di atti lesivi degli
stessi) ma quella degli interessi legittimi, dal momento che fra il relativo esercizio e la previsione legale
opera un facere amministrativo, che coinvolge la pubblica amministrazione con la sua supremazia speciale21.
Un approccio – quest’ultimo – che è destinato a essere radicalmente riconsiderato alla luce dei princìpi
comunitari ma soprattutto alla luce della sentenza n. 500/1999 della Corte di Cassazione22. Tuttavia, mentre
altri ordinamenti europei disciplinano la materia mediante clausole generali (art. 20, I co., LFB23) o mediante
“Principi informatori della politica sociale ed economica” (Cap. II del Tit. I e Cap. III Costituzione
spagnola24), la Costituzione italiana tutela i diritti sociali sia mediante princìpi fondamentali sia (e
soprattutto) con disposizioni costituzionali di dettaglio25. Tuttavia, se dalla definizione teorico-costituzionale
dello Stato sociale e più in particolare dall’inquadramento dei diritti sociali come diritti inviolabili della
persona si passa a verificare il grado di effettività degli stessi, non può non cogliersi lo stridente contrasto tra
la loro costruzione come diritti universali e assoluti e il relativo, deprimente, grado di effettività.
L’argomento a sostegno di una simile situazione è dato dal fatto che i diritti sociali (istruzione, salute,
previdenza, ecc.) costano e lo Stato (in Italia come altrove) conosce seri problemi di fiscalità26.
Tale tematica conosce una sua problematizzazione anche con riferimento al grado di riconoscimento e
alle relative forme di tutela nell’ordinamento della Unione. È stato ampiamente sottolineato in dottrina come
i trattati di Maastricht, di Amsterdam e di Nizza costituiscano momenti qualificanti del lungo percorso
nell’evoluzione del diritto costituzionale comune europeo; con essi si determina la trasformazione
ordinamentale delle Comunità economiche europee in una Unione politica ispirata ai princìpi fondamentali
propri dello Stato democratico e di diritto27. In tale quadro, l’U.E. s’impegna a rispettare i diritti
fondamentali, come previsti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali e per come risultano dalle “tradizioni costituzionali comuni” degli Stati membri. In
assenza di previsioni in materia di diritti fondamentali nei Trattati comunitari originari, il Giudice
comunitario ha operato, come è noto, un riconoscimento degli stessi, di tipo pretorio, attingendo al flebile
materiale normativo offerto, a tal fine, da specifiche disposizioni in materia di responsabilità extracontrattuale della Comunità e dei connessi obblighi risarcitori (art. 288.2 TCE, vers. cons.)28. Seguendo
21
Autorevoli dottrina (A. Pace, “La garanzia dei diritti fondamentali nell’ordinamento costituzionale italiano: il ruolo del legislatore e dei giudici
‘comuni’”, in Scritti in onore di P. Barile. Nuove dimensioni nei diritti di libertà, Padova, 1993) sottolineano, sotto tale profilo, una certa ‘enfaticità’
dei diritti sociali, qualora analizzati sotto l’angolo visuale della loro concreta giustiziabilità. Il diritto e la giustizia amministrativa diventano, in tale
contesto, lo scenario obbligato di verifica dell’effettività del diritto costituzionale e delle tutele sue proprie. Una lettura diversa attinge l’immediata
esigibilità giuridica dei diritti sociali all’interpretazione del novellato art. 117, II co., lettera m, Cost., secondo la quale – dal momento che i livelli
essenziali delle prestazioni, ivi sanciti, impongono al legislatore statale d’individuare le risorse economiche necessarie alla relativa attuazione
amministrativa – non pare potersi ulteriormente accogliere il risalente orientamento del Giudice delle leggi che parlava dei diritti sociali come di
“diritti finanziariamente condizionati” (in quest’ultimo senso cfr. anche S. Gambino, “Normazione regionale e locale e tutela dei diritti fondamentali
(fra riforme costituzionali, sussidiarietà e diritti fondamentali)”, in A. Ruggeri - L. D’Andrea - A. Saitta - G. Sorrenti (a cura di), Tecniche di
normazione e tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali, Torino, 2007.
22
Sul punto cfr., fra gli altri, F. Siciliano – D. D’Alessandro, “L’integrazione comunitaria e la giustiziabilità delle posizioni con particolare
riguardo al risarcimento dei danni da lesione di interesse legittimo”, in S. Gambino (cur.), Costituzione italiana e diritto comunitario, Milano, 2002.
23
“La Repubblica Federale di Germania è uno Stato federale democratico e sociale” (su cui cfr., fra gli altri, D. Schefold, “Lo Stato sociale e la
costituzione economica”, in Enciclopedia Giuridica Treccani, ad vocem); E. Eichenhofer, “Costituzione e diritto sociale”, in Diritto pubblico, 1997,
in part. p. 469 ss.; C. Amirante, “Diritti fondamentali e diritti sociali nella giurisprudenza costituzionale”, in AA.VV., Diritti di libertà e diritti sociali
tra giudice costituzionale e giudice comune, Napoli, 1999; L. Violini, “I diritti fondamentali nelle costituzioni dei Laender della Repubblica federale
tedesca come fattore di costruzione delle ‘tradizioni costituzionali comuni europee” (paper) e della stessa “Federalismo, regionalismo e sussidiarietà
come princìpi organizzativi fondamentali del diritto costituzionale europeo”, in M. Scudiero (a cura di), Il diritto costituzionale comune europeo.
Princìpi e diritti fondamentali, Napoli, 2002; V. Baldini, “Autonomia costituzionale dei Laender, principio di omogeneità e prevalenza del diritto
federale”, in M. Scudiero (a cura di), Il diritto costituzionale … cit.
24
Su cui cfr., fra gli altri, G. Ruiz-Rico Ruiz, “Fundamentos sociales y politicos en los derechos sociales de la Constitución española”, in Revista
de estudios politicos (Nuova Epoca), 1991, n. 71; J.J. Solozábal Echevarría, “El Estado social come Estad autonomico”, in UNED, Teoria y realidad
constitucional, 1999, n. 3 pp. 61-78; J.J. Solozábal Echevarría, “Algunas cuestiones basicas de la teoria de los derechos fundamentales”, in Revista de
estudios políticos (Nuova Epoca), 1991, n. 71; J.L. Cascajo Castro, La tutela constitucional de los derechos sociales, Madrid, 1988.
25
… anche se si ha l’impressione “che la categoria del diritto sociale sia inadeguata ad esprimere la ricchezza delle indicazioni fornite dai Titoli I
e II della Costituzione” (Cfr. G. Corso, “I diritti sociali nella Costituzione italiana”, in Riv. trim. dir. pub., 1981, p. 757) relativamente ai rapporti
etico-sociali ed ai rapporti economici (Cfr., almeno, U. Allegretti, "Globalizzazione e sovranità nazionale", in Democrazia e diritto, 1998, G
Zagrebelsly, “I diritti fondamentali oggi”, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 1992, 1; L. Carlassare. “Forma di Stato e diritti
fondamentali”, in Quaderni costituzionali, 1995, 1).
26
Cfr. fra gli altri, cfr. almeno AA.VV. (a cura di A. Baldassarre – A. Cervati), Critica dello Stato sociale, Bari, 1982.
27
Fra gli altri cfr. anche il nostro “Il diritto costituzionale europeo: princìpi strutturali e diritti fondamentali”, in S. Gambino (a cura di),
Costituzione italiana e …cit.
28
A partire dai primi anni ‘60, con la sentenza Stauder, la Corte di Giustizia, come si vedrà meglio in seguito, riconosce, per la prima volta, che
la tutela dei diritti fondamentali costituisce una parte integrante dei princìpi generali del diritto, assumendo che essa “è tenuta” a garantirne
l’osservanza. Nella ricerca del parametro sul quale fondare una simile (ardita) costruzione giurisprudenziale, essa fa ricorso alle “tradizioni
costituzionali comuni degli Stati membri”, le quali vengono assunte come necessarie nel determinare il contenuto materiale dei diritti fondamentali,
intesi come articolazione interna dei principi generali del diritto dell’Unione (sul punto cfr. anche S. Gambino, a cura di, Costituzione italiana e …
7
questa linea giurisprudenziale, il Giudice comunitario ha elaborato un vero e proprio catalogo dei diritti
fondamentali, anche se limitato alla categoria dei diritti civili29, in cui appaiono situazioni soggettive legate
prevalentemente all’ambito economico e sociale. Più complessa appare l’analisi con riferimento allo statuto
comunitario dei diritti sociali – la ‘cittadinanza sociale’ dell’U.E. – e alle relative garanzie rispetto agli
ordinamenti costituzionali nazionali. Come è stato bene osservato30, la disciplina dei diritti sociali a livello
dell’ordinamento dell’U.E. – anche se considerata nella prospettiva de jure condendo – contrasta nel fondo
con la loro concezione negli ordinamenti costituzionali nazionali (fra cui soprattutto quello italiano, quello
spagnolo e quello tedesco)31. Ciò che rileva di tali diritti nell’azione e per la realizzazione delle finalità
dell’ordinamento dell’Unione è la loro finalizzazione alle esigenze proprie del mercato comune. In una
simile ottica, nell’ambito più generale della politica sociale comunitaria, per come disciplinata nel nuovo
Capo I del Tit. XI del Trattato CE (art. 136-145), i diritti sociali si trasformano in meri parametri di
legittimità normativa, assumendo per questo non più una validità in sé bensì la natura di diritti
complementari alle libertà economiche, riservandosene il relativo riconoscimento e la tutela al solo ambito
interno degli Stati membri, mentre l’intervento normativo e giurisprudenziale comunitario rimane esterno e
subordinato alle tutele assicurate dalle legislazioni e dalle giurisdizioni degli stati membri. A ben
considerare, gli artt. 51, 52 e 53 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. non innova in modo
significativo in questo assetto normativo di base32. Nella costruzione dell’ordinamento europeo, così, i diritti
sociali assumono la natura di diritti ‘residuali’, (sostanzialmente) funzionalizzati agli obiettivi economici del
mercato unico europeo, dovendosi giungere a una conclusione, circa la normativa dell’Unione in materia
sociale, secondo cui la stessa si limita a disciplinare mere disposizioni programmatiche, poco più che
‘obiettivi’, senza contenuti di prescrittività per le istituzioni dell’Unione a dare attuazione alle stesse se non
nell’ottica della funzionalità sociale del mercato economico33. La natura giuridica imprecisa e incerta di tali
disposizioni pare, dunque, unicamente superabile con la loro positivizzazione in un ‘catalogo’ di diritti
sociali, all’interno di una più ampia e rivisitata Carta europea dei diritti fondamentali, su cui le istituzioni
europee e la dottrina vanno discutendo negli ultimi anni, pur senza pervenire ancora a una intesa (stanti, in
particolare, le resistenze in tal senso della Gran Bretagna e della Polonia)34. Evidentemente, l’adeguatezza di
una simile Carta dei diritti sociali è funzione delle scelte politiche e costituzionali sul futuro (qualora
auspicato) dello Stato sociale in Europa. In definitiva, dunque, il futuro dei diritti sociali nel processo di
costruzione europea non pare ulteriormente affidabile alla sola giurisprudenza pretoria della Corte di
Giustizia, alla discutibilità delle sue tecniche argomentative e ai relativi, sempre possibili, conflitti con le
giurisdizioni costituzionali nazionali, dovendosi necessariamente prevedere una loro positivizzazione
normativa capace di farsi carico, in modo più convinto (certo e garantito), delle più avanzate ‘tradizioni
cit., nonché M. Scudiero (a cura di), Il diritto costituzionale comune … cit.). Con le successive sentenze Internationale Handelsgesellschaft e Nold, la
Corte comunitaria darà compiutezza alle sue tecniche argomentative finalizzate alla protezione dei diritti fondamentali dell’Unione.
29
Con la sentenza Kreil, dell’11 gennaio del 2000, tuttavia, la Corte fa un passo in avanti rispetto al rapporto fra diritto dell’U.E. e ordinamenti
costituzionali nazionali, sancendo che il primo rappresenta un limite all’applicazione delle norme nazionali, ancorché di natura costituzionale, quando
queste violino (o comunque incidano su) i diritti fondamentali dell’Unione. Con tale sentenza la Corte precisa le sue competenze di controllo
nell’applicazione del diritto dell’Unione, che si esplicano nell’individuazione di livelli di protezione inderogabile dei diritti fondamentali.
30
Cfr. M. Luciani, “Diritti sociali e integrazione europea”, in AA.VV., Annuario 1999. La Costituzione europea, Padova, 2000, cui adde anche
Parlement européen, Droits sociaux fondamentaux en Europe, (Séries Affaires Sociales – SOCI 104 FR), 1999.
31
Cfr. J. Iliopoulos Strangas (ed.), La protection des droits sociaux fondamentaux dans les Etats membres de l’Union européenne, Bruxelles,
2000.
32
Nell’ampia bibliografia cfr. anche A. Ruggeri, “Carta europea dei diritti e integrazione interordinamentale, dal punto di vista della giustizia e
della giurisprudenza costituzionale (notazioni introduttive)”, e S. Gambino, “I diritti fondamentali comunitari: fra Corte di Giustizia delle Comunità
Europee, trattati e Bill of rights”, ambedue in AA.VV. (Atti della Giornata italo-spagnola, Taormina 4 ottobre 2002), Riflessi della Carta europea dei
diritti sulla giustizia e la giurisprudenza costituzionale: Italia e Spagna a confronto, Milano, 2003.
33
La Corte di Giustizia, da parte sua, ha fatto proprio tale indirizzo, quando, dopo un primo orientamento, nel quale assume l’esistenza di limiti ai
diritti fondamentali nella sola materia dei diritti economici (Sent. 14 maggio 1974, Nold, causa 4/73, in Racc. Uff., 1974, p. 491; sent. 13 dicembre
1979, Hauer, causa 44/79, in Racc. Uff., 1979, p. 3727, su cui cfr. fra gli altri F. Mancini, “La tutela dei diritti dell’uomo: il ruolo della Corte di
Giustizia delle Comunità europee”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1989, n. 1), ha sancito che “i diritti fondamentali riconosciuti dalla Corte non risultano
… essere prerogative assolute e devono essere considerati in relazione alla funzione da essi svolta nella società. E’ pertanto possibile operare
restrizioni all’esercizio di tali diritti, in particolare nell’ambito di un’organizzazione comune di mercato, purché dette restrizioni rispondano
effettivamente a finalità d'interesse generale perseguite dalla Comunità e non si risolvano, considerato lo scopo perseguito, in un intervento
sproporzionato e inammissibile che pregiudicherebbe la stessa sostanza di tali diritti” (Sent. 13 luglio 1989, Wachauf, causa 5/88, in Racc. Uff., 1989,
p. 2609 ss.).
34
Nell’ampia bibliografia relativa alla Carta di Nizza, cfr. almeno, AA.VV., Riscrivere i diritti in Europa, Bologna, 2001; F. Petrangeli, Una
Carta per l’Europa. Diritti fondamentali e mercato nel processo d’integrazione, Roma, 2001; A. Apostoli, La Carta dei diritti dell’Unione Europea,
Brescia, 2000; A. Baldassarre, “La Carta europea dei diritti”, in Osservatorio costituzionale Luiss; E. Denninger, “I diritti fondamentali nel quadro
dell’Unione Europea”, in Osservatorio costituzionale Luiss; U. De Siervo, “I diritti fondamentali europei ed i diritti costituzionali italiani (a proposito
della Carta dei diritti fondamentali”, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2001, n. 1 (cui adde, nella stessa Rivista il Forum, con interventi di
V. Atripaldi, G.G. Floridia, A. Giovannelli, M. Luciani, S. Mangiameli, E. Pagano, A. Ruggeri, R. Toniatti); Diritto pubblico, 2001, n. 3 (n. spec.).
8
costituzionali comuni’ in tale materia35. Solo a partire da una disciplina comunitaria capace di conformarsi
alle più avanzate ‘tradizioni’ costituzionali europee in materia di diritti e di giustizia sociale, potranno
ritenersi risolte le problematiche poste dall’esercizio dello stesso diritto alla tutela giudiziaria effettiva in
materia (principio – quest’ultimo – affermato come fondamentale dalla Corte di Giustizia) sia con
riferimento ai diritti c.d. negativi, sia e soprattutto ai ‘diritti prestazionali’. Anche a partire da questa
riflessione è da chiedersi come il ‘nuovo’ quadro costituzionale previsto per le regioni e per le autonomie
locali si rapporti a tali princìpi, dovendosi chiaramente assumere che la nuova architettura costituzionale
della ‘Repubblica’ risulta significativamente innovata rispetto all’ordinamento costituzionale previgente, nel
quale l’ambito costituzionale delle competenze legislative regionali poco (o nulla) incidevano sullo statuto
della cittadinanza. Le pur brevi considerazioni fin qui svolte portano a osservare – in tale ottica – che le
istituzioni regionali e le autonomie locali non costituivano, fino alle recenti riforme costituzionali nella
materia territoriale, il terreno elettivo per un’indagine sulle tematiche relative alle modalità seguite (e da
seguire) per rendere effettivi i diritti sociali, nella misura in cui alle regioni e alle minori autonomie locali
non era assegnata la competenza in materia di diritti, che rimaneva attribuita alle istituzioni statali, venendo
protetta dalla relativa giurisdizione. La tematica dei diritti fondamentali nello Stato regionale, pertanto, non
pare offrire una prospettiva di particolare rilievo teorico se considerata dall’ottica del previgente
ordinamento costituzionale; e ciò anche perché il livello regionale non ha consentito di evidenziare, almeno
nella prassi, il profilo attuativo delle competenze regionali capace di influenzare l’effettività dei diritti
sociali, tranne che nelle tematiche relative al rapporto amministrativo – così come innervato di nuovi diritti
dalla più recente legislazione di riforma amministrativa (diritto di partecipazione al procedimento
amministrativo, diritto di accesso agli atti e ai documenti amministrativi, diritto alla privacy) – e alla riforma
dell’ordinamento locale.
Il tema dei diritti sociali, nel dibattito dottrinario italiano, pare doversi limitare, così, alle funzioni svolte
dal giudice ordinario e soprattutto da quello costituzionale in tema di garanzia e di effettività degli stessi.
L’intervento del Giudice costituzionale nella materia dei diritti sociali, come è noto, è stato richiesto
prevalentemente con riferimento alla violazione del principio di eguaglianza e in presenza di comportamenti
omissivi da parte del legislatore36. Dopo un’iniziale prudenza, l’orientamento del Giudice delle leggi si è
affermato nel senso di riconoscere rango pienamente costituzionale ai diritti sociali, affermandosi, da parte
dello stesso, una serie di criteri guida a cui il giudice stesso conforma la propria dottrina 37. Pur
accompagnandosi con il riconoscimento della necessaria gradualità delle scelte legislative, lo sforzo della
Corte costituzionale teso a dare effettività ai diritti sociali porta a riconoscerli come ‘diritti perfetti’ ed
assicurandone una protezione immediata, pur in quelle ipotesi in cui difettasse ancora un intervento
regolativo e di protezione da parte del legislatore. Per la Corte, dunque, anche i diritti sociali, e a fortiori
quelli a prestazione positiva legislativamente condizionati, assurgono – al pari degli altri diritti fondamentali
– al rango di “diritti inviolabili e irretrattabili della persona, in quanto espressione di valori o princìpi
costituzionali supremi”38. In breve, nella giurisprudenza della Corte costituzionale si sottolinea come ai diritti
sociali debba essere assicurata una protezione costituzionale pienamente comparabile a quella assicurata agli
altri diritti fondamentali; in quanto tali, dunque, anche i diritti sociali sono irrinunciabili, inalienabili,
indisponibili, intrasmissibili, inviolabili. Ciò non toglie, tuttavia, che l’immediata operatività di tali diritti,
come diritti di pretesa di prestazioni pubbliche possa e debba “essere accertata caso per caso, senza
confondere ciò che è possibile in virtù della sola efficacia normativa della Costituzione con ciò che è
storicamente possibile”39, a seguito di leggi o regolamenti che abbiano assicurato una data disciplina della
materia. Le conclusioni che si possono trarre da un simile, essenziale, richiamo dell’evoluzione
giurisprudenziale della Corte costituzionale nell’assicurare effettività ai diritti sociali, tuttavia, portano a
osservare come le tecniche giurisdizionali utilizzate da parte dei giudici costituzionali sono tali da rendere in
35
Cfr. M. Cartabia, Princìpi inviolabili e integrazione europea, Milano, 1995, nonché (a cura della stessa A.), I diritti in azione. Universalità e
pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti europee, Bologna, 2007.
36
Rimane centrale sul punto il contributo di C. Mortati “Appunti per uno studio sui rimedi giurisdizionali contro comportamenti omissivi del
legislatore”, in Foro italiano, 1970, V, p. 257.
37
Essi vanno dal riconoscimento di un principio di gradualità delle riforme legislative relative ai diritti di prestazione (sentt. n. 173 del 1986 e n.
205 del 1995) a un principio di costituzionalità provvisoria di una data disciplina (sent. n. 826 del 1988), ad un principio di attuazione parziale
incostituzionale di un diritto sociale (sent. n. 215 del 1987), alla necessità di apprezzamento, infine, dei limiti finanziari posti dal bilancio e dalla
necessaria considerazione della discrezionalità del legislatore circa la definizione del quantum delle prestazioni sociali che la Corte deve comunque
valutare secondo un necessario parametro di ragionevolezza (sentt. 180 del 1982 e 455 del 1990 in tema di prestazioni sanitarie (per una trattazione
organica della materia cfr. C. Colapietro, La giurisprudenza costituzionale nella crisi dello Stato sociale, Padova, 1996).
38
È il caso, ad es., della tutela della salute (sentt. 1011 del 1998, 294 e 184 del 1986 e 88 del 1979), del diritto alla casa (sent. 19 del 1994, 404 e
217 del 1988), del diritto al lavoro (sent. 108 del 1994 e 232 del 1989). Cfr. F. Modugno, I ‘nuovi diritti’ nella giurisprudenza costituzionale, Torino,
1995, p. 66.
39
Cfr. A. Pace, op. cit, p. 61 ss.
9
qualche modo mutevole e instabile il grado di effettività assicurato a tali diritti. Le tecniche di bilanciamento
fra interessi egualmente meritevoli di tutela, infatti, portano il Giudice costituzionale a operare una
comparazione continua fra diversi princìpi e valori costituzionali e ciò sulla base dell’assunto secondo cui il
principio della ponderazione o del bilanciamento fra beni costituzionali rappresenta il parametro in base al
quale devono essere determinati i limiti e il contenuto dei diritti fondamentali e tramite il quale vengono
risolti i conflitti che possono insorgere tra beni costituzionalmente contigui. Una prospettiva – quest’ultima –
che porta a cogliere la Corte costituzionale come vero e proprio legislatore positivo, le cui ambiguità tuttora
preoccupano la più attenta dottrina in Italia, come più in generale la dottrina costituzionale europea (e non
solo), quando si pone l’interrogativo sul quis costodiet custodes40.
La questione oggetto della nostra analisi può essere utilmente affrontata richiamando l’orientamento del
Giudice delle leggi nella sent. n. 109/1993. In essa si prevede che l’esercizio del potere statale di concedere
agevolazioni alle imprese a prevalente conduzione femminile trova la sua giustificazione nella “necessità di
assicurare condizioni di uniformità su tutto il territorio nazionale” in ordine all’attuazione di un valore
costituzionale primario, come la realizzazione dell’eguaglianza effettiva delle donne e degli uomini nel
campo dell’imprenditoria. Trattandosi di misure (‘azioni positive’) dirette a superare condizioni di
diseguaglianza fra soggetti (discriminazioni in ragione del sesso), esse “comportano l’adozione di discipline
giuridiche differenziate a favore delle categorie sociali svantaggiate, anche in deroga al generale principio di
parità formale di trattamento, stabilito nell’art. 3 Cost.”. Tali differenziazioni, secondo il ragionamento della
Corte, esigono che “la loro attuazione non possa subire difformità o deroghe in relazione alle diverse aree
geografiche e politiche del paese”. Infatti, se ne fosse messa in pericolo l’applicazione uniforme su tutto il
territorio nazionale, il rischio che le ‘azioni positive’ si trasformino in fattori aggiuntivi di disparità di
trattamento non più giustificate dall’imperativo costituzionale di riequilibrare posizioni di svantaggio sociale
legate alla condizione personale dell’essere donna sarebbe di tutta evidenza. L’indirizzo giurisprudenziale
appena richiamato relativamente alle c.d. ‘azioni positive’ in rapporto al principio di uguaglianza e di
autonomia territoriale conferma una giurisprudenza costante nella quale la Corte esclude o limita le
competenze regionali (sia ordinarie che speciali) ogni qualvolta queste vengano ad incidere su interessi o
diritti fondamentali41. Ciò costituisce una conferma dell’interrogativo su chi sia, nello ‘Stato regionale’, il
garante dell’effettività dei diritti sociali. Problemi costituzionali omologhi si pongono anche in un modello di
Stato federale o di Stato a regionalismo forte, come quello attualmente previsto dal testo di revisione del Tit.
