Adriana Diomedi 1 DANTE E LA NECESSITÀ DI PERFEZIONE: VERSO LA FELICITÀ ULTIMA N el decifrare le finalità degli esseri umani Dante parte dal presupposto che all'uomo, a differenza del bruto, sia stata concessa la capacità (intellettuale) di realizzare la propria individualità e con essa un senso di appagamento morale-spirituale attraverso una vita diretta a giusto fine secondo cui ritornare al proprio principio (Conv., IV, xxviii, 2). Attuare le proprie capacità intellettuali è pertanto di estrema importanza per il perseguimento dell'itinerario umano verso Dio, il cui successo, secondo la concezione dantesca, è istigato dall'istinto di perfezione, una necessità base dell'anima intellettiva che trova il coronamento nella ricerca della verità, ο meglio, nel discernimento della giusta conoscenza mediante l'uso della filosofia e della teologia: due veicoli essenziali per la completa realizzazione umana. Necessità di perfezionamento intellettivo, conoscenza e relativo sviluppo filosofico e teologico sono dunque gli aspetti che intendo delucidare nel corso della ricerca con riferimento specifico all'ideologia degli spiriti magni. Ma prima penso sia importante delineare dei fattori base impliciti nella necessità di perfezione e genesi del sapere. Inizio quindi col premettere che Dio, secondo la scolastica medievale-neoplatonica, rappresenta la causa efficiente da cui traggono origine tutti gli esseri, nel senso che "ciascuna forma sustanziale procede da la sua prima cagione" (Conv., III, ii, 4-7) che è Dio. Per cui consegue, secondo l'autore, che la bontà divina, in quanto causa primaria, "in tutte le cose discende" (ibid., III, vii, 2-5) imprimendo in qualche modo la sua perfezione nella loro natura . Il che ci porta a dedurre che la necessità di perfezione deriva dalla convinzione dantesca che l'essere umano, essendo stato creato ad immagine divina, 1 1 Cfr. Inf., XI, 97-111. Adriana Diomedi 2 ha in sè la necessità innata di autoidentificarsi il più possibile con questa impronta originaria per acquisire il massimo grado di realizzazione a livello intellettuale-morale e di meritare, come coronamento di tale sviluppo, il ritorno al proprio principio ο 2 perfezione originaria (Dio) . È attraverso il successo di tale procedimento, scrive Dante (Conv., IV, xxviii, 2-8), che "[l'anima] ritorna a Dio, sì come a quello porto onde ella si partio quando venne a intrare nel mar di questa vita". Siffatto coronamento presuppone perciò la realizzazione di un duplice fine. Il primo, dovuto al massimo sviluppo umano a livello individuale e quindi attraverso l'attuazione delle proprie capacità psicologiche e morali. Mentre il secondo, costituito dal ritorno dell'anima a Dio, è nient'altro che la positiva manifestazione e necessaria conseguenza del primo (fine), in quanto è solo favorendo il proprio sviluppo dal punto di vista psico-morale che l'individuo può raggiungere la perfezione originaria e felicità ultima (Dio), appagando così ogni suo desiderio. Non a caso Dante fa notare (Conv., III, vi, 7) , che "Ciascuna cosa massimamente desidera la sua perfezione, e in quella si queta ogni suo desiderio", alludendo per altro al fatto che la necessità di perfezione, a causa di limiti naturali, è solo parzialmente appagabile in questa vita e che l'unico modo in cui l'uomo possa soddisfarla completamente è raggiungendo la felicità ultima (Dio), quella che "queta" appunto "ogni suo desiderio" . Il successo del proprio fine, ο ritorno al proprio principio, è perciò di estrema importanza per la completa realizzazione umana, anche perchè se l'uomo non avesse modo di appagare la sua innata necessità di perfezione, il suo istinto sarebbe inutile e senza senso . 3 4 5 È importante notare peraltro che tale necessità implica l'esistenza di alte qualità intellettuali che, differenziando l'uomo dal bruto, gli conferiscono un più alto grado di nobiltà, e con essa la capacità di manovrare, in un certo senso, la riuscita del proprio fine. Il privilegio deriva dalla convinzione dantesca (Conv., III, ii, 5-7) che la natura Un concetto molto comune, giunto alla scolastica medievale tramite il neoplatonismo e spesso discusso da Aristotele nell'Etica, nella Metafisica, nella Fisica e da Proclo nel Liber de Causìs; cfr. San Tommaso, Summa Theologiae, I, q. VI, artt. 1-3; Contra Gentiles, I, 37-38; Cfr. Conv., III, ii, 7. Cfr. Aristotele, Ethica, I, 5, 1097 a, 25 - b, 6. Cfr. Aristotele, Ethica, I, 5, 1097 b, 20-21; Ibid,, 1097 a, 25-b, I e all'Exp. Tomista, I, lect. IX, 107, 111, citt. a vi, 7. Cfr. Conv. III, XV, 3; cfr. Bonaventura da Bagnoregio, (itinerarium mentis in Deum) Itinerario della mente verso Dio, trad, dal latino all'italiano da M. Parodi e M. Rossini, Milano: R. C. S. & Grandi Opere, 1994, pp. 56-57. 