2. Il dato biblico 1. Gesù e il suo contesto 2. Il comportamento di Gesù 3. Il rapporto con Dio/Abbà 4. Gesù e il Regno 5. I titoli cristologici 6. Verso il compimento pasquale 7. Il Risorto e la sua ascensione ISSR Pisa a.a. 2014/2015 Mario Bracci 2.1. Gesù e il suo contesto Come, dove, con chi è vissuto Gesù? Quale l’orizzonte che lo ha accolto? Chi ha condiviso il suo tempo, con quali attese? N.B. è questo un modo per vedere la continuità/discontinuità di Gesù, il modo e il mondo entro cui Gesù si comprende • Israele si pensa nella storia. Il piccolo credo storico L’orizzonte entro cui si situa l’evento Gesù Gesù è ebreo tra ebrei, in questa cornice si inserisce Gesù e la sua comprensione e il suo annuncio di Dio, suo Padre (Dt 26,5-9) descrive un Dio che chiama a sé un popolo che vive una condizione di nomadismo chiamandolo ad un futuro insieme. • Israele si pensa in un rapporto con Dio: la profezia di Natan (2Sam 7,12-14) unisce il tema della regalità con il tema della figliolanza: «Io gli sarò padre, egli mi sarà figlio». • Il tempo dell’esilio è quello in cui la relazione viene ‘riletta’ attraverso la metafora nuziale (Osea), l’annuncio di una nuova alleanza (Ger 31-32) e del dono dello Spirito (Ez 36-37) • Con il ritorno, l’immagine di Dio si coniuga con l’agire storico-salvifico, così lo sguardo si divide: all’indietro, con cui si pensa Dio che crea (Is 43), in avanti, Dio che guida (Is 52) il suo popolo verso un nuovo esodo (Is 49) e una nuova alleanza (Is 43) • Gerusalemme è il centro teologicoIl contesto spirituale In Israele ci sono due centri spirituali: Gerusalemme con il suo Tempio e, fuori da Gerusalemme, la comunità si raccoglie nella sinagoga spirituale con il Tempio e la centralità della componente sociale dei sadducei e degli scribi o dottori della legge • Fuori Gerusalemme, le sinagoghe diventano il centro dell’insegnamento e dell’interiorizzazione della legge mosaica. I gruppi hassidim (asidei = pii) si configurano, al tempo di Gesù, nei volti degli esseni, dei farisei e degli zeloti, catalizzando il bisogno del popolo d’essere guidato, di attendere l’agire di Dio, apocalittico ed escatologico. • Gli esseni sono una comunità monastica maschile, ispirata alla legge della santità, capace di istituire un culto separato dal Tempio. • Una comunità al cui interno si trovano, in forma I gruppi spirituali che Gesù incontra Esseni Sadducei Farisei Zeloti Dottori della legge gerarchica, tre sacerdoti è un consiglio dei 12, radunata nel deserto • Figura di riferimento è il maestro di giustizia: forse un ex sacerdote ritiratosi nel deserto e contrario alla scelta degli asmonei di riunire in un’unica figura l’istituzione monarchica e sacerdotale • I temi teologici: • tempio spirituale: si fa riferimento a un’idea di perfezionamento del singolo individuo • l’ interpretazione delle scritture, che comporta l’accesso la salvezza • Un dualismo tra i figli della luce i figli delle tenebre • L’annuncio della fine imminente • La figura i un Messia, costruita attorno all’immagine del profeta e di Aronne • Il gruppo dei sadducei è quello egemone all’epoca di I gruppi spirituali che Gesù incontra Esseni Sadducei Farisei Zeloti Dottori della legge Gesù • Il nome deriva dal sacerdote, di epoca davidica, Sadoq (2Sam 15,24) • Vi appartengono ricche e aristocratiche famiglie; tra loro veniva eletta la figura del sommo sacerdote. Dal punto di vista politico sono filogovernativi • A Qumran, gli esseni vengono li considerano i figli delle tenebre • Temi teologici: • Santità di Israele • Culto del tempio • Interpretazione della legge, limitata al Pentateuco • Distanza dalle attese escatologica ed alla resurrezione dei morti • Il gruppo dei farisei è quello più rappresentato nella I gruppi spirituali che Gesù incontra Esseni Sadducei Farisei Zeloti Dottori della legge narrazione neotestamentaria • Il nome deriva da perushim, che significa ‘segregati’ • Frequentano il tempio, godono del favore del popolo perché offrono loro una via: l’osservanza rigorosa della legge nello sforzo di realizzarla osservandola • Temi teologici: • Attesa di un Messia regale, davidico • Giudizio finale con retribuzione personale, per cui le buone e ogni che hanno un tesoro celeste (cfr. Mt 6,20) • Credono nella resurrezione dei morti (cfr. At 23,8) • Propongono un’osservanza delle leggi di purificazione, un rituale da osservarsi e che norma la vita religiosa fuori dal Tempio • È l’ala separatista dei farisei, quella con I gruppi spirituali che Gesù incontra Esseni tendenze indipendentiste nei confronti dell’occupazione romana. Uno di loro, Simone lo zelota, fa parte del gruppo dei 12 (cfr. Lc 6,15) • Temi teologici: Sadducei • Totale signoria di Jahvé (Dt 6,4), cui Farisei corrisponde la santità del popolo Zeloti Dottori della legge • Figura di riferimento: Pincas (Nm 25,7-13) • Lo zelo per Dio poteva richiedere anche l’uso della forza, una guerra santa che contemplava anche il martirio I gruppi spirituali che Gesù incontra Esseni Sadducei Farisei Zeloti Dottori della legge Gli scribi o dottori della legge (cfr. Lc 5,17; 7,30) sono i tecnici della legge, periti nelle Scritture; hanno il compito di assicurarne la dottrina. Predicano in sinagoga e sono favore della doppia valenza della Scrittura: giuridica e religiosa 2.2. Il comportamento di Gesù Qual è la ipsissima intentio Jesu? Il suo comportamento fu nuovo: «che cosa è mai questo? Una nuova dottrina insegnata con autorità?» (Mc 1,27) N.B. Si tratta di prendere in considerazione il rapporto esistente tra il comportamento di Gesù e la sua identità personale Un inquadramento sociale • praticò la povertà come rinuncia alle ricchezze (Mt 8,20; 10,21) • Praticò il distacco dai vincoli della famiglia di origine (Mc 3,31-35; Gv 7,2-9) • Praticò il celibato (Mt 19,12; Lc 14,26) • Si distanzia da una certa forma di potere (Mt 20,24-28; Mc 3,1-6) • Fu un predicatore itinerante (Mc 6,6) • Si percepisce inviato a casa di Israele (Mt 15,24) Seguendo il criterio di irriducibilità si evidenzia