LE TRATTATIVE PER L`ARMISTIZIO Il rapporto tra

annuncio pubblicitario
LE TRATTATIVE PER L’ARMISTIZIO
Il rapporto tra Italia e Alleati. Giugno 1940 – Settembre 1943
1. Inglesi e americani di fronte al problema Italia
Fin dalla sua entrata nel conflitto, l’Italia fu considerata l’anello debole dell’Asse e gli inglesi
predisposero dei piani per “far uscire” lo stato italiano dalla guerra il prima possibile: già il 21
agosto 1940 un rapporto della diplomazia inglese chiamato Joint Planning Staff individuava lo
stato italiano come l’obiettivo che doveva avere la politica offensiva britannica soprattutto
perché “un indebolimento delle forze armate italiane […] costringerebbe la Germania a
correre in aiuto dell’Italia, cosa che creerebbe un’ulteriore debolezza nel sistema nemico
provocata dall’innata avversione italiana per i tedeschi” 1; la strategia inglese era ora quella di
“costringere l’Italia a una capitolazione, inoltre la principale condizione di successo a questo
proposito è la distruzione della potenza navale italiana nel Mediterraneo” 2.
Il governo inglese, dopo la capitolazione della Francia, si trovava però solo a combattere
contro le forze dell’Asse e per questo prese in esame l’eventualità di una pace separata con
l’Italia, che come conditio sine qua non richiedeva altresì la caduta di Mussolini; per provocare
questa svolta politica, i vertici militari compilarono diversi memorandum sulle azioni da
adottare: il documento segreto, redatto dal colonnello Thornhill il 30 gennaio 1941,
descriveva passaggio dopo passaggio la creazione di un gruppo di prigionieri di guerra italiani
in Africa orientale chiamati “Legione Garibaldi”, i quali sarebbero stati addestrati dai generali
inglesi e poi mandati sul territorio italiano per “l’occupazione a tempo debito dei palazzi
governativi di Roma, delle caserme e delle stazioni […] la neutralizzazione delle forze militari
fasciste (Milizia) in collaborazione con reparti speciali inglesi” per arrivare a una “rivoluzione
che si diffonderà rapidamente in Italia portando alla cacciata del governo fascista e
all’insediamento di un regime filo britannico”3. Un’ulteriore conferma si può trarre da un
rapporto del generale Archibald Wavell, il quale sposò la proposta e aggiunse due
considerazioni: la straordinaria importanza della scelta del leader del contingente e il
suggerimento di reclutare e preparare il tutto in Eritrea, una volta strappata all’occupazione
italiana.
Cfr. Elena Aga Rossi, L’inganno reciproco. L’armistizio tra l’Italia e gli angloamericani del settembre 1943,
Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Roma, 1993, pagg. 85-86.
2 Cfr. Ibidem.
3 Cfr. Ibidem, pag. 241.
1
1
Anche gli Stati Uniti avevano analizzato a fondo la situazione dell’Italia all’interno dell’alleanza
con la Germania, e già prima della loro entrata nel conflitto sondarono il terreno per un’uscita
onorevole di Roma dalla guerra: alla fine del 1939 la politica di appeasement americana iniziò
con il viaggio di Myron Taylor (stretto consigliere di Roosevelt) in Vaticano per tentare di
avviare i colloqui tra governo statunitense e italiano, mentre nel marzo successivo il
sottosegretario di stato Sumner Welles propose ufficiosamente all’Italia di uscire dalla guerra
in cambio di un buon trattamento al tavolo della pace ma Mussolini respinse l’offerta,
convinto del successo dell’avanzata tedesca in Europa. Da questo momento gli americani
adottarono la linea dura riguardo al futuro dell’Italia, linea che sostituiva l’obiettivo della
“pace separata” con quello della “resa incondizionata”: conseguentemente nell’estate del 1942
il Dipartimento di stato americano stese un documento segreto nel quale si delineava una
bozza di resa incondizionata da imporre allo stato italiano al momento di una sua probabile
capitolazione4.
Negli stessi mesi a Londra si era aperto un forte dibattito tra chi perseguiva una “linea
morbida” (Churchill, l’ambasciatore a Madrid Hoare e l’ex ambasciatore a Roma Loraine) e chi
premeva per l’adozione della linea intransigente americana (il ministro degli esteri Eden e
gran parte del Foreign Office)5; nell’estate del 1942 Hoare tentò il tutto per tutto per riuscire
ad evitare la carta della resa incondizionata: come prima cosa concordò un appuntamento con
Dino Grandi, che gli inglesi vedevano come successore di Mussolini, in Spagna per parlare
della strategia bellica e politica italiana, ma sorprendentemente Galeazzo Ciano si oppose a
questo colloquio e non se ne fece nulla; successivamente, in novembre, perorò al Foreign
Office la causa di Emilio Lussu, che aveva sondato il terreno con gli inglesi per un’azione di
guerriglia concentrata in Sardegna da estendere poi in tutta Italia6: ma tutto ciò fu inutile,
perché Churchill si convinse a sposare la “linea dura” americana.
È utile ricordare che lo scenario militare dalla primavera-estate del 1941 era mutato
improvvisamente con la controffensiva di Rommel in Africa settentrionale e con il via
all’operazione Barbarossa, che provocò l’entrata in guerra dell’Unione Sovietica al fianco della
Gran Bretagna. Inoltre nel dicembre dello stesso anno entrarono in guerra anche gli Stati Uniti
d’America e il piano di guerra alleato cambiò totalmente: da una pressione solo sull’Italia a
Il documento fu ultimato il 25 settembre 1942 dal generale americano George V. Strong. Esso prevedeva che
una volta accettata la resa, l’Italia settentrionale sarebbe stata occupata dalle forze angloamericane e
successivamente da questa si sarebbe lanciata l’offensiva finale verso la Germania.
5 Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando. 8 settembre 1943, Bologna, Il Mulino, 2003, pagg. 40-45.
6 Dopo il rifiuto del governo inglese, Lussu si rivolse agli americani attraverso un suo emissario, Dino Gentili: gli
americani chiesero a loro volta un parere a Eden, che sconsigliò loro di proseguire nei colloqui.
2
4
una pressione rivolta direttamente sulla Germania con la previsione di uno sbarco massiccio
di truppe sulla costa francese, mentre l’apertura di fronti secondari veniva per il momento
accantonata. Ma la complessità di preparare un’operazione del genere fece propendere gli
americani per un rinvio della stessa alla prima metà del 1944 (a differenza del progetto
iniziale di uno sbarco praticabile per il dicembre 1942) convincendosi a cambiare obiettivo: fu
scelta l’Africa settentrionale, dove le truppe alleate sbarcarono nell’autunno 1942 per dare il
via all’operazione Torch, la nuova offensiva contro le truppe del generale Rommel. Con la
battaglia di El Alamein combattuta tra l’ottobre e il novembre 1942, la situazione in Africa si
stabilizzò a favore degli angloamericani e le divisioni italo tedesche furono costrette alla resa:
il Mediterraneo tornava saldamente nelle mani inglesi e l’Italia diveniva così il prossimo
obiettivo da raggiungere.
