Interferenza del doppio compito (dual task)

Indice
Introduzione................................................................................................................... 2
La Malattia ..................................................................................................................... 3
• .........................................................................................................................
Sintomi primari ...................................................................................................... 7
• .........................................................................................................................
Sintomi secondari .................................................................................................. 9
• .........................................................................................................................
Anatomia patologica e patogenesi ....................................................................... 12
• .........................................................................................................................
Diagnosi differenziale.......................................................................................... 16
• .........................................................................................................................
Evoluzione della malattia..................................................................................... 17
• .........................................................................................................................
Trattamento farmacologico.................................................................................. 19
Approccio riabilitativo:
valutazione neuromotoria e principi di trattamento .................................... 22
Interferenza del doppio compito (dual task)
nel paziente parkinsoniano .................................................................................... 64
Il mio studio................................................................................................................. 70
• .........................................................................................................................
Scopo dello studio................................................................................................ 71
• .........................................................................................................................
Materiale e metodi ............................................................................................... 72
• .........................................................................................................................
Procedura ............................................................................................................. 77
• .........................................................................................................................
Risultati................................................................................................................ 78
• .........................................................................................................................
Conclusione ......................................................................................................... 82
Bibliografia .................................................................................................................. 83
ALLEGATI ................................................................................................................. 88 1 Introduzione
La malattia di Parkinson è piuttosto comune, conosciuta sin dai tempi antichi,
vanne descritta per la prima volta in modo convincente da James Parkinson nel
1817 che la definì come“tremore involontario, con forza muscolare diminuita, in
parti non in movimento anche se sostenute, con tendenza a piegare il tronco in
avanti e a passare dal camminare al correre, mentre le sensibilità e l’intelligenza
risultano intatte”. La sua descrizione non contiene, stranamente, riferimenti alla
rigidità o alla lentezza dei movimenti e, secondo il parere degli Autori, pone
eccessivamente in risalto la riduzione della forza muscolare. La stessa critica può
essere mossa nei confronti del termine paralisi agitante che comparve per la
prima volta nel 1841 nel libro Disease and Derangements of the Nervous System
di Marshall Hall. La malattia di Parkinson ha sempre suscitato un certo interesse
dal punto di vista della ricerca, sia nell’ambito farmacologico che in quello
riabilitativo; in questi ultimi anni vari autori hanno studiato l’interferenza nelle
performance
motorie dei parkinsoniani durante l’esecuzione di un doppio
compito (dual task). Nella maggior parte delle attività della vita quotidiana le
persone eseguono più di un compito contemporaneamente. La capacità di eseguire
un secondo compito insieme al primo (dual task performance) è molto
vantaggiosa, ad esempio durante il cammino permette di parlare con un'altra
persona, di portare un oggetto da un posto all'altro. Per dual task si intende
l’esecuzione di un compito primario, che è il focus principale dell'attenzione, e di
un compito secondario, eseguiti allo stesso tempo. Eseguire due compiti allo
stesso tempo risulta essere un problema nei parkinsoniani, difatti se questi
focalizzano l'attenzione sull'esecuzione di un compito, si ha deterioramento della
performance nell'altro compito.
2 La Malattia
Alcuni aspetti della storia naturale di questa malattia rivestono un certo interesse;
essa generalmente inizia tra i 40 e i 70 anni d’età, con picco d’inizio che coincide
con il sesto decennio di vita. Non è frequente prima dei trent’anni (solo 4 su 380
casi in una casistica); la maggior parte delle casistiche indica un’incidenza più
elevata negli uomini. I traumi, i turbamenti emotivi, il superlavoro, l’esposizione
al freddo, una personalità rigida, insieme ad altri fattori, sono stati indicati quali
elementi predisponenti alla malattia, ma non vi sono prove evidenti che
sostengano alcuna di tali affermazioni. La malattia di Parkinson idiopatica si
osserva in tutti i Paesi, in tutti i gruppi etnici e in tutte le classi socio-economiche,
benché l’incidenza nella razza nera sia solo un quarto rispetto a quella nella razza
bianca; negli asiatici l’incidenza è paria un terzo-metà di quella che si osserva nei
bianchi. La malattia sembrerebbe più frequente nei paesi industrializzati e nelle
zone agricole in cui vengono comunemente utilizzate diverse tossine, ma la sua
diffusione universale depone contro qualsiasi tipo specifico di tossina. Fino ad
oggi nessuna tossina chimica o metallo pesante è stato incriminato come
responsabile della malattia di Parkinson. L’assenza di concordanza per la malattia
di Parkinson nei gemelli sembra negare il ruolo di eventuali fattori genetici;
tuttavia un lavoro eseguito con PET sul metabolismo della dopamina ha
dimostrato che il 75% dei gemelli asintomatici di pazienti con
Parkinson
presentava segni di disfunzione striale, mentre solo una piccola percentuale di
gemelli dizigotici mostrava tali alterazioni (Piccini et al.). Questi dati indicano un
ruolo più sostanziale di un fattore ereditario nei casi apparentemente sporadici.
Inoltre Kruger e coll. anno riferito un aumento della suscettibilità alla malattia di
13 volte nei pazienti che presentano una particolare combinazione di genotipi di
alfa-sinucleina e apolipoproteina E. Benché i casi familiari siano decisamente rari,
Golbe e coll. hanno descritto due ampi gruppi familiari (probabilmente
imparentati fra loro e originari di una piccola città dell’Italia meridionale) nei
quali vennero colpite 41 persone in quattro generazioni. In questi pazienti si
osservava un a forma tipica di malattia di Parkinson, sia dal punto di vista clinico
3 che neuropatologico; le uniche caratteristiche insolite erano un esordio piuttosto
precoce (età media 46 anni), un decorso relativamente rapido ( 10 anni
dall’esordio al decesso) e un’incidenza riferita di tremore solo in 8 dei 41 pazienti.
La malattia è frequente: nell’America del Nord vi è approssimativamente un
milione di soggetti affetti, che rappresenta l’1% circa della popolazione di età
superiore ai 65 anni. L’incidenza è analoga in tutti i Paesi in cui si tengono
statistiche su questa malattia. Considerando tale frequenza, la concomitanza
casuale di malati in una stessa famiglia può essere addirittura del 5%. Presenta un’
incidenza di circa 20 nuovi casi ogni 100.000 persone nella popolazione di età
superiore ai 65 anni. In Italia la prevalenza è stata indicata tra 65.6 e 243/100000
in differenti studi epidemiologici (Beghi e coll., 1994), con crescita esponenziale
al di sopra dei 50 anni. Si può ritenere che attualmente in Italia esistano 20.000
parkinsoniani, di cui il 10% è al di sotto dei 45 anni, e che nella maggior parte dei
casi la patologia insorga prima dei 60 anni (Pezzoli e Tesi, 2000).
La malattia di Parkinson è una malattia neurodegenerativa, caratterizzata da una
perdita di neuroni nella sostanza nera, nucleo mesencefalico di partenza del
circuito dopaminergico nigro-striato-talamo-corticale. Quando la riduzione di
dopamina, prodotta nei terminali nervosi a partire dalla levodopa, aminoacido
neutro introdotto con la dieta, raggiunge l’80%, iniziano a manifestarsi i sintomi.
La degenerazione neuronale è testimoniata da una depigmentazione della sostanza
nera; caratteristica patologica della malattia di Parkinson sono considerati i corpi
di Lewy, inclusioni eosinofile citoplasmatiche che contengono sinucleina.
I sintomi principali sono: tremore a riposo, bradicinesia, ipertono plastico,
atteggiamento camptocormico, impaccio all’andatura e disturbi dell’equilibrio,
questi ultimi ad insorgenza più tardiva; a questi si associano vari sintomi
secondari.
4 Nella malattia di Parkinson idiopatica l’esordio è generalmente monolaterale.
I cardini della diagnosi sono:
• i sintomi; almeno 2 dei sintomi sopra descritti, di cui una deve essere
necessariamente o tremore o bradicinesia;
• la favorevole risposta alla terapia;
• esami strumentali quali TAC o RMN encefalica, che possono dare
informazioni anatomiche molto dettagliate sulle strutture cerebrali
coinvolte;
• i test farmacologici utilizzano apomorfina ( agonista del recettore
dopaminergico) oppure levodopa, che forniscono informazioni sulla
funzionalità della via nigro-striatale;
• altri esami di tipo funzionali, utili per la diagnosi, sono gli studi PET o
Spect con vari traccianti, per valutare la funzionalità recettoriale o
l’attività dei nuclei trmite studi sul flusso.
5 I disordini del movimento più frequenti sono stati molto efficacemente descritti
da Martin nel 1967, e da Morris nel 2000, (vedi tabella 1).
Tabella 1. (da Martin, 1967, e Morris 2000)
SINTOMI POSITIVI
SINTOMI NEGATIVI
Rigidità: iperriflessia ed ipertonia nei
Bradicinesia: riduzione in velocità ed
gruppi muscolari agonisti ed antagonisti
ampiezza dei movimenti, povertà dei
in un dato arto.
movimenti.
Acinesia: difficoltà ad iniziare i movimenti.
Tremore: in genere tremore a riposo, più
Alterazione della fissazione posturale:
raramente tremore posturale o d’azione
intesa come la capacità a mantenere la
relazione geometrica del corpo nel suo
insieme, e dei vari segmenti di esso, in
Discinesie: in genere interessano solo
alcune parti del corpo, con movimenti
“contorti”
distonici.
tipo
coreo-atetosici
relazione all’attività del momento.
Alterazione delle reazioni di equilibrio.
o
Alterazione
delle
reazioni
di
raddrizzamento.
Alterazione
riconducibile
della
in
parte
locomozione:
all’acinesia
e
bradicinesia, in parte ad un deficitario
controllo del baricentro nello spazio.
Alterazione
della
fonazione
e
dell’articolazione del linguaggio.
Riduzione
delle
risposte
adattive:
debolezza muscolare, ridotta lunghezza
muscolare e contratture, deformità, ridotta
capacità aerobica.
Episodi di “freezing”, cioè improvvisa
incapacità a muoversi durante l’esecuzione
di una sequenza di movimento.
6 Vediamo ora in dettaglio la sintomatologia:
Sintomi primari
Tremore: movimento ritmico lento, la frequenza è di 5-6 Hz, ma può essere
anche più veloce. Tipico il coinvolgimento delle prime due dita della mano che
mimano il movimento di chi conta cartamoneta.
Viene definito “a riposo” in quanto è presente quando l’arto non è utilizzato, o
quando viene lasciato pendere lungo il corpo durante il cammino; questa è spesso
una condizione in cui si accentua, mentre si riduce grandemente, o scompare,
durante un movimento finalizzato, per poi riprendere all’assunzione della nuova
postura. Viene controllato meno bene degli altri sintomi dalla terapia, in quanto
risente molto dello stato emozionale del soggetto, per cui aumenta in condizioni di
emozione, mentre si riduce in condizioni di tranquillità.
Bradicinesia: letteralmente lentezza dei movimenti. Si evidenzia facendo
compiere al soggetto dei movimenti di fine manualità che risultano più impacciati,
con una ridotta escursione spaziale e più rapidamente esauribili, per cui il
movimento, con la ripetizione, diventa sempre meno ampio, fino ad essere
impercettibile. Segno di bradicinesia sono anche le difficoltà nei passaggi
posturali, quali ad esempio scendere dall’automobile o girarsi nel letto o anche nel
vestirsi, come indossare la giacca o il cappotto. Conseguenza della bradicinesia è
anche la ridotta espressività del volto (ipomimia), dovuta a una riduzione della
mimica spontanea che normalmente accompagna le variazioni dello stato
d’animo; altra conseguenza della bradicinesia è una modificazione della
calligrafia, che diventa più piccola man mano che si procede nella scrittura
(micrografia).
Ipertono: l’ipertono della malattia di Parkinson è di tipo plastico, per cui l’arto
oppone una resistenza costante al movimento passivo durante tuta l’escursione del
movimento. L’ipertono può coinvolgere anche la muscolatura assiale e contribuire
7 al tipico atteggiamento definito “camptocormico” del malato Parkinsoniano. La
riduzione dell’oscillazione pendolare degli arti superiori durante il cammino è un
segno di rigidità.
Atteggiamento camptocormico: il malato si pone come “ripiegato” su se stesso,
per cui il tronco è flesso in avanti, le braccia addotte al tronco e flesse, le
ginocchia pure mantenute flesse. Questo atteggiamento, dovuto al sommarsi di
bradicinesia e rigidità, è ben correggibile con i farmaci.
Con l’avanzare della malattia si instaura una sorta di cifosi dorsale alta, che può
diventare definitiva, per cui il mento viene mantenuto per lo più sul petto.
Deambulazione: viene compromessa la velocità d’esecuzione del passo, la
lunghezza del passo stesso, che viene a farsi sempre più corto e l’agilità nel
cambiare direzione, movimento che viene compiuto in più passi. La prima
modificazione del cammino a venire notata,
può essere una riduzione dei
movimenti pendolari di accompagnamento, dapprima a carico di un arto e poi
d’entrambi, per cui le braccia vengono mantenute ferme a lato del corpo.
Disturbo dell’equilibrio: essenzialmente dovuto a una riduzione dei riflessi
posturali di raddrizzamento, per cui il soggetto non è più in grado di correggere
spontaneamente eventuali perturbazioni del baricentro; si ricerca verificando la
capacità del soggetto a correggere una spinta all’indietro. E’ un sintomo che
generalmente si presenta quando la malattia è conclamata, la sua presenza nelle
fasi iniziali della malattia pone qualche dubbio diagnostico.
