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Morselli e Manzoni. Note a margine sulla morale cattolica
di Maria Panetta
Nell’analisi del morselliano Fede e critica non si può prescindere dal considerare
le influenze e gli spunti che ad esso derivano dalle Osservazioni sulla morale cattolica
di Manzoni: questo l’assunto da cui partono tali note. Si cercherà in esse di mettere
in luce alcuni punti di convergenza e di divergenza tra le riflessioni manzoniane e
quelle morselliane, che in parte muovono da una lettura partecipe e approfondita
di Manzoni, citato più volte nel corso del saggio (e, notoriamente, anche in altre
opere morselliane, come il Diario). In particolare, è da sottolineare preliminarmente un riferimento esplicito proprio alle Osservazioni, chiamate in causa polemicamente da Morselli nel suo capitolo VII, Discorso breve sulla fede, allorché discorre
della presunta antitesi tra ragione e fede – uno dei temi centrali dell’opera –, sostenendo che, se talvolta la ragione resiste agli insegnamenti della religione, non meno tenacemente vi resiste talora il sentimento, e «non sempre perché rilutti a piegarsi a una disciplina (come credette di dover affermare anche il Manzoni, nella
Morale Cattolica)»1, ma spesso perché «non intende, non afferra»2.
Le Osservazioni traggono notoriamente origine dalla volontà di «difendere la
morale della Chiesa cattolica dall’accuse che le sono fatte nel Cap. CXXVII della
Storia delle Repubbliche Italiane del medio evo»3 di Sismondi, che la considera «cagione di corruttela per l’Italia»: al contrario, Manzoni, la reputa «la sola morale
1
Cfr. MORSELLI G., Fede e critica, Milano, Adelphi, 1977, pp. 185-186. Morselli si riferisce alle
affermazioni presenti nel primo capitolo dell’opera manzoniana (cfr. MANZONI A., Osservazioni
sulla morale cattolica, in ID., Tutte le opere, a cura di ORIOLI G., ALLEGRETTI E., MANACORDA G.,
FELICI L., Roma, Avanzini e Torraca, 1965, pp. 781-904, p. 785) e relative alla forza d’animo e alla
volontà, che con difficoltà fa mantenere la libertà del giudizio dalle passioni, a causa della disposizione tipicamente umana a distrarsi facilmente dai pensieri tormentosi e a svagarsi dai
sentimenti penosi.
2
Cfr. MORSELLI G., Fede e critica, op. cit., p. 186. Manzoni viene menzionato alle pp. 80, 109,
151-152, 185-186, 191.
3
Cfr. MANZONI A., Osservazioni sulla morale cattolica, in ID., Tutte le opere, cit., p. 781, come le
successive citazioni.
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Maria Panetta
santa e ragionata in ogni sua parte», essendo convinto che «ogni corruttela venga4
anzi dal trasgredirla, dal non conoscerla, o dall’interpretarla alla rovescia».
Dopo aver, secondo inveterate consuetudini retoriche, reso omaggio al proprio contraddittore e aver professato la propria stima per l’originalità dell’opera
e per l’esattezza delle ricerche che ne sono state alla base, Manzoni sottolinea
prima che «l’evidenza e la bellezza e la profondità della morale cattolica non si
manifestano se non nell’opere»5 e poi che «tutto si spiega col Vangelo, tutto conferma il Vangelo»; infine, che la religione cattolica «ha rivelato l’uomo
all’uomo»6. Celebra alcune delle proprie più illuminanti letture sull’argomento (i
sermoni del Massillon e del Bourdaloue, i Pensieri del Pascal e i Saggi del Nicole)
sottolineandone l’autorevolezza, che attribuisce al fatto di essere sacerdoti, per
quanto riguarda i primi due autori, e, per quanto concerne tutti e quattro, alle
seguenti motivazioni: «il modo generale di trattare la morale, un grand’ingegno,
de’ lunghi studi, e una vita sempre cristiana»7. Insomma, la fede e le opere renderebbero le loro opinioni più autorevoli rispetto a quelle di un semplice storico
(sembra suggerire)8.
Si scaglia, poi, contro coloro che reputano poco interessanti le discussioni teologiche e le argomentazioni degli apologisti, ritenendo tale «noncuranza»9 il frutto di una «civilizzazione avanzata»10, e delinea una contrapposizione tra filosofia
e teologia (poi ripresa nel capitolo III) degna di nota:
Parlare di dommi, di riti, di sacramenti, per combattere la fede, si chiama filosofia; parlarne
per difenderla, si chiama entrare in teologia, voler fare l’ascetico, il predicatore11; si pretende che
la discussione prenda allora un carattere meschino e pedantesco. Eppure non si può difendere
la religione, senza discutere le questioni poste da chi l’accusa, senza mostrare l’importanza e la
ragionevolezza di ciò che forma la sua essenza12.