2. Da Casablanca all’operazione Husky
Dal 12 al 26 gennaio 1943 gli Alleati s’incontrarono a Casablanca per decidere le strategie da
attuare in Europa, dopo la vittoria militare in terra africana. Il dibattito verté sulla decisione di
procedere con l’invasione della Sicilia da effettuarsi in estate, operazione gestita dagli inglesi
che avrebbe avuto come obiettivi quelli di: rendere più sicura la linea di comunicazione del
Mediterraneo, alleggerire la pressione tedesca sul fronte russo (nella previsione che i tedeschi
sarebbero stati obbligati a inviare un grosso contingente di truppe in Italia per riparare
all’auspicabile debacle dell’esercito italiano), intensificare la pressione sull’Italia nella
speranza di provocare qualche scossone a livello politico7. L’invasione della Sicilia fu
promossa da Churchill e vide inizialmente il rifiuto degli americani, ma essi dovettero
ricredersi quando l’ambasciatore inglese a Mosca Clark Kerr disse che “se non apriamo un
secondo fronte in Europa, quest’estate la Russia farà una pace separata” 8 avendo avuto
sentori di trattative (interrotte poco dopo Casablanca) russo-tedesche per un armistizio.
Subito dopo la conclusione della conferenza, alcuni emissari dei vertici militari italiani presero
contatto con esponenti del governo inglese; dopo questo primo contatto, il ministro degli
Esteri inglese Eden scrisse a un diplomatico statunitense a Londra: nella missiva si diceva che
“uno dei nostri rappresentanti in Svizzera ha appreso che il maresciallo Badoglio è desideroso
di assumere il potere e di stabilire in Italia un governo militare” e che egli stesso “ha proposto
di inviare un emissario, il generale Pesenti, in Cirenaica per discutere un’azione coordinata
7
8
Elena Aga Rossi, L’inganno reciproco, pag. 117.
Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando, pag. 60.
3
entro e fuori l’Italia per rovesciare il regime fascista” 9; ma per il momento gli Alleati non
intensificarono i contatti con Badoglio non avendo il sentore che egli avrebbe potuto
costituire un punto di riferimento per Vittorio Emanuele III qualora gli eventi avessero
portato alla caduta di Mussolini.
Anche gli americani appoggiarono la linea diplomatica attendista del ministro degli esteri
britannico, infatti il parigrado di Washington Cordell Hull stese un rapporto indirizzato a
Londra nel quale egli spiegò che gli americani erano in totale accordo con le “non-decisioni”
inglesi, aggiungendo alcune postille sulle possibili evoluzioni della situazione italiana: il
rapporto rilevava come “l’Italia è oggi effettivamente occupata dai tedeschi […] ma un
occupazione reale richiederebbe manodopera aggiuntiva […] e si tratterebbe di una pesante
responsabilità supplementare per i tedeschi” e per quanto riguardava la monarchia “essa può
avere sufficiente appoggio dagli elementi conservatori (Esercito e aristocrazia) in Italia per
riuscire a conservare il potere sovrano almeno durante il periodo interinale tra il Regime
Fascista e il suo successore definitivo”10. Il rapporto descrisse anche l’azione di propaganda
alleata che doveva avvenire sull’Italia in questi termini: “1) impressionare gli italiani circa la
loro posizione disperata nel conflitto; 2) proseguire la guerra in Italia con tutta la forza
possibile; 3) incoraggiare la resistenza passiva e il sabotaggio dello sforzo bellico italiano; 4)
evitare di ridicolizzare le forze armate ed evitare di incitare il popolo a una rivolta prematura;
5) mantenere viva nel popolo la speranza che l’Italia sopravvivrà al Governo fascista e
dichiarare che gli Alleati non hanno alcun obiettivo territoriale”11.
In primavera s’intensificarono gli incontri tra i governi inglese e americano, nei quali si mise a
punto l’operazione di invasione del territorio italiano dalla Sicilia: si decise che l’isola, una
volta occupata, sarebbe stata affidata a un Governo Militare Alleato specificando che “in vista
dei sentimenti amichevoli verso l’America nutriti da un gran numero di cittadini italiani e in
considerazione del gran numero di cittadini che negli Stati Uniti che sono di discendenza
italiana, ritengo che il nostro problema militare sarà reso meno difficile attribuendo al
Governo Militare Alleato quanto più carattere americano sia possibile. Ciò potrebbe essere
attuato, almeno in una certa misura, nominando negli uffici del Governo Militare Alleato una
larga porzione di americani”12: queste le indicazioni dirette del presidente Roosevelt.
Mario Toscano, Dal 25 luglio all’8 settembre, Firenze, Le Monnier, 1966, pagg. 20-21.
Ibidem, pagg. 23-27.
11 Ibidem.
12 Telegramma di Roosevelt a Churchill del 14 aprile 1943, in Mario Toscano, op. cit., pag. 30.
9
10
4
Il 24 aprile gli angloamericani completarono il testo della resa incondizionata per l’Italia,
documento che fu inviato pochi giorni dopo a tutti i dipartimenti governativi di Londra e di
Washington e dal titolo anticipatore “Da utilizzare nel caso che l’Italia chieda un armistizio
mentre continua la guerra con la Germania”: il testo enunciava il riconoscimento della
sconfitta italiana e l’impossibilità per l’Italia di continuare la guerra, oltre che l’obbligo di
cessare ogni attività bellica contro gli Alleati, la consegna dei mezzi navali che dovevano
essere trasportate nei porti militari alleati, la libertà assoluta di movimento alleato sul
territorio, la consegna dei prigionieri di guerra ai generali americani. Si discusse inoltre se
fosse utile lanciare un’operazione di propaganda tra la popolazione siciliana nel mese
antecedente lo sbarco, e si trovarono contrapposti il generale Eisenhower e il ministro degli
esteri inglese Eden: il primo era favorevole a un fitta operazione di propaganda “morbida” per
tranquillizzare i siciliani sulle buone intenzioni degli alleati, mentre il secondo voleva
attendere il buon esito dell’operazione Husky (così fu ribattezzato il piano di invasione della
Sicilia); alla fine ci si allineò a Eden, preparando un messaggio alla popolazione italiana che
sarebbe stato “lanciato” al momento più opportuno.
In Italia nel frattempo il Re e Mussolini sapevano che lo sbarco angloamericano era
inevitabile, ma si pensava che l’esercito italiano sarebbe stato in grado di resistere,
commettendo un grande errore di sottovalutazione dell’avversario: a questo proposito
Vittorio Emanuele III confidò a Dino Grandi che “le nostre truppe resisteranno,
combatteranno. Abbiamo ancora davanti a noi del tempo per maturare decisioni che […]
prenderò al momento opportuno” e sulle eventuali svolte politiche che avrebbero seguito
un’ulteriore debacle in Sicilia il monarca confidò allo stesso Grandi “Ella si fidi del suo Re” 13. In
modo abbastanza evasivo, Vittorio Emanuele aveva lasciato intendere che stava già pensando
a un eventuale sostituzione di Mussolini, visto come unico responsabile della disastrosa
situazione militare italiana: il nome che circolava tra i militari e i consiglieri più stretti della
Corona era quello del maresciallo Pietro Badoglio, comandante in capo delle forze armate
italiane fino al dicembre 1940; come si è già visto, egli aveva già fatto un tentativo per aprire
un canale di trattativa con gli inglesi, probabilmente sapendo che non sarebbe passato molto
tempo per una sua investitura ufficiale. L’unica paura del Re era la reazione dei gerarchi
fascisti a una sostituzione di Mussolini al governo ma a tranquillizzare Vittorio Emanuele ci
pensò il duca Acquarone, ministro della Real Casa e consigliere regio più fidato, il quale
Dino Grandi, Pagine di diario del 1943, in Storia contemporanea XIV (1983) n. 6, pagg. 1059-1060, citato in
Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando, pag. 57.
13
5
suggerì che alcuni gerarchi fascisti erano pronti a mollare Mussolini e il paese, con un coup de
teatre del genere, si sarebbe stretto attorno alla monarchia14.