8 Sintomi secondari
Accanto ai sintomi primari, va poi considerata un’altra serie di sintomi legati al
disturbo motorio principale e a carico di vari apparati, tipici della malattia di
Parkinson.
Ad esempio la voce si modifica, è più flebile e può perdere in modulazione, cosi
da risultare monotona. A volte il linguaggio risulta impastato, frettoloso e può
essere difficile la comprensione. Caekebeke e coll. si riferiscono al disturbo del
linguaggio come a una “disartria ipocinetica” e lo attribuiscono ad una
disfunzione
respiratoria,
fonetica
e
dell’articolazione
della
parola.
Come sopra osservato, gli svariati impedimenti motori e il tremore iniziano
tipicamente in un arto (più spesso il sinistro) e si diffondono a un lato e
successivamente a entrambi, fino a che il paziente diventa completamente
invalido. Ciò nonostante, in caso di agitazione dovuta a qualche circostanza
insolita (per es. un incendio), il paziente è in grado di eseguire movimenti brevi
ma notevolmente efficaci (cinesia pradossa).
La rarità dell’ammiccamento, come sottolineato in origine da Pierre Marie è
spesso un utile segno precoce: nel paziente Parkinsoniano, la frequenza normale
(da 12 a 20 ammiccamenti al minuto) è ridotta a 5-10 volte. Si verifica anche un
lieve ampliamento della rima palpebrale, dando l’impressione che il paziente
abbia gli occhi sgranati (segno di Stellwag).
La deglutizione può essere compromessa, di solito però tardivamente nel decorso
della malattia. Si tratta di un movimento automatico piuttosto complesso; i
muscoli della gola e della lingua devono muoversi in modo coordinato per
spingere il cibo dalla bocca all’esofago e quando questa coordinazione non è
perfetta, il paziente può avere la sensazione che il cibo si fermi in gola. Anche la
saliva può fermarsi in bocca, essendo ridotto il movimento automatico di
deglutizione. In questo modo si accumula; di conseguenza la scialorrea, di
9 comune riscontro, è legata ad una ridotta deglutizione e non ad un aumento della
produzione di saliva.
Altro disturbo è la seborrea, comune a molte persone, che può essere accentuata
nella malattia. La pelle si presenta untuosa e talvolta arrossata, particolarmente
sulla fronte e sul cuoio capelluto. Il fenomeno può essere accompagnato da
prurito. Una perdita di peso, anche considerevole, è una evenienza comune nella
malattia di Parkinson. In assenza di altre cause, che per altro vanno sempre
ricercate, può essere facilmente spiegata se si considerano, nell’ordine, la
difficoltà di deglutizione, una maggiore lentezza a consumare il pasto, una
tendenza alla stipsi, o un eccesso di movimento causato da tremore e discinesie.
Nella malattia di Parkinson la funzionalità intestinale può risultare rallentata e i
fermaci utilizzati per il trattamento della malattia rischiano di aggravare questo
problema. Si possono manifestare gonfiore e distensione addominale, a volte
anche fastidiosi. Nausea e vomito sono generalmente effetti collaterali del
trattamento farmacologico, specialmente nelle fasi iniziali. Si verifica anche
spesso un aumento della frequenza minzionale, sia perché la vescica non si svuota
completamente ogni volta, sia perché viene avvertito lo stimolo ad urinare anche
quando la vescica non è ancora piena. Possono inoltre stabilirsi difficoltà quali
ritardo nell’iniziare la minzione, lentezza nello svuotare la vescica, o anche
esagerato riempimento della vescica, che può portare ad una involontaria
emissione delle urine. E’ necessario ricordare che anche altre condizioni possono
determinare o aggravare questi disturbi, quali ad es. infezioni delle vie urinarie,
alterazioni prostatiche negli uomini e un prolasso vescicale e uterino nelle donne.
Il desiderio sessuale (libido) può ridursi nella malattia di Parkinson; in alcuni casi
ciò è dovuto a complessi meccanismi psicologici, in altri a un meccanismo
neurochimico diretto della malattia. Il trattamento farmacologico di fondo della
malattia di solito migliora la libido e anzi, a volte, la esagera, il che può essere
egualmente fastidioso.
Spesso si verifica inoltre un eccesso di sudorazione, presumibilmente da imputare
al coinvolgimento del sistema nervoso autonomo, che controlla queste funzioni
automatiche. La parte superiore del corpo è generalmente la più coinvolta e spesso
l’eccesso di sudorazione si presenta quando l’effetto del farmaco si sta esaurendo.
10 In circa la metà dei pazienti si riscontrano depressione ed ansia, che qualche volta
possono presentarsi come sintomi d’esordio della malattia. Un umore depresso
può in parte essere legato alla reazione negativa conseguente alla diagnosi di
malattia cronica, ma più spesso è il risultato della riduzione di mediatori quali
noradrenalina e serotonina. Nei casi più comuni ansia e depressione sono lievi,
talvolta migliorano con la terapia antiparkinsoniana, ma spesso richiedono un
intervento terapeutico mirato. Per quanto riguarda il sonno, si verifica più
frequentemente una difficoltà a mantenere il sonno che ad addormentarsi, per cui
si determinano frequenti risvegli durante la notte. Più raramente si presenta una
inversione del normale ritmo sonno-veglia. Alcuni pazienti sperimentano sogni
particolarmente realistici (di solito indotti da un eccesso di terapia antiparkinson)
e durante il sonno parlano e gesticolano. Durante il sonno possono anche
verificarsi movimenti a scatto degli arti (mioclono notturno), spesso di nessun
significato patologico. Talvolta la malattia di Parkinson è complicata da demenza,
una caratteristica già commentata da Charcot. La frequenza riportata per questa
associazione varia considerevolmente in base alla selezione dei pazienti e al tipo
d’esame. Una stima pari al 10-15% (Mayeux et. al.) è generalmente accettata.
L’incidenza aumenta con l’avanzare dell’età, avvicinandosi al 65% nei pazienti
con età superire a 80 anni. In alcuni casi di malattia di Parkinson con demenza, la
RMN evidenzia lesioni nella sostanza bianca cerebrale (nelle immagini pesate in
T1) che non si osservano nei parkinsoniani senza demenza.
11 Anatomia patologica e patogenesi
Tutti i neuropatologi sono oggi concordi nell’accettare che la perdita di cellule
pigmentate nella substantia nigra o in altri nuclei pigmentati (locus ceruleus,
nucleo dorsale motore del vago) costituisca la caratteristica più costante nella
malattia di Parkinson. La perdita neuronale non è limitata ai neuroni
dopaminergici, ma si riscontra anche un coinvolgimento dei neuroni
acetilcolinergici, serotoninergici e noradrenergici e si verifica spesso anche una
compromissione del Sistema Nervoso Autonomo.
Il sistema dopaminergico nigrostriale (extrapiramidale) è composto da: sub stantia
nigra, striato (caudato e putamen), globo pallido, nucleo subtalamico e talamo.
La sub stantia nigra è l’insieme delle cellule che producono dopamina, si trova nel
mesencefalo e si presenta di colore grigiastro per i granuli di melanina contenuti
nelle cellule. La dopamina viene sintetizzata nei neuroni e rilasciata nello spazio
intersinaptico dello striato, dove attiva i recettori pre e postsinaptici e viene
inattivata tramite reuptake.
12 Dallo striato partono due vie, una diretta e una indiretta, che raggiungono il
pallido interno. Tramite la via indiretta lo striato si connette con il globo pallido
esterno, che a sua volta proietta verso il nucleo subtalamico da cui partono impulsi
eccitatori sul pallido interno, bilanciati da impulsi inibitori in arrivo dallo striato
tramite la via diretta. Nel Parkinson a causa della riduzione di dopamina, si assiste
a una relativa iperattività della via indiretta, con disinibizione del nucleo
subtalamico, che sommata alla diminuita inibizione della via diretta sul nucleo
pallido, determina una eccessiva inibizione del talamo e, di conseguenza, della
corteccia motoria, con comparsa di bradicinesia e degli altri sintomi del
Parkinson.
La substantia nigra appare visibilmente pallida anche ad occhio nudo, dal punto di
vista microscopico, i nuclei pigmentati presentano una marcata deplezione di
cellule e una gliosi sostitutiva. Inoltre, molte delle cellule rimaste nei nuclei
pigmentati contengono inclusioni citoplasmatiche eosinofile con un alone chiaro,
dette corpi di Lewy; queste formazioni si osservano praticamente in tutti i casi di
malattia di Parkinson e possono essere presenti anche nei casi post-encefalici,
benché in quest’ultima forma siano più comuni gli ammassi neurofibrillari.
13 Entrambe queste alterazioni cellulari, tuttavia, compaiono occasionalmente nella
substantia sigra di individui anziani non parkinsoniani; probabilmente questi
individui avrebbero sviluppato la malattia se fossero vissuti ancora qualche anno.
E’ importante notare , come sottolineato da McGeer et al. che le cellule nigrali
diminuiscono con l’età, passando da 425000 a 200000 (a 80 anni). Anche la
tirosina beta-idrossilasi, l’enzima che controlla la velocità di sintesi di dopamina,
diminuisce con l’età. Questi autori trovarono che nei pazienti con malattia di
Parkinson il numero dei neuroni pigmentati era ridotto di circa il 31% rispetto ai
controlli di pari età. Pakkenberg e coll., usando tecniche di conteggio più precise,
hanno valutato il numero medio di neuroni pigmentati in 550000 e hanno
dimostrato che nei pazienti parkinsoniani era ridotto del 66%. Il numero dei
neuroni non pigmentati nei soggetti di controllo era di 260000, mentre era ridotto
del 24% nei pazienti. Quindi l’invecchiamento contribuisce notevolmente alla
perita cellulare nella
substantia nigra, ma nella malattia di Parkinson la
diminuzione cellulare è cosi marcata che devono essere considerati fattori diversi
dall’invecchiamento.
Le cause di questa patologia rimangono sconosciute, sebbene alcune ricerche
siano a favore di una patogenesi del disturbo provocata da fattori ambientali.
Un primo dato a favore di tale ipotesi è la presenza di una sindrome parkinsoniana
secondaria ad encefalite. Un parkinsonismo postencefalico si è manifestato in
molti pazienti precedentemente colpiti da encefalite letargica, nel corso
dell’epidemia degli anni che vanno dal 1915 al 1926. Sebbene studi autoptici
eseguiti allora non lasciassero dubbi sulla natura infiammatoria di questa
patologia, nessun agente infettivo fu mai isolato. Un’ idea diffusa tra i neurologi
era ritenere che, se un agente infettivo provocava una malattia con sintomatologia
parkinsoniana, allora probabilmente un’infezione era responsabile anche del
morbo di Parkinson. Tuttavia, studi serologici ed epidemiologici hanno escluso
una eziologia virale (Hopkins, 1996).
Un ulteriore dato che emerge da studi epidemiologici è la minor prevalenza della
malattia nei pazienti fumatori rispetto a coloro che non hanno mai fumato. Questo
lascia supporre che la nicotina o qualche altro componente della sigaretta possa
14 assolvere ad una funzione di protezione di sviluppo della malattia (Hellenbrand, et
al., 1997; Tzourio, et al., 1997).
Una importante prova a favore di un’eziologia ambientale è stata l’identificazione
della sostanza tossica MPTP (1-metil-4-fenil-1,2,3,6-tetraidropiridina) quale causa
di
una
patologia
irreversibile
simile
al
Parkinson
(Langston,
1985).
Il ruolo del MPTP venne alla luce alla fine degli anni 70, quando fu riscontrato
che numerosi pazienti che contrassero il Parkinson in giovane età avevano fatto
uso di sostanze stupefacenti contenenti MPTP; studi sui primati confermarono
l’insorgere della malattia in seguito alla somministrazione di tale principio.
L’opinione che prevale attualmente è che la malattia di Parkinson possa essere la
manifestazione di diverse condizioni che hanno un comune percorso finale.
I soggetti possono essere affetti in modo diverso da una combinazione di fattori
genetici e ambientali. Per i parenti di primo grado di soggetti affetti da Parkinson
il rischio di contrarre la malattia può essere due volte superiore a quello della
popolazione generale (Marder, et al., 1996; Jarman, et al., 1999; Lazzarini, et al.,
1994).
Sebbene le varietà solo genetiche comprendono probabilmente una piccola
minoranza di soggetti con malattia di Parkinson, mutazioni genetiche identificate
recentemente che riguardano più precisamente il gene alpha-synucleina
(Polymeropoulos, et al., 1997; Kruger, et al., 1998), e il gene parkina ([Kitada, et
al., 1998) hanno fornito degli indizi preziosi sull’eziologia della degenerazione
neuronale e hanno permesso di riconoscere l’importanza di un’alterazione del
metabolismo proteico nella malattia di Parkinson
(Huang, et al., 2003).
Il gene parkina sul cromosoma 6 può essere associato alla malattia in famiglie con
almeno un membro affetto da Parkinson a esordio precoce, mentre molteplici
fattori genetici possono essere coinvolti nella forma idiopatica a esordio tardivo
(Scott, et al., 2001).
15 Diagnosi differenziale
Esistono forme cliniche che inizialmente assomigliano alla malattia di Parkinson
idiopatica, ma che presentano poi un decorso differente, spesso maggiormente
invalidante. Un dubbio diagnostico va posto quando la modalità d’esordio non è
monolaterale, quando il decorso è rapido e quando non vi è una buona risposta
alla levodopa.
Fra tutti i parkinsonismi, la malattia di Parkinson è quella di gran lunga più
diffusa, rappresentando circa il 65-70% di tali malattie. Una classificazione dei
parkinsonismi è presentata nella sottostante tabella.
