Come colmare il divario tra Diritto e Società? In cerca di coerenza

Come colmare il divario tra Diritto e Società? In cerca di coerenza tra ‘right to die’, suicidio
assistito ed eutanasia in Canada.
Indice: 1. Introduzione: l’importanza del Canada come modello di studio per il ‘right to die’ – 2. Il
rifiuto di cure mediche tra codice penale e giurisprudenza della Corte suprema – 3. Suicidio
assistito: il caso Rodriguez e l’applicazione dei principi della Canadian Charter of Rights and
Freedoms – 4. Circolazione del modello o ‘idem sentire’? La ‘fortuna’ della decisione Rodriguez:
India e Stati Uniti – 5. Le ragioni della decisione: un’analisi della c.d. ‘slippery slope’ e
dell’opportunità di una disciplina di origine giurisprudenziale – 6. Eutanasia: il caso Latimer e la
constitutional exemption – 7. La disciplina di origine legislativa: una recente proposta di modifica
del codice penale.
1. Introduzione: l’importanza del Canada come modello di studio per il ‘right to die’.
Il Canada rappresenta, nel panorama degli studi comparati in ambito di ‘right to die’, (espressione
sotto la quale si sussumono solitamente le eterogenee fattispecie del rifiuto di cure mediche, del
suicidio assistito – da medico o da altro soggetto – e dell’eutanasia), un modello di studio
significativo alla luce delle caratteristiche peculiari del relativo sistema legale. Da un lato, infatti,
l’intero sistema risente dell’influenza positiva che l’attuazione della Canadian Charter of Rights
and Freedoms nel 1982 ad integrazione del precedente British North America Act, 1867, ha
impresso alla protezione dei diritti. Dall’altro, l’organizzazione istituzionale ed una sensibilità
culturale spiccata, consentono l’emersione e la recezione delle diverse istanze provenienti della
società, che riescono ad influenzare le istituzioni più recettive nei confronti di questo tipo di
messaggio. Preme sottolineare come, con quanto appena detto, non ci si riferisca soltanto all’organo
elettivo per eccellenza, il Parlamento, ma anche, e soprattutto, alle corti e agli apparati cui, di fronte
ad esse, è deputato il compito di decidere – discrezionalmente – circa la necessità di perseguire o
meno comportamenti penalmente rilevanti e, in caso positivo, in quale misura.
Il contributo si muoverà su tre diversi piani analizzando la disciplina del diritto
all’interruzione del trattamento medico, del suicidio assistito e dell’eutanasia1 in Canada in un
orizzonte temporale ben definito e che inizia con l’introduzione della Canadian Charter of Rights
and Freedoms nel panorama costituzionale canadese nel 1982. Le principali decisioni rese dalle
corti federali e provinciali canadesi in materia saranno esaminate in un tentativo di comprensione
delle argomentazioni che le sottendono. Ad accompagnare tale disamina sarà anche lo studio di
1
Il presente studio costruisce sulla classificazione esposta e analizzata nel contributo di C. Tripodina, Profili
comparatistici dell’eutanasia. Itinerari giuridici alla scoperta di un “diritto” in via di riconoscimento, in Diritto
Pubblico Comparato ed Europeo, 2001, IV, pp. 1714 e ss. Per un primo, introduttivo panorama della disciplina
applicabile e della giurisprudenza rilevante con riferimento ad eutanasia e suicidio assistito in Canada, si veda: Library
of Parliament – Parliamentary Information and Research Service, Euthanasia and Assisted Suicide in Canada,
disponibile all’indirizzo http://www.parl.gc.ca/information/library/prbpubs/919-e.pdf (aggiornato al Febbraio 2003),
ultima visita 13/05/2008.
1
alcuni punti salienti che toccano la disciplina, come la classica argomentazione della ‘slippery
slope’ e la valutazione su quale sia l’attore istituzionale – legislatore ovvero corti – cui sia
preferibile demandare la disciplina in tali settori. La relazione sottolineerà come emerga una
necessità di razionalizzazione del sistema. L’assenza di una chiara disciplina legislativa ovvero
giurisprudenziale circa l’eutanasia, in particolare, è infatti causa di differenze tra Province nelle
conseguenze penali che tale pratica comporta. Discrasie emergono inoltre tra il dettato del codice
penale e l’amministrazione della giustizia, condizionando la certezza del diritto. Come vedremo,
elemento di sintesi e chiarificazione costante per tutti e tre i temi affrontati; centro fondamentale ed
ideale da cui si dirameranno tutte le riflessioni in tema di right to die, sarà la sentenza Rodriguez2,
che si pone come un punto di riferimento obbligato – sia pure con una intensità precettiva diversa,
dovuta all’affermazione di principi ora in obiter dicta, ora nel principio di diritto relativo al caso più
specificamente affrontato – per tutti e tre gli ambiti citati.
2. Il rifiuto di cure mediche tra codice penale e giurisprudenza della Corte suprema.
Con riferimento al tema del rifiuto di cure mediche, il Canada appare tutt’oggi carente di
una disciplina specifica ed unitaria. Per individuare i precetti applicabili in materia risulta
necessario ricondurre ad unità una pluralità di norme tra loro eterogenee quanto a fonte e ambito di
operatività. In particolare, le disposizioni del codice penale devono essere poste in relazione non
solo con la disciplina dettata in ambito civilistico – codice civile in primis – a livello federale, ma
anche con la legislazione delle singole Province in materia, le norme derivanti dalla tradizione di
common law ed infine, i principi di diritto espressi all’interno delle decisioni delle corti.
Nell’attuale codice penale canadese3, in vigore dal 1985, sono molteplici le disposizioni che
possono essere interpretate come comportanti un divieto di interruzione di cure mediche essenziali
ai fini del mantenimento in vita di un soggetto capace, anche quando questi si esprima invece nel
senso di una loro interruzione. In particolare, si fa riferimento alle disposizioni previste alle ss. 215,
216 e 217 c.p. rubricate sotto la più generale intitolazione di “Duties Tending to Preservation of
Life”4. Le corti canadesi, interpretando queste disposizioni, hanno esplicitamente qualificato il
2
Rodriguez v. British Columbia (Attorney General), [1993] 3 S.C.R. 519.
3
Criminal Code (R.S., 1985, c. C-46).
4
Le sezioni citate così testualmente prevedono:
S. 215(1): «Every one is under a legal duty […]
c) to provide necessaries of life to a person under his charge if that person
i) is unable, by reason of detention, age, illness, mental disorder, or other cause, to withdraw itself from that charge,
and
ii) is unable to provide himself with the necessaries of life.
2
trattamento medico necessario al mantenimento in vita del paziente come “necessaries of life”5 ed
hanno riconosciuto che i pazienti sono da intendersi legalmente affidati (“in the charge”6) alle
persone o strutture ospedaliere che forniscono loro cure mediche. Perciò, in conseguenza della s.
215, l’interruzione della somministrazione di cure mediche ovvero l’astensione dall’inizio della
cura (quelle che rispettivamente vengono definite con terminologia inglese “withdrawal” e
“witholding”), senza una “lawful excuse”, potrebbero qualificarsi come una “failure to provide to
the necessaries of life” ai sensi della stessa s. 215 e comportare una responsabilità penale. Cosa
tuttavia costituisca una “lawful excuse”, non può essere inferito dal dettato del codice.
Da qui l’esigenza di volgere l’attenzione verso la common law, la legislazione delle singole
Province ovvero le decisioni delle corti che hanno interpretato tali disposizioni. Nell’ambito della
legislazione provinciale, sono sicuramente da segnalare, come esempi tra i più esaustivi di
legislazione circa il consenso (ovvero il rifiuto) al trattamento medico, quelli delle Province
dell’Ontario7, British Columbia8 e Prince Edward Island9. Lo Health Care Consenct Act della
Provincia dell’Ontario, esempio tipico di questo tipo di legislazione, garantisce in termini chiari a
tutti i soggetti adulti e capaci la possibilità di rifiutare trattamenti medici che siano anche solo
potenzialmente qualificabili come essenziali ai fini del mantenimento in vita. La legislazione nelle
due Province del British Columbia e Prince Edward Island è coerente con l’elaborazione
dell’Ontario. Di ben diverso tenore la legislazione nelle altre Province.10 L’intervento interpretativo
(2): Every one commits an offence who, being under a legal duty within the meaning of subsection (1), fails
without lawful excuse, the proof of which lies on him, to perform that duty if […]
b) with respect to a duty imposed by paragraph (1)(c), the failure to perform the duty endangers the life of the person to
whom the duty is owed or causes or is likely to cause the health of that person to be injured permanently.»
S. 216: «Every one who undertakes to administer surgical or medical treatment to another person or to do any other
lawful act that may endanger the life of another person is, except in case of necessity, under a legal duty to have and to
use reasonable knowledge, skill and care in so doing.»
S. 217: «Every one who undertakes to do an act is under a legal duty to do it if an omission to do the act is or may be
dangerous for life.»
5
R. v. Brooks (1902), 5 C.C.C. 372 (B.C.S.C.).
6
H pital Notre-Dame v. Patry (1972), C.A. 579 (Que. C.A.).
7
Health Care Consent Act, 1996, S.O. 1996, c.2.
8
Health Care (Consent) and Care Facility (Admission) Act, S.B.C. 1996, C. 181.
9
Consent to Treatment and Health Care Directives Act, S.P.E.I. 1996, C-17.2.
10
Nella interessante monografia in tema di eutanasia e suicidio assistito di Jocelyn Downie, Dying Justice, University
of Totonto Press, 2004, a p. 20 si prende in considerazione, ad esempio, la disciplina posta in essere in questi ambiti
nella Provincia della Nova Scotia, affermando che la s. 54 dello Hospital Act, relativa, tra le altre cose, al solo consenso
al trattamento medico, «[…] lies buried in an Act that deals with everything from approval for construction of the
hospital to notice of non-entitlement to insure services to processes for involuntary committal of persons to psychiatric
facilities» e concludendo che «[l]ike similar provisions in other Provincial Acts, [the Nova Scotia Hospital Act]
provides only a minimal statutory requirement for respect for refusal of treatment».
3
delle corti si è rivelato comunque di fondamentale importanza in tutte le Province, nel sopperire a
vuoti legislativi ovvero nel definire meglio l’ambito di azione delle norme già esistenti e che
affrontano esplicitamente il tema.
Prima di confrontarci con le statuizioni che la Corte suprema ha posto in essere in tema nella
decisione Rodriguez, è necessario citare la decisione più significativa in tema emessa da una corte
canadese. In Nancy B. v. H tel-Dieu de Quebec, decisa dalla Corte superiore del Québec11, una
donna promuove ricorso giurisdizionale affinché la corte emani un ordine (injunction) che obblighi
l’ospedale e il suo medico a rispettare la sua richiesta di interrompere l’uso del respiratore
artificiale. La donna soffre di una paralisi quasi totale ed irreversibile nella parte inferiore del corpo,
causata dalla sindrome di Gyllian-Barré. E’ chiaro che senza l’ausilio del respiratore morirà molto
rapidamente. Il giudice Dufor, dovendo confrontarsi con la presenza delle disposizioni del codice
penale, afferma che queste non devono essere interpretate in modo da condurre a soluzioni
paradossali, quali il contrasto tra testi normativi diversi, come accadrebbe interpretando il codice
penale nel senso di vietare il rispetto di un rifiuto di trattamenti sanitari anche quando questo si
qualifichi come necessario alla sussistenza in vita del paziente. Infatti, sia i principi di common law
in tema di consenso informato, sia la s. 19.1 del codice civile canadese12, richiedono il rispetto di
almeno alcuni casi di rifiuto di trattamento medico. Alla luce di questo, il giudice conclude che la
condotta di un medico che interrompa volontariamente il supporto dato al paziente dal respiratore
artificiale a seguito di consenso libero ed informato, non possa essere considerata come
irragionevole, o qualificante un atteggiamento di “wonton and reckless disregard of life”13. Quindi,
tale condotta non dovrebbe essere causa di responsabilità in base alle disposizioni del codice penale.
La Corte suprema canadese, nel decidere il caso Rodriguez v. British Columbia (A.G.), si è
pronunciata in materia affermando che il rifiuto di trattamenti medici anche necessari al
mantenimento in vita del paziente, si qualifica come un diritto che trova una base consolidata nella
common law, e che, in termini più specifici, imporre un trattamento medico ad un paziente contro la
sua volontà, integra la fattispecie penale del battery14. In particolare, costruendo su una precedente
decisione in materia, Ciarlariello v. Schacter15, la Corte si esprime in termini chiari, cercando di
ricondurre a coerenza la precedente giurisprudenza ed i principi di common law. Ma procediamo
11
Nancy B. v. H tel-Dieu de Québec (1992), 86 D.L.R. (4th) 385 (Que. Sup. Ct.), di seguito nel testo Nancy B. La
Corte superiore del Québec è la Corte di ultima istanza per la singola Provincia del Québec.