Oltre al tentativo “svizzero”, Badoglio si era già informato sui colloqui che alcuni membri di
spicco della monarchia ebbero per arrivare a un uscita dell’Italia dalla guerra: nel 1942 vi
furono infatti le missioni di Maria Josè di Savoia a Lisbona e del Duca d’Aosta a Londra, e nel
dicembre dello stesso anno il maresciallo scrisse al segretario di stato in Vaticano cardinale
Maglione che egli “si metteva a disposizione per la liquidazione del governo fascista e la
creazione di un governo Badoglio”15; nella primavera del 1943 il maresciallo ebbe una fitta
serie di riunioni con i vertici delle forze armate (tra le quali il generale Ambrosio, comandante
in capo delle forze armate italiane dal febbraio 1943), con i rappresentanti dei partiti
antifascisti (Ivanoe Bonomi più di tutti) e con il duca Acquarone per conto di Vittorio
Emanuele. La sicurezza di Badoglio nasceva dal fatto che, nell’eventualità di una sostituzione
di Mussolini, un governo retto ancora da un fascista seppur “moderato” come Grandi o Ciano
avrebbe scontentato l’opinione pubblica, mentre un governo retto da un esponente dei partiti
antifascisti, come lo stesso Bonomi, avrebbe dato la sensazione di una forte virata a sinistra e
probabilmente non sarebbe stato accettato dagli Alleati. All’inizio dell’estate tutti erano
convinti della necessità di un cambio alla guida del paese ma Vittorio Emanuele tentennava
ancora, temendo lo scatenarsi di una rivolta popolare.
Alle ore 4:45 della notte tra il 9 e il 10 luglio gli angloamericani diedero il via all’operazione
Husky: lo sbarco in Sicilia avvenne sulle spiagge di Gela, Pachino, Siracusa e vide la
partecipazione di tredici divisioni alleate, delle quali sei provenienti dalla VII armata e sette
appartenenti all’ VIII armata, che ebbero come copertura la potenze di 4000 aerei e 1380 navi;
le forze dell’Asse nell’isola consistevano in nove divisioni italiane e quattro divisioni tedesche
per un totale di 405 mila soldati. La resistenza italiana si sgretolò come neve al sole davanti
alla maggiore potenza di fuoco alleata e il rapido avanzamento delle truppe angloamericane
accelerò l’erosione del governo fascista e la fiducia verso Mussolini: il Duce stesso infatti
aveva assicurato che l’esercito italiano avrebbe respinto “sul bagnasciuga” un’invasione
alleata del territorio siciliano solamente poche settimane prima; a tutto ciò si aggiunsero le
diserzioni in massa di soldati italiani di origini siciliana che ne approfittarono per tornare
14
15
Cfr. Ibidem.
Piero Pieri, Giorgio Rochat, Pietro Badoglio. Maresciallo d’Italia, Milano, Mondadori, 2002, pag. 517.
6
dalle proprie famiglie, ma anche interi reparti che si sciolsero volontariamente e navi
stanziate nei porti dell’isola che furono abbandonate da gran parte dell’equipaggio 16.
Approfittando di questo senso di smarrimento della popolazione, Roosevelt e Churchill
stilarono un proclama indirizzato a tutti gli italiani e distribuito il 16 luglio dagli aerei
angloamericani sulle maggiori città italiane; in esso vi era scritto che “le forze armate degli
Stati Uniti e della Gran Bretagna […] stanno penetrando profondamente nel territorio del
vostro paese. Ciò è la conseguenza diretta del vergognoso governo al quale siete stati
assoggettati da Mussolini e dal suo regime fascista […] la sola speranza di salvezza per l’Italia
è in una capitolazione onorevole di fronte alla superiorità schiacciante delle forze militari
delle Nazioni Unite” e la conclusione metteva la popolazione di fronte ad un bivio: “E’ giunta
per voi italiani l’ora di ascoltare la voce della vostra dignità, del vostro interesse, del vostro
desiderio di veder restaurati il decoro, la sicurezza e la pace del vostro paese. È giunta per voi
l’ora di decidere se gli italiani debbano morire per Mussolini e Hitler o vivere per l’Italia e la
civiltà”17.
3. Il Gran Consiglio e la caduta di Mussolini
La drammatica situazione militare obbligò Hitler a un incontro con Mussolini per discutere
della disastrosa condotta militare in Sicilia: i due dittatori si videro a Feltre il 19 luglio e lì il
Duce rassicurò il Führer sulla fedeltà italiana all’Asse e in più diede l’assenso per l’ingresso
delle truppe tedesche nel nord dell’Italia al fine di fermare la probabile avanzata alleata
nell’Italia meridionale. Hitler però, in segreto, stava già pianificando l’invasione dell’Italia
centro-settentrionale in caso di “tradimento” dell’alleato italiano: questa ipotesi fu suggerita a
Hitler da Rommel già il 20 maggio in una riunione al Quartier generale tedesco, nella quale il
generale spiegò come gli italiani stessero pensando a una sostituzione di Mussolini e a un
repentino cambio di fronte militare18. I piani per l’operazione Alarico furono ultimati poco
prima dell’incontro di Feltre; Rommel poi, assieme al generale Kesserling, redasse i piani per
l’occupazione militare della città di Roma, nome in codice operazione Achse.
In questo clima di esasperazione civile e militare, a Roma s’intensificarono le manovre per la
sostituzione di Mussolini anche da parte dei gerarchi fascisti, i quali avevano compreso la
realtà della sconfitta militare italiana e l’esigenza di rimpiazzare il Duce per arrivare a un
Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando, pag. 68. Nella divisione “Assietta” le diserzioni registrate furono
9110 e nella divisione “Aosta” quasi 2700, tra cui ben 51 ufficiali.
17 Elena Aga Rossi, L’inganno reciproco, pagg. 121-122.
18 Rommel era tenuto aggiornato sulla situazione dalle numerose spie tedesche presenti a Roma.
16
7
accordo con gli Alleati. Da una parte Badoglio intensificò i colloqui con esponenti antifascisti
moderati per farli entrare nel suo governo, ma il Re preferiva una lista di tecnici (militari e alti
burocrati) e il maresciallo d’Italia si adeguò alle volontà di Vittorio Emanuele; dall’altra Dino
Grandi chiese a Mussolini di convocare il Gran Consiglio, l’organo supremo del regime, per
discutere del disastro militare italiano e dell’inefficace resistenza in Sicilia: il Duce acconsentì
e fissò la data della riunione (cosa che non succedeva dalla primavera del 1939) per il 24
luglio. Anche Mussolini comunque capì che l’unica cosa da fare per salvare l’Italia dalla
disfatta totale era trattare con gli Alleati, in particolare con il governo inglese il quale aveva
maggiore esperienza sulla situazione italiana, grazie all’amicizia con Dino Grandi maturata nel
suo periodo di ambasciatore a Londra; il 18 luglio Mussolini diede mandato a Bastianini,
sottosegretario agli Esteri, di volare in Gran Bretagna per avviare le trattative: ma gli inglesi
ormai erano decisi nel non approfondire i colloqui con l’Italia finchè Mussolini stesso fosse
rimasto capo del governo19.
Dino Grandi, due giorni prima della riunione, ultimò la mozione da presentare al Gran
Consiglio e da mettere ai voti: l’ordine del giorno prevedeva un ritorno del potere militare
essenzialmente al Re e allo stesso tempo un richiamo delle prerogative statutarie della
monarchia; implicitamente la mozione era una sfiducia alla dittatura fascista e a Mussolini, il
quale fu informato da Grandi del contenuto del documento ma non se ne preoccupò granché.