CLASSIFICAZIONE DEI PARKINSONISMI
Parkinsonismi secondari
Parkinsonismi primitivi
• Malattia di Parkinson idiopatica
• Parkinsonismo Vasculopatico
• Atrofie multisistemiche:
• Parkinsonismo da Farmaci
• Parkinsonismo da Neurotossine
-Atrofia Olivo-Ponto-Cerebellare
- Degenerazione Striato-Nigrica
• Parkinsonismo Post-traumatico
• Paralisi Sopranucleare Progressiva
• Degenerazione Cortico-Basale
• Parkinsonismo da Idrocefalo
Normoteso
• Parkinsonismo Post-encefalitico
16 Evoluzione della malattia
L’evoluzione naturale della malattia si è molto modificata con l’avvento della
terapia con levodopa che, ripristinando la quantità di dopamina disponibile per la
stimolazione striale, corregge i sintomi. Con l’avanzare della malattia e della
perdita neuronale, si riduce anche la possibilità di immagazzinamento della
dopamina nei terminali nervosi, per cui la stimolazione recettoriale perde il
pattern fisiologico che ancora era possibile nelle prime fasi della malattia. Si ha
cosi una stimolazione recettoriale discontinua, legata alle somministrazioni di
levodopa, farmaco a breve emivita. Clinicamente diventa evidente una riduzione
della risposta al farmaco che svanisce (wearing off) dopo qualche ora. Si può
quindi assistere a periodi di ripresa dei sintomi, con bradicinesia più o meno
accentuata, fino ad arrivare al blocco completo. Questa è la cosiddetta sindrome
on-off ; si vuole con questo termine, descrivere la sensazione che spesso descrive
il paziente, cioè di essere “acceso o spento”. Con l’avanzare anche i periodi in cui
il paziente è in “on”, cioè quelli di mobilità, risultano complicati. L’evenienza di
un eccesso di movimento, per lo più di tipo coreoatetosi, dapprima localizzato e
poi diffuso, è riscontro comune in malati parkinsoniani trattati con levodopa per
molti anni. E’ questa la sindrome da trattamento cronico con levodopa. L’utilizzo
di dopaminoagonisti, in ionoterapia all’inizio della malattia e successivamente in
associazione alla levodopa, grazie alla loro più lunga emivita e alla loro azione di
stimolazione recettoriale diretta, permette di posticipare l’insorgenza di questa
sindrome. Il trattamento farmacologico è di tipo sintomatico e non influisce
sull’evoluzione della malattia, anche se con i dopaminoagonisti dell’ultima
generazione si può ipotizzare un rallentamento. L’autonomia del paziente è
direttamente correlata al controllo dei sintomi, che è ottimo nei primi anni e si
riduce successivamente.
Nelle fasi più avanzate la malattia si può complicare con disturbi di equilibrio e
conseguenti cadute. Da considerare inoltre un eventuale deterioramento cognitivo,
riscontrabile nel 30% dei casi, e la presenza di dispercezioni (allucinosi o
allucinazioni) o di franche sindromi psicotiche, queste correlate per lo più alla
terapia dopaminergica.
17 La scala Hoehn & Yahr (Hoen e Yahr, 1967)è utile per definire lo stadio
clinico del paziente:
STADIO 0
NESSUN SEGNO DI MALATTIA;
STADIO 1 COINVOLGIMENTO UNILATERALE;
STADIO 1,5 COINVOLGIMENTO UNILATERALE E ASSIALE
(RIGIDITA’ DEL COLLO);
STADIO 2
COINVOLGIMENTO BILATERALE SENZA ALTERAZIONE
DELL’EQUILIO;
STADIO 2,5 COINVOLGIMENTO BILATERALE LIEVE CON
INSTABILITA’POSTURALE MA CAPACITA’ DI
RIPRENDEREL’EQUILIBRIO QUANTO SPINTO;
STADIO 3 COINVOLGIMENTO BILATERALE DA LIEVE A
MODERATO INSTABILITA’POSTURALE (INCAPACE DI RIPRENDERE
L’EQUILIBRIO SE SPINTO) ANCORA FISICAMENTE INDIPENDENTE;
STADIO 4 DISABILITA’ GRAVE; IL PAZIENTE PUO’ ANCORA
CAMMINARE O STARE IN PIEDI DA SOLO
MA E’ GRAVEMENTE DISABILE;
STADIO 5
IL PAZIENTE E’ ALLETTATO O IN SEDIA A ROTELLE
SE NON AIUTATO ;
Gli stadi da 0 a II rappresentano la fase lieve della malattia; lo stadio III quella
moderata; gli stadi IV-V rappresentano la fase avanzata della Malattia di
Parkinson.
Questa scala indica la condizione di progressione della malattia, ed è quindi la
scala fondamentale per definire eventuali livelli di inabilità.
18 Trattamento farmacologico
Dalla prima proposta terapeutica avanzata dallo stesso Parkinson (salasso di
sangue dal collo dei pazienti), molta strada è stata fatta nella ricerca della cura per
la Malattia di Parkinson. Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, non
esiste una terapia capace di debellare definitivamente la malattia, l'unica
possibilità terapeutica è la correzione dei sintomi via via che compaiono.
Gran parte dei risultati positivi ottenuti in questo campo sono legati alla scoperta
della fisiopatogenesi della malattia e alla conseguente introduzione in terapia della
L-DOPA, ancora oggi il farmaco per eccellenza nella cura della Malattia di
Parkinson. Tuttavia, oggi, esistono altri farmaci a disposizione del medico, la cui
scelta dovrà essere adattata al paziente ed alla severità della malattia.
Per il trattamento della malattia di Parkinson idiopatica possono trovare impiego:
agonisti dopaminergici, Levodopa. inibitori delle monoamminoossidasi B,
inibitori della catecol-O-metiltrasferasi, Amantadina.
Levodopa
La Levodopa è un precursore aminoacidico della dopamina. A differenza della
dopamina, la Levodopa è in grado di attraversare la barriera emato-encefalica e di
raggiungere quindi il sistema nervoso centrale dove viene metabolizzata ad opera
di un enzima, la dopa-decarbossilasi.
La conversione a dopamina si verifica, non solo a livello centrale ma anche a
livello periferico. Questo provoca effetti indesiderati quali vomito, nausea ed
19 effetti cardiovascolari, e diminuisce l’attività della dopamina a livello centrale.
Per questo motivo la somministrazione di Levodopa è generalmente associata a
Carbidopa ( Sinemet ) o Benserazide ( Madopar ), che sono inibitori della dopa
decarbossilasi extracerebrale.
La terapia con Levodopa va iniziata a basse dosi ed aumentata gradualmente
cercando sempre di ridurre al minimo la dose massima. Questo perché la
Levodopa
è
associata
allo
sviluppo
di
numerose
effetti
collaterali.
Tra i più comuni effetti avversi legati all’uso di Levodopa ci sono l’ipotensione,
l’aritmia, i disturbi gastrointestinali, la perdita di capelli, la confusione ed i
disturbi emozionali e del comportamento.
Ben più gravi sono però le complicazioni associate all’uso cronico di Levodopa.
Primo tra questi l’effetto wearing off, ovvero una diminuzione dell’attività del
farmaco dovuta ad una progressiva diminuzione dei neuroni dopaminergici.
Accanto a questo troviamo oscillazioni on/off dell’attività della Levodopa, ovvero
il passaggio da periodi on caratterizzati da attività motorie normali a periodi off di
non risposta al farmaco, in cui l’attività motoria è ridotta ed è accompagnata da
debolezza.
Si può verificare anche un peggiormento di fine dose quando il beneficio
associato
al
farmaco
assume
una
durata
sempre
più
breve.
Ci sono inoltre casi di resistenza al farmaco e discinesia associata alla dose
efficace. Anche se la Levodopa è considerata dalla maggioranza un farmaco
sicuro e non tossico per l’uomo, alcuni dati suggeriscono il suo effetto deleterio a
livello del tessuto neuronale, che sembra essere coinvolto nella patogenesi della
malattia.
Pur essendo numerosi gli effetti collaterali associati alla Levodopa, tra cui anche
quelli psichiatrici, questi sono inferiori rispetto a quelli prodotti da altri
antiparkinson, tra cui anticolinergici, Amantadina ed agonisti della dopamina.
Agonisti dopaminergici
Rientrano in questa categoria la Bromocriptina ( Pardodel ), Pramipexolo (
Mirapexin ) e Ropinirolo ( Requie ), farmaci che mimano l’azione della
dopamina, agendo direttamente sui neuroni dopaminergici. Questi farmaci
20 possono essere usati da soli oppure possono essere associati a Levodopa.
Il Committee on Safety of Medicines ( CSM ) ha segnalato che gli agonisti
dopaminergici derivati dall’ergot ( Bromocriptina, Cabergolina, Lisuride e
Pergolide ) possono essere associati a fibrosi polmonare, retroperitoneale e
pericardica.
Viene raccomandato di verificare la VES e la creatinina sierica e di eseguire una
radiografia del torace prima di iniziare il trattamento con questi farmaci.
E’ necessario controllare i pazienti in caso di comparsa di dispnea, tosse
persistente, dolore toracico, scompenso cardiaco e dolore o dolorabilità
addominale.
In caso di terapie prolungate sono utili indagini della funzionalità polmonare.
Nella maggior parte dei casi gli agonisti dopaminergici non-derivati dell'ergot
sono preferibili agli agonisti dopaminergici derivati dell'ergot.
Inibitori delle monoaminossidasi B
Appartengono a questa classe la Seleginina ( Jumex ) e la Rasagilina ( Azilect ),
che possono essere usati da soli ( Rasagilina ) o associati a Levodopa ( entrambi )
per diminuire gli effetti collaterali associati ad utilizzo cronico di Levodopa.
Inibitori della catecol-O-metiltrasferasi
Gli inibitori COMT, Entacapone ( Comtan ) e Tolcapone ( Tasmar ), sono
impiegati in associazione alla Levodopa e alla Carbidopa per prolungare l’effetto
della
Levodopa
in
quanto
inibiscono
l’enzima
catecol-O-metiltrasferasi
prevenendo la degradazione periferica di Levodopa. Vengono generalmente
utilizzati per contrastere gli effetti di fine dose.
Amantadina
L’Amantadina ( Mantadan ) è un debole antagonista dopaminergico, utile per
contrastare alcuni effetti del Parkinson, anche se in alcuni casi si può instaurare
21 tolleranza.La sospensione del farmaco deve essere graduale indipendentemente
dall’effetto ottenuto dal paziente.
In alcuni casi l’Amantadina può dare allucinazione
Approccio riabilitativo:
valutazione neuromotoria e principi di trattamento
La riabilitazione, e con essa la fisioterapia, si imposero nel trattamento della M.P.
prima della diffusione del trattamento con Levodopa. In seguito, i successi della
terapia farmacologica ne fecero diminuire l’importanza. Si è avuta una ripresa di
interesse per questo tipo di intervento da quando si sono evidenziate le
complicanze dovute ai farmaci ed in seguito alla constatazione che la progressione
della patologia continua nonostante la terapia medica. Il trattamento riabilitativo
del soggetto con M.P. si propone innanzitutto il mantenimento della situazione
psicofisica del paziente e la prevenzione di danni secondari e terziari, cioè delle
problematiche non direttamente causate dalla patologia primaria, ma dalla
riduzione del movimento, dell’ attività fisica generale, dei contatti sociali, ecc..
La riabilitazione del soggetto con M.P. si basa sul lavoro in team multi
professionale per promuovere lo sviluppo del potenziale di salute dell’individuo,
il mantenimento delle autonomie di base e l’apprendimento/riapprendimento di
strategie motorie e cognitive.
22 Prioritario è il monitoraggio dell’evoluzione della patologia e degli effetti del
trattamento attraverso un’attenta valutazione del soggetto, preferibilmente con
l’uso di metodiche e scale validate (U.P.D.R.S., I.C.F., test di disabilità,
menomazione, qualità della vita, abilità cognitive, ecc.).
Le evidenze scientifiche sull’efficacia del trattamento fisioterapico, logopedico e
di terapia occupazionale per il soggetto con M.P. sono ancora limitate, soprattutto
per la carenza di studi e, ancor più, per la loro disomogeneità e scarsa qualità.
Non esistono ancora, infatti, linee guida condivise riguardo alle metodologie di
riabilitazione e fisioterapia da considerarsi come “best practice” di trattamento per
la M.P. Nonostante ciò, le più diffuse Linee Guida (per es., quelle della American
Academy of Neurology Medical Speciality Society) affermano che “Per pazienti
con M.P., la terapia con esercizio può essere considerata per migliorare la
funzione…” Numerosi studi hanno inoltre dimostrato l’efficacia di esercitazioni
di addestramento nelle attività della vita quotidiana e dell’uso di segnali visivi ed
uditivi nel trattamento del M.P. Tutti gli studi concordano però sulla scarsa
“tenuta” nel tempo dei risultati acquisiti.
23 Conoscere le caratteristiche dei disturbi del movimento nelle persone con malattia
di Parkinson è il punto di partenza per la progettazione degli interventi
riabilitativi. Il paziente parkinsoniano deve essere preso in considerazione nella
sua globalità, tenendo presente che spesso è potatore di altri quadri patologici e
deficit funzionali. Deve essere stilata una accurata anamnesi che evidenzi: sesso,
età, epoca d’esordio della patologia, patologie pregresse e concomitanti, patologie
familiari, abitudini di vita ed alimentari, terapia farmacologica.