2 3 4 5 Dante e la necessità di perfezione 3 deriva dalla convinzione dantesca (Conv., III, ii, 5-7) che la natura divina, non si proietta sugli esseri automaticamente, ο meglio, non è "divisa e comunicata" da Dio a ciascuna forma esistente ma è da esse "partecipata per lo modo quasi che la natura del sole è partecipata ne l'altre stelle" e quanto più nobile è la forma tanto più grande è la sua capacità di ricevere in sè un qualche aspetto della natura divina. Per cui l'anima umana, "forma mobilissima...più riceve de la (sua) natura che alcun altre" . Bisogna dunque convenire che non è certamente a caso che l'uomo recepisce un maggior grado di nobiltà nei confronti di altri esseri ma perchè prescelto a priori da Dio come forma più nobile delle altre. Da ciò ne deriva che egli, quale essere privilegiato, ha il diritto e il dovere, verso se stesso ed il suo Creatore, di sviluppare questa sua nobiltà, ο capacità di perfezione, attraverso la conoscenza che nel primo trattato del Convivio (I, i, 1) Dante identifica con la "scienza", con riferimento 7 al termine italiano "sapere" ο a quello latino "scire" spesso per conferire un livello di conoscenza molto elevato: 6 Ciascuna cosa da providenza di prima natura impinta è inclinabile a la sua perfezione; onde acciò che la scienza è ultima perfezione de la nostra anima, ne la quale sta la nostra ultima felicitade, tutti naturalmente al suo desiderio semo subbietti (ibid.). È la conoscenza a permettere il raffinamento della natura umana ο meglio, è la "scienza", afferma Dante, a costituire "l'ultima perfezione de la nostra anima, ne la quale sta la nostra ultima felicitade", in quanto è frutto di un naturale processo intellettuale che, in un certo senso, dà modo all'umana necessità di perfezione di passare in atto. Il che significa che la perfezione identificata all'inizio del mio discorso come semplice disposizione umana, ossia "da providenza di prima natura impinta", è come tale allo stato latente e non può passare in atto che attraverso l'esperienza conoscitiva che Dante identifica con la "scienza". 6 Il concetto è tratto da Dante dal libro De causis (di Proclo) come egli stesso fa notare nel Convivio, III, ii, 4-7. "Scire aliquid est perfecte cognoscere ipsum, hoc autem est perfecte apprehendere veritatem ipsius...scientia est etiam certa cognitio rei" (S. Tommaso, in Poster. I, 2, 71 b 9, lect. 4, 32). Cfr. S. Tommaso, in Meta. IV, 4, 100 4 b 20, lect. 4, 574. Adriana Diomedi 4 una seconda regola, da egli attinta da un concetto di metafisica aristotelica (Metaphysics, I, i, 1), secondo cui "tutti gli uomini naturalmente desiderano di sapere" (Conv., I, i, 1), implicita nella quale vi è la convinzione che il massimo grado di realizzazione umana possa essere acquisito solo nel caso in cui la naturale sete di sapere viene assecondata dalla ricerca della verità. Consegue che primo compito di ogni essere umano è soddisfare questa sua innata necessità mettendo a frutto il dono intellettuale concessogli dal Creatore attraverso il tipo e livello di conoscenza più confacente alle sue capacità naturali. Ragion per cui, non ha importanza se il desiderio che spinge l'uomo a perfezionare la sua natura si orienti verso una ο più conoscenze ο se esse siano più ο meno interessanti, purché lo soddisfino dal punto di vista psico-morale e gli permettano di conseguire il suo ultimo fine. L'individuo non deve perciò necessariamente elevarsi intellettualmente attraverso la letteratura, la scienza, l'astronomia, la politica ο professioni al pari di esse, in quanto anche un semplice padre di famiglia, potrebbe raggiungere, attraverso il retto svolgimento del suo ruolo, il proprio ideale di realizzazione 8 . È così dunque che tutte le creature umane, spinte da una loro individuale necessità di conoscenza: Si muovono a diversi porti per lo gran mar dell'essere, e ciascuna con istinto a lei dato che la porti, (Par.,\, 112-14) poiché dirette verso il proprio fine secondo uno "speziale amore" (Conv., III, iii, 2) realizzabile non solo per mete diverse ma anche "per diverse sorti" (Par., I, 110) ο condizioni di vita determinate in gran parte dalla loro individuale capacità di ricevere la bontà divina e di 9 È importante notare tuttavia, che non tutti gli uomini, a causa di limitazioni naturali, possono raggiungere lo stesso livello di perfezione appunto perchè essa è strettamente legata all'elevatezza di individuali capacità psico-morali. Per quanto riguarda le diverse capacità di ricevere la bontà divina si veda la spiegazione sulla procreazione e individualità dell'anima in Conv. IV, xx, 9-10; IV, xxi, 4-10; III, vii, 2-5; cfr. B. Nardi, Dante e la cultura medievale, Bari: Laterza, 1983, pp. 50, 260-283; cfr. S. Tommaso, Summa Theologiae, I, q. LIX, art. I: dove egli fa notare che tutto ciò che prende essere ο deriva dalla bontà divina è istintivamente teso verso il bene anche se in modo diverso, a seconda della forma: ("Cum omnia procédant ex voluntade divina, omnia suo modo per appetitum inclinatur in bonorum, sed diversi mode"). 8 9 Dante e la necessità di perfezione 5 attenersi a queir armonia e ordine universale di cui Dio ne è motore e forma . Il discorso dà per scontato due fattori fondamentali determinati appunto dallo sviluppo dell'istinto che da semplice potenza diventa atto. Il primo è che ogni uomo, indipendentemente dalle sue inclinazioni individuali ο livello psichico, ha in sè la necessità innata di sviluppare al massimo le doti intellettuali secondo cui poter rimanere in armonia con le esigenze della sua natura e alle prese col suo ultimo fine. Il secondo è che tale sviluppo intellettuale-morale può solo essere acquisito attraverso la conoscenza poiché è questa che, tutto sommato, permette all'individuo di ritornare al proprio principio. Non a caso dunque riappare la metafora del mare per rappresentare l'alpha e l'omega dell'esistenza umana, anche se questo fine, conferitoci inizialmente nel Paradiso (I, 112-14) dall'immagine di un'anima che perseguendo le varie conoscenze del "gran mar dell'essere" (ibid.), si dirige infine verso il porto di partenza (Conv., IV, xxviii, 2), non può non implicare la presenza di gravi ostacoli che non sempre "lo buon marinaio" (ibid., IV, xxviii, 3), dopo una lunga navigazione, riuscirà a superare senza perdere il senso di direzione. Per approdare a giusto porto è di estrema importanza, secondo l'autore, essere consci delle responsabilità insite nel principio dell'esistenza umana, nel senso che l'individuo debba sentirsi in dovere di sviluppare in modo positivo "memoria, intelligenza e volontade" (Purg., XXV, 83), i tre requisiti umani (l'anima intellettiva), assegnatigli direttamente da Dio, al termine del processo embrionale , 10 11 seconda della forma: ("Cum omnia procédant ex voluntade divina, omnia suo modo per appetitum inclinato in bonorum, sed diversi mode"). L'universo è a Dio somigliante in quanto rispecchia in qualche modo il suo "valore". È da tener presente inoltre che forma, secondo la filosofia medievale, è di per sè principio essenziale assegnato da Dio alle cose, ciò che dà essere ad ogni cosa creata, la sua essenza, ibid.; cfr. Conv., III, VII, 2-5; cfr., Liber de causis, Prop. XX, 157; si veda inoltre La Divina Commedia, "Paradiso", a cura di U. Bosco e G. Reggio, Firenze: Le Monnier, 1989, [1988], canto I, nota 104. In quanto al concetto di armonia, secondo l'ideale dantesco, si veda il saggio di Flavia Coassin, L'ideale della "armonia". Musica e musicalità nella "Commedia ", in Medioevo Romanzo,Vol. XX, (I della III serie) Fascicolo III, 1996, 412-36. Fondamentale in materia la spiegazione sulla generazione e creazione di Patrick Boyde, "The Making of Man", Dante Philomythes and Philosopher, Man in Cosmos, Cambridge: Cambridge University Press, 1981, pp. 273-81. 10 Adriana Diomedi 6 per conferirgli oltre alla capacità di pensare, di ricordare e di formulare concetti astratti , quella di agire liberamente secondo azioni indipendenti da necessità istintive ed altri stimoli esterni . L'arrivo a giusto porto è pertanto strettamente connesso con la libertà di azione, in quanto se è vero che nell'uomo è innata la necessità di sapere è anche vero che innato in sè egli ha la libertà di seguire ο non seguire quel primo istinto costituito dall'"amor per la veritade e la vertude" (Conv., III, iii, 3). Conseguentemente la ricerca della verità, anche se è spontanea manifestazione dell'istinto di perfezione, rimane in ultima analisi alla mercè del libero arbitrio: la facoltà umana che nobilitando l'individuo con la capacità di scelta lo rende autore responsabile del proprio destino: 12 13 Lo maggior don che Dio per sua larghezza fesse creando, e la sua bontade più conformato e quel ch'e più apprezza, fu de la volontà la libertade; di che le creature intelligenti e tutte e sole fuoro e son dotate. (Par., V, 19-24) È questa libertà d'azione "de la volontà la libertade" a determinare ulteriormente la somiglianza umana con l'immagine divina e per riprendere un'espressione dello Chimenz : "Il libero arbitrio rende l'uomo conforme a Dio, in quanto lo fa creatore delle proprie azioni nella pienezza del suo giudicare e volere, non soggiacente alla schiavitù dell'istinto come le bestie". 14 È importante notare tuttavia che questo dono, pur rappresentando un vantaggio, potrebbe, nello stesso tempo, costituire uno svantaggio altrettanto significativo in quanto indice del fatto che la ricerca della verità è subordinata ad una decisione volontaria che l'individuo, se ingannato da beni fallaci, potrebbe anche non attuare creando una divergenza fatale dal porto di partenza. Per quanto riguarda lo sviluppo generativo e l'infusione dell'anima razionale, si veda B. Nardi, "Canto XXV", in Letture Dantesche, Purgatorio, vol. 2, a cura di G. Getto, Firenze: Sansoni, 1966, pp. 1182-84; Dante e la cultura medievale, Bari: Laterza, 1983, [1942], pp. 260-83. "Homo potest per rationem operari", San Tommaso, Summa Theologiae, 2a.2ae, 95, 5; cfr. Par., V, 19-24; Mon., 1, XII, 6. La Divina Commedia di Dante Alighieri, a cura di S. A. Chimenz, Torino: UTET, 1983 [1962]. 12 Dante e la necessità di perfezione 7 Per meglio visualizzare l'immagine si veda il diagramma numero uno: Diagramma No. 1 Si ha Dio situato al centro dell'universo, secondo il concetto tolemaico, ed il cono costituito da due sfere per rappresentare le caratteristiche umane: memoria e intelligenza, che anche se naturalmente rivolte verso il bene supremo (Dio), sono contrastate dalla volontà (terza caratteristica umana) raffigurata dai quadrettini di base, che in questo esempio, avendo deviato dal percorso naturale, diverge inesorabilmente verso il basso. "Vero è", dice Dante, che come forma non s'accorda molte fiate all'intenzion dell'arte, perch'a risponder la materia è sorda; così da questo corso si diparte talor la creatura, c'ha podere di piegar, così pinta, in altra parte. (Par., I, 127-32). Adriana Diomedi 8 La divergenza dal corso istintivo, dall'"intenzion dell'arte", può solo scaturire, secondo l'autore, dall'apprendimento di conoscenze contrarie a princìpi insiti nella natura umana, spesso dettate da una volontà priva di ragione morale e quindi in netto contrasto con quelle qualità psicomorali che determinano la somiglianza umana col Creatore. Questo perchè la volontà "di piegar, così pinta", ossia, essendo libera, ha la prerogativa di favorire ο distruggere la naturale ascesa dell'anima verso 15 Dio spesso permettendo che l'individuo, assoggettandosi alla schiavitù dell'istinto ο ad altri stimoli esterni, si riduca ad un'esistenza priva di un qualsiasi raziocinio morale, più affine a quella del bruto che a quella dell'uomo : "Potrebbe alcuno dicere: come? /è morto e va? Rispondo che è morto [uomo] e rimaso bestia" (Conv., IV, vii, 14-15). 16 Per evitare "la morte dell'anima intellettiva ο razionale" , è importante, secondo l'autore, che la volontà, in armonia con gli altri due elementi dell'anima intellettiva - memoria e intelligenza - segua il suo naturale percorso verso l'alto (la perfezione) , evitando una qualsiasi forma di conoscenza che gliene precluda la possibilità. Si veda nel diagramma numero due un esempio di quella che dovrebbe essere la posizione ideale dell'anima rispetto a Dio: 17 18 Cfr. San Tommaso, Summa Theologiae, 1, q. XLIV, a. 4 : "Omnia appetunt deum ut finem" ("Tutte le cose tendono a Dio come fine"). Cfr. La divina commedia, "Paradiso", a cura di U. Bosco e G. Reggio canto I, note 107-108. 15 16 Si veda la spiegazione sulla generazione in P. Boyde, "The Making of a Man" in Dante Philomythes and Philosopher, Man in Cosmos, cit., pp. 273-81. Cfr. Conv., II, 3-5: "È da sapere che le cose deono essere denominate da l'ultima nobilitade de la loro forma; sì come l'uomo da la ragione, e non dal senso nè d'altro che sia meno nobile. Onde, quando si dice l'uomo vivere, si dee intendere l'uomo usare la ragione, che è sua speziale vita e atto de la sua nobile parte. E però chi da la ragione si parte, e usa pur la parte sensitiva, non vive uomo, ma vive bestia; sì come dice quello eccellentissimo Boezio, 'Asino vive"'. 18 In quanto alla somiglianza umana col Creatore, cfr. P. Boyde, "The Making of a Man", Dante Philomytes and Philisopher, cit., pp. 283-290. Dante e la necessità di perfezione 9 Diagramma No. 2 Se osserviamo attentamente, la posizione dell'anima rispetto a Dio riproduce quella dell'arco in posizione per il tiro a segno. A determinare la differenza dal primo diagramma è la posizione della volontà che, lungi dal deragliare "in altra parte" (Par., I, 132) inseguendo falsi beni, protende in senso verticale verso Dio, come una freccia diretta al segno prestabilito , ο meglio, dice Dante, una "corda / che ciò che scocca drizza in segno lieto" (Par., I, 125-26), creando uno stato di armonia fra l'anima e Dio, fra la memoria, l'intelligenza e la volontà umana (Purg., XXV, 83) e la potenza, la sapienza e l'amore (ibid., I, 106) della perfezione divina . Questo aspetto, per così dire teorico, ci porta pertanto a dedurre che perseguire il proprio ideale di perfezione implica uno stato di equilibrio fra l'anima e Dio acquisibile attraverso quella ragione morale, che Dante nel Convivio identifica con la filosofia: "la figlia de 19 20 Per metafore di questo tipo, cfr. Par., VIII, 103-105; XVII, 56-57; Purg., XXXI, 55-57. Una dimostrazione più esauriente sull'analogia fra le facoltà della mente umana e la Trinità ci viene data da B. Nardi, "Dietro la memoria non può ire", in Lecturae e altri studi danteschi, a cura di R. Abardo con saggi introduttivi di F. Mazzoni e A. Vallone, Firenze: Le Lettere, 1990, soprattutto pp. 268-69. 19 20 10 Adriana Diomedi lo imperadore de lo universo" (Conv., XV, 12) che libera l'anima dalle 21 contraddizioni . A facilitare il ritorno dell'anima a Dio subentra perciò un altro elemento che potremmo definire "necessità filosofica". Necessità filosofica Allo scopo di approfondire tale aspetto, mi si permetta a questo punto di riepilogare, e nello stesso tempo rielaborare, quanto già detto sulla perfezione, secondo una svolta discorsiva un p o ' diversa ma sempre partendo dalla convinzione originaria che se l'anima umana, quale specchio della bontà divina, (in quanto "ha essere della natura divina in qualche modo", Conv., III, ii, 4-7), non può non avere in sè la disposizione naturale verso il bene, consegue, secondo il criterio dantesco, che in essa, indipendentemente dal suo grado di nobiltà, talento ο disposizione, vi è sempre il desiderio di arrivare al sommo bene, suo principio "dove può lo suo essere fortificare" (Conv., III, ii, 8) . Facendo notare peraltro che alla base di ogni conoscenza ο 22 23 Per una spiegazione più approfondita sull'identificazione donna-filosofia si veda Conv., II, xv, 3-4, dove l'autore fa notare che la nobiltà di questa donna (filosofia) sarà messa in evidenza nel terzo trattato del Convivio, "là dove dice: chi veder vuol la salute, faccia che li occhi d'esta donna miri, li occhi di questa donna sono le sue demonstrazioni le quali, dritte ne li occhi de lo 'ntelletto, innamorarono l'anima, liberata de le con[tra]dizioni". 21 Cfr. San Tommaso, Contra Gent., II, 79: "Impossibile est appetitum naturalem esse frusta. Sed homo naturaliter appétit perpetuo manere; quod patet ex hoc esse, est quod ab omnibus appetitur; homo autem per intellectum apprehendit esse, non solum ut nunc, sicut bruta animalia, sed simpliciter". Un concetto comune a tutta la scolastica medievale a partire da Aristotele, Boezio, lo Pseudo Dionigi ecc. : Cfr. Boethius, The Consolation of Phil., trad. inglese di V. E. Watt, Middlesex, Harmondsworth, [etc]: Penguin Books, 1976, [1969], II, ii, p. 79: "The desire for true good is planted by nature in the mind of men, only error leads them astray toward false good"; cfr. B. Nardi, Dante e la cultura medievale, Bari: Laterza, 1983, pp. 50-51; di particolare interesse è la spiegazione dello stesso Pseudo Dionigi, De divinis nominibus, c. IV, 1 (Lez. 1 del commento tomistico) su cui B. Nardi, (ibid., p. 51), basa il suo discorso; cfr. A. Magno, De Causis, II, tr. 5. 24; "...Manifestatum est...quod ens generatum cadens per substantiam suam sub tempore, non habet esse a seipso: sed esse substantiae suae dependet per ens purum quod est causa durabilitalis omnium, et est causa rerum sempiternarum omnium, et etiam causa durabilitatis esse rerum destructibilium: necessarium ergo est in ordine rerum, quod sit unum purum primium, quod sit primium faciens adipisci unitates et bonitates et entitates omnium quae sunt". ( Si veda Conv., III, ii, 8). Dante e la necessità di perfezione 11 disposizione naturale, vi è sempre un desiderio di felicità che nessun fin terreno può appagare poiché diretto verso quel bene assoluto che è solo in Dio e a cui, secondo Boezio , anche gli animali aspirano confusamente come a meta finale della loro vita. Esso è un desiderio che costituisce parte integrante di quella tendenza ο "speziale amore" (Conv., III, iii, 2) che sorregge l'ordine universale e secondo cui "...i corpi simplici hanno amore naturato in sè a lo luogo proprio...le corpora composte...dove la loro generazione è ordinata...Le piante secondo che la complessione richiede...". I bruti per tutto ciò che dà piacere ai sensi (o diletto sensibile). L'uomo, quale forma superiore, oltre ad avere in sè le virtù di tutti gli esseri inferiori (e quindi anima vegetativa e sensitiva) , ha per sua natura "angelica e razionale", l'anima intellettiva, ο meglio, l'amore per "la veritade e la vertude" (Conv., III, iii, 2-11). Per cui, pur protendendo spontaneamente verso il bene come tutte le altre forme, egli, quale essere razionale, lo raggiunge "tosto e tardi" secondo che la sua anima è in grado di ricevere il lume della ragione morale che Dante identifica con quello della filosofia. Questo perchè senza di una vera e propria conoscenza del bene "l'anima nostra", dice l'autore, 24 25 26 incontanente che nuovo e mai fatto cammino entra drizza li occhi al sommo bene, e però qualunque cosa vede che paia avere alcun bene, crede che sia esso. E perchè la sua Conoscenza prima è imperfetta per non essere esperta nè dottrinata, piccioli beni le paiono grandi e però da quelli comincia prima a desiderare massimamente un pomo; e poi...un augellino; e poi un bel vestimento... e così via, fino a perdersi fra le tante strade, ο conoscenze, terrene. È a questa riflessione che più tardi si ispireranno i versi del Purgatorio (XVI, 88,91-93): L'anima semplicetta che sa nulla... 24 Ibid. Boethius, The Consolation of Phil., cit., III, iii, p. 82: "You earthly creatures, you also dream of your origin, however faint the vision. You do have some sort of notion, unclear as it is, of the true goal of happiness, and so an instinctive sense of direction actually guides you towards the true good". Per quanto riguarda le origini dell'anima, a partire dal concepimento alla completa formazione dell'essere umano, si veda la spiegazione di Stazio in Purg., XXV, 37-78; Conv., IV, 4-10. Adriana Diomedi 12 Di picciol bene prima sente sapore; quivi s'inganna e dietro ad esso corre se guida ο fren non torce suo amore; soprattutto se mossa dal desiderio di sapere (o di conoscenza) che, come abbiamo visto, "è ultima perfezione de la nostra anima ne la quale sta la nostra ultima felicitade" (Conv., I, i, 1). Esso è perciò un desiderio che per il fine che si propone è di gran lunga superiore ad ogni altro, anche perchè determinato dal volere divino quando creò il mondo e riaffermato da quella sapienza salomonica che si legge nel libro dei proverbi (Conv., III, xv, 16-17): "Quando Iddio apparecchiava li cieli, io era presente", ecc. Per evitare che l'anima si perda dietro conoscenze indegne della sua condizione umana è dunque necessario che riceva in sè la capacità di distinguere i veri dai falsi beni attraverso la filosofia, la cui essenza morale-spirituale è soprattutto in Dio, nella sapienza "quam maxime Deus habet", suggerisce Aristotele . Essa non è una "humana possessio" (ibid.), ma un dono divino, un raggio della luce eterna riflessa (o partecipata) dalla mente umana, secondo la porzione congenita alla natura di ognuno, per arrivare al sommo bene. Seguire la filosofia, secondo il criterio dantesco, significa dunque, in un certo senso, rendersi partecipi della sapienza eterna e di quella ragione morale che permette il discernimento del retto cammino da seguire, in quanto l'anima è signora di sè ed in grado di distinguere il bene dal male solo se rettamente dottrinata; se ha acquisito, attraverso la conoscenza del vero bene, la capacità di perseguire l'amore per la "veritade e la vertude" (Conv., III, iii, 3). La necessità filosofica intesa come realizzazione individuale e come elemento indispensabile per attingere, attraverso il raggio della sapienza divina, quanto vi può essere di buono nella natura umana, viene affrontata da Dante (personaggio) per la prima volta nel limbo quando viene a trovarsi al cospetto di magnanimi all'altezza di "cotanto senno", ovvero, di poeti illustri quali Omero, Orazio, Ovidio, Lucano e tutta la filosofica famiglia presieduta da Aristotele: il filosofo per 27 " Metaph., I, c, 2, 983 a 6 (testo premesso alla lez. 3 del commento tomistico); Conv., III, xii, 12: "Filosofia è un amoroso uso di sapienza, lo quale massimamente è in Dio, però che in lui è somma sapienza e sommo amore e sommo atto; che non può essere altrove, se non in quanto da esso procede"; cfr. B. Nardi, Dante e la cultura medievale, cit., p. 58. Dante e la necessità di perfezione 13 eccellenza , in quanto furono anime che, credendo fermamente alla necessità di realizzare il proprio fine terreno attraverso la scienza (o sapienza), riuscirono ad attuare nel campo intellettuale-morale tutto il proprio intelletto possibile. Non è a caso dunque, che il poeta si riferisce allo Stagirita come a "quello glorioso filosofo al quale la natura aperse i suoi segreti" (Conv., III, ν, 7), "il maestro di color che sanno" (Inf., IV, 131), "il maestro e duca de la ragione umana" in quanto proteso verso "la sua finale operazione" (Conv., IV, vi, 8) 29 attraverso la scienza ο perfezionamento della filosofia morale . Tale necessità di realizzazione intellettuale stava infatti così a cuore a Dante che iniziò il Convivio con la stessa affermazione con cui questi (Aristotele) aveva iniziato la sua Metafìsica: "Omnes homines natura scire desiderant", traduce San Tommaso . Siffatta necessità non era estranea del resto ad altri magnanimi ed in modo particolare a Cicerone secondo cui l'ignoranza del bene e del male priva l'uomo di grandi soddisfazioni costringendolo peraltro ad una esistenza piena di tormento. "Sapienza", secondo Cicerone , significa saggezza: una virtù essenziale per essere felici in quanto ha il potere di eliminare dai nostri cuori la paura e l'apprensione conferiteci da ciò che è sconosciuto. Per cui desiderio primo di ogni essere umano 28 30 31 È ad Aristotele che la cultura occidentale, soprattutto dei secoli XII, XIII, nonché quella di Dante, devono la loro ricchezza. È questa convinzione del resto che porta l'autore a lodare ripetutamente il suo senno in molte delle sue opere; si veda Conv., III, ν, 7; IV, viii, 15; IV, xxiii, 8, ecc.; Mon., III, 13; Epist., XI, ii. A riguardo delle ragioni poetiche ο artistiche di tale incontro, si veda lo studio di Amilcare A. Iannucci, "Dante e la 'bella scola' della poesia (Inf. IV, 64-105)", in AA. W. Dante e la 'bella scola ' della poesia. Autorità e sfida poetica, a cura dello stesso autore, Ravenna: Longo, 1993, pp. 19-37. In quanto ad altri influssi filosofici sul pensiero dantesco, si veda Amilcare A. Iannucci, "Dante's Philosophical Canon (Inferno 4. 130-44)", in Quaderni d'italianistica, Canadian Society for Italian Studies, XVIII, η. 2, autunno 1997, pp. 251-60, soprattutto la parte in relazione a Cicerone e Seneca, pp. 256-58. 28 29 Tale giudizio dantesco è comune a tutta la scolastica medievale a partire da Averroé; cfr. Commento Physica, proem. ; De Caelo, III, comm. 68; De Generatione et corruptions I, comm. 38; Commento De Anima, III, 4, t. c. 14; cfr. Alberto Magno, Ethica, I, tr. I, 7. Metaphysica, I, i, 1. De Finibus, 1, xiii, 43. Per un'interpretazione più esauriente sul tema della "paura" nella Commedia, si veda P. Boyde, Perception and Passion in Dante 's Comedy, Cambridge: Cambridge University Press, 1993, pp. 217-44. Adriana Diomedi 14 è conoscere la verità, di sentire, vedere ed imparare sempre qualcosa di nuovo fino ad individuare i segreti del Creato . Il tèlos ciceroniano, al pari di quello aristotelico, aveva come scopo la perfezione individuale realizzabile attraverso la speculazione del vero e di conoscenze umane basate sull'osservanza di virtù intellettuali e morali . L'ammirazione dantesca per gli spiriti magni ο "onrata nominanza", è dovuta in gran parte al valore che essi attribuirono a queste virtù, alla loro scelta fra il giusto e non giusto cammino da percorrere, fra l'ignoranza e la sapienza; anche se, essendo essi non illuminati dalla luce della fede (o virtù teologali), non riuscirono mai a soddisfare appieno la loro sete di sapere. Il che li rende (spiriti) tormentati dopo la morte, come lo furono in vita, da un desiderio senza speranza "ch'etternalmente è dato a lor per lutto" (Purg., III, 42; cfr. Inf., IV, 40-42), in quanto nessuna conoscenza umana, per quanto grande essa sia, può mai soddisfare pienamente il desiderio di una verità che, secondo l'autore, è oggetto di fede e non di ragione . Solo la rivelazione, ossia il vero "di fuor dal qual nessun vero si spazia" (Par., IV, 124-26), può appagare la mente che avida di tale conoscenza si è spinta sino al vertice delle sue capacità naturali . 32 33 34 35 32 De Officis, I, iv, 15. Virtù intellettuali: intelligenza, scienza e sapienza; Virtù morali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza. Cfr. Purg., III, 37; Cfr. Qaestio de aqua et terra, V, 77. In quanto alla situazione delle anime del Limbo dantesco, si vedano le riflessioni di Marino A. Balducci (Dante and the Ancient World: Classical Myths in the "Divine Comedy". La fruizione del mito classico nella "Comedia" di Dante, (Ph.D thesis), Η. University of Connecticut, U. M. I., 1994, pp. 13-14) : La "lumera' (Inf. IV, 103) del castello vince l"emisperio di tenebre' (IV, 69), si staglia come unico luogo chiaro entro l'oscurità della notte infernale; eppure la sua luce non appaga gli spiriti degli artisti, dei sapienti, degli eroi che qui si radunano: è una luce che giunge dal passato ('L'onrata nominanza / che di lor suona su nella tua vita, / grazia acquista nel ciel che sì li avanza'; IV, 76-78), come dai frutti di questo, dalle opere, dalle imprese immortali, è una luce di fama, di gloria, che illumina il 'verde smalto' (IV, 118), 'il prato di fresca verdura' (IV, 69), la 'grande autorità' dei 'sembianti' (IV, 69), ma che, in fondo, sembra non potere nascondere l'irredimibile morte dell'anima, la nostalgia di un compimento dei tempi che rimane sconosciuto. La bellezza esteriore del luogo, il sublime decor della scena...cela una sostanza dolorosa: è una splendida costruzione dello spirito che non ha esito nella pace dell'unione con Dio". 34 Dante e la necessità di perfezione 15 Ciò significa che la ricerca della verità di questi spiriti, anche se è alimentata dalla ragione morale (o filosofica), è tuttavia insufficiente per arrivare alla verità assoluta, ο meglio, per considerare l'esistenza di verità imperscrutabili che solo la fede può rendere evidenti. Si avverte perciò a questo punto la mancanza di un salto di qualità che preclude alla loro ragione filosofica di sfociare in quella teologica . 36 Per tai difetti, non per altro rio, semo perduti, e sol di tanto offesi che sanza speme vivemo in disio. (Inf., IV, 40-42) Nella terzina Virgilio afferma cioè, che la mancanza di battesimo ha costituito il "difetto" per cui egli e quella "gente di molto valore" (ibid., 44) che nel "limbo eran sospesi" (ibid., 45) hanno meritato di vivere senza la speranza di arrivare al sommo bene. L'importanza del battesimo non sta comunque tanto nell'istituzione del sacramento di per sè quanto nel fatto che esso consegue un atto di fede, e se non necessariamente da parte dell'individuo che lo riceve (in quanto potrebbe anche non avere l'età della ragione), almeno da coloro che, avendo cura di lui, sentono in quanto credenti, la necessità di conferirgli tale virtù. 37 Per una spiegazione più approfondita sulla problematica relativa alla autonomia della ragione dalla fede e sul concetto della "philosophia ancilla theologiae" che si evidenzia sempre più nella Commedia, si rimanda il lettore a B. Nardi, "La conoscenza umana", Dante e la cultura medievale, Bari, Laterza: 1983, [1942], pp. 162-66. Cfr. È. Gilson, Dante et la philosophie, Paris : J. Vrin, 1939, capitoli III-IV. Sacramento che è simbolo della rinascita spirituale dell'individuo; cfr. l'epistola di Paolo a Tito 3:5; cfr. B. F. Byron, "Baptism as Re-Birth Through Water and the Spirit", in Sacrifice and Symbol, Catholic Institute of Sydney, 1991. Per quanto riguarda la spiegazione sul Battesimo si veda "Bible Dictionary-Concordance", The Holy Bible, transl. out of the original tongues by T. Nelson, New York-Nashville, 1977, p. 3: 'Baptism': A ceremony in which one enters the church family. It is a way of showing that you have been washed free of sins by the death and rising from the dead of Jesus Christ. Cfr. John the Baptist in Matthew, 3: 6-7; 21:25; 3: 13-17; Cfr. John 4:1-2. Una interessante interpretazione sul tema del Battesimo, ci viene data da Simona Borghetto, "Il 'battesimo di fuoco': memorie liturgiche nel XXVII canto del Purgatorio", in Lettere italiane XLIX, n. 2, aprile-giugno 1997, pp. 185-247. 36 Adriana Diomedi 16 Allo spirito Magno, essendogli mancato tale vantaggio, non solo viene negata la visione di Dio, nonostante non sia "per altro rio" (ibid., 40), ma rimane limitato nel senso che non riesce a concepire verità che non rientrano nei parametri della ragione umana. Anche perchè sono parametri delineati dall'ideologia di una "eudaimonia" (felicità) classica (e quindi prettamente pagana) che come tale, non prevede altra gloria al di fuori di quella che si può acquisire in questo mondo. Aderendo alle virtù cardinali, essi mirano pertanto ad una perfezione umana realizzabile sulla terra, non rendendosi conto che essa (la perfezione), in quanto bene assoluto, esiste solo in Dio e il perseguirla con l'intenzione di ottenerla pienamente in questa vita non significa altro che desiderare invano. Non a caso dunque, subentra la legge del contrappasso secondo cui "sanza speme" vivono (eternamente) "in disio" di vedere Dio. L'espressione "sanza speme" conferisce per l'appunto la mancanza di speranza, una virtù teologale che più che conseguenza della pena ne costituisce la causa in quanto deriva dal fatto che questi individui non hanno sperato ma hanno desiderato, il che comporta una notevole differenza. Il loro dramma umano affonda cioè le radici in quello stesso "disio...ch'etternalmente è dato a lor per lutto" non solo nell'oltretomba ma anche in vita poiché, a differenza della speranza, esso è in genere manifestazione di un'emozione eccessiva che lascia l'individuo insoddisfatto qualora non dovesse arrivare all'oggetto del suo desiderio. Per un'ulteriore delucidazione di tale concetto Dante, nel Purgatorio (XVIII, 28-33), paragona l'insopprimibile forza del desiderio a quella del fuoco: Come il foco movesi in altura per sua forma ch'è nata a salire là dove più in sua matera dura, così l'animo preso entra in disire, ch'è moto spirituale e mai non posa fin che la cosa amata il fa gioire. La forma del fuoco cioè, si muove naturalmente verso l'alto e non riesce a frenarsi finché non arriva "alla circonferenza di sopra lungo il cielo della luna" (Conv., III, iii), ossia nel luogo naturale dove "più in sua matera dura" (Purg, XVIII, 30). L'anima umana, che al pari del fuoco è forma, ha in sè il desiderio che "mai non posa" (Purg. XVIII, Dante e la necessità di perfezione 17 32) finché non si congiunge con la cosa amata ο l'oggetto della sua passione. Il "disio", ο πόθος pagano, è appunto un "moto spirituale" (Purg., XVIII, 32) che, come il fuoco, segue uno sviluppo molto istintivo verso l'alto nel senso che cresce sempre più per appagare l'innata necessità di perfezione ma, non essendo alimentato dalla virtù della speranza, rimane una forza cieca e inappagabile. Esso è quindi, in questo senso, una passione imperfetta e allo stato primitivo che preclude una qualsiasi possibilità di sviluppo metafisico. La speranza invece, in quanto virtù teologale, rappresenta una forma di desiderio più positiva e anche più completa in quanto non deve necessariamente arrivare all'oggetto desiderato per appagare lo spirito. Cicerone (De Finibus, III, χ, 35) delineando le quattro passioni 39 fondamentali della dottrina epicurea quali "la paura, l'afflizione, la libidine e la voluttà" , ("aegritudo, formido, libido...et voluptas") 38 40 Cfr. Conv., III, ii, 3. Si veda la spiegazione di Patrick Boyde sulla filosofia del desiderio, quale seconda fase dell'amore, in Perception and Passion in Dante's Comedy, cit., pp. 275-301, in particolare p. 276: "...It will be remembered that all rectilinear movement must be from a principium through a medium to a finis, and that every such movement begins and ends in 'stillness' (quies). It is these three aspects or 'phases' (for want of a better word) that make it necessary to distinguish three possible meanings within the single word amor: inclinatio, desiderium, and fruitio. 'Inclinatio' relates to the principium. It is the innate capacity for loving certain kinds of 'good', which is an inalienable property of every living form. 'Desire' is the fase in which this potential for love is actualised by the perception of a good; and it refers to a particular 'movement of the soul' towards that particular good. 'Desire' is not, or should not be, permanent (the souls in Limbo suffer because they must 'live in desire without hope'). It ceases in the fase called 'fruition', when the movement has come to its 'end'. 'Fruitio' is a state of stillness, characterised by a feeling of delight or pleasure, in which the 'amante' is united with and lovingly enjoys the 'cosa amata'. It is the 'final cause' of love. When it is long lasting and only slightly disturbed, it is known as 'happiness' (felicitas). When it is eternal and complete in every way, it is called 'blessedness' (Beatitudo)". 38 39 Cicero, De Finibus Bonorum et Malorum, trad. inglese di H. Rockham, London, W. Heinemann, Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press. 1961 [1914], III, x, 35; Cfr. ibid., I, xiii, 43 f. 40 Sempre in relazione alla dottrina epicurea (ibid., II, ix, 26), Cicerone denota due tipi di desideri che distingue in naturale e immaginario. Il naturale viene poi suddiviso in due categorie: necessario e non necessario. Fra questi a Adriana Diomedi 18 identifica la libidine come un desiderio con troppa veemenza, una passione smodata e incapace di appagare lo spirito, tanto da teorizzare che la felicità si possa realizzare solo se si ha la saggezza di contenere l'eccessiva forza del desiderio entro precisi limiti morali. Egli mostra quindi di essere conscio del fatto che il desiderio, essendo una passione smodata, può trasmettere un senso di soddisfazione solo se moderato dalla virtù della temperanza. La descrizione ciceroniana in proposito, non può dunque non richiamare alla memoria l'essenza della speranza cristiana, in quanto è anch'essa evocata da un passione non eccessiva ma moderata appunto dalla virtù della temperanza, anche se in effetti la possibilità di realizzazione (felicità) individuale attraverso una virtù teologale era cosa impensabile per il filosofo latino. Ritornando ora all'ideale di perfezione che Dante sulla scorta di Aristotele, Boezio, Cicerone, per citare solo alcuni dei maggiori, individua come istinto naturale verso il bene e che Kant, qualche secolo dopo, descriverà come "l'imperativo categorico": il tu devi, dettato dalla voce della coscienza , è importante notare che esso, in quanto voce dell'anima, può raggiungere il bersaglio prestabilito solo se è assecondato da una volontà illuminata dalla luce della sapienza che (come abbiamo visto) Dante identifica con quella della filosofia e conseguentemente della teologia, per rappresentare il massimo della razionalità che l'essere umano possa acquisire: la "perfecta ratio" che 41 42 costituire il problema è quello non naturale e non necessario, ossia il desiderio immaginario, in quanto è spesso dettato da una passione eccessiva, stravagante ο da una visione irrealistica della verità che potrebbe far pensare ad una malattia mentale (ibid., I, xviii, 59). Tale suddivisione è una rielaborazione dell'originale dottrina epicurea, conferitaci dallo stesso Cicerone (ibid., I, iii, 45), secondo cui venivano decifrati tre tipi di desideri: il primo inteso come naturale e necessario, il secondo come naturale ma non necessario ed il terzo come non naturale e non necessario. La distinzione era basata sul fatto che il desiderio necessario non è problematico poiché facilmente appagabile senza troppe inconvenienze e spese. Quello naturale richiede anch'esso ben poco per arrivare alla gratificazione poiché essendo naturale è la stessa natura a soddisfarlo. Per cui, secondo il poeta, a comportare il problema è solo il tipo di desiderio che non è né naturale né necessario, spesso dettato dalla frivolezza, dalla vanità ο da una visione irrealistica della realtà. Ibid., III, xix, 62. 41 42 Cfr. Kant on the Foundation of Morality, transl. with comm. by B. E. A. Liddell, Bloomington-London: Indiana University Press, 1970, si veda in particolare "Practical Reason and its Imperatives", pp. 104-37. Dante e la necessità di perfezione 19 può conferirgli il più alto livello di identificazione con la perfezione divina. ADRIANA DIOMEDI La Trobe University, Melbourne, Australia