Alle 17 del 24 luglio 1943 si aprì la discussione che durò quasi sei ore: il colpo di scena
accadde quando il segretario del PNF Scorza propose di votare un secondo ordine del giorno
completamente favorevole a continuare la guerra al fianco dei tedeschi e a lasciare che il
paese venisse invaso completamente dalla Wehrmacht; a questo punto il Duce si trovò
spiazzato poiché la mozione Scorza era in contrasto con quello che Mussolini aveva promesso
a Vittorio Emanuele (e a se stesso), in altre parole un’uscita onorevole dell’Italia dalla guerra.
Il capo del governo fu così costretto a mettere ai voti l’ordine del giorno Grandi, il più
moderato dei due proposti: la votazione avvenne alle 3 del mattino e il risultato fu di 19 voti
favorevoli (tra i quali Grandi, Bottai e Ciano), 8 contrari (con Farinacci) e 1 solo astenuto (il
presidente del Senato Suarto): il Duce era stato sfiduciato dal suo Gran Consiglio 20. La mattina
del 25 luglio Vittorio Emanuele, rafforzato dall’esito della riunione, decise di procedere: alle
13 convocò Badoglio e gli affidò l’incarico di formare il nuovo governo, con la lista dei ministri
Per maggiori dettagli sul viaggio di Bastianini a Londra e le frenetiche giornate del 18-19 luglio si veda Mario
Toscano, Dal 25 luglio all’8 settembre, pagg. 149-161.
20 Per maggiori dettagli sul Gran Consiglio del 24-25 luglio 1943 si vedano Paolo Nello, Un fedele disubbidiente.
Dino Grandi da Palazzo Chigi al 25 luglio, Bologna, 1993 e Dino Grandi, 25 luglio: quarant’anni dopo, a cura di
Renzo De Felice, Bologna, 1983.
19
8
concordati nei giorni precedenti; alle 17 chiamò Mussolini al Quirinale, pregandogli di
arrivare senza scorta: il Re ufficializzò al Duce la sua destituzione, seguita dall’arresto e dal
suo trasferimento coatto all’isola di Ponza.
4. I quaranta giorni
Il 27 luglio il governo Badoglio s’insediò ufficialmente e come prima cosa, per non suscitare
sospetti nel governo tedesco, il maresciallo d’Italia s’affrettò a emettere un proclama nel quale
avvertiva il popolo italiano con la famosa frase “la guerra continua”, anche se ai più (tedeschi
compresi) sembrò un tentativo di prendere tempo per far ripartire le trattative con gli
americani; ora l’Italia aveva di fronte a sé tre soluzioni per concludere il conflitto: 1)
denunciare la fine dell’alleanza con la Germania e attuare immediatamente un passaggio di
fronte, ponendosi a fianco degli angloamericani; 2) non rompere l’alleanza con la Germania
ma tentare di convincere i tedeschi a non opporsi a una pace separata tra l’Italia e gli
angloamericani; 3) fingere di voler continuare la guerra a fianco dei tedeschi, iniziando nello
stesso tempo le trattative con gli angloamericani per una resa21: si optò per quest’ultima
soluzione.
Nel frattempo la notizia della caduta di Mussolini giunse agli inglesi e agli americani i quali
accolsero la stessa con stupore, per questo furono redatti immediatamente dei rapporti su
come agire con il nuovo governo italiano: Churchill scrisse a Roosevelt che “i cambiamenti
annunciati in Italia preludono probabilmente a proposte di pace […] a ogni modo Hitler si
deve sentire molto solo con Mussolini fuori scena” e anche la risposta del presidente
americano sottolineò come “la caduta di Mussolini implicherà il crollo del regime fascista,
mentre il nuovo governo del Re e di Badoglio cercherà di negoziare una pace separata con gli
Alleati”22. Gli angloamericani s’accordarono per redigere un messaggio da inviare alla
popolazione italiana nel quale si rallegravano della caduta del Duce, considerato “il più grande
ostacolo che divideva il popolo italiano dalle Nazioni Unite”, e rassicuravano gli italiani
sull’intenzione di cacciare i tedeschi dalla penisola, “purché tutti i prigionieri britannici e
alleati ora nelle vostre mani ci vengano restituiti salvi e non siano trasportati in Germania” 23.
Il governo Badoglio si trovava ora di fronte alla difficoltà di intensificare i contatti con gli
angloamericani cercando allo stesso tempo di tranquillizzare i tedeschi sulla fedeltà italiana
Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando, pagg. 72-73.
Elena Aga Rossi, L’inganno reciproco, pagg. 127.
23 Ibidem, pag. 322
21
22
9
all’Asse: naturalmente per i tedeschi era forte la probabilità che l’Italia uscisse in un modo o
nell’altro dall’alleanza, per questo decisero di focalizzare l’attenzione sulla situazione interna
italiana. Hitler premeva per un colpo di stato con arresto del Re e di Badoglio e la
restaurazione del regime fascista, affidando il governo a un fedelissimo come Farinacci, ma
poi Goebbels e altri gerarchi consigliarono di far finta di credere alle rassicurazioni italiane,
intensificando però l’invio di truppe nella penisola, in particolare nel Mezzogiorno: infatti la
preoccupazione principale in caso di abbandono italiano dell’alleanza e di uno sbarco alleato
sul continente, era quella che le truppe tedesche fossero tagliate fuori e isolate. In alcuni casi
vi furono soprusi nei confronti di militari e civili che fecero adirare il Comando Supremo
Militare, nella persona di Roatta: egli avrebbe scritto in seguito che “la nostra situazione
militare […] non ci permetteva di opporci con la forza ai provvedimenti del Reich”, inoltre “le
misure prese dallo Stato Maggiore […] non ebbero però il carattere di un’aperta materiale
opposizione ma ebbero carattere precauzionale e armonizzato con le necessità, allora
considerati preminenti, della difesa contro gli angloamericani”24. Gli stessi mutarono la loro
posizione intransigente nei confronti delle richieste italiane quando seppero dell’avvenuta
rimozione di Mussolini: a questo proposito già il 28 luglio Churchill scrisse a Roosevelt che
“non dovremmo essere troppo schizzinosi nel trattare con un governo non fascista […] ora che
Mussolini se n’è andato io aprirò trattative con un governo italiano non fascista che sia in
grado di tener fede agli impegni”25; il presidente americano era d’accordo con la linea del
primo ministro inglese, lasciando agli italiani la possibilità di fare il primo passo.
A questo punto Badoglio e Vittorio Emanuele sciolsero gli indugi e delegarono il marchese
Blasco d’Aieta Lanza, consigliere dell’ambasciata italiana a Lisbona ed ex capo di gabinetto di
Ciano al Ministero degli Esteri, di iniziare la trattativa per l’armistizio; il diplomatico riuscì a
prendere contatto con il parigrado britannico Robert Campbell, ma partì con il piede sbagliato
poiché si discusse solo di possibili nuovi sbarchi alleati sul continente italico e non si fece
cenno all’accettazione di una resa senza condizioni da parte dell’Italia rendendo la situazione
paradossale: Roma, che ufficialmente era ancora alleata con i tedeschi e nemica degli alleati,
voleva discutere le future manovre militari degli angloamericani come un alleato qualsiasi!
Per questo la prima proposta fu rispedita al mittente e tutto ciò dimostrava come il governo
non avesse inteso la drammatica situazione nella quale l’Italia si trovava; Campbell invece la
illustrò al meglio in un telegramma a Londra nel quale affermava che “i tedeschi sono
Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando, pag. 77.
Winston Churchill, La seconda guerra mondiale, vol. V, La morsa si stringe, Milano, 1951, pagg. 72-74 in ibidem,
pag. 87.
10
24
25
furiosamente arrabbiati. Sono decisi a non lasciare liberi gli italiani e, se ci riescono, a fargliela
pagare cara. Hanno il controllo completo. Hanno una divisione corazzata proprio fuori Roma e
marceranno nelle città se vi è qualche segno di debolezza da parte degli italiani […] in queste
circostanze il Re e Badoglio non hanno alternative che fingere di continuare la lotta […] egli
(Lanza) non ha mai fatto cenno ai termini di pace e l’intera sua storia non è stato altro che un
appello a salvare l’Italia dai tedeschi e anche da se stessa e di farlo il più velocemente
possibile”26.
In quei febbrili giorni tra luglio e agosto altri canali di trattativa con gli inglesi furono aperti:
uno da Alberto Berio, ambasciatore italiano ad Algeri, il quale incontrò il parigrado britannico
e gli comunicò che Badoglio era pronto a trattare con il governo di Sua Maestà ma allo stesso
tempo era impossibilitato a farlo di persona per il totale controllo dei tedeschi della zona di
Roma, in più avvertì che almeno una divisione corazzata tedesca era pronta a occupare la
capitale che sarebbe stata affidata a un governo militare. L’altro di un uomo d’affari italiano,
tal Pierino Bussetti, che prese contatto con il console generale britannico affermando di aver
ricevuto mandato da Ivanoe Bonomi, Vittorio Emanuele Orlando, Pasquale Saraceno e altri
politici costituiti nel “Comitato d’azione dell’Italia libera”; questi spiegò che il governo
Badoglio stava solo tentando di fare una pace di compromesso e non rappresentava il vero
volere della nazione, quello di lottare contro il nazifascismo e chiese agli Alleati un
riconoscimento ufficiale come governo provvisorio italiano. Questi tentativi di personaggi
poco importanti nello scacchiere politico italiano irritarono gli inglesi che il 5 agosto fecero
capire che l’unico modo di arrivare all’armistizio era, per l’Italia, quello di mettersi nelle mani
dei governi alleati che avrebbero stabilito poi le loro condizioni, prevedendo una
capitolazione onorevole; inoltre s’invitavano il governo e la monarchia a scegliere
rappresentanti più qualificati e più presentabili.
Nella conferenza di Tarvisio del 6 agosto Hitler dichiarò a Badoglio che avrebbe iniziato
l’invasione dell’Italia settentrionale per creare una linea difensiva che facesse fronte a una
probabile risalita alleata della penisola, cosa che convinse il governo italiano a dare
un’accelerazione decisiva alle trattative per uscire dalla guerra. Il comando delle operazioni
passò interamente a una ristretta cerchia di alti gradi dell’Esercito, escludendo quindi dalle
decisioni la Marina e l’Aviazione: ne facevano parte il Re, Badoglio, il duca Acquarone, i
generali Ambrosio e Guariglia, coadiuvati dai generali Castellano, Zanussi, Roatta e Carboni:
nessun altro avrebbe avuto conoscenza delle operazioni in corso tra Italia e Alleati.
26
Elena Aga Rossi, L’inganno reciproco, pagg. 161-162.
11
Il 12 agosto una delegazione italiana partì con un treno diretto a Madrid ufficialmente per un
colloquio con il governo spagnolo: sul treno però si trovava anche il generale Giuseppe
Castellano, colui il quale era stato incaricato s’intensificare il contatto con gli Alleati e giungere
a un accordo di base per l’armistizio. Ma chi era Castellano? Egli non aveva certo una lunga
esperienza di alti gradi militari (nominato generale alla metà del 1941) ma era il più stretto
collaboratore del capo di stato maggiore Ambrosio e inoltre aveva avuto un ruolo, seppur
marginale, nel colpo di stato del 25 luglio; le istruzioni date a Castellano erano comunque di
non giungere immediatamente a un accordo totale sulle condizioni di resa, ma comunicare
notizie sulla situazione italiana, sollecitare gli angloamericani ad attuare un consistente aiuto
militare per lo sganciamento dai tedeschi e chiedere informazioni sui progetti alleati di
invasione della penisola27.
Il giorno 14 Castellano incontrò l’ambasciatore britannico a Madrid Sir Samuel Hoare e gli
esplicò come fosse drammatico il momento per lo stato italiano: l’intero paese voleva la pace,
l’esercito italiano era male armato, non vi era un’aviazione efficiente e le truppe tedesche
stavano affluendo attraverso il Brennero; inoltre qualora gli Alleati avessero deciso di
sbarcare in massa sul continente, gli italiani li avrebbero affiancati nella lotta al nemico
nazista. Hoare a quel punto disse in modo chiaro a Castellano che l’Italia in quel momento non
era nella condizione di suggerire agli Alleati le misure da prendere nell’immediato futuro e il
generale rispose ammettendo che un’eventuale richiesta di resa senza condizioni sarebbe
stata accettata dal governo italiano purché ci si potesse unire al più presto nella lotta contro i
tedeschi; al termine del colloquio Castellano ricordò a Hoare di informare con urgenza il
comando alleato e di attendere una seconda “convocazione” per ultimare le trattative.
Quello stesso giorno Churchill e Roosevelt si ritrovarono a Quebec, in Canada, per una
conferenza sulle future mosse militari in Europa: la relazione dell’incontro Castellano-Hoare
fu inviata a Churchill dal ministro degli esteri Eden il quale però non sembrava fidarsi del
generale inviato da Roma; al contrario, i capi di governo inglese e americano si rallegrarono
del cambio di prospettiva italiano paventato da Castellano e decisero di agire invitando il
generale Eisenhower a mandare a Lisbona due rappresentanti del Quartier Generale alleato di
Algeri con il testo che sarebbe stato redatto in Canada e inviato immediatamente nella
capitale portoghese. Il testo denominato “Dichiarazione di Quebec” affermava che le
condizioni di armistizio non prevedevano l’aiuto attivo dell’Italia nella lotta contro i tedeschi
ma un’eventuale modifica delle condizioni di armistizio sarebbe dipesa dall’apporto dato dal
27
Cfr. Piero Pieri e Giorgio Rochat, Pietro Badoglio, pag. 534.
12
governo e dal popolo italiano alle Nazioni Unite contro la Germania durante il resto della
guerra28. Il 18 Castellano si spostò a Lisbona dove giunsero i rappresentanti di Eisenhower
generali Walter Bedell Smith e Kenneth W. Strong, che il giorno seguente discussero con
Castellano; Smith illustrò subito a Castellano che l’armistizio eventualmente raggiunto
sarebbe stato ritenuto valido solo dal punto di vista militare e aggiunse che, nonostante la
resa incondizionata fosse imprescindibile, gli Alleati avrebbero assistito e aiutato quegli
italiani che avessero tentato di ostacolare lo sforzo militare tedesco. A questo punto Smith
consegnò a Castellano il testo del cosiddetto “armistizio breve” ultimato nella conferenza di
Quebec, poi il generale italiano fu lasciato solo qualche ora; al rientro dei rappresentanti
alleati, Castellano prima spiegò che bisognava ridurre al minimo le più che probabili
rappresaglie tedesche nella penisola, poi dichiarò di dover sottoporre le condizioni di
armistizio ai propri superiori e i generali Smith e Strong acconsentirono.
Queste conversazioni durarono circa tre giorni ma per una serie di contrattempi, il treno per il
ritorno a Roma di Castellano fu disponibile solo per il 27; Badoglio e il Re non si aspettavano
che Castellano portasse avanti così fortemente le trattative con gli angloamericano perciò,
insospettiti dalla lunghezza della missione, il 24 agosto inviarono in Portogallo il generale
Zanussi che però fu letteralmente requisito dagli alleati, poiché essi temevano un ulteriore
allungamento dei tempi di decisione.