L’esame obiettivo neuromotorio deve prendere in considerazione lo stadio della
patologia del paziente, i conseguenti deficit motori, psichici, funzionali che ne
derivano, per definire un programma riabilitativo mirato, per migliorare e tenere
sotto controllo quei deficit che impoveriscono e riducono la funzionalità del
paziente. Si deve tener presente che la Rieducazione Neuromotoria ha un ottimo
risultato sulla maggior parte dei sintomi motori del parkinsoniano, ma non su tutti.
Per rendere efficace l’approccio riabilitativo, si dovrà quindi concentrare
l’attenzione sui particolari aspetti deficitari di cui è portatore ogni paziente e
intervenire con una serie di attività mirate su ogni deficit suscettibile di
miglioramento, che si evidenzia man mano che la patologia progredisce.
Si valuterà quindi:
La bradicinesia. Consiste nella lentezza dell’esecuzione del movimento. E’
presente su tutti i parkinsoniani ed aumenta col progredire della gravità della
patologia, sino ad arrivare all’acinesia: mancanza del movimento. Agli esordi è
lieve ed è ben controllata dalla terapia farmacologica, soprattutto dalla levodopa.
E’ accompagnata dalla perdita graduale dei movimenti automatici, come il
pendolamento degli arti, la deglutizione, la mimica facciale, etc.
A seconda dello stadio della patologia, è presente anche difficoltà nell’iniziare e
bloccare il movimento, tipica è la lentezza tra il comando e l’esecuzione del
movimento. Con l’aggravarsi della malattia aumenta la difficoltà nei movimenti
alternati, nei movimenti fini della mano e nell’esecuzione dei programmi motori
complessi. Pian piano si alterano i riflessi posturali che correggono la posizione
del capo in funzione di quella del corpo e del baricentro, con conseguente
alterazione dello schema corporeo. Negli stadi più avanzati è presente il freezing:
acinesia paradossa, caratterizzata dal congelamento dei piedi che sembrano
24 incollati al suolo; da questa posizione di blocco il paziente può tornare
improvvisamente ad una motricità normale. Con la rieducazione neuromotoria si
possono ottenere buoni risultati sulla bradicinesia, soprattutto nelle forme lievi e
medie, in particolare quando la rigidità è ridotta.
La rigidità. Può essere il solo segno clinico all’esordio della malattia. E’ definita
plastica
(troclea dentata) poiché il muscolo si decontrae a scatti. Inizialmente
può passare inosservata quando è ancora lieve ed è per questo che, a volte, la
diagnosi è ritardata a quando il sintomo è più evidente. L’ipertono muscolare
interessa i muscoli agonisti ed antagonisti con una resistenza omogenea alla
mobilizzazione passiva. Coinvolge tutta la muscolatura, è interessata anche quella
della mimica facciale, delle lingua, della faringe, laringe, dei muscoli oculomotori,
etc. Negli stadi avanzati i normali movimenti di rotazione della colonna vertebrale
si annullano, rendendo impossibile la rotazione sul proprio asse. La rigidità,
quando non è più controllabile con la terapia farmacologica, provoca una spiccata
sintomatologia dolorosa agli arti e alla colonna vertebrale, che spesso è riferita
erroneamente a cause ortopediche. In tutti gli stadi la rieducazione neuromotoria,
sia attiva che passiva, è indicata ed ha un buon risultato per la funzione
decontratturante, di rilasciamento, elasticizzante. Inoltre rallenta l’instaurarsi di
retrazioni permanenti delle parti molli, che sono causa di riduzioni articolari.
Il tremore. Può essere l’unico sintomo evidente. E’ il più appariscente e perciò
spaventa molto il paziente, che se ne vergogna e spesso per questo si isola. E’
dovuto ad una regolare contrazione alterna dei muscoli agonisti e antagonisti,
contrazione più spiccata nei segmenti distali.
E’ presente durante il riposo, si accentua con le emozioni, l’ansia, gli sforzi e
durante i movimenti fini. Scompare nel sonno e nei movimenti ampi. E’ tipico
tipico l’atteggiamento delle dita che contano monete. All’inizio è presente in un
arto o in un emilato, poi si estende a tutti e quattro gli arti con l’aggravarsi della
patologia. Sul tremore la fisioterapia non apporta modifiche positive, al contrario
lo stesso può
essere esasperato dall’esecuzione di esercizi attivi troppo
impegnativi. Il terapista dovrà quindi essere attento nel dosare l’intensità e la
difficoltà dell’esercizio. Poiché il tremore essenziale a volte può essere confuso
25 con quello parkinsoniano, si è ritenuto utile riportare qualche cenno sulle sue
caratteristiche. Insorge a qualsiasi età, è presente una familiarità del 50% dei casi,
colpisce il capo, le mani, la voce. E’ posturale cinetico, non è mai associato alla
rigidità, alla bradicinesia e all’instabilità posturale. Non beneficia della terapia con
levodopa.
Coordinazione. Man mano che la patologia avanza, vengono meno i
presupposti per una normale coordinazione. La rigidità, il tremore, la bradicinesia,
la mancanza di normali reazioni d’equilibrio, la difficoltà nell’iniziare e bloccare
il movimento, fanno si che questo non sia più ben controllato e armonioso.
Migliora con la fisioterapia, di pari passo con il miglioramento della bradicinesia
e rigidità.
Instabilità posturale. Si evidenzia soprattutto negli stadi più avanzati.
Vengono gradatamente meno gli aggiustamenti posturali, per cui la stazione eretta
e i cambiamenti posturali dapprima sono insicuri, poi difficili o impossibili
autonomamente. Sempre negli stadi più avanzati si evidenzia la festinazione: il
paziente inizia il movimento con difficoltà, per poi proseguire di corsa alla ricerca
del proprio baricentro. Per mancanza degli aggiustamenti posturali si può
osservare l’antero, retro o lateropulsione del tronco, cosi che la deambulazione si
fa via via più arischio di caduta.
Un consistente miglioramento è ottenibile con appropriate attività per l’equilibrio,
insegnando al paziente a mettere in atto le reazioni che ancora possiede, a
contenere il deficit posturale dedicando una maggiore attenzione ai movimenti e,
nei casi più gravi, ad utilizzare ausili. Ulteriore caratteristica degli stadi più
avanzati è il riscontro della acatisia, ovvero difficoltà a stare fermo o seduto per
qualche tempo nella stessa posizione.
Forza muscolare. Difficilmente l’ipostenia è un problema legato al morbo di
Parkinson; gli arti hanno normalmente una forza buona. E’ invece presente una
stancabilità generica legata alla patologia. La riduzione della forza muscolare
solitamente è legata al non uso.
26 Attività della vita quotidiana. La funzionalità nelle ADL permane più o meno
sufficiente fino agli ultimi due stadi. Man mano che si verificherà l’inadeguatezza,
sarà compito del fisioterapista di individuare come varicare i vari deficit, o
studiando come sostituire i gesti impossibili con altri possibili, per ottenere lo
stesso risultato motorio, o consigliando ausili di sostegno, o apportando modifiche
all’ambiente circostante, per facilitare l’autonomia del paziente.
Valutazione della stazione eretta, passaggi posturali e deambulazione.
I deficit posturali si evidenziano man mano che la patologia si aggrava e non vi è
più risposta alla terapia farmacologica. Si deve valutar la presenza di
atteggiamento camptocormico: cifosi del rachide sia cervicale che dorsale e
flessione degli arti inferiori. Negli stadi avanzati la deambulazione avviene a
piccoli passi, con piedi trascinati, ginocchia flesse, assenza di movimenti
pendolari degli arti superiori, con corpo “en bloc”. La partenza e la fermata sono
difficoltose. Si deve inoltre valutare come vengono effettuati i passaggi posturali
autonomamente: da supino a prono, da supino a seduto, da seduto in piedi, da in
ginocchio in piedi e viceversa. Si devono verificare la capacità di rotolamento, che
direttamente proporzionale a quella di svincolo dei cingoli, e le reazioni di
raddrizzamento. L a rieducazione posturale è indispensabile in tutti gli stadi della
malattia; nei primi evita il peggioramento repentino ed insegna il controllo dell’
atteggiamento camptocormico. Quando questo si aggrava è indispensabile un
ritocco della terapia farmacologica.
Valutazione articolare. La vera riduzione articolare avviene quando lo stadio è
avanzato, in fase terziaria. I vizi di posizione allora diventano irreversibili:
flessione del capo, cifosi dorsale, flessione degli arti, equinovarismo dei piedi,
mano a ceppo o ad artiglio, etc. Il paziente diviene quindi totalmente dipendente,
per cui vanno studiati ei supporti per lui e la famiglia. Sin dai primi stadi la kinesi
attiva e passiva evita la riduzione articolare.
Movimenti involontari. Le discinesie possono essere collegate alla
somministrazione di levodopa, quando in genere è somministrata da anni. Quando
sono molto frequenti rendono la vita del paziente molto difficile; aumentano negli
stati d’ansia, emotività, paura, etc. L’aggiustamento terapeutico in questi casi è
27 molto importante. La rieducazione non ottiene risultati sulla riduzione dei
movimenti involontari. E’bene effettuarla nei periodi della giornata in cui questi
movimenti sono meglio controllabili.
Valutazione dell’ambiente circostante. Per ambiente circostante si intende
sia il contesto familiare che sociale in cui è inserito il paziente, oltre a quello
ambientale; è molto importante sapere da quali e quanti stimoli il paziente è
sollecitato.
E’ necessario educare i familiari a trattare il parkinsoniano in maniera idonea in
base alla risposta motoria che ancora possiede, senza negare la patologia e di
conseguenza i limiti funzionali che man mano si evidenziano, non facendogli
richieste al di sopra delle sue possibilità ed evitando di sostituirsi totalmente nelle
attività che il paziente è ancora in grado di effettuare. Se il paziente è in età
lavorativa, si deve mirare ad ottenere il massimo del risveglio del suo potenziale
motorio ed incoraggiarlo a mantenere la sua attività. Si deve verificare che la
terapia sia sempre sotto stretto controllo neurologico, per un continuo
aggiustamento posologico che, nelle fasi più avanzate, diventa elemento
indispensabile.
Si deve infondere fiducia e invogliare il paziente a vivere a pieno, mettendo in atto
le capacità motorie che ancora possiede e che in parte vengono esplicate con il
lavoro. Se l’età è più avanzata, si devono sollecitare iniziative risocializzanti,
sfruttando tutte le occasioni per vivere in movimento e con gli altri. La tendenza
all’isolamento deve essere combattuta sin dall’inizio, cioè da quando la diagnosi
di Parkinson coglie il paziente impreparato, spesso terrorizzandolo. Ciò esaspera i
sintomi e gli iniziali deficit motori, che peraltro permettono una vita pressoché
normale. Troppo spesso il Parkinsoniano si elimina dalla vita sociale da solo,
prima ancora di arrivare ad una vera e propria impotenza funzionale globale.
Vengono presentati ora alcuni test di facile somministrazione, per una valutazione
più accurata del paziente, che aiutano ad evidenziare lo stadio di gravità del
Morbo di Parkinson, lo stato funzionale, il quadro cognitivo, l’equilibrio e il tono
dell’umore. Il test può dare un indirizzo, un aiuto per focalizzare al meglio il
quadro del paziente. E’ compito poi del Riabilitatore sfruttare tutta la sua
esperienza, la sua sensibilità e tenacia, per ottenere il massimo risultato
28 riabilitativo, apprendendo di giorno in giorno, dalle risposte del paziente, quali
siano le migliori tecniche da adottare e gli schemi motori da utilizzare per
ricostruire la funzione persa ed infine quale sia l’atteggiamento psicologico da
mantenere. Se tutto ciò verrà osservato, il risultato sarà ottimale per il paziente.
Qui di seguito presentiamo alcune tra le più famose scale di valutazione utilizzate
nei pz. con malattia di Parkinson, tra cui: l’UPDRS (Fahn, et al., 1987), che è la
scala di valutazione maggiormente utilizzata per la valutazione delle abilità
motorie nei pazienti con malattia di Parkinson. E’ un ottimo strumento di
valutazione che permette di seguire il corso longitudinale della malattia di
Parkinson. E’ composta da più sezioni: 1) Capacità mentali, comportamento e
umore; 2) Attività della vita quotidiana ; 3) Esame motorio; 4) Complicanze
dovute alla terapia.