12
La s. 19.1 del codice civile così si esprime: «No person may be made to undergo care of any nature, whether for
examination, specimen taking, removal of tissue, treatment of any other act, except with his consent».
13
Nancy B., supra, p. 394.
14
Come figura del diritto dei torts di common law (corrispondente ad un ambito disciplinare a metà tra la responsabilità
penale e quella extracontrattuale del sistema italiano), il battery consiste nel porre in essere volontariamente una
condotta che provochi un danno alla persona che la subisce e diretto nei confronti del soggetto stesso o di qualcosa che
sia strettamente associato ad esso, in assenza di consenso. E’ una forma di così detto ‘trespass to person’, e
contrariamente all’assault richiede il contatto fisico.
15
Ciarlariello v. Schacter, [1993] 2 S.C.R. 119, citata anche in Rodriguez v. British Columbia (A.G.), [1993] 3 S.C.R.
519. Di seguito citata come Ciarlariello.
4
con ordine: in quella che solitamente viene individuata come la prima decisione in cui la Corte
suprema del Canada afferma sussistere un generale principio di common law di rifiuto di cure
mediche necessarie al sostentamento in vita16, Ciarlariello v. Schacter appunto, il Justice Cory,
nell’esporre la decisione della Corte, così si esprime:
«It should not be forgotten that every patient has a right to bodily integrity.
This encompasses the right to determine what medical procedures will be accepted
and the extent to which they will be accepted. Everyone has the right to decide what
has to be done to one’s own body. This includes the right to be free from medical
treatment to which the individual does not consent. This concept of individual
autonomy is fundamental to the common law and is the basis for the requirement that
disclosure be made to a patient. If, during the course of a medical procedure a patient
withdraws the consent to that procedure, then the doctors must halt the process. This
duty to stop does no more than recognize every individual’s basic right to make
decisions concerning his or her own body»17.
E’ tuttavia da notare come a questa ampia e forte affermazione di principio, si accompagni
un caveat esplicitato nei passaggi immediatamente successivi, solitamente trascurato, e che
restringe la portata del principio appena affermato. Infatti, così prosegue il Puisne Justice:
«[i]n any event the patient’s right to bodily integrity provides the basis for the
withdrawal of a consent to a medical procedure even while it is underway. Thus if it is
found that the consent is effectively withdrawn during the course of the proceeding,
then it must be terminated. This must be the result except in those circumstances
where the medical evidence suggests that the terminate the process would be either
life-threatening or pose immediate and serious problems to the health of the patient».
Ciarlariello quindi afferma l’esistenza di un diritto in common law al rifiuto di cure
mediche, ma tuttavia limitato alle circostanze in cui l’interruzione del trattamento non si traduca in
una minaccia per la vita del paziente.
Nel 1993, nella famosa decisione Rodriguez, il Justice Sopinka, redattore dell’opinione di
maggioranza, pone in essere tre chiare affermazioni al fine di sostenere che esiste in common law
un diritto al rifiuto anche di quelle cure mediche che possa portare alla morte del paziente. E’ utile
qui riprodurre alcune di queste affermazioni:
«That there is a right to choose how one’s own body will be dealt with, even in
the context of beneficial medical treatment, has long been recognized by the common
law. To impose medical treatment on one who refuses constitute battery, and our
16
Ciarlariello, supra.
17
Ibid. p. 135.
5
common law has recognized the right to demand that medical treatment which would
extend life be withheld or withdrawn»18.
«Canadian Courts have recognized a common law right of patients to refuse
consent to medical treatment, or to demand that treatment, once commenced, be
withdrawn or discontinued. […] This right has been specifically recognized to exist
even if the withdrawal from or refusal of treatment may result in death [Nancy B. è qui
citato espressamente]»19.
«Whether one or not agrees that the active or passive distinction is
maintainable, however, the fact remains that under our common law, the physician
has no choice but to accept the patient’s instructions to discontinue treatment. To
continue to treat the patient when the patient has withdrawn consent to that treatment
constitutes battery»20.
Tali affermazioni danno contezza del criterio interpretativo che la Corte adotterà nei
confronti delle disposizioni del codice penale citate, e contribuiscono certamente alla affermazione
di una più chiara disciplina in materia.
3. Suicidio assistito: il caso Rodriguez e l’applicazione dei principi della Canadian Charter
of Rights and Freedoms.
Contrariamente al suicidio, depenalizzato dal 1972, il suicidio assistito risulta tutt’oggi
punito dal codice penale canadese attraverso la s. 241(b)21. In questo ambito, emerge con particolare
chiarezza un’esiguità di sentenze relative proprio alla s. 241(b): in un arco di tempo che copre più di
trent’anni, soltanto nel caso Rodriguez v. British Columbia (A.G.) la Corte suprema ha avuto la
possibilità di pronunciarsi direttamente su questo tema22. Da più parti si fa notare come
18
Rodriguez, cit.¸a p. 588.
19
Ibid. a p. 598.
20
Ibid. a p. 606.
21
La s. 241 del codice penale canadese così prevede: «Every one who:
a) counsels a person to commit suicide, or
b) aids or abets a person to commit suicide, whether suicide ensues or not, is guilty of an indictable offence and liable to
imprisonment for a term not exceeding fourteen years.»
22
Per un primo inquadramento del caso, vedi N. Milton, Lessons from Rodriguez v. British Columbia, 11 Issues L. &
Med. 123 (1995); S. Skurka, L. Pringle, Northern Lights, 23-JUN Champion 34, June 1999.
6
probabilmente la difficoltà di emersione del fenomeno sia causata proprio dalla sua stessa
qualificazione come reato all’interno del codice23.
La vicenda che porterà alla decisione inizia quando a Sue Rodriguez, all’epoca
quarantaduenne residente a Victoria, nella Provincia del British Columbia, viene diagnosticata nel
1991 una forma di sclerosi laterale amiotrofica (sindrome di Lou Gehrig). Da quel momento inizia
la sua battaglia legale per far dichiarare la s. 241(b) del codice penale canadese non conforme al
dettato della Canadian Charter of Rights and Freedoms con riferimento ai diritti garantiti dalle ss. 7
(right to life, liberty and security of the person), 12 (prohibition against cruel and unusual
treatment or punishment) e 15(1) (equality rights)24 della Charter of Rights and Freedoms. In
particolare, Sue Rodriguez in base alla s. 24(1) Charter25 promuove ricorso giurisdizionale ed
invoca l’incostituzionalità della s.241(b) poiché questa non le consente una autonoma disposizione
del proprio corpo, lede la propria dignità umana, e, data la condizione personale di non
autosufficienza a causa della malattia, le vieta di fatto ogni assistenza nell’atto di terminare la
propria vita (atto consentito invece a persone autosufficienti in base alla depenalizzazione di cui
sopra) e richiede alle corti che la disposizione del codice, tramite dichiarazione di incostituzionalità,
venga disapplicata nel caso concreto in coerenza con il dettato della s. 54(1) della Charter26.
I parametri costituzionali invocati restano invariati durante tutto il percorso giudiziario del
caso, sia nel primo ricorso, rivolto alla British Columbia Supreme Court27 nel 1992, sia nel processo
di appello promosso presso la British Columbia Court of Appeal l’anno successivo, i quali si
concludono entrambi con il diniego del rimedio cercato. La Corte suprema a stretta maggioranza, 5
23
Vedi tra i tanti: N. Searles, Silence Doeasn’t Obliterate the Truth: A Manitoba Survey on Physicial-Assisted Suicide
and Euthanasia, 4(3) Health L. Rev. (1995).
24
Le sezioni della Charter citate, così si esprimono:
S. 7: «Everyone has the right to life, liberty and security of the person and the right not to be deprived thereof except in
accordance with the principles of fundamental justice.»
S. 12: «Everyone has the right not to be subjected to any cruel and unusual treatment or punishment.»
S. 15 (1): «Every individual is equal before and under the law and has the right to the equal protection and equal benefit
of the law without discrimination and, in particular, without discrimination based on race, national or ethnic origin,
colour, religion, sex, age or mental and physical disability.»
25
S. 24(1) della Charter così prevede:«Anyone whose rights or freedoms, as guaranteed by this Charter, have been
infringed or denied may apply to a court of competent jurisdiction to obtain such remedy as the court considers
appropriate and just in the circumstances».
26
La s. 54(1) Charter, similmente alla Supremacy Clause statunitense, afferma che «[t]he Constitution of Canada is the
supreme law of Canada, and any law that is inconsistent with the provisions of the Constitution is, to the extent of the
inconsistency, of no force or effect».
27
La Corte suprema del British Columbia, a dispetto del nome che può trarre in inganno, è in realtà la corte di prima
istanza (la così detta “Trial Court or Tribunal”) della Provincia.
7
contro 428, conferma le decisioni adottate dalle corti inferiori. In particolare, circa la s. 7, Rodriguez
sostiene che la s. 241(b) del codice penale nega il diritto garantito alla “liberty and security of the
person” contenuto nella stessa s.7, di poter disporre liberamente del proprio corpo. La s. 7 della
Charter ha una struttura particolare: i diritti in essa affermati, possono infatti essere soggetti ad un
doppio ordine di limitazioni. Oltre ad essere soggetti, come accade per tutte le altre disposizioni
della Charter, ai limiti stabiliti dalla clausola limitatrice generale contenuta nella s. 1 Charter29,
possono incontrare – secondo quanto stabilito nella stessa s. 7 – altri limiti, purché questi siano
coerenti con i “principles of fundamental justice”30. La Corte riconosce che la fattispecie penale
prevista alla s. 241(b) del codice di fatto priva la Rodriguez della autonomia decisionale sul proprio
corpo e pone la stessa in una situazione che le causa dolore fisico e stress psicologico tale da
qualificarsi come una violazione della “security of the person”. Tuttavia, la maggioranza afferma
anche che questa privazione non è di fatto contraria ai “principles of fundamental justice” di cui alla
s. 7 stessa. Nello spiegare cosa debba intendersi con questa espressione, la Corte afferma che essa
ricomprende non solo i principi legali codificati nella common law (che come abbiamo visto
sarebbero invece a favore di una libertà di disposizione del proprio corpo e di rifiuto di cure
mediche), ma anche quelli che risultano chiamati in causa dalla ratio alla base della disposizione e
dagli interessi che lo Stato ha nella qualificazione di certi comportamenti come penalmente
rilevanti. La definizione di cosa siano i principi di giustizia fondamentale, insomma, richiede che
venga effettuata una operazione di attento bilanciamento tra gli interessi dello Stato e quelli
dell’individuo. Il rispetto per la dignità umana, pur essendo uno dei principi alla base della società
canadese, non è qualificabile come un principio di giustizia fondamentale ai fini della s. 7 Charter.
Il divieto penale contenuto all’interno della s. 241(b) risponde, in particolare, all’obbiettivo di
preservare la vita e proteggere i soggetti che risultano essere più vulnerabili. La politica statale che
questo divieto persegue e rappresenta, è parte della fondamentale concezione del valore prezioso e
sacro della vita. Il divieto generalizzato (“blanket prohibition”) circa il suicidio assistito
riscontrabile nella s. 241(b), è inoltre la norma tra i paesi appartenenti alle democrazie occidentali, e
una tale disposizione non è mai stata dichiarata incostituzionale o contraria ai diritti umani
fondamentali. L’affermazione si fonda su una attenta analisi che la Corte compie delle disposizioni
in materia all’interno dei codici penali di Danimarca, Francia, Italia, Spagna, Svizzera,
28
L’opinione di maggioranza fu redatta dal Justices Sopinka, (sottoscritta anche dai Justices La Forest, Gonthier,
Jacobucci e Major). All’opinione di maggioranza, si accompagnarono tre diverse opinioni dissenzienti: quella del
Justice Mclachlin alla quale concorre L’Heureux-Dubé, quella del Chief Justice Lamer ed, infine, quella del Justice
Cory. Per la maggioranza, Justice Sopinka rifiuta le argomentazioni basate sulle ss. 7,12, e 15 della Charter. Nelle
opinioni dissenzienti, Justice McLachlin fa affidamento sulla s. 7, il Chief Justice Lamer sulla s. 15 ed il Justice Cory su
entrambe le ss. 7 e 15.
29
La s. 1 infatti afferma «The Canadian Charter of Rights and Freedoms guarantees the rights and freedoms set out in
it subject only to such reasonable limits prescribed by law as can be demonstrably justified in a free and democratic
society».