Finalmente il 28 agosto Castellano potè rientrare a Roma, mentre Zanussi venne trasferito ad
Algeri e lì messo in condizione di “arresti domiciliari” per evitare una sua intrusione nei
colloqui romani; Badoglio a questo punto riteneva di avere ancora del tempo per valutare la
proposta alleata, per questo decise di elaborare insieme a Castellano delle ulteriori
controproposte da mettere sul tavolo della discussione con gli angloamericani, proposte che
furono elaborate in riunioni fiume tenutesi a Roma tra il 28 e il 30 agosto. La prima di queste
vide Castellano comunicare a Badoglio e al ministro degli Esteri Raffaele Guariglia il contenuto
della proposta americana di resa incondizionata, e la divisione dell’armistizio in una parte
detta “breve” da firmarsi immediatamente e da una parte detta “lunga” con clausole più
dettagliate da ufficializzare una volta stabilita la situazione nella penisola (a Castellano fu
mostrata la bozza di armistizio breve, mentre la bozza di armistizio lungo fu mostrata solo a
Zanussi, nel Quartier Generale Alleato di Algeri); il giorno seguente, 29 agosto, s’informò il Re
sugli esiti dei colloqui portoghesi e Vittorio Emanuele concordò con Badoglio il fatto che
28
Cfr. Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando, pag. 95.
13
nell’incontro successivo con gli Alleati si sarebbe chiesta una proroga delle trattative per
riflettere sull’immediato futuro militare italiano.
I generali angloamericani fissarono il nuovo appuntamento a Castellano per il 31 agosto a
Cassibile, piccola frazione del comune di Siracusa, per chiudere le trattative con la firma
dell’armistizio; da segnalare che le comunicazioni sul luogo dell’incontro passarono per
importanti figure di spicco del Vaticano quali gli ambasciatori Osborne e Taylor,
rispettivamente britannico e statunitense. Il rappresentante italiano questa volta era munito
di un appunto autografo di Badoglio che precisava le ultime direttive e proposte deliberate
nelle riunioni romane dei due giorni precedenti: in questo documento spicca la frase “noi non
possiamo accettare dichiarazione armistizio se non a sbarchi avvenuti di almeno quindici
divisioni, la maggior parte di esse tra Civitavecchia e Spezia”29 che mostra come per gli italiani
fosse necessario non rimanere indifesi di fronte alla reazione tedesca, unico punto sul quale il
governo italiano non voleva transigere.
La prima sorpresa per il generale Castellano, giunto in Sicilia nella tarda mattinata del 31
agosto, fu l’incontro con il generale Zanussi, che gli Alleati portarono a Cassibile per poi
liberarlo una volta firmato l’armistizio: Castellano chiese il motivo della sua presenza e
Zanussi spiegò che lo aveva inviato Ambrosio; i due però non ebbero il tempo di scambiarsi le
informazioni necessarie sulle due bozze di armistizio preparate dagli Alleati, e questo permise
ai generali angloamericani di evitare ulteriori perdite di tempo e ripensamenti italiani
dell’ultimo momento. Bedell Smith illustrò subito agli italiani l’impellente necessità di
raggiungere un accordo di massima in giornata e di procedere il giorno seguente alle firme,
mentre Castellano (che aveva ricevuto da Badoglio l’ordine di non firmare nulla prima di
essere rientrato a Roma) sembrò tentennare di fronte ai continui dinieghi dei generali alleati
di fronte alle richieste italiane; a questo punto gli Alleati fecero credere di essere disposti a
effettuare uno sbarco massiccio a sud di Roma, dopo una serie di piccoli sbarchi atti a
confondere le difese tedesche, e inoltre sostennero che l’annuncio dell’armistizio sarebbe
stato dato soltanto sei ore prima dell’inizio delle operazioni militari30. Gli angloamericani
sapevano benissimo che il grande sbarco sul quale gli italiani puntavano era in realtà di
impossibile realizzazione, poiché Badoglio chiedeva l’utilizzo di dieci-quindici divisioni e il
dato fa ancora più scalpore se lo si paragona a quello relativo allo sbarco in Normandia, per il
quale furono necessarie cinque divisioni.
29
30
Ruggero Zangrandi, L’Italia tradita. 8 settembre 1943, Milano, Mursia, 1971, pagina 78.
Ibidem, pagina 84.
14
Se è vero che da parte alleata vi fu in questo caso un gigantic bluff (come lo descrisse la
letteratura militare americana in seguito), anche da parte italiana le informazioni rivelate agli
alleati non erano del tutto vere: Castellano descrisse un esercito italiano in grado di aiutare in
modo sostanzioso il futuro sbarco alleato sul continente e soprattutto rassicurò gli Alleati che
la città di Roma sarebbe stata difesa senza problemi, se gli americani avessero mandato in
supporto una divisione aviotrasportata nei pressi della capitale. Verso sera le due parti erano
molto vicine e così Castellano rientrò a Roma, mentre gli americani iniziarono a redigere i
piani concordati con gli italiani: il giorno seguente Eisenhower inviò al Comando Supremo
Militare italiano una comunicazione nella quale si specificava che “è di massima d’accordo
d’inviare una grande forza di truppe aeree nelle vicinanza di Roma a un tempo opportuno
purché le condizioni necessarie formulate a voi dal Generale Smith alla conferenza siano
garantite dagli Italiani”31.
Il 1° settembre nell’ufficio di Badoglio al Viminale si riunirono lo stesso Badoglio, Ambrosio,
Guariglia, Acquarone, Carboni e ovviamente Castellano e Zanussi di ritorno dalla Sicilia: si fece
il punto della situazione e Castellano espose l’esito dei colloqui con gli angloamericani, ma allo
stesso tempo chiese e ottenne che il generale Zanussi non lo accompagnasse negli incontri
successivi con gli Alleati; l’obiettivo raggiunto da Castellano impressionò positivamente tutti i
presenti tranne Carboni, comandante in capo delle forze militari italiane nella zona di Roma, il
quale giudicò quasi impossibile uno sbarco di quel genere da attuarsi nell’immediato futuro.
Badoglio, in conclusione, dichiarò il generale Castellano rappresentante unico dell’Italia nelle
trattative con gli Alleati, preparando così il suo ritorno in terra siciliana per concludere
l’armistizio, ma alle condizioni del governo italiano: si può certamente notare che gli italiani
dimostrarono un completo distaccamento dalla realtà oggettiva della situazione militare,
tant’è che vollero imporre condizioni agli Alleati, nel momento in cui si trovavano disastrati
dal punto di vista militare, e i generali angloamericani lo intuirono in modo parziale.
La mattina del 2 settembre Alleati e italiani si ritrovarono a Cassibile per l’ultima parte della
trattativa: per gli angloamericani erano presenti i generali Eisenhower e Alexander (oltre ai
noti Strong e Bedell Smith), e i rappresentanti politici inglese (MacMillan) e statunitense
(Murphy), mentre la parte italiana vantava la presenza di Castellano, accompagnato
dall’interprete Montanari, dal maggiore Luigi Marchesi e dal pilota dell’aereo Giovanni
Vassallo, maggiore dell’Aeronautica32; da questo elenco è possibile estrapolare come gli
31
32
Elena Aga Rossi, L’inganno reciproco, pagina 397.
Ruggero Zangrandi, op. cit., pagina 89.
15
italiani fecero davvero una pessima figura con l’invio in Sicilia di un militare di second’ordine,
per di più in borghese, a dispetto degli Alleati che investirono per la missione i più alti
rappresentanti militari.
Le brutte figure italiane continuarono quando a Castellano fu chiesto di esibire la delega
ufficiale del capo del governo, che lo autorizzava a firmare per conto dello stato italiano, e il
generale rispose di non avere con sé nessun tipo di delega, attribuendo la responsabilità
dell’inconveniente al ministro Guariglia e aggiungendo che non si era mai parlato
esplicitamente della firma dell’armistizio (sic); infastiditi dalla sfacciataggine di Castellano, i
generali alleati “accompagnarono” la delegazione italiana in una tenda tenuta sotto scorta
armata da una ventina di soldati americani e qui, intorno a mezzogiorno, Alexander si rese
protagonista di una durissima sfuriata contro i rappresentanti italiani, nella quale il generale
minacciò di bombardare a tappeto Roma e persino di fucilare Castellano, qualora la giornata
fosse stata improduttiva. Anche se quella di Alexander era una pura e semplice messa in
scena, Castellano si sbrigò nello stilare un messaggio che inviò subito a Badoglio: esso
avvertiva che “il comandante in capo delle forze alleate non discuterà alcuna questione
militare se non sia firmato un documento di accettazione delle condizioni di armistizio […]
accetterebbe la firma del generale Castellano solo se autorizzato dal governo italiano […] il
comandante in capo agirà secondo gli accordi già da me illustrati e con forze sufficienti a
garantire quel grado di sicurezza da noi desiderato”33.
Il comunicato giunse a notte fonda nella capitale e qui il governo si riservò un’altra magra
figura agli occhi delle potenze alleate: il telegramma di risposta non conteneva nessuna delega
ufficiale e questo fatto fece calare il gelo nella seppur calda giornata del 3 settembre. Le tre
ore successive passarono molto lentamente e angosciosamente per la delegazione italiana che
tirò un sospiro di sollievo quando giunse da Roma un nuovo telegramma il quale chiariva che
“il Generale Castellano è autorizzato dal governo italiano a firmare l’accettazione delle
condizioni di armistizio”34: alle ore 17:15 l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati era cosa fatta; per
far capire il proprio disgusto sull’intera vicenda, il generale Eisenhower non volle mettere la
propria firma sulla dichiarazione armistiziale e si fece rappresentare dal generale Smith,
commentando il tutto con la frase a crooked deal: uno sporco affare.
33
34
Elena Aga Rossi, L’inganno reciproco, pagina 210.
Ruggero Zangrandi, op. cit., pagina 91.
16
5. Cinque giorni convulsi
Già nella prima mattina del 4 settembre, il generale Alexander si adoperò perché ci si
accordasse immediatamente sulle operazioni congiunte da effettuarsi sul territorio italiano,
chiamando in causa Castellano che era ancora presente a Cassibile: l’esito dell’incontro
tranquillizzò il generale britannico il quale, in un messaggio destinato a Eisenhower, scrisse
che “ho passato tutta la scorsa notte in colloqui militari con la parte italiana. Ho messo bene in
chiaro con loro che al momento della proclamazione ufficiale dell’armistizio cessiamo di
essere nemici, ma non diventiamo alleati. Ho dato loro le specifiche indicazioni sulle
operazioni da svolgere”35; in seguito il generale aggiunse che “stiamo facendo piani dettagliati
con gli italiani. Tutto questo sta andando molto bene in teoria, ma dobbiamo poi vedere quale
aiuto saranno in grado effettivamente di darci”36: questo dimostra bene quale fosse la
preoccupazione di Alexander riguardo all’efficacia delle operazioni militari italiane.
A Roma nel frattempo Badoglio riunì i ministri della Marina, dell’Aeronautica e della Guerra
(rispettivamente De Courten, Sandalli e Sorice) dicendo loro che le trattative con gli
angloamericani stavano proseguendo positivamente, senza però informarli che l’armistizio
era già stato firmato, per evitare che anche loro entrassero nei colloqui con gli Alleati; la
mattina del 5 settembre Badoglio convocò al Quirinale i generali Ambrosio, Roatta e Zanussi
per discutere delle condizioni che l’armistizio di Cassibile prevedeva: Roatta obiettò subito
che il piano di coazione italo-alleato era di difficile realizzazione viste le difficoltà dell’esercito
italiano. Quest’ultimo dichiarò a tutti i presenti che “se noi fossimo stati in condizione di
assolvere detto compito […] non avremmo avuto bisogno di un concorso alleato ma ce la
saremmo cavata da soli”37, a proposito della neutralizzazione della divisione di paracadutisti
tedeschi dislocata tra Fiumicino e Pratica di Mare, compito che gli Alleati avevano affidato agli
italiani per poi dare il via all’operazione Giant 2.
Ed è proprio la preparazione di Giant 2 che occupò l’intera giornata del 5 settembre e la prima
metà della giornata successiva: questa è l’operazione che avrebbe dovuto favorire lo sbarco
vicino a Roma di una divisione paracadutisti aviotrasportata americana, per affiancare
l’esercito italiano dopo aver difeso la capitale dalla reazione tedesca all’annuncio
dell’armistizio. Il maggiore Marchesi tornò da Cassibile lo stesso giorno per consegnare ad
Ambrosio le carte preparate dagli Alleati su come agire, con in più il testo dell’armistizio
Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando, pagina 101.
Ibidem.
37 Ruggero Zangrandi, L’Italia tradita, pagina 104.
35
36
17
lungo, sottoponendo la questione anche ai soliti Roatta e Zanussi; alla riunione fu invitato il
ministro dell’Aeronautica Sandalli al quale vennero rivelati i piani per Giant 2 ma il suo
commento fu che il progetto presentava grandissime difficoltà e ci sarebbero voluti dai sette
ai dieci giorni per prepararlo.
Secondo il progetto angloamericano, gli italiani avrebbero dovuto occupare per primi gli
aeroporti di Furbara e di Cerveteri (paesini limitrofi a Roma) per far sì che le truppe alleate
potessero atterrarvi, poi difendere il porto di Ostia per permettere l’arrivo di un altro gruppo
di soldati dal mare38; i generali italiani si resero conto però che era impossibile organizzare
un’operazione militare tanto precisa ed efficace, perciò ognuno tentò di assumersi meno
responsabilità possibili: per esempio Ambrosio si assentò da Roma il pomeriggio del 6
settembre e comunicò che al suo ritorno si sarebbe sistemata la faccenda dei paracadutisti. Il
problema fu che Ambrosio sarebbe tornato a Roma solamente nel pomeriggio dell’8
settembre, un’assenza inspiegabile in un momento così cruciale del conflitto.
Il Comando Generale Alleato di Algeri volle però vederci chiaro su cosa stesse facendo il
governo italiano per preparare l’operazione Giant 2, per questo Eisenhower decise di
mandare a Roma il generale Maxwell D. Taylor, vicecomandante della 82a divisione americana
aviotrasportata, con il suo ufficiale addetto colonnello William T. Gardiner per incontrarsi con
Badoglio e Ambrosio e mettere a punto le operazioni romane. La notte tra il 6 e il 7 settembre
la corvetta italiana Ibis compì la tratta Ustica-Gaeta-Roma portando i due generali americani
nella capitale accompagnati dal maggiore Maugeri: arrivati nel pomeriggio del 7 settembre a
Palazzo Caprara (sede dello Stato Maggiore dell’Esercito), i generali americani si aspettavano
di iniziare subito le procedure da adottare nei giorni susseguenti, invece vennero sistemati in
lussuose stanze e la sera fu offerta loro una lauta cena alla quale parteciparono anche Maugeri
e Marchesi; tutta questa messinscena era stata creata da Ambrosio, il quale voleva “recludere”
i due americani per più tempo possibile, cercando di guadagnare tempo. A un certo punto
della cena Taylor si spazientì e disse “Basta col vino! Dobbiamo parlare subito con un
comandante responsabile!” 39 rivolgendosi ai commensali; Taylor chiese dove fosse Ambrosio
e per risposta gli fu comunicato che il Capo di Stato Maggiore era irreperibile, così come
Roatta e Zanussi.