UNIFIED PARKINSON'S DISEASE RATING SCALE (UPDRS)
29 30 31 32 33 34 COLUMBIA UNIVERSITY RATING SCALE (1977)
1) Espressione facciale
0 – normale
1 – ipomimia minima; potrebbe trattarsi di una normale impassibilità
2 – diminuzione lieve ma abnorme dell’espressione facciale
3 – ipomimia moderata
4 – facies fissa con perdita grave o completa dell’espressione facciale
2) Seborrea
0 – normale
1 – fronte untosa, senza dermatite
2 – lieve dermatite,eritema e desquamazione
3 – dermatite moderata
4 – dermatite grave
3) Scialorrea
0 – assente
1 – lieve ma evidente eccesso di saliva nella faringe; il paziente può non
accorgersene; assente la perdita di saliva dalla bocca
2 – moderato eccesso di saliva con minima perdita
3 – notevole eccesso di saliva con discreta perdita
4 – perdita notevole, che richiede speciali provvedimenti
4) Disturbi della parola
0 – assenti
1 – lieve perdita dell’espressione, della dizione e/o del volume
2 – eloquio monotono, impastato ma comprensibile
3 – eloquio molto compromesso, di difficile comprensione
4 – incomprensibile
5/9) Tremore
0 – assente
1 – lieve e raramente presente
35 2 – di ampiezza moderata ma presente solo ad intermittenza
3 – moderato e presente per la maggior parte del tempo
4 – di ampiezza marcata e presente tutto il tempo
10/14) Rigidità
0 – assente
1 – lieve o apprezzabile in alcune circostanze
2 – moderata
3 – marcata, ma la mobilizzazione completa è ottenibile facilmente
4 – grave, la mobilizzazione è ottenibile con difficoltà
15/16) Agilità delle dita ( il paziente oppone il pollice alle altre dita in rapida
successione)
0 – normale
1 – leggermente lento
2 – lento
3 – molto lento
4 – impossibile
17/18) Diadocinesia
Il paziente deve toccare alternativamente col dorso e il palmo delle mani le
ginocchia (vedi 15-16)
19/20) Alzarsi dalla sedia
0 – normale
1 – lento
2 – si spinge sul bracciolo o sul sedile
3 – tende a cadere in dietro e può fare diversi tentativi, ma riesce ad alzarsi senza
aiuto
4 – incapace di alzarsi senza aiuto
22) Postura
0 – normale
36 1 – non del tutto eretta, leggermente incurvata; potrebbe essere normale per un
anziano
2 – moderatamente scimmiesca con cifosi
3 – marcatamente scimmiesca con cifosi
4 – grave flessione con postura estremamente anormale
23) Stabilità posturale
(se il segno di Romberg è normale, valutare la risposta ad un improvviso
spostamento all’indietro prodotto da una spinta sullo sterno)
0 – normale
1 – presenza di retropulsione ma si riprende senza aiuto
2 – assenza di risposta posturale; cadrebbe se non afferrato dall’esaminatore
3 – molto instabile, tende a cadere spontaneamente al test di Romberg
4 – incapace di stare in piedi senza assistenza
24) Disturbi della marcia
0 – deambulazione sciolta, passi normali gira regolarmente
1 – cammina lentamente, i passi possono essere brevi ma senza festinazione o
propulsione
2 – deambulazione difficile e con festinazione, a passi brevi, con freezing e
propulsione, ma richiede minima o nessuna assistenza
3 – grave disturbo dell’andatura che richiede assistenza frequente
4 – non può camminare anche se aiutato
25) Bradicinesia
(comprende sia la lentezza che la povertà di movimenti in generale)
0 – assente
1 – minima lentezza che da al movimento una caratteristica; potrebbe essere
normale in certe persone
2 – lieve grado di lentezza e di povertà di movimento che è anomalo
3 – lentezza moderata con occasionale esitazione nell’iniziare e arrestare un
movimento in corso
4 – marcata lentezza e povertà di movimenti, con frequenti freezing e lunghi
ritardi nell’iniziare i movimenti
37 WEBSTER (1968)
Interpretazione dei punteggi
Da 1 a 10: Sindrome Parkinsoniana leggera – non vi è una significativa
limitazione dei movimenti;
da 11 a 20: Sindrome Parkinsoniana moderatamente grave – peggioramento
apprezzabile anche se vi è ancora indipendenza;
da 21 a 30: Sindrome Parkinsoniana grave – peggioramento da grave a molto
grave. Totalmente dipendente dall’aiuto esterno.
SCALA
I. Bradicinesia della mano, inclusa scrittura
0 = Nessuna compromissione.
1 = Segni di rallentamento della velocità di prono-supinazione, difficoltà iniziali
nell’uso di utensili, nell’abbottonarsi e nello scrivere.
2 = Rallentamento moderato della velocità di prono-supinazione in uno o
entrambi i lati, moderata compromissione delle funzioni della mano, scrittura
marcatamente compromessa, micrografia.
3 = Grave rallentamento della velocità di prono-supunazione. Incapacità di
scrivere o di abbottonarsi gli abiti. Difficoltà marcata nell’uso degli oggetti.
II. Rigidità
0 = Tono normale.
1 = Segni di rigidità del collo e delle spalle. Fenomeni di attivazione presenti. Uno
o entrambi gli arti superiori mostrano rigidità lieve, persistente e negativa.
2 = Moderata rigidità del collo e delle spalle. Persistente rigidità se il paziente non
è sotto terapia.
3 = Grave rigidità del collo e delle spalle. Nonostante la terapia, rigidità
permanente.
III. Postura
0 = Posizione normale. Capo flesso in avanti per meno di 10 cm.
1 = Incipiente rigidità della colonna. Capo flesso in avanti (fino a 12,5 cm).
38 2 = Iniziale atteggiamento in flessione degli arti superiori. Capo chinato in avanti
fino a 15 cm. Uno o entrambi gli arti superiori flessi ma con la mano ancora al di
sotto dell’articolazione dell’anca.
3 = Incipiente posizione scimmiesca. Capo flesso in avanti per più di 15 cm. Una
o entrambe le mani al di sopra dell’ articolazione dell’ anca. Marcato
atteggiamento in flessione della mano con incipiente estensione inter-falangea.
Incipiente flessione delle ginocchia.
IV. Oscillazione degli arti superiori
0 = Entrambi gli arti oscillano mentre il paziente cammina.
1 = Un arto oscilla di meno.
2 = Un arto non riesce ad oscillare.
3 = Entrambi gli arti non riescono ad oscillare.
V. Andatura
0 = Facilità nella marcia, con passi di 45-105 cm. Nessun problema nel voltarsi.
1 = Passi abbreviati fino a 30-45 cm. Comparsa di tallonamento monolaterale.
Lentezza nel voltarsi. Sono necessari più passi.
2 = Passo moderatamente abbreviato fino a 15-30 cm. Notevole tallonamento
bilaterale.
3 = Strisciamento dei piedi, ogni passo è inferiore a 7,5 cm. Comparsa di andatura
inceppata e bloccata. Cammina in punta di piedi. Ha notevole difficoltà nel
voltarsi.
VI. Tremore
0 = Nessun tremore
1 = Meno di 2,5 cm di ampiezza del tremore alle estremità, al capo, o alla mano
nella prova indice naso.
2 = Il limite del tremore non eccede i 10 cm. Il tremore è grave ma non costante. Il
paziente conserva un certo controllo del movimento delle mani.
3 = L’ampiezza del tremore eccede i 10 cm. Il tremore è grave e costante. Durante
la veglia il tremore è continuo, a meno che non sia di tipo puramente cerebellare.
Il paziente non può scrivere o alimentarsi da solo.
39 VII. Facies
0 = Normale, vivace, senza fissità.
1 = Segni di immobilità. La bocca resta chiusa. Segni incipienti di ansia o
depressione.
2 = Immobilità moderata. Le emozioni compaiono solo dopo aver superato una
soglia apprezzabilmente più alta. La bocca resta talvolta aperta. Moderati segni di
ansietà e depressione. Può esistere ipersalivazione.
3 = Fissità dell’espressione. Bocca aperta per più di circa 0,5 cm. Possibile grave
ipersalivazione.
VIII. Seborrea
0 = Nessuna
1 = Aumento della sudorazione. Secrezione fluida.
2 = Pelle significativamente grassa. La secrezione è molto più densa.
3 = Seborrea inequivocabile. La testa e il viso sono coperti da una secrezione
densa.
IX. Linguaggio
0 = Chiaro, forte, risonante, facilmente comprensibile.
1 = Incipiente raucedine con perdita di modulazione e risonanza. Buon volume di
voce, ancora facilmente capibile.
2 = Moderata raucedine e disfonia. Timbro di voce costante, monotono invariato.
Incipiente disartria. Parola esitante, balbettante, difficilmente comprensibile.
3 = Marcata raucedine ed affievolimento della voce.
X. Autonomia
0 = Nessuna compromissione.
1 = Ancora autosufficiente, ma con una certa difficoltà nel vestirsi.
2 = Bisogno di aiuto in situazioni critiche, ad esempio salire e scendere dal letto,
alzarsi dalla sedia. Può fare alcune cose ma impiega molto tempo.
3 = Incapace di vestirsi, mangiare e camminare senza aiuto.
40 NORTHWESTERN UNIVERSITY DISABILITY
SCALE (NUDS)
SCALA A: DEAMBULAZIONE
Non cammina da solo
10 – Non può assolutamente camminare, neppure con la massima assistenza.
9 – Ha bisogno di notevole assistenza anche per fare pochi passi;
non può uscire di casa neppure se aiutato.
8 – Richiede un certo aiuto in casa, può uscire di casa se notevolmente aiutato.
7 – Deve contare su un aiuto in casa e richiede aiuto effettivo per uscire.
Qualche volta cammina da solo
6 – Cammina da una stanza all’altra senza bisogno di assistenza, ma si muove
lentamente ed usa degli appoggi; non esce mai da solo.
5 – Va da una stanza all’altra senza troppe difficoltà, qualche volta può uscire
senza aiuto.
4 – Percorre facilmente brevi distanze; camminare per strada gli è difficile ma lo
può fare spesso senza aiuto; solo raramente percorre dei lunghi tratti da solo.
Cammina sempre da solo
3 – L’andatura è molto anormale, lenta e strascicata; la postura è molto alterata, ci
può essere propulsione.
2 – La qualità dell’andatura è insoddisfacente ed il passo lento; la postura è
moderatamente alterata, può esserci una leggera tendenza alla propulsione;
voltarsi riesce difficile.
1 – L’andatura è solo leggermente anormale per quanto riguarda la qualità e
velocità; voltarsi è l’operazione più difficoltosa; la postura è essenzialmente
normale.
0 – Normale.
SCALA B: VESTIRSI
Necessita di assistenza totale
10 – Il paziente è un impedimento piuttosto che un aiuto per l’assistente.
9 – I movimenti del paziente non aiutano né ostacolano l’assistente.
8 – Può aiutare l’assistente con i movimenti del corpo.
7 – Aiuta notevolmente con i movimenti del corpo.
41 Necessita di parziale assistenza
6 – Indossa da solo i capi più semplici (cappello, giacca).
5 – Esegue da solo circa la metà delle operazione di abbigliamento senza aiuto.
4 - Esegue da solo circa la metà delle operazione di abbigliamento con notevole
fatica e lentezza.
3 – Si veste da solo eccetto che per alcune operazioni più difficili
(annodare la cravatta, allacciare i bottoni).
Completa indipendenza
2 – Si veste completamente da solo, lentamente e con grande fatica.
1 – Si veste completamente da solo, ma un po’ più lentamente e faticosamente che
di norma.
0 – Normale.
SCALA C: IGIENE
Necessita di assistenza totale
10 – Incapace di mantenere buona l’igiene personale; neppure con la massima
assistenza.
9 – Discreta igiene personale se assistito, ma non aiuta l’assistente in modo
considerevole.
8 – Buon igiene personale, aiuta l’assistente.
Necessita di assistenza parziale
7 – Può eseguire alcuni compiti da solo se l’assistente è vicino.
6 – Richiede assistenza per circa la metà delle operazioni connesse alla propria
toilette.
5 – Richiede aiuto per alcuni compiti non particolarmente difficili dal punto di
vista della coordinazione.
4 – Provvede a quasi tutti i bisogni personali da solo; usa metodi di ripiego per
aiutarsi nei compiti più difficili ( rasoio elettrico).
Completa indipendenza
3 – Provvede alla propria igiene indipendentemente, ma con fatica e lentezza; non
rari incidenti; può avvalersi di metodi di ripiego.
2 – Le attività igieniche richiedono un certo impiego di tempo; non si avvale di
metodi di ripiego; pochi incidenti.
42 1 – Mantiene un igiene normale, se si eccettua una certa lentezza.
0 – Normale.
SCALA D: ASSUNZIONE DI CIBO E COMPORTAMENTO A
TAVOLA (da valutare separatamente)
Assunzione di cibo
5 –La capacità di mangiare è cosi ridotta che necessita un attrezzatura ospedaliera
per ottenere un nutrizione adeguata.
4 – Si nutre solo con liquidi e con cibi molli che digerisce con grande lentezza.
3 – Se la cava bene con liquidi e cibi molli; qualche volta mangia cibi solidi, ma
con fatica e grande lentezza.
2 – Mangia abitualmente alcuni cibi solidi, ma con fatica e lentezza.
1 – Segue una dieta normale, ma la masticazione e la deglutizione sono laboriosi.
0 – Normale.
Comportamento a tavola
5 – Richiede assistenza completa.
4 – Esegue da solo operazioni connesse con l’alimentazione.
3 – Esegue da solo la maggior parte delle operazioni connesse con
l’alimentazione, lentamente e con fatica; richiede aiuto per compiti specifici
(tagliare la carne, riempire il bicchiere).
2 – Provvede all’alimentazione da solo con moderata lentezza, ma può avere
bisogno di aiuto in situazioni specifiche (tagliare la carne); non rari gli incidenti.
1 – Si alimenta da solo con rari incidenti; più lentamente che di norma.
0 – Normale.
SCALA E: PAROLA
10 – Non vocalizza per niente.
9 – Vocalizza, ma raramente per comunicare.
8 – Vocalizza per attirare l’attenzione su di se.
7 – Tenta di usare la parola per comunicare, ma ha delle difficoltà ad iniziare la
vocalizzazione; gli capita di interrompersi in mezzo ad una frase e non riuscire a
continuare.
6 – Usa la parola per comunicare, ma l’articolazione delle parole è quasi
incomprensibile; gli capita di avere difficoltà nell’incominciare a parlare; in
43 genere dice parole singole o brevi frasi.
5 – Usa sempre la parola per comunicare, ma l’articolazione è ancora molto
difettosa, di norma usa frasi complete.
4 – Può venir compreso se l’ascoltatore sta molto attento; sia l’articolazione delle
parole che la voce possono essere difettose.
3 – Riesce a comunicare facilmente, sebbene le difficoltà di parola tolgano
efficacia al contenuto del discorso.
