Un ragazzo di 14 anni, che chiameremo Andrea, sta frequentando la

Un ragazzo di 14 anni, che chiameremo Andrea, sta frequentando la prima scientifico,
con ottimi risultati: ha tutti otto e nove in pagella. Ad un certo punto dell’anno
scolastico, verso febbraio, inizia ad accusare dei forti mal di testa, che nel giro di
qualche settimana diventano così frequenti da impedirgli di frequentare la scuola con
regolarità. Viene sottoposto a tutti gli esami medici del caso, che non rilevano nulla di
significativo. Allora uno dei medici consultati suggerisce ai genitori di provare ad
intervenire con un approccio psicologico, perché potrebbe trattarsi di una forte
somatizzazione.
Quando i genitori giungono nel mio studio, iniziano a riassumere le vicende che li
hanno portati da me, e naturalmente parlano di loro stessi e del figlio. Mentre il loro
racconto procede, si fa strada in me l’impressione di trovarmi di fronte a due
eccezionali esemplari di quella specie parentale che io definisco “pre-occupante”. Si
definisce in tal modo quel genitore che “pre-occupa”, vale a dire occupa in anticipo,
ed in eccesso, lo spazio di vita del figlio, con desideri, fantasie, consigli, giudizi,
raccomandazioni, aiuti in genere. In questo modo crea quasi sempre dannose
interferenze in quel sano processo di crescita attraverso il quale ogni individuo
dovrebbe progressivamente apprendere dall’esperienza, e giungere a creare dentro di
sé delle motivazioni sufficientemente autonome.
Il padre e la madre di Andrea non sono proprio in grado di pensare il loro figlio come
“altro” da sé, o se vogliamo usare un’espressione comune, di “tagliare il cordone
ombelicale”.
Ne ho conferma quando inizio ad incontrare Andrea, che già in pochi incontri riesce a
descrivere, dapprima con qualche esitazione, poi in modo sempre più deciso e
consapevole, la minuziosa rete di aspettative, precauzioni, insomma di preoccupazioni, che papà e mamma hanno steso intorno a lui, soprattutto per quanto
riguarda il percorso scolastico, ma senza trascurare la salute, il tempo libero,
l’abbigliamento, tutto.
Fino a quando, dopo una decina di sedute, arriva a creare la seguente metafora:
“quei due” dice, riferendosi ai genitori “Sono come qualcuno che mi racconta in
anticipo la trama di un film che io devo ancora andare a vedere. Questo film è la mia
vita: loro l’hanno già scritta tutta, e io non riesco trovare la gomma!”.
Da quando Andrea riuscì a creare questa immagine, le emicranie iniziarono a diventare
meno frequenti, e nel giro di due settimane sparirono. Naturalmente non sono così
frequenti i casi in cui c’è un percorso tanto rapido e
favorevole, anche se noi psicologi finiamo
per
raccontare soprattutto quelli. Fatto sta che le cose
andarono in quel modo, grazie alla bellissima metafora
di Andrea, al quale sono debitore per una frase che in
seguito mi venne in mente ed ora è stampata su un
quadretto appeso nel mio studio: “un figlio è un
meraviglioso libro da leggere, non da scrivere”.
Stefano Monti