Il contributo dello sport nella promozione di una società etica e più umana Francesco Lazzari, Professore di Sociologia e di Sistemi sociali comparati, Università di Trieste In un‟epoca di crisi economico-finanziaria, ma ancor più di perdita di valori etici e motivazionali, ritengo fondamentale riproporre alcune, seppur parziali, riflessioni sulla dimensione etica dello sport. Una dimensione che non va intesa come meramente pertinente allo sport, ma che dallo sport si può irradiare a tutti i sottosistemi sociali e viceversa. Una dimensione, appunto, che non può disgiungersi dalle altre variabili - sociale, partecipativa, economica, organizzativa, statale, del vivere quotidiano, etc. - proprio perché trattasi di elementi che, tutti insieme, concorrono a impastare le nostre società. Un impasto che non riguarda solo lo sport, ma tutti i processi di partecipazione democratica e di corresponsabilità sociale su cui si basa, o dovrebbe basarsi, l‟energia vitale che intesse ogni autentica democrazia1. Etica e partecipazione democratica, etica e responsabilità e corresponsabilità sociale sono dimensioni strettamente interrelate e interdipendenti. E su queste vorrei soffermare la mia attenzione, consapevole della posta in gioco, che va ben oltre lo sport ma partendo appunto da questo. Lo sport, e l‟attività ludica in generale, sono un‟ottima rappresentazione della condizione umana. Essi possono aiutarci a conoscere, ma soprattutto a comprendere meglio, il travaglio esistenziale che ci interroga tutti. L‟uomo contemporaneo si deve confrontare con una società sempre più globalizzata, contraddittoria e dominata dal pensiero unico neoliberista che, come non bastasse, proprio in questi ultimi mesi è andato lui stesso in crisi con le sue “non previste” (si fa per dire) crisi e corruzioni finanziarie. 1 Per più ampi riferimenti si veda almeno: F. Lazzari, Persona e corresponsabilità sociale, FrancoAngeli, Milano, 2007. 1 La crisi dello Stato, crisi soprattutto etica oltre che crisi dei suoi modelli di welfare e di cittadinanza redistributiva, si manifesta in tutta la sua grandezza2. Uno Stato sopravanzato dal mercato e a fatica coadiuvato dalla società civile, anch‟essa sempre più incerta nella sua ricerca di senso e di valori capaci di dare risposte dense, per cui valga la pena mettere in gioco la propria vita. «Nella modernità liquida - ci ricorda Bauman - il tempo non è né ciclico né lineare, come normalmente era nella altre società della storia moderna e premoderna, ma invece „puntillistico‟ ossia frammentato in una moltitudine di particelle separate, ciascuna ridotta ad un punto»3. Un mare magmatico e pieno di insidie, che pare trasformare l‟individuo postmoderno in un essere della liquidità e della paura, oltre che dei saldi commerciali e consumistici in cui tutto sembra valorizzarsi nell'esperienza del momento, coniugata dal venir meno dei criteri di rilevanza che ci permettono di distinguere l'essenziale dal superfluo, il durevole dall'effimero4. Ciononostante le persone o perlomeno alcune persone - sentono l‟esigenza profonda di un nuovo contratto sociale, di una nuova cittadinanza, di diritti e doveri coniugati all‟interno di un quadro di riferimento che sappia valorizzare il bene comune, inteso come vantaggio dell‟essere uniti, «così da trarre dal sistema delle forze - come nella fisica - la risultante che muove oggettivamente la società verso il progresso»5 e, in definitiva, verso quella felicità che potrà più agevolmente scaturire da un attento equilibrio tra bisogni e aspirazioni, memoria e oblio, fondatezza e inconsistenza, costrizione e libertà. «Un bene - questo bene comune - che può essere prodotto soltanto assieme», che non è escludibile per nessuno, che non è frazionabile e che non è neppure concepibile come somma di beni individuali6. Non sono né lo Stato né il mercato che possono produrre questi «beni relazionali»: solo la comunità primaria è in grado di produrli. Il bene comune è cioè un nuovo modo di «fare società» che sa andare oltre le mere categorie di efficienza e utilità7. 2 F. Lazzari (2000), L’attore sociale fra appartenenze e mobilità. Analisi comparate e proposte socio-educative, Cedam, Padova, 2008. 3 Z. Bauman, Vite di corsa. Come salvarsi dalla tirannia dell'effimero, il Mulino, Bologna, 2009, p.IV. 4 Z. Bauman, L'arte della vita, Laterza, Bari-Roma, 2009. 5 P. Donati, Teoria relazionale della società, FrancoAngeli, Milano, 1991, p.156; F. Lazzari (cur.), Servizio sociale trifocale. Le azioni e gli attori delle nuove politiche sociali, FrancoAngeli, Milano, 2008. In questi passaggi i termini interesse comune e bene comune sono utilizzati come sinonimi, benché la preferenza vada per il secondo. 6 P. Donati, Teoria relazionale della società, op. cit., p.156. 7 Ibidem. 