V Cost. Ancora una volta, cioè, è il Giudice delle leggi a essere chiamato a far valere, nell’eventuale
conflitto delle competenze o nella protezione dei diritti di cittadinanza (ma anche dei diritti della persona),
l’effettività di valori e di beni costituzionalmente protetti, limitando l’autonomia politica delle regioni
(ordinarie ma anche speciali) ogniqualvolta il legislatore nazionale, nell’esercizio del suo potere e delle sue
responsabilità, attui forme di tutela destinate ad assicurare l’eguaglianza e la pari dignità dei soggetti su tutto
il territorio e dunque a tutelare la cittadinanza a prescindere dalle articolazioni territoriali/regionali del Paese.
3. Diritti fondamentali (civili e sociali) e riforme costituzionali
Rispetto all’innovato quadro costituzionale che costituisce ora la Repubblica, il legislatore di revisione
costituzionale pare aver rimodulato, sia pure in modo implicito, la stessa nozione di ‘interesse nazionale’ (di
cui all’art. 117, I co., del previgente testo costituzionale), con la previsione di istituti di garanzia posti a
tutela di beni costituzionali quali l’unità giuridica o economica, la tutela dei livelli essenziali delle
prestazioni in materia di diritti civili e sociali, l’incolumità e la sicurezza pubblica, nonché il rispetto degli
obblighi di derivazione comunitaria e internazionale (sanzionati nelle forme del controllo sostitutorio, di
cui all’art. 120, II co., Cost.) 42. Alle stesse finalità, ma in una logica di tipo promozionale dello sviluppo
40
L’analisi della giurisprudenza della Corte costituzionale conferma tale assunto (Sentt. C.C. nn. 11 del 1969; 2 del 1972; 243 del 1974; 243 del
1985; 192 del 1987; 31 del 1983; 219 del 1984; 114 del 1985; 165 del 1986; 210 e 433 del 1987; 532, 633, 1000, 1133 del 1988; 234, 447, 623, 829,
924, 1066 del 1988; 372 del 1989; 49 del 1991; 75 del 1992; 3 del 1991. In dottrina, cfr., almeno, S. Bartole, “In terna di rapporti fra legislazione
regionale e principio di eguaglianza”, in Giurisprudenza costituzionale, 1967, p. 670; A. Cerri, L’eguaglianza nella giurisprudenza della Corte
costituzionale, Milano, 1976, p. 67; F. Sorrentino, “Considerazioni su riserva di legge, principio di eguaglianza ed autonomia regionale nella
giurisprudenza costituzionale”, in M. Occhiocupo (a cura di), La Corte costituzionale fra norma giuridica e realtà sociale, Bologna, 1978; p. 471; A.
D’Atena, “Regioni, eguaglianza e coerenza dell’ordinamento”, in Giurisprudenza costituzionale, 1978, I, p. 1255); S. Bartole, “In tema di rapporti fra
legislazione regionale e principio costituzionale di eguaglianza”, in Giur. cost., 1967, p. 669; L. Paladin, “Un caso estremo di applicazione del
principio di eguaglianza”, in Giur. cost., 1965, p. 620, A. Reposo, “Eguaglianza costituzionale e persone giuridiche”, in Riv. trim. di dir. pub., 1973,
p. 360.
41
Cfr. sent. C.C. n. 40 del 1993 sul rapporto fra azioni positive e principio di eguaglianza. Sul tema in generale cfr. anche G. Grottanelli de’
Santi, “Perequazione, eguaglianza e principi dell’ordinamento”, in Giur. cost., 1978, p. 710.
42
Sul tema il dibattito è stato molto ampio a partire dalla posizione espressa da A. Barbera nel saggio “Chi è il custode dell’interesse nazionale?”,
in Quaderni Costituzionali, 2001, n. 2, p. 345 ss., cui adde, con posizioni diverse, R. Tosi, “A proposito dell’interesse nazionale”, in Quaderni
10
economico, della coesione e della solidarietà sociale, nonché per favorire l’effettivo esercizio dei diritti
della persona, la novellata previsione costituzionale di cui all’art. 119, V co., Cost., prevede che lo Stato
destini risorse aggiuntive ed effettui interventi speciali in favore di determinati comuni, province, città
metropolitane e regioni. L’insieme delle disposizioni appena richiamate, così, esplicita l’intento del
legislatore di revisione di preservare l’interesse nazionale, sia pure rimodulandolo, e di garantire il
principio fondamentale (art. 5 Cost.) secondo cui la Repubblica è “una ed indivisibile”.
A tal fine, nel riparto delle competenze, il novellato testo costituzionale ha assegnato alla competenza
legislativa esclusiva dello Stato “la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti
civili e sociali”, prevedendo, parimenti, che le materie di legislazione concorrente (art. 117, III co., Cost.)
conoscano il limite dei “princìpi fondamentali”, egualmente riservati alla legislazione dello Stato. Lo stesso
limite, a ben vedere, si estende alla potestà legislativa esclusiva (o ‘residuale’) delle regioni (art. 117, IV co.,
Cost.), secondo un criterio di interpretazione logico-sistematica, che respinge l’esercizio delle competenze
regionali ai sensi del IV co. senza l’applicazione alla stessa: a) degli stessi limiti di cui all’art. 117, I co.,
Cost. (rispetto della Costituzione, vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e degli obblighi
internazionali), laddove il ‘rispetto della Costituzione’, sulla base di un’interpretazione sistematica e per
princìpi, deve intendersi come rispetto di tutti i princìpi fondamentali e delle disposizioni costituzionali in
materia di diritti fondamentali; b) dei limiti posti dalle esigenze di unità giuridica e politica e, pertanto, anche
dei ‘livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti civili e sociali’, i quali, per espresso dettato
costituzionale, “devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Diversamente da quanto si stabiliva
nel previgente ordinamento regionale43, il novellato Tit. V Cost. introduce nuove modalità di disciplina dei
diritti sociali e civili, che conservano in capo alle regioni il regime giuridico normativo nonché quello
organizzativo (nelle materie assegnate alla loro competenza) e in capo allo Stato la definizione dei livelli
essenziali di prestazioni, in modo da assicurare un godimento dei diritti non differenziabile sui territori in
ragione dei loro contenuti essenziali. Rispetto al precedente testo, la nuova formulazione dell’art. 117 Cost.
prevede (e consente) ambiti competenziali in materie che hanno riflessi (non scevri di problematicità
interpretative) sui diritti fondamentali, sia sociali che civili44. La quantità e la qualità della nuova allocazione
delle competenze a livello regionale appare comparabile, materialiter, a quella operata nei sistemi federali (e
perfino confederali), differenziandosene per le sole tecniche istituzionali dell’allocazione e della relativa
legislazione attuativa e integrativa. Nell’assegnare alla legislazione esclusiva dello Stato la ‘materia’ – ma
che, non di rado, a ben vedere, costituisce una ‘funzione’, come ha già sottolineato la Corte cost. in più
sentenze (fra cui, soprattutto, n. 282/2002 e n. 407/2002) – della “determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, la novellata disposizione costituzionale si prefigge di
assicurare – in modo esplicito – la garanzia del principio di eguaglianza di fronte alla legge – che è da
intendersi, qui, soprattutto, come eguaglianza di fronte alla Costituzione – “su tutto il territorio nazionale”. Il
legislatore di revisione, cioè, si muove in un quadro teorico-costituzionale nel quale si assume come
definitivamente superato il modello dell’uniformismo e del centralismo al quale ha corrisposto, nella prassi,
una legislazione regionale sostanzialmente omologa. Rispetto ad un simile orizzonte teleologico, si
ponevano, come evenienze possibili, la lesione del principio di eguaglianza dei cittadini (eguaglianza
interpersonale) anche all’interno di ogni singola Regione e (soprattutto) la diseguaglianza con riferimento al
luogo di residenza (eguaglianza interterritoriale)45. Tuttavia, mentre rispetto alla prima situazione appariva
sufficiente, nel senso delle relative garanzie da apprestare, la previsione di cui all’art. 3, I co., Cost.,
potevano risultare senza copertura costituzionale le eventuali diseguaglianze interterritoriali; ciò in
considerazione della realtà socio-politica del Paese, tuttora caratterizzata da una persistente ‘questione
meridionale’ e da un forte divario socio-economico fra Nord e Sud. È soprattutto rispetto a tale possibile
costituzionali, 1/2002, p. 86 ss.; R. Bin, “L’interesse nazionale dopo la riforma: continuità dei problemi, discontinuità della giurisprudenza
costituzionale”, in Le Regioni, 2001, n. 6, p. 1213 ss.; A. Anzon, “Un passo indietro verso il regionalismo ‘duale’”, su Forum-on line, A.I.C.; G.
Falcon, “Modello e transizione nel nuovo Titolo V della II parte della Costituzione”, in Le Regioni, 2001, n. 6, p. 1247 ss.
43
Sul punto cfr., fra gli altri, A. Ruggeri - L. D’Andrea - A. Saitta - G. Sorrenti (a cura di), Tecniche di normazione e tutela giurisdizionale dei
diritti fondamentali, Torino, 2007; A. Ruggeri, “Neo-regionalismo e tecniche di regolazione dei diritti social”, in Diritto e società, 2001, n. 2 e, da
ultimo, dello stesso A., “Neoregionalismo, dinamiche della normazione, diritti fondamentali”, in D. Dominici - G. Falzea - G. Moschella (a cura di),
Il regionalismo differenziato: il caso italiano e spagnolo, Milano, 2004.
44
Cfr. A. Ruggeri, “Neoregionalismo, dinamiche della normazione … cit.; F. Pizzetti, “La tutela dei diritti nei livelli substatuali”, in P. Bilancia E. De Marco (a cura di), La tutela multilivello dei diritti. Punti di crisi, problemi aperti, momenti di stabilizzazione, Milano 2004; E. Rossi, “Principi
e diritti nei nuovi statuti regionali”, in Riv. dir. cost., 2005; M. Belletti, “Diritti costituzionali e regioni”, in R. Nania - P. Ridola (a cura di), I diritti
costituzionali, Torino 2006; S. Gambino, “Regioni e diritti fondamentali. La riforma costituzionale italiana nell’ottica comparatistica”, in S. Gambino
(a cura di), Regionalismo, federalismo, devolution. Competenze e diritti. Confronti europei (Spagna, Germania e Regno Unito), Milano, 2003.
45
La questione è stata bene approfondita dalla dottrina spagnola, di cui cfr., almeno, J. Garcìa Morillo, “Autonomia, asimmetria e principio di
eguaglianza: il caso spagnolo”, in S. Gambino (a cura di), Stati nazionali e poteri locali, Rimini, 1998; G. Ruiz-Rico Ruiz, “Il principio di solidarietà
inter-territoriale nella Costituzione spagnola del 1978” e “Il principio di solidarietà inter-territoriale nella costituzione spagnola del 1978”, ambedue in
M. Scudiero (a cura di), Il diritto costituzionale comune europeo, Napoli, 2002.
11
(ma, come sappiamo, reale) diseguaglianza che costituisce garanzia del diritto di cittadinanza ‘unitaria’ e
‘sociale’ la richiamata previsione di cui alla lettera m dell’art. 117, II co., Cost., nonché la previsione
dell’ulteriore limite costituito dai princìpi fondamentali riservati alla legislazione dello Stato. Tuttavia, se
alle possibili lesioni del principio di eguaglianza interpersonale e interterritoriale (anche in ragione delle
previsioni di cui al novellato art. 116 Cost.) il legislatore di revisione costituzionale ha posto rimedio con le
disposizioni di cui alla lettera m dell’art. 117, II co., Cost., nella stessa ottica (di garanzia della cittadinanza
‘unitaria’ e ‘sociale’) deve ritenersi operante l’intero sistema dei princìpi fondamentali (e fra questi in
particolare il principio personalistico e solidaristico, di cui all’art. 2 Cost.) e delle disposizioni costituzionali
in materia di diritti fondamentali, in quanto patrimonio costituzionale (“principio supremo”, secondo la
definizione del Giudice costituzionale), indisponibile alla stessa revisione costituzionale. Nell’attuazione del
principio di solidarietà, infatti, alla “Repubblica” (intesa come l’insieme di tutti i pubblici poteri, statali e
territoriali) spetta di far valere, a titolo di solidarietà e di coesione sociale, tutte quelle garanzie che
concorrono, con il principio di eguaglianza sostanziale, a superare le diseguaglianze originate nel sistema
economico e sociale, rimuovendone gli squilibri e favorendo l’effettivo esercizio dei diritti della persona. Al
legislatore (statale e regionale) e al rimanente sistema autonomistico della Repubblica, nell’esercizio dei
poteri normativi di cui sono attributari (e di quelli ancora che saranno loro riconosciuti a seguito
dell’attuazione del disposto dell’art. 117, II co, lettera p, Cost.), e nel rispetto del principio di sussidiarietà e
di leale collaborazione, compete di assicurare la tutela dell’unità giuridica (e dell’unità economica), e in
particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo
dai confini territoriali dei governi locali, potendo lo Stato-Governo, in tal senso, sostituirsi agli organi delle
regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni nelle ipotesi normative fissate in Costituzione
(art. 120, ult. co., Cost.), nel rispetto delle procedure di legge relative a tale controllo sostitutorio. Così, se
pure la previsione di cui all’art. 117 Cost., II co., lettera m, in via di principio, poteva apparire non
strettamente necessaria ai fini della tutela dei diritti fondamentali costituzionali – nel novellato ordinamento
regionale e locale, infatti, trovano piena applicazione, come si è già ricordato, i princìpi fondamentali posti a
tutela dell’unità e dell’indivisibilità della Repubblica e le relative garanzie costituzionali –, tale disposizione
costituzionale trova la sua motivazione nell’esigenza di rendere esplicito che il quadro costituzionale dei
princìpi fondamentali non ha registrato modifiche sostanziali. In tale quadro, l’ordinamento costituzionale
registra i soli limiti – ormai pienamente costituzionalizzati nell’art. 117, I co., Cost. – posti dal rispetto della
Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, questi
ultimi, in ogni caso, fatti valere nel rispetto dei princìpi e dei diritti fondamentali (secondo la non superata
dottrina dei ‘controlimiti’ argomentata dal nostro Giudice delle leggi). Si tratta di una norma – quest’ultima –
che esplicita, in modo meno precario di quanto non fosse consentito dalla vaghezza delle formule di cui
all’art. 11 Cost., il vincolo della conformazione agli obblighi posti dal diritto internazionale e dal diritto
comunitario. Si tratta – soprattutto nel caso di quest’ultimo –, come è ben noto, di un diritto nato per
assicurare l’unità del mercato a livello europeo ed a tal fine la libertà di circolazione delle merci, delle
persone e dei capitali, che, in prosieguo, si è aperto al riconoscimento dei princìpi di libertà, di democrazia,
di rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dello Stato di diritto, in quanto princìpi e
tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (art. 6 TUE) e garanzie assicurate dalle carte internazionali
dei diritti (fra cui soprattutto rileva la CEDU)46.
Tanto essenzialmente richiamato, può ora sottolinearsi come le questioni interpretative sollevate dall’art.
117 Cost, II co., lettera m, concernono non tanto la ratio della disposizione citata quanto piuttosto i relativi
contenuti materiali, e quindi la tipologia dei diritti civili e sociali (categoria per la prima volta entrata nel
lessico costituzionale47), da garantirsi su tutto il territorio nazionale nei “livelli essenziali” delle relative
prestazioni. La legislazione regionale concorrente nelle nuove materie di cui risulta attributaria –
significativamente implementata rispetto al previgente art. 117 Cost. – e quella attribuita residualmente, cioè,
dovrà esercitarsi – con le possibili differenziazioni di status delle regioni – senza mettere in questione lo
statuto della cittadinanza48, che dovrà restare ‘nazionale’ e ‘sociale’, in tal modo assicurandosi, da parte del
complesso dei soggetti ora costituenti la Repubblica, i livelli essenziali di prestazioni in materia di diritti
civili e sociali, nonché l’inderogabilità dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale tra i soggetti e
46
Sul punto, di recente, cfr. anche il nostro “La Carta e le Corti costituzionali. ‘Controlimiti’ e ‘protezione equivalente’”, in Politica del diritto,
2006, n. 3.
47
Cfr. G.U. Rescigno, “I diritti civili e sociali fra legislazione esclusiva dello Stato e delle regioni”, in S. Gambino (a cura di), Il ‘nuovo’
ordinamento regionale. Competenze e diritti. Confronti europei (Spagna, Germania e Regno Unito), Milano, 2002.
48
Sul punto cfr. anche il nostro “Il sistema normativo nella Repubblica delle autonomie”, in A. Piraino (a cura di), La funzione normativa di
comuni, province, città metropolitane nel nuovo sistema costituzionale, Palermo, 2002.
12
le diverse aree del Paese49. Nel suo fondarsi su una divaricazione ‘innaturale’ tra materie (e potestà/funzioni),
da un lato, ed interessi, dall’altro, il riparto operato dal legislatore di revisione costituzionale appare
complesso, confuso e perfino “ingenuo” nella sua “pretesa” di fermare il moto irreversibile degli interessi a
base dell’ordinamento50. Ancora una volta, così, saranno lo sforzo dell’interprete, i giudici e soprattutto il
Giudice delle leggi a (dover) comporre in un quadro di compatibilità costituzionali le opzioni differenziate
(nel tempo e nello spazio) del legislatore statale e di quello regionale. Fondamentale ai fini di tale
ricomposizione (dottrinaria e giurisprudenziale), risulterà, in particolare, la previsione di cui alla lettera m
dell’art. 117, II co., Cost.51
L’interpretazione dei contenuti materiali dell’art. 117 Cost. in materia di diritti (civili e sociali), tuttavia,
rinvia a letture fra loro differenziate, a seconda che prevalga o meno un orientamento culturale e istituzionale
di discontinuità rispetto alla disciplina della materia nel previgente ordinamento. La questione nasce dalla
individuazione dei limiti cui risulta sottoposta la potestà legislativa regionale concorrente – alla cui soluzione
provvede in modo esplicito il legislatore di revisione costituzionale quando limita tale potestà alla
determinazione (con leggi dello Stato) dei “princìpi fondamentali” – ma soprattutto dalla questione circa la
estensibilità o meno di tali vincoli alla stessa potestà legislativa residuale o esclusiva delle regioni. In tal
senso, risulta pienamente convincente quell’orientamento dottrinario che invoca la finalità garantistica di
tutela del bene costituzionale dell’unità, ed in particolare la protezione delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali a prescindere dai confini territoriali dei governi locali, come titolo di legittimazione della
potestà legislativa statale a giustificare l’eventuale intervento, oltre che attraverso princìpi fondamentali
anche attraverso una specifica disciplina. In conclusione, siamo in presenza di un nuovo quadro
costituzionale e legislativo, nel quale si apre per le regioni un nuovo ambito regolativo e di garanzie in
ordine alla materia dei diritti (civili e sociali) ma, al contempo, si conferma per lo Stato la competenza ad
intervenire in tale disciplina regionale sia attraverso la statuizione di princìpi fondamentali della materia che
attraverso regole legislative (sia pure non di dettaglio). Pur potendo, dunque, la riforma costituzionale
apparire come operante nel segno della (sostanziale) continuità, l’angolo di osservazione dei diritti civili e
sociali dischiude un quadro ordinamentale regionalistico/autonomistico valorizzato nell’ambito dei suoi
poteri e fra questi – diversamente da quanto era previsto nel previgente ordinamento – da ambiti normativi
che si estendono alla stessa materia dei diritti civili e sociali. Tali poteri conoscono un limite negativo nel
loro esercizio, nel senso che le regioni, sia nell’esercizio della potestà legislativa concorrente che in quella
residuale/esclusiva, conoscono il limite costituito dall’obbligo di conformazione ai princìpi fondamentali e
alle stesse regole legislative statali poste a garanzia dei beni fondamentali di cui alla lettera m e all’art. 120,
II co., Cost. È però da dirsi che in materia sono state proposte altre interpretazioni. In una prima
l’essenzialità di cui alla lettera m viene interpretata come “contenuto minimo essenziale”52. Conforterebbe
una tale lettura lo stesso approccio comparatistico e comunitario nel quale si rinviene, come clausola
generale, quella del “contenuto minimo essenziale” dei diritti fondamentali (è il caso, ad es., dell’art. 19 della
LFB, dell’art. 53.1 della Costituzione spagnola, dell’art. 18.3 della Costituzione portoghese, dell’art. 52.1
della Carta europea dei diritti fondamentali). Più motivata e convincente appare a noi l’altra lettura che
sottolinea l’irriducibilità (anche semantica) del termine “essenziale” a quello di “minimo” e ciò – oltre che
sulle disposizioni costituzionali positivizzate nella Prima Parte della Costituzione – sulla base di una
interpretazione logico-sintattica e sistematica del novellato testo costituzionale, nella quale, accanto alle
disposizioni della lettera m, si collocano quelle dell’art. 119 Cost., V co., e dell’art. 120 Cost., II co. Tale
lettura si pone in linea con le più autorevoli interpretazioni della Costituzione magis ut valeat53. Il termine
“essenziale”, in questa ottica, va piuttosto letto come formula relazionale54. Una conferma di tale
49
Così A. Cantaro, “Stato federale, eguaglianza e diritti sociali”, Relazione al Seminario “Quale federalismo: le proposte e i modelli”, Milano, 7
luglio 1994 (paper).
50
Cfr. A. Ruggeri, “Neo-regionalismo e tecniche … cit., p. 199.
51
Ult. op. cit., p. 201
52
Così I. Massa Pinto, “Contenuto minimo essenziale dei diritti costituzionali e concezione espansiva della Costituzione”, in Diritto pubblico,
2001.
53
Per una bibliografia essenziale sul punto cfr., almeno, M. Dogliani, Interpretazioni della Costituzione, Milano, 1982; P. Barile, La Costituzione
come norma giuridica, Firenze, 1951; V. Crisafulli, La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano, 1952: L. Gianformaggio,
“L’interpretazione della Costituzione tra applicazione di regole e argomentazione basata sui princìpi”, in Rivista internaz. di filosofia del diritto, 1985,
G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Torino, 1992.