un carattere originale di Gesù, anche nei confronti del cristianesimo posteriore, che infatti mantiene una proprietà economica personale (At 5,4; Rm 16,5) e l’esperienza del matrimonio (At 21,8-9; 1Cor 9,5). Il suo comportamento non viene considerato come normativo per la stessa primitiva comunità, che invece ravvisò in altro la sua portata autoritativa: • è un uomo libero eppure si sente al servizio di un altro • la sua autorevolezza emergeva dal suo comportamento e dalle sue parole • è costante il rimando alla sua identità, perché solo in essa ha senso la sua predicazione • ma questa stessa identità si poggia nella relazione intima che egli esplicita attraverso la sua predicazione e i suoi gesti Rapporto con i discepoli • Chiama i suoi discepoli (Mc 1,16-20) • Chiede loro di seguirlo senza condizioni (Mt 8,22), rinunciano a ricchezze (Mc 10,21.29-30) a legami parentali (Mt 10,37-38; 19,12) • L’essere discepolo comporta sia prendere la propria croce (Mc 8,34; Mt 10,38; Lc 14,27) che perdere la propria vita (Mt 10,39; 19,29; Mc 8,35; 10,29; Lc 9,24; 18,29) Ebbe dei discepoli, ma in modo differente rispetto agli esseni o a Giovanni battista, così come dai profeti apocalittici o dai maestri della legge; è Lui stesso a chiamarli perché siano una comunità attorno a Lui, senza gerarchie ed itinerante. Non chiede lo studio della Torah, non chiede d’essere interpretato come un maestro (Gv 13,13). La sua richiesta è quella di perdere la vita e lasciare ogni cosa. In queste due richieste la motivazione è sempre triplice: «a causa mia», «a causa mia e del vangelo» ed infine «a causa del Regno di Dio». Si possono comprendere come sicuramente gesuane secondo il criterio della molteplice attestazione e della coerenza, forse il rimando alla croce è post-pasquale. Per cui il discepolo di Gesù Rapporto con i discepoli • Chiama i suoi discepoli (Mc 1,16-20) • Chiede loro di seguirlo senza condizioni (Mt 8,22), rinunciano a ricchezze (Mc 10,21.29-30) a legami parentali (Mt 10,37-38; 19,12) • L’essere discepolo comporta sia prendere la propria croce (Mc 8,34; Mt 10,38; Lc 14,27) che perdere la propria vita (Mt 10,39; 19,29; Mc 8,35; 10,29; Lc 9,24; 18,29) • deve vivere una condizione di comunione con la sua persona, con il suo destino e la sua missione • ciò comporta anche l’identità del discepolato, questi infatti non prenderà mai il suo posto, non diverrà mai a sua volta maestro, né farà dei suoi discepoli perché l’unico criterio è il rapporto di comunione con Gesù I miracoli di Gesù • «Uomini d'Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret - uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra di voi per opera sua» (At 2,22) • «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella» (Lc 7,22) • «Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio» (Lc 11,20) Il riferimento ai miracoli nei vangeli è vario: in Gv questi assumono valore di segni, un criterio di rivelazione e sono utilizzati a livello redazionale per esprimere una cristologia compiuta. Andando ai sinottici ci troviamo di fronte invece a due tipi di miracoli: • esorcismi e guarigioni – circa 20 • Miracoli sulla natura, come la tempesta sedata (Mc 4,35-41), la pesca sovrabbondante (Lc 5,4-11), la moltiplicazione dei pani (Mc 6,32-44), e sulla morte, come la resurrezione della figlia di Giairo (Mc 5,21-43) o della vedova di Nain (Lc 7,11-17) • Rispetto alla loro storicità: ci troviamo di I miracoli di Gesù • «Uomini d'Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret - uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra di voi per opera sua» (At 2,22) • «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella» (Lc 7,22) • «Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio» (Lc 11,20) fronte ad dato della tradizione e secondo il criterio della molteplice attestazione e della coerenza non possono esseri rifiutati a priori. • Il loro senso può essere ambiguo: «chi cerca segni di credibilità resta prigioniero di se stesso» (Bonhoeffer) • Cosa ci rivelano di Lui? • Rimandano alla relazione personale con Lui: egli chiede la fede in Lui (Mc 8,31) • Occorre porsi di fronte a questi dal punto di vista di chi li compie: sono per Gesù la testimonianza del compimento della Scrittura e dell’irruzione irrevocabile di Dio, del suo Regno • Gesù si percepisce di fronte alla Torah come Il suo rapporto con la Scrittura • «È più facile che abbiano fine il cielo e la terra, anziché cada un solo trattino della Legge» (Lc 16,17) • «Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell'uomo è signore anche del sabato» (Mc 7,27s) • «non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo» (Mc 7,15) colui che è venuto non ad abolirla, ma a portarla al suo compimento. • Il discorso della montagna (Mt 5-7) rilegge la Scrittura alla luce della irruenza irrevocabile di Dio: il suo Regno è vicino e Dio viene nel venire del suo Regno. • La legge dunque è indirizzata al Regno, da qui la sua interpretazione e verità: non la norma per la norma, ma questa per la sua salvezza • Testo chiave: Lc 4,14-30. Alla sinagoga di Nazaret legge Is 61,1-2. L’accoglienza di Lui è l’accoglienza del regno messianico: la sua persona è il compimento e l’ultimo intervento di Dio. Oggi Dio compie la sua promessa. Il suo rapporto con il Tempio «Andarono intanto a Gerusalemme. Ed entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e comperavano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si portassero cose attraverso il tempio. Ed insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti? Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri!». L'udirono i sommi sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutto il popolo era ammirato del suo insegnamento» (Mc 11,15-18) Gesù si reca al Tempio durante le festività annuali. Il brano della cacciata dei venditori non ha però il proprio fulcro nella cacciata, bensì nella testimonianza della critica di Gesù all’idea sacrificale-legalista. Il tema è piuttosto l’annuncio del nuovo tempio, del nuovo santuario escatologico creato da Dio stesso mediante Gesù, un tempio aperto a tutti. Gesù quindi non tende a superare il precetto cultuale, piuttosto lo orienta al compimento pasquale. • Il suo comando è una radicalizzazione dell’amore Gesù legislatore «Ma a voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano… Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; perché egli è benevolo verso gl'ingrati e i malvagi.» (Lc 6,27-28.32-35) – che peraltro è simile ad indicazioni stoiche (Seneca, Marco Aurelio) o giudaiche – che Gesù però spinge fino all’amore per il nemico, per colui che è fuori da Israele, per il peccatore, l’impuro (cfr. Lc 10,30-37), il persecutore della comunità (Mt 5,44). • Il comando è contestuale all’annuncio del Regno: Dio ha deciso irrevocabilmente di essere a favore dell’uomo peccatore; Gesù richiama l’uomo ad agire come Dio agisce, secondo la sua misericordia: «Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro» (Lc 6,37). • Il rimando all’amore è in realtà un rimando a Dio come Padre e alla nuova relazione che il regno porta con sé: «affinché diventiate figli del Padre vostro» (Mt 5,45) 2.3. Il rapporto con Dio/Abbà La domanda sull’identità di Gesù si affaccia sulla sua relazione filiale con Dio. La sua preghiera, l’annuncio che egli fa di Dio passa per un rapporto che Gesù ha nei confronti di Dio/Abbà Cosa sa Gesù del Padre? Quali caratteri mostra del Padre sicché ne viene co-determinato come Figlio? • Abbà – caro Padre. Ci troviamo di fronte a come ci si rivolgeva un genitore, anche da adulti. L’espressione viene mantenuto nella comunità come riferimento a un’espressione autenticamente gesuana (Rm 8,5; Gal 4,6) La preghiera di Gesù Lc 10,21-22 – grido di giubilo Gv 11,41-42 – resurrezione di Lazzaro Gv 17 – preghiera sacerdotale Mc 14,36 – invocazione nel Getsemani Lc 23,34 – richiesta di perdono sulla croce • La Sua preghiera si svolge lungo due direttrici: verso l’alto e in avanti, da e verso l’incontro con il Padre • Una preghiera che dice la prossimità, l’approssimarsi di Dio come Padre, del suo essere definitivamente il Dio-con-noi • Una preghiera che dicendo, dà: il dir-si di Dio è tutt’uno con il suo dar-si • Così Gesù, all’approssimarsi della sua morte, domanda la vicinanza del Padre • Nella preghiera le sue labbra si aprono al Padre, ma al contempo si legano all’umanità: colui che venuto per donare, dona ricevendo nella nostra umanità. • La scena precedente si concludeva con l’invito a divenire Il suo dono del Padre «un tale gli corse incontro e … gli domandò: ‘Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?’ Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: ‘Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi’. Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni … Gesù riprese: ‘Figlioli, com'è difficile entrare nel regno di Dio!’ … Pietro allora gli disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna» (Mc 10,17-31). come bambini per entrare nel Regno (Mc 10,15): il bambino entra nel regno non per ciò che fa, non per il suo agire autonomo, non per la sua giustizia ma proprio per il suo essere completamente dipendente da altri. • L’immagine viene così ribadita nell’episodio del giovane ricco: egli non chiede come ottenere la vita eterna, ma come fare per ereditarla, per appartenere alla discendenza, come fare ad avere lo stesso Padre di Gesù • Da qui lo sconforto dei discepoli: hanno lasciato tutto – case, fratelli, sorelle, madre, padre, campi - eppure non basta. • Gesù risponde ribadendo lo stesso elenco, ma omettendo solo la figura del Padre. Questi non lo si avrà come ricompensa, lo si può avere solo in eredità se si riconosce Gesù come Figlio e di riceverLo da Lui. • Il Padre è donato dal Figlio perché solo il Padre dona il Figlio. Si tratta di entrare in questa relazione necessaria. • Gesù presenta se stesso come l’ultimo La sua identità filiale «Un uomo piantò una vigna, vi pose attorno una siepe, scavò un torchio, costruì una torre, poi la diede in affitto a dei vignaioli e se ne andò lontano. A suo tempo inviò un servo a ritirare da quei vignaioli i frutti della vigna. Ma essi, afferratolo, lo bastonarono e lo rimandarono a mani vuote. Inviò loro di nuovo un altro servo: anche quello lo picchiarono sulla testa e lo coprirono di insulti. Ne inviò ancora un altro, e questo lo uccisero ... Aveva ancora uno, il figlio prediletto: lo inviò loro per ultimo, dicendo: Avranno rispetto per mio figlio! Ma quei vignaioli dissero tra di loro: Questi è l'erede; su, uccidiamolo e l'eredità sarà nostra. E afferratolo, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna» (Mc 12,1-8). inviato dal Padre • In questo modo si opera una distinzione tra i servi inviati – i profeti, i giusti (cfr. Is 5,1-7; Ger 7,25-26) – e Lui stesso. • Gesù mostra come la sua venuta sia la scelta definitiva del Padre, il compimento della storia di Israele • Il Figlio è inviato dal Padre perché solo il Padre dona il Figlio. Si tratta di riconoscere nell’agire di Gesù la paternità di Dio. La sua storia concreta nell’affidamento al Padre «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36). E subito, mentre ancora parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni mandata dai sommi sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani … Allora Gesù disse loro: «Come contro un brigante, con spade e bastoni siete venuti a prendermi. Ogni giorno ero in mezzo a voi a insegnare nel tempio, e non mi avete arrestato. Si adempiano dunque le Scritture!». (Mc 14, 43.48-49) • Gesù si rivolge al Padre in una radicale intimità • La sua relazione con Dio è di piena obbedienza e di totale affidamento • Gesù interpreta la propria vita in relazione alla volontà del Padre e all’adempimento delle Scritture, luogo in cui egli ode la parola paterna • Il senso delle Scritture è un senso per Gesù stesso. Il Padre parla per mezzo della Scrittura. • L’agire di Gesù affonda le proprie radici nella sua interpretazione della Scrittura, parola che il Padre rivolge a