4
Il corsivo, nostro, indica una modifica del testo originale.
5
Ivi, p. 782, come la cit. che segue.
6
Ivi, p. 783.
7
Ibid.
8
Al riguardo, Morselli precisa, nella nota 3 del capitolo 1, Perché si soffre?, che lo storico non
giustifica i fatti ma cerca di spiegarli, ne consente la comprensione e li intellettualizza, mentre
quella di «razionalizzare il male è l’impresa della filosofia teologizzante»: cfr. p. 20 di Fede e critica, op. cit.
9
Cfr. MANZONI A., Osservazioni sulla morale cattolica, op. cit., p. 783.
10
Ibid.
11
Cfr. MORSELLI G., Fede e critica, op. cit., p. 22: «Ci fu chi osservò che la teologia si riduce a
una teodicea, ovvero difesa dell’operato di Dio, ovvero giustificazione del male».
12
Cfr. MANZONI A., Osservazioni sulla morale cattolica, op. cit., p. 783.
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La premessa Al lettore si conclude, poi, con la precisazione dell’autore di aver
scritto in nome del «dovere di parlare per la verità»13.
Anche Morselli, nella Nota introduttiva rivolta ai lettori, esordisce chiarendo le
motivazioni della propria scelta, di «uomo qualsiasi»14 e laico (non «religioso» né
«mistico»), di occuparsi di un argomento impegnativo come la fede, e ribadendo
con forza la legittimità di un approccio razionale al problema: la religiosità, infatti, non è per lui solo emozione «e non si comunica solo per effusione»15, ma è
anche un «convincimento di cui si può parlare con pacatezza, con quel distacco
in che si è usi collocare gli oggetti del pensiero riflesso». L’intento di Morselli è,
però, dichiaratamente meno programmatico di quello manzoniano: egli ripercorre «uno dei più famosi itinerari dello spirito» in delle «meditazioni» che conservano il loro andamento cronologico originario per uno scopo di maggiore
«spontaneità» e sincerità; in pagine «più sofferte, o comunque, vissute, che speculativamente distillate»16, che mirano ad abbozzare «una fisiologia della fede
religiosa», tentando di «mettere la teologia ‘con le spalle al muro’»17. Il libro esplicitamente si oppone a coloro che affermano (nel «nostro tempo») che possano parlare di fede solo gli specialisti, «dal pulpito o dalla cattedra»; che la fede
non sia materia di ragionamento; e che l’«uomo comune» non possa interessarsi
di religione, «nel comune mondo di oggi».
Secondo Manzoni, la ragione accetta il principio dell’unità della fede proprio
per una «necessità logica»18, per un «assoggettamento […] alle leggi del raziocinio»: perché consegue al principio dell’unità della verità rivelata da Dio. Per fede, infatti, s’intende «persuasione fondata sulla rivelazione divina». Egli precisa,
però, subito dopo che la fede non consiste «in una semplice persuasione della
mente: essa è anche un’adesione dell’animo; e perciò dalla Chiesa è chiamata virtù» (e «un dono di Dio»19). Oltre a un «atto della volontà», infatti, essa presuppone una «disposizione del core» ad accettarla, il che sembra trovare eco nelle
reiterate affermazioni morselliane che la fede religiosa sia, e anzi non possa non
13
Ibid.
14
Cfr. MORSELLI G., Fede e critica, op. cit., p. 11 (come le citazioni che seguono).
15
Ivi, p. 12, come le citazioni che seguono.
16
Ivi, p. 13, come le citazioni successive.
17
Egli tenta dichiaratamente di delineare anche una distinzione tra l’apologetica (o teodicea)
religiosa di tendenza filosofica e quella teologica propriamente detta, «più radicalmente apodittica, o dogmatica, anche perché essa soltanto poggia sulla rivelazione» (ivi, p. 50), e basata sul
criterio della retribuzione e sull’idea che il male esista perché sia meritato dall’uomo come castigo delle sue colpe.
18
Cfr. MANZONI A., Osservazioni cit., Cap. I, Sulla unità di fede, p. 784, come le citazioni sgg.
19
Ivi, p. 785, come le citazioni che seguono.