54
Cfr. M. Luciani, “La tutela costituzionale dei livelli essenziali di assistenza”, Relazione al Seminario “I livelli essenziali di assistenza nella
Costituzione. Doveri dello Stato, diritti dei cittadini”, Roma, 12 marzo 2002, p. 49; L. Principato, “L’immediata precettività dei diritti sociali ed il
‘contenuto minimo’ del diritto fondamentale alla salute”, in Giur. cost. 1998, n? 6, p. 3853 ss.; L. Principato, “I diritti costituzionali e l’assetto delle
fonti dopo la riforma dell’art. 117 della Costituzione”, in Giur. cost., 2002, n. 2, p. 1169 ss.. Cfr. anche sent. T.A.R. Lazio, sez. III-ter, n. 6252 del 10
luglio 2002, secondo cui “ … la fissazione dei LEA sanitari afferisce, quindi, ancor prima che alla tutela operativa del diritto alla salute,
all'individuazione del contenuto stesso del diritto alla salute che l'ordinamento generale deve garantire a chicchessia ed ovunque nel territorio e,
perciò, prevale sulla legislazione concorrente regionale in materia sanitaria” (per un commento della sentenza cfr. anche E. Bonelli, “In tema di
13
interpretazione è rinvenibile, infatti, nella considerazione secondo cui la natura dei “livelli essenziali delle
prestazioni” non riguarda solo i diritti sociali ma include anche quelli civili, che, per consolidata dottrina –
benché essi stessi diritti che ‘costano’ – non possono conoscere una riduzione/degradazione dei relativi
contenuti. D’altra parte, la disposizione costituzionale di cui all’art. 120 Cost., II co. – nel suo farsi carico
delle ricadute organizzativo-amministrative (servizi pubblici) di tali prestazioni, che sono erogate, oltre
che dallo Stato, dalle regioni e dagli altri enti autonomi della Repubblica, e nell’individuare la tutela dei
“livelli essenziali” delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale –
conforta una lettura dell’‘essenzialità’ non ridotta al “contenuto minimo”. Con ciò si conferma una
possibile, convincente, lettura di un non scomparso ‘interesse nazionale’, da ritenersi come vero e proprio
titolo abilitativo statale ad intervenire su tutte le materie (riallocate ai sensi dell’art. 117 Cost.). Certo, non
siamo in presenza della stessa nozione di ‘interesse nazionale’ di cui al previgente ordinamento regionale,
in quanto l’interesse ‘nazionale’ di cui ora trattasi è l’interesse tipizzato nelle sue fattispecie, anche se
queste ultime, a loro volta, meritevoli di interpretazione. Nel fondo, e a conferma degli orientamenti
appena richiamati, rimane che le chiavi di volta di questo difficile equilibrio stanno nel valore della
solidarietà e negli strumenti della perequazione finanziaria (art. 119, III co., Cost.)55.
Possiamo concludere, così, sottolineando come il rischio di uno scivolamento verso il basso dei contenuti
della nuova disciplina delle prestazioni essenziali in materia di diritti civili e sociali, e con esso di un difficile
limite da opporre all’“arbitrio delle maggioranze” (parlamentari e regionali) nel tempo, può e deve ritenersi
superato. Ciò può e deve farsi attingendo alle più avanzate (e motivate) interpretazioni della Costituzione
magis ut valeat, nonché alla stessa giurisprudenza costituzionale che, nelle tecniche giurisdizionali fin qui
utilizzate, ha saputo dare prova di equilibrio (ma anche di prudenza) nel bilanciamento dei beni costituzionali
di volta in volta coinvolti nel processo costituzionale, comprensivo sia della necessaria gradualità
nell’attuazione legislativa, sia dello stesso rispetto della discrezionalità del legislatore. Né, d’altronde,
potrebbe essere altrimenti in uno Stato caratterizzato da una Costituzione rigida, nel quale la materia dei
‘contenuti essenziali’ si ricollega in modo stretto ed indissolubile a quella dei ‘princìpi supremi’ e dei diritti
inviolabili dell’uomo, come la dottrina e la giurisprudenza costituzionale (soprattutto, sent. n. 1146/1988)
assumono quando richiamano la sottrazione della relativa disciplina costituzionale allo stesso potere di
revisione costituzionale. La questione, così richiamata (sia pure nei suoi termini essenziali), pertanto, non
pone problemi interpretativi quando si faccia riferimento al ‘contenuto essenziale’ dei diritti di libertà
classici (‘libertà negative’). Qualificandosi la protezione di tali diritti non in modo assoluto ma con il
necessario bilanciamento reciproco (essi infatti non sono da considerare in modo assolutistico, ma come
“diritti fra diritti”), il contenuto degli stessi non può essere predeterminato a priori ma solo ex post, in
ragione dello scrutinio costituzionale della irragionevolezza delle disposizioni legislative eventualmente
limitatrici. La questione, al contrario, resta posta con riferimento alla delicata e complessa questione della
individuazione del ‘contenuto essenziale’ dei diritti sociali, per la cui esistenza giuridica si richiede come
condizione necessaria l’interpositio legislatoris e l’adozione di misure organizzative necessarie alla relativa
implementazione amministrativa. Pur nel rispetto del principio di gradualità e del bilanciamento con altri
beni o interessi costituzionalmente protetti, è ragionevole chiedersi se la garanzia costituzionale riguardi il
‘contenuto essenziale’ dei diritti con riferimento alla mera esistenza degli stessi, oppure, in senso contrario,
se tale tutela non debba anche estendersi al quantum (standard) dei diritti medesimi. Lo scrutinio della
copiosa giurisprudenza costituzionale fa propendere per la prima soluzione, limitandosi tale controllo
costituzionale a non mettere in questione la necessaria discrezionalità del legislatore nel dare attuazione ai
princìpi ed ai diritti fondamentali. Se è vero che tale discrezionalità conosce il limite della “riserva del
ragionevole e del possibile”, come osserva la stessa Corte, ne segue che “la determinazione legislativa di
ciò che ha da essere l’indennizzo equo (e noi possiamo intendere come contenuto essenziale del diritto)
potrebbe essere oggetto di censura in sede di giudizio di legittimità costituzionale solo in quanto risultasse
tanto esiguo da vanificare, riducendolo ad un nome privo di concreto contenuto, il diritto all’indennizzo
stesso” (sent. n. 27/1998). Se ne può trarre la conclusione, non certo esaltante per l’orientamento fin qui
sviluppato, che la stessa giurisprudenza costituzionale in materia di contenuto essenziale dei diritti sociali
non sempre pare assicurare una tutela più salda e stabile di quanto non riesca a fare con le sue scelte
politiche il legislatore (un tempo solo statale, oggi anche regionale). Ma – per riprendere il ragionamento
sviluppato in precedenza – se la Costituzione è costituita da un insieme di valori articolati e positivizzati in
princìpi fondamentali ed in disposizioni di protezione, è a una interpretazione necessariamente “per princìpi”
attuazione del nuovo titolo V della Costituzione: la problematica redistribuzione della funzione legislativa ed amministrativa”, in Riv. amm. Rep. it.,
2002, nn. 5-6.
55
Ult. op. cit. pp. 23- 24, cui adde anche F. Puzzo, Il federalismo fiscale, Milano, 2002; E. Jorio, Attuazione del federalismo fiscale per regioni,
enti locali, sanità, Rimini, 2007.
14
e non solo “per regole” che l’interprete, e a fortiori il Giudice delle leggi, deve ricorrere se non vuole
disattendere il mandato costituzionale cui lo stesso è chiamato nel rendere vivente un patrimonio
costituzionale di garanzie, che, pur diffondendosi in un’eterogeneità di disposizioni, solo attraverso una
interpretazione sistematica ed evolutiva può conoscere la sua piena ricostruzione e con essa la relativa
vigenza nella ‘Costituzione vivente’. Tale orientamento, come si può cogliere, assegna all’interprete
(dottrina e Giudice costituzionale) un ruolo di garante dei contenuti essenziali dei diritti fondamentali, intesi
non come astratte categorie metafisiche ma come il “prodotto di una congerie di atteggiamenti pratici
rispetto a criteri di condotta”56, cioé come risultato di una lettura stratificata e consolidata della Costituzione,
ponendo in tal modo un paletto verso il basso nell’individuazione del ‘contenuto essenziale’ dei diritti. Un
paletto che – nel rispetto di princìpi e disposizioni inviolabili (e pertanto inderogabili) – deve valere tanto per
il legislatore (statale e regionale) nella sua discrezionalità politica, tanto per il Giudice costituzionale nel
bilanciamento secondo ragionevolezza.
4. La protezione multilevel dei diritti fondamentali (fra Costituzione, trattati e giurisdizioni)
Nei suoi diversi profili, così, il “diritto costituzionale europeo”, che è da tempo in via di lenta (ancorché
contrastata) formazione, evidenzia due fondamentali, distinte, componenti. Una prima – più immediata da
cogliere – è data dal diritto comunitario che penetra, anche sulla base della creazione giurisprudenziale
comunitaria di princìpi generali, in tutti i diritti positivi nazionali e la cui prevalenza e diretta applicabilità
risulta da tempo consolidata nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, conoscendo i soli limiti
dell’eventuale contrasto con i diritti fondamentali (soprattutto sociali) costituzionalmente garantiti dai singoli
Stati. Sulla seconda ci soffermeremo in seguito, sottolineando luci e ombre della tutela dei diritti
fondamentali a livello comunitario57, fra prospettive di una giurisprudenza europea di tipo pretorio e
incertezze del processo di positivizzazione normativa dei diritti fondamentali, il cui approdo (prima del
Trattato costituzionale ed ora della sua riforma a Lisbona) è costituito dalla Carta europea dei diritti
fondamentali proclamata a Nizza (il 7 dicembre 2000), un documento politico che ha ambìto a divenire
strumento giuridico di tutela effettiva degli stessi e, al contempo, vero e proprio Bill of rights del
costituzionalismo comunitario58 e del relativo ‘Trattato che istituisce una Costituzione europea’, nonché del
più recente Trattato modificativo (approvato dai 27 Paesi membri nella riunione di Lisbona del 18/19 ottobre
2007 e firmato il 13 dicembre 2007).
Cfr. G. Zagrebelsky, Il diritto mite … cit.
Fra gli altri, sul punto, cfr, almeno, M. Cartabia, Princìpi inviolabili e integrazione europea, Milano, 1995 e della stessa “I diritti fondamentali
e la cittadinanza dell’Unione”, in F. Bassanini - G. Tiberi, La Costituzione europea. Un primo commento, Bologna, 2004; S. Gambino, “Cittadinanza
e diritti sociali fra neoregionalismo e integrazione comunitaria”, in Quaderni costituzionali, 2003, n. 1; S. Gambino, “Los derechos fundamentales
comunitarios: entre Tribunal de Justicia de la Comunidad Europea, tratados y Bill of rights”, in Revista Vasca de Administracion publica, 2003, Vol.
65 (II); V. Lippolis, “La cittadinanza europea”, in Quaderni costituzionali, 1993, n. 1, p. 136; G. Zagrebelsky (a cura di), Diritti e Costituzione
nell’Unione europea, Roma-Bari, 2003; O. De Schutter, “La garanzia dei diritti e principi sociali nella Carta dei diritti fondamentali”, in G.
Zagrebelsky, Diritti e Costituzione nell’Unione Europea, Roma-Bari, 2003; O. De Schutter, “Les droits fondamentaux dans le projet européen”, in O.
de Schutter - P. Nihoul, Une Constitution pour l’Europe, Bruxelles, 2004; U. De Siervo, “I diritti fondamentali europei e i diritti costituzionali italiani
(a proposito della Carta dei diritti fondamentali)”, in G. Zagrebelsky (a cura di), Diritti e Costituzione… cit.; A. Pizzorusso, Il patrimonio
costituzionale europeo, Bologna, 2002).
58
Nell’ampia bibliografia antecedente a queste modifiche cfr. anche S. Gambino (a cura di), Costituzione italiana e diritto comunitario, Milano,
2002; C. Pinelli, Il momento della scrittura, Bologna, 2002; S. Rodotà, “La Carta come atto politico e documento giuridico”, in AA.VV. (A. Manzella
- P. Melograni - E. Paciotti - S. Rodotà), Riscrivere i diritti in Europa, Bologna, 2001; R. Bifulco - M. Cartabia - A. Celotto, Commento alla Carta
dei diritti fondamentali dell’UE, Bologna, 2001; L.S. Rossi, “‘Constitutionnalisation’ de l’Unione européenne et des droits fondamentaux”, in
R.T.D.E., 2002, 1, p. 27, nonché Carta dei diritti fondamentali e Costituzione dell’Unione europea, Milano, 2002; A. Pace, “A che serve la Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione Europea? Appunti preliminari”, in Giur. cost., 2001, p. 194; A. Barbera, “La Carta europea dei diritti e la
Costituzione italiana”, in AA.VV. (Atti della giornata di studio in memoria di Paolo Barile, Firenze 25 giugno 2001), La libertà e i diritti nella
prospettiva europea, Padova, 2002; G. Tesauro, “Il ruolo della Corte di Giustizia nella elaborazione dei princìpi generali dell’ordinamento europeo e
dei diritti fondamentali”, in AA.VV. (A.I.C.), La Costituzione europea, Padova, 2000; G. Recchia, “Corte di Giustizia delle Comunità europee e
tutela dei diritti fondamentali nella giurisprudenza costituzionale italiana e tedesca. Verso un ‘catalogo’ europeo dei diritti fondamentali?”, in
AA.VV., La Corte costituzionale tra diritto interno e diritto comunitario, Milano, 1991; G. Gaja, “Aspetti problematici della tutela dei diritti
fondamentali nello ordinamento comunitario”, in Riv. di diritto internazionale, 1988; E. Pagano, “I diritti fondamentali nella Comunità europea dopo
Maastricht”, in Il diritto dell’Unione Europea, 1996, n. 1; L. Scudiero, “Comunità europea e diritti fondamentali: un rapporto ancora da definire”, in
Rivista di diritto europeo, 1996.
56
57
15
4.1. Diritto costituzionale e ordinamenti sovranazionali: princìpi supremi e diritti fondamentali
costituzionali come limiti all’integrazione con altri ordinamenti
Nel dibattito costituente e dottrinario svolto nel Paese si era già affermato un orientamento prevalente in
merito all’esistenza di limiti materiali operanti nei rapporti fra l’ordinamento costituzionale interno e gli altri
ordinamenti (soprattutto quello canonico e quello comunitario) nonché in riferimento alla stessa revisione
costituzionale. Tale orientamento risulta pienamente affermato nella sentenza n. 1146 del 1988 della Corte
costituzionale. Se ne ripercorrerà ora il percorso evolutivo, sia pure brevemente, per concludere con il
richiamo della prevalente dottrina costituzionale intervenuta nell’analisi della questione, fino ai giorni nostri,
riflettendo, nel prosieguo della riflessione, soprattutto sui rapporti fra ordinamento costituzionale e quello
dell’Unione rispetto al parametro del limite dei princìpi e dei diritti fondamantali nella stessa ottica volta a
interrogarsi sull’efficacia ermeneutica della c.d. dottrina dei ‘controlimiti’. Tanto richiamato, e prima ancora
di procedere all’analisi dell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale italiana in materia, appare
necessario porsi l’interrogativo sul fondamento della qualificazione come inviolabili dei diritti fondamentali
e se possa individuarsi compiutamente il contenuto dei princìpi supremi della Costituzione, per come
riconosciuti dal Giudice delle leggi, quali fondamento dei diritti inviolabili59. D’altra parte, nell’ordinamento
italiano, diversamente da altri, la forza giuridica della garanzia dei diritti fondamentali, che si fonda sullo
stesso rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali (e si accompagna con quello comunitario, in
un’ottica di multilevel constitutionalism60), ha di proprio e specifico quello della fonte (legislativa ordinaria,
sia pure atipica, secondo una diffusa e convincente interpretazione) che recepisce nel diritto interno la
protezione internazionale, offrendosi a svolgere soprattutto una funzione ermeneutica nei confronti delle
stesse disposizioni costituzionali positive sui diritti fondamentali61. Omologo analisi può farsi, come si dirà
in seguito, per la protezione a livello di U.E. dei diritti fondamentali e del dialogo fra le Corti, nel quale
soccorre, comunque, la nota giurisprudenza sui ‘controlimiti’, per sottolineare che, se la C.G.U.E. ha
proceduto a una ricostruzione pretoria del diritto costituzionale dell’Unione (in assenza di parametri specifici
positivizzati nei relativi trattati)62, il Giudice delle leggi interno ha comunque ribadito l’esistenza di princìpi
supremi del sistema costituzionale che si pongono come limite alla piena operatività nel diritto interno del
diritto dell’Unione, tanto primario che derivato63. Giungendo al merito dell’analisi che ora ci occupa, è da
sottolinearsi come le diverse letture che precedono non possano che far rinvenire, all’interno della
Costituzione, e a prescindere dalle regole che ne disciplinano il cambiamento, una serie di princìpi
fondamentali qualificativi della architettura e della fisionomia, in una parola della struttura e dell’identità
dell’intero ordinamento costituzionale64. L’individuazione puntuale di tali princìpi, tuttavia, appare molto più
complessa e anche problematica nei suoi esiti. Sul punto, tuttavia, non può non convenirsi con quelle
autorevoli interpretazioni che individuano come princìpi fondamentali/supremi non tutti i principi e i diritti
fondamentali positivizzati nel testo costituzionale bensì il solo loro ‘contenuto essenziale’65. Nella prima
fattispecie, l’individuazione dei princìpi supremi opera a mo’ di garanzia, opponendo specifici ‘controlimiti’
nel rapporto fra ordinamenti sovrani, benchè separati e reciprocamente integrati; nella seconda, gli stessi
aiutano a fissare, identificandoli come suo architrave, princìpi di caratterizzazione del sistema costituzionale
59
Sul punto appare condivisibile quell’autorevole orientamento dottrinario che parla comunque di un “carattere relativo dei limiti sostanziali
della revisione” (Cfr. L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, p. 154), sottolineandosi, al contempo, che “l’idea di un nucleo
costituzionale iperrigido” (ult. op. cit., p. 155) assume senso e contenuto forte nelle sole costituzioni che prevedano una garanzia della loro rigidità.
60
Fra gli altri, sul punto, cfr. F. Sorrentino, “La tutela multilivello dei diritti”, in AA.VV. (Atti Convegno A.I.C, 2004), in
www.associazionedeicostituzionalisti.it. Sul punto cfr. inoltre le recenti sentt. nn. 348 e 349 del 2007, sulle quali cfr. A. Ruggeri, “La CEDU alla
ricerca di una nuova identità, tra prospettiva formale-astratta e prospettiva assiologia-sostanziale d’inquadramento sistematico (a prima lettura di
Corte cost. nn. 348 e 349 del 2007)”, in Forum di Quaderni costituzionali, 2007.
61
Come è dimostrato dal ricorso che ne fa il Giudice delle leggi in moltissime motivazione delle sue decisioni, fra cui cfr. almeno sentt. 127/77;
128/87; 404/88; 50 e 103/89; 62 e 278/92; 168/94 e più d irecente nelle sentt. nn. 348 e 349 del 2007. In dottrina, fra gli altri, cfr. F. Modugno, I
‘nuovi diritti’ nella giurisprudenza costituzionale, Torino, 1995; dello stesso Autore cfr. anche “Il problema dei limiti alla revisione costituzionale (in
occasione di un commento al messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica del 26 giugno 1991”, in Giur. cost., 1992; “I princìpi
costituzionali supremi come parametro nel giudizio di legittimità costituzionale”, in AA.VV. (a cura di F. Modugno - A.S. Agrò - A. Cerri), Il
principio di unità del controllo sulle leggi nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Torino, 2002; “Qualche interrogativo sulla revisione
costituzionale e i suoi possibili limiti”, in Studi in onore di Gianni Ferrara, Torino, 2005.
62
Cfr. A Pizzorusso, Il patrimonio costituzionale europeo, Bologna, 2002, nonché S. Gambino (a cura di), Costituzione italiana e diritto
comunitario. Princìpi e tradizioni costituzionali comuni. La formazione giurisprudenziale del diritto costituzionale europeo, Milano, 2002; S.
Gambino, “Diritti fondamentali, costituzioni nazionali e trattati comunitari”, in S. Gambino (a cura di), Trattato che adotta una … cit.
63
Fra gli altri, sul punto, cfr. anche S. Gambino, “La Carta e le Corti costituzionali. ‘Controlimiti’ e ‘protezione equivalente’”, in Politica del
diritto, 2006, n. 3.
64
Come è stato bene osservato, “questi princìpi non soltanto debbono ritenersi immodificabili per vie legali, ma si pongono come assolutamente
condizionanti l’intero ordinamento, si irradiano in esso e lo pervadono, al punto che da essi non possa mai prescindersi, che con essi si debba
necessariamente fare i conti, quali che siano le regoli legali che lo costituiscono” (cfr. F. Modugno, I ‘nuovi diritti’ … cit., p. 93).
65
Cfr. A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali, Padova, 2003, p. 45 ss.
16
complessivo, ancorché al loro interno il Giudice delle leggi dovrà operare quel necessario (‘mite’,
ragionevole, ‘giusto’) bilanciamento nell’accordare le previste protezioni costituzionali. Costituisce un buon
esempio della prima ipotesi richiamata il rapporto fra ordinamento canonico e quello costituzionale rispetto
alla valenza del principio di eguaglianza, nel quale quest’ultimo appare chiaramente cedevole nei confronti
della legislazione concordataria e ciò in ragione dell’efficacia derogatoria accordata dall’art. 7 Cost.66 e in
modo implicito dall’art. 11 Cost.67. Un altro insieme di decisioni della Corte appare particolarmente utile da
richiamare ai fini dell’analisi che si sta qui svolgendo circa l’individuazione di princìpi supremi da parte del
Giudice delle leggi. Sono quelle sentenze che vanno a disciplinare le antinomie (se non vere e proprie
confliggenze) fra diritto interno e diritto dell’Unione. Capofila di tali pronunce è la sentenza n. 183 del
197368 (ma anche, fra le altre, la sent. n. 170 del 1984), nella quale la Corte inizia ad affermare in modo netto
ciò che ripeterà più volte in seguito, e cioè che le norme dell’Unione non possono violare i princìpi
fondamentali del nostro ordinamento costituzionale o i diritti inalienabili della persona umana.
La giurisprudenza costituzionale italiana in tema di contrasto fra norme dell’Unione e princìpi supremi
dell’ordinamento costituzionale, come si vedrà meglio in seguito, rinvia a un controllo di costituzionalità che
si estende a qualsiasi norma del Trattato per come interpretata e applicata dalle istituzioni dell’U.E.69.
Centrale ai fini dell’analisi di tale problematica è il richiamo della giurisprudenza costituzionale italiana in
tema di diritti fondamentali con riferimento ai relativi rapporti (di primato e diretta applicabilità) con il
diritto dell’Unione. In tale ottica, nella sentenza Frontini70, la Corte costituzionale, pur confermando
pienamente i princìpi del primato e della diretta applicabilità del diritto dell’Unione, oppone nette riserve per
quanto attiene ai diritti fondamentali, sottolineando il carattere eminentemente strumentale della protezione
dei diritti fondamentali da parte della Corte medesima. Offrendo più di un’argomentazione a sostegno del
suo persistente rifiuto a ricorrere alla C.G.U.E. mediante rinvio pregiudiziale, il Giudice costituzionale
afferma, al contempo, la necessarietà di un suo sindacato a protezione della intangibilità dei princìpi supremi
dell’ordinamento costituzionale e del “nucleo essenziale” dei diritti ivi garantiti in ogni ipotesi in cui la
prevalenza del diritto dell’Unione apparisse in contrasto con tale ‘controlimite’ costituzionale. Un decennio
dopo questa prima sentenza, nel caso Granital71, il Giudice delle leggi ribadiva l’esistenza di tali
‘controlimiti’ nel quadro di una ricostruzione in senso dualistico dei rapporti fra l’ordinamento comunitario e
quello statale. Trattasi – secondo tale giurisprudenza – di due sistemi configurati come “autonomi e distinti
ancorché coordinati”, secondo la ripartizione di competenza stabilita e garantita dal Trattato. Nella dottrina
della Corte72, la forza giuridica alla base della preminenza del diritto dell’Unione sul diritto interno può
pacificamente individuarsi nell’art. 11 Cost.73 L’assunzione di un principio che vede i due ordinamenti
distinti, e al contempo coordinati, porta la Corte a ribadire come – appartenendo la fonte dell’U.E. ad altro
ordinamento – “le norme da esso derivanti vengono, in forza dell’art. 11 Cost., a ricevere diretta applicazione
nel territorio italiano, ma rimangono estranee al sistema delle fonti interne: e se così è, esse non possono, a
rigor di logica, essere valutate secondo gli schemi predisposti per la soluzione dei conflitti tra le norme del
nostro ordinamento”74. La ricostruzione dualistica di tali rapporti e, al suo interno, la richiamata primazìa del
diritto dell’Unione, tuttavia, non è tale, per la Corte, da potersi ipotizzare una sottrazione alla sua
competenza dell’intero settore dei rapporti fra diritto dell’Unione e diritto interno. Come lo stesso Giudice
delle leggi sancisce, infatti, “questo collegio ha, nella sentenza 183/1973, già avvertito come la legge di
esecuzione del Trattato possa andar soggetta al suo sindacato, in riferimento ai princìpi fondamentali e ai
diritti inalienabili della persona umana, nell’ipotesi contemplata, sia pure come improbabile al numero 9
66
Si ricordano, in tal senso, almeno le sentt. nn. 30, 31 e 32 del 1971; le sentt. nn. 195 del 1972, 175 del 1973, 16 e 18 del 1982, 203 del 1989.