2 – Le parole vengono senza difficoltà, ma la voce o il ritmo del discorso possono
essere alterati.
1 – Espressione verbale soddisfacente; presenza di lievi difetti vocali.
0 – Normale.
44 TINETTI, 1986
A) Equilibrio
Equilibrio da seduto
- si inclina o scivola dalla sedia
- è stabile, sicuro
0
1
Alzarsi dalla sedia
- è incapace sansa aiuto
- deve aiutarsi con le braccia
- si alza senza aiutarsi con le braccia
0
1
2
Tentativo di alzarsi
- incapace senza aiuto
- capace, ma richiede più di un tentativo
- capace al primo tentativo
0
1
2
Equilibrio nella stazione eretta
- instabile
- stabile grazie all’uso del bastone o di altri ausili
- stabile senza ausili
0
1
2
Equilibrio nella stazione eretta prolungata
- instabile
- stabile, ma a base larga (i malleoli mediali distano >10cm)
- stabile a base stretta
0
1
2
Romberg sensibilizzato
- incomincia a cadere
- oscilla
- stabile
0
1
2
Romberg
- instabile
- stabile
0
1
Girarsi a 360°
- a passi discontinui
- a passi continui
- instabile
- stabile
0
1
0
1
Sedersi
- insicuro
- usa le braccia
- sicuro
0
1
2
Punteggio A)_______/16
45 B) Andatura
Inizio della deambulazione (immediatamente dopo il via)
- una certa esitazione
- nessuna esitazione
0
1
Lunghezza ed altezza del passo
-A. piede dx
- durante il passo il piede dx non supera il sx
- il piede dx supera il sx
- il piede dx non si alza completamente dal pavimento
- il piede dx si alza completamente dal pavimento
-B. piede sx
- durante il passo il piede sx non supera il dx
- il piede sx supera il dx
- il piede sx non si alza completamente dal pavimento
- il piede sx si alza completamente dal pavimento
0
1
0
1
Simmetria del passo
- Il passo dx e sx non sembrano uguali
- il passo dx e sx sembrano uguali
0
1
Continuità del passo
- continuo
- discontinuo
1
0
Traiettoria
- marcata deviazione
- lieve o moderata deviazione
- assenza di deviazione
0
1
2
Tronco
- marcata oscillazione
- nessuna oscillazione, ma flessione delle ginocchia,
della schiena o allargamento delle braccia durante il cammino
- nessuna oscillazione, flessione, uso delle braccia
Cammino
- i talloni sono separati
- i talloni quasi si toccano
0
1
0
1
0
1
2
0
Punteggio B)_______/12
Punteggio A)+B)_______/28
46 47 48 Esistono infine delle scale che valutano in modo selettivo il tono dell’umore;
ne presentiamo adesso alcune:
0-20: Tono dell’umore normale
23-44: Tono dell’umore lievemente depresso
45-66: Tono dell’umore depresso
49 La riabilitazione si troverà ad affrontare diverse forme cliniche che si
differenziano per sintomi, per lo stadio clinico, per l’aggressività del quadro
patologico e per le complicanze associate, che vengono elencate di seguito.
50 FORME CLINICHE PIU’ FREQUENTI Forma completa
Rigidità, Bradicinesia, Tremore
Forma ipercinetica
Prevale il Tremore
Forma rigido-acinetica
Prevale la Rigidità e la Bradicinesia
Forma complicata
Interessamento vegetativo importante e
multisistemico
Forma con depressione
Forma con demenza
Forma benigna
Lenta progressione
Forma maligna
Rapida progressione
Inoltre, in relazione all’età, si distinguono:
Forma giovanile
Esordio a meno di 20 anni
Forma precoce
Tra 20 e 40 anni
Forma tipica
Tra 40 e 75 anni
Forma tardiva
Oltre 75 anni
51 A seguito della valutazione neuromotoria, si stilerà un piano di trattamento per il
paziente, a seconda dello stato di gravità della patologia e della forma clinica. La
rieducazione neuromotoria deve essere consigliata sin dai primi sintomi motori
con un mirato programma di esercizi. Deve essere adeguata alle possibilità
motorie individuali e per ogni fase di progressione della patologia. Infatti, è
inesorabile il peggioramento del quadro neuromotorio, che accompagna il
paziente con l’avanzare della gravità del Morbo ed è per questo che, all’esordire
di un nuovo deficit, si deve prontamente stabilire un programma fisioterapico
adeguato a ridurre il progredire del danno funzionale.
Gli obiettivi del riabilitatore sono quelli di prevenire posture e schemi motori
scorretti, mantenere quanto è stato ottenuto e migliorare, ove è possibile, il quadro
motorio. Non possono essere apportati cambiamenti radicali, ma possono essere
minimizzati gli effetti della patologia, promuovendo una maggiore efficienza delle
potenzialità residue. Più precoce sarà il trattamento e migliore sarà il risultato che
si avrà, perche non saranno dimenticati gli schemi normali; lo schema motorio
patologico non deve diventare l’abitudine. Il trattamento riabilitativo persegue le
indicazioni che la neurofisiologia ci offre: solo gli automatismi di più recente
acquisizione sono danneggiati nel Morbo di Parkinson; gli automatismi arcaici di
fuga, paura, immobilità sono integri; gli automatismi si ripristinano attraverso la
continua ripetizione dello schema motorio (facilitazione). Con questi presupposti,
si tenterà di ricostruire gli schemi motori rivolti all’esplorazione ed all’interazione
del mondo esterno, facilitandone l’acquisizione con la ripetizione quasi esasperata
degli stessi. La rieducazione neuromotoria individuale è sempre il trattamento
d’elezione: la mobilizzazione passiva, la kinesi attiva assistita individuale, fanno
si che il paziente recuperi al massimo il potenziale motorio perso. Il terapista ha
infatti, di volta in volta, la possibilità di valutare i progressi del paziente e di
capire con quali esercizi insistere per migliorare la funzione là dove il paziente ha
maggiori difficoltà. Poiché la sintomatologia del parkinsoniano è spesso variabile,
si dovranno dosare gli esercizi a seconda della sua performance al momento del
trattamento. Ogni ciclo deve avere un numero di sedute sufficienti per riportare il
paziente al massimo delle sue capacità. Devono essere consigliati diversi cicli in
un anno, cosi da mantenere sotto controllo il quadro patologico. La rieducazione
neuromotoria di gruppo può essere intercalata a quella individuale. L’esercizio
52 attivo che si effettua nel gruppo, agirà sull’elasticità tendinea, sull’allungamento
muscolare, sulla coordinazione, sulle reazioni d’equilibrio, sulla resistenza fisica,
etc. il gruppo deve essere di massimo 5/6 elementi, per dare al fisioterapista al
possibilità di un controllo adeguato sull’esecuzione dell’esercizio. Il “gruppo” ha
un soddisfacente risultato anche dal punto di vista psicologico, poiché il paziente
può confrontarsi con gli altri componenti, diluendo cosi le proprie angosce e
accettando maggiormente i propri limiti. I gruppi devono avere un’omogeneità per
quanto riguarda il potenziale motorio, l’età, la capacità intellettiva dei pazienti.
Sin dall’esordio della malattia, deve essere effettuata una valutazione anche dal
logopedista e dal terapista occupazionale, che ciclicamente verificheranno la
necessità del loro intervento. Il logopedista si occuperà dei problemi legati alla
fonazione, deglutizione e alla sfera cognitiva. Il terapista occupazionale si
dedicherà allo studio del ripristino delle funzioni legate alle attività quotidiane con
l’uso di ausili appropriati, con modifiche all’ambiente, all’abbigliamento, etc.
La psicomotricità è indicata per pazienti particolarmente negativisti. Può essere
d’aiuto al paziente che non accetta la propria invalidità e la vive esasperandone la
limitazione. Per questi aspetti, l’intervento dello psicomotricista può essere di
valido aiuto a quello del fisioterapista per “sbloccare” l’inibizione del paziente al
movimento. L’attività psicomotoria può essere effettuata sia individualmente, che
in gruppo.
53 Consigli pratici per il riabilitatore:
• Trattare il paziente nel suo momento migliore.
• Equilibrare il livello di difficoltà dell’esercizio al potenziale del paziente.
• Proporre esercizi semplici e comprensibili, l’esercizio deve essere
stimolante pur ricalcando schemi motori sempre uguali.
• Richiedere una prestazione di maggiore impegno ma mai irraggiungibile.
• Intercalare esercizi semplici, “che rassicurano”, ad esercizi più complessi
che possono procurare frustrazione.
• Incoraggiare sempre il paziente affermando che solo attraverso
l’allenamento si raggiungono risultati soddisfacenti.
• Privilegiare esercizi attivi in quei pazienti che hanno una personalità
passiva.
• Privilegiare il recupero delle attività funzionali negli stadi avanzati e nei
pazienti anziani.
• Ricordare al paziente di utilizzare sempre pienamente il potenziale
motorio posseduto.
• Consigliare di effettuare attività motorie piacevoli nel tempo libero.
• Non negare le difficoltà motorie, valorizzare e incoraggiare l’utilizzo delle
capacità residue.
54 Alcune strategie per aumentare le abilità nei compiti funzionali
CAMMINARE
La maggior parte dei soggetti con MP hanno difficoltà a camminare, e queste
difficoltà non sempre rispondono positivamente ai farmaci antiparkinson , ad
esempio la lentezza nel cammino e la presenza di passi corti possono rimanere,
nonostante i migliori tentativi di farmacoterapia. L’ipocinesia del cammino
colpisce quasi tutti gli individui ed aumenta in severità con la progressione della
malattia. Il deficit fondamentale nella ipocinesia del cammino è un disturbo nella
regolazione della lunghezza del passo, poiché c'è una relazione proporzionale tra
la lunghezza del passo e la distanza dal suolo, i pazienti con ipocinesia sono da
considerare a rischio di inciampare sugli ostacoli durante la fase oscillante del
cammino, specie se la lunghezza del passo è < 1 m. Il rischio di cadute limita
molto l'autonomia del soggetto, quindi il fisioterapista deve dedicare molto tempo
ad insegnargli a camminare con passi di lunghezza appropriata alla sua altezza e
all'età. L’uso di stimoli esterni e di strategie cognitive sono i principali mezzi che
il terapista può usare per ridurre l'acinesia del cammino. La letteratura fornisce
considerevoli prove che gli stimoli visivi (ad esempio linee bianche sul pavimento
spaziate ad una lunghezza del passo adatta per l'età e l'altezza del soggetto)
rendano normali le variabili temporali e spaziali del cammino (Morris e al., 1994;
Morris e al., 1996; Morris e al., 1999). In aggiunta Behrman e al., nel 1998
dimostrarono che le strategie attentive , dove le persone rispondono a differenti
programmi di addestramento, come ad esempio le istruzioni a camminare con
passi lunghi od oscillando le braccia, sono efficaci nell’ aumentare, a breve
termine, la lunghezza del passo e la velocità del cammino.
GIRARE (dietrofront)
L’ attività di girarsi e tornare indietro durante il cammino è molto problematica
per i parkinsoniani che hanno episodi di freezing o di instabilità motoria.
Generalmente quando i soggetti anziani girano a 360°(fanno dietrofront) durante il
cammino, essi fanno cinque o sei passi per completare l'azione, le persone con MP
fanno anche 20 passi per girare, con passi corti, che diventano sempre più corti
55 fino eventualmente a fermarsi, questi inoltre presentano pochi movimenti del
tronco, della testa e degli arti superiori quando girano, rispetto ai soggetti normali.
Per evitare fenomeni di freezing durante il girarsi, gli individui con MP possono
essere allenati a concentrarsi sul girare in un largo arco di movimento, piuttosto
che focalizzandosi su un rapido cambio di direzione. Usando questa strategia,
Yekutiel e altri nel 1991 trovarono che 12 soggetti con MP ridussero il tempo che
loro impiegavano a girarsi del 40% , dopo tre mesi di trattamento fisioterapico
bisettimanale.
ALZARSI E SEDERSI
Carr e Shepherd nel 1998 indicarono che per alzarsi dalla posizione seduta sono
necessarie quattro azioni:
ƒ
spostare il corpo in avanti, così che i glutei siano sul margine della sedia,
ƒ
porre i piedi ben appoggiati sul pavimento e abbastanza indietro,
ƒ
portare il tronco in avanti,
ƒ
alzarsi velocemente mentre si pensa di piegarsi “in avanti e su” in un arco
di movimento.
Un problema comune è che i soggetti con MP non si flettono abbastanza in avanti
mentre vengono in piedi, per cui il centro di gravità cade posteriormente in
rapporto ai piedi, ed il momento della forza di carico all'anca e al ginocchio risulta
aumentato, rendendo l'alzarsi veramente difficile. Nei parkinsoniani con
ipocinesia, provare mentalmente la sequenza prima della sua esecuzione, o l'uso di
stimoli verbali come ripetere la sequenza ad alta voce, può aiutare l’esecuzione di
questo compito. Possono essere usati anche stimoli propriocettivi, come portare il
tronco in avanti e indietro prima del movimento, o stimoli uditivi come ad
esempio dire “vai” possono essere di aiuto. In uno studio sui movimenti di alzarsi
e sedersi usando queste strategie, Kamsma e colleghi nel 1994 trovarono che
quattro sessioni di allenamento riducevano gli errori di pianificazione ed
esecuzione di questa sequenza di azioni in 10 soggetti con MP, ed in aggiunta tre
individui che furono esaminati un anno dopo l'addestramento, non dimostrarono
un deterioramento in questa attività. Così pure Yekutiel e al. nel 1991 trovarono
che 12 soggetti con MP migliorarono il tempo dell'attività di alzarsi e sedersi di
56 più del 50% in tre mesi di fisioterapia bisettimanale, che enfatizzava l’attenzione
sui movimenti di tutto il corpo durante l’azione, aumentando la velocità di
prestazione. I soggetti inoltre mostravano più energia, ed eseguivano il compito
più semplicemente.