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Maria Panetta
essere, «complementarità di intelletto e di immediato sentire»20, «concomitante
adesione dell’intelligenza e del cuore a un certo ordine di verità» 21, «rationabile
obsequium; reverenza e omaggio della mente, che si affianca a giusto titolo al culto del cuore»22:
mentre il dato intellettuale non è di per sé la fede, di per sé non lo è nemmeno l’‘immagine’
(il sentimento) che poi, come dicono, vi si sostituisce; e si crede per davvero quando il dato e
l’immagine coesistono, e sono in noi egualmente vivi e operanti. L’intelligenza è tradizionalmente, e a torto, descritta come estranea al sentire […] una fiamma è insieme calore 23 e luce, o
non è; una religiosità che sia irriflessa esperienza e non anche ragionato convincimento, sarà
forse aspirazione alla fede. Non può esser di più24.
Insomma, l’intendere e il sentire, come sostiene anche Giovanni della Croce in
un passo citato da Morselli, «concorrono ugualmente e contemporaneamente»25
a costituire la fede. A prova di ciò, Morselli elenca anche una serie di eresie derivanti proprio dal non aver ben compreso o accettato tale indissolubile nesso, la
«duplice natura della fede, che è insieme idea e sentimento del divino» 26: ad esempio, il docetismo, che nega la natura umana del Cristo, ha origini intellettualistiche, come l’arianesimo, che, invece, ne nega la natura divina; e, al contrario,
chi «riduce la fede a pura emozione si prepara, scientemente o no, a insinuare il
dogma dell’immanenza27; non per nulla – commenta Morselli – i Rousseau e gli
Schleiermacher sono strettamente imparentati ai filosofi che hanno fatto di Dio
una ‘creatura’ nostra»28. Anche i positivisti – nota – non ammettono che trattando di fede si debbano fare i conti con l’intelligenza, perché della «fede che è soltanto emozione il positivista si sbriga alla svelta, come fa della fantasia e dei suoi
20
Cfr. MORSELLI G., Fede e critica cit., p. 143.
21
Ivi, p. 144.
22
Ivi, p. 177.
23
A tal riguardo Morselli cita Croce («Il Mondo», 14 luglio 1951), che sostiene che anche
l’intelletto «comporta calore ed entusiasmo» (Cfr. Fede e critica, op. cit., p. 174).
24
Ivi, pp. 170-172.
25
Ivi, p. 181.
26
Ivi, p. 186.
27
Di oscillazione tra ateismo e immanentismo Morselli parla a proposito dei nostri idealisti,
e in particolare del Gentile di Il Modernismo e i rapporti fra religione e filosofia (Bari, Laterza, 1909);
e visione affine all’immanentismo religioso giudica il soggettivismo assoluto, che può rasentare
il solipsismo. Al riguardo cfr. PANETTA M., Da Fede e critica a Dissipatio H.G.: Morselli, il solipsismo e il peccato della superbia, in «Rivista di studi italiani», numero monografico dedicato a G.
Morselli, a cura di GAUDIO A., a. XXVII, n. 2, dicembre 2009, pp. 205-237.
28
Cfr. MORSELLI G., Fede e critica cit., p. 185.
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prodotti, per esempio l’arte»29, mentre sarebbe in difficoltà se dovesse spiegare
che alla fede concorrono anche le facoltà che servono «per costruire la scienza».
La tesi che la fede sia, invece, una «filosofia immaginosa, una filosofia ingenua»,
risalente agli albori del razionalismo filosofico e riproposta dagli idealisti della
scuola romantica (primo fra tutti Fichte) e pure da Comte, sebbene «in sostanza,
non si regga»30, ha, secondo Morselli, un germe di vero: sempre il fatto che credere
comporti «un atto intellettuale, poiché significa inserirsi in una complessa struttura di nozioni e di norme, adeguarsi a una peculiare visio mundi.
Credere è, dunque, riflessione: più un elemento irriflesso, che attinge al sentimento, all’immediata coscienza», e che ha un valore universale perché rappresenta un’esigenza connaturata al nostro essere uomini: l’universale bisogno di amare,
e di «trovare fuori e sopra di noi l’Oggetto finalmente degno»31. Come ricorda
Morselli, la Chiesa, infatti, combatte sia la riduzione della fede al suo elemento
intellettualistico, sia la tendenza a farla consistere in pura emozione: «il suo atteggiamento è stato detto (quantunque poco felicemente) “semi-razionalismo”. Basta
ricordare, pei tempi moderni, l’enciclica papale contro i modernisti, la Pascendi
dominici gregis»32.
