1987 Omelia funebre tenuta dal vescovo

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In morte di Mons. Giuseppe Almici
Omelia tenuta durante le esequie funebri
il 27 settembre 1985
nella cattedrale di Alessandria
Ferdinando Maggioni
Vescovo di Alessandria
C
ari confratelli nell’episcopato e nel sacerdozio, e voi diletti fedeli della Chiesa alessandrina
e bresciana, oggi la liturgia esequiale ci riunisce in preghiera di suffragio per una persona a
noi cara che ha consumato la sua vita di zelante pastore per il bene del suo gregge. Ci sono
con noi i familiari di mons. Almici, con i quali condividiamo il lutto e il dolore; è presente don
Egidio Bongiorni, che con affettuosa e ammirevole cura ha seguito mons. Almici, nella buona
salute e nella infermità della malattia: a lui esprimiamo la nostra riconoscenza.
Se la mestizia di questo momento tenta di avvolgere il nostro spirito, il brano della lettera ai
Corinti letto poco fa, ci conduce a pensieri di fiducia e speranza. San Paolo ci invita a guardare
lontano “perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose
visibili sono di un momento, quelle invisibili sono eterne. E sappiamo che quando sarà disfatto il
corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo una abitazione da Dio, una dimora eterna, non
costruita da mani di uomo, nei cieli”.
Questa visione paolina, che ci immerge nell’eterno ed illumina il presente, ci porta a
scoprire valori esaltanti nella figura episcopale di mons. Almici.
Uno che vede lontano
In una felice circostanza della vita recente della comunità alessandrina, proprio in questa
cattedrale, il card. Giuseppe Ratzinger illustrò la figura del Vescovo partendo dall’etimologia, dal
significato stesso della parola: “Il Vescovo è uno che vede lontano … scruta gli orizzonti
dell’avvenire per aiutare il popolo a lui affidato a vivere inscritto nell’oggi di Dio, proteso verso le
nuove mete che lo Spirito Santo non si stanca mai di preparare, con rinnovata energia, alla sua
Chiesa”.
Di mons. Almici potremmo dire che, in sintesi, questa è stata la sua esistenza: un pastore
attento, che ha scrutato gli orizzonti di Dio per scoprire da lontano i “segni” dei tempi e guidare il
suo popolo verso mete radiose di santità.
In questa ottica noi vorremmo ripercorrere la sua vita e le sue opere, seguendo l’impulso
dell’affetto e della riconoscenza che ci lega a lui.
La sua figura poliedrica e la molteplicità delle opere realizzate non ce ne permettono una
adeguata illustrazione per i limiti di tempo a noi concesso; lascio a “La Voce Alessandrina” questo
compito e mi soffermo solo su alcuni ricordi significativi.
Sacerdote attento alle vicende umane
Ai primi anni del suo sacerdozio vissuti nel colloquio quotidiano con i giovani nella scuola e
nelle attività di Azione cattolica, tennero dietro quelli della guerra, quando egli operò in stretto
contatto con i giovani cattolici “ribelli per amore” e nelle ore buie della resistenza sostenne con il
suo spirito sacerdotale la loro fede per amore di quei valori umani e cristiani, per i quali si rischiava
ogni giorno l’esistenza.
Sull’attività di questi anni c’è stata la discrezione del silenzio da parte di mons. Almici. Altri
hanno scritto però di lui intento a promuovere “scuole di dottrina sociale, pronto al dialogo sui
problemi più vivi (presenti e futuri) e nello steso tempo una spinta saggia, prudente, mai sfiduciata o
stanca, verso l’azione e la resistenza all’odio. Direttive precise ed equilibrate seppero stringere le
forze cattoliche del laicato in uno slancio generoso di resistenza alla invasione nazista … Egli fu
l’animatore accorto e coraggioso di iniziative e di ferme prese di posizione, di cui il benefico effetto
si poté misurare a distanza di anni”.
Nel periodo dopo la liberazione, consapevole delle nuove esigenze, mons. Almici si adoperò
per un rinnovamento sostanziale delle strutture dell’associazionismo cattolico e si impegnò alla
formazione di quegli uomini chiamati a dare, nell’ambito del sociale, una fedele testimonianza
cristiana.
Agli albori del Concilio Vaticano II egli veniva eletto Vescovo ausiliare di Brescia, la sua
città, quella città a cui il suo dinamismo apostolico aveva dato un’impronta, insieme a uomini come
l’allora card. Montini poi Paolo VI, padre Bevilacqua e tanti laici generosi nell0’amore e nel
servizio alla Chiesa.
Vescovo di Alessandria
Con l’ampiezza delle ricche esperienze bresciane mons. Almici giunse ad Alessandria nel
1965. Ormai il Concilio volgeva alla conclusione ed occorreva passare all’attuazione. Egli ideò il
Centro di spiritualità di “Betania” come “memoria” del Concili, perché le nuove generazioni
attingessero dalla preghiera e dalla riflessione sui documenti conciliari la capacità di rispondere alle
nuove esigenze dei tempi.
Nella mente e nel cuore del Vescovo Almici era vivo un progetto originale di vaste
proporzioni: la riunione in federazione tutte le case di esercizi, che sono in Italia, per la promozione
della spiritualità cristiana.
Nel motu proprio che S. S. Paolo VI gli indirizzò nel 50 di Messa è scritto: “Non possiamo
passare sotto silenzio la tua azione promozionale per la costituzione della Federazione italiana
esercizi spirituali – FIES – i suoi convegni di studio e di ricerca, le visite di animazione, il
coordinamento e l’aggiornamento delle attività in questo delicato settore della vita spirituale di tutto
il popolo di Dio”.
Se la casa di Betania doveva essere “memoria” viva ed operante del Concilio Vaticano II,
esprimeva insieme l’assillo presente nell’animo di mons. Almici per un rinnovamento ecclesiale.
Parlando del Concilio, egli amava intercalare il suo colloquio appassionato con gli amici con la
frase: “Siamo ad una svolta storica …”.
In Alessandria dinanzi allo sviluppo urbano si preoccupò di assicurare lo spazio per lo
Spirito, per la città di Dio, accanto alle abitazioni degli uomini che sorgevano nei nostri quartieri. Di
questa attenzione e di questo servizio serberemo gratitudine viva.
Ma l’azione pastorale di mons. Almici non si è fermata qui. Ha spaziato, è entrato come
buon pastore dentro la coscienza di molti, facendo brillare o richiamando lo “spazio per Dio”, i
diritti di Dio pur nel rispetto delicato della coscienza dell’interlocutore.
Paolo VI, nel documento già ricordato, scritto in occasione del 50 anniversario di sacerdozio
di mons. Almici, così delineava la sua fervida azione pastorale: “Quando sei stato nominato
Vescovo di Alessandria, fu aggiunta fiamma a fiamma, fuoco a fuoco … Più di ogni altra cosa, ti è
stato a cuore, come pastore di quella Chiesa, di proteggere e conservare integro il tesoro della fede
con la predicazione assidua, con convegni, con scritti, tutto questo preparato nell’insegnamento dei
maestri di dottrina cristiana … Quanto mai preoccupato per i tuoi sacerdoti, li amavi e li ami come
padre, ritenendoli giustamente figli partecipi della tua preoccupazione e del tuo sacerdozio”.
Nel core di un Vescovo c’è posto per tutti; è un cuore che non si stanca mai di attendere,
convocare, richiamare, e di circondare con la tenerezza di una more senza limiti.
In questa cattedrale la parola di mons. Almici ha testimoniato la grandezza del suo amore e
nell’eucaristia egli ha vissuto con i medesimi sentimenti di Gesù.
La mensa eucaristica e la mensa del cielo
È significativo il passo del vangelo della liturgia odierna che stabilisce un intimo rapporto
tra l banchetto eucaristico di quaggiù e la vita eterna nel regno dei cieli. Qui si ritrova il punto
focale di mons. Almici, il Vescovo che vede lontano.