30
In base a quest’ultima affermazione quindi una privazione della vita, libertà e sicurezza della persona viola la
garanzia della s. 7 della Charter solo qualora tale privazione si qualifichi come non coerente con i “principles of
fundamental justice” di cui alla stessa s. 7 Charter
8
dell’Austrian Penal Act 1945 e del Suicide Act, 1961 del Regno Unito31. Queste disposizioni dalla
portata ampia, afferma la Corte, rispondono ad una ben precisa necessità di fatto: data la enorme
difficoltà nel tracciare delle linee guida, e nel creare appropriate tutele per i soggetti più vulnerabili
e alla luce dei rischi di abuso che una eventuale dichiarazione di conformità a Costituzione del
suicidio assistito anche solo in alcuni casi delimitati comporterebbe, il divieto generalizzato previsto
all’interno della s. 241(b) risulta l’unico strumento di protezione e non può essere ritenuto arbitrario
o ingiusto. Ciò che giustifica quindi il divieto assoluto della s.241(b), secondo la teoria della c.d.
“slippery slope”, è il fatto che «to permit assisted suicide will open the doors […] to the killings of
disabled persons who may not truly consent to death»32. In particolare, il Justice Sopinka afferma,
con riferimento all’esperienza dei Paesi Bassi, – senza tuttavia citare esplicitamente alcuna fonte –
che «[c]ritics of the Dutch approach point to evidence suggesting that involuntary active euthanasia
(which is not permitted by the guidelines) is being practiced to an increasing degree. This
worrisome trend supports the view that a relaxation of the absolute prohibition takes us down “the
slippery slope”»33. Per questi motivi, la Corte afferma che la s. 241(b) non è contraria alla s.7 della
Charter.
La maggioranza afferma inoltre che la fattispecie penale della s. 241(b) non è contraria
neppure alla s. 12 della Charter, in quanto la richiedente non è stata sottoposta da parte dello stato
ad alcuna forma di punizione o trattamento crudele e inusuale. Infine, con riferimento al diritto
all’eguaglianza della s. 15(1) Charter, pur assumendo astrattamente che esso possa ritenersi violato,
ogni eventuale violazione sarebbe comunque, nell’ottica della Corte, giustificata alla luce del
dettato della s. 1 della Charter34.
L’opinione dissenziente del Justice McLachlin, alla quale concorre anche il Justice
L’Heureux-Dubé assume una posizione opposta circa la s. 7 Charter ed in particolare i principi di
giustizia fondamentale. Per la McLachlin la violazione da parte della s. 241(b) del diritto alla
31
Si considerano, in particolare, l’art. 240 del codice penale danese; gli articoli 63, par. 2, 318 e 319 del codice penale
francese; l’art. 580 del codice penale italiano, del quale si afferma che risulterebbe redatto in modo da individuare una
fattispecie penale anche più ampia di quella dello stesso codice canadese, a causa dell’inciso «chiunque […] agevola in
qualsiasi modo l'esecuzione [del suicidio]»; l’art. 409 del codice penale spagnolo; l’art. 115 del codice penale svizzero;
l’art. 139b dell’Austrian Penal Act 1945 ed infine la s. 2 del Suicide Act, 1961 del Regno Unito.
32
Rodriguez al par. 94, nella opinione dissenziente della McLachlin che riassume i motivi della decisione della
maggioranza.
33
Rodriguez, cit., p. 603.
34
Come visto, ogni limitazione imposta ad un diritto della Charter, per risultare legittima deve rispondere ai requisiti
previsti dalla s. 1 della Charter stessa. In questo caso la Corte afferma la rispondenza ai requisiti in quanto l’assurgere a
divieto penale della proibizione del suicidio assistito, anche nella forma generalizzata della s. 241(b), risponde
comunque ad un obiettivo urgente e sostanziale (“pressing and substantial”) e risponde al test di proporzionalità che
deve essere effettuato in relazione alla s.1. Inoltre, il divieto penale, ancorché generalizzato, di fornire assistenza al
suicido, è razionalmente connesso all’intento perseguito dalla s.241(b), il quale è quello di proteggere e mantenere il
rispetto per la vita umana. Introdurre una eccezione a questo principio per una categoria di soggetti sarebbe fonte di
ineguaglianza. Infine, la s. 241(b) traccia anche un corretto bilanciamento tra il divieto e l’intento governativo.
9
“security of the person” codificato nella s. 7 Charter è palese. Alla base di tale diritto infatti si
troverebbe un principio fondamentale di autonomia personale il cui scopo è proteggere la dignità e
la privacy degli individui con riferimento alle decisioni che riguardano atti di disposizione del
proprio corpo. Per la McLachlin, una disposizione di legge che limiti il diritto della persona di
disporre del proprio corpo, viola il diritto protetto dalla s. 7 Charter quando tale limite si qualifichi
come arbitrario. Orbene, la Corte, nella visione della McLachlin, si confronta con due atti normativi
in cui il Parlamento, da un lato, ha depenalizzato il suicidio, mentre dall’altro continua a ritenere il
suicidio assistito un crimine. L’effetto di questa distinzione è di privare alcuni soggetti della libertà
di decidere di interrompere la propria vita solo perché non sono fisicamente capaci di agire in modo
autonomo, impedendo ad essi di esercitare quegli stessi atti di autonomia sul proprio corpo
consentiti ai soggetti non disabili. Questa privazione è arbitraria agli occhi dei due Justices, e si
qualifica come un limite al diritto alla “security of the person” che non è coerente con quelli che
sono i principi di giustizia fondamentale della s. 7 Charter. Rilevata la violazione della s. 7 Charter,
l’analisi del Justice McLachlin si sposta allora alla valutazione se questa limitazione al diritto nella
s.7 Charter possa essere giustificata in base alla s. 1 della Charter. Con riferimento a questo, si
afferma che neppure la s. 1 della Charter salva il dettato della s. 241(b) del codice penale: a detta
della McLachlin, l’obbiettivo principale della s. 241(b) è quello di evitare ogni tipo di abuso di una
eventuale pratica legittima del suicidio assistito nei confronti di persone vulnerabili e che possa
quindi risultare nella uccisione di persone che non acconsentano volontariamente e
consapevolmente alla cessazione della vita, ma, né il timore che il suicidio assistito possa diventare
una copertura per sostanziali omicidi, né il timore che il consenso alla morte possa essere dato in
modo non completamente volontario, risultano motivi abbastanza persuasivi e forti, da poter
giustificare la limitazione e, di fatto, l’obliterazione del diritto in base alla s. 7 Charter della attrice
di interrompere la propria vita nel modo e nel tempo che essa deciderà.
A concentrarsi sulla violazione del diritto all’eguaglianza, è l’opinione dissenziente
dell’allora Chief Justice Lamer, il quale afferma che la s. 241(b), mentre, prima facie, potrebbe
risultare avere un carattere neutro nella propria definizione e successiva applicazione, di fatto crea
ineguaglianza, in quanto impedisce ai soggetti fisicamente disabili di poter accedere alla possibilità
di interrompere la propria vita senza assistenza. Inoltre, anche il C.J. Lamer trova che la violazione
della s. 15(1) della Charter non sia giustificabile neppure alla luce della s. 1 della Charter, in
quanto, se pure l’intento di protezione di soggetti vulnerabili sia sufficientemente importante da
poter derogare un diritto costituzionalmente garantito, tuttavia, la s. 241(b) non può essere promossa
se sottoposta al test di proporzionalità della s. 1 Charter. Infatti, seppure il divieto di suicidio
assistito risulta razionalmente connesso all’intenzione del legislatore, i mezzi attraverso i quali tale
obbiettivo è portato avanti sono però ultronei, nel senso che non limitano nel modo minore possibile
il diritto di eguaglianza dell’attrice e di tutti coloro che si trovano nella stessa situazione. I soggetti
vulnerabili sono in effetti protetti dal disposto della s. 241(b), ma la sezione stessa ha una portata
troppo ampia, e finisce per includere all’interno del proprio dettato anche coloro che non si trovano
in condizione di vulnerabilità e non necessitano di alcuna protezione. Il Chief Justice tuttavia, non
porta alle estreme conseguenze il ragionamento appena formulato. Permangono dei dubbi, a suo
modo di vedere sull’opportunità di dichiarare incostituzionale la disposizione, che ha un chiaro
intento di protezione di soggetti vulnerabili. Si propone allora la possibilità di applicare al caso di
10
specie, e a tutti quelli che ricadono in una fattispecie analoga, una constitutional exemption in modo
da salvare la disposizione del codice e al tempo stesso evitare in questi casi – e sono in questi – la
lesione del principio di eguaglianza. Come vedremo più avanti nella trattazione, la constitutional
exemption è una tecnica decisoria sviluppata dalle corti canadesi che ha trovato applicazione in un
numero di decisioni decisamente esiguo – peraltro mai da parte della Corte suprema. Essa consente
di evitare la dichiarazione di incostituzionalità della legge, creando una eccezione all’applicabilità
di questa solo nel caso di fronte alla corte, sulla base del fatto che l’applicazione in quel caso si
qualificherebbe come “cruel and unusual punishment” violando la s. 12 Charter.
Nonostante la decisione della Corte suprema, Sue Rodriguez morirà l’anno successivo
ricevendo in questo ultimo atto un aiuto esterno. Svend Robinson, un membro del Parlamento
originario della Provincia del British Columbia e presente alla morte, riferì che un medico aveva
prestato ausilio alla Rodriguez. Tuttavia, in base ad una analisi delle prove dei fatti, e coerentemente
con le linee guida per l’esercizio dell’azione penale emanate nella British Columbia, il procuratore
speciale Robert Johnston decise di non procedere ad alcuna incriminazione.35
E’ importante notare, come la composizione della Corte dal 1993, anno in cui il caso
Rodriguez fu deciso, sia cambiata in modo significativo. In primo luogo, i Justices La Forest e
Gonthier, uno dei componenti la maggioranza in Rodriguez, hanno terminato il loro mandato.
Justice Sopinka, l’autore della decisione di maggioranza è morto improvvisamente il 24 novembre
1997. Da allora anche i Justices Cory e L’Heureux-Dubé e l’allora Chief Justice Lamer hanno
terminato il mandato (tutti questi giudici erano stati autori di una opinione dissenziente nella
decisione). Su un tema così delicato come quello del suicidio assistito, risulta peraltro difficile
prevedere come i Justices che attualmente compongono la Corte potrebbero decidere di schierarsi.
4. Circolazione del modello o ‘idem sentire’? La ‘fortuna’ della decisione Rodriguez:
India e Stati Uniti.
Tre anni dopo la decisione Rodriguez, esattamente il 21 marzo 1996, la Corte suprema
indiana affronta il tema del suicidio assistito nella decisione Gian Kaur (Smt) v. State of Punjab36
(di seguito Gian Kaur). Tale sentenza non solo risolve in via definitiva un contrasto
giurisprudenziale tra Corti supreme di due dei diversi stati che compongono la federazione indiana,
35
Jocelyn Downie, nella propria monografia, Dying Justice, cit., riporta a p. 34 un passaggio della dichiarazione
ufficiale del procuratore: «The evidence demonstrates that some person or persons must have assisted Sue Rodriguez to
commit suicide on February 12, 1994. The identity of that person or those person cannot be established. The fact that
Svend Robinson was present at the suicide, without evidence which would show that his opportunity to commit an
offence was exclusive, is not sufficient to establish a charge against him. Speculation or suspicion does not meet the test
of substantial likelihood of conviction. Based on the existing evidence, my decision is that no charges shall be laid
arising out of the suicide of Susan Jane Rodriguez».
36
Vedi Gian Kaur (Smt) v. State of Punjab [1996] 2 L.R.C. 264 (India).
11
ma addirittura effettua l’overruling di una decisione precedente della stessa Corte suprema centrale,
presa però in una composizione più ristretta – il Division Bench – citando esplicitamente la sentenza
Rodriguez. La vicenda legale risulta decisamente articolata, e finisce per coinvolgere non solo la
qualificazione penale del suicidio assistito, ma anche quella del tentato suicidio. Essa origina dalle
contrastanti decisioni prese da due corti supreme indiane e relative alla disposizione che nel codice
penale indiano del 1860 concerne il tentato suicidio: la s. 309 c.p.37. Nella decisione Maruti Shri
Pati Dubal vs. State of Maharashtra38 (di seguito Maruti) della High Court di Bombay, il giudice P.
B. Sawant aveva dichiarato che la s. 309 del codice penale, che proibisce penalmente il tentato
suicidio, doveva ritenersi incostituzionale con riferimento agli articoli 1439 (diritto di eguaglianza) e
2140 (protezione della vita e della libertà personale). L’art. 21 fu interpretato in modo da
ricomprendere nel proprio ambito di tutela anche il “right to die”, ossia il diritto di un soggetto a
porre fine alla propria vita. Diverso era stato l’orientamento della High Court di Andhra Pradesh nel
decidere il caso Chenna Agadeeswar and another vs. State of Andhra Pradesh41, la quale aveva
invece rigettato la prospettazione della incostituzionalità della s. 309 con riferimento sia all’articolo
14 che all’articolo 21 Cost.