Lui e che Lui ode e sente rivolta a Lui, personalmente. • Gesù utilizza qui un’immagine per una Il sapere il Padre di Gesù «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5,13-16). comparazione: chi è sale o luce compie opere che risplendono della bontà di coloro che le compiono e rendono gloria a Dio • Come discepoli nel loro agire indicano un altro – l’agire buono del Padre – così Gesù non rimanda sé, ma al Padre. • Gesù non addita sé, ma è venuto a mostrare e a dire il Padre, così, nel dirlo, lo dona: «le vostre opere buone rendono gloria al vostro Padre» (v. 16) Il sapere il Padre di Gesù «Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli… Quando invece tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà… E quando digiunate, non assumete aria malinconica come gli ipocriti … Tu invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà». (Mt 6,1-6.16-18). • Il Padre vede nel segreto del cuore • Come il Padre fa sorgere il sole sui giusti e i malvagi, mostrando amore che non fa distinzioni, così i discepoli sono invitati ad amare i nemici di Dio ama così • È l’amore mostrato da Gesù, il Figlio, ai discepoli che li rende capaci d’amare dell’amore del Padre ed essere loro figli 2.4. Gesù e il Regno Il regno è il contenuto della predicazione di Gesù: «il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,5). Questo annuncio è incastonato tra il battesimo e la morte di Gesù: là dove l’inizio dice il destino ultimo mentre la morte l’accoglienza definitiva della signoria. Cosa significa dunque «Regno»? Quando arriva Gesù esso entra nel tempo, perché? • Il Regno – la basiléia tou Theu – viene e ha da venire L’irruenza definitiva di Dio nella storia Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,14s) Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4,17) «Quanto poi a quel giorno o a quell'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre. State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso» (Mc 13,33) • È imminente la sua venuta • Se è certa la venuta è però sconosciuta la sua ora, da qui la condizione di attesa operosa, di conversione: un invito a lavorare sulla propria condizione invece che essere passivi • Ora sta accadendo che il Regno viene: l’uditore è chiamato ad orientare il Regno con la presenza, con il venire di Gesù, con l’annuncio dell’irrevocabile decisione di Dio, il Padre • Il Regno è connesso al giudizio (cfr. Mt 25,32-46). Le caratteristiche del Regno «Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò… E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano… Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro» (Mt 13,24-29.41-43) Viene con il venire del Figlio. • Il campo viene seminato con la parola, l’annuncio di Gesù; questa cresce nel campo accanto alla zizzania. La venuta dell’una è quindi accanto all’altra; la zizzania misteriosamente non viene sradicata • È il Figlio però che determina il raccolto perché gli uni siano scartati, gli altri risplendano nel regno del Padre loro. • Il Regno viene nel venire/accogliere il Figlio, cosicché la sua accoglienza è l’essere generati a figli dal Padre • Il venire del regno è quindi un tempo di generazione: avviene nel tempo, misteriosamente cresce come la pasta per il lievito (Mt 13,33) • Sono queste le prime parole che vengono messe in Il venire del Regno nel giungere di Gesù «Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia [πληρῶσαι πᾶσαν δικαιοσύνην]» (Mt 3,15) «Il tempo è compiuto [πεπλήρωται ὁ καιρὸς] e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,15) «Oggi si è adempiuta questa Scrittura [Σήμερον πεπλήρωται ἡ γραφὴ] che voi avete udita con i vostri orecchi» (Lc 4,21) bocca a Gesù nei sinottici e hanno una coincidenza lessicale: il verbo πληρόω - plēróō • Mt lega la parola di Gesù alla voce che verrà dal cielo al battesimo: la voce del Padre. Gesù legge la storia della salvezza e riconosce questo tempo, il suo, come quello del compimento della giustizia, della storia della salvezza. • Mc riconosce nel venire di Gesù il compimento del tempo della grazia. Gesù sta nel tempo come in questo si compie la volontà del Padre (cfr. 14,36: «non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu»; 9,12: «sta scritto che il Figlio dell’uomo»). • Lc mostra Gesù leggere Isaia, ma è Isaia che annuncia Gesù. Gesù è la perfezione della Scrittura: l’annuncio è qui realizzato, gli effetti permangono perché l’intera Scrittura si compie in Lui - «deve compiersi in me quanto sta scritto» (22,37). • Il Regno è accoglienza della salvezza per Un compimento che proietta «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso» … Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti … Invece un Samaritano … lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino … Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?... Va' e anche tu fa' lo stesso» (Lc 10, 25-37) coloro che accolgono Gesù e il suo messaggio: il Padre suo • Il Regno ha la caratteristica del Padre: è offerta di amore e vive della riconciliazione, della vicinanza • Nel venire di Gesù il Padre si fa prossimo, così il Regno è questione di azione: «Va' e anche tu fa' lo stesso» • Il regno è quindi escatologico, teologico e soteriologico 2.5. I titoli cristologici A partire dalla forma degli effetti prodotti da Gesù, è possibile identificare la forma che suscitò tali effetti? Possiamo dai vangeli giungere a come Gesù si è compreso? N.B. 1. Si tratta di ricostruire, in modo indiretto, il possibile profilo intenzionale 2. Gesù non si esplicita, si lascia invece riconoscere 3. Nei vangeli non c’è la risposta alla questione dell’autocoscienza di Gesù, ma descrivono lo stagliarsi della sua identità nella pretesa contenuta nei gesti e nelle parole con cui si dice e si offre Cristo - Messia Confessione di Pietro (Mc 8,29; Lc 9,20; Mt 16,16) Ingresso a Gerusalemme (Mc 11,1-11) Interrogatorio di Caifa (Mc 14,61; Mt 26,63; Lc 22,67) Titolo della croce (Mc 15,26; Mt 27,37; Lc 23,38) Il contesto in cui si situa l’espressione: • Un Messia senza Messia (Is 4,4-5; 43,11; 60,16-22; Am 2,15; Sof 1,14-18) perché è Dio stesso che verrà alla fine dei tempi • Un Messia utopico-apocalittico, atteso secondo le profezie (Elia, Mosè, Melchisedek) • Un Messia di restaurazione (Is 11,1-9) • Un Messia regale, l’unto (in greco: χριστός kristós, in ebraico: mesuha)del Signore • Qumranico, ossia sacerdotale Le fonti evangeliche però lo annunciano in due modi: 1. Il messia doveva nascere a Betlemme (Mt 2,4-6; Gv 7,41-42) 2. Il messia sarebbe giunto in modo nascosto (Mc 8,27-29; Gv 7,27) Di certo manca l’indicazione di un messia sofferente e/o sconfitto Gesù reinterpreta la figura del Messia. Cristo - Messia Confessione di Pietro (Mc 8,29; Lc 9,20; Mt 16,16) Ingresso a Gerusalemme (Mc 11,1-11) Interrogatorio di Caifa (Mc 14,61; Mt 26,63; Lc 22,67) Titolo della croce (Mc 15,26; Mt 27,37; Lc 23,38) Se da un lato lascia ad altri l’attribuzione del titolo alla sua persona (a Pietro e a Caifa e in un certo senso anche nel titulus crucis), dall’alto però ne impone una riconfigurazione – come fa intendere anche l’obbligo del silenzio a Pietro – sulla base degli eventi futuri: la sua sofferenza (Mc 8,31-33). Così, si può affermare che non abbia escluso d’esserlo, eppure si distanzia da ciò che era atteso curvandolo lungo la direzione filialepaterna che la sua identità impone Compare sulle labbra di Gesù sempre e solamente in terza persona Il contesto: • Traduce l’espressione figlio di Adam con cui dire la Figlio dell’uomo «Io lo sono! E vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo» (Mc 14,62) «E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare» (Mc 8,31) «Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va' a casa tua»(Mc 2,10) condizione umana • Il riferimento al testo apocalittico di Dn 7,9-14 conduce ad un individuo collettivo, ma anche ad Israele come popolo eletto L’uso di Gesù • Escatologico • Relativi alla sofferenza e alla morte • Collegato al suo ministero storico-salvifico Sembra dunque sia usato in riferimento alla sua condizione – presente e futura – chiedendo dunque una interpretazione capace di passare tenere assieme sia l’identità umana (uomo, figlio di Adamo) che filiale (figlio di Dio che è il Padre suo e dal quale proviene e va’) • Si tratta del titolo più variamente Figlio di Dio Gli spiriti immondi, quando lo vedevano, gli si gettavano ai piedi gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!» (Mc 3,11) Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: «Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?» (Mc 14,61) Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: «Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39) Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!» (Gv 1,49) attribuito a Gesù: angeli, demoni, voce dal cielo, indemoniati, Pietro, Caifa, Natanaele, folla, centurione romano • Ma altrettanto comune al mondo grecoromano che alla tradizione israelitica. Israele è figlio di Dio, come gli angeli, i giusti e i re La sua identità è ricevuta: è Figlio Quando i suoi genitori lo videro, rimasero stupiti; e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io ti cercavamo, stando in gran pena». Ed egli disse loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?» (Lc 2,48-49) Parabola del padre misericordioso (Lc 15,11-32) «Chi tra di voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra? O se gli chiede un pesce, darà una serpe? Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!» (Mt 7,9-11) Il tema dell’obbedienza filiale in Israele era passato da archeologico ad escatologico (“Io sarò per lui un Padre e lui sarà pe me un figlio”, 2Sam 7,14) ma manteneva tutti i caratteri dell’obbedienza rispetto alla signoria di Dio. Gesù vive una relazione con Dio che legge con le categorie proprie della vicenda umana: lui ha un’esperienza di filialità per la paternità e maternità di Giuseppe e Maria. Questa esperienza umana si apre, si fa capace di dire la sua identità e apre uno squarcio sulla sua esperienza di Dio e all’esperienza di Dio stesso: Dio ora si dice in quella esperienza umana, in Gesù. La sua identità è ricevuta: è Figlio «Un uomo piantò una vigna … poi la diede in affitto a dei vignaioli e se ne andò lontano. A suo tempo inviò un servo …Ma essi, afferratolo, lo bastonarono e lo rimandarono a mani vuote. Inviò loro di nuovo un altro servo … Ne inviò ancora un altro, e questo lo uccisero; e di molti altri, che egli ancora mandò, alcuni li bastonarono, altri li uccisero. Aveva ancora uno, il figlio prediletto [υἱὸν ἀγαπητόν]: lo inviò loro per ultimo» (Mc 12,1-12) «Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,27) La sua identità filiale poggia sull’esperienza che egli ha del Padre, sul suo udirLo, conoscerLo, saperLo in un intimità che è tutt’uno con la sua umanità e che dice unicità: ὁ ἀγαπητός (agapētós, tr. it: amato, unico; cfr. Mc 1,11; 9,7; 12,6) Così il suo annuncio è il cuore stesso del suo rapporto: Dio è Padre di quell’uomo, cosicché solo quell’esperienza umana è capace di dire Dio e lo dice dandolo. Non si tratta di un’interpretazione, ma di una relazione: si apre includendo. Dio è il Padre nel riconoscimento filiale che solo Gesù può operare ed egli è il Figlio solo nel dono che sente rivolto a se stesso da parte del Padre. La sua identità è ricevuta: è Figlio «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te» (Mt 11,25-26) «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato» (Gv 11,41-42) «E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse… E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola… Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; questi sanno che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro» (Gv 17,2.22.25-26) In tutto ciò risplende l’identità filiale di Gesù, il suo carattere di amore. L’identità si staglia proprio nella certezza di una presenza, nella manifestazione di un amore paterno che in Lui ha radici. Da qui egli muove, da una realtà percepita nel presente – il Regno è qui – invece che escatologico/futura. La sua risposta al Padre sta e cade nella stessa risposta che riceve dal Padre: la sua attitudine obbediente è la forma filiale dell’attitudine benevolente del Padre. Il Padre è dunque la misura, le regola del suo agire: «mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 4,34). Così, se Gesù è fonte di acqua viva (Gv 4,14; ) è perché dal Padre riceve: «il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre» (5,19) La sua identità è dono: il suo Spirito «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà» (Gv 16,12-15) Se Gesù dona se stesso al Padre è perché ha imparato a donare proprio dal Padre, lo ha imparato ricevendo (cfr. Eb 5,7-8). Così la sua vita è un dono di sé: «Io non posso far nulla da me stesso; giudico secondo quello che ascolto … non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 5,30) Il dono che Gesù riceve dal Padre è lo Spirito (cfr. battesimo: Mc 1, 9-11 //; Gv 1, 32-34; cfr. tema della gloria in Gv 17.19) e questo dono diventa in Lui esperienza di accoglienza e di riconoscenza che si apre all’altro: lo Spirito che il Padre ha versato su di Lui ora egli lo riversa sui fratelli. Questo Spirito ha imparato ad ascoltare nella carne di Gesù quel dialogo filiale e paterno: ha ascoltato la parola filiale, ricorda l’unione intima che si fa uno, ha imparato a dire quel dialogo paterno-filiale e lo ha fatto dalla parte del Figlio incarnato. La sua identità è dono: il suo Spirito «Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto … Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo» (Lc 4,1.14) Giovanni rese testimonianza dicendo: «Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui. Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo» (Gv 1,32-33). «Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi… perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola» (Gv 17,11.21). Così Gesù non è solo il Messia pieno di Spirito, che raccoglie in sé i doni che lo Spirito aveva distribuito in Israele, ma è il Signore dello Spirito che lo comunica. Lo Spirito opera ‘in Lui’, non ‘su di Lui’ perché quella inabitazione del Figlio nel Padre (cfr. Gv 14,11.20) avviene nell’inabitazione dello Spirito nel Figlio Gesù. L’unione, l’essere uno, avviene nell’altro (cfr. Gv 17). Questa relazione passa per l’alterità che si fa affettuosa accoglienza e reciproca ospitalità della differenza: come Gesù è Figlio nel Padre e lo è nell’umanità, così per Gesù lo Spirito è dal Padre e si fa ospite della e nella umanità per la sua fililiatà. La sua identità è dono: il suo Spirito «Proprio per questo nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,7-9) «se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsi su quelli che sono contaminati, li santificano, purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo, che con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio» (Eb 9,13-14). Lo Spirito opera ‘in Lui’ e Gesù nello Spirito agisce. Questa mutua relazione si fa capace della differenza in modo da non esserne limitata, bensì capace della differenza acquisita. Così egli agisce ed opera, proprio perché rende presente la differenza: annuncia il perdono perché conosce l’amore del Padre e lo rende presente come perdono, con gesti di perdono. Questa affettuosa mutua inabitazione è da Lui stesso vissuta: impara a dire ed ad ascoltare Dio nella/dalla/per la sua condizione umana. Qui lo Spirito lo conduce, proprio nell’esperienza dell’alterità perché possa abitarla filialmente e così offrirle un’altra, differente prospettiva, condizione: quella filiale. 2.6. Verso il compimento pasquale Che cosa, chi ha determinato in modo così tragico il destino di Gesù? Come ha interpretato la sua morte? Cosa ha sperato Gesù? • L’agire di Gesù è stato libero, il suo agire è stato Una libertà esercitata Mosè infatti disse: Onora tuo padre e tua madre, e chi maledice il padre e la madre sia messo a morte. Voi invece dicendo: Se uno dichiara al padre o alla madre: è Korbàn, cioè offerta sacra, quello che ti sarebbe dovuto da me, non gli permettete più di fare nulla per il padre e la madre, annullando così la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte». Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e intendete bene: non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo» (Mc 7,10-15). In verità, in verità vi dico: Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato» (Gv 13,20) orientato dalla presenza del Padre: la santità non è più separazione legalistica (cfr. farisei), ma accoglienza dell’altro. Così manifesta una vicinanza profonda • Il suo comportamento – sedere con i pubblicani e i peccatori – va al di là delle regole di separazione; così i luoghi vengono scelti in ordine all’incontro: non più il Tempio, sede della separazione (cfr. sadducei), ma la via, la piazza, la sinagoga. • Così testimonia una vicinanza ‘scandalosa’: ne va’ dell’idea stessa di Dio; la richiesta di adesione a sé, in forza di un altro, è la testimonianza della richiesta che fa Gesù: non alla sua dottrina, ma alla sua persona in virtù della sua origine. • Una cena pasquale (tradizione sinottica) o di L’ultima cena Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me» (1Cor 11,23-26; cfr. Lc 22,15-20). Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: «Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza versato per molti. In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio» (Mc 14,22-25; cfr. Mt 26,26-29). preparazione alla pasqua (tradizione giovannea) • Gesù attribuisce un senso ai suoi ultimi eventi; parla di volontà sua rispetto a ciò che sta per accadere e che lo vede attore passivo • Riferimento al sacrificio di sé – il tema dell’espiazione – è sottolineato dalla presenza dell’espressione ὑπὲρ [upèr] - per noi, per molti, per la remissione dei peccati – e dal riferimento all’Alleanza – sinaitica per Mc-Mt, escatologica per Lc-1Cor. • Egli riferisce a sé l’offerta del pane e del vino come al proprio corpo, alla propria esistenza: il suo venire dal Padre lo porta ad una esistenza donata, la sua presenza è offerta irrevocabile di salvezza, l’accoglienza e comunione con Lui è l’accoglienza e comunione con il Donatore. • H. Schürmann parla di pro-esistenza di Gesù: Di fronte alla propria morte Il giusto sofferente: 1Mac 2,50; 2Mac 7,33-38; Sap 3,1-9; 5,1-5; Sal 16,8-11 Figlio dell’uomo: Dn 7,1-14; cfr. Mc 14,62. Servo: Is 52,13-53,12; cfr. Lc 22,37 vissuta in relazione al Padre e nei confronti di tutti coloro che incontrava nel suo venire e andare al Padre • Gesù, interpretando la propria fine, ricorre alla Scrittura (cfr. Mc 14,49); la tradizione e l’esperienza con cui si legge e si lascia dire è quella sapienziale e apocalittica: il giusto sofferente, il figlio dell’uomo e il servo. • Secondo J. Dunn, Gesù avrebbe parlato della propria morte come di un sacrificio di alleanza. Da qui il ricordo nei vangeli di quei loghia sul battesimo di fuoco (Mc 10,38-39); così la memoria dell’evento si connette alla memoria delle sue parole, a come li abbia guidati a comprendere che Lui stesso nella prospettiva del giusto e del suo destino • J. Dunn propende per una speranza che Di fronte alla propria morte «Noi lo abbiamo udito mentre diceva: Io distruggerò questo tempio fatto da mani d'uomo e in tre giorni ne edificherò un altro non fatto da mani d'uomo» (Mc 14,58) «Andate a dire a quella volpe: Ecco, io scaccio i demòni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno avrò finito. Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io vada per la mia strada, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme» (Lc 13,32-33) Gesù condivise: di risvegliarsi a un nuovo giorno, di venire resuscitato assieme ai giusti per una forma finale qualitativamente diversa (Gli albori del cristianesimo, I,3: L’acme, p. 878). • Questa speranza prende la forma della metafora della resurrezione • È quindi coerente che la metafora affondi nella sua identità filiale: ha sentito quella ‘parola’ rivolta a Lui e con quella egli si è rivolto incontro al Padre, con la fiducia di ricevere da Lui, anche attraverso la morte, ancora e nuovamente vita. Gli eventi che portano alla morte di croce • È il Sinedrio (70 anziani più il Sommo Sacerdote) a Il supplizio • Viene flagellato (Mc 15,15) • L’esecuzione avviene fuori città • Porta il patibulum – l’asse trasversale • La condanna è sulla confessione della messianicità di Gesù e Le parole di Gesù • Cita il Sal 22,2 e lo interpreta come consegna al Padre del Gesù viene processato dal Sinedrio • L’ordine dell’arresto viene dal Sinedrio (Mc 14,43), dal Sommo Sacerdote e gli anziani (Mt 26,47) ed è eseguito da un manipolo di soldati (Gv 18,3). processarlo, tutti radunati (Mc 14,53) al mattino (Mc 15,1) sulla sua pretesa figliolanza divina (Mc 14,63-64), secondo Dt 13,6 • Non hanno il potere di metterlo a morte (Gv 18,31) Gesù è condannato da Pilato • È il capo del tribunale perché è il prefetto di Giudea, per cui la sua condanna non può essere religiosa, ma di lesa maestà • Non vengono catturati però i suoi discepoli, riconoscendo quindi solo la sua predicazione come pericolosa proprio spirito (Lc 23,46) • Domanda il perdono per i suoi uccisori (Lc 23,34) • Riconsegna l’opera al Padre dopo averla portata a compimento (Gv 19,30) Viene deposto dalla croce, perché non rimanesse appeso e maledetto (cfr. Dt 21,22-23), da un membro del Sinedrio, Giuseppe di Arimatea 2.7. Il Risorto e la sua ascensione L’evento pasquale si configura come cerniera e cesura: prima c’è Gesù che parla del Padre, l’annuncio del Regno nella sua presenza, Gesù che cerca il volto del Padre fino alla morte di croce, dopo c’è una comunità che fa diventare il Messaggero il messaggio. Da qui alcune questioni: 1. Quale rapporto tra la gesuologia – il dirsi di Gesù Figlio – e la cristologia – il dire Gesù nella fede nella sua identità filiale 2. Come avviene il passaggio dal monotesimo di matrice ebraica a quello di matrice cristiana, quali elementi lo permettono mantenendo ancora una continuità nella discontinuità operata dall’evento Gesù 3. Come l’evento Pasquale è stato letto, quali modelli sono stati usati e in che relazione stanno con la figura di Gesù, con il suo annuncio e la sua identità • M. BRACCI, Nel seno della Trinità. Il mistero dell’ascensione di Gesù, ed. ETS, Pisa 2011. • M. BRACCI, Ascese al cielo. Per un eccesso del dono che va oltre la misura dell’amore, ed. Cittadella, Assisi 2013. • Come si deve rifiutare una demitizzazione di stampo bultmaniano, altrettanto si deve fare con una facile depascalizzazione Il linguaggio pasquale «Una questione, come si sa, molto delicata e che va affrontata soltanto con fine tatto teologico. Delicata perché si dovrebbe indagare, fin nei minimi dettagli, in che misura la “grandezza” del Figlio di Dio umiliato, indubbia in ogni caso ma difficilmente captatile in parole e concetti, doveva essere descritta - forse necessariamente - con i colori e i mezzi espressivi della “gloria”» (H. U. VON BALTHASAR, Gloria. Un’estetica teologica, VII: Nuovo patto, Milano 1991) • Le parole e le azioni di Gesù si iscrivevano in strutture già date, espresse nella sapienza anticotestamentaria; con l’evento pasquale c’è chi intravede nelle seconde il compimento delle prime ed è possibile solo alla luce di qualche cosa di nuovo e pur tuttavia connesso con ciò che lo ha preceduto: il Risorto è il crocifisso • Ogni interpretazione pasquale non può sfuggire a quel più di significato che quell’evento della fede offre al testimone, a quel più e a quell’oltre che quell’evento di fede chiede di considerare come orizzonte interpretativo adeguato Accanto alle formule di confessione e annuncio della resurrezione si ha la presenza di alcuni elementi: Il linguaggio pasquale formule confessionali: «Gesù è il Signore … Dio lo ha risuscitato dai morti» (Rm 10,9) formule costruite in forma passiva: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui» (Mc 16,6) formule a un membro: «Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte» (At 2,23) Formule doppie: «Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo. Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d'angolo» (At 4,10-11) • il sepolcro vuoto • i testimoni che hanno visto il Gesù risorto • il motivo dell’incarico dell’annuncio e della testimonianza • all’inizio delle apparizioni il mancato riconoscimento • il pasto «Le storie vennero ricordate come esperienze visive o visionarie perché è così che furono sperimentate; questi furono gli effetti che si fissarono nel cuore della tradizione» (J. Dunn) • Temporale • vita – morte – recupero della vita Il linguaggio pasquale: gli schemi usati «Ma Dio lo ha risuscitato [ἀνέστησεν], sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere» (At 2,24) «umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato [ὑπερύψωσεν] e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome» (Fil 2,8-9) «Gesù ha vissuto in mezzo a noi, incominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di tra noi assunto in cielo [ἀνελήμφθη – essere tolto]» (At 1,21-22) «Infatti egli fu crocifisso per la sua debolezza, ma vive [ζῇ ] per la potenza di Dio. E anche noi che siamo deboli in lui, saremo vivi [ζήσομεν] con lui per la potenza di Dio nei vostri riguardi» (2Cor 13,4) • I verbi usati: ἐγείρω [egeirô - alzarsi] e ἀνίστηµι [anistêmi – stare in piedi] • Spaziale • elevazione e/o esaltazione • υπερυψόω [uperupsòō – posto sopra] , δοξάζω [doxàzō - glorificare], αναλαµβάνω [analambànō – prendere su], αναβαίνω [anabaìnō - salire]. • Qualitativo • vita nuova • ζωοποιέω[zōopoiéō] Il linguaggio pasquale: gli schemi usati «È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione» (2Cor 5,19) «qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo l'efficacia della sua forza che egli manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti» (Ef 1,19-20) «Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre» (Rm 6,4) «E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi» (Rm 8, 11) • • • • Opera di riconciliazione Dio agisce Manifestazione della gloria del Padre Azione dello Spirito Quelle relazioni che Gesù ha mostrato nella sua missione sono le stesse che hanno quindi operato di Lui, in Lui. Egli ha agito con la stessa forza con cui Dio agisce in e su di Lui. Come il Padre è il senso della sua missione, così egli lo è della sua vita, interamente intesa; così si passa dalla vita post-pasquale a quella pre-pasquale per l’imporsi però dell’identità di Gesù che solo un Altro custodisce: Dio Padre nello Spirito • Vi è una profonda differenza tra l’evento che La corporeità della resurrezione ha Gesù come oggetto dell’agire di Dio e l’episodio di Lazzaro che ha Gesù per soggetto (cfr. Gv 11,38-44). • Gesù nella sua resurrezione non vi arriva che per la croce: non salta la morte, percorre tutta l’esistenza umana perché nulla di questa manchi dell’esperienza filiale che egli vi porta • L’evento della risurrezione si impone per la sua impronta escatologica, definitivo compimento, piena manifestazione dell’azione di Dio nella storia in favore dell’uomo • Il crocifisso Risorto vive ora di una vita piena, La corporeità della resurrezione «Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre … E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti» (1Cor 15, 20-28). portata fin verso il suo compimento più intimo ed esistenziale • Si tratta di una corporeità segnata da una novità : Paolo usa l’espressione “nuova creazione” (2Cor 5,17) per dire uno spazio che sta tra una continuità – nella logica della corporeità creata – e una discontinuità: il Risorto non è semplicemente reintegrato nella condizione precedente, il suo corpo è un corpo spirituale in cui la differenza si fa ospitale di un’altra differenza «perché Dio sia tutto in tutti» (1Cor 15,28). • La continuità sta quindi nell’identità costituita sempre e ancora una volta di più da Dio. Solo questa identità dà valore alla discontinuità. • La resurrezione corporea dice una atto definitivo di Dio, La corporeità della resurrezione «si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale. Se c'è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale, poiché sta scritto che il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cielo. » (1Cor 15, 44-47). definitivo come la creazione; ora, però, se la prima creazione era stata il luogo in cui la morte aveva reciso le relazioni tra Dio e le sue creature a causa del peccato, con la seconda creazione quel corpo glorioso dispensa vita nuova perché rimette in relazione l’uomo peccatore con Dio. • Così la resurrezione diventa la cifra finale dell’esperienza di Gesù: egli è stato colui che nella sua esistenza ha portato Dio all’uomo. Questa è stata una decisione definitiva, irrevocabile per Dio; neppure la morte - e con essa il peccato - ha potuto interrompere che questa prossimità giungesse a compimento: che Dio donasse Dio, che il Padre donasse il Figlio e il Figlio il Padre nel dono dello Spirito. • La morte ha mostrato la prossimità di Gesù e del Padre, come abbiano ospitato la differenza e l’abbiano trasformata dal di dentro, facendo di quel corpo un corpo pneumatico (Fil 3,21), capace della vita di Dio: di viverla e donarla. Gesù è il dono della filialità di Dio, il Risorto è il dono della sua paternità. • È l’elevato (cfr. At 1,1-11; Fil 2,6-11; Ef Chi è il Risorto? «Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione. E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi» (Rm 8,9-11) 1,18-23; 4,7-10; Ap 12,1-6): il cielo stesso lo accoglie (At 3,21), ne è dimora perfetta (Col 3,1) e con la sua presenza non si richiude più (cfr. Gv 1,51) • È colui che siede alla destra del Padre (At 2,34-35; Eb 8,1; cfr. Sal 110,1; 2Mac 15,12-16) • È il Signore (Fil 2,11; Rm 10,9; 14,9) glorificato (Gv 12,23-36) cosicché è evidente che Dio fosse veramente in Cristo (2Cor 5,19) • È colui che invia lo Spirito (At 2,33; Gv 7,39; 16,14), anzi: è Spirito datore di vita (1Cor 15,45) dalla croce (Gv 19,30) e Risorto (Gv 20,21-22); di più: egli è Signore dello Spirito (2Cor 3,17)