Nelle fasi più avanzate della malattia i parkinsoniani possono trovare giovamento
nell'attività di alzarsi con l'uso di sedie con braccioli o con il fondo della sedia
rialzato, è inoltre utile istruire i familiari su come assisterli in questi compiti, così
da evitare traumi muscolo-scheletrici.
Un altro problema frequente nelle persone affette da MP è la difficoltà nel girarsi
nel letto e nell’ alzarsi e coricarsi, queste attività sono difficili da eseguire perché
richiedono una complessa sequenza di movimento, che può essere divisa in varie
sub-componenti, come ad esempio tirare giù le coperte, scivolare il bacino verso il
centro del letto in modo che quando la rotazione sul sacro è completata, il corpo
non è sul bordo del letto, portare le braccia nella direzione del rotolamento,
portare gli arti inferiori oltre il bordo del letto, spingersi verso l'alto e fare gli
aggiustamenti posturali necessari per alzarsi in piedi. Questa attività è
ulteriormente resa difficile perché è usualmente eseguita la notte, quando il livello
della L-dopa è basso e l'ipocinesia e l'acinesia sono al loro picco massimo. Queste
azioni inoltre vengono eseguite con poca luce, e quindi senza che la vista possa
guidare la sequenza di movimento, inoltre in genere è presente l'urgenza di andare
in bagno a causa del ridotto controllo del muscolo detrusore della vescica, per il
coinvolgimento del sistema nervoso autonomo nel MP. Per questo motivo è
essenziale insegnare a questi soggetti delle strategie efficaci per spostarsi nel letto,
girarsi, alzarsi e coricarsi, in modo da ridurre al massimo l'assistenza dei familiari.
Anche per queste attività si possono usare degli accorgimenti che le rendano più
facili, come ad esempio usare una L-dopa a lenta azione, che aumenti la mobilità
nel letto durante la notte, usare una lampada per la notte in modo che la vista
possa guidare i movimenti, mettere sul letto una trapunta leggera, facile da tirare
su e giù e dei lenzuoli di raso o seta in modo da ridurre l'attrito. Si può inoltre
insegnare al soggetto con MP a provare mentalmente la sequenza del movimento
prima di cominciare, ed a stare attento all'esecuzione di ogni sub-movimento da
eseguire. In alcuni casi può servire un registratore con registrati gli ordini verbali
57 che aiutino ad attivare le varie componenti della sequenza motoria, inoltre è
necessario assicurarsi che il letto non sia troppo basso, perché questo rende
difficile l'alzarsi in piedi.
Uno studio sperimentale di Kamsma e al. nel 1994 ha quantificato gli effetti delle
strategie cognitive sull’abilità del girarsi nel letto in 10 soggetti parkinsoniani,
trovando che esercitazioni ripetute di strategie per la mobilità a letto, che
comprendevano provare mentalmente il compito o spezzare la sequenza delle
azioni in varie parti, per evitare la necessità di azioni simultanee, portarono ad un
progressivo miglioramento del risultato. I vantaggi erano maggiori per quei
soggetti classificati al grado II o III della scala di Hoen e Yahr, e minori per quei
pazienti gravemente disabili (stadio IV), l'allenamento fu soltanto per quattro
sedute e non furono valutati gli effetti a lungo termine.
PREVENZIONE DELLE CADUTE
Più del 35% dei soggetti con MP in fase avanzata cadono, ed il 18% si procura
delle fratture, come conseguenza della caduta, e quindi la prevenzione delle
cadute è il più importante obiettivo del fisioterapista nei parkinsoniani agli stadi
più avanzati della malattia. In linea generale le cadute si verificano più facilmente
se il soggetto presenta anche disturbi cognitivi, oltre quelli motori, e se esegue
più compiti insieme piuttosto che uno soltanto. Fattori ambientali, quali ad
esempio i tappeti sul pavimento, o gli effetti collaterali della terapia
farmacologica, o fattori correlati come l'età, sono pure da considerare per ridurre i
rischi di cadute. Può essere utile tenere un diario delle attività della vita
quotidiana, e dei farmaci con il loro relativo orario di assunzione, e le eventuali
cadute, in modo da elaborare un'efficace programma di prevenzione, costruito sui
bisogni dell'individuo. Hausdorf, Balash e Giladi nel 2003 studiarono gli effetti
del dual-task sull’instabilità del cammino e sul rischio di cadere nei soggetti
parkinsoniani. I soggetti, affetti da morbo di Parkinson di varia gravità, furono
studiati durante il cammino normale e mentre eseguivano un compito cognitivo.
Risultò che durante il cammino con associato il doppio compito, le persone con
MP avevano una maggiore instabilità nel camino ed un maggior rischio di cadere
58 rispetto al cammino normale, con una correlazione significativa con la durata
della malattia.
AVVICINAMENTO AD UN OGGETTO, PRESA, MANIPOLAZIONE E
SCRITTURA
A causa della bradicinesia, la capacità di avvicinarsi agli oggetti, di afferrarli e di
manipolarli è compromessa nella maggior parte degli individui con MP, ed i
compiti più complessi come vestirsi, aver cura della propria persona, nutrirsi sono
eseguiti con eccessiva lentezza e con movimenti di ampiezza inadeguata. Questi
pazienti inoltre presentano una forza di prensione alta quando eseguono compiti di
presa di precisione, ma non riescono a sollevare un lapis. Per questi compiti il
fisioterapista lavora in collaborazione con il terapista occupazionale e con i
familiari, in modo da utilizzare strategie efficaci. Anche per queste attività è
importante provare mentalmente la sequenza dell’ azione, prima di eseguirla. Può
essere utile anche guardare l'oggetto che deve essere afferrato prima e durante il
movimento, in quanto l'oggetto può funzionare come uno stimolo visivo, e quindi
permettere l'esecuzione di un movimento dell'arto superiore più normale. E’ utile
frammentare i movimenti di prensione in varie parti, e concentrarsi
sull'esecuzione di ogni componente in modo separato, anche stimoli verbali come
“ vai” o “rilascia” possono aiutare nell'attività, è inoltre importante evitare stimoli
distraenti nell'ambiente, o eseguire un compito secondario concorrente allo stesso
tempo. Sebbene le persone con MP siano lente a raggiungere un bersaglio fermo,
esse sono spesso capaci di protendersi in avanti ed afferrare un oggetto in
movimento, come ad esempio una palla che si muove, ad una velocità quasi
normale, presumibilmente poiché il movimento della palla attiva risposte
elaborate a livello del midollo spinale o di strutture basse del cervello.
Per quanto riguarda la scrittura, vari studi sperimentali hanno dimostrato che la
carta rigata aiuta questi soggetti a scrivere più facilmente, probabilmente perché
fornisce uno stimolo visivo che regola l'ampiezza delle lettere, come pure
focalizzare l'attenzione su scrivere con lettere grandi può essere di aiuto. Queste
strategie sembrano avere un effetto a breve termine, in quanto se la persona
59 esegue un secondo compito, ad esempio parlare al telefono, mentre scrive un
messaggio, ricompare la micrografia.
La prevenzione dell'atrofia muscolare e dell’ipostenia, della riduzione
dell’ampiezza del movimento, e della ridotta capacità all'esercizio è in genere lo
scopo iniziale della fisioterapia nei soggetti con MP, e dovrebbe iniziare appena
eseguita la diagnosi. Nei primi stadi della malattia la persona dovrebbe essere
incoraggiata a partecipare ad attività fisiche come camminare, nuotare, fare yoga,
tai-chi, golf, andare in bicicletta, poiché questi soggetti hanno una più rapida
riduzione del livello di attività fisica rispetto agli individui sani di pari età.
Canning e al. nel 2005 suggeriscono che gli individui con lieve e moderato MP
possono mantenere una normale capacità di esercizio, con un'adeguata e regolare
attività aerobica. Essi possono anche aumentare lo sviluppo della forza e la
coordinazione con attività come il karatè o esercizi di mobilizzazione del rachide.
Quando la malattia progredisce, sono necessarie attività compito-specifiche, che
tengano conto della capacità aerobica, ad esempio salire e scendere le scale.
Quando sono presenti deformità o contratture muscolari possono essere utili
stimoli visivi, come ad esempio lo specchio, dei programmi specifici di
rafforzamento o di stiramento di specifici gruppi muscolari, o l'uso di adeguate
ortesi, o speciali sedie, o letti.
60 Consigli per tutti i giorni
I pazienti con Malattia di Parkinson possono avere delle difficoltà ad eseguire le
attività della vita
quotidiana. Riportiamo qui sotto alcuni punti che possono aiutare il paziente a
superare questi problemi.
TREMORI: un tremore a riposo può di tanto in tanto interferire con le attività
manuali. Per meglio
controllare il tremore, premete il gomito colpito contro il corpo in maniera tale da
stabilizzare la parte superiore del braccio e quindi eseguite il movimento
desiderato il più rapidamente possibile.
VESTIRSI: Vestirsi e spogliarsi può essere molto faticoso e lento.
I seguenti consigli possono aiutarvi a vestirvi e spogliarvi più rapidamente:
Indossate vestiti leggeri e larghi; cominciate a vestirvi e spogliarvi dal lato più
rigido. Se avete problemi di equilibrio sedete sul bordo del letto o su una poltrona
con braccioli per vestirvi; usate cinture elastiche o abiti con chiusure in velcro
invece di bottoni o chiusure lampo; indossate pullover perché non hanno i bottoni;
utilizzare il gancio per bottoni ; scegliete vestiti che si chiudono davanti; usate
lacci elasticizzati per le scarpe o mocassini; mettetevi le scarpe usando un calzante
a maniglia lunga; chiedete a un membro della famiglia di sistemarvi prima i
vestiti.
IL BAGNO: il bagno di solito è il posto più pericoloso per tutti quelli con
problemi di equilibrio, difficoltà a camminare o tremori. La maggior parte dei
bagni sono piccoli ed hanno pavimenti in maiolica e vasche da bagno rivestite in
porcellana. Quando queste superfici sono umide diventano estremamente
scivolose. Alcune misure preventive per evitare gli incidenti sono:
1) mettete una superficie ruvida, o una superficie adesiva antisdrucciolo alla base
della vasca o della doccia;
2) togliete le porte di vetro dalla doccia;
3) usate una vasca col sedile o una doccia col sedile;
4) fate la doccia utilizzando un tubo flessibile per sciacquarvi stando seduti;
61 5) attaccate il sapone ad una cordicella per poterlo raccogliere facilmente;
6) non usate come punti di appoggio i dispositivi del bagno (ad es. i porta
asciugamani) poiché non sono molto resistenti e possono cedere e farvi cadere
7) se necessario un maggior supporto fatevi installare delle maniglie; in più un
water rialzato rende più facile l'alzarsi e dei braccioli possono essere applicati al
water come punti di leva. In alternativa uno sgabello di fronte al water aiuta
inoltre a tenere le gambe raccolte e facilita il torchio addominale e quindi la
defecazione.
CAMMINARE: la tipica postura flessa in avanti del paziente con Malattia di
Parkinson favorisce la
tendenza a camminare sulle punte dei piedi con i talloni sollevati. Questi passi
traballanti spesso diventano più piccoli e veloci con la distanza. Quando ciò si
manifesta:
1) smettete di camminare;
2) accertatevi che i piedi siano separati di almeno 20 centimetri;
3) correggete la postura stando più diritti che potete;
4) sforzatevi di fare un passo più ampio;
5) fate un passo portando il piede più in alto, come in uno stile di marcia;
sollevate l'alluce ed appoggiate prima il tallone ;
6) scivolate sulla punta del piede e delle dita;
7) ripetete questo movimento con l'altro piede;
8) fate oscillare il braccio posto in avanti quando fate un passo, questo migliora il
ritmo della marcia ed il vostro aspetto. I bastoni e i girelli non sono sempre utili.
Alcuni pazienti trovano che sono d'impaccio e sono difficili da coordinare. I
girelli, inoltre possono favorire la postura flessa.
GIRARSI: quando volete girarvi non fate perno su un piede incrociando le gambe.
Girate sempre andando in avanti, camminando mentre girate. Camminando fate
un semicerchio con i piedi tenuti separati.
62 FREEZING: il freezing spesso si manifesta quando il paziente si avvicina a degli
spazi stretti: quando si trovano in una posizione di freezing, i pazienti sono di
solito in una postura flessa, con le ginocchia piegate e i talloni sollevati dal suolo.
Più il paziente cerca di muoversi, più perde l'equilibrio.
Per ridurre il freezing:
1. non fate nessun passo;
2. poggiate i talloni a terra;
3. raddrizzate le ginocchia, le anche e il tronco, non sporgetevi indietro;
4. oscillate leggermente da lato a lato;
5. iniziate a fare i passi in avanti poggiando a terra prima il tallone o provate a
marciare sollevando anche le ginocchia;
6. tenete i piedi separati di circa 20 centimetri e correggete la vostra postura.
SCENDERE DAL LETTO: i pazienti spesso hanno delle difficoltà a scendere dal
letto al mattino a causa di una maggiore rigidità. Poiché tipicamente la risposta
migliore alla L-DOPA si ha dopo la prima dose del mattino, in alcuni casi è
opportuno farsi portare a letto la prima dose di L-DOPA con una tazza di tè. Ciò
risolve la difficoltà ad alzarsi dal letto al mattino nella maggior parte dei pazienti.