38
39
Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando, pagina 103.
Ruggero Zangrandi, L’Italia tradita, pagina 122.
18
Verso le 23 giunse a Palazzo Caprara il generale Carboni, comandante delle truppe stanti a
Roma, il quale non era stato informato della visita del generale Taylor e forte fu la sua
sorpresa nel vedere i due ufficiali americani; proprio a Carboni si rivolse Taylor chiedendogli
di uscire e di mostrargli quale fossero i luoghi predisposti per lo sbarco della divisione
aviotrasportata americana. Il povero Carboni fu costretto ad ammettere che era impossibile
per l’esercito italiano preparare un’operazione del genere in così poco tempo (l’annuncio
dell’armistizio era stato fissato per la sera dell’8 settembre) e a questo punto Taylor capì la
tragicomica situazione italiana; il generale americano gridò a Carboni che “il generale
Castellano ci ha ingannato” e gli fu risposto, con una flemma davvero inusuale per quel
momento, che “sarebbe utile che l’armistizio venisse rimandato di qualche giorno”40.
Taylor, mantenendo quel poco di calma che gli era rimasta, ordinò che si chiamasse Badoglio e
lo si facesse venire immediatamente a Palazzo Caprara: Badoglio stava dormendo
tranquillamente per questo fu svegliato e comparve davanti ai generali americani ancora in
pigiama; il capo del governo confermò le parole espresse poco prima da Carboni e a quel
punto Taylor invitò caldamente Badoglio a comunicare l’annullamento delle operazioni a
Eisenhower. Il telegramma del maresciallo d’Italia fu il seguente: “Dati cambiamenti e
precipitare situazione […] non è più possibile accettare l’armistizio immediato dato che ciò
porterà la capitale a essere occupata e il governo a essere sopraffatto dai tedeschi. Operazione
Giant 2 non è più possibile dato che io non ho forze sufficienti per garantire gli aeroporti”41. A
questo punto Taylor e Gardiner decisero di rientrare ad Algeri, ma con loro s’imbarcò anche il
generale Rossi, vicecapo di Stato Maggiore generale, incaricato da Badoglio di intavolare con
Eisenhower un rinvio concordato dell’annuncio dell’armistizio.
Nel primo pomeriggio dell’8 settembre Taylor, Gardiner e Rossi giunsero il Quartier Generale
di Algeri e lì incontrarono Eisenhower, il quale chiarì al generale italiano che gli Alleati non
avevano nessuna intenzione di dilatare i tempi per l’annuncio dell’armistizio; il telegramma
che inviò successivamente a Badoglio fu eloquente: “1) intendo trasmettere alla radio
l’accettazione dell’armistizio all’ora già fissata […] oggi è il giorno X e mi aspetto che Voi
facciate la vostra parte; 2) io non accetto il vostro messaggio di questa mattina posticipante
l’armistizio […] la sola speranza dell’Italia è legata alla vostra adesione a quest’accordo; 3)
avete intorno a Roma truppe sufficienti per assicurare la momentanea sicurezza della città; 4)
ogni mancanza ora da parte vostra nell’adempiere a tutti gli obblighi dell’accordo firmato avrà
40
41
Cfr. Ibidem, pagina 124.
Elena Aga Rossi, L’inganno reciproco, pagina 311.
19
le più gravi conseguenze per il vostro Paese” 42. A questo punto Badoglio, costretto dagli
eventi, convocò quella sorta di Consiglio della Corona che aveva gestito tutta l’avventura
armistiziale, consiglio che si svolse al Quirinale alle 18:15 dell’8 settembre: esso fu allargato
anche ai ministri De Courten e Sandalli che scoprirono solamente in quel frangente che
l’armistizio era stato già firmato il 3 settembre a Cassibile; Ambrosio avvisò tutti che si era
appresa l’intenzione degli angloamericani di annunciare di lì a pochi minuti la capitolazione
dell’Italia e a questo proposito Marchesi entrò nella sala a seduta iniziata leggendo a tutti il
messaggio di Eisenhower, che non lasciava alibi.
Alle 18:30 Radio Algeri e Radio Londra annunciarono la capitolazione dell’Italia e la resa nei
confronti degli Alleati rendendo pubblico l’armistizio; a Roma, saputo ciò, si procedette a
redigere il testo da comunicare agli italiani, e nello stesso tempo si organizzò la fuga del
governo italiano da Roma. Alle 19:42 l’EIAR rese pubblico il proclama Badoglio, rimasto
famoso per l’ambigua frase conclusiva “ogni atto di ostilità contro le forze angloamericane
deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno a eventuali
attacchi da qualsiasi altra provenienza”; il tutto fu suggellato dagli eventi del giorno seguente
come la fuga del Re, di Badoglio e dei vertici militari e l’assoluta passività che si adottò nei
confronti dell’esercito (e della popolazione civile), lasciandolo in balia di sé stesso di fronte
alla reazione tedesca.
I primi a pagar care le conseguenze dell’indecisione governativa furono i cittadini romani, i
quali comunque si distinsero per aver per lo meno tentato di difendersi, in quella che viene
ricordata come la resistenza romana, simboleggiata dalla battaglia di Porta San Paolo del 9-10
settembre 1943: nonostante gli sforzi dei cittadini e di alcuni soldati che non vollero
arrendersi al nemico tedesco, la capitale venne invasa dalle truppe guidate dal generale
Kesserling approfittando della mancanza di direttive dell’esercito italiano43.
In conclusione, di chi fu la colpa per quello che è successo, in particolare di ciò che accadde
nelle giornate intercorse tra la firma dell’armistizio e la sua proclamazione? Una parte
importante di responsabilità l’ha sicuramente il governo Badoglio, poiché fu veramente
eccessivo e ingiustificato il rifiuto reiterato di preavvertire i maggiori gradi delle forze armate
Cfr. Ruggero Zangrandi, L’Italia tradita, pagg. 131-132.
Il dato delle truppe italiane e tedesche presenti nella zona di Roma tra l’8 e il 10 settembre rende ancora più
grave la passività dei generali italiani: le truppe italiane erano circa 60mila tra esercito, polizia e carabinieri,
mentre le truppe tedesche non superavano le 26mila unità.
42
43
20
dell’imminente rovesciamento di fronte44, inoltre la completa assenza di un’azione di
comando subito dopo la proclamazione dell’armistizio fu considerata espressione della
decisione di non combattere contro i tedeschi e in concreto si tradusse poi nella parola
d’ordine (resa celebre dal film di Luigi Comencini) “tutti a casa” 45.
Per alcuni storici la trattativa segreta e il raggiungimento dell’armistizio fu l’unica possibilità
che aveva l’Italia di uscire dal conflitto non come paese completamente sconfitto, perché
redento prima della totale sconfitta finale; altri invece ritengono che un cambio repentino di
fronte e la immediata dichiarazione di guerra ai tedeschi avrebbe salvato la dignità nazionale
e l’immagine dell’Italia all’estero. Si può però affermare, in conclusione, che il Re, Badoglio e i
più alti vertici militari non fecero quasi nulla per impedire la tragedia si è poi realizzata nel
settembre 1943, anche se sull’intera vicenda vi sono ancora numerosi punti oscuri.
44
45
Cfr. Piero Pieri, Giorgio Rochat, Pietro Badoglio, pagina 540.
Cfr. Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando, pagina 194.
21
Scarica