A decidere su quale fosse la corretta interpretazione della Costituzione interviene nel 1994 la
Corte suprema indiana; non però nella sua composizione allargata – il Constitutional Bench – ma in
una composizione ristretta – il Division Bench – costituita da solo due giudici42. Con la decisione P.
Rathinam v. Union of India and Anr.43(di seguito P. Rathinam), il Division Bench dichiara la
illegittimità costituzionale della s. 309 c.p. con riferimento all’art. 21 della Costituzione,
riprendendo le motivazioni che avevano portato allo stesso risultato nella decisione Maruti della
High Court di Bombay. La Corte sostiene che l’affermazione generale di tutela nei confronti della
37
La s. 309 del codice penale indiano intitolata “Attempt to commit suicide”, afferma: «[w]hoever attempts to commit
suicide and does any act towards the commission of such offence. shall be punished with simple imprisonment for a
term which may extend to one year or with fine, or with both».
38
Maruti Shri Pati Dubal vs. State of Maharashtra, 1987 Crl. L.J. 743.
39
Art. 14 della Costituzione Indiana - “Equality before law”: «The State shall not deny to any person equality before the
law or the equal protection of the laws within the territory of India».
40
L’articolo 21 della Costituzione indiana, intitolato “Protection of life and personal liberty”, afferma: «[n]o person
shall be deprived of his life or personal liberty except according to procedure established by law».
41
Chenna Agadeeswar and another vs. State of Andhra Pradesh, 1988 Crl.L.J. 549.
42
Non è inusuale per la Corte indiana decidere in questa composizione. La Costituzione indiana del 1950 prevedeva una
Corte formata da un Chief Justice e 7 Justices che sedeva in composizione plenaria in tutte le circostanze in cui doveva
decidere relativamente ad una controversia, lasciando al Parlamento la possibilità di aumentare il numero dei giudici.
Con l’accrescersi del carico di lavoro il Parlamento utilizzò questa prerogativa portano i membri della Corte suprema
dagli otto del 1950 a 11 nel 1956, 14 nel 1960, 18 nel 1978 e infine 26 nel 1986. Dato il maggiore numero di giudici,
questi adesso siedono in composizioni più ristrette di due o tre membri (c.d. Division Benches), riunendosi in
composizione di 5 o più solo quando richiesto da un Division Bench ovvero per comporre un conflitto giurisprudenziale
di notevole importanza.
43
P. Rathinam vs. Union of India and Anr., 1994 (3) SCC 394.
12
vita dell’art. 21 deve intendersi in modo ampio; così ampio, da ricomprendere anche il diritto a non
vivere una vita forzata44, e quindi ad interrompere la propria vita. Per giungere a questo risultato la
Corte adotta un procedimento logico già utilizzato in precedenti decisioni, in base al quale
l’affermazione in Costituzione di un diritto (ad es. la libertà di manifestare il proprio pensiero,
ovvero di associarsi) ricomprende al proprio interno anche il diritto ad astenersi dall’esercizio di
quello stesso diritto. In modo analogo, afferma la Corte, l’ampia portata del diritto alla vita statuito
nell’art. 21, ricomprenderebbe anche il diritto a interrompere la propria vita, a rinunciare ad essa,
quando la qualità di questa risulti seriamente compromessa, a tutela della dignità umana. Il Division
Bench, quindi, nell’intento dichiarato di umanizzare le disposizioni del codice penale45 e di allineare
il diritto penale indiano con il comune sentire globale46 dichiara incostituzionale la s. 309 c.p.
Giungiamo finalmente alla decisione Gian Kaur (Smt) v. State of Punjab (di seguito Gian
Kaur), che ci interessa nello specifico. In questo caso, i due coniugi Gian Kaur e il marito Harbans
Singh, erano stati condannati in primo grado ognuno a sei anni di reclusione da una corte indiana in
base alla s. 306 c.p.47 che punisce l’assistenza prestata ad un altro soggetto nell’atto di commettere
suicidio. In appello, la condanna di entrambi era stata confermata. I coniugi promuovono ricorso
contro la condanna alla Corte suprema indiana invocando la incostituzionalità della s. 306 del
codice penale indiano citando, a sostegno del ricorso, anche la decisione P. Rathinam. Si sostiene
che, poiché in P. Rathinam la Division Bench della Corte aveva confermato la possibilità di
ricomprendere il “right to die” nell’articolo 21 della Costituzione indiana, dichiarando
incostituzionale la s. 309 c.p., ogni soggetto che presti ausilio ad un’altra persona nel commettere
suicidio, sta in realtà semplicemente aiutando questa persona ad esercitare un proprio diritto
riconosciuto come fondamentale in base all’art. 21 Cost. Di conseguenza in quanto qualificante il
suicidio assistito come reato, la s. 306 c.p. deve essere anch’essa dichiarata incostituzionale per
violazione dell’art. 21 Cost.
Poiché la tesi sostenuta per invocare l’incostituzionalità del divieto penale relativo al
suicidio assistito si basa proprio sulla precedente inclusione del “right to die” nel diritto enunciato
dall’art. 21, la Corte suprema afferma di dover sottoporre a revisione anche la precedente sentenza
44
«Keeping in view all the above, we state that the right to live of which Article 21 speaks of, can be said to bring in its
trail the right not to live a forced life», P. Rathinam, cit., a p. 410.
45
«On the basis of what has been held and noted above, we state that Section 309 of the Penal Code deserves to be
effaced from the statute book to humanize our penal laws. It is a cruel and irrational provision, and it may result in
punishing a person again (doubly) who has suffered agony and would be undergoing ignominy because of his failure to
commit suicide. Then an act of suicide cannot be said to be against religion, morality or public policy, and an act of
attempted suicide has no baneful effect on society. Further, suicide or attempt to commit it causes no harm to others,
because of which State's interference with the personal liberty of the persons concerned is not called for», id., p. 430.
46
«May it be said that the view taken by us would advance not only the cause of humanization, which is a need of the
day, but of globalization also, as by effacing Section 309, we would be attuning this part of our criminal law to the
global wavelength», id. a p. 429.
47
La s. 306 c.p. indiano – “Abetment of suicide” – esprime il divieto di aiuto nella commissione di suicidio in questi
termini: «If any person commits suicide, whoever abets the commission of such suicide, shall be punished with
imprisonment of either description for a term which may extend to ten years. and shall also be liable to fine».
13
P. Rathinam del proprio Division Bench. E gli esiti a cui giungono i giudici supremi fanno emergere
profili di sicuro interesse: la Corte infatti, nella sua composizione allargata a sei giudici,
disconosce48 il procedimento logico che aveva portato a ricomprendere il right to die nella
protezione stabilita dall’articolo 21 della Costituzione e afferma che, non solo la s. 306 (suicidio
assistito), è costituzionalmente legittima e deve continuare ad operare, ma che risulta conforme a
costituzione anche la s. 309 – quella che punisce il tentato suicidio – che come tale, due anni dopo
essere stata dichiarata incostituzionale, riprende vigore e torna quindi ad essere applicata49 e torna a
far parte delle norme del codice che hanno piena valenza precettiva. La decisione si basa sulla
valutazione che l’analogia posta in essere tra diritto alla vita e altre libertà non può essere sostenuta,
e che il diritto alla vita, per le peculiarità intrinseche che lo caratterizzano, non può essere soggetto
alla stessa interpretazione logica che ha portato ad individuare in diritti quali quelli di espressione,
associazione etc. il loro risvolto negativo in termini di astensione dalle stesse attività. La Corte
rileva poi l’autonomia di cui gode il divieto penale della s. 306 rispetto a quella della s. 309, e
svolge un vaglio di costituzionalità con riferimento alla sola disposizione relativa al divieto di
suicidio assistito. Essa sottolinea come anche in tutte quelle giurisdizioni in cui il suicidio è stato
depenalizzato, il suicidio assistito rivesta ancora un disvalore penale, per ovvi motivi di difesa di
posizioni più deboli e per la difficoltà di tracciare chiaramente delle linee guida che consentano di
rendere legittima questa pratica senza correre il rischio di abusi.50 E’ qui che, assieme all’art. 2 del
Suicide Act inglese del 1961, si considera il sistema legale canadese, e si cita in modo specifico ed
esplicito la sentenza Rodriguez51. A ben notare, però, la citazione della sentenza Rodriguez, non
48
Nelle parole della Corte: «[w]ith respect and in all humility, we find no similarity in the nature of the other rights,
such as the right to freedom of speech etc. to provide a comparable basis to hold that the ‘right to life’ also includes the
‘right to die’. With respect, the comparison is inapposite, for the reason indicated in the context of Article 21. The
decisions relating to other fundamental rights wherein the absence of compulsion to exercise a right was held to be
included within the exercise of that right, are not available to support the view taken in P. Rathinam qua Article 21», e
ancora: «[t]he ‘right to die’, if any, is inherently inconsistent with the ‘right to life’ as is ‘death’ with ‘life’», Gian Kaur
(Smt) v. State of Punjab (di seguito Gian Kaur), decisione diponibile sul sito internet della Corte suprema:
http://supremecourtofindia.nic.in/ , visitato l’ultima volta il 13/05/2004.
49
E’ bene ricordare che il sistema giuridico indiano viene collocato all’interno della famiglia giuridica di common law e
descritto come dotato di un sistema diffuso di Judicial Review, similmente a quello sviluppatosi negli Stati Uniti per la
prima volta con la decisione Marbury v. Madison, 5 U.S. (1 Cranch) 137 (1803). Orbene, questa tipologia di controllo
giudiziario della costituzionalità delle leggi ha, tra le sue molteplici caratteristiche, anche quella – quanto agli effetti di
una dichiarazione di incostituzionalità – di non comportare l’annullamento della legge, come accade nei sistemi di civil
law a giustizia costituzionale accentrata o mista, ma bensì la sua disapplicazione nel caso di fronte alla corte che decide
la controversia. E’ poi il principio dello stare decisis a imporre un vincolo per le corti inferiori di coerenza con il
principio di diritto stabilito nella decisione della corte superiore. Dandosi la mera disapplicazione della legge, nulla
toglie – anche se parliamo davvero di casi quasi esclusivamente teorici – che la stessa legge venga in una fase
successiva dichiarata conforme a Costituzione e riprenda vigore.
50
«Thus, even where the punishment for attempt to commit suicide is not considered desirable, its abetment is made a
penal offence. In other words assisted suicide and assisted attempt to commit suicide are made punishable for cogent
reasons in the interest of society. Such a provision is considered desirable to also prevent the danger inherent in the
absence of such a penal provision», id.
51
In particolare, il passaggio citato è il seguente: «Sanctity of life […], has been understood historically as excluding
freedom of choice in the self-infliction of death and certainly in the involvement of others in carrying out that choice. At
14
appare compiuta nella prima parte del processo interpretativo, cioè prima che la Corte orienti il
proprio ragionamento verso una determinata soluzione interpretativa. Essa appare invece utilizzata
per conferire maggior spessore e giustificazione ad una decisione può definirsi, sotto tanti aspetti,
come già formata nei suoi presupposti di base, a seguito del mutato orientamento della Corte circa
l’inclusione del right to die nella s. 21 della Costituzione, e al fatto che tale inclusione costituiva la
base del ricorso. Si afferma che gli argomenti (rigettati) che possono farsi valere per sostenere
l’incostituzionalità della qualificazione penale del tentato suicidio non trovano alcuna applicazione
nel caso della s. 306, e che nessuno dei paesi che hanno depenalizzato il suicidio ha ancora
compiuto l’ulteriore passo di depenalizzare anche il suicidio assistito. La Corte afferma quindi la
compatibilità costituzionale delle due disposizioni del codice penale.
In un contesto giuridico e sociale decisamente diverso, in uno stato anche geograficamente
molto lontano dall’India, la stessa decisione canadese è citata per risolvere una questione analoga.
Nel 1997, nelle sentenze Washington v. Glucksberg52 e Vacco v. Quill53, la Corte suprema
statunitense, all’unanimità, rigetterà l’argomentazione che l’ampio divieto imposto da leggi statali
al suicidio assistito, risulti contrario alla Costituzione degli Stati Uniti ed in particolare,
rispettivamente, alla Due Process clause e alla Equal Protection Clause del XIV Emendamento,
citando nella decisione Glucksberg, in nota, la stessa sentenza Rodriguez della Corte Suprema del
Canada54.