Cfr. anche S. Gambino - G. Moschella, “L’ordinamento giudiziario fra diritto comparato, diritto comunitario e C.E.D.U.”, in Politica del
diritto, 2005, n. 4.
68
Sent. Corte cost. n. 183 del 1973: “Occorre, d’altro canto, ricordare che la competenza normativa degli organi della CEE è prevista dall’art. 189
del Trattato di Roma limitatamente a materie concernenti i rapporti economici, ossia a materie in ordine alle quali la nostra Costituzione stabilisce
bensì la riserva di legge o il rinvio alla legge, ma le precise e puntuali disposizioni del Trattato forniscono sicura garanzia, talché appare difficile
configurare anche in astratto l’ipotesi che un regolamento comunitario possa incidere in materia di rapporti civili, etico-sociali, politici, con
disposizioni contrastanti con la Costituzione italiana. È appena il caso di aggiungere che in base all’art. 11 della Costituzione sono state consentite
limitazioni di sovranità unicamente per il conseguimento delle finalità ivi indicate; e deve quindi escludersi che siffatte limitazioni, concretamente
puntualizzate nel Trattato di Roma — sottoscritto da Paesi i cui ordinamenti s’ispirano ai princìpi dello Stato di diritto e garantiscono le libertà
essenziali dei cittadini —, possano comunque comportare per gli organi della CEE un inammissibile potere di violare i princìpi fondamentali del
nostro ordinamento costituzionale, o i diritti inalienabili della persona umana”. Sul punto cfr. anche G. Recchia, “Osservazioni sul ruolo dei diritti
fondamentali nell’integrazione europea”, in Diritto e società, 1991, n. 4, p. 133 ss.
69
In particolare nella sent. cost. n. 232/1989.
70
Corte cost., sent. n. 183, del 27 dicembre 1973.
71
Corte cost., sent. 170, dell’8 giugno 1984.
72
Che si richiama a quanto la stessa aveva già affermato nella sent. n. 183 del 1973.
73
Considerato in diritto, 4.
74
Considerato in diritto, 4.
67
17
della parte motiva di detta pronuncia”75. Con tale giurisprudenza si chiarisce, al contempo, come la Corte
escluda la sua competenza a far valere la compatibilità del diritto interno rispetto a quello dell’Unione
riconoscendo tale competenza ai soli giudici ordinari, nonché agli altri soggetti cui compete di dare
esecuzione al diritto dell’Unione76. Ciò deve dirsi con riferimento al diritto dell’Unione che si qualifica come
direttamente applicabile, residuandosi in capo alla Corte il sindacato della compatibilità del diritto interno a
quello dell’Unione nell’ipotesi di norma disciplinante un principio di diritto dell’Unione, ancorché
quest’ultima ha preferito seguire un prevalente orientamento di self restraint, nel senso della restituzione
degli atti di causa al giudice a quo perché lo stesso si attivi nei confronti della C.G.U.E. al fine di conseguire
una “interpretazione certa e affidabile”77. Nello stesso senso, la Corte si esprime nella sentenza Fragd
c/Amministrazione Finanze Stato78. Come è stato bene sottolineato, in questa pronuncia, sia pure tra le righe,
la dottrina della Corte “lascia emergere l’impressione di non essere voluta andare oltre, per non porsi in
aperto contrasto con la Corte e l’ordinamento comunitario, pur avendo voluto comunque riaffermare
decisamente il proprio potere di garantire i controlimiti all’ingresso del diritto comunitario”79. Il diritto
coinvolto nella questione oggetto del giudizio – relativo agli effetti di una sentenza pregiudiziale, e in tale
ambito il diritto a un giudice e a un giudizio, ai sensi dell’art. 24 Cost. – rientra fra quei diritti – la tutela
giurisdizionale – di cui l’ordinamento dell’Unione e quello internazionale (C.E.D.U.) si fanno ampiamente
carico80, risultando la pronuncia ora in esame, per tale ragione, più una ‘sentenza monito’ che una
riaffermazione di diritto di cui si prefigge la tutela, in quanto “controlimite” all’assoluta primazìa del diritto
comunitario su quello costituzionale interno. D’altra parte, il giudizio si conclude appunto con un’ordinanza
d’inammissibilità per non rilevanza della questione. Tuttavia, in sintonia con quanto aveva già fatto il
Giudice costituzionale tedesco, la Corte non perde comunque l’occasione di evidenziare una riserva
d’interlocuzione con il Giudice dell’Unione in una materia relativa ai diritti81. Dunque, più che altro, una
mera affermazione di principio … a futura memoria! In conclusione, la Corte, nel quadro di una concezione
dualistica dei due ordinamenti, come si è già ricordato, ha pienamente confermato la primazìa del diritto
dell’Unione rispetto a quello interno, limitandosi in gran parte ad adottare sentenze monitorie, circa
l’esistenza di ‘controlimiti’ in difesa dei princìpi e dei diritti fondamentali garantiti dall’ordinamento
costituzionale, o anche solo ordinanze di inammissibilità, fino a quando il Giudice dell’Unione non si fosse
pronunciato – in ciò fruendo delle possibilità consentite dal giudizio incidentale. Resta da analizzare,
nell’immediato futuro, come è già avvenuto in una prima, recente, pronuncia82, quel diverso quadro
normativo nel quale la Corte sarà chiamata a giudicare nell’ambito di giudizi in via principale, utilizzando il
nuovo parametro costituzionalizzato nel novellato art. 117, I co., della Costituzione.
Possiamo ora rivolgere l’attenzione che merita alla importante pronuncia della Corte con la sent. n. 1146
del 198883, la quale pare trovare la propria ratio giustificatrice nel superamento dei limiti e delle
75
Considerato in diritto, 5.
in quest’ultimo senso, Corte cost. sent. n. 389/1989.
77
Cfr. V. Onida, “Armonia tra diversi” e problemi aperti. La giurisprudenza comunitaria sui rapporti fra ordinamento interno e ordinamento
comunitario”, in Quad. cost., 2002, 3, p. 551, per il quale il “passaggio attraverso la Corte costituzionale (dopo il giudizio della C.G.C.E.) si potrebbe
rivelare dunque in ogni caso superfluo”. In questo stesso senso cfr. anche, successivamente, ord. n. 536/1995.
78
Corte cost., sent. n. 232 del 1989: “Vero è che l’ordinamento comunitario – come questa Corte ha riconosciuto nelle sentenze sopra ricordate
ed in numerose altre – prevede un ampio ed efficace sistema di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi dei singoli, di cui il ricorso incidentale
alla Corte di Giustizia ex art. 177 Trattato CEE costituisce lo strumento più importante; ed è non meno vero che i diritti fondamentali desumibili dai
princìpi comuni agli ordinamenti degli Stati membri costituiscono, secondo la giurisprudenza della Corte delle Comunità europee, parte integrante ed
essenziale dell’ordinamento comunitario. Ma ciò non significa che possa venir meno la competenza di questa Corte a verificare, attraverso il controllo
di costituzionalità della legge di esecuzione, se una qualsiasi norma del Trattato, così come essa è interpretata ed applicata dalle istituzioni e dagli
organi comunitari, non venga in contrasto con i princìpi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale o non attenti ai diritti inalienabili della
persona umana. In buona sostanza, quel che è sommamente improbabile è pur sempre possibile; inoltre, va tenuto conto che, almeno in linea teorica
generale, non potrebbe affermarsi con certezza che tutti i princìpi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale si ritrovino fra i princìpi comuni
agli ordinamenti degli Stati membri e quindi siano compresi nell’ordinamento comunitario”.
79
Cfr. A. Celotto e T. Groppi, “Diritto UE e diritto nazionale: primauté vs controlimiti”, in Riv. It. Dir. Pub. Com., 2004; P. Mengozzi,
“L’attuazione del diritto comunitario e i dubbi che possono essere avanzati anche in Italia sulla conformità del nostro ordinamento costituzionale del
principio di prevalenza scritto nell’art. I-6 del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa”, in Sud in Europa, 20.03.2006.
80
Cfr. anche S. Gambino - G. Moschella, “L’ordinamento giudiziario … cit.
81
Per un’analisi essenziale della giurisprudenza costituzionale tedesca in tema di rapporti fra diritto costituzionale tedesco e diritto comunitario
cfr. anche, di recente, S. Gambino. “La Carta e le Corti costituzionali … cit., note 40-42.
82
Corte cost., sent. n. 406 del 2005, nella quale è stato fatto valere per la prima volta il parametro del novellato art. 117, I co., Cost.
83
“La Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure
da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. Tali sono tanto i principi che la stessa Costituzione esplicitamente prevede come
limiti assoluti al potere di revisione costituzionale, quale la forma repubblicana (art. 139 Cost.), quanto i principi che, pur non essendo espressamente
menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la
Costituzione italiana. Questa Corte, del resto, ha già riconosciuto in numerose decisioni come i principi supremi dell’ordinamento costituzionale
abbiano una valenza superiore rispetto alle altre norme o leggi di rango costituzionale, sia quando ha ritenuto che anche le disposizioni del
Concordato, le quali godono della particolare ‘copertura costituzionale’ fornita dall’art. 7, comma secondo, Cost., non si sottraggono all'accertamento
della loro conformità ai ‘principi supremi dell’ordinamento costituzionale’ (v. sentt. nn. 30 del 1971, 12 del 1972, 175 del 1973, 1 del 1977, 18 del
76
18
insufficienze della prevalente e persistente lettura giuspositivistica del testo costituzionale che aveva
caratterizzato gli orientamenti prevalenti della dottrina fino a quel momento84. Con la sent. n. 1146 del 1988,
dunque, la Corte fa un significativo passo in avanti nella garanzia della rigidità della Costituzione e con essa
del riconoscimento di princìpi supremi “che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro nucleo
essenziale neppure da leggi di revisione o da altre leggi costituzionali”. In breve, la Corte riconosce
l’esistenza, nel sistema costituzionale, di un suo ‘nucleo duro di valori’, irrivedibile e irrinunciabile; esso
consiste tanto nei princìpi che la stessa Costituzione esplicitamente prevede come limiti assoluti al potere di
revisione costituzionale, quale la forma repubblicana (art. 139 Cost.), quanto nei princìpi che, pur non
essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale,
appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana. Per giungere a tale
decisione, il Giudice delle leggi, in modo obiettivamente discutibile per quanto concerne l’iter argomentativo
seguito (invero non molto motivato), forza la stessa regola processuale da sempre seguita, quella cioé di
pronunciarsi nel senso dell’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sottopposta al suo
vaglio ogni volta che il suo sindacato riguardasse quesiti non chiari o che prevedano interpretazioni
alternative della disposizione impugnata (senza cioè che il giudice a quo ponga espressamente il suo petitum
su una soltanto delle due alternative interpretative in campo). Nel suo iter argomentativo a supporto della
decisione – che ha come oggetto una questione di legittimità costituzionale di due articoli dello Statuto
speciale del Trentino-Alto Adige – la Corte ha modo di sottolineare come già in sue precedenti decisioni i
“princìpi supremi dell’ordinamento costituzionale abbiano una valenza superiore rispetto alle altre norme o
leggi di rango costituzionale, sia quando ha ritenuto che anche le disposizioni del Concordato, le quali
godono della particolare ‘copertura costituzionale’ fornita dall’art. 7, II co., Cost., non si sottraggono
all’accertamento della loro conformità ai ‘princìpi supremi dell’ordinamento costituzionale’ (v. sentt. nn. 30
del 1971, 12 del 1972, 175 del 1973, 1 del 1977, 18 del 1982), sia quando ha affermato che la legge di
esecuzione del Trattato della CEE può essere assoggettata al sindacato di questa Corte ‘in riferimento ai
princìpi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e ai diritti inalienabili della persona umana’ (v.
sentt. nn. 183 del 1973, 170 del 1984). Non si può, pertanto, negare che questa Corte – così la stessa assume,
invero in modo alquanto apodittico – sia competente a giudicare sulla conformità delle leggi di revisione
costituzionale e delle altre leggi costituzionali anche nei confronti dei princìpi supremi dell’ordinamento
costituzionale. Se così non fosse, del resto, si perverrebbe all’assurdo di considerare il sistema di garanzie
giurisdizionali della Costituzione come difettoso o non effettivo proprio in relazione alle sue norme di più
elevato valore”85.
La dottrina ora espressamente affermata dalla Corte, secondo la quale alla stessa compete di sindacare le
stesse leggi costituzionali e di revisione costituzionale, pertanto, costituisce il portato principe della teoria
1982), sia quando ha affermato che la legge di esecuzione del Trattato della CEE può essere assoggettata al sindacato di questa Corte ‘in riferimento
ai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e ai diritti inalienabili della persona umana’ (v. sentt. nn. 183 del 1973, 170 del 1984).
Non si può, pertanto, negare che questa Corte sia competente a giudicare sulla conformità delle leggi di revisione costituzionale e delle altre leggi
costituzionali anche nei con fronti dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale. Se così non fosse, del resto, si perverrebbe all’assurdo di
considerare il sistema di garanzie giurisdizionali della Costituzione come difettoso o non effettivo proprio in relazione alle sue norme di più elevato
valore”.
84
A ben cogliere, con questa dottrina, la Corte si richiama, nei fatti (pur senza mai farne espressa menzione), alle risalenti teorie mortatiane della
‘costituzione in senso materiale’ (così anche A.A. Cervati, “La revisione costituzionale ed il ricorso a procedure straordinarie di riforma delle
istituzioni”, in A.A. Cervati - S.P. Panunzio - P. Ridola (a cura di), Studi sulla riforma costituzionale, Torino, 2001, p. 21). Se, infatti, si esclude ogni
lettura che si fondi su una inaccettabile funzione esclusiva della stessa come interprete della ‘super-costituzionalità’, altra fondazione di tali valori non
può esserci se non quella che rinvii al “diffuso consenso intorno ai valori fondanti l’unità e l’identità di un determinato ordinamento costituzionale”
(Ult. op. cit., p. 19. Per il dibattito dottrinario volto a cogliere la natura assiologica di valore nei princìpi e nei diritti fondamentali, cfr. soprattuto A.
Baldassarre, “Diritti inviolabili”, in Enc. Giur. Treccani, ma anche P. Ridola, “Libertà e diritti nello sviluppo storico del costituzionalismo”, in I diritti
costituzionali … cit., nonché i recenti saggi, già citati, di F. Modugno, P.F. Grossi, P. Caretti, e in senso critico di A. Pace, per il quale ultimo “non si
vede come un concetto dichiaratamente metagiuridico, come quello di valore, possa di per sé essere utilizzato per porre un limite giuridico” (in
Problematica delle libertà … cit., p. 49). Se così non fosse, ove cioè si volesse assegnare un plus di valore alle disposizioni scritte in materia di
revisione costituzionale, non resterebbe, inevitabilmente, altra via, per raggiungere lo scopo, di forzare le clausole della irrevidibilità mediante il già
richiamato ricorso alla revisione ‘di doppio grado’, ipotesi – quest’ultima – già ritenuta impraticabile secondo le letture più accreditate di tali
disposizioni costituzionali.
85
Come è stato autorevolmente osservato, per molti profili, nel pervenire ad una simile pronuncia, la motivazione del Giudice costituzionale si
presenta idonea a fare “apoditticamente proprie le conclusioni di dottrine, peraltro autorevolmente sostenute e largamente diffuse” (Cfr. M. Mazziotti
di Celso, “Principi supremi dell’ordinamento costituzionale e forma di Stato”, in Diritto e società, 1996, n. 3, p. 308). Essa, infatti, come è stato
sottolineato, “costituisce … un tassello importante del diritto costituzionale giurisprudenziale, o meglio scientifico-giurisprudenziale, perché sancisce
un principio ormai (seppure dopo una originaria divaricazione di opinioni) largamente affermato nella giuspubblicistica, ma che la Corte aveva finora
evitato di affermare apertamente, sia quando lo applicò di fatto, senza enunciarlo (sent. 38/1957), sia quando ne pose tutti i presupposti affermando il
principio della sottoponibilità al sindacato di costituzionalità delle fonti autorizzate a derogare la Costituzione in quanto dotate di una particolare
copertura costituzionale: fonti dunque che hanno una efficacia ed una posizione sistematica simile a quella delle leggi costituzionali (sentt. 30, 31,
32/1971; 12 e 195/1972; 175/1973; 1/1977; 16/1978; 16 e 18/1982; ord. 26/1985, in materia di leggi di esecuzione del concordato: 48/1979, in
materia di consuetudini internazionali generalmente riconosciute; 183/1973; e 170/1984 in materia di trattati comunitari)” (Cfr. M. Dogliani, “La
sindacabilità delle leggi costituzionali, ovvero la ‘sdrammatizzazione’ del diritto costituzionale”, in Le Regioni, 1990, n. 3).
19
costituzionale nei termini di una “verità autoevidente”86. Possono, in tal senso, definirsi pacifiche quelle
ricostruzioni dottrinarie che, a partire dalla teorica mortatiana della ‘costituzione in senso materiale’, fino
alle più recenti evoluzioni del costituzionalismo rigido e protetto nella sua superiorità rispetto alle leggi,
portano a riconoscere nella Costituzione la relativa natura di hinner law e dei relativi contenuti garantistici.
Quello su cui soltanto può ancora dubitarsi, come si fa bene sottolineare, è la “possibilità, sia teorica … che
pratica … di tutelare attraverso la garanzia giurisdizionale il rispetto di quei princìpi, considerandosi limiti
assoluti al potere di revisione”87. Ed è qui appunto che sono stati sottolineati i più significativi limiti
argomentativi della decisione, in quanto la Corte utilizza a sostegno della decisione ora in esame, e dunque
per risolvere la questione concretamente sottoposta al suo giudizio, precedenti giurisprudenziali fondati su
una distinzione concettuale fra leggi di revisione in deroga o in sostituzione. La forzatura argomentativa
risiede, così, nell’aver “esplicitamente esteso a tutte le fonti di cui all’art. 138 Cost. i princìpi che la Corte
aveva elaborato solo in riferimento a fonti non altrimenti concepibili che come autorizzate a derogare norme
costituzionali ‘ordinarie’, e di per sé non idonee a sostituire … i princìpi supremi della Costituzione
stessa”88. Dunque, una forzatura che pare trovare la sua più profonda ratio nella coscienza che la Corte ha
della ‘smodatezza’ del processo politico e dei rischi cui appare assogettato il testo costituzionale nel nucleo
fondamentale dei suoi valori. In breve, la Corte sentenzia ma pensa alle riforme istituzionali 89, come è stato
bene sottolineato. L’effetto più evidente di una simile giurisprudenza è quello – bene argomentato dalla
dottrina che si è occupato di tale tematica – di un superamento del classico principio di gerarchia e di
competenza nella sistematica delle fonti; il che implica, in modo evidente, “la costruzione di una gerarchia
sostanziale delle norme, destinata ad affiancare quella formale, se non – come nel caso – ad essa addirittura
sovrapporsi”90. Ampliando a dismisura i propri poteri, al di là di quelli (almeno apparentemente) consentiti
alla stessa dall’art. 134 Cost., in tal modo, la Corte “intende ergersi a giudice della fedeltà dell’ordinamento
ai suoi valori fondamentali anche nei confronti di atti che, in quanto autorizzati a procedere alla revisione
della Costituzione, sembrerebbero anche facultizzati a discostarsi da quei valori. Essa si pronuncia nel senso
dell’esistenza di un nucleo duro di valori irrivedibile ed irrinunciabile, a pena dell’alterazione dell’identità
stessa dell’ordinamento”91. Un’anticipazione, in breve, di quell’orientamento che la porterà, di recente, e
invero con esiti meritevoli di valutazione problematica, a identificare un limite aggiuntivo nello stesso
“spirito della Costituzione” (nel caso specifico si trattava dell’ambito statutario riconosciuto alle regioni in
materia di forma di governo dalle novellate disposizioni del nuovo Tit. V Cost.)92.
4.2. Quale primazìa del diritto dell’Unione rispetto ai princìpi e ai diritti costituzionali?
La riflessione sul tema dovrà ora incentrarsi sulle problematiche poste dalla formazione giurisprudenziale
del diritto costituzionale europeo in materia di diritti fondamentali e dei relativi rapporti con la
giurisprudenza costituzionale interna in tema di protezione del ‘nucleo duro’ della Costituzione (princìpi e
diritti fondamentali). Da tempo, come è noto alla dottrina costituzionale e a quella europea, tale
giurisprudenza ha surrogato un persistente deficit di legittimazione costituzionale delle istituzioni e del
diritto dell’Unione. In tale quadro, i Giudici di Lussemburgo hanno svolto (e svolgono tuttora) il complesso e
delicato compito di sostenere il processo d’integrazione sovranazionale, regolando, al contempo, le
disarmonie e le potenziali confliggenze fra diritto dell’Unione e diritto interno ai singoli Stati, con particolare
riferimento alle tematiche della protezione dei diritti fondamentali per come, da ultimo, riconosciuti e
garantiti dall’art. 6 del Trattato che modifica il Trattato sull’Unione Europea (già art. I-6 e art. I-9 TC del
testo – non ratificato – del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa). Né, invero, possono ritenersi
convincenti sul punto quegli orientamenti dottrinari che, nell’argomentare l’esistenza di una (pressoché
compiuta) Costituzione europea, sottolineano come, in base ai princìpi sanciti dalla Corte di Giustizia in
tema di primato e di diretta applicabilità del diritto dell’Unione su quello interno, i trattati e i regolamenti
dell’Unione risultino dotati di diretta applicazione, producendo una deroga generalizzata al diritto interno,
86
Ult. op. cit.
Ult. op. cit., p. 785.
88
Ult. op. cit., p. 785.
89
Cfr. S. Bartole, “La Corte pensa alle riforme istituzionali?”, in Giur. cost., I, 1988, p. 5570.
90
Ult. op. cit., p. 5571.
91
Ult. op. cit., p. 5572.
92
Sul punto, fra gli altri, cfr. anche il nostro “La forma di governo regionale (fra ‘chiusure’ del giudice costituzionale, ‘incertezze’ degli statuenti
regionali e ‘serrato’ confronto nella dottrina)”, in Le istituzioni del federalismo, 2004; A. Spadaro, “I ‘contenuti’ degli statuti regionali con particolare
riguardo alle forme di governo”, in A. Ruggeri - G. Silvestri (a cura di), Le fonti di diritto regionale alla ricerca di una nuova identità, Milano, 2001.
87
20
resistendo alle stessi leggi di rango costituzionale, svalutandosi, in tal modo, come “velleitarie” quegli
orientamenti giurisprudenziali (soprattutto giudici costituzionali tedeschi ed italiani) che hanno portato a
identificare livelli di resistenza costituzionali a tale primato (con la dottrina appunto dei “controlimiti”).
All’interrogativo su quale sia la fonte primaria alla base di tale primazìa dell’Unione sul diritto interno – se
possa essere individuata nell’apposita norma legittimante delle varie Costituzioni nazionali, cioè, o piuttosto
nell’Unione europea, per forza costituzionale propria93 – pertanto, si può rispondere che il primato è da
riconoscersi indubbiamente all’Unione europea, ma a condizione che tale ‘autorizzazione’ conosca dei limiti
inderogabili, quelli appunto dei princìpi supremi degli ordinamenti nazionali, che non certo un giudice può
rimuovere ma solo un procedimento, una decisione costituente, che rinvii ai popoli-sovrani dell’Europa. La
risoluzione di tali problematiche (di legittimazione costituzionale) non può che prodursi ricorrendo al potere
costituente originario (ancorché problematico nelle forme del suo esercizio)94. Non è appropriatamente,
infatti, di deficit democratico che può correttamente parlarsi quando si affrontano le tematiche dei rapporti
fra Costituzione nazionale e diritto dell’Unione, infatti, quanto piuttosto di deficit costituzionale, che risulta
superabile mediante il rinvio ai soggetti che unicamente possono risolvere tale deficit di legittimazione
costituzionale: i popoli europei, sovrani decisori della Costituzione europea. È pur vero, sotto tale profilo,
che i conflitti fra gli ordinamenti – nazionali, europeo e internazionale (C.E.D.U.) – sono (in gran parte) più
paventati che effettivi, anche in considerazione del surplus di tutele che tale protezione multilivello assicura
ai soggetti (dei 27 Stati membri) europei95. In tale contesto, i giudici nazionali sono chiamati a conciliare
regole costituzionali e diritto dell’Unione, assicurando la primazia e la diretta applicabilità di tale diritto
(regolamenti ma anche direttive self-executing), azionando, al contempo, nel caso si renda necessario, il
sindacato delle leggi di recezione dei trattati, almeno rispetto ai profili riguardati dal giudizio in corso e
comunque dopo avere operato nel senso di una interpretazione conforme al diritto dell’Unione (sent.