Riascoltiamo l’evangelista Luca: “Quando fu l’ora, Gesù prese posto a tavola e gli apostoli
con lui, e disse: Ho desiderato ardentemente questa pasqua con voi … preso un pane, rese grazie, lo
spezzò e lo diede loro dicendo: Questo è il mio corpo che è dato per voi … prese il calice dicendo:
Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”. Soggiunge Gesù: “Voi
siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo per voi un regno come il
Padre mio l’ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno”.
Così ci piace oggi guardare a mons. Almici, immerso nell’eternità del regno di Dio,
commensale del Signore, partecipe del gaudio ineffabile della intimità con lui.
Un episodio singolare, riportato dalla stampa bresciana e a me confermato da testimoni
oculari, attesta che mons. Almici visse questa realtà evangelica e per essa si offrì alla sofferenza
della morte e pregustò la gioia promessa dal Signore.
Ricoverato in ospedale, il S. Orsola dei Fatebenefratelli, dall’inizio di questa estate. Mons.
Almici il giorno 12 agosto entrò in uno stato di precoma. Il male era progredito in modo tale che
ormai si annunciava vicina la fine. Aveva perso anche la conoscenza e la parola, lui che era rimasto
così lucido fio a pochi giorni prima.
Improvvisamente il giorno 28 agosto, mercoledì, sembrava svegliarsi cosciente e riposato da
un sonno profondo e chiede a don Egidio, suo segretario,: “Mi devi portare subito in chiesa, devo
dire un “sì” importante!”. Il tono della voce è deciso ed imperativo, come non poche volte soleva
fare mons. Almici. Logicamente in quelle circostanze il segretario si rivolge ai medici e agli
infermieri. Portare l’ammalato in chiesa non era certo l’ideale in quelle condizioni. Cercano di
convincere mons. Almici a restare in camera: avrebbe assistiti lì al suo “sì” importante. Ma fu
irremovibile: ritrovando la tempra di un tempo fece fronte a tutte le discussioni, ritrovando un
argomento per ogni obiezione. Dice pure: “Siete medici cattolici, siete credenti e praticanti, dovete
venire incontro alla mia richiesta!”. Sentendo parlare di sedativo dice pure: “Non sono intontito, so
quello che vi chiedo, venitemi incontro …”.
Con ogni precauzione è portato nella cappella delle suore. Coi presenti, di fronte al
tabernacolo, recita il Pater Noster. Quando arriva al “fiat voluntas tua”, dopo una pausa di silenzio
aggiunge: “Sì, sono pronto a morire”. Termina il Padre Nostro ed altre orazione ed è riportato nella
stanza.
Nel pomeriggio i suoi discorsi toccano il tema della morte e della vita nuova, della croce e
della gioia … Sta vivendo in se stesso i temi che tante volte aveva predicato come maestro di fede.
Parla fino verso sera, quando rientra in uno stato comatoso durato fino alla morte.
Quasi per un dono del Signore visse un giorno di lucidità per dire ancora una volta, con
generosità, un “sì” al Signore, a quel Signore che chiama per sempre con lui attraverso “sorella
morte”. A questa morte illuminata dalla fede in Cristo, mons. Almici volle consacrarsi, alla fine di
una vita attiva, generosa, apostolica.
Nello spirito di comunione dei santi che ci unisce ai nostri fratelli defunti, così si innalza la
nostra invocazione a mons. Almici: “Tu, pastore buono, Vescovo che vedi lontano, che vendi
lontano ancora più ora che superi le barriere del tempo e dello spazio , aiutaci a proseguire con
fedeltà nello spirito del vangelo che ci hai annunciato, nell’amore ala Chiesa che ci hai insegnato,
nella fiduciosa donazione alla Madonna della Salve, per ritrovarci un giorno con te nel regno dei
beati”.
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