Effetto farfalla,Fette di salame sugli occhi - Monitor Radio-Tv

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Effetto farfalla
“Può il batter d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado
in Texas?” era il titolo di una conferenza tenuta da Edward Lorenz nel 1972. La risposta ovvia è che
sì, certamente qualsiasi evento apparentemente privo d’importanza ha le sue conseguenze dalle
valenze imprevedibili; e quando a battere le ali è una farfalla che svolazza tra i fiorellini di Cupertino
e si chiama Apple, c’è da scommettere che qualche tornado prima o poi arriverà in Texas e anche
più lontano.
Alcuni dotti analisti americani hanno recentemente notato che i ragazzi di Apple, zittizitti
quattiquatti ma neanche tanto, hanno brevettato una tecnologia atta a rimuovere elementi
indesiderati dagli stream audio. Non che tutte le osservazioni degli analisti americani siano da
prendere per oro colato – anzi, il più delle volte scrivono in evidente stato di ubriachezza e di solito
succede l’esatto contrario di quanto prevedono. Ma la cosa, in questo caso, può avere la potenzialità
di generare sul serio grossi cambiamenti.
Anche perché la mossa di Apple è da correlare con altri dati. Per esempio: nel 2015 è previsto negli
Stati Uniti, per una questione di obsolescenza dei veicoli, un boom nelle vendite di automobili: in
pratica, si rinnoverà buona parte del parco auto. E sulle auto nuove vengono montati, di serie,
dispositivi dotati di software come iHeartRadio, TuneIn o Pandora per la ricezione di programmi
radiofonici in stream. Pare che fra tre anni, in pratica, tutte le auto circolanti in USA saranno
internet-enabled e la modalità stream passerà al primo posto per quanto riguarda la ricezione
broadcast.
Ne siamo così sicuri? Ci crediamo? E se fosse vero, quando succederà in Europa? Non siamo sicuri
di nulla, naturalmente, ma vale la pena di prendere in considerazione lo scenario.
L’ ipotetico scenario, dunque, è quello della Rete come veicolo primario per la diffusione dei
contenuti broadcast. E di un’opzione che permette all’utente di eliminare elementi indesiderati: una
piccola app che magicamente tappa la bocca a quei dementi che mi parlano come se fossi uno scemo
che deve bere tanta acqua minerale per fare la pipì o che mi urlano belinate sperando che io mi
fermi al distributore dove mi regalano un pupazzetto. Io questi deficienti non li sopporto e spenderei
volentieri un paio di euro, o anche qualcosa in più, per eliminarli dalla mia vita e dai miei
spostamenti in auto. Ipotizzo che oltre a me esistano qualche altra decina di milioni di persone
disposti a comprare la libertà dalla pubblicità cretina e, en passant, dalla pubblicità in genere.
Dal punto di vista dei broadcaster, si tratta di uno scenario assolutamente apocalittico. Quasi
inconcepibile. Disastroso. La fine di un modello di business che ha funzionato e sta funzionando da
sempre. La fine dei fatturati milionari. La fine della pacchia. La fine dei fatturati. Il fallimento. La
fine della radio?
Certo, al momento sono discorsi quasi da bar. Ma le cose si muovono in fretta di questi tempi e chi
avrebbe detto, non molto tempo fa, che il business dei telegrammi e dei telex sarebbe andato a
ramengo? E’ pronta, l’industria del broadcast, a convivere con una app che polverizza gli spot
pubblicitari? Esistono armi per combattere una minaccia potenzialmente mortale di questo genere?
Gli analisti americani sono abituati al “think positive” e a quell’altro irritante e poco sincero aforisma
“ogni crisi è un’opportunità”, ma direi che anche loro sono leggermente spiazzati al momento di
suggerire soluzioni. E secondo me ne hanno tutte le ragioni: i protezionismi del tipo vietare la
magica app per legge – in Italia ci si penserebbe immediatamente – sono a tutti gli effetti nonimplementabili e pertanto inefficaci e ridicoli. Qualcuno parla di inserimento della pubblicità
all’interno dei programmi, il che naturalmente è fattibile ma implicherebbe comunque una
rivoluzione copernicana nella filosofia della produzione di contenuti: tempi grami per le emittenti
automatizzate “musica-spot-spot-musica” che in Italia imperversano peggio delle mosche d’estate. E
questa è una bella cosa.
Altri, più sognatori, più utopistici ma forse più realistici, affermano che la soluzione è un’altra:
l’unica, dicono, è rendere la pubblicità interessante e gradevole in modo che da insopportabile
rottura di coglioni si trasformi in valore aggiunto tale da invogliare l’utente a disattivare il
silenziatore per le emittenti in grado di proporre spot che non producano fastidio bensì
soddisfazione.
Una bella sfida, senza dubbio. Robe da togliere il sonno a parecchi “creativi” che hanno costruito la
loro professione e i loro conti correnti sulla perversa filosofia che ha come postulato “Il
consumatore è un cretino dell’età mentale di tre anni”. Questa aberrazione ha funzionato e in ultima
analisi è la causa della crisi economica, delle malattie provocate dalle porcherie spacciate per
alimenti, dell’alcolismo, dell’analfabestismo di ritorno, della cellulite, della depressione cronica e del
fatto che a parecchia gente sembri normale votare per un buffone truffatore. Non si può andare
avanti così.
La app ammazzaspot, secondo me, è del tutto auspicabile. Non ho ben capito su quali principi
tecnologici sia basata, ma mi fido: se è stata sviluppata e brevettata dagli eredi spirituali di Jobs,
probabilmente funziona e funziona bene. Se contribuirà a migliorare i contenuti del broadcast e di
conseguenza a migliorare la qualità della vita su questo pianeta, ancora meglio. Se porterà alla
chiusura definitiva di aziende mangiasoldi che trasmettono musica e spot da scemi senza creare
lavoro né cultura, champagne.
Fette di salame sugli occhi
Ho fatto colazione, stamani, godendomi il fresco di questa strana estate. Fra
un sorso di succo di mango, una forchettata di uova strapazzate con il bacon e un’occhiata alla
bougainville decorata da una finissima rugiada, scorrevo come sempre la mia copia del Pakistan
Observer, l’autorevole quotidiano di Islamabad che talvolta offre interessanti insight sulla poltica e
sullo sviluppo sociale di una importante porzione del vasto e complesso subcontinente indiano.
Orbene: pare che la Pakistan Electronic Media Regulatory Authority (PEMRA) abbia emanato una
serie di direttive che orientano in maniera molto precisa lo sviluppo del broadcast in Pakistan.
Trovo molto significativa la parte che riguarda il servizio di radiofonia: si parla di un aggressivo
piano di modernizzazione che prevede tra l’altro l’ upgrade dell’emittente in onda media di Larkana
da 10 a 100 kW, la sostituzione dei vecchi trasmettitori di Hyderabad e di Multan con moderni
impianti da 100 kW e l’ ammodernamento delle attrezzature di studio un po’ ovunque. Il tutto
supportato da un sistema di Virtual News Room per condividere contenuti in tempo reale fra le
redazioni di Lahore, Karachi, Peshawar e Quetta.
Onda media, quindi, a tutta manetta. Chi interpretasse questa mossa come terzomondismo obsoleto
sbaglierebbe di brutto. Radio Pakistan è disponibile anche su 15 canali in stream su Web e 4 canali
per dispositivi mobili: terzo mondo sarete voi. La scelta evidentemente è quella di puntare su
infrastrutture avanzate per arrivare alla diffusione di un segnale di qualità fruibile nel modo più
capillare, efficace, pratico ed economico possibile: la radio, ascoltata a casa, in auto, sull’autobus,
nei campi, sulle barche, ovunque.
I pakistani sono 107 milioni di persone; Islamabad, per dire, ospita tredici milioni di uomini, donne,
anziani e bambini. La cultura islamica e tribale come al solito non facilita la crescita economica, ma
nonostante queste palle al piede l’economia cresce del 4% all’ anno. L’ esercito pakistano dispone
tra l’altro di alcune simpatiche bombe nucleari, segno che le nostre stereotipate immagini di paese
irrimediabilmente arretrato e popolato da straccioni analfabeti risultano quanto meno fuorvianti.
In Europa le onde medie si spengono e governanti di rara incompetenza spendono – e intascano –
somme paurose di denaro pubblico per trasmettere programmi fantasma fruibili con ricevitori DAB
di scarsissima diffusione o addirittura per inquinare l’etere con trasmissioni DRM che nessuno
ascolta semplicemente perché nessuno commercializza ricevitori per un sistema tanto palesemente
demenziale. In Pakistan il digitale si utilizza nel posto giusto della filiera, ovvero in sede di
produzione e di gestione dei backbone, lasciando all’analogico il ruolo nel quale eccelle, cioè la
diffusione dei contenuti da fruire per mezzo di dispositivi economici, di efficienza ottimale, a basso
consumo e costruibili eventualmente in loco da aziende anche piccole o medie.
Si tratta di filosofie opposte, una delle quali deve necessariamente essere migliore dell’altra.
Vogliamo rilettere sulla cosa, possibilmente tenendo conto dell’ ipotesi che i pakistani, anche per
questioni religiose, non abbiano necessariamente le fette di salame sugli occhi?
Viaggiare informati
Ci sono notizie importanti che mi sfuggono, ed è un peccato. Sono per
esempio uno dei pochissimi a non avere esultato, un paio di settimane or sono, per l’assegnazione
del prestigioso Premio Personalita’ europea 2010 al dottor Aldo Papa, l’ex precario RAI assurto
alla direzione dei servizi di publica utilità grazie alla Lega Nord. I servizi di pubblica utilità RAI,
per chi non lo sapesse, comprendono: la Filodiffusione, sistema storico per il quale non è possibile
acquistare terminali d’ascolto dato che da decenni nessuno li costruisce; CIS-Viaggiare informati,
che produce brevi bollettini di infomobilità inseriti nei palinsesti di RadioRAI, e il noto Isoradio
103.3, da ormai vent’anni croce e delizia dei pendolari, dei camionisti e dei vacanzieri bloccati in
autostrada.
Isoradio è un servizio di pubblica utilità decisamente curioso. Finanziato con denari del
contribuente, per qualche strana e molto “itaglian” alchimia finanziaria non funziona affatto su tutto
il territorio nazionale bensì si occupa – sia come copertura di news sia come strutture di
trasmissione – esclusivamente della rete Autostrade per l’Italia SpA più qualche tratta gestita da
altre aziende, ma non dell’intera rete nazionale. Il resto, per Isoradio non esiste – o esiste solo nei
collegamenti con CIS. Uno, per esempio, va da Genova a Milano percorrendo la A7? Ebbene, passata
Serravalle Scrivia il segnale Isoradio sparisce. In caso d’incidente fra Tortona e Castenuovo, si
finisce in coda perché Isoradio non solo non si sente più, ma neanche l’aveva detto quando il il suo
segnale era forte e chiaro. Si va a Livorno? Stessa cosa per la tratta daSestri Levante a Livorno, e si
potrebbe andare avanti per un bel po’.
E’ ipotizzabile che addentrarsi nei garbugli finanziari di questa ennesima anomalia italiana sarebbe
un’esercizio illuminante ma deprimente; lasciamo perdere. Sta di fatto, comunque, che con i nostri
soldi si è realizzata una gigantesca struttura che discrimina i propri utenti su basi del tutto
estranee alla sua mission. Così come stanno le cose, molto meglio seguire l’infotraffico di Radio 24
che sarà pure stringato e non troppo frequente, ma almeno è affidabile e informa sulle eventuali
difficoltà presenti sulla strada senza fare figli e figliastri.
Il resto di Isoradio è solo condimento: una colonna sonora quasi esclusivamente made in Italy, con
interpreti e soprattutto autori così ricorrenti da evocare qualche strano percorso privilegiato per i
versamenti dei diritti d’autore; titoli dei giornali radio; qualche servizio sul settore trasporti e molti,
troppi riempitivi all’interno di una conduzione non di rado svogliata. Servizio pubblico, insomma.
La buona notizia è che, come sempre, l’ inadeguatezza del servizio pubblico lascia terreno
all’iniziativa privata. Le emittenti locali FM si ritrovano, volendo, con un mare di opportunità per
inserirsi nel lucroso mercato dell’ infomobilità. Le nuove tecnologie di distribuzione dei contenuti
attraverso reti avanzate aprono orizzonti impensati per chi sappia avere la creatività e la visione
necessarie a immaginare network di infomobilità decentrati, capillari, interattivi, flessibili,
aggiornati, veramente utili e pertanto seguiti e quindi giustamente redditizi. Certo, se si preferisce
trasmettere hit-parade e notiziari d’agenzia perchè costa poco in termini di innovazione e apertura
mentale, come non detto: ci teniamo il Premio personalità europea, ci congratuliamo con il dottor
Papa per l’altissima professionalità e tutti contenti. Ma non lamentiamoci, poi, se arrivano prima i
cinesi.
Le autostrade italiane viste da Isoradio
Radio Londra
E’ ufficiale: dai primi del mese il glorioso BBC World Service ha chiuso tutti i
servizi per l’estero, in inglese e in tutte le altre lingue con l’eccezione di un pugno di strani idiomi
asiatici. Si tratta, in pratica, della mitica Radio Londra che i nostri nonni ascoltavano in tempo di
guerra, al buio e a basso volume, di nascosto dai vicini che avrebbero potuto denunciarli con
conseguenze potenzialmente molto tragiche. Il governo di sua maestà preferisce risparmiare
quattrini e informare attraverso i media di nuova generazione: satellite e stream Internet.
Sembra tutto molto logico. Internet è in tutte le case, uno straccio di parabola è alla portata di
(quasi) tutti e degli altri in fin dei conti chi se ne frega: è’ il 2011, bellezza, vai con il digitale
veicolato dalle reti pervasive. Anche la qualità audio è migliore, basta con le evanescenze e le
interferenze.
Al Cairo, in questi giorni, Internet e la rete di telefonia mobile le spengono un giorno sì e l’altro no, a
seconda dell’ umore di chi schiaccia i bottoni. Non sarebbe per niente strano se dopodomani o fra
una settimana andasse in tilt anche la rete elettrica e le parabole satellitari diventassero buone, nel
migliore dei casi, per cuocere i falafel con l’ultimo olio saccheggiato al supermercato. E che le
autoradio e le radioline a batteria diventassero improvvisamente l’unico mezzo per sapere che
diavolo va succedendo attorno, come reagisce il resto del pianeta, se è il caso di starsene schisci o di
aspettare l’arrivo dei nostri chiunque essi siano. E che ci vorrebbe davvero, il vecchio ma affidabile
BBC World Service o una delle emittenti internazionali che hanno così allegramente rinunciato alla
certezza di essere ascoltate sempre e comunque preferendo mettersi nelle mani di strutture sulle
quali non hanno nessun controllo.
Trovo che sarebbe estremamente saggio, da parte della BBC, mantenere in efficienza un paio di
centri trasmittenti in onde medie e corte. Anche in stand-by, per non spendere molto, ma pronti a
prendere servizio se fosse il caso.
Ho apprezzato parecchio, negli anni, l’ottimo e affidabile servizio per l’estero della BBC. Ma la mia
non è una posizione da nostalgico; al contrario. E’ che non vorrei che anche dalle nostre parti, uno di
questi giorni, ci trovassimo ad avere bisogno di Radio Londra. Considerando la prua che ha questo
paese – e forse anche questo continente – qualcuno si sente addosso la matematica certezza di poter
escludere un’ipotesi del genere?
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