In particolare, Washington v. Glucksberg origina dall’impugnazione della decisione emessa
dalla corte di appello per il nono circuito degli Stati Uniti che aveva dichiarato incostituzionale per
contrasto con la due process clause del XIV Emendamento il divieto penale contenuto in una legge
dello stato di Washington nei confronti del suicidio assistito nella parte in cui questa proibiva ad un
soggetto capace, malato terminale e in condizione di sofferenza di richiedere medicinali che
potessero essere utilizzati per accelerare volontariamente la morte. Vacco v. Quill origina da un
ricorso molto simile, avverso una decisione della corte di appello statunitense per il secondo
circuito che aveva dichiarato incostituzionale una legge simile a quella dello stato di Washington55
ma, stavolta, in base alla equal protection clause del XIV Emendamento. Le decisioni della Corte
the very least, no new consensus has emerged in society opposing the right of the state to regulate the involvement of
others in exercising power over individuals ending their lives», id.
52
Washington v. Glucksberg, 521 U.S. 702 (1997).
53
Vacco v. Quill, 521 U.S. 793 (1997). Molti gli studi sulle due decisioni: R. E. Coleson, The Glucksberg and Quill
Amicus Curiae Briefs: Verbatim Arguments Opposing Assisted Suicide, 13 Issues L. & Med. 3 (1997); J. Bradford,
Vacco v. Quill and Washington v. Glucksberg: Thou Shall Not Kill, Unless Your State Permits Physicial-Assisted
Suicide, 26 Pepp. L. Rev. 121 (1999);
54
J. L. Underwood, The Supreme Court’s Assisted Suicide Opinions in International Perspective: Avoiding a
Bureaucracy of Death, 73 N.D. L. Rev. 641 (1997).
55
Per una valutazione critica delle ragioni esposte nelle decisioni delle due corti d’appello in rapporto ai pricipi della
Costituzione vedi S. R. Martyn, H. J. Bourguignon, Physicial-Assisted Suicide: The Lethal Flaws of the Ninth and
Second Circuit Decisions, 85, Cal. L. Rev. 371 (1997).
15
suprema relative a questi due casi furono entrambe emesse dalla Corte suprema il 26 giugno 1997,
ed entrambe con una maggioranza di 9 a 0 (con una opinione di maggioranza e numerose opinioni
concorrenti). L’argomentazione a sostegno della decisione in Glucksberg, in particolare, riecheggia
i toni della stessa decisione Rodriguez nel rilevare un pericolo di abuso in caso di dichiarazione di
incostituzionalità della disposizione, riferendosi ancora alla tutela nei confronti dei soggetti più
deboli come motivazione per confermare la costituzionalità dell’ampio divieto stabilito per legge
nei confronti del suicidio assistito.
La citazione della decisione Rodriguez in Washington v. Glucksberg è rivolta a sostenere la
decisione di confermare l’ampio divieto nei confronti del suicidio assistito con un richiamo alle
altre democrazie occidentali che mantengono tale divieto, pur avendo depenalizzato il suicidio.
L’opinione del Chief Justice Rehnquist in Glucksberg inizia osservando che un diritto è protetto
come fondamentale in base alla due process clause solo quando trovi un ragionevole supporto nella
storia o nelle tradizioni statunitensi. Rehnquist però rileva che «for over 700 years, the AngloAmerican common law tradition has punished or otherwise disapproved of both suicide and
attempting suicide».56 Rehnquist afferma che in quasi ogni stato, in quasi ogni democrazia
occidentale, il suicidio assistito è ritenuto un crimine. Inoltre, per quanto concerne la storia
statunitense, nonostante cambiamenti significativi siano avvenuti in ambito medico, la società
statunitense non ha ancora affermato la legittimità del suicidio assistito. Dopo aver sostenuto che il
suicidio assistito non rappresenta un diritto invocabile alla luce della due process clause la Corte
afferma allora che il criterio per decidere circa la costituzionalità o meno della legge dello stato di
Washington è necessario valutare se questa supera uno scrutinio basato sul rational basis test57. La
Corte afferma che la legge persegue in modo ragionevole una pluralità di fini legittimi, quali la
tutela della vita, l’integrità e l’etica della professione medica, la protezione di gruppi di soggetti
vulnerabili58 ed interrompe il percorso di progressivo avvicinamento verso l’eutanasia volontaria e
involontaria che altrimenti si ingenererebbe. In particolare, il Chief Justice afferma che anche
l’esperienza dei Paesi Bassi conferma che «regulation of the practice [of assisted suicide] may not
have prevented abuses in cases involving vulnerable persons, including severely disabled neonates
and elderly persons suffering from dementia»59.
Dall’analisi di queste decisioni emerge un fattore importante. La decisione Rodriguez non
sembra essere citata in modo adesivo rispetto ad una scelta compiuta che essa esprimerebbe: perché,
cioè, il principio di diritto e la soluzione affermata in essa si ritengano intrinsecamente validi.
Sembra piuttosto che la decisione sia inserita sempre in un contesto più ampio, di sistema, a
56
Washington v. Glucksberg, 521 U.S. 702, a p. 702.
Nella gerarchia individuata dalla stessa Corte suprema statunitense, nel giudizio di legittimità costituzionale di una
legge, il rational basis test è il test che si situa al livello più basso di scrutinio, al di sotto dei ben più esigenti strict
scrutiny e intermediate scrutiny. In base a questo test, una legge è dichiarata costituzionalmente legittima se l’apparato
il governo è in grado di dimostrare che essa rappresenta un mezzo razionale e ragionevole per raggiungere un certo fine
che può essere legittimamente perseguito dall’apparato di governo stesso.
57
58
Washington v. Glucksberg, cit., a p. 703-704
59
Id., a p. 734.
16
dimostrare come vi sia, tra quelli che vengono definiti i paesi di democrazia occidentale, un ‘sentire
comune’, che anche se porta, in virtù di un tentativo di umanizzazione del codice penale, alla
depenalizzazione del suicidio, tuttavia mantiene saldamente all’interno del codice penale le
disposizioni che fanno del suicidio assistito un crimine. A dominare sempre il reasoning delle Corti
è il timore che una volta garantita la possibilità a determinati soggetti di usufruire di questa pratica,
sia inevitabile l’abuso della pratica stessa. Poiché quindi si ritiene che i vantaggi che si otterrebbero
dalla legittimazione della pratica sarebbero di gran lunga superati dagli abusi che verrebbero
commessi, si decide allora di mantenere un divieto generalizzato e ampio nei confronti della pratica
stessa. E’ quell’argomento che viene definito con espressione significativa nei paesi di common law
di ‘slippery slope’.
5. Le ragioni della decisione: un’analisi della ‘slippery slope’ e dell’opportunità di una
disciplina di origine giurisprudenziale.
L’argomentazione della c.d. slippery slope60 esercita un’influenza determinante in tutte le
decisioni appena descritte. La sua autorità in ambito legale è tradizionalmente alta: il procedimento
di formazione del diritto, sia esso di origine legislativa ovvero giurisprudenziale, guarda
essenzialmente al futuro e cerca di prevedere il comportamento di coloro che dovranno applicare
tali norme61. Il richiamo all’argomentazione della slippery slope,, poi, risulta tanto più frequente,
quanto cambiamenti di ordine sociale collegati a reali o presunti principi di ordine morale sono
coinvolti. Come accennato, l’argomentazione presuppone che tutte o alcune delle conseguenze che
possano derivare dalla depenalizzazione di una certa pratica siano moralmente inaccettabili. La più
lucida definizione del fenomeno può essere trovata nelle parole di W. Wright:
«Tipically, ‘slippery slope’ arguments claim that endorsing some premise, doing
some action or adopting some policy will lead to some definite outcome that is
generally judged to be wrong or bad. The ‘slope’ is ‘slippery’ because there are
claimed to be no plausible halting points between the initial commitment to a premise,
60
Sul fenomeno della slippery slope in particolare vedi I fondamentali contributi di F. Shauer, “Slippery Slopes”,
Harvard L. Rev. 99 (1985) pp. 361-383; W. van der Burg, The Slippery-Slope Argument, Ethics 102 (1991) pp. 42-65,
dove, a p. 42 si nota che l’argomentazione della slippery slope è stata invocata contro la legalizzazione dell’aborto,
dell’eutanasia, della fecondazione in vitro, e della ricerca sul DNA; B. Freedman, The Slippery-Slope Argument
Reconstructed: Response to van der Burg, 3 Journal of Clinical Ethics 293 (1992). Vedi anche: B. Williams, Which
Slopes are Slippery?, in M. Lockwood (ed.), Moral Dilemmas in Modern Medicine, Oxford University Press, Oxford,
1985, alle pp. 126-137; D. Walton, Slippery Slope Arguments, Clarendon Press, Oxford, 1992; D. J. Mayo, The Role of
Slippery Slope Arguments in Public Policy Debates, Philosophical Exchange 21-22 (1990-1991), pp. 81-97; J. P.
Withman, The Many Guises of the Slippery Slope Argument, Social Theory & Practice 20 (1994), pp. 85-97; E. Lode,
Slippery Slope Arguments and Legal Reasoning, California Law Review 87 (1999), pp. 1469-1544.
61
Su questo vedi Shauer, cit., pp. 382-383.
17
action or policy and the resultant bad outcome. The desire to avoid such projected
future consequences provides adequate reasons for not taking the first step»62
Il presupposto di questo tipo di argomento, se applicato all’ambito del presente studio, è
quello del riconoscimento dell’esistenza di differenze tra suicidio assistito, eutanasia volontaria, non
volontaria e involontaria, ma anche l’affermazione che tali distinzioni non possano essere tradotte
facilmente in termini di diritto in modo tale da non consentire abusi63. Tra le tesi più diffuse, in
particolare, si cita quella che teme che la legalizzazione o depenalizzazione del suicidio assistito
condurrà inevitabilmente all’accettazione dell’eutanasia volontaria64 e successivamente
all’accettazione legale della pratica della eutanasia non volontaria ed involontaria65.
L’argomentazione viene in particolare utilizzata da chi si oppone alla legalizzazione dell’eutanasia e
del suicidio assistito66
Se si sposta l’attenzione su di un piano che tenga conto dei rapporti tra potere giudiziario e
potere legislativo, le Corti supreme di Canada e Stati Uniti in Rodriguez e Washington v.
Glucksberg, realizzate queste difficoltà ed il pericolo ad esse connesso, decidono di non decidere, di
non dettare alcuna disciplina, accettando le argomentazioni di coloro che, critici nei confronti della
disciplina legale che caratterizza l’esperienza dei Paesi Bassi, sottolineano il pericolo insito anche
solo nell’accedere a questo tipo di regolazione.
Questo punto è strettamente collegato al tema ulteriore, applicabile sia ai sistemi di common
law che a quelli di civil law, e relativo a quale attore del sistema istituzionale sia maggiormente
idoneo a disciplinare materie così importanti e complesse: se il legislatore, attraverso neorme
62
W. Wright, Historical Analogies, Slippery Slopes and the Questions of Euthanasia, Journal of Law, Medicine and
Ethics 28 (2000), pp. 176-186, la definizione è data a p. 177.
63
«Once we allow voluntary euthanasia […] we may (or will) fail to make the crucial distinction and then we will reach
the morally unacceptable outcome of allowing involuntary euthanasia; or perhaps even though we will make the
relevant distinction, we will not act accordingly for some reason (perhaps a political reason, or a reason that has to do
with the weakness of will, or some other reason)», D. Enoch, Once you Start Using Slippery Slope Arguments, You’re
on a very Slippery Slope, Oxford Journal of Legal Studies 21 (2001), pp. 629-647.
64
Y. Kamisar, Physician-Assisted Suicide: The Last Bridge to Active Voluntary Euthanasia, in J. Keown (ed.),
Euthanasia Examined: Ethical, Clinical and Legal Perspectives, Cambridge University Press, Cambridge, 1995, pp.
225-260. H. Hendin, Scared to Death of Dying, The New York Times, December 16, 1994, a p. A39 ove, in un
passaggio, si afferma che «The Netherlands has moved from assisted suicide to euthanasia, from euthanasia for the
terminally ill to euthanasia for physical illness to euthanasia for psychological distress and from voluntary euthanasia to
involuntary euthanasia».
65
Canadian Law Reform Commission, Euthanasia, Aiding Suicide and the Cessation of Treatment, Working paper n.
28 (1982), a p. 46. G. Gelfand, Euthanasia and the Terminally Ill, 63 Nebraska L. Rev. 741 (1984), p. 764; K.
Amarasekara, M. Bagaric, The Legalization of Euthanasia in the Netherlands: Lessons to be Learnt, 27 Monash Univ.
L. Rev. 179 (2001); P. Lewis, The Empirical Slippery Slope from Voluntary to Non-Voluntary Euthanasia, 35 J. L.
Med. & Ethics 197 (2007).
66
Sulla slippery slope nel contesto della morte assistita vedi P. Lewis, Assisted Dying and Legal Change, Oxford
University Press, Oxford, 2007, a pp. 164-169.
18
generali ed astratte, ovvero le corti, tramite le proprie decisioni67. Molti sono gli argomenti a favore
di entrambe le soluzioni. In particolare, chi auspica un intervento da parte delle corti attraverso le
proprie decisioni ed i principi che esse stabiliscono, sottolinea alcuni peculiarità nell’operato di tali
istituzioni: il fatto, ed esempio, che le decisioni delle corti consentono al diritto di avanzare per
piccole evoluzioni successive; che esse sono più adatte a dare risposte puntiformi, localizzate, e
persino diverse, laddove il legislatore è capace di dare solo risposte centralizzate, generalizzate e
astratte. Le corti sarebbero inoltre capaci di esprimere risposte che collegano livelli diversi: quello
globale e quello locale, fornendo soluzioni applicabili anche oltre il caso di specie. Si sottolinea
altresì la capacità del diritto di origine giurisprudenziale di crescere per piccoli incrementi, per
aggiunte progressive non preventivamente pianificabili e di sottrarsi a risposte di carattere
totalizzante che non consentono successivi adattamenti68. Inoltre, le corti sarebbero meno
vulnerabili alla minaccia delle conseguenze politiche delle proprie azioni. Esse possono produrre
diritto per tentativi successivi, stabilendo una regola in una decisione, ampliandola o limitandola in
una successiva, o infine mutarla in casi futuri se non ritenuta più corretta. Il tutto attraverso la
reciproca influenza tra di loro, siano esse appartenenti al proprio stato o anche ad altri stati,
utilizzando le reciproche decisioni come argomento persuasivo, la c.d. “persuasive authority”69.
Per tale tipo di interventi si pone però il fondamentale problema della legittimità: in quanto
organi non elettivi, come possono le corti farsi veicolo di tali radicali mutamenti del sistema
giuridico senza incontrare la così detta countermajoritarian difficulty70 ed essere accusate di
attivismo giudiziario? Questa visione, inoltre, si scontra con il dato di fatto, che a tutt’oggi le corti
sembrano aver chiaramente dichiarato di non riuscire esse stesse ad enucleare un principio o una
tecnica sufficientemente valida o condivisa per poter rispondere alla necessità di rispetto della
volontà di alcuni soggetti, senza allo stesso tempo sacrificare i bisogni di protezione di coloro che
sono più deboli. E’ innegabile il fatto che sempre più spesso le corti stesse sollecitino interventi
legislativi che, contrariamente alle decisioni nei singoli casi, non sono legati alle contingenze della
controversia e alla sua presentazione e rappresentazione di fronte ad esse, condizionata spesso dalla
forza economica degli attori in campo. Gli interventi legislativi, inoltre hanno il vantaggio di poter
operare in modo preventivo e non successivo, garantendo una maggiore certezza del diritto,
evitando altresì l’eccessiva parcellizzazione delle norme che disciplinano un settore – l’intervento
giurisprudenziale essendo sempre per sua natura frammentato.
67
D. L. Beschle, The Role of Courts in the Debate on Assisted Suicide: A Communitarian Approach, 9 Notre Dame J.
L. Ethics & Pub. Pol’y 367 (1995).
68
M.R. Ferrarese, Diritto Sconfinato: inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, Laterza, Roma, 2006.
69
P.H. Glenn, Persuasive Authority, in 32 McGill L.J., 261 (1987).
70
Tra i moltissimi contributi sul tema si citeranno i classici testi di riferimento di A.M. Bickel, The Least Dangerous
Branch – The Supreme Court at the Bar of Politics, Yale University Press, New Haven and London, 1962 e di J. H. Ely,
Democracy and Distrust – A Theory of Judicial Review, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts e
Londra, Regno Unito, 1980.
19
6. Eutanasia: il caso Latimer e la constitutional exemption.
Anche l’eutanasia, assieme al suicidio assistito, risulta illegale in Canada in base alle ss.
229 e 231(1), (2) e (7) c.p.72 che puniscono l’omicidio di primo e secondo grado. Ma il messaggio
che il codice penale invia alla società circa la pratica dell’eutanasia non è limitato a queste
diposizioni. La s. 14 c.p.73 è chiara nel riaffermare la responsabilità anche in presenza del consenso
da parte della vittima, che come tale non opera come scriminante. Inoltre, pur avendo la s. 874
recepito all’interno del codice penale la figura della necessity, appartenente alla tradizione di
common law, la sua applicabilità è stata esplicitamente esclusa dalla Corte suprema nel caso
Latimer, condizionandone sicuramente la possibilità di esercizio in questo ambito anche in futuro75.
Per la particolare base teorica del diritto penale di common law, infine, il c.d. “mercy motive”, non
risulta rilevante ai fini della determinazione della responsabilità penale in questi ambiti76.
71
E’ proprio con riferimento all’eutanasia che si riscontrano le maggiori discrepanze tra il
dettato del codice penale e l’applicazione che, di fatto, ne viene data. Il dettato del codice è infatti
“temperato” dalla discrezionalità dell’Attorney General nell’esercizio dell’azione penale con
71
§ 229: Culpable homicide is murder
(a) where the person who causes the death of a human being
(i) means to cause his death, or
(ii) means to cause him bodily harm that he knows is likely to cause his death, and is reckless whether death ensues or
not; […]
72
§ 231:(1) Murder is first degree murder or second degree murder.
(2) Murder is first degree murder when it is planned and deliberate. […]
(7) All murder that is not first degree murder is second degree murder.
73
S. 14 c.p.: «No person is entitle to consent to have death inflicted on him, and such consent does not affect the
criminal responsibility of any person by whom death may be inflicted on the person by whom consent is given».
74
S. 8(3) c.p.: «Every rule and principle of the common law that renders any circumstance a justification or excuse for
an act or a defence to a charge continues in force and applies in respect of the proceedings for an offence under this act
or any other act of Parliament except in so far as the they are altered by or are inconsistent with this Act or any other
Act of Parliament».
75
R. v. Latimer, [2001], 1 S.C.R. 3. Per una analisi più specifica della decisione e delle argomentazioni che portano la
Corte ad escludere la possibilità di applicazione della difesa di necessity, vedi oltre nel testo.
76
Come regola generale, nella individuazione dell’elemento soggettivo di un crimine non si fa alcun riferimento al
“motivo”. Nel diritto penale di common law, infatti, l’elemento soggettivo che deve sussistere ai fini della punibilità, la
c.d. mens rea, e per la determinazione della pena, fa riferimento all’intento (“intent”, cioè l’esercizio della libera
volizione al fine di utilizzare un particolare mezzo per produrre un determinato risultato), piuttosto che al motivo
(“motive”, ossia ciò tutto che è precedente ovvero induce all’esercizio della volontà). Se è pur vero che sussistono una
serie di eccezioni a questo principio, nessuna di queste si riferisce alle fattispecie di omicidio di primo o secondo grado.
20
riferimento sia all’an che al quantum. Secondo il riparto di competenze dettato dal British North
America Act, 1867, infatti, nel sistema federale canadese, al governo federale spetta determinare le
fattispecie penali del codice, mentre l’amministrazione concreta della giustizia risulta di
competenza delle Province. Questo consente all’Attorney General di ogni Provincia, tramite la
discrezionalità accordatagli nell’esercizio dell’azione penale e nella individuazione della fattispecie
di reato da contestare, di poter scegliere di operare in modo da allinearsi con la diversa percezione
che la società civile ha raggiunto, circa il disvalore di taluni comportamenti qualificati formalmente
come reati. Così, nonostante l’eutanasia afferisca nel codice penale all’omicidio di primo o secondo
grado puniti con l’ergastolo senza possibilità di libertà vigilata rispettivamente per venticinque o
dieci anni77, in realtà viene di fatto inquadrata sotto le diverse fattispecie della somministrazione di
una sostanza nociva o dell’omicidio colposo comportanti una pena inferiore.
Due casi per tutti saranno significativi78: nel 1993, in Ontario, il dottor Alberto de la Rocha
fu accusato di omicidio di secondo grado e di somministrazione di una sostanza nociva, con
riferimento alla morte di una paziente di 70 anni, malata terminale79. Dietro richiesta della paziente,
il dottore aveva rimosso il respiratore artificiale, e somministrato alla donna della morfina come
misura palliativa. Successivamente il dottore somministrò alla paziente una dose di cloruro di
potassio. Un accordo fu raggiunto con l’Attorney General per cui questi avrebbe lasciato cadere
l’accusa di omicidio di secondo grado se il dottore si fosse dichiarato colpevole di somministrazione
di una sostanza nociva con l’intento di causare un danno fisico. Il giudice condannò il dottor de la
Rocha per quest’ultima imputazione e sottopose lo stesso ad un regime di semilibertà per un
periodo di tempo di tre anni senza pene accessorie quali l’interdizione dell’esercizio della
professione. Il procuratore generale spiegò l’esercizio della discrezionalità in questo caso con la
77
E’ questa la disciplina che si evince dal combinato disposto delle ss. 235 e 745 c.p. In particolare queste due
disposizioni, se lette assieme, stabiliscono per l’omicidio la pena dell’ergastolo, con possibilità di rilascio con parole
(libertà condizionata) dopo il passaggio di venticinque anni nel caso di omicidio di primo grado e di dieci anni, nel caso
di omicidio di secondo grado.
S. 235 c.p.: “Punishment for murder”:
(1) Every one who commits first degree murder or second degree murder is guilty of an indictable offence and shall be
sentenced to imprisonment for life.
(2) For the purposes of Part XXIII, the sentence of imprisonment for life prescribed by this section is a minimum
punishment.
La s. 745 prevede che per l’omicidio di primo grado non sia possibile accedere alla libertà condizionata per venticinque
anni, mentre nel caso di omicidio di secondo grado non si possa fare richiesta di libertà condizionata prima di dieci
anni.
78
Per una esaustiva disamina di numerosi casi in cui tale discrasia si è verificata, vedi J. Downie, cit., pp. 38-43, da cui
gli esempi citati sono ripresi.
79
R. v. de la Rocha (2 Aprile 1993), Timmins (Ont. Ct. (Gen. Div.))
21
preoccupazione di come una giuria avrebbe reagito all’equiparazione dell’atto del dottore a quello
di un ordinario assassino80.
Nel 1994, in Nova Scotia, Cheryl Myers e il marito Micheal Power furono accusati di
omicidio di secondo grado nella morte del padre – malato terminale – della sig.ra Myers. L’atto era
stato compiuto in esecuzione delle disposizioni orali paterne che avevano sollecitato questo gesto
nel momento in cui si fosse raggiunta una condizione di mancanza di autosufficienza e di
insopportabile dolore. I due coniugi furono infine condannati – con l’accordo dell’Attorney
General81 – per il meno grave crimine di omicidio colposo, messi in libertà vigilata per un periodo
di tre anni e condannati a compiere 150 ore di servizio per la comunità82.
La vicenda che comunque, a nostro avviso, risulta più significativa in questo ambito,
soprattutto per gli interrogativi che solleva rispetto al trattamento giuridico di tali fattispecie e alla
necessità di una disciplina effettivamente applicabile, è quella di Robert Latimer, iniziata nel 1993
quando questi uccise la figlia dodicenne affetta da una grave forma di disabilità: un caso di
eutanasia non volontaria. Il caso Latimer ha segnato profondamente la società canadese, che ne ha
seguito con grande attenzione l’iter legale, lungo e tortuoso.
La storia inizia il 24 ottobre 1993, quando Robert Latimer, un agricoltore della Provincia del
Saskatchewan, pone la propria figlia Tracy nella cabina del proprio automezzo e facendo confluire
nella cabina i gas di scarico del mezzo ne provoca la morte83. Robert Latimer sostenne che il gesto
era dovuto all’amore che egli provava per la figlia e al desiderio di alleviare le sue sofferenze84.
80
Mr. David Thomas, Crown Attorney’s Office, Timmins, Ontario, testimonianza di fronte allo Special Senate
Committee on Euthanasia and Assisted Suicide , Senate Special Cte., No.29 (12 dicembre 1994) a p. 42-43.
81
Nel motivare l’esercizio di questa discrezionalità da parte dell’Attorney General, il giudice Cacchione affermò: «[t]he
Crown acknowledging that its case on second degree murder was a viable case, but also acknowledging that the
sentence which would, of necessity, be imposed should a conviction be entered on second degree murder, that is, a term
of incarceration for a minimum period of ten years would have been unduly harsh given the circumstances of the
offence and the circumstances of the offender, has seen fit in his wisdom to accept the plea to the lesser and included
offence». Il giudizio emesso in forma orale dal giudice Cacchione è riportato in parte nel reasoning del giudice Bayda
contenuto nella decisione R. v. Latimer (1995), 126 D.L.R. (4th) 203 (Sask. C.A.) a p. 258.
82
R. v. Myers, (23 Dec. 1994), Halifax, (N.S.S.C.).
83
La bambina, allora tredicenne, fu trovata dalla madre, al ritorno dalla funzione domenicale cui si era recata con gli
altri tre figli. Latimer negò inizialmente che Tracy fosse stata uccisa, sostenendo la morte nel sonno. L’autopsia rivelò
però un alto tasso di monossido di carbonio nel sangue. A questo punto Latimer confessò il gesto, ammettendo di aver
anche pensato ad altre modalità di esecuzione dell’atto, quali un’overdose di Valium o, addirittura, l’uso di una arma da
fuoco.
84
Tracy Latimer era nata nel 23 novembre del 1980. La mancanza di ossigeno per un seppur breve arco di tempo
durante il parto, aveva causato alla neonata una paralisi cerebrale che aveva poi portato a disabilità sia fisiche che
mentali gravi, tra le quali attacchi epilettici e convulsioni. La bambina non aveva alcun controllo volontario sulla
muscolatura, non poteva parlare né camminare, e il suo sviluppo cerebrale, secondo la valutazione dei medici che ne
seguivano lo stato di salute, era quello di un bambino di quattro mesi di età. Nel corso della propria vita Tracy era stata
sottoposta a numerose operazioni resesi necessarie per l’allungamento dei tendini e il rilascio dei muscoli e dalla
dislocazione dell’anca, e per la correzione della scoliosi che aveva comportato l’inserimento di guide di acciaio nella
22
In base all’ammissione di Rober Latimer, il processo in primo grado si conclude il 16
novembre 1994, con una condanna da parte della giuria per omicidio di secondo grado85, senza
possibilità di libertà condizionata per dieci anni. Tale condanna verrà confermata dalla Corte di
Appello per il Saskatchewan86. E’ solo dopo tale conferma, che emergono i fatti che inficeranno
l’intero procedimento legale fino a quel momento sviluppatosi. Emerge infatti come, al momento
della selezione dei membri della giuria del processo di primo grado, il Consigliere della Corona
(che svolge le funzioni di pubblica accusa) e un ufficiale della Royal Canadian Mounted Police
(Reale Polizia Canadese a Cavallo) avevano interrogato circa trenta candidati alla funzione di
giurato nel processo sulla loro visione circa materie quali l’aborto, l’eutanasia, e il mercy killing. Di
questi trenta soggetti, cinque erano poi stati effettivamente nominati membri della giuria nel
processo di primo grado. Nel ricorso promosso alla Corte suprema per questi motivi, questa rileva,
in una opinione unanime redatta dall’allora Chief Justice Lamer, che le azioni del Consigliere della
Corona si erano sostanziate in un flagrante abuso del procedimento e in un interferenza con
l’amministrazione della giustizia, a prescindere dal fatto le azioni avessero o meno influenzato di
fatto la deliberazione della giuria87. Un nuovo processo si rendeva quindi necessario.
Nel corso del secondo processo, in primo grado, sempre presso la Court of Queen’s Bench
del Saskatchewan, accade qualcosa di inatteso. La giuria adotta infatti un comportamento inusuale:
pur riconoscendo la colpevolezza di Latimer relativamente al capo di imputazione per omicidio di
secondo grado, essa suggerisce, in un atto che esula completamente dalla propria competenza88, che
la pena irrogata al soggetto sia diminuita e non consista nell’ergastolo così come stabilito dal
schiena. A Tracy non potevano inoltre essere somministrati antidolorifici di qualsiasi sorta, dato che la bambina
assumeva farmaci contro le convulsioni, che, se combinati agli antidolorifici avrebbero causato nuovi e maggiori
attacchi, lesioni allo stomaco, polmonite. I genitori di Tracy, considerandola una pratica troppo invasiva, avevano
sempre rifiutato l’inserimento di un sondino naso gastrico per l’alimentazione. Questo fatto sarà sottolineato nella
decisione della Corte suprema del Canada del 2001 come una possibilità che avrebbe invece consentito di poter
somministrare alla bambina antidolorifici in modo più efficace e di poter nutrire in modo migliore Tracy migliorandone
la salute complessiva. Nell’ottobre 1993, pochi giorni prima della morte di Tracy, il dottor Dzus, il chirurgo ortopedico
di Tracy, comunica ai genitori della bambina che questa dovrà essere sottoposta ad un ulteriore intervento chirurgico il
mese successivo al fine di cercare di ridurre la condizione di dolore permanente che Tracy prova a causa della
dislocazione dell’anca. Anche in caso di esito positivo il periodo di recupero sarebbe stato pari ad un anno. Inoltre, ai
genitori fu comunicato che successive operazioni si sarebbero rese probabilmente necessarie al fine di alleviare il dolore
dovuto alla dislocazione delle articolazioni di Tracy.
85
Il processo si svolge nella Court of Queen’s Bench per il Saskachewan ed è deciso dal giudice Wimmer, R. v.
Latimer, (1994), 124 Sask. R. 180 (così detto Latimer 1).
86
R. v. Latimer, (1995), 99 C.C.C. (3d) 481 (Sask. C.A.) (c.d. Latimer 2)
87
«The actions of Crown counsel at trial […] were nothing short of a flagrant abuse of process and interference with the
administration of justice. The question of whether the interference actually influenced the deliberation of the jury is
quite beside the point. The interference contravened a fundamental tenet of the criminal justice system […]», R. v.
Latimer, [1997] 1 S.C.R. 217, p. 232 (c.d. Latimer 3).
88
La giuria infatti giudica sulle questioni di fatto, a determinare la pena da irrogare in base alle norme di legge è poi il
giudice della corte. Quello che in base alle disposizioni del codice la giuria può fare è raccomandare una pena superiore
al minimo stabilito dal codice stesso, ma non inferiore.
23
codice; che anzi la disposizione del codice non venga applicata e che a Latimer sia concessa la
libertà vigilata dopo un anno di reclusione. In questo giudizio, come nei precedenti, Latimer
ripropone una argomentazione significativa: egli non ha alcun precedente penale, non si presenta
alcuna necessità di riabilitazione, è un membro produttivo della comunità in cui vive, dove è
conosciuto e rispettato, ed ha commesso l’atto di cui è accusato in presenza di difficili circostanze,
motivato da sentimenti di pietà e amore nei confronti della figlia. In presenza di queste circostanze,
l’applicazione della pena obbligatoria all’ergastolo prevista dal codice, risulterebbe incostituzionale
perché costituirebbe una pena crudele e inusuale, come tale vietata dalla s. 12 della Charter89. La
richiesta alla corte di dichiarare la disposizione del codice penale contraria alla s. 12, seppure si
scontrava con un precedente specifico della Corte suprema in materia90, si basava, altresì su una
possibilità ammessa dalla Corte stessa, la quale aveva in passato dichiarato costituzionalmente
illegittime alcune disposizioni del codice penale proprio con riguardo alla s. 12 della Charter91
Il giudice Noble, che deve giudicare della causa in primo grado, è invece convinto che la
disposizione del codice sia costituzionale, anche e soprattutto alla luce dei precedenti già espressi in
tal senso dalla Corte suprema. Il giudice condivide però le valutazioni della giuria e considera allora
l’unica strada rimasta: vagliare la possibilità di concedere all’imputato una constitutional exemption
dalla pena obbligatoria, sulla base del fatto che, mentre la disposizione del codice risulta essere
conforme a Costituzione, la condanna in questo caso avrebbe violato la s. 12 della Charter alla luce
delle ‘speciali circostanze’ della vicenda. Il giudice Noble conclude che questa possibilità gli era,
nel caso di specie, concessa92.
89
Vedi supra, nota 24.
90
Ed invero, sette anni prima la Corte si era già trovata a giudicare sulla costituzionalità delle disposizioni del codice
relative all’omicidio, rispondendo positivamente: vedi, tra gli altri, R. v. Luxton, [1990] 2 S.C.R. 711 e anche R. v.
Bowen (1990), 59 C.C.C. (3d) 515 (Alta. C.A.).
91
Vedi Smith v. R., [1987] 1 S.C.R. 1045, in cui la Suprema corte aveva dichiarato incostituzionali le norme del codice
penale che prescrivevano una pena minima di sette anni per l’importazione di narcotici all’interno del territorio
canadese. La Corte aveva affermato che l’ambito di attività che venivano ricomprese all’interno del divieto penale
risultava troppo ampio, e che in alcune circostanze, imporre una così lunga detenzione sarebbe stato decisamente
sproporzionato rispetto alla gravità del fatto commesso e che quindi il diritto garantito dalla s. 12 risultava leso. In
particolare, e questo rileva ai fini del presente contributo, la Corte aveva affermato, in quel caso, di non poter fare
affidamento sulla discrezionalità del procuratore nella contestazione di una pena inferiore per reati condotte di minore
gravità, poiché questo atteggiamento sarebbe equivalso ad una inaccettabile delegazione di autorità decisionale in una
situazione in cui un diritto fondamentale risultava chiamato in causa. Una situazione, quest’ultima, tuttavia, a tutti gli
effetti analoga, come visto, a quello che accade di fatto con riferimento all’eutanasia. A far data da quella decisione,
tuttavia, altre impugnazioni relative alla presunta incostituzionalità dei minimi obbligatori di pena, sono fallite. In
particolare, in questi altri casi, la Corte ha affermato che la determinazione di una pena carceraria minima risulta uno
strumento legittimo che il Parlamento può utilizzare a fini di deterrenza e per esprimere il disvalore di certi atti
criminali.
92
«[…] It is my judgment that even though the offence of murder is the gravest of all crimes in our law, that the
circumstances established by the evidence as to why and how he committed this compassionate act of homicide when
taken together with his personal characteristics, the caring role he played as Tracy’s father and as an otherwise lawabiding citizen who is respected within his home community despite what he did, his conviction does not warrant the
imposition of the ten-year minimum sentence because it would be unjust, unfair and far too excessive», R. v. Latimer,
24
La constitutional exemption93 è una tecnica decisoria sviluppata dalle corte canadesi, che
non ha corrispondenti nello strumentario dei corrispettivi organi statunitensi, e che lega le fasi più
significative della propria definizione teorica proprio ai due casi Rodriguez e Latimer. In alcuni
casi, alcuni membri della Corte suprema si sono espressi a favore dell’utilizzo della figura della
constitutional exemption94, ma la Corte suprema deve ancora pronunciarsi in modo definitivo sulla
possibilità di utilizzare questa tecnica. Il caso forse più significativo in cui una parte della Corte si è
espressa a favore dell’utilizzo di questa tecnica è proprio il caso Rodriguez95. Come abbiamo visto
in quel caso, una minoranza della Corte, condotta dall’allora Chief Justice Lamer, ritenne che il
divieto sanzionato penalmente che colpiva il suicidio assistito violasse i diritti costituzionali
dell’attrice malata terminale. Tuttavia, lo stesso Chief Justice si pone su una posizione esitante circa
la necessità di dichiarare la incostituzionalità della disposizione del codice ed afferma che la
soluzione più razionale sarebbe la concessione di una constitutional exemption che consentisse
all’attrice nel caso di specie, ed in futuro a persone che si trovino nella stessa situazione, di poter
accedere alla figura del suicidio assistito, a patto che si possano individuare nella decisione, dei
criteri tali da delimitare l’ambito dei soggetti che possono accedere a questo tipo di modalità di
interruzione della vita.
Nel caso della constitutional exemption, la legge impugnata sotto il profilo della rispondenza
al dettato costituzionale, viene salvata da una dichiarazione di incostituzionalità perché ritenuta
conforme al dettato costituzionale, ma tuttavia disapplicata nel caso di fronte alla corte, perché si
(1997), 121 C.C.C. (3d) 327 (Sask. Q.B.) (c.d. Latimer 4). Il giudice Noble emise poi una sentenza di condanna a carico
di Robert Latimer pari a due anni meno un giorno di reclusione, di cui un anno da trascorrere in carcere e uno agli
arresti domiciliari.
93
Per un’analisi della constitutional exemption (e delle sue tipologie) ed una ricostruzione storica delle decisioni più
significative delle corti canadesi che ne hanno fatto uso, vedi O. Fitzgerald, Understanding Charter Remedies: A
Practitioner’s Guide, Carswell publisher, Toronto, 1994; P. H. Hogg, Constitutional Law of Canada, Carswell
Thompson Canada publishing, 1997, pp. 934 e ss.; K. Roach, Constitutional Remedies, Canada Law Book, Toronto,
1997, Capitolo 14, pp. da 14-24.2 a 14-36.2; R. J. Sharpe, K. Roach, Essentials of Canadian Law: The Charter of
Rights and Freedoms, 3d edition, Irwin Law Inc. publishing, 2005, pp. 353 e ss.; P. Sankoff, Constitutional
Exemptions: Myth or Reality?, in National Journal of Constitutional Law, 11, 2000; L. Pegoraro, Lineamenti di
giustizia costituzionale comparata, Giappichelli Editore, Torino, 1998, pp. 88 e ss.; R. J. Sharpe, Il controllo di
costituzionalità nell’ordinamento canadese: le tecniche più recenti, in Quad. Cost., 1994, pp. 291 e ss.; R. J. Sharpe,
Ordinamento giudiziario e giustizia costitutzionale, in J. Frémont, A. Lajoje, L’ordinamento costituzionale del Canada,
Torino, 1997, pp. 188 e ss. Il caso classico che viene citato in tema di constitutional exemption è quello di R. v. Chief
(1989) 51 C.C.C. (3rd) 265 (Y.T.C.A.) in cui la corte d’appello del territorio dello Yukon pur confermando la
costituzionalità delle disposizioni del codice penale canadese che prevedevano come pena accessoria per alcuni reati il
divieto di portare armi per cinque anni, la ritenne però crudele e ingiusta se applicata al soggetto condannato nello
specifico caso, un aborigeno per il quale il possesso di un’arma risultava significativo, non solo per il mantenimento del
proprio stile di vita tradizionale, ma anche per provvedere materialmente al sostentamento della famiglia.
94
Vedi ad esempio R. v. Rose [1998] 3 S.C.R. 262; R. v. Morrisey [2000] 2 S.C.R. 90. Per un commento sulla decisione
Rose a questo proposito, vedi P. Sakoff, U. Hendel, Creating a Right of Reply: Rose is Not Without a Few Thorns,
(1999) 20 C.R. (5th) 305.
95
Ma vedi anche, in precedenza, l’opinione di maggioranza scritta dall’allora Puisne Justice McLachlin (oggi Chief
Justice of the Court) nel caso R. v. Seaboyer, [1991] 2 S.C.R. 577.
25
ritiene che l’applicazione nel caso di specie sarebbe contraria alla s. 12 della Charter e si
qualificherebbe come una pena crudele e inusuale. La constitutional exemption rappresenta quindi
uno degli strumenti attraverso i quali le corti canadesi sfuggono alla rigida dicotomia tra
dichiarazione di incostituzionalità ovvero di conformità a Costituzione, tracciando un panorama
decisorio più ampio, e tuttavia creando qualche problema di compatibilità di questo strumento con il
dettato della s. 52 della Charter e generando interrogativi sul grado di attivismo delle corti che
questo strumento potrebbe sollecitare. Quale che sia la valutazione prettamente giuridica sullo
strumento della constitutional exemption è innegabile che, spostandosi su un altro piano, nella
decisione del giudice Noble e nella valutazione della giuria emerge in tutta la sua intensità la
distanza tra legge formale e sentire comune, e l’esigenza sentita di uno strumentario tecnico più
avanzato ovvero di una disciplina legislativa o giurisprudenziale che tenga conto di situazioni
particolari, tutelando allo stesso tempo i soggetti più deboli. Si sente il bisogno di ristabilire una
disciplina effettiva che sia concretamente applicabile, riaffermando la prevalenza del diritto e delle
forme di tutela che esso impone sugli argomenti metagiuridici.
La decisione del giudice Noble viene riformata in grado di appello96, ove, rigettando
l’applicabilità della constitutional exemption, si condanna Robert Latimer all’ergastolo così come
previsto dal codice penale, senza possibilità di parole per dieci anni.
Nel successivo ricorso promosso alla Corte suprema, questa, in una opinione unanime,
emessa “by the Court”, senza quindi alcuna possibilità di riconduzione, anche solo nella fase di
redazione, ad un singolo giudice, la Corte non arriva a giudicare sulla possibilità di utilizzare nel
caso Latimer la constitutional exemption, dato che si afferma che la condanna obbligatoria
all’ergastolo con impossibilità di libertà vigilata per dieci anni non viola i diritti di Rober Latimer
così come protetti dalla s. 12 della Charter97.
La prima valutazione che la Corte compie, come anticipato98, è quella sulla possibile
applicabilità della scriminante appartenente alla tradizione di common law della necessity99. Tale
causa di giustificazione, ha da sempre avuto una applicazione ristretta nella tradizione di common
law e solo in presenza di ben determinate circostanze. La decisione della Corte suprema che
disciplina l’ambito di applicabilità di tale scriminante è Perka v. The Queen in cui si tracciano
96
R. v. Latimer, (1998), 131 C.C.C. (3d) 191 (c.d. Latimer 5).
97
R. v. Latimer, [2001] 1 S.C.R. 3 (c.d. Latimer 6).
98
Vedi supra, inizio paragrafo 6, nota 57.
99
Per necessity nei sistemi legali di common law, in ambito di diritto penale, si intende una circostanza scriminante di
una condotta penalmente rilevante che altrimenti comporterebbe la condanna del soggetto. In particolare, quando un
imputato invoca la necessity, sostiene che la punibilità per l’azione che ha compiuto, in sé penalmente rilevante,
dovrebbe essere esclusa in quanto l’azione stessa è stata posta in essere al fine di prevenire o evitare un danno
maggiore, quando la condotta non è già scriminata sotto la diversa causa giustificatrice della legittima difesa. Il classico
esempio che si cita è quello di un soggetto ubriaco che si sarebbe messo alla guida della propria auto per sfuggire ad un
tentativo di rapimento.
26
anche i requisiti per l’applicabilità di questa figura100. Con riferimento a tali requisiti, si afferma nel
caso di specie, che Tracy non si trovava in una condizione di immediato pericolo, e che
l’operazione a cui sarebbe stata sottoposta non rappresentativa un pericolo imminente per essa.
Inoltre, l’accusato aveva una ben chiara alternativa legale alla condotta adottata: acconsentire
all’operazione e continuare a provvedere alle necessità che la condizione fisica di Tracy imponeva,
ricorrendo alla nutrizione tramite sondino naso-gastrico che avrebbe migliorato le sue condizioni di
salute generali e consentito anche una migliore terapia. In ultima istanza, poi, il danno inflitto in
questo caso, l’uccisione di Tracy era incommensurabilmente superiore agli effetti collaterali
dell’operazione a cui Tracy avrebbe dovuto essere sottoposta101.
La Corte poi giunge a valutare se la pena all’ergastolo – senza possibilità di concessione
della libertà vigilata per dieci anni – costituisca una pena crudele e inusuale ai sensi della s. 12 della
Charter. La Corte, nello svolgere questa analisi intende precisare alcuni profili: l’atto compiuto da
Latimer, come testualmente la Corte stabilisce, è il più grave conosciuto al diritto penale, , e
compiuto ai danni di un soggetto estremamente vulnerabile come Tracy. La valutazione delle
intenzioni di Robert Latimer – di agire nell’interesse della figlia – e le caratteristiche della vicenda
personale non cancellano il disvalore dell’atto commesso. La pena prevista dal codice, inoltre, è
coerente con una serie di finalità di deterrenza del diritto penale e lancia un chiaro messaggio alla
società circa il disvalore dell’atto commesso. Per tutti questi motivi la Corte ritiene che la pena non
possa qualificarsi come crudele e inusuale, non sia, in particolare, “grossly disproportionate”
rispetto alla condotta dell’imputato e quindi di non dover neppure decidere circa la possibilità di
applicare una constitutional exemption.
Gli ultimi atti della vicenda sono decisamente recenti: nel dicembre 2007 Robert Latimer,
trascorsi i dieci anni di reclusione minima previsti dal codice, ha fatto richiesta al National Parole
Board della concessione della libertà vigilata. Nella intervista con la commissione Robert Latimer
sostenne di essere ancora convinto di aver preso la decisione più giusta uccidendo la propria figlia.
Il Parole Board rifiutò allora di concedere la libertà vigilata, giustificando il diniego sulla base che
Latimer non aveva ancora sviluppato una piena consapevolezza dell’azione compiuta, nonostante
gli stessi rapporti del Board sottolineassero come la possibilità di reiterazione del reato fosse
100
Perka v. The Queen, [1984] 2 S.C.R. 232. In tale decisione, il Justice Dickson nell’individuare la ratio della figura
nel fatto che «a liberal and humane criminal law cannot hold people to the strict obedience of laws in emergency
situations where normal human instincts, whether of self-preservation or of altruism, overwhelmingly impel
disobedience», afferma tuttavia che essa deve trovare una applicazione strettamente controllata e limitata. La decisione
determina quindi le circostanze che devono ritenersi sussistenti affinché possa invocarsi l’applicabilità di tale istituto.
Tre sono gli elementi che devono sussistere: a) l’imputato doveva trovarsi in una situazione di imminente rischio o
pericolo (non bastando la probabilità di un pericolo o la sua prevedibilità); b) l’accusato non doveva avere nessuna
ragionevole alternativa legale alla condotta che ha adottato; c) il danno inflitto dall’imputato deve essere proporzionale
a quello evitato dallo stesso soggetto. La prova di ognuna di queste circostanze deve avvenire su base oggettiva (e
quindi non in base ad una qualificazione soggettiva delle circostanze da parte dell’accusato).
101
«Killing a person – in order to relieve the suffering produced by a medically manageable physical and mental
condition – is not a proportionate response to the arm represented by the non-life-threatening suffering resulting from
that condition. We conclude that here is no air of reality to any of the three requirements for necessity», R. v. Latimer,
cit., a p. 30, il sottolineato è nell’originale.
27
remota. Nel gennaio 2008, la British Columbia Civil Liberties Association ha presentato ricorso
avverso la decisione del Board a nome di Robert Latimer sostenendo che esso aveva violato la
propria regolamentazione richiedendo al soggetto un’ammissione di colpa invece di valutare la sua
pericolosità. Nel febbraio 2008, l’organo di appello per le decisioni del National Parole Board, ha
infine riformato la decisione, concedendo infine il beneficio della libertà vigilata. Latimer è stato
rilasciato dal penitenziario di William Head nel marzo 2008.
7. La disciplina di origine legislativa: una recente proposta di modifica del codice penale.
Il 15 giugno del 2005 è stato presentato in Parlamento l’ultimo di una serie di disegni di
legge di modifica del codice penale102. Il disegno di legge è stato presentato da Francine Lalonde,
un membro della Camera bassa del Parlamento canadese, affiliata al c.d. Bloc Québécois. Scopo
principale del progetto è quello di emendare le ss. 14, 222 e 241 del codice penale in modo da far sì
che una persona che assista un altro soggetto nell’atto di togliersi la vita non possa essere accusata
di omicidio o di correità nel suicidio. Più precisamente, il disegno di legge lascia il testo delle
disposizioni vigenti immutato, aggiungendo alla s. 222 una sottosezione (7) e una sottosezione (2)
alla s.241 del codice penale. Queste due sottosezioni hanno lo scopo di limitare l’applicabilità delle
disposizioni citate in presenza delle circostanze che seguono.
In particolare, il disegno di legge richiede che il soggetto cui si presta assistenza nell’atto di
terminare la propria vita: a) abbia compiuto almeno 18 anni, b) sia malato terminale, c) abbia, in
condizioni di lucidità e competenza, posto in essere due distinte richieste a distanza di almeno dieci
giorni l’una dall’altra che dimostrino la sua libera e informata volontà di interrompere la propria
vita e d) abbia designato in modo scritto un soggetto che agisca al suo posto nel caso in cui il malato
non sia più in condizioni di lucidità. Il disegno di legge richiede altresì che la persona che presti
assistenza al malato terminale: 1) sia un medico ovvero riceva assistenza da un medico, 2) abbia
ricevuto conferma delle condizioni di malattia terminale da parte di uno ovvero due altri medici (a
seconda se la persona che presta assistenza sia essa stessa un medico o meno), 3) agisca secondo le
disposizioni comunicate del soggetto intenzionato ad interrompere la propria vita, e 4) sia in grado
di consegnare al coroner una copia della/e diagnosi di malattia terminale rilasciata/e dal medico (o
dai medici, a seconda se il soggetto che presta assistenza sia esso stesso un dottore o meno).
Il disegno di legge è stato oggetto di attenta discussione in Parlamento il 17 giugno 2005, e
doveva essere oggetto di votazione nel dicembre dello stesso anno. Tuttavia, a causa dello
scioglimento anticipato del Parlamento nella XXXVIII legislatura, il voto non ha potuto avere
luogo. A tutt’oggi, nonostante le intenzioni della promotrice, non si hanno notizie di una sua nuova
presentazione all’interno della nuova legislatura.
102
Bill C-407, An Act to Amend the Criminal Code (Right to Die with Dignity).
28