Altrimenti quando siete pronti ad uscire dal letto stendetevi sul fianco lungo il
bordo del letto, fate cadere giù le gambe mentre vi spingete dall'altro lato con i
gomiti e con la mano.
ALZARSI DA UNA SUPERFICIE BASSA: i pazienti hanno dei problemi ad
alzarsi da una superficie bassa come una poltrona. Per alzarvi portate il bacino
vicino al bordo della poltrona. Tenete i piedi separati almeno di 20 centimetri, uno
più avanti dell’altro all'altro. Oscillate con il tronco velocemente in avanti ed
indietro per tre volte. Alla terza volta portate in avanti le spalle proprio oltre le
vostre ginocchia e spingete in basso con le mani e raddrizzatevi.
63 Interferenza del doppio compito (dual task)
nel paziente parkinsoniano
Durante molte attività della vita quotidiana, le persone hanno la necessità di
eseguire più di un compito alla volta. La capacità di eseguire un doppio compito
(dual task performance) è molto vantaggiosa durante il cammino, perché consente
ad esempio, di parlare con le altre persone, di portare un oggetto da un luogo ad
un altro, e ci consente ti tenere sotto controllo l’ambiente esterno, così che gli
ostacoli
che
minacciano
il
nostro
equilibrio
possano
essere
evitati.
L’esecuzione di un dual task è nota anche come “cuncurrent performance” e
comporta l’esecuzione di un compito primario (es. cammino) quale focus primario
d’attenzione, e di un compito secondario eseguito allo stesso tempo.
Nella malattia di Parkinson i disturbi del cammino sono caratterizzati da una
riduzione dell’ampiezza e della velocità del passo, da una riduzione della
frequenza, e in alcuni casi da festinazione e freezing. Nei soggetti con malattia di
Parkinson comunque, il deficit primario del cammino è descritto come una
incapacità
di
generare
movimenti
sufficientemente
ampi.
In questi pazienti i disturbi del passo sono incrementati durante l’esecuzione di un
secondo compito motorio (Camicioli e coll. 1998); l’importanza del
deterioramento del passo si pensa sia proporzionale alla complessità del compito
motorio che stiamo eseguendo (Morris e coll. 1996, Bond e coll. 2000). Nelle
persone con malattia di Parkinson l’interferenza del doppio compito è un
problema particolarmente evidente in quanto si ha una perturbazione delle
funzioni
motorie
dei
gangli
della
base
(Iansek
e
coll.
1995).
I gangli della base svolgono il ruolo più importante nel controllo
dell’apprendimento delle sequenze motorie ripetitive, attraverso gli output verso
l’area motoria supplementare e la regione motoria del tronco cerebrale (Iansek e
coll. 1995). Nelle prime fasi d’acquisizione delle abilità motorie, le regioni
corticali dell’encefalo esercitano il ruolo più importante nella regolazione del
movimento. Quando poi, i movimenti vengono acquisiti e diventano automatici si
pensa siano controllati dai gangli della base (Seitz e Roland 1992).
64 Quando un movimento è controllato da gangli della base, una persona, in teoria, è
in grado di direzionare l’attenzione per un nuovo o più impegnativo compito
attenzionale attraverso l’uso delle regioni corticali frontali.
Nelle persone con malattia di Parkinson i normali schemi di movimento possono
essere generati quando l’attenzione è focalizzata sulla prestazione; l’attenzione si
pensa porti ad un aggiramento dei gangli della base e ad un uso delle regioni
corticali (Morris e coll. 1996, Behrman e coll.1998). In situazioni di dual task, le
risorse corticali sono impegnate nel mantenimento dell’esecuzione del secondo
compito, lasciando la regolazione della performance dell’altro compito automatico
al circuito difettoso dei gangli della base.
Talland e Schwab hanno condotto degli studi su persone con e senza malattia di
Parkinson durante l’esecuzione di compiti che richiedevano di premere un
contatore con una mano mentre trasferivano delle piccole palline con l’altra mano.
Questi valutarono anche la sequenza di queste azioni. Sebbene entrambi i gruppi
mostrarono una riduzione della velocità di movimento nella condizione di doppio
compito, quelli con malattia di Parkinson mostrarono un decremento maggiore
della performance. O’ Shea e Morris nel 2005 hanno studiato 15 soggetti con MP
e 15 soggetti sani di pari età che camminavano: 1) alla loro velocità, 2) eseguendo
simultaneamente un compito motorio, che consisteva nel trasferire delle monete
da un borsellino dal lato dominante, ad un altro borsellino, posto sull'altro lato
anteriormente a livello dell'anca, 3) eseguendo un compito cognitivo, ovvero
contare , con le dita , all'indietro per tre, da un numero estratto in modo random,
compreso tra 125 e 250. I soggetti anziani sani, mostrarono un’ interferenza del
dual task durante il cammino, con riduzione dei parametri registrati (velocità,
lunghezza del passo, cadenza). I soggetti con MP mostrarono una riduzione nella
velocità del cammino e della lunghezza del passo, significativamente maggiore
rispetto ai sani. Come abbiamo visto, l’esecuzione simultanea di due compiti, con
un dual task sia motorio che cognitivo, compromettevano il cammino negli
individui con MP, ma secondo questi autori, il tipo di compito secondario non era
determinante rispetto alla severità di interferenza del dual task.
65 Rodriguez, Muniz, e al. nel 2004 studiarono l'influenza di un compito
concorrente, e dell'immaginare il movimento, sull'attivazione dell'area motoria
primaria. Lo scopo del loro lavoro fu di studiare la rilevanza della corteccia
motoria primaria (C1) per funzioni motorie diverse dalla semplice esecuzione di
ordini motori. Furono inseriti nello studio 10 soggetti volontari sani, di età
compresa tra i 25 ed i 45 anni. Con la risonanza magnetica funzionale (RMF) fu
studiata l’ attivazione di C1, e delle altre aree cerebrali, durante l’esecuzione di: 1)
un semplice compito motorio (movimento di flessione fasica del dito indice della
mano destra, senza direzionare l'attenzione); 2) un compito di tenuta in flessione
del dito indice della mano destra (contrazione tonica) contro la resistenza di un
elastico; 3) un movimento fasico del dito indice associato ad un compito cognitivo
concorrente, che consisteva nel contare indietro di due da 500; 4) un compito che
richiedeva di immaginare un movimento fasico di flessione del dito indice, senza
eseguirlo. I risultati hanno mostrato che i movimenti del dito indice attivavano
aree della corteccia sensitiva primaria e dell'area motoria primaria della mano,
inoltre l'attivazione di questa zona era maggiore durante il movimento di
contrazione tonica del dito indice. Durante la condizione del movimento associato
ad un compito concorrente di calcolo, l'attivazione dell'area motoria primaria si
riduceva circa del 40%, con attivazione per il restante 60% di altre zone dell’area
sensitivo-motoria della mano. Quando il movimento era soltanto immaginato,
risultava un marcato aumento dell'attivazione sia dell'area motoria, che sensitiva
primaria. Questo lavoro conferma che l'attenzione induce una riconfigurazione
funzionale dell'attivazione di C1, ed inoltre attiva altre aree cerebrali oltre che la
corteccia motoria primaria. L'esecuzione di più compiti contemporaneamente
(dual task interference) , modifica il cammino anche nei soggetti sani, sia giovani,
che anziani, anche se in modo più consistente negli anziani (Mailor e Wing 1996,
Melzer e al. 2001), oltre che nei soggetti con MP. Le ragioni per l’interferenza del
dual task sembrano basarsi sul fatto che i vari compiti richiedono l’uso di più
forme di processi cognitivi, e, quando sono eseguiti insieme, risultano presenti
meno risorse per eseguire entrambi al meglio (Kahneman 1973). Quali compiti
determinino interferenza dipende dall’individuo, dai compiti eseguiti e dalla
priorità del compito.
66 In un suo studio Baker nel 2007 affermò che gli stimoli provenienti dal mondo
esterno hanno dei risultati positivi sul cammino dei soggetti con malattia di
Parkinson, in quanto si ritiene che aggirino il sistema difettoso dei gangli della
base, utilizzando dei percorsi alternativi inalterati migliorando le prestazioni
motorie (Rubinstein e al. 2002). Le sollecitazioni provenienti dall’esterno
forniscono degli stimoli spaziali e temporali, facilitando l’attività motoria, e
portano ad un miglioramento dei singoli parametri del passo, come frequenza e
lunghezza (Nieuwboer e coll. 2006); questi possono essere espressi utilizzando
diverse modalità (stimolazioni uditive, visive, somatosensoriali). In questo studio
Baker e coll. confrontarono l’effetto tra stimolazioni uditive ritmiche, attentive, e
la combinazione di queste sul cammino in persone con MP, durante singolo e
doppio compito. Furono esaminate 15 persone con MP idiopatica e un gruppo di
controllo formato da 12 persone sane.
Furono confrontate tre stimolazioni: uno stimolo uditivo ritmico (camminare a
tempo di un metronomo), strategie attentive (attenzione a fare passi lunghi), e la
combinazione di queste (camminare a tempo del metronomo facendo attenzione a
compiere passi lunghi). Ne risultò che la velocità del passo nei soggetti con MP è
aumentata significativamente con le strategie attentive e combinate, rispetto alla
condizione nella quale non erano forniti nessuno stimolo, sia nella condizione di
singolo compito che in quella di doppio. Anche l’ampiezza del passo è aumentava
significativamente con le strategie attentive e combinate durante il singolo e il
doppio compito. La frequenza del passo era ridotta significativamente con le
strategie attentive durante il singolo e il doppio compito e con le strategie
combinate durante il doppio compito. Solo le strategie uditive non hanno alterato
significativamente nessun parametro del passo durante le condizioni di singolo e
di doppio compito. Baker concluse affermando che le strategie attentive e la
combinazione di stimoli uditivi ritmici con strategie attentive erano ugualmente
efficaci, e aumentavano significativamente la velocità e l’ampiezza del passo sia
durante il singolo che il doppio compito.
67 Galletly e colleghi nel 2005 studiarono 16 soggetti con MP, con un'età media di
65 anni, li confrontarono con 16 soggetti sani, simili per sesso ed età. I compiti
richiesti, in modo concorrente al cammino, erano: 1) di calcolo (contare
all'indietro di tre), 2) linguistico (trovare parole che iniziavano con una specifica
lettera), 3) motorio (pigiare un bottone con la mano preferita). I soggetti erano
istruiti a concentrarsi sia sul cammino che sul compito aggiuntivo allo stesso
tempo. I parkinsoniani avevano come stimolo facilitante visivo delle strisce
bianche in terra, regolate sulla loro lunghezza del passo. Ne è risultato che il
compito motorio aveva la maggior quantità di risposte corrette, mentre il compito
linguistico aveva il maggior numero di risposte sbagliate, inoltre gli stimoli visivi
risultarono efficaci nel normalizzare la lunghezza del passo durante l'esecuzione
dei compiti concorrenti aggiuntivi, infatti quando stimoli visivi con strisce di carta
furono aggiunti ai compiti concorrenti, non si osservò un deterioramento nella
velocità del cammino, nella lunghezza del passo e nella cadenza delle persone con
MP. Il meccanismo per cui gli stimoli visivi siano capaci di migliorare il cammino
nei soggetti con MP non è stato bene determinato. Per spiegare questo effetto
Morris e coll. nel 1996 ipotizzarono due possibili meccanismi: (1) che gli stimoli
visivi focalizzino l'attenzione delle persone sul compito cammino, by-passando il
sistema degli stimoli automatici interni, legati all'integrazione del circuito dei
gangli della base e dell'area motoria supplementare, che risulta deficitario nei
soggetti con MP; (2) che gli stimoli visivi incoraggino la formazione di un
miglior set motorio nell'area supplementare motoria, determinando una
performance motoria migliore in uscita. I risultati dello studio di Galletly e coll.
del 2005 sembrano supportare la teoria del set motorio.
Questi risultati forniscono l'evidenza che gli stimoli visivi rimangano efficaci
nell'aumentare la lunghezza del passo, durante l'esecuzione di dual task di varia
complessità. Le strategie attenzionali, come ad esempio istruzioni a camminare a
passi lunghi, offrono delle sollecitazioni esterne alternative; queste dipendono
molto dai meccanismi cognitivi legati al controllo motorio (Morris e al. 1996,
Behrman e al. 1998, Weriuer e al. 2003). Le strategie visive e attenzionali sembra
abbiano degli ottimi effetti sull’ampiezza e sulla velocità del passo, rispetto agli
stimoli uditivi ritmici, in condizioni di singolo compito.
68 Canning e coll. nel 2005, durante uno studio, trovarono che le strategie
attenzionali si erano rivelate efficaci, durante l’esecuzione di un dual task, quando
i soggetti ricevevano esplicite istruzioni sul direzionare l’attenzione nel cammino.
Bond e Morris nel 2000 hanno esaminato l’interferenza del dual task facendo
trasportare un vassoio come secondo compito. Sia le persone con malattia di
Parkinson che quelle del gruppo di controllo hanno camminato sotto 3 condizioni
lungo un corridoio di 10 metri: 1) Camminare liberamente;
2) Camminare
trasportando un vassoio vuoto; 3) Camminare trasportando un vassoio con 4
lunghi bicchieri vuoti. Nei soggetti senza malattia di Parkinson non fu notato
nessun deterioramento del cammino in tutte e tre le condizioni. Al contrario, il
gruppo di soggetti con malattia di Parkinson mostrò una mediocre riduzione della
lunghