1 Duccio Demetrio UNA SCUOLA PIU’ATTRAENTE?INNANZITUTTO RACCONTANDO STORIE Tante interpretazioni,un solo raccontarsi Ci hanno spiegato che il gioco è un “universale della sanità”(Winnicott),che quindi ne abbiamo bisogno in dosi frequenti,centellinate o avidamente bevute, nel corso di tutta la vita.Ci è stato anche detto infatti (Erikson)che oltre alla sessualità e al lavoro,il gioco svolge un compito fondamentale nel nostro diventare adulti, anche collocandosi (nell’amore,nella professione,nell’impegno sociale)proprio là dove più si costruisce la nostra identità.Non come idea astratta,sostanziale,piuttosto come storia in continua mutazione.All’interno della quale i pezzi del nostro lego personale-in parte assegnati,in parte cercati e conquistati-si rimescolano in una infinità di combinazioni possibili.Quando si fanno giochi di parola,frasi ,discorsi(Wittgenstein).Ci hanno anche detto(Caillois)che il gioco è rischio,vertigine,competizione,conflitto.Tutti elementi che compongono e scombinano gli incastri dell’avventura umana.E, l’avventura, è per eccellenza lo spazio indefinito e imprevedibile del gioco e, al contempo, per forza-da che mondo è mondo-della narrazione.Incominciamo a giocare sul serio(non seriosamente) quando -svincolandoci dalla dipendenza dei giochi altrui-avvertiamo il bisogno di imitarne le storie (le avventure,pur domestiche e minime) che ci hanno raccontato, per reinventarle fingendo di emularle almeno.Prima dedicandoci a quelle ascoltate in presenza di voci e gesti,poi a quelle viste su uno schermo- più straordinarie ancora- , poi, finalmente quelle lette,se non scritte,dipinte ,composte da soli per un gioco di piacere e di autocura.Questa specie di gioco inizia quando i racconti-nelle differenti loro forme-,si rivelano un intrico di memorie.Poichè questa è la vera sede,ogni volta del racconto e quindi dell’origine di ogni gioco.I racconti non sono che parole,parole,parole che si rincorrono dando però luogo a trame.Alla memoria di fatti,di eventi,di persone in grado di costruire intrecci .E non vi è storia senza questo cuore interno,segreto e da svelare, ad ogni memoria.Ogni intreccio è un insieme di regole che lo rendono comprensibile.Ogni gioco, nondimeno,palesa o nasconde sempre ,del resto,qualche norma che è possibile cercare, riconoscere e comunicare.Saper giocare è dunque saper raccontare e saperlo fare è già un racconto.E’ non smettere mai di aver voglia di creare storie,di farle conoscere ad altri,di inventarle per loro.Non è altro che accettare di farsi coinvolgere in una storia nuova.Ora facendo qualche patto,ora buttandosi a capofitto in quel che ci promette di nutrirci di nuove storie e memorie. La memoria autobiografica è gioco fra sé e sè Oltre al gioco come svago,passatempo,esercizio mentale,spaesamento esiste pertanto il gioco come narrazione infinita.Dove si gioca soprattutto quando qualcosa viene cambiato e non accettiamo resti uguale a prima.La storia del pensiero umano è la storia di storie che si sono perdute e ritrovate,di storie con ingredienti spesso sempre uguali,di colpi di scena imprevisti che hanno fatto dimenticare per sempre interi continenti del pensiero,del sentire,dell’invenzione.Perchè così come giochiamo con la memoria giochiamo nondimeno con l’oblio,con il tempo ,grande scultore di tutto, che non ci permette più di tanto di ricordare.Diceva anche Margherite Yourcenar. Narrare è raccontare un’esperienza non comune,speciale(memorabile,stupefacente o soltanto necessaria a sopravvivere),o quotidiana, che però grazie alle parole scritte o orali, che sempre aggiungono qualcosa di diverso, diviene memorabile.Se lo sappiamo fare,vuol dire che abbiamo appreso ad ascoltare e a comunicare “per storie”e a giocare soltanto pensandole. Il potere inimitabile dei significati Ciò che differenzia una storia dalle altre informazioni è il potere che essa ha di trasmetterci uno o più significati,o di consentirci di fare altrettanto.Non semplici nozioni quindi;non frammenti di un 2 intero incontriamo,bensì l’intero stesso ci garantisce ,il quale si presenta sempre in forme più complesse di quanto non appaia a prima vista.Sia essa microscopica(un episodio di vita) o macroscopica(una leggenda),entrambe sono aperte a più di una spiegazione.Le storie, in quanto significati ,devono comunque possederne uno anche laddove non sembri trasparire .Al quale, poi, potremo aggiungerne altri, quando incominceremo a far domande,allorché scopriremo che un significato(simbolico o realistico) è sempre potenzialmente più ricco e complicato di quanto potesse apparirci nel primo momento.Giocare con i significati è costruire mondi e universi interi.Ci formiamo al gusto di chiedere,di interrogare,di investigare finchè non concederemo loro una tregua.Ciò accade quando quel che dicono o diciamo di noi(quando ci sentiamo o ci fanno sentire protagonisti della storia)ci sembra plausibile.Pertanto, imparare per storie, significa imparare non solo a capirle e a raccontarle.Vuol dire crescere in acume e intelligenza riflessiva.E’ così che la coscienza, nata dal racconto giocando e per gioco, si inizia alla filosofia,alla poesia,al romanzo. La nostra stessa vita diventa in tal modo un testo a portata di mano per esercitarci a cercare questa plausibilità. La biografia di ognuno di noi ha un senso soltanto se colta in tal modo.Se ciòè può diventare autobiografia. Parlarne e scriverne è scoprire, però, che essa è sempre un po’ inconclusa, poiché chiede a noi,con le nostre storie personali, di aggiungervi qualcosa strada facendo.Una vita, finchè la si vive ed oltre, se qualcuno ci farà il dono di raccontarla, è esposta ad ogni mutamento indotto non solo dai fatti, ma dagli stessi racconti che essa autoproduce.Ciascuno,se non può cambiare la vita che ha ,può almeno immaginarla diversa ricorrendo alla scrittura soprattutto.Attingendo comunque a quel che visse o va vivendo.Ogni nostro pensiero si nutre della materia esistenziale che abbiamo conosciuto direttamente.Trasformadola in rinnovata memoria.Nulla di più impuro.Dal momento che questa si presenta ogni volta,sempre manipolata,tradita,reinventata.E’dunque ogni nostro pensare di natura autobiografica. Il nostro compito è giungere a questa consapevolezza,attraverso il farne diretta e interminabile pratica:scrivendo,dipingendo,inscenando,musicando,favoleggiando le nostre storie personali. Ciò che le rende tali , è l’insieme di nessi (un intrigo di intrighi) che riesce a metterle in una rete di tanti significati diversi ,pronti a ridischiudersi se li abbiamo vissuti come un gioco libero e di libertà. La differenza tra narrazione e comunicazione sta proprio in questo:se è impossibile non saper comunicare(fosse solo con un grido,una presenza corporea,un gesto),è invece possibile non saper narrare.Ne discende tutta l’importanza di aiutare la mente ad imparare a raccontare e a raccontarsi meglio.La narrazione,difatti,più della comunicazione, è frutto di una educazione ricevuta o in corso,nascendo essa sempre in una cultura.Non sappiamo narrare,se non ci viene insegnato ad attingere alle storie che ci hanno preceduto e ci stanno intorno.Potremmo anche saper parlare,senza però riuscire a collegare il prima con il dopo in un vaniloquio inconcludente.Senza essere appunto narratori.Ciò si verifica quando quel che diciamo non ha né capo né coda,non un principio,né una conclusione.Nè un antefatto, né un seguito ipotizzabile.Quando quel che incontriamo non colpisce,attrae,stupisce:senza lasciare una traccia che venga voglia di raccogliere e riproporre. D,Demetrio,Raccontarsi.L’autobiografia come cura di sé,Milano,Cortina 1996 D.Demetrio,Ricordare a scuola.Fare memoria e didattica autobiografica,Roma-Bari,Laterza,2003 D.Demetrio,Autoanalisi per non pazienti.Inquietudine e scrittura di sé,Milano,Cortina,2003 D.Demetrio,Filosofia del camminare.Esercizi di meditazione mediterranea.Milano,Cortina,2005 www.lua.it (Libera Università dell’autobiografia di Anghiari-Arezzo)