Marleasing)96. Omologo percorso dovrà seguire (ed ha seguito fin qui, con la sola eccezione del caso Kreil)
la giurisprudenza della Corte di Giustizia a sostegno del primato del diritto dell’Unione su quello degli Stati
membri dell’Unione, con il corrispettivo riconoscimento delle funzioni di garanzia assicurata dalle Corti
costituzionali nazionali ai relativi ordinamenti.
5. La costituzione giurisdizionale dell’Unione europea nella materia dei diritti fondamentali
Nell’indagine sugli apporti della Corte di Giustizia delle Comunità Europee alla formazione del diritto
costituzionale dell’Unione, un posto centrale è occupato dai princìpi generali elaborati dalla stessa Corte, cui
si deve, unitamente alle norme del TCEE (e di quelle che lo hanno modificato e integrato), un’influenza
determinante sugli ordinamenti giuridici degli Stati membri97. In assenza di un catalogo di diritti nei trattati
originari, è al loro interno e come loro contenuto fondamentale che hanno trovato collocazione, soprattutto a
partire dai primi anni ’70, i diritti fondamentali, sul cui rispetto la Corte di Giustizia si è riconosciuta
competente a ‘vigilare’98. L’indagine sul contenuto materiale della giurisprudenza della Corte di Giustizia in
93
A. Barbera, “Esiste una ‘costituzione europea’?”, in Quaderni costituzionali, 2000, n. 1, p. 65 ss. e dello stesso Autore, “La Carta dei diritti
dell’Unione Europea”, Relazione al Convegno in memoria di Paolo Barile (Firenze, 25 giugno, 2001).
94
Cfr. anche i nostri “Integrazione comunitaria e legittimazione costituzionale”, in Scritti onore di G. Floridia (in corso di pubblicazione),
nonché (a cura di), Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, costituzioni nazionali … cit.. In questa stessa direzione cfr. anche, di recente,
P.V. Dastoli, Relazione al Colloque (organizzato dal Robert Schuman Centre for Advanced Studies – European University Institute, Firenze,
9/II/2007): “Un référendum européen pour la Constitution européenne. Problèmes juridiques et politique”.
95
Sul punto cfr. anche, fra l’altro, V. Zagrebelsky, “La Corte europea dei diritti dell’uomo e i diritti nazionali”, in http://www.luiss.it (Bollettino
n. 6/2005); S. Panunzio, “I diritti fondamentali e le Corti in Europa: una introduzione”, in http://www.luiss.it (Bollettino n. 1/2003); G. Zagrebelsky,
“Corti europee e Corti nazionali”, in http://www.luiss.it (Bollettino n. 1/2001). Sui rapporti reali e virtuali della Corte di Giustizia e di quella C.E.D.U.
cfr., in particolare, G. Demuro, “I rapporti fra C.G.C.E. e Corte europea dei diritti dell’uomo”, in P. Falzea - A. Spadaro - L. Ventura, La Corte
costituzionale e le Corti d’Europa, Torino, 2003; A. Tizzano, “Corte e Corte di giustizia”, in Il foro italiano, 2006 (num. spec.: AA.VV., La Corte
costituzionale compie cinquant’anni)
96
“Le juge national qui est saisi d’un litige dans une matière entrant dans le domaine d’application de la directive 68/151 … est tenu
d’interpréter son droit national à la lumière du texte et de la finalité de cette directive, en vue d’empêcher la déclaration de nullité d’une société
anonyme pour une cause autre que celles énumérées à son article 11. Ces dernières doivent elles-mêmes, au vu de ladite finalité, être interprétées
strictement, de sorte que celle tenant au caractère illicite ou contraire à l’ordre public de l’objet de la société doit s’entendre comme visant
exclusivement l’objet de la société tel qu’il est décrit dans l’acte de constitution ou dans les statuts”. Sul punto cfr. anche F. Balaguer Callejòn, “Le
corti costituzionali e il processo di integrazione europea”, in Convegno AIC (Roma 27-28 ottobre 2006), “La circolazione dei modelli e delle tecniche
del giudizio di costituzionalità in Europa” (in corso di pubblicazione); S. Panunzio, “I diritti fondamentali e le Corti in Europa”, in S. Panunzio (a
cura di), I diritti fondamentali e le Corti in Europa, Napoli, 2005; A. Ruggeri, “Carte internazionali dei diritti, Costituzione europea, Costituzione
nazionale: prospettive di ricomposizione delle fonti in sistema” (Atti CSM, Roma 28 febbraio- 2 marzo 2007).
97
Cfr. A. Adinolfi, “I princìpi generali nella giurisprudenza comunitaria e la loro influenza sugli ordinamenti degli Stati membri”, in Rivista
italiana di diritto pubblico comunitario, 1994, p. 525.
98
Cfr. Sent. Stauder del 12 novembre 1969, causa 29/69, in Racc. Uff. 1969, p. 420; sent. Internationale Handelsgesellschaft del 17 dicembre
1970, causa 11/70, in Racc. Uff. 1979, p. 1125; sent. Hauer, causa 44/1979, in Racc. Uff. 1979, p. 3727.
21
tema di princìpi e di diritti fondamentali dell’Unione, peraltro, si presta a una riflessione cui la dottrina
costituzionale, e già in precedenza quella internazionalistica, ha dedicato crescente attenzione. È in questo
ambito che si colloca il dibattito sui rapporti fra giurisprudenza costituzionale interna e giurisprudenza
dell’Unione, meglio nota come dottrina dei ‘controlimiti’99 opponibili da parte dei singoli ordinamenti
costituzionali nazionali a un processo di potenziale limitazione degli stessi, soprattutto in materia di princìpi
supremi e di diritti fondamentali. Tale percorso – allo stato, e nelle more del superamento del deficit
costituzionale dell’Unione – appare una strada ancora necessaria da percorrere per la piena realizzazione del
processo d’integrazione europeo. Ma ciò che maggiormente rileva di tale rapporto, con peculiare riferimento
alla garanzia delle posizioni giuridiche soggettive costituzionalmente garantite, in passato solo rinviato con
la nota giurisprudenza sui ‘controlimiti’, pare da individuare nella necessità (costituzionale ma anche
politica) di una “riforma costituzionale sia a livello di Unione che a livello nazionale”100, non potendosi
continuare a ipotizzare e praticare un processo d’integrazione europeo, che diviene in itinere (quasi
fattualmente) processo compiuto di costituzionalizzazione dell’Unione, in assenza di una legittimazione
democratica adeguatamente rappresentativa, come solo le procedure costituenti possono assicurare, e attenta
“a progettare un sistema di garanzie davvero funzionale”101. In tale ottica, le ‘sorti’ dei ‘controlimiti’
nell’ottica della positivizzazione dell’art. 53 della Carta nei (nuovi) trattati sono da individuarsi con
riferimento alla giurisprudenza costituzionale in materia (sia di quella nazionale che delle altre Corti
costituzionali europee)102. Analogamente, assai importante nel moderno costituzionalismo appare “l’esatta
predeterminazione dei casi nei quali l’esercizio dei poteri limitativi delle libertà sarà riservato alle sole
autorità giurisdizionali piuttosto che alle autorità amministrative. Il rischio conseguente è che tutta una serie
di importanti libertà possono essere in concreto garantite assai meno che nel nostro ordinamento”103. In tale
ottica, rimane confermato che la prospettiva più completa per lo sviluppo di tale processo passa ancora, nella
fase attuale, per una necessaria “coabitazione” fra ordinamenti giuridici che impone un “rapporto di
cooperazione” fra Corti costituzionali e Corte di Giustizia104. Tale rapporto lascia pienamente attivo il
sindacato costituzionale delle norme dell’Unione per contrasto con i princìpi fondamentali dell’ordinamento
costituzionale mediante il controllo della legge di esecuzione del Trattato per quegli ordinamenti che non
prevedono la previa revisione dei trattati, come fra gli altri l’ordinamento spagnolo e quello francese, ma, al
contempo, lascia aperta la possibilità (negli altri ordinamenti, come quello italiano) per il Giudice delle leggi
di impiegare quegli strumenti persuasivi e interpretativi che, senza giungere alla sanzione
99
Per una lucida analisi sulle ‘sorti’ dei ‘controlimiti’ nell’ottica della positivizzazione dell’art. II-53 della Carta dei diritti nel TC, cfr. A.
Ruggeri, “Tradizioni costituzionali comuni e controlimiti, tra teoria delle fonti e teoria dell’interpretazione”, in P. Falzea - A. Spadaro - L. Ventura,
La Corte costituzionale e le Corti … cit.; A. Ruggeri, “Trattato costituzionale, europeizzazione dei controlimiti e tecniche di risoluzione delle
antinomie tra diritto comunitario e diritto interno (profili problematici)”, in Forum di Quaderni costituzionali; A. Celotto e T. Groppi, “Diritto U.E. e
diritto nazionale: primauté vs controlimiti”, in Riv. It. Dir. Pub. Com., 2004; A. Celotto e T. Groppi, “Primauté e controlimiti nel Progetto di Trattato
costituzionale”, in Quad. cost., 2004, n. 4, p. 868 ss.; M. Cartabia e A. Celotto, “La giustizia costituzionale dopo Nizza”, in Giur. cost., 2002; T.
Groppi, “La primauté del diritto europeo sul diritto costituzionale nazionale: un punto di vista comparato”, in Astrid. Rassegna, 2005, n. 13; AA.VV.
(a cura di M. Cartabia, B. de Witte, P. Pérez Tremps), Constitución europea y Constituciones nacionales, Valencia, 2005; F. Salmoni, “La Corte
costituzionale, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee e la tutela dei diritti fondamentali”, in AA.VV. (a cura di P. Falzea, A. Spadaro, L.
Ventura), La Corte costituzionale e le Corti … cit.; G. Azzariti, “La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nel “processo costituente
europeo”, in Rass. dir. pub. eur., 2002; V. Onida, “Armonia tra diversi e problemi aperti, La giurisprudenza costituzionale sui rapporti tra
ordinamento interno e ordinamento comunitario”, in Quad. cost., 2003; A. Celotto, “L’efficacia giuridica della Carta dei diritti fondamentali dell’UE
(rassegna giurisprudenziale 2001-2004)”, in Giur. It., 2005; S. Gambino. “La Carta e le Corti costituzionali … cit.
100
Cfr. U. De Siervo, “I diritti fondamentali europei e i diritti costituzionali nazionali”, in G. Zagrebelsky, Diritti e Costituzione … cit., p. 259; A.
Ruggeri, “Trattato costituzionale, europeizzazione dei ‘controlimiti’ … cit.; S. Gambino (a cura di), Trattato che istituisce una Costituzione … cit.
101
Cfr. U. De Siervo, “I diritti fondamentali europei … p. 259.
102
Cfr. M. Cartabia, Principi inviolabili … cit., pp. 95 ss.; A. Celotto – T. Groppi, “Diritto U.E. e diritto nazionale … cit. Da una parte, così, gli
stessi sarebbero da intendere “come rigurgito di orgoglio nazionale (… soprattutto in ragione della considerazione secondo cui è ormai chiaro come)
l’intervento del diritto comunitario non costituisca un attentato agli ordinamenti costituzionali nazionali, bensì, piuttosto, uno strumento di notevole
potenzialità per dare sviluppo a principi a valori presenti nelle Costituzioni, ma spesso negletti o dimenticati” (cfr. A. Celotto - T. Groppi, “Primauté
e controlimiti … cit.); dall’altra, sarebbe da sottolineare “l’inutilità di questi indirizzi, in quanto nessuno Stato ha avuto il ‘coraggio’ davvero di
dichiarare la prevalenza di un ‘controlimite’ sulle norme comunitarie … il diritto comunitario (infatti) ‘aggira’ le garanzie poste a tutela della rigidità
delle Costituzioni, grazie ai principi di primauté e di efficacia diretta, che non possono non valere anche rispetto alle norme di rango costituzionale”,
come il ‘caso Kreil’ avrebbe bene dimostrato. In questa lettura invero abbastanza ottimistica, ne segue che i “i controlimiti si avviano a divenire non
più il rigido muro di confine fra ordinamenti, ma il punto di snodo, la cerniera nei rapporti fra U.E. e Stati membri … Una U.E. che tende alla
formazione di un vero Stato unitario di tipo federale non può non consentire che i singoli Stati membri, soprattutto in materia di diritti, non applichino
le proprie disposizioni che riconoscono livelli di protezione più elevati, al pari di quanto avviene tradizionalmente negli Stati federali … (in questa
ottica, pertanto) i ‘controlimiti’ acquistano una propria legittimazione, quale forma dinamica di prevalenza del diritto nazionale, rispetto al caso
concreto; la primauté assume contenuti nuovi e differenti, ammettendo deroghe a livello nazionale” (ult. op. cit. Sul tema cfr. anche, fra gli altri, F.
Salmoni, “La Corte costituzionale, la Corte di Giustizia … cit. ). Al momento, queste ultime risultano assenti nella previsione comunitaria de jure
condendo, la quale si limita “ad affermare libertà e diritti, allorché il moderno costituzionalismo esige quanto meno che nelle disposizioni di garanzia
si predeterminino anche le categorie dei limiti che potranno essere successivamente sviluppate dal legislatore alle situazioni soggettive di vantaggio”
(cfr. U. de Siervo, “I diritti fondamentali europei … cit., p. 266).
103
Cfr. U. de Siervo, “I diritti fondamentali europei … cit., p. 266.
104
Cfr. anche M. Cartabia, Princìpi inviolabili … cit., p. 241; L. Dubois, “Le rôle de la Cour de justice des Communautés européennes. Objet et
portée de la protection”, in L. Favoreau, Cours constitutionelles et droits fondamentaux, Aix-en-Provence, 1983.
22
dell’incostituzionalità delle norme dell’Unione, permettono di rendere presenti a livello di Unione (e alla
Corte di Giustizia innanzitutto) le esigenze del sistema costituzionale dei singoli Stati membri e dei relativi
elementi fondamentali. Tale dialogo può validamente continuare, quando si rifletta, come si è già ricordato,
sulla disponibilità di strumenti giuridici, come il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia per
l’interpretazione o per il giudizio di validità delle norme dell’Unione da parte del giudice ordinario e della
stessa Corte costituzionale, come si dirà meglio in seguito105.
Tanto brevemente richiamato circa la forza creatrice di diritto dei princìpi generali del diritto dell’Unione
e del necessario dialogo fra giurisdizioni costituzionali nazionali e Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in
un’ottica di garanzia della coesistenza dei valori e dei princìpi supremi dei due ordinamenti, può ora
ricordarsi come, in assenza di disposizioni nei trattati in materia di diritti fondamentali, la costruzione
originaria di un ‘catalogo’, sia pure limitato, di diritti fondamentali dell’Unione sia opera della sola Corte di
Giustizia. Solo successivamente, con il Trattato di Maastricht prima e di Amsterdam e di Nizza poi, sono
state positivizzate disposizioni nelle quali il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali viene
assunto come fondamento della stessa U.E., unitamente ai princìpi di libertà, di democrazia e dello Stato di
diritto, in quanto princìpi comuni agli Stati membri. L’evoluzione di questa giurisprudenza in tema di diritti
fondamentali – benché ampiamente nota – risulta utile da richiamare, unitamente ai contenuti più
significativi che la connotano, per argomentare circa l’effettività delle relative tutele nonché ai fini di una
ricognizione nel merito dell’analisi dei contenuti delle giurisprudenze dei due ordinamenti (comunitario e
nazionale). Dopo una prima fase di sostanziale indifferenza al tema, è solo negli anni ‘60, con la sentenza
Stauder106 e soprattutto in uno storico ‘considerando’ della sentenza Internationale Handelsgesellschaft107
che la Corte di Giustizia perviene a riconoscere che la “tutela dei diritti fondamentali costituisce parte
integrante dei princìpi giuridici generali di cui la Corte di Giustizia garantisce l’osservanza”. Per il Giudice
di Lussemburgo, “la salvaguardia di questi diritti, pur essendo informata alle tradizioni costituzionali comuni
agli stati membri, deve essere garantita entro l’ambito della struttura e delle finalità della Comunità”. Solo
accennati nella sentenza Stauder, in quest’ultima sentenza – che si fonda comunque su un concezione
dualista del rapporto fra i due ordinamenti – la Corte di Giustizia, al fine di poter determinare il contenuto
materiale dei princìpi generali del diritto dell’Unione, ricorre alle ‘tradizioni costituzionali comuni agli stati
membri’, riconoscendo, per la prima volta, che di essi fa parte integrante la tutela dei diritti fondamentali.
Con la successiva sentenza Nold108, seguendo lo stesso iter argomentativo, la Corte di Giustizia completa il
ricorso alle ‘tradizioni costituzionali comuni’, incorporando gli strumenti internazionali di protezione dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito). Benché non
espressamente citato, il riferimento è alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, cui la Corte di Giustizia fa espresso richiamo solo nella successiva sentenza Rutili109, e in
particolare agli artt. 8, 9, 10, 11 della C.E.D.U., nonché all’art. 2 del Protocollo n. 4 della medesima
Convenzione, quando assume che determinate misure di polizia per gli stranieri (oggetto della causa) “non
possono andare oltre ciò che è necessario per il soddisfacimento di tali esigenze in una società democratica”.
A seguito di questa giurisprudenza – nel fondo essenziale – si riconosce come l’incorporazione dei diritti
fondamentali risulti pienamente conseguita nell’ordinamento dell’Unione, almeno nel senso che tale
giurisprudenza si estende, oltre che alle istituzioni e agli atti dell’Unione (come si sancisce nella sentenza
105
Benché sia noto che, allo stato, la strada seguita dalla Corte costituzionale nella sua giurisprudenza – diversamente, ad esempio,
dall’orientamento seguito dal Giudice delle leggi spagnolo, austriaco e belga – non appaia disponibile ad accogliere tale orientamento, rimane che il
Giudice costituzionale, nell’eventualità di un mutamento giurisprudenziale in materia, potrebbe trovarsi nella migliore delle condizioni per facilitare,
nello stato attuale dei rapporti fra ordinamenti, “l’integrazione europea nella dimensione dei valori, indispensabile per uno sviluppo equilibrato
dell’U.E. … da ponderare adeguatamente nel bilanciamento con gli altri princìpi supremi” (Cfr. M. Cartabia, Princìpi inviolabili … cit., pp. 248/249).
Cfr. anche C. Di Turi, “Ancora sul rapporto tra giurisdizioni nazionali e Corte comunitaria in tema di rinvio pregiudiziale ex art. 177 del Trattato di
Roma”, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 1997, n. 2.
106
Del 12 novembre 1969, causa 29/69, in Racc. Uff. 1969, p. 420. Secondo la Corte di Giustizia, “così interpretata, la disposizione di cui è causa
non rivela alcun elemento che possa pregiudicare i diritti fondamentali della persona, che fanno parte dei principi generali del diritto comunitario, di
cui la Corte riconosce l’osservanza”.
107
Del 17 dicembre 1970, causa 11/70, in Racc. Uff. 1970, p. 1125. Secondo la Corte di Giustizia, “il fatto che siano menomati vuoi i diritti
fondamentali sanciti dalla costituzione di uno Stato membro, vuoi i principi di una costituzione nazionale, non può sminuire la validità di un atto della
Comunità, né la sua efficacia nel territorio dello stesso Stato. È tuttavia opportuno accertare se non sia stata violata alcuna garanzia analoga, inerente
al diritto dell’Unione. La tutela dei diritti dell’Unione costituisce infatti parte integrante dei principi giuridici generali di cui la Corte di Giustizia
garantisce l’osservanza. La salvaguardia di questi diritti, pur essendo informata alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, va garantita
entro l’ambito della struttura e delle finalità della Comunità”.
108
Del 14 maggio 1974, causa 4/73, in Racc. Uff. 1974, p. 491. Secondo la Corte di Giustizia “i diritti fondamentali fanno parte integrante dei
principi generali del diritto, di cui essa garantisce l’osservanza. La Corte, garantendo la tutela di tali diritti, è tenuta ad ispirarsi alle tradizioni
costituzionali comuni agli Stati membri e non potrebbe, quindi, ammettere provvedimenti incompatibili con i diritti fondamentali riconosciuti dalle
costituzioni di tali Stati. I trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’uomo, cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito, possono del
pari fornire elementi di cui occorre tenere conto nell’ambito del diritto dell’Unione”.
109
Del 28 ottobre 1975, causa 36/75, in Racc. Uff. 1975, p. 1219.
23
Wachauf110), alla stessa normativa degli Stati membri attuativa del diritto dell’Unione. Ne resta preclusa la
sola normativa nazionale priva di ogni legame con il diritto dell’Unione (come viene sancito nella sentenza
Kremzow111), sottolineandosi, in tal modo, come i diritti fondamentali di cui la Corte di Giustizia assicura la
tutela sono “sì libertà fondamentali ma … in quanto strumentali agli obiettivi economici dei trattati, cioè
come garanzie proprie del sistema comunitario”112. Non è il caso, in questa sede, di approfondire le ragioni
alla base di tale orientamento giurisprudenziale, dovendoci limitare a sottolineare, piuttosto, come esso si
accompagni, e di certo si correli, all’affermazione dei princìpi della primazia e della diretta applicabilità del
diritto dell’Unione negli ordinamenti nazionali. Una parte della dottrina, com’è noto, ha cercato in essa una
correlazione per così dire ‘polemica’ con le Corti costituzionali nazionali, richiamandosi, in tal senso, alle
preoccupazioni sollevate dalla giurisprudenza costituzionale tedesca (Solange I, del 20 maggio 1974)113, nel
suo accettare il controllo di costituzionalità sul diritto dell’Unione nella materia della protezione dei diritti
fondamentali. Con successiva sentenza (Solange II, del 22 ottobre 1986)114, tuttavia, lo stesso Tribunale
Costituzionale dichiara superati i motivi posti a base del primo orientamento giurisprudenziale, essendosi la
tutela dei diritti fondamentali elevata, a livello di Unione, a “livelli equivalenti” a quelli assicurati dalla
Legge Fondamentale di Bonn115. Nella sentenza Maastricht116, infine, tale orientamento giurisprudenziale si
perfeziona, assumendosi in via di principio incompetente a sentenziare in materia di protezione dei diritti
fondamentali negli atti comunitari, attesa l’attivabilità in via pregiudiziale del Giudice di Lussemburgo ai
sensi dell’art. 234 TCE, e dunque assumendo ormai come mera ipotesi astratta l’attivazione del precedente
orientamento in materia di controlimiti. In relazione a un diritto fondamentale non riconosciuto dall’art. 12.a
della LFB (divieto di discriminazione fra uomini e donne nell’accesso al lavoro ed in particolare nelle forze
armate), tuttavia, con la sentenza Kreil 117, la Corte di Giustizia sposta ulteriormente in avanti la frontiera
europea dei diritti fondamentali, riproponendo il risalente tema dei rapporti fra primato del diritto
dell’Unione e superiorità degli ordinamenti costituzionali nazionali118. Con la sentenza Kreil, in breve, la
110
Del 13 luglio 1989, causa 5/88, in Racc. Uff. 1988, p. 2609, nella quale, da parte della CGCE, si riconosce che “i diritti fondamentali
costituiscono parte integrante dei princìpi generali del diritto di cui la Corte garantisce l’osservanza. In tale compito essa è tenuta ad uniformarsi alle
tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, di guisa che non possono essere ammessi nella Comunità provvedimenti incompatibili con i diritti
fondamentali riconosciuti dalle costituzioni di detti Stati”, aggiungendosi, inoltre, da parte della Corte, che “i diritti fondamentali riconosciuti dalla
Corte non risultano essere prerogative assolute (corsivo nostro) e debbono essere considerati in relazione alla funzione da essi svolta nella società. È
pertanto possibile operare restrizioni di detti diritti, in particolare nell’ambito di unA organizzazione comune di mercato, purché dette restrizioni
rispondano effettivamente a finalità d’interesse generale perseguite dalla Comunità e non si risolvano in un intervento sproporzionato ed
inammissibile che pregiudicherebbe la stessa sostanza di tali diritti”.
111
Del 29 maggio 1997, causa C-299/95, in Racc. Uff. 1995, p. I-2695.
112
Cfr. G. Tesauro, “Il ruolo della Corte di Giustizia … cit., p. 313; E. Pagano, “I diritti fondamentali … cit., p. 170, in part. nota 22.
113
BVerfGE, 37, p. 271, cui adde il commento di C. Autexier, “L’hétérogénéité du droit communautaire”, in Revue int. droit comparé, 1982, p.
337.
114
BVerfGE, 73, p. 339, su cui cfr. C. Autexier, “Obeservations”, in Annuaire international de justice constitutionnelle, vol. III, 1987, p. 429 ss.).
115
“Se si considera il livello ormai raggiunto dalla giurisprudenza della C.G.C.E. non ci si può più attardare sulla considerazione secondo cui, in
materia di rapporti normativi fra diritto comunitario e Costituzioni degli Stati membri, possa prodursi un abbassamento dello standard dei diritti
fondamentali nel diritto comunitario ad un livello tale per cui non possa più parlarsi di una protezione giuridica appropriata dei diritti fondamentali
nel senso della Legge fondamentale. Da una parte, la C.G.C.E. non è tenuta a porre i principi generali del diritto comunitario al livello più basso, del
minor comune denominatore rispetto alle Costituzioni degli Stati membri … Occorre piuttosto attendersi che la C.G.C.E. si orienti verso uno sviluppo
ottimale del principio dei diritti fondamentali nel diritto comunitario. Dall’altra, l’assunzione del parametro normativo costituito dalla C.E.D.U., ivi
compresa la giurisprudenza ormai estesissima della Corte europea dei diritti dell’uomo, assicura uno standard minimo del contenuto della protezione
dei diritti fondamentali, che soddisfa in via di principio alle esigenze costituzionali della LF (385-386) … Considerata tale evoluzione si deve
osservare quanto segue: fintanto che le Comunità europee, e soprattutto la giurisprudenza della C.G.C.E., garantiranno in via generale una protezione
efficace dei diritti fondamentali contro il potere sovrano delle Comunità, secondo modalità che possano essere considerate come sostanzialmente
eguali alla protezione dei diritti fondamentali assunta come inderogabili dalla LF, e fintanto che le stesse garantiranno … il contenuto sostanziale dei
diritti fondamentali, la Corte costituzionale federale non eserciterà il proprio sindacato sull’applicabilità del diritto comunitario derivato invocato
come fondamento del comportamento di tribunali e di autorità tedesche nel’ambito della sovranità della RFT e, di conseguenza, essa non controllerà
più tale diritto derivato con riferimento ai diritti fondamentali della LF … (387)”.
116
BVerfGE, sent. 7 giugno 2000, su cui, nell’ampia bibliografia, cfr., almeno, I. Pernice, “Les bananes et les droits fondamentaux: la Cour
constitutionnelle allemande fait le point”, in Cahier de droit européen, 2001, p. 427 ss.; F. Palermo, “La giurisprudenza costituzionale tedesca nel
biennio 1999-2000”, in Giur. cost., 2001, p. 3301 ss.
117
Caso C-285/1998, dell’11 gennaio 2000.
118
Con l’interpretazione della Direttiva 76/207 C.E.E., in tema di divieto di discriminazione in base al sesso nell’accesso al lavoro, la Corte di
giustizia perviene alla conclusione secondo cui la richiamata disposizione dell’Unione “osta all’applicazione di norme nazionali, come quelle del
diritto tedesco che escludono, in generale, le donne dagli impieghi militari che comportino l’uso delle armi e che ne autorizzano l’accesso soltanto ai
servizi di sanità e alle formazioni di musica militare”. Riconoscendo il contrasto con tale Direttiva dell’art. 12.a della LFB, essa assume come
inapplicabile tale ultima disposizione costituzionale, impedendo che la stessa possa venire interpretata come fonte costituzionale generale di
esclusione delle donne dai servizi che prevedano l’uso delle armi. Invero, una riflessione su tale giurisprudenza condurrebbe a ritenere che, nel
rapporto tra diritto dell’Unione e costituzioni nazionali, la giurisprudenza di Lussemburgo non debba cogliersi come limitativa delle tutele assicurate
a livello nazionale, se non, piuttosto, come una “tutela rinforzata” (così M.A. Cabellos Espiérrez, “La contribución del derecho comunitario a la
interpretación de los derechos constitucionales: la sentencia de TJCE de 11 de enero de 2000 (Kreil) y el art. 12.a de la Constitución alemana”, in
M.A. Aparicio, Derechos constitucionales y formas politicas, Barcelona, 2000, p. 779), potendosi concludere, così, non certo nella direzione di una
obbligatorietà (sempre auspicabile) della revisione costituzionale da parte dei singoli ordinamenti costituzionali nazionali, quanto piuttosto nella
direzione di un vincolo interpretativo da parte delle giurisprudenze nazionali e fra queste, in particolare, di quelle costituzionali.
24
Corte di Lussemburgo precisa, in modo ulteriormente espansivo, le sue competenze di controllo
dell’applicazione del diritto dell’Unione, che si esplicitano nell’individuazione di livelli di protezione
assolutamente inderogabili dei diritti fondamentali e, dunque – mutuando la formulazione dell’art 19.2 della
LFB – del loro “contenuto essenziale”. Al contempo, però, la stessa afferma che la giurisdizione delle Corti
costituzionali nazionali sarà esercitata in un “rapporto di cooperazione” con la Corte di Giustizia. Tale
riformulazione della tematica dei rapporti tra giurisdizioni (costituzionali e comunitaria), a ben vedere, non
fa che riproporre in termini diversi il risalente problema del potenziale conflitto tra Corti costituzionali e
Corte di Giustizia, la cui soluzione, allo stato degli ordinamenti in esame, non può che affrontarsi tenendo
presente la giurisprudenza del Tribunale costituzionale federale (in tema di limiti al carattere vincolante degli
atti dell’Unione non conformi alla legge tedesca di approvazione dei trattati di Maastricht e di Amsterdam) e
quella del Giudice delle leggi italiano. D’altra parte, e prescindendo in questa sede dall’affrontare le
problematiche, pur rilevanti, poste dalle diverse modalità delle tutele al livello di Unione in tema di diritti
fondamentali – quello della Convenzione di Roma e quello dei trattati – non può che sottolinearsi come,
proprio a partire da tale giurisprudenza (Kreil), in particolare, si appalesino tutti i limiti del ricorso alle
‘tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri’, quando, come nel caso in esame, è appunto di un
esplicito contrasto fra disposizioni (e non solo fra tradizioni) costituzionali nazionali e diritto dell’Unione
che, in realtà, si tratta119. Tale considerazione costituisce, al contempo, una sottolineatura ulteriore della
limitata trasparenza della giurisprudenza nel suo riferimento ai princìpi generali del diritto dell’Unione120.
Le stesse modalità sono seguite dalla Corte di Lussemburgo quando pone le premesse per assicurare il suo
ruolo di garante dei diritti, per come stabiliti nella Convenzione di Roma, benché limitatamente a norme
connesse con il diritto dell’Unione121.
6. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo: il parametro della “protezione equivalente”
Un richiamo a parte va fatto a proposito del ruolo, esplicitamente richiamato dall’art. 6 del TUE (vers.
cons.), delle convenzioni internazionali quale parametro utilizzato dalla Corte di Giustizia nella protezione
dei diritti fondamentali e fra queste, in particolare, della Convenzione di Roma per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali, ove (nei suoi artt. 8.2, 9.2, 10.2, e 11.2) si sancisce che la tutela dei
diritti fondamentali sarebbe derogabile nei soli limiti del rispetto dei princìpi di legalità e di necessarietà “in
una società democratica”122. Benché debba osservarsi che, allo stato, fra i sistemi giudiziari dell’Unione,
sussiste un “modus operandi in forza del quale le Corti costituzionali e gli organi della Corte europea dei
diritti dell’uomo … (fanno) credito (alla Corte di giustizia ed) alla capacità di questa di assicurare una tutela
soddisfacente dei diritti fondamentali”123, la questione deve essere affrontata in ragione della non astratta
ipotesi che si determini una discordanza nella tutela dei diritti fra l’ordinamento dell’Unione e i diritti tutelati
dalla C.E.D.U., come, peraltro, si è già osservato a proposito delle stesse ‘tradizioni costituzionali
comuni’124. Ciononostante, i problemi del coordinamento e dell’armonizzazione giurisprudenziale tra tali
Corti rimangono aperti, includendosi in tale affermazione la stessa questione della c.d. “protezione
equivalente” accordata dal Giudice di Strasburgo125. Alcuni anni dopo la nota sentenza Matthews
119
Cfr. E. Denninger, “I diritti fondamentali nel quadro dell’Unione Europea”, in Osservatorio costituzionale Luiss; p. 9, che, a proposito dei
diritti fondamentali europei, afferma che “la cultura europea dei diritti fondamentali non farà nessun progresso sostanziale, e quindi non ci sarà nessun
catalogo dei diritti fondamentali sostanziale e praticabile, se non verranno sviluppate allo stesso tempo e in maniera democratica le istituzioni
legislative; o, detto in termini più astratti, senza quella connessione intrinseca tra Stato di diritto e democrazia, tra autonomia politica e autonomia
privata ... Questa correlazione reciproca deve essere rafforzata ed allargata anche al livello sovranazionale della Comunità europea, altrimenti la
politica dei diritti fondamentali rimarrà mera retorica idealistica, o verrà a snaturarsi in argomentazioni burocratiche”.
120
La cui tecnica giurisdizionale assolve, appunto, in modo essenziale, alla “funzione di rendere meno trasparente, con l’utilizzazione di un
parametro che può sembrare obiettivo, il ruolo creativo di regole giuridiche che la Corte di giustizia svolge” (Così G. Gaja, “Princìpi del diritto …
cit., p. 543; A. Baldassarre, “La Carta europea dei diritti … cit., p. 3).
121
Cfr. anche sent. 159/1990, Grogan, in Racc. Uff. 1991, I, p. 4685.
122
Cfr. A. Rizzo, “L’Unione Europea e la Carta dei diritti fondamentali. Un rapporto ancora da definire”, in La Comunità internazionale, 2001, n.
1, p. 112.
123
Cfr. E. Pagano, “I diritti fondamentali … cit., p. 180; G. Gaja, “Gli atti comunitari dinnanzi alla Commissione dei diritti dell’uomo: di nuovo
Solange?”, in Riv. dir. int., 1990, p. 388.
124
Come, fra l’altro, è dato osservare nella nota giurisprudenza Matthews c/Regno Unito (del 18 febbraio 1999) della Corte europea dei diritti
dell’uomo, la quale assume di sanzionare il rispetto dei diritti garantiti dalla C.E.D.U. con riferimento ad atti interni di attuazione del diritto
dell’Unione (nella fattispecie del diritto britannico), pur dopo aver osservato come “gli atti delle Comunità europee non possono essere impugnati
come tali davanti alla Corte, perché la Comunità in quanto tale non è parte contraente”. Cfr. G. Demuro, “I rapporti fra Corte di Giustizia …, p. 18 ss.
Sul punto cfr. anche L.S. Rossi (a cura di), Carta dei diritti fondamentali e Costituzione dell’Unione europea, Milano, 2002 (in particolare il
contributo di B. Conforti, “La Carta dei diritti fondamentali dell’UE e la Convenzione europea dei diritti umani”, p. 13).
125
Per un primo commento cfr. anche G. Repetto, “La Corte di Strasburgo e il sindacato sugli atti comunitari: al solange non c’è mai fine”, in
http://www.associazionedeicostituzionalisti.it (27/07/2005).
25
(18.02.1999), con una decisione criticata in ragione dell’assunzione del parametro della Convenzione quale
standard minimo comune inderogabile nella protezione dei diritti, l’affermazione del principio della
‘protezione equivalente’ viene ribadito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza Bosphorus
Hava Jollari Turizm ve Ticaret anonim sirketi/Irlanda (n. ric. 45036/98 del 30.06.2005), con riferimento alla
violazione dell’art. 1 del Protocollo integrativo della C.E.D.U. da parte di atti nazionali adottati in
applicazione di norme dell’Unione. Nella ricostruzione del parametro dell’Unione, il Giudice di Strasburgo
si richiama, fra l’altro, alla nota giurisprudenza in tema di tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri,
all’art. 6 del TUE nonché alla stessa Carta di Nizza (art. 52.3) e al TCE (del 29 ottobre 2004), oltre che alla
disposizioni dell’art. 5 e 189 del T.U.E. Tanto richiamato, la Corte europea dei diritti dell’uomo ricorda
come, a partire dalla sentenza Francovich c/ Italia, la Corte di Giustizia “ha esteso la responsabilità dello
Stato all’insieme degli atti e delle omissioni delle autorità nazionali (legislative, esecutive e giudiziarie)
assunti in violazione del diritto comunitario, a condizione che siano soddisfatte le condizioni di
responsabilità” (§ 95). Dovendo, la Convenzione, essere interpretata in modo che gli Stati possano rispettare
i loro obblighi internazionali e in modo che non sia ostacolata l’intensificazione della cooperazione
internazionale, per il Giudice di Strasburgo, ne segue che l’unico problema da risolvere rimane quello della
natura discrezionale o meno dell’obbligazione assunta dagli Stati medesimi. Così ricostruita la fattispecie,
non vi è dubbio, per la Corte europea dei diritti dell’uomo, che “non contrasta alla Convenzione l’adesione
da parte di uno Stato a una organizzazione internazionale (nella specie la C.E.E.) nella quale le sia richiesto
di accollarsi altre obbligazioni a condizione che in questa organizzazione i diritti dell’uomo ricevano una
protezione equivalente a quella accordata dalla Convenzione” (§108). Un principio – quest’ultimo – come si
è fatto ricordare da parte della stessa Corte – già fatto valere nella sentenza M. and Co. c./République
fédérale d’Allemagne (n. 13258/87, del 9 febbraio 1990) e confermato nel caso Karl Eckart Heinz c/ Etats
contractants également Parties à la Convention sur le brevet européen (n. 21090/92, del 10 gennaio 1994).
La Corte europea dei diritti dell’uomo, così, ha stabilito che le Parti contraenti sono responsabili, ai sensi
dell’art. 1 della Convenzione di tutti gli atti e le omissioni dei loro organi, tanto che gli stessi derivino dal
diritto interno tanto che si fondino sulla necessità di adempiere a obbligazioni giuridiche internazionali.
Secondo la Corte, in tal senso, “una misura dello Stato adottata in esecuzione di tali obbligazioni deve
ritenersi giustificata a condizione che sia accertato che la organizzazione (internazionale) in questione
riconosca ai diritti fondamentali (assumendosi sotto tale nozione, al contempo, le garanzie sostanziali e
quelle procedurali) una protezione almeno equivalente a quella assicurata dalla Convenzione” (§155). In tali
condizioni, la Corte assume di poter considerare che la protezione dei diritti fondamentali assicurata dal
diritto dell’Unione è, ed era all’epoca dei fatti (di causa), “equivalente” a quella assicurata dal meccanismo
della Convenzione. Nella sentenza Bosphorus ritroviamo, pertanto, “e per la prima volta”, un chiaro
orientamento del Giudice di Strasburgo volto a “riappropriarsi del controllo sugli atti nazionali di attuazione
del diritto comunitario”. Nelle more di una soluzione che risolva il modo della “collocazione della C.E.D.U.
ai vertici del sistema delle fonti”, con tutte le implicazioni problematiche sollevate dalla stessa Corte di
Lussemburgo, rimane forse aperta la sola strada – bene sottolineata dalla dottrina126 – dell’armonizzazione
giurisprudenziale delle corti nazionali e delle due Corti europee, grazie a una uniformis interpretatio delle
disposizioni della Convenzione. È su questa base che dovrà ancora fondarsi il ‘diritto comune delle libertà’
in Europa, una base che pare pienamente seguita dalla stessa ‘Carta dei diritti’, che espressamente prevede
che “laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi
sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta Convenzione. La presente disposizione non osta al diritto
dell’Unione di concedere una protezione più estesa” (art. 52.3) e secondo la quale “nessuna disposizione
della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali riconosciuti nel rispettivo ambito di applicazione dal diritto della Unione, dal diritto
internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l’Unione, la Comunità o tutti gli Stati membri
sono parti contraenti, in particolare la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, e dalle Costituzioni degli Stati membri” (art. 53).
126
Cfr. F. Cocozza, Diritto comune delle libertà in Europa, Torino, 1994, p. 132. Nella dottrina di lingua francese, posizioni simili sono state
espresse da F. Benoît-Rohmer, “Valeurs et Droits fondmaentaux dans la Constitution”, in Révue trimestrielle de droit européen 2005 p. 261 ss.
secondo cui “…un système cohérent de de protection des droits de l’homme … ne peut se réaliser que si la Convention européenne des droits de
l’homme apparaît comme le standard minimal commun aux démocraties européennes. Dès lors, il faut éviter (que) deux systèmes des protection …
puissent se trouver en concurrence et donner lieu à des divergences de jurisprudence, et s’assure que le standard minimal européen de la Convéntion
européenne des droits de l’homme soit observé à l’égard de tout individu placé sous la juridiction de l’Union” (p. 280).
26
Le soluzioni accolte dagli ordinamenti nazionali, che assegnano alla C.E.D.U. la forza propria della legge
ordinaria127, impongono, pertanto, a livello nazionale, e nella direzione della valorizzazione della C.E.D.U.,
un ricorso, da parte dei giudici, “a prassi proprie della’‘interpretazione costruttiva’, in base alla quale il
criterio della lex posterior non può essere applicato a detrimento delle garanzie offerte dalla C.E.D.U., se
non vi è nella lex posterior stessa l’espressa menzione della volontà di perseguire effetti, anche in contrasto
con la C.E.D.U., subendo lo Stato italiano le conseguenze derivanti sul piano internazionale dalla violazione
della Convenzione”128. Tuttavia, in parte, tale orientamento (giurisprudenziale e dottrinario, al contempo)
appare convincente quando si rifletta a quello che, a buona ragione, Ruggeri definisce il punctum crucis della
questione ora in esame e cioè alla questione di sapere se, nella dinamica interordinamentale, il diritto
dell’Unione trovi comunque e sempre un limite alla sua primazìa in presenza di giudicati costituzionali, tanto
che questi si pongano a garanzia dei principi e dei diritti fondamentali nazionali, tanto che riguardino in
generale le funzioni esercitate dalla Corte costituzionale ai sensi dell’art. 137 Cost., che in questa ottica
dovrebbe assumere la natura di vero e proprio principio supremo dotato di una forza “supercostituzionale”129.
Ragioni sistemiche dovrebbero portare ad assumere che, in via generale, il giudicato costituzionale sia
chiamato a svolgere una simile funzione di chiusura nei confronti del processo d’integrazione europea e che
pertanto il diritto dell’Unione non possa che fermarsi di fronte a tale giudicato espressivo dell’autonomia
costituzionale dell’ordinamento interno. Vero è che il giudicato costituzionale appare meritevole di
considerazione nella concreta dinamica dell’interpretazione, rispetto alla quale lo stesso giudicato, sulla base
di diversi parametri invocati dal giudice a quo, potrebbe portare a diversi esiti, in ragione dei parametri
costituzionali di volta in volta richiamati nel caso concreto. Cionondimeno non può negarsi che, Corte
locuta, la soluzione delle antinomie, ivi comprese quelle eventuali con l’ordinamento dell’Unione, dovrebbe
ritenersi risolta. Ancora una volta, dunque, la questione che si pone e che appare senza risposte è quella
relativa alla ricerca delle soluzioni normative più adeguate alla riconciliazione dei due ordinamenti, fra di
loro in tensione dinamica, fra cui il dialogo fra Corti e il rinvio pregiudizale, nelle more di una rivisitazione
generale delle fonti di legittimazione costituzionale del diritto dell’Unione, rimangono al momento forme
necessarie e probabilmente ineludibili. Insomma, come bene sottolinea Ruggeri, rileggendo il rapporto fra le
due Corti alla luce della positivizzazione del mutuo riconoscimento degli ordinamenti nazionali e comunitari
(art. 4 nuovo Trattato; già art. I-5 del T.C.E.), “i conflitti fra le Corti rimangono pur sempre possibili …
nessun potere esclusivo, d’interpretazione ‘autentica’, sarebbe riconoscibile a beneficio degli uni o degli altri
giudici, piuttosto ammettendosi la eventualità di un libero confronto tra opzioni ricostruttive operate in seno
ai due ordinamenti, nel corso di una partita apparentemente aperta a ogni possibile esito”130. Insomma, il
cantiere dell’integrazione europea resta aperto a un’operosa pratica, volta ad “agevolare la formazione di
vere e proprie consuetudini interpretative, idonee a consolidarsi dunque in ‘indirizzi’ stabili di produzione e
di interpretazione giuridica, in forza dei quali gli enunciati costituzionali, in ambito comunitario come pure
in ambito nazionale, si volgano naturalmente gli uni verso gli altri, alimentandosi e rinnovandosi
reciprocamente di senso (in modo circolare, appunto), e tendendo alla più ampia espansione e realizzazione,
al servizio dei diritti di singoli e gruppi e al fine del loro massimo, alle condizioni storicamente date,
appagamento. Il che vale come dire che nell’uno come nell’altro ordinamento sono sollecitate a prendere
corpo delle pratiche d’interpretazione doppiamente conformi … che metodicamente e teoricamente
s’ispirino al principio della mutua ‘apertura’, del reciproco ‘fondamento’. (In tal senso) ... il disposto di cui
all’art. I-5, nella sua più densa e qualificante espressione, dà una ferma e non equivoca indicazione a
sostegno di siffatto indirizzo metodico-teorico, naturalmente sollecitato a convertirsi in diritto vivente
‘intercostituzionale’ … L’ipotesi, dunque, che norme dell’Unione (forse, pure principi fondamentali della
stessa) risultino incompatibili coi ‘controlimiti’, sì da far attivare la clausola di salvaguardia della identità
costituzionale fissata nell’art. I-5, non può, per eccessivo ottimismo o disarmante ingenuità, esser
interamente scartata. E allora è nuovamente da chiedersi quali tecniche di ripristino dell’armonia in seno alle
relazioni tra gli ordinamenti possano essere messe in campo, tecniche che si ispirino alla clausola stessa e
con essa dunque si mostrino, nei loro concreti sviluppi applicativi, pienamente coerenti. È evidente, infatti,
come non ci si possa arrestare alla sola inappagante conclusione precedentemente raggiunta secondo cui
l’accertamento della violazione dei ‘controlimiti’ … abbia luogo, ora in prima ed ora in seconda battuta, in
127
Per un superamento di questa sistematica delle fonti, tuttavia, cfr. ora, nella recente revisione della Costituzione italiana, la nuova disciplina
dei limiti all’esercizio della potestà legislativa statale e regionale, ai sensi dell’art. 117, I co., Cost.. Sul punto, nell’ampia bibliografia, di recente, cfr.
anche A. Ruggeri, “La C.E.D.U. alla ricerca di una nuova identità, tra prospettiva formale-astratta e prospettiva assiologia-sostanziale
d’inquadramento sistematico (a prima lettura di Corte cost. nn. 348 e 349 del 2007)”, in Forum di Quaderni costituzionali, 2007.
128
Cfr. F. Cocozza, Diritto comune … cit., p. 134; L. Cassetti, “Princìpi supremi e diritti fondamentali nel Trattato di Amsterdam”, in Gazzetta
Giuridica, 1999, n. 36, p. 8. Sul punto cfr. ora le recenti sentt. nn. 348 e 349 del 2007.
129
Cfr. A. Ruggeri, “Le pronunzie della Corte costituzionale … cit.
130
Ult. op. cit., p. 6.
27
questo o quell’ordinamento. Si tratta, infatti, di chiedersi da chi e con quali effetti l’accertamento stesso sia
compiuto, in ragione appunto della ormai avvenuta europeizzazione dei ‘controlimiti’ stessi, e quali esiti
possano pertanto immediatamente, naturalmente discenderne”131. Se il Giudice delle leggi, come si è già
osservato, si riconosce ormai pienamente competente (ciò rimane vero al momento solo in sede di giudizi in
via principale, non potendosi realisticamente ipotizzare svolte radicali con riferimento alla precedente
giurisprudenza costituzionale, a partire dalla nota sentenza Frontini e, corrispondentemente dal fronte
dell’Unione, a partire dalla sentenza Simmenthal132) a far valere innanzi a sé il bilanciamento fra vincolo
dell’Unione e ‘controlimite’ a protezione dei principi e dei diritti fondamentali interni, può ormai dirsi che
siamo in presenza di una ricomposizione all’interno di quel complesso percorso cui la Corte era fin qui
pervenuta133. Come è stato bene sottolineato, così, “a ben vedere la legittimità comunitaria assorbe la
legittimità costituzionale”134 e la Corte ora lo riconosce espressamente. In breve, il nuovo riparto delle
competenze fra Stato e regioni e la stessa legittimità di tali fonti, oltre a soggiacere al limite ampiamente
fatto valere da un quinquennio di giurisprudenza costituzionale sulla natura eminentemente “trasversale” di
talune materie/funzioni di competenza esclusiva dello Stato (livelli essenziali di prestazioni in materia di
diritti civili e sociali, tutela della concorrenza, perequazione finanziaria, ecc.), con una recente sentenza135
della Corte, tale riparto soggiace al rispetto del vincolo comunitario. Con tale pronuncia, la Corte “non ha
potuto fare a meno di ammettere l’idoneità del diritto comunitario a prevalere sul riparto interno delle
competenze (e quindi ad assorbire i problemi di costituzionalità)”136. Rimane il dubbio se un simile
orientamento del Giudice delle leggi si limiterà alle sole impugnazioni delle leggi in via principale, ovvero si
estenderà anche al giudizio in via incidentale, e se in tale ambito potrà darsi un superamento di quella
giurisprudenza (Simmenthal) che ha sempre rifuggito dalla declaratoria d’incostituzionalità di leggi per
violazione del diritto dell’Unione, dovendo le stesse, a cura del giudice ordinario, conoscere la mera
disapplicazione. Se dunque questo orientamento avrà seguito potrà dirsi che, dopo più di un trentennio di
costante giurisprudenza, quella logica dualistica che aveva presidiato il rapporto fra gli ordinamenti e le
relative Corti potrà trovare una sua definitiva sistemazione in un innovato quadro monistico, capace, tuttavia,
di riconoscere alla Corte costituzionale il sindacato del ‘controlimite’, almeno fino al ripensamento delle
forme della legittimazione costituzionale dell’ordinamento dell’Unione. Il problema della non
applicabilità/invalidità del diritto interno rispetto a quello dell’Unione, tuttavia, anche dopo l’appena
richiamata sentenza della Corte italiana, continua a porsi quando si rifletta alla giurisprudenza recente del
Giudice della nomofilachia italiano137.
Diversamente dall’apertura riconosciuta dalla dottrina ai recenti orientamenti del Giudice delle leggi, e in
sostanziale continuità con previgenti letture dualistiche del rapporto fra i due ordinamenti, l’Alta Corte di
legittimità assume che il novellato art. 117, I co., Cost. altro non farebbe che costituzionalizzare un “assetto
dato” di rapporti fra ordinamenti, che vedrebbe “i vincoli derivanti dallo ordinamento comunitario” (di cui al
novellato art. 117, I co., Cost.) come meramente riferibili “alla sedes materiae e cioè al rapporto fra
ordinamenti e non anche ai rapporti fra le diverse fonti”. Una lettura – quest’ultima – più che discutibile,
131
Ult. op. cit., pp. 7-8.
C-106/77, nella cui massima è dato leggere “(2) L’applicabilità diretta del diritto dell’Unione significa che le sue norme devono esplicare
pienamente i loro effetti, in maniera uniforme in tutti gli Stati membri, a partire dalla loro entrata in vigore e per tutta la durata della loro validità. Le
disposizioni direttamente applicabili sono una fonte immediata di diritti e di obblighi per tutti coloro ch’esse riguardano, siano questi gli Stati membri
ovvero i singoli, soggetti di rapporti giuridici disciplinati dal diritto dell’Unione. Questo effetto riguarda anche tutti i giudici che, aditi nell’ambito
della loro competenza, hanno il compito, in quanto organi di uno stato membro, di tutelare i diritti attribuiti ai singoli dal diritto dell’Unione. (3). In
forza del principio della preminenza del diritto dell’Unione, le disposizioni del trattato e gli atti delle istituzioni, qualora siano direttamente
applicabili, hanno l’effetto, nei loro rapporti col diritto interno degli Stati membri, non solo di rendere ‘ipso jure’ inapplicabile, per il fatto stesso della
loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale preesistente, ma anche - in quanto dette disposizioni e detti atti
fanno parte integrante, con rango superiore rispetto alle norme interne, dell’ordinamento giuridico vigente nel territorio dei singoli Stati membri - di
impedire la valida formazione di nuovi atti legislativi nazionali, nella misura in cui questi fossero incompatibili con norme comunitarie … (4) Il
giudice nazionale , incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le disposizioni di diritto comunitario, ha l’obbligo di garantire la
piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche
posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale”.
Nello stesso filone giurisprudenziale, si deve anche richiamare la sentenza (F.lli Costanzo, del 22 giugno 1989, C-103/88) che impone anche alle
pubbliche amministrazioni, con riferimento ad una direttiva auto-applicativa, la diretta applicabilità del diritto dell’Unione con la conseguente
disapplicazione delle norme nazionali contrastanti. “(2). In tutti i casi in cui talune disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista
sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, tanto se
questo non abbia trasposto tempestivamente la direttiva nel diritto nazionale, quanto se l' abbia trasposta in modo inadeguato. Qualora sussistano i
presupposti occorrenti perché la direttiva possa essere fatta valere dai singoli dinanzi ai giudici nazionali, tutti gli organi della pubblica
amministrazione, ivi compresi gli enti territoriali, come i comuni, sono tenuti ad applicare la direttiva stessa”.
133
Cfr. S. Panunzio, I diritti fondamentali e le Corti in Europa, Napoli, 2005.
134
Cfr. A. Celotto, “La Corte costituzionale finalmente applica …
135
Corte cost., sent. n. 405 del 2005.
136
Ult. op. cit.
137
Corte di cassazione, 10 dicembre 2002, n. 17564.
132
28
quando si rifletta sugli effetti legittimanti sul sistema delle fonti e pertanto sulla primazìa del diritto
dell’Unione su quello interno derivanti, nell’ordinamento positivo, dall’art. 11 Cost. e pienamente
riconosciuti da una giurisprudenza costituzionale e dell’Unione senza eccezioni di rilievo. In tale ottica, ne
dovrebbe logicamente conseguire che la questione dei rapporti fra gli ordinamenti deve continuare a leggersi
nell’ottica dell’invalidità della legge interna, quando la stessa si ponga in contrasto con i princìpi e le
disposizioni dell’Unione. Tale mancata conformità costituirebbe null’altro che un vizio di legittimità
costituzionale ai sensi e per gli effetti dell’operatività del fondamento dell’art. 11 Cost. La mancata opzione
da parte della Corte costituzionale di avvalersi del rinvio pregiudiziale può anche individuarsi all’origine di
importanti questioni interpretative, con riferimento alla giurisprudenza recente di altre magistrature di
vertice, volte ad assicurare nel loro giudicato le garanzie dei ‘controlimiti’. Si tratta, in particolare, di una
recente pronuncia del Consiglio di Stato138, particolarmente importante per più ragioni: la prima, perché il
Supremo giudice amministrativo si è pronunciato a valle di una sentenza additiva della Corte
costituzionale139 che, effettivamente, invocava il parametro di cui all’art. 3 e all’art. 32 (dunque a protezione
del diritto fondamentale alla salute) per censurare la legge oggetto di ricorso costituzionale asseritamente
ritenuta in violazione delle richiamate disposizioni costituzionali (l. n. 362/91); la seconda, in ragione della
mancata disapplicazione della norma interna censurata di contrasto con il diritto dell’Unione, in ragione della
considerazione secondo cui non si sarebbe trattato di una disciplina dell’Unione direttamente applicabile, ma
solo di un contrasto della legge nazionale con i principi generali del diritto dell’Unione (in materia di non
discriminazione sulla base nella nazionalità, ex art. 12 T.C.E.)140. In altri termini, il Consiglio di Stato
omette, d’emblée, di far valere quella risalente giurisprudenza che impone al giudice nazionale (come anche
agli organi competenti a dare attuazione al diritto e alla giurisprudenza dell’Unione) di risolvere le antinomie
interpretative sulla base di una “interpretazione conforme al diritto comunitario”141, di cui fa parte organica
non solo il diritto primario ma la stessa giurisprudenza della C.G.U.E., come questa ultima ha sempre
confermato, a partire dai casi CILFIT142, Sanz de Laera143, Ospelt144, Reyners145, Commissione/Francia146 in
poi. E in più il Supremo giudice amministrativo si rifiuta, al contempo, di promuovere il rinvio pregiudiziale
alla Corte di giustizia, in quanto, appunto, “la matrice costituzionale” della disposizione interna, per come
risultante a seguito della sentenza interpretativa di accoglimento, trova la propria ratio nel quadro della
giurisprudenza costituzionale in materia di ‘controlimiti’. Come si può osservare, siamo qui in presenza di
una concreta operatività della teoria dei ‘controlimiti’ nello stesso ambito giurisprudenziale (ordinario e)
amministrativo, espressione forse di quel “rigurgito” nazionale nei confronti del processo d’integrazione
europea seguito ai due referendum contro la ratifica del Trattato costituzionale, di cui si è già detto in
precedenza. Tuttavia, rimane confermato come una simile giurisprudenza, salvo per quanto si è già
osservato, appare poco o approssimativamente motivata con riferimento al parametro della Carta di Nizza,
138
Consiglio di Stato, Sez. V, sent. n. 4207/2005.
Corte cost., n. 275/2003.
140
È ragionevole chiedersi se alla luce di tale evoluzione giurisprudenziale dell’Unione, regga ancora la giurisprudenza dualistica del Giudice
delle leggi nazionali, per come affermata nella richiamata sentenza Granital. Al momento la Corte costituzionale (ord. 165/2004) pare orientata nel
senso dell’approfondimento della questione, atteso la sua decisione processuale di rinviare a nuovo ruolo le questioni sollevate, “stante la sostanziale
coincidenza fra il quesito di costituzionalità, attinente all’asserito contrasto delle norme impugnate con il diritto comunitario, e quello che costituisce
oggetto delle… cause” instaurate di fronte alla Corte di giustizia”. È ragionevole interrogarsi, come è stato già fatto, se non si tratti di un precedente
che “prelude ad un revirement della giurisprudenza costituzionale, fino ad ora saldissima nell’escludere che la Consulta possa operare quale giudice di
rinvio, ai sensi dell’art. 234 Tr. CE”. Per una prima analisi di tale evoluzione cfr. A. Borzì, “Interpretazione autentica, disapplicazione e giudizio di
costituzionalità in una vicenda di contrasto tra diritto interno e ordinamento comunitario. A propositivo della sentenza della Corte di Giustizia, 11
novembre 2004, Causa C-457/02, Niselli”, in http://www.federalismi.it (n. 12/2005). Una recente sentenza può parimenti richiamasi in tema di
rapporti fra diritto interno e decisioni quadro, adottate nell’ambito del terzo pilastro dell’UE; si tratta del noto caso Pupino (C-105/03), sul quale cfr.
due primi commenti a caldo di R. Calvano, “Il caso Pupino: ovvero dell’alterazione per via giudiziaria dei rapporti tra diritto interno (processuale
penale), diritto Ue e diritto comunitario”, in http://www.associazionedeicstituzionalisti.it (13 febbraio 2006). La questione appare di particolare
interesse sotto il profilo affrontato in questo saggio, in ragione della considerazione secondo cui la Corte di Giustizia, in una decisione interpretativa
sollevata su rinvio pregiudiziale di un Tribunale (Firenze), adotta una lettura che si pone in evidente contrasto con principi garantistici
dell’ordinamento processuale penale italiano. La questione formale, come è noto, si poneva con riferimento all’obbligo di interpretazione del diritto
interno in modo conforme alle decisioni quadro previste dall’art. 34.2.b del T.U.E., allorché, expressis verbis, il T.U.E. prevede che tali decisioni
quadro non abbiano efficacia diretta, bensì la sola obbligazione di risultato. La Corte di Giustizia, con orientamento pretorio, ha assunto che anche nei
confronti di tali decisioni quadro deve riconoscersi il principio della interpretazione conforme, già accolto nel caso Marleasing (C-106/89), benché
aggiunga che tale interpretazione dovrà comunque effettuarsi nel rispetto dei principi dell’ordinamento nazionale e pertanto non potrà giustificarsi una
interpretazione contra legem”. Un nuovo tassello viene in tal modo aggiunto al processo d’integrazione europea per via giurisprudenziale. Come bene
è stato già sottolineato, infatti, la Corte di Giustizia non si limita a motivazioni di carattere giuridico ma si estende agli stessi obiettivi dell’U.E., pur in
una fase di evidenti difficoltà.
141
C.G.C.E., sent. Marleasing, causa C-106/89.
142
C.G.C.E., causa C-283/81.
143
C.G.C.E., C-163/94.
144
C.G.C.E., C-451/01.
145
C.G.C.E., C-2/74.
146
C.G.C.E., C-270/83.
139
29
perfino richiamata, impropriamente, come Trattato di Nizza 147. Ma rimane parimenti confermato che tale
indirizzo ‘resistenziale’, in ragione del richiamato rifiuto ad avvalersi del rinvio pregiudiziale alla Corte di
Giustizia, ha finito con l’allontanarsi dallo stesso orientamento del Giudice di Lussemburgo che, dal caso
ERT148 in poi, appare ben rendersi conto delle ragioni opposte dagli ordinamenti interni in sede di
‘controlimiti’, affermando che i diritti fondamentali europei rientrano fra quei principi generali dell’Unione
di cui la stessa si prefigge di assicurarne la garanzia sulla base delle tradizioni costituzionali comuni agli
Stati membri e che, in tale ottica, “non può essere legittima nessuna misura incompatibile con i diritti
fondamentali riconosciuti e tutelati nelle costituzioni di detti stati”149. Se la tematica dei rapporti fra
l’ordinamento dell’Unione e quello interno è stata fin qui analizzata alla luce della giurisprudenza
costituzionale sui cd. ‘controlimiti’, occorre ora rivolgere l’attenzione all’altro versante, quello della
giurisprudenza e del diritto derivato dell’Unione, che pure si sono già richiamati in precedenza, ma su cui
conviene ora ritornare per una disamina meglio approfondita. Non prima, tuttavia, di aver ricordato come il
modo di procedere delle istituzioni dell’Unione muovano, di recente, nell’ottica di un’evidente forzatura del
rapporto di integrazione fra i due ordinamenti (come bene è stato osservato, in proposito150, con riferimento a
un discutibile regolamento dell’Unione, in materia di divieto da parte delle giurisdizioni nazionali di adottare
decisioni in contrasto con la decisione adottata dalla Commissione151, in materia di aiuti di Stato). Una
normativa dell’Unione – quest’ultima – che, pur apparendo in continuità con un indirizzo risalente del
Giudice di Lussemburgo152 e pur essendo confermata dal nostro Giudice di legittimità153, relativamente alla
insindacabilità da parte dello stesso giudice nazionale della illegittimità di aiuti dello Stato accertati dalla
Commissione (ai sensi dell’art. 88 §2 del TCE) – solleva molto più di un dubbio quanto alla ‘limitazione’ del
singolo giudice nel potere/dovere di valutare, nel caso concreto, la conformità al diritto dell’Unione della
disposizione nazionale di merito; ciò tanto più quando si rifletta sulla dubbia efficacia diretta e prevalente
delle decisioni della Commissione. A buona ragione, quei ‘controlimiti’ che pure erano stati ritenuti nulla più
che “una tigre di carta”, così, ritrovano un nuovo spazio, dimostrandosi tutt’altro che “velleitari” o
“inutili”154.
7. Primauté dell’Unione Europea e identità costituzionali nazionali (secondo gli artt. 5 e 6 dei nuovi trattati)
Argomenti nuovi e importanti per tale nuova apertura di orizzonti venivano dalle disposizioni di cui agli
artt. I-5 e I-6 del (non ratificato) Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, letti anche nella loro
successione, ove nella prima disposizione si sanciva come “L’Unione rispetta l’uguaglianza degli Stati
membri davanti alla Costituzione e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale,
politica e costituzionale”, mentre nella seconda che “La Costituzione e il diritto adottato dalle istituzioni
della Unione nell’esercizio delle competenze a questa attribuite prevalgono sul diritto degli Stati membri”.
Due disposizioni – queste ultime – che, nel testo del Trattato costituzionale non ratificato, riepilogavano e
sancivano i rapporti fra i due ordinamenti, portando ad assumere come, nella dinamica dei rapporti fra
primauté del diritto dell’Unione e controlimiti, oggi non potesse più cogliersi una tensione oppositiva quanto
piuttosto una necessaria coesistenza (diremmo “mite”, richiamando non invano Gustavo Zagrebelsky155). Il
quadro normativo è tuttora significativamente innovato con i nuovi trattati, seguendo, come si è già ricordato
in precedenza, la tecnica della modifica e non quella della loro sostituzione in toto. In tal modo, il Trattato
sull’U.E., benché modificato in molte delle sue disposizioni, ne conserva il nome, mentre il Trattato che
147
In una valutazione nettamente critica, cfr. A. Ruggeri, “Le pronunzie della Corte costituzionale come ‘controlimiti’ alle cessioni di sovranità a
favore dell’ordinamento comunitario?, (A margine di Cons. St., sez. V, n. 4207 del 2005)”, in Forum di Quaderni costituzionali, 2005; O. Pollicino,
“Il difficile riconoscimento delle implicazioni della supremazia del diritto europeo: una discutibile pronuncia del Consiglio di Stato”, in
www.forumcostituzionale.it, 2005; di quest’ultimo autore cfr. anche “Principio di tolleranza costituzionale tra self restraint e judicial activism della
Corte di Giustizia”, in Atti Ass. dir. pub. comp. ed eur. (Università di Teramo, 27-28 giugno 2003, R. Orrù – L. Sciannella (a cura di), Torino, 2004.
148
Cfr. sent. ERT, C-260/89, in Racc. I-1295.
149
Cfr. sent. ERT, C-260/89, in Racc. I-1295.
150
Cfr. N. Zanon, “Decisioni della Commissione europea, regolamenti comunitari e indipendenza funzionale del giudice italiano: se discutessimo
un po’ di ‘controlimiti’”?, in www.forumcostituzionale.it.; A. Celotto, “Una nuova ottica dei ‘controlimiti nel T.C.E.?”, in
www.forumcostituzionale.it.
151
Reg. CE 16.12.2002, n. 1/2003
152
C.G.C.E., C-249/85.
153
Cass. Civ., sez. trib., n. 17564/2002.
154
Cfr. M. Cartabia, “’Unità nella diversità’: il rapporto fra la Costituzione europea e le Costituzioni nazionali”, in Giornata di studio in ricordo
al Alberto Predieri. Sul Trattato che istituisce una Costituzione per l’UE” (Firenze, 18 febbraio, 2005).
155
Per uno sviluppo di tale orientamento cfr. G. Zagrebelsky, “Le Corti costituzionali, le Costituzioni democratiche, l’interdipendenza e
l’indivisibilità dei beni costituzionali”, Discorso pronunciato in Campidoglio per la celebrazione dei 50 anni di attività della Corte costituzionale
(Roma, 22 aprile 2006).
30
istituisce la Comunità europea (Trattato di Roma) diviene ora il Trattato sul funzionamento dell’Unione.
Quanto alle più significative modifiche apportate all’interno dei nuovi trattati, deve osservarsi come gli
stessi, sulla base di un preciso mandato ricevuto in tal senso da parte del Consiglio europeo (di Bruxelles,
21/22 giugno 2007), si caratterizzino per il netto abbandono di ogni idea e di ogni simbologia
costituzionale156. Ancorché la Carta dei diritti fondamentali non venga incorporata nei trattati, come
avveniva nel caso del (non ratificato) Trattato costituzionale, si è già ricordato, inoltre, come venga
assegnato alla stessa il medesimo valore giuridico riconosciuto ai trattati157. A tali più significative
innovazioni vanno aggiunte quelle altre che assumono un significato maggiore nell’ottica della trattazione
che stiamo ora svolgendo: innanzitutto le tavole dei valori ora sono richiamate nei preamboli e nei primi
articoli; le disposizioni sugli inni e la bandiera sono soppresse. Nel sancire il rispetto da parte dell’U.E
dell’eguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati nonché la loro identità nazionale (per come “insita
nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e
regionali”), due disposizioni fondamentali del nuovo Trattato (artt. 4 e 5) disciplinano i rapporti fra le
sovranità nazionali e l’U.E.: il principio di attribuzione (art. 5.2), il principio di sussidiarietà (art. 5.3), il
principio di proporzionalità (art. 5.4). In questa ottica rileva la soppressione della disposizione contenuta
nell’art. I-6 del Trattato costituzionale (non ratificato), destinato espressamente a far valere il principio della
primazia dell’Unione sul diritto degli Stati membri.
Il sistema costituzionale dell’Unione risultante dal conferimento alla Carta dei diritti fondamentali “dello
stesso valore giuridico dei trattati” (art. 6.1), ancorché non sembra poter conferire a questa Carta lo stesso
valore (almeno simbolico) di un Bill of rights, fa, in ogni caso, evolvere tale ordinamento rispetto alle
missioni originarie, vedendo ora incluse fra i suoi compiti quello di garantire i diritti fondamentali, in unum
con le persistenti garanzie da assicurare al mercato comune europeo. La sovranità nazionale e con essa le
garanzie apprestate a tutela dei diritti fondamentali non deve poter consentire valutazioni preoccupate circa il
processo ulteriore d’integrazione, dal momento che il singolo soggetto si vede garantito, in una logica
multilevel, che assegna alle istituzioni europee e soprattutto al Giudice di Lussemburgo il compito di
assicurare la massima garanzia a tali diritti, in unum con il vincolo all’interpretazione nel senso più
favorevole ai diritti dell’uomo e alle libertà fondamentali, ora positivizzato con forza giuridica all’art. 53
della Carta dei diritti fondamentali. Gli stessi giudici nazionali, sia costituzionali che ordinari, disporranno
ora di un nuovo parametro al fine di procedere alla disapplicazione della norma dell’Unione in favore di
quella costituzionale nazionale ritenuta più favorevole, “in un’applicazione pro individuo dello standard di
tutela comunitario o nazionale che sia”158. Tutto al contrario di assumere una natura “velleitaria”, come pure
taluno aveva argomentato, dunque, alla luce dei nuovi trattati (di Lisbona), i ‘controlimiti’ della Corte
costituzionale ritrovano un nuovo e più ampio orizzonte, dinamizzato dalla nuova ottica dell’integrazione
europea, ora arricchita da una Carta dei diritti idonea, molto più di quanto non lo fosse la primitiva
giurisprudenza comunitaria, a farsi garante di un ulteriore livello di garanzia dei diritti, in unum con gli
standard più elevati (art. 53 Carta) agli stessi riconosciuti sia dalle Costituzioni nazionali sia dalle Carte
internazionali e soprattutto dalla C.E.D.U. Il nuovo diritto dell’Unione (benché in forme meno esplicite di
quelle previste negli artt. I-5, I-6, II-111 e II-113 del Trattato costituzionale, non ratificato), in tale ottica,
consentirebbe tre principali conclusioni. Innanzitutto, il principio che dovrà guidare l’interprete dell’indagine
relativa ai rapporti fra (nuovi) trattati e Costituzioni nazionali rimane quello della “suddivisione dei rispettivi
156
A tal fine, il Consiglio europeo di Bruxelles (21 e 22 giugno 2007) conferiva un mandato chiaro e ben delimitato alla CIG, la quale, nel
predisporre lo schema del nuovo Trattato, avrebbe dovuto pienamente conformarvisi: “Il T.U.E. e il trattato sul funzionamento dell’Unione non
avranno carattere costituzionale. La terminologia utilizzata in tutto il testo dei trattati rispecchierà tale cambiamento: il termine “Costituzione” non
sarà utilizzato, il “Ministro degli affari esteri dell’Unione” sarà denominato Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di
sicurezza e i termini “legge” e “legge quadro” saranno abbandonati mentre i termini attuali “regolamenti”, “direttive” e “decisioni” saranno
mantenuti. Parimenti, i trattati modificati non conterranno alcun articolo che faccia riferimento ai simboli dell’UE quali la bandiera, l’inno o il motto.
Per quanto riguarda il primato del diritto dell’UE, la CIG adotterà una dichiarazione contenente un richiamo alla giurisprudenza della Corte di
giustizia dell’UE” (Mandato della CIG – Allegato I – I.3).
157
Non si condivide, in tal senso (e invero non si comprende nemmeno la ratio che la supporta), quella lettura fortemente svalorizzatrice della
disposizione dei nuovi trattati (art. 6) con la quale si conferisce alla Carta dei diritti fondamentali lo stesso valore giuridico dei trattati. Secondo questo
non convincente orientamento, infatti (L. Patruno, “Addio ‘Costituzione’ europea? I nomi: Trattato, Costituzione; la cosa: il diritto europeo”, in
http://www.costituzionalismo.it (2007)): “Quasi nulla, invece, sembrerebbe la portata della carta dei diritti di Nizza del 2000. Essa costituisce un
corpo separato dai Trattati e, nella determinazione del Consiglio europeo, dovrebbe vedersi riconosciuto solo un riferimento incrociato (cross
reference) nell’ambito dell’articolo sui diritti fondamentali. E, forse, in questo caso, ancora di più occorrerebbe domandarsi che forza possa avere la
proclamazione di una Carta dei diritti all’interno di un contesto ordinamentale (istituzionale, normativo, giurisprudenziale) stratificatosi attorno al
riconoscimento di regole di convivenza prevalentemente tecno-economiche”. Diversa e ben più convincente risulta essere, al contrario, quella critica
che invita a riflettere sui limiti in cui incorre la vera e propria “apologia dei diritti fondamentali” quando (e ove) risulti disancorata da un suo stretto
raccordo con le esigenze pratiche del mercato (“costituzionalismo irenico”). In quest’ultima direzione cfr. M. Luciani, “Costituzionalismo irenico e
costituzionalismo polemico”, in http://www.associazioneeicostituzionalisti.it; cui adde anche C. Amirante, “European governance e costituzione
europea: fra revisione tacita e ‘anestesia’ dei sistemi costituzionali degli Stati membri”, in S. Gambino e G. D’Ignazio (a cura di), La revisione
costituzionale e i suoi limiti. Fra teoria costituzionale, diritto interno, esperienze straniere, Milano, 2007.
158
Cfr. A. Celotto, “Una nuova ottica dei ‘controlimiti … cit., p. 3.
31
ambiti di operatività in base ad un principio di competenza, rimanendo ciascun ordinamento fondato e
orientato su una propria Carta costituzionale”159. Nell’ipotesi d’intreccio e sovrapposizione fra discipline dei
diversi ordinamenti, i trattati godono di supremazia e prevalenza sulle Costituzioni nazionali. Tale
supremazia, tuttavia, allorché tocca l’ambito dei principi e dei diritti fondamentali dei singoli ordinamenti
costituzionali nazionali, lascia l’ultima parola alle Costituzioni nazionali e per esse ai relativi giudici
costituzionali, in una sorta di “primato invertito”160. In questa ottica trova piena conferma quella convincente
lettura che vede i ‘controlimiti’ non proporsi più come “un rigido muro di confine fra ordinamenti”, bensì
come “il punto di snodo, la cerniera dei rapporti tra U.E. e Stati membri”, divenendo ormai gli stessi un
elemento positivo e dinamico d’integrazione fra gli ordinamenti, rispetto a cui i giudici dei due sistemi
potranno meglio e più proficuamente ricostruire quel necessario dialogo fra le Corti e quella circolazione di
giurisprudenza che avrà il suo riscontro, in ogni caso, con riferimento al livello di protezione più elevato, di
volta in volta al caso concreto, “in un’applicazione pro individuo dello standard di tutela comunitaria o
nazionale che sia”161.
8. Verso il controllo diffuso della costituzionalità dell’Unione: alcune riflessioni conclusive
Per richiamare ora (sia pure in modo essenziale) un tema centrale – quello della giurisdizione e della
relativa effettività della tutela giudiziaria delle pretese giuridicamente riconosciute ai soggetti – può
osservarsi che le recenti evoluzioni nel processo d’integrazione europea appaiono destinate a una
valorizzazione ulteriore del sistema giurisdizionale, al cui interno potrà assistersi (in modo pressoché
inevitabile) a un nuovo protagonismo sia della Corte di Giustizia che di quelli nazionali. Tale protagonismo
potrà esprimersi sia nella fase ascendente, di adizione al Giudice di Lussemburgo da parte del giudice
nazionale (ed auspicabilmente, come si è più volte sottolineato dello stesso Giudice costituzionale) attraverso
lo strumento del ‘rinvio pregiudiziale’, che avrà nuove e più complesse disposizioni su cui esercitarsi, sia, e
soprattutto, nella fase discendente, con riferimento cioè alla disapplicazione del diritto interno per contrasto
con la normativa comunitaria, ora composta sia da disposizioni di garanzia dei diritti, sia da disposizioni che
sanciscono princìpi162. Quanto alla disapplicazione del diritto interno per contrasto con la disciplina
dell‘Unione in tema di diritti, in realtà, non sembrano sussistere dubbi di sorta; disponiamo, infatti, di una
giurisprudenza ampiamente consolidata. Dalle sentenze Van Gend en Loos163 e Costa/Enel164 in poi, la
prevalenza e la diretta applicabilità del diritto dell’Unione nell’ambito del diritto interno costituiscono
princìpi pienamente riconosciuti e consolidati, ancorché non possa sottacersi l’almeno apparente
ripensamento del Giudice delle leggi nella sentenza ICIC165. Rispetto alla questione relativa all’operatività
dei regolamenti dell’Unione riguardati da leggi di recepimento (non previsti dai trattati) in contrasto con gli
stessi, la Corte costituzionale, infatti, assume che il giudice ordinario non ha il potere di disapplicare le leggi
contrastanti, potendo lo stesso solo sollevare la questione della loro legittimità costituzionale, per violazione
dell’art. 11 Cost. Tale primauté risulterà pienamente confermata dalla giurisprudenza di Lussemburgo,
ancorché ispirata a un prudente self restraint nella materia dei principi e dei diritti fondamentali nazionali. Si
ricordino in merito l’importante considerando della sentenza Internationale Handelsgesellschaft166, la
sentenza Tanja Kreil167, e più di recente la sentenza Omega168, in cui la tutela della dignità umana, in quanto
valore fondamentale, è assunta come parametro per giustificare la restrizione a una delle libertà fondamentali
(nella specie, il divieto di esercitare un’attività economica) sancite dai trattati. Rispetto alla questione
sottoposta, se cioè il divieto di un’attività economica per motivi basati sulla protezione di valori
fondamentali consacrati dalla Costituzione nazionale come, in questo caso, la dignità umana, sia compatibile
con il diritto dell’Unione, la Corte di Giustizia non ha esitato ad assumere che “l’ordinamento giuridico
comunitario ha, senza dubbio, il fine di garantire il rispetto della dignità umana come principio generale di
159
Cfr. M. Cartabia, in “Unità nella diversità: il rapporto fra la Costituzione europea e le costituzioni nazionali” (Relazione alla Giornata di
studio in ricordo di Alberto Predieri, Firenze, 18 febbraio 2005).
160
Ult. op. cit.
161
Cfr. A. Celotto, “Una nuova ottica dei ‘controlimiti’ … cit., p. 3.
162
Fra gli altri, cfr. anche R. Alonso García, “Il giudice nazionale come giudice europeo”, in Quad. cost., 2005.
163
Sent. 5 febbraio 1963, causa 26/62, in Racc., 1963, p. 3.
164
Sent. 15 luglio 1964, causa 6/64, in Racc., 1964, p. 1160.
165
Corte cost., sent. 30 ottobre 1975, n. 232.
166
C.G.C.E., sent. 17 dicembre 1970, C-11/70, § 3.
167
C.G.C.E., sent. 11 gennaio 2000, C-285/98.
168
C.G.C.E., sent. 14 ottobre 2004, C-36/02 Omega Spielhallen.
32
diritto. Pertanto, è indubbio che l’obiettivo di proteggere la dignità umana è compatibile con il diritto
comunitario, essendo irrilevante a questo riguardo che, in Germania, il principio del rispetto della dignità
umana gode di un regime particolare come diritto fondamentale autonomo” e, pertanto, “da un lato, il divieto
di sfruttamento commerciale di giochi che comportano la simulazione di atti di violenza contro persone, in
particolare la rappresentazione di omicidi, corrisponde al livello di tutela della dignità umana che la
Costituzione nazionale intende assicurare sul territorio della Repubblica federale di Germania. Dall’altro, si
deve constatare che, vietando unicamente la variante del gioco laser finalizzata a colpire bersagli umani e
dunque a “giocare ad uccidere”, il provvedimento controverso non ha ecceduto quanto necessario per
conseguire l’obiettivo perseguito dalle autorità nazionali competenti”169. A questa deve anche aggiungersi la
sentenza Kobler170, nella quale viene sancito il principio “secondo cui gli Stati membri sono obbligati a
riparare i danni recati ai singoli dalle violazioni del diritto dell’Unione che sono loro imputabili … anche
allorché la violazione deriva dal contenuto di una decisione di un organo giurisdizionale nazionale di ultimo
grado”. Tuttavia, ora, tali principi si fondono su nuovi e ben più densi parametri di costituzionalità europea –
quelli dei diritti (da rispettare) e dei princìpi (da osservare e promuovere) –; ben più significativo sarà, di
conseguenza, il ruolo cui è ora chiamato il giudice nazionale sia nella fase ascendente che in quella
discendente.
Un quesito, tuttavia, s’impone. Quid iuris con riferimento all’esercizio delle funzioni giurisdizionali del
giudice nazionale in presenza di princìpi fondamentali dell’Unione? La risposta maggiormente plausibile
all’interrogativo, rispetto al diritto vigente (art. 52 Carta dei diritti fondamentali), porta a ritenere tanto che
gli stessi possano costituire materia opportuna di ‘rinvio pregiudiziale’, quanto che possano costituire valido
parametro ai fini dell’interpretazione degli atti sottoposti alla sua cognizione (‘interpretazione conforme al
diritto dell’Unione). È appunto in tale ambito che si dischiudono significative questioni poste
dall’intersezione fra la disciplina europea in tema di diritti e di princìpi fondamentali (si pensi, fra le tante,
alla materia del bio-diritto o a quella della famiglia) e quella costituzionale di ogni singolo Paese membro
dell’U.E., di norma garantita dal principio della rigidità costituzionale e da quello connesso di controllo
giurisdizionale della costituzionalità delle leggi. Da una parte, così, ritroviamo la Corte di Giustizia costituita
(art. 9 F, nuovo Trattato) a presidio del rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati,
dall’altra, gli Stati membri chiamati a stabilire i rimedi per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei
settori disciplinati dal diritto dell’Unione europea. Sempre nell’ambito delle cosiddette ‘clausole orizzontali’
ritroviamo sancito, parimenti, che i trattati tengono conto delle legislazioni e delle prassi nazionali.
Risolutiva della questione ora in considerazione appare, infine, la disposizione della Carta dei diritti
fondamentali relativa al “livello di protezione” dei diritti (art. 53), secondo cui nessuna disposizione della
Carta medesima può essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, oltre che dal diritto dell‘Unione, dal diritto
internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l’U.E. o tutti gli Stati membri sono parti, in
particolare la C.E.D.U, e dalle Costituzioni nazionali (art. 54 Carta dei diritti fondamentali). Nulla quaestio,
pertanto, circa l’individuazione della portata e del livello di protezione dei diritti fondamentali europei.
Questi ultimi sono da individuare e da proteggere secondo lo standard più elevato e con preferenza delle
garanzie costituzionali assicurate da ogni singolo Paese membro dell’Unione europea, e naturalmente con
preferenza del parametro dell’Unione in presenza di c.d. diritti nuovi. L’espansione del ruolo del giudice
ordinario, pertanto, pare trovare un suo spazio particolare negli interstizi di questi due ordinamenti giuridici.
Ogni volta che la norma da utilizzarsi per la risoluzione della singola controversia sia da valutare con
riferimento al sospetto di una sua incostituzionalità, la procedura è quella del ricorso alla Corte costituzionale
la quale, in tal caso – e nell’auspicio di un superamento del suo attuale orientamento giurisprudenziale in
riferimento ai casi di “doppia pregiudizialità comunitaria e costituzionale”171 – dovrebbe entrare nel merito
della questione sottopostale a prescindere dalla questione se la norma dell’Unione sia o meno priva di effetti
diretti. Tuttavia, se la stessa norma da utilizzarsi come parametro non ricade espressamente nei parametri
costituzionali e nella giurisprudenza costituzionale già disponibile – nonché nell’interpretazione conforme
alla Costituzione medesima – pare aprirsi più di un varco a questo stesso giudice di adire la Corte di
Giustizia, o mediante il rinvio pregiudiziale o mediante la risoluzione della controversia con
un’interpretazione conforme alle disposizioni dei trattati. L’orizzonte che si apre, come si può cogliere,
appare indubbiamente nuovo; è l’orizzonte di un controllo diffuso della costituzionalità a livello dell’Unione.
Possiamo, ora, trarre qualche considerazione conclusiva, anche richiamando la più autorevole dottrina
169
C.G.C.E., sent. 14 ottobre 2004, C-36/02 Omega Spielhallen.
C.G.C.E., sent. 30 settembre 2003, C-224/01.
171
Cfr. M. Cartabia, “Considerazioni sulla posizione del giudice comune di fronte a casi di doppia pregiudizialità comunitaria e costituzionale”,
in Foro it., 1997, V, 222 ss.
170
33
italiana che si è fin qui espressa in materia. La questione centrale da dipanare – con riferimento alla forza
giuridica accordata alle disposizioni generali (Capo VII) della Carta – rimane quella del rapporto esistente
fra la tutela europea dei diritti fondamentali, le altre disposizioni costituzionali europee e le ‘tradizioni
costituzionali comuni’ agli Stati membri, nonché quella – strettamente connessa – se sia stato (o meno)
previsto un controllo di costituzionalità dell’Unione sugli atti normativi ‘ordinari’. La risposta che può
darsene è nel senso assertivo, e da ciò può trarsene la conclusione che tale controllo costituisce sintomo ed
evidenziamento di un processo di costituzionalizzazione dell’Unione che, se non può ancora definirsi
compiuto, indubbiamente si spinge fino ai ‘controlimiti’ opponibili dai livelli costituzionali nazionali di
protezione costituzionale dei diritti e dei principi fondamentali. “Questo sembra il momento essenziale in cui
nasce una vera Costituzione: finché non c’è nessun giudice che può utilizzare la Costituzione per contestare
la legalità di un altro atto, anche legislativo, il documento rimane una mera enunciazione politica; si
trasforma in un documento giuridico quando questo controllo è possibile”172. Pertanto, che si dia una
competenza (di giurisdizione costituzionale europea) in capo alla Corte di Giustizia pare problema non più
revocabile in dubbio. Che tale competenza confonda in una sola giurisdizione competenze di merito (a
risolvere la causa) e competenze di legittimità (degli atti dell’Unione rispetto al relativo diritto) è parimenti
indubitabile. Ciò che costituisce, al momento, un problema aperto (e che potrà accompagnarsi con eventuali
pronunce divergenti fra le diverse giurisdizioni in sede di applicazione del diritto dell’Unione e di quello
convenzionale-C.E.D.U.) – più che l’incerta individuazione del contenuto dei singoli diritti (che pure è
problema aperto) – è data da quello, risalente e ancora senza soluzione, del “rapporto fra le diverse
enunciazioni degli stessi diritti e fra le diverse giurisdizioni sui diritti” e in particolare del rapporto fra
Giudice comunitario, Corti costituzionali nazionali e Corte europea dei diritti dell’uomo173. Rispetto a tali
problematiche, in dottrina174, si sottolinea opportunamente la problematicità delle soluzioni di riforma
accolte nei trattati al fine di garantire l’effettiva tutela dei diritti (incorporati nel trattato medesimo mediante
la tecnica del riconoscimento alla Carta dello stesso valore giuridico dei trattati) nell’ambito dello spazio
giuridico europeo. La Corte di Lussemburgo sarebbe inevitabilmente chiamata a svolgere il delicato compito
di garantire i contenuti normativi della Carta dei diritti, che ora diviene pleno jure diritto dell’U.E.; né appare
proponibile (o auspicabile) l’attribuzione di tale incombenza alla Corte di Strasburgo, ovvero, ancora, a una
Corte istituita ad hoc, una sorte di ‘Corte europea bis’, come pure era stato autorevolmente suggerito.
Molteplici elementi osterebbero all’efficace svolgimento di tale compito cui le nuove disposizioni dei trattati
non aggiungerebbero nessuna reale garanzia di miglioramento. D’altra parte, i giudici nazionali, chiamati a
fare riferimento alle disposizioni dei (nuovi) trattati in tema di diritti fondamentali nell’ambito di
applicazione del diritto dell’U.E., non avrebbero competenza per sottoporre al controllo di tutela dei diritti
gli atti dell’Unione secondo quanto si è già osservato; le Corti nazionali non potrebbero, quindi, che limitarsi
al controllo dell’attività degli organi degli Stati membri, in unum con le classiche funzioni di sindacato della
legittimità costituzionale delle leggi e degli atti con forza di legge. In verità, non è mancato chi,
autorevolmente, si è chiesto se il nuovo ordinamento dei diritti fondamentali a livello di Unione Europea non
autorizzi gli stessi giudici nazionali, in un controllo che diverrebbe così di costituzionalità diffusa, alla
disapplicazione del diritto nazionale in contrasto con quello dell‘Unione nell’ambito della stessa materia dei
diritti fondamentali175. Negli ordinamenti europei, si dischiude, in tal modo, una inedita via a forme di
controllo diffuso della costituzionalità delle leggi a livello di Unione, “che certamente riceverà un
incremento, mano a mano che i magistrati e gli avvocati dei vari Paesi realizzeranno una piena maturazione
culturale che li porterà a utilizzare meglio queste tecniche fino ad ora poco conosciute”176. Tale prospettiva,
in Italia, – come osserva Pizzorusso – è stata recentemente rafforzata, tra l’altro, dalla modifica dell’art. 117
della Costituzione “che ha introdotto un primo comma che sembra possa consentire sviluppi di questo tipo,
per quanto la giurisprudenza non si sia ancora pronunciata in proposito. Quando le disposizioni del Trattato
… entreranno in vigore, inclusa la Carta dei diritti, queste opportunità probabilmente cresceranno e la
prospettiva di sviluppo della giurisdizione costituzionale diffusa potrà probabilmente avere ragione anche
172
Così ha già autorevolmente osservato V. Onida, “Il problema della giurisdizione”, in AA.VV. (a cura di E. Paciotti), La Costituzione europea.
Luci e ombre, Roma, 2003.
173
Sulla natura “praticamente velleitaria” del tentativo di pervenire per via ermeneutica a qualsiasi razionalizzazione dei rapporti in essere fra le
diverse Corti europee cfr., da ultimo, A. Spadaro, “Una (sola) Corte per l’Europa”, in AA.VV. (a cura di P. Falzea, A. Spadaro, L. Ventura), La Corte
costituzionale e le Corti d’Europa, Torino, 2003; L. Favoreu, “Corti costituzionali nazionali e Corte europea dei diritti dell’uomo”, in Riv. Dir. Cost.,
2004.
174
Cfr. L. Favoreu, “I garanti dei diritti fondamentali europei, in G. Zagrebelsky (a cura di), Diritti e Costituzione nell’Unione Europea, RomaBari, 2003.
175
Cfr. A. Pizzorusso, “Una Costituzione ‘ottriata’”, in AA.VV (a cura di E. Paciotti), La Costituzione europea … cit.; V. Onida, “Il problema
della giurisdizione”, in AA.VV (a cura di E. Paciotti), La Costituzione europea … cit.
176
Cfr. A. Pizzorusso, “Una Costituzione ‘ottriata’” … cit.
34
della modificazione apportata all’art. 52 della ‘Carta’, di cui si è detto sopra. Per non dire che, se per
avventura tale disposizione funzionasse nel senso di escludere la possibilità di utilizzare le norme della
‘Carta’, in loro vece ben potrebbero essere utilizzate moltissime altre norme di carattere internazionale di
analogo contenuto che sono comunque in vigore anche negli ordinamenti statali. Ci sono ormai decine di
testi internazionali che, in un modo o in un altro, sono stati recepiti nel diritto interno di molti Stati e ciò fa sì
che il mondo del diritto sia ormai quasi sempre permeabile a questo tipo di esigenze, per cui le idee che si
sono concretizzate in un modo o nell’altro in questi testi hanno grandi possibilità di trovare attuazione
soprattutto nella misura in cui esiste una maturazione culturale degli operatori che rende tutto questo
possibile (insieme ovviamente con tutte le altre circostanze che si possono presentare nel corso della storia
dei singoli Paesi)”177. Tali autorevoli orientamenti della dottrina costituzionale nel senso di un’apertura al
nuovo quadro normativo dell‘Unione – che resta incerto e ambiguo per quanto concerne il tema della
effettività della protezione giurisdizionale dei diritti e, a tal fine, della precaria definizione del sistema dei
raccordi giurisdizionali (nazionale/comunitario/convenzionale) – pertanto, non fanno che sottolineare, sia
pure in modo implicito, il persistente deficit regolativo in tema di verifica degli atti dell’Unione e
d’insufficienza delle vie di ricorso disponibili per far valere i diritti fondamentali178. Dopo le incertezze sul
punto del TCE, anche i nuovi trattati non hanno compiuto grandi passi in avanti sotto questo profilo. Tali
considerazioni riportano, ancora una volta, alla questione della necessità di una positivizzazione di adeguate
tutele giurisdizionali dei diritti fondamentali dell‘Unione, la garanzia dei quali non può che chiamare in
causa il livello della Costituzione e pertanto di forme adeguate di legittimazione politica del diritto dei
trattati179. Si ribadisce, in conclusione, come parlare di diritti e di Costituzione nell’ambito dell’Unione
europea voglia dire porsi degli interrogativi sulla natura stessa dell’integrazione europea, superando
l’approccio funzionalista che l’ha caratterizzata fin dalle origini per ridefinirne le fonti di legittimazione e i
valori fondanti (rispettando ed esprimendo realmente le tradizioni costituzionali comuni degli Stati).
177
Ult. op. cit.
Nell’ampia bibliografia cfr., di recente, U. Villani, “Principi democratici e diritti fondamentali nella ‘Costituzione europea’”, in La Comunità
internazionale, 2005, n. 4; A. Tizzano, “I ‘diritti fondamentali e le Corti in Europa’”, in Il dir. dell’UE, 2005, n. 4.
179
Cfr. anche i nostri “Integrazione comunitaria e legittimazione costituzionale”, in Scritti onore di G. Floridia (in corso di pubblicazione),
nonché (a cura di), Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, costituzioni nazionali e diritti fondamentali, Milano, 2006.
178
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