Sempre riguardo a tale questione, nel capitolo VI Morselli si serve di un esempio tratto dai Promessi sposi per dimostrare che, quando la conversione religiosa «avviene ‘per contatto’, è, molto spesso, anche o soprattutto suggestione»33:
il ravvedimento dell’Innominato e il suo ritorno alla fede a suo parere «incominciano e si svolgono per intero sul piano emotivo»34:
Manzoni ha riunito e messo in opera le espressioni più vistose, anche in senso letterale, e
più comunicative, della religiosità. Il suo Innominato non ha da riflettere, da ragionare; non può
che cedere al soverchiante influsso dell’ambiente, abbandonarsi al torrente di emozioni che si
rovescia sopra di lui.
Ma immediatamente Morselli si premura di precisare che tale caratterizzazione, pur comprensibile in quanto risponde alle esigenze di un tipo di letteratura e al clima dell’epoca, «non esaurisce la realtà del fenomeno che chiamiamo
conversione»35; e, anzi, chiarisce perentoriamente in nota:
29
Ivi, p. 209, come le successive citazioni.
30
Ivi, p. 211, come la cit. successiva.
31
Ivi, p. 212.
32
Ivi, p. 184. Corsivo nostro: Morselli adopera le caporali.
33
Ivi, p. 150.
34
Ivi, p. 151, come la cit. che segue.
35
Ivi, p. 152.
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Maria Panetta
Fatto non infrequente nel Manzoni, l’esperienza personale ebbe scarsi influssi sulla sua concezione artistica. Il Manzoni si era egli stesso convertito alla fede: la sua fu conversione ‘per contatto’, dovuta alla frequentazione di uomini dalla religiosità fervida e comunicativa quali il Dègola e il Tosi: ma si trattò, nel caso suo, di un contatto anche e soprattutto intellettuale36.
Morselli giunge, nel proprio percorso, alla conclusione che la fede religiosa
«significhi volontà morale. Non certo […] osservanza indefettibile di una legge,
ma sì nozione di essa e sua volonterosa accettazione»37: l’uomo religioso («e mi
riferisco al cristiano»38), pertanto, se è soggetto ad errare come ogni altro essere
umano, secondo il suo parere «ha del proprio peccato una coscienza che non è
solo l’idea di una violazione, ma è il rimorso, la contristata coscienza di avere
tradito»39. E del resto anche Manzoni sostiene che la «filosofia morale» e la «morale teologica» «hanno per oggetto lo stesso ordine di verità»40 e, dopo aver illustrato i vizi «irremediabili»41 di qualsiasi sistema di morale assolutamente distinta dalla teologia («mancanza di bellezza, ossia di perfezione, e mancanza di motivi» per preferire «i sentimenti e l’azioni più belle»), parla di «nesso intimo tra la
religione e la morale»42, sottolineando che la filosofia morale stessa «ha le sue basi
nella ragione e nella coscienza»43 e che la Chiesa «sola possiede originariamente e
inamissibilmente [sic] l’intera verità morale»44, comprensiva delle verità conoscibili tramite la ragione e di quelle attingibili solo attraverso la rivelazione. Nella
morale teologica l’anima umana ritroverebbe, dunque, «per dir così, la sua unità
nel riconoscimento dell’unità eterna e suprema del vero e del bene»45. A sostegno di questa tesi, Manzoni dedica addirittura un’intera Appendice al Sistema che
fonda la morale sull’utilità basandosi solo sull’esperienza come criterio (probabilistico e non assoluto) di orientamento: ribadisce, invece, che si oppone, e si deve
opporre, la giustizia all’utilità «come la norma vera e razionale in questo caso, a
una fuor di proposito»46.
36
Ibid. Su tale controverso aspetto Morselli rimanda al saggio di RUFFINI F., La vita religiosa
di A. M., Bari, Laterza, 1931.
37
Ivi, p. 189. Corsivo nostro.
38
Ibid.
39
Ivi, p. 190.
40
Cfr. MANZONI A., Osservazioni cit., p. 788.
41
Ivi, p. 790, come le citazioni che seguono.
42
Ivi, p. 794.
43
Ivi, p. 789.
44
Ivi, p. 1037, nota 69.
45
Ivi, p. 791.
46
Ivi, p. 859.
Morselli e Manzoni. Note a margine sulla morale cattolica
79
In relazione al cruciale problema della sofferenza e della ricerca della sua
spiegazione da parte dell’uomo comune, Morselli afferma che solo la religione è
in grado di «congiungere strettamente ciò che è terreno con l’ultraterreno; e inoltre, pur essendo indirizzata a un assoluto, conferisce tutto il voluto risalto
all’individuale. La religione – e non la filosofia – spazia nell’aldilà»47; e Manzoni
aveva scritto che la «felicità non può esser realizzata fuorché in un presente il
quale comprenda l’avvenire, in un momento senza fine, val a dire l’eternità. Senonché la religione può darci una specie di felicità anche in questa vita mortale,
per mezzo d’una speranza piena d’immortalità»48. Al che, però, Morselli sembra ribattere drammaticamente, in un concitato immaginario dialogo, che il dolore
«non si sana e non si ripara. Nemmeno un ultramondano compenso ex post,
quantunque munifico, varrebbe a risarcirlo»49.
Eppure la difesa appassionata che fa più volte della «religiosità implicita in
Leopardi»50 (perché le «conclusioni dell’ateismo leopardiano, come quelle della
teodicea agostiniana, non ingannano se non un osservatore superficiale») e della
legittimità della protesta del credente, seppur nell’ambito di una fede incrollabile (testimoniata da Giobbe), contro la sofferenza (lo stesso «male che l’uomo
compie è un male che egli stesso subisce; dunque, l’uomo ha il diritto di chiederne ragione»51 anche perché l’essere umano «entro la naturalità non fa quello
che vuole, fa quello che può»52) e contro l’ingiustizia (secondo Morselli, infatti,
«Dio è disposto a indulgenza verso chi insorge contro i suoi decreti» 53) rivela che
probabilmente anche a lui non «riuscì mai di prescindere dall’idea di una divina
presenza operante nel mondo»54: infatti, «non si può maledire senza pregare»55 –
conclude – e «la negazione appassionata è una testimonianza, più valida della
compunta devozione […]. Dalla veemenza della sua [di Giobbe] recriminazione,
vi è da attingere per gli spiriti religiosi una lezione di umiltà»56.
La morale cattolica, secondo Manzoni, favorisce «l’adempimento di questi
due doveri, odio all’errore, amore agli uomini»57, appunto col proscrivere la
«superbia, l’attaccamento alle cose della terra, e tutto ciò che strascina a rompere
47
Cfr. MORSELLI G., Fede e critica cit., p. 21.
48
Cfr. MANZONI A., Osservazioni cit., pp. 860-861.
49
Cfr. MORSELLI G., Fede e critica cit., p. 40.
50
Ivi, p. 48, come la citazione successiva.
51
Ivi, p. 163.
52
Ivi, p. 77.
53
Ivi, p. 66.
54
Ibid.
55
Ivi, p. 224.
56
Ivi, p. 67.
57
Ivi, p. 803, come la cit. che segue.
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Maria Panetta
la carità». Proprio a tale proposito, assai interessante sembra mettere a confronto
ciò che Morselli scrive sul peccato della superbia – centralissimo nella sua riflessione morale58 – e quanto Manzoni nota anche nel proprio Capitolo XVII della
Prima parte, Sulla modestia e sulla umiltà.
Questi si dilunga nel ricondurre l’umiltà nell’ambito della modestia, intesa come «confessione d’una maggiore o minore distanza dalla perfezione» 59. La
modestia – sottolinea – presuppone che l’uomo abbia cognizione della propria
natura di «corrotto e inclinato al male […] tutto ciò che ha di bene in sé, è un dono di Dio»60. Pertanto, l’uomo modesto è colui che «riconosce ugualmente, che
tutti i suoi pregi sono doni che può perdere per la sua debolezza e per la sua corruttela»61. Nelle avversità egli
cresce in dignità e in purezza, perché, a ogni dolore sofferto con rassegnazione, sente cancellarsi alcuna delle macchie che lo deformavano. Che più? arriva fino a amare l’avversità stesse, perché lo rendono conforme all’immagine del Figliolo di Dio; e in vece di perdersi in vane e deboli querele, rende grazie in circostanze, nelle quali, se fosse abbandonato a sé stesso, non troverebbe che il gemito dell’abbattimento, o il grido della ribellione62. Ma l’orgoglio! Quando Iddio
avrà umiliato il superbo come un ferito63, l’orgoglio sarà per lui un balsamo? […] Il punto di riposo
per l’uomo, in questa vita, è nella concordia della sua volontà, con la volontà di Dio sopra di lui;
e chi n’è più lontano che l’orgoglioso, quando è percosso? L’orgoglio è garrulo nella sventura,
quando trovi ascoltatori; s’agita e si consuma a dimostrar che le cose non dovrebbero essere
come Dio l’ha volute: se si chiude in sé, il suo silenzio è amaro, sprezzante, imposto dal sentimento della propria impotenza, e perfino dal timore della commiserazione altrui. […] se c’è sentimento che distrugga il disprezzo insultante per gli altri, è l’umiltà certamente64.
Per affrontare questo punto, Morselli si aggancia al Libro di Giobbe, il cui protagonista, a suo dire,
poco assomiglia al paziente imperturbato che in lui ha veduto la tradizione. La sua ‘passione’ – la coscienza dell’ingiustizia che si consuma ai suoi danni, e la rivolta – ci è riferita senza
attenuazioni […] la sventura si accanisce su di lui ed egli ne chiede conto a chi, secondo la sua
58
Come ho tentato di dimostrare nel mio Guido Morselli e il problema morale, in Il discorso mo-
rale nella letteratura italiana. Tipologie e funzioni, n. 27 di «Studi (e testi) italiani», a cura di GUARNA V.,
LUCIOLI F., RIGA P. G., Roma, Bulzoni, 2011, pp. 201-214.
59
Cfr. MANZONI A., Osservazioni cit., p. 845.
60
Ibid.
61
Ivi, p. 846.
62
Ivi, p. 847.
63
Cfr. Ps. LXXXVIII, II: «Tu humiliasti, sicut vulneratum, superbum».
64
Cfr. MANZONI A., Osservazioni cit., pp. 847-848.
Morselli e Manzoni. Note a margine sulla morale cattolica
81
fede, ne è l’unico autore. Ciò che rimane immutato è questa fede: il pensiero che l’umana infelicità possa avere altre cause che il volere di Dio, non lo sfiorerà mai nemmeno, ma di tanto più la
sua accusa è recisa ed è convincente65.
«La parola di chi non spera più – commenta Morselli –, si ripete uguale
nei secoli: se la vita è un male, perché ci fu data?»66. All’inizio della propria disamina Giobbe si dichiara in peccato, anche perché «come tutti, trova che la
sventura è meno grave quando può parere espiazione»67, ma subito si rende conto della sproporzione tra peccato e castigo e (come previsto anche nella casistica
illustrata da Manzoni) leva al creatore un grido di recriminazione: «se l’essere
umano sbaglia, di chi veramente la colpa?»68. Si sente, dunque, «reietto, si vede
perseguitato con accanimento […] Sta per toccare il colmo della disperazione,
quello stato in cui un essere umano fugge ogni contatto» 69, quando arrivano i tre
sapienti ad ammonirlo a pentirsi, sapienti verso i quali Giobbe non nasconde la
propria collera, accusandoli di essere dei “consolatori molesti”. Alla fine egli sospira la morte, perché, «come per Gesù nella solitaria desolazione dell’agonia,
per gli spiriti veramente religiosi, ‘all’ora nona’, subentra l’ambascia dell’anima
che si sente tradita dal suo Creatore»70. L’epilogo è, come sottolinea Morselli, una
«concitata rappresentazione della grandezza e forza del Signore»71; e non sembra
affatto casuale la scelta dei verbi adoperati per il commento che chiude il periodo (e la presenza della congiunzione coordinante che li unisce): «il Dio che affanna e atterra è poi un Dio clemente, che dà, quando e come lo crede, la grazia della
rassegnazione»72.
Morselli sembra quasi, pertanto, trarre spunto dalla densa pagina di
Manzoni dedicata all’orgoglio per andare oltre e per tornare, nel secondo capitolo di Fede e critica, all’interrogativo su cui s’impernia il primo: Unde malum?
Manzoni, invece, non affronta minimamente tale tema, rivelandosi in questo
un credente forse più pacificato con i propri dubbi di fede; e, anzi, opera una distinzione molto netta tra «sentimenti retti»73, che «Dio ci ha messo» nel cuore, e
«ciò che il peccato ci ha introdotto», limitandosi a sottolineare che un «core edu-
65
Cfr. MORSELLI G., Fede e critica cit., p. 57.
66
Ibid.
67
Ibid.
68
Ivi, p. 58.
69
Ibid.
70
Ivi, p. 63.
71
Ibid.
72
Ivi, p. 64. Corsivi nostri.
73
Cfr. MANZONI A., Osservazioni cit., p. 798, come le citazioni che seguono.
82
Maria Panetta
cato a considerare e a deplorare le proprie miserie»74 debba «riconoscere da Dio
ogni suo merito» e «che potrà trascorrere a ogni male, se Dio non lo rattiene».
Comunque, velatamente traspare una certa insofferenza di Morselli nei confronti
di questa posizione così conciliatoria di Manzoni, quando, discorrendo della tesi
della retribuzione indiretta, ovvero dottrina del peccato originale, e degli apparenti realismo e ingenuità del racconto del libro della Genesi al riguardo, concede:
A un Manzoni sarebbe parso irragionevole mettere in dubbio l’esistenza concreta e personale del diavolo, quanto disconoscere la realtà del principio divino nella Storia. Voglio dire: se ci è
caro intendere la materia religiosa come viva espressione spirituale, ci conviene prospettarcela
nella sua complessità, rinunciando, il più che sia possibile, a riserve, a discriminazioni75.
L’assunto iniziale è, però, il medesimo per entrambi gli scrittori: Dio è
disposto a indulgenza verso chi insorge contro i suoi decreti come Giobbe, che è
un «ribelle, un accusatore»76, un uomo che differisce dal credente comune non
per il fatto che, disingannato, dopo essersi lamentato e aver inveito, si sottomette
a Dio incondizionatamente, ma perché con «vigore meraviglioso» 77 asserisce la
propria dipendenza da Dio con una consapevolezza da «santo»78. E infatti – incalza Manzoni – il modesto teme le lodi proprio perché «lo trasportano facilmente ad attribuire a sé ciò che è dono di Dio, a supporre in sé un’eccellenza sua
propria, e quindi a ingannarsi deplorabilmente e colpevolmente»79. E l’umiltà,
intesa come «sottomissione del cuore o come rettitudine della mente che riconosce i suoi confini»80 – aggiunge Morselli – e «di cui la rassegnazione non è che il
volto pratico, è sì un carattere distintivo della religiosità […], ma non ne esclude
la tensione»: induce noi uomini a inchinarci alla maestà del Signore, ma «non
senza aver veduto di quanto egli ci superi e, superandoci, neghi i nostri criteri,
deluda le nostre attese. La fede non è possesso pacifico»81.
Numerosi sono i riferimenti bibliografici a opere a lui contemporanee
che si incontrano nel corso della lettura di Fede e critica, e di certo tali volumi
hanno ispirato molte pagine di questo saggio, sia nei temi sia nella spessa messe
di citazioni di seconda mano (specie bibliche o filosofiche) con cui abilmente
74
Ivi, p. 848, come le citazioni che seguono.
75
Cfr. MORSELLI G., Fede e critica cit., p. 80.
76
Ivi, p. 67.
77
Ibid.
78
Ibid.
79
Cfr. MANZONI A., Osservazioni cit., p. 846.
80
Cfr. MORSELLI G., Fede e critica, op. cit., p. 207.
81
Ibid.
Morselli e Manzoni. Note a margine sulla morale cattolica
83
Morselli intesse, e delle quali a volte infioretta, il proprio procedere argomentativo: L’Expérience Religieuse (1906) di William James82, Storia delle religioni di George Foot Moore83 (trad. it. 1922), Sette Discorsi sull’Ebraismo (trad. it. 1923) di
Martin Buber84, Storia della letteratura ebraica antica di Simon Bernfeld85 (1926),
Croce di Francesco Flora86 (1927), Pascal (1927) di Ernesto Buonaiuti87, Dio e
l’Immortalità (1927) di Angelo Brofferio88, Storia d’Europa nel secolo XIX di Benedetto Croce89, Le aporie della religione (1932) di Giuseppe Rensi90, Distinguer pour
unir, ou Les degrés du savoir (1932) di Jacques Maritain91, Mistici del Duecento e del
Trecento (1935) di Arrigo Levasti92, Les Anges Noirs di François Mauriac93 (1936),
La Dottrina Cattolica (trad. it. 1942) di Auguste Boulenger94, I Mistici Medievali
(1944) di Giovanni Maria Bertin95, Connaissance et Inconnaissance de Dieu (trad. it.
1947) di Charles Journet96, Il Catechismo degli increduli (trad. it. 1944)97 e Il problema del male (1951-1954) di Antonin Dalmace Sertillanges98, Il Diario (trad. it. 19481951) di Søren Kierkegaard99, Man Does not Stand Alone (1951) di Abraham
Cressy Morrison100, Le Manichéisme (1952) di Henri Charles Puech101 etc.
Come si noterà, molti dei saggi sono databili (almeno in prima edizione)
agli anni Quaranta del Novecento (o ai lustri immediatamente precedenti), gli
stessi in cui, come spiega nel proprio Intermezzo, Morselli aveva preso ad appuntare delle note in un «quaderno o diario risalente agli ultimi anni della guerra, al
Traduit avec l’autorisation de l’auteur par Frank Abauzit; preface d’Emile Boutroux, Pa-
82
ris, Alcan, 1906.
83
Trad. di Giorgio La Piana, Bari, Laterza, 1922, 2 voll.
84
Edizione originale 1911-1916; trad. it. Firenze, Israel, 1923.
85
Milano, Bocca, 1926.
86
Milano, Athena, 1927.
87
Milano, Athena, 1927.
88
In realtà intitolato Dio, l’immortalità dell’anima, Milano, Athena, 1927.
89
Bari, Laterza, 1931.
90
Catania, Etna, 1932.
91
Paris, Desclée de Brouwer, 1932.
92
Milano, Rizzoli, 1935.
93
Paris, Grasset, 1936.
94
Torino, S.E.I., 1937; poi: non Milano, ma sempre Torino, S.E.I., 1942.
95
Milano, Garzanti, 1944.
96
Trad. it. di Diego Valeri, Milano (non Roma), Edizioni di Comunità, 1947.
97
Torino, S.E.I., 1944.
98
Le problème du mal, 2 voll., Paris, Aubier, 1948-1951 (trad. it.: Il problema del male, Brescia,
Morcelliana, 1951-1954).
99
Trad. it. di Cornelio Fabro, Brescia, Morcelliana, 1948-1951.
100
New York, Fleming H. Revell Company, 1951 (I ed. 1944, ma Morselli cita da questa).
101
Paris, Civilisations du Sud, 1952.
84
Maria Panetta
fortunoso periodo che va dall’inverno del 1942 all’autunno del ’45»102, del quale
trascrive anche qualche pagina. Tali riflessioni sono state, poi, evidentemente
riprese e rielaborate, in seguito anche alla lettura di altri volumi e in funzione
della stesura del saggio (datato 1955-1956), in conformità con la definizione nietzschiana della filosofia quale «compendio delle nostre memorie» 103.
Manzoni (assieme a Leopardi, Sant’Agostino e pochi altri), però, in queste riflessioni, ha ben altro peso: i riferimenti alle opere manzoniane in Fede e critica, infatti, non scaturiscono dall’utilizzo occasionale di una fonte più consona
di altre a illustrare un particolare passaggio, spiegare un nesso, giustificare una
citazione, aggiungere prove a un’argomentazione ai fini di una maggiore evidenza o per corroborarne la fondatezza mediante il ricorso a una fonte autorevole. Quello con Manzoni è un dialogo costante nella vita e nelle opere di Morselli:
come quello con Croce, che spesso fa capolino tra le righe, in alcune note o in allusioni più o meno dirette.
Manzoni e Croce forse rappresentano due risposte – egualmente insoddisfacenti, sebbene interessanti, se non altro per il fascino esercitato dalle loro
intelligenze – all’inquietudine e ai dubbi in cui Morselli si dibatte, senza trovare,
però, una via d’uscita; due poli tra i quali oscilla ma senza risolversi: la risposta a
suo giudizio troppo conciliante della religiosità apparentemente pacificata e paga di Manzoni, e quella troppo ottimista e giustificatoria della concezione crociana della storia e della filosofia, che, come nella mentalità romantica, «dichiarava il male dialetticamente legato alla vita»104. Fede e critica, appunto.
Affrontare la vita e le sue avversità con serena tollerante pazienza è una cosa bella e virile;
non vederne l’irrazionalità e non saperla respingere, quando occorre, è una cosa molto diversa.
In termini di vita religiosa, mi pare evidente che il dovere della rassegnazione non può e non
deve impedirci di valutare il contrasto fra realtà divina, e terrena realtà del male105,
afferma perentoriamente Morselli; perché ritiene che creda «religiosamente
chi affronta l’ostacolo sforzandosi di sormontarlo, dove l’incredulo retrocede;
non chi non giunge mai a rendersene conto» 106.
Fede e critica, dunque. Ma, forse, più drammaticamente: né fede né critica.
102
Cfr. MORSELLI G., Fede e critica cit., p. 95.
103
Ivi, p. 96.
104
Ivi, p. 43.
105
Ivi, p. 166.
106
Ivi, p. 168.
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