2 Un bene da costruire insieme e che nasce dalla consapevolezza che percorsi comuni e responsabilità/corresponsabilità si intrecciano. A ciascuno è richiesta onestà intellettuale e di giudizio, oltre che di azione, qualunque sia lo status, il ruolo e la funzione nella società in cui è chiamato a vivere. La nostra vita, ci ricorda Nelson Mandela, è una continua prova di fedeltà a questi valori8. È un‟opzione tra questi e il contrario di questi. Il libero arbitrio ci fa potenti e miseri nello stesso tempo. Nella paventata nuova ideologia risolutrice di ogni difficoltà, che vede nell‟efficienza e nella produzione i suoi canoni fondamentali, ci si convince viepiù che è solo accumulando risultati e conoscenze che l‟individuo può sentirsi più vicino a se stesso e all‟altro. Non si sa invece valorizzare l‟idea che è soprattutto mettendosi in situazione, vivendo esperienze personali-sociali e analizzando il proprio comportamento, e quello altrui, che la persona può percepire meglio le proprie pulsioni, i propri sentimenti e quelli degli altri, e comprendere meglio le relazioni9. L‟etica, la socialità, la corresponsabilità si apprendono facendone esperienza, mettendosi in situazione, vivendo relazioni. Non si apprendono se restano mere dichiarazioni formali, pure indicazioni verbali (o verbose) di educatori, genitori o adulti più o meno coerenti. È proprio all‟interno di queste riflessioni, a mio parere indispensabili e fondamentali, che si pone l‟esperienza del Panathlon. Decenni e decenni di storia che concorrono, con il lavoro gratuito entusiasta e formativo di molti, a scrivere intere pagine di vita: lavorare perché lo sport sia momento di incontro e di crescita globale e armonica della persona e di tutte le persone, e per il maggior numero possibile di persone. Lavorare perché la solidarietà e la corresponsabilità diventino oltre che valore dichiarato, anche metodo di lavoro che attraversa e dà sostanza ad ogni singola azione, ad ogni relazione intesa appunto come bene comune, come responsabilità di tutti e di ciascuno, come valore etico ed estetico, nella mente e nel cuore. Una prospettiva di crescita in grado di realmente privilegiare il sapere, il saper fare, il saper essere e il sapere essere insieme10. Sport come metafora e sostanza di questi saperi. Di saperi che non si collocano in sentieri lineari, ma che si costruiscono secondo 8 N. Mandela (1995), Lungo cammino verso la libertà, Feltrinelli, Milano, 2004. R. Cohen, L’approche socio-affective dans l’éducation pour la compréhension internationale au niveau des classes primaires, in «La Compréhension Internationale à l’Ecole», 33, Unesco, Paris, 1979; Nuovi programmi didattici per la scuola elementare, 1985. 10 J. Delors, Nell’educazione un tesoro nascosto, Armando, Roma, 1997. 9 3 criteri di circolarità e di integrazione tra teoria e pratica, secondo quella «conoscenza pertinente» posta da Edgar Morin11 come uno dei sette saperi necessari, «capace di cogliere i problemi reali», in grado di riallacciare quel «legame tra parti e totalità» e promuovere così «una cultura che sola può essere efficace per risolvere i problemi di una società complessa»12 qual è quella attuale. Una relazione tra allenatore e sportivo che potremmo chiamare di Pedagogia esperienziale13, in cui cioè si possano effettivamente vivere le sfide della competizione, della solidarietà, della sconfitta, della vittoria quali momenti formativi e promozionali. Tutte esperienze che possono coniugare e armonizzare un duplice sapere: il sapere cognitivo, ritenuto a torto sempre prioritario, e il sapere emotivo-affettivo, quasi sempre trascurato e che invece rappresenta una dimensione essenziale nella formazione integrata ed equilibrata della persona. Solo l‟integrazione dei due saperi anche sul campo potrà offrire reali possibilità di trasformare l‟incontro sportivo in una reale costruzione e promozione di sé e dell‟altro, nell‟accettazione di differenze, limiti, alterità, diversità, lacune, sfide. Il concepire l‟attività sportiva all‟interno di una siffatta impostazione (non solo dichiarata, ma soprattutto praticata) potrebbe/dovrebbe permettere di intervenire nel quotidiano dei comportamenti, dei simboli, delle speranze, dell‟etica, della solidarietà e dell‟affermazione delle libertà e della partecipazione democratica. Un cammino che si delinea, appunto, facendo, che si costruisce giocando, e che si sostanzia nella sfida sportiva qualora lo sport si ponga come valore umano. E da questo, si irradia a tutte le dimensioni del vivere e a tutti i più diversi sottosistemi sociali, facendo dello sport non solo una palestra di vita, ma vita stessa, di apprendimenti e di vissuti che restano indelebili nel cuore e nella mente di chi li ha sperimentati e interiorizzati. 11 E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina, Milano, 2001. Cfr. amplius C. Desinan, Educazione e servizio sociale: le buone ragioni di una convergenza in F. Lazzari, A. Merler (cur.), La sociologia delle solidarietà, op. cit., p.297. 13 F. Lazzari, L’attore sociale fra appartenenze e mobilità…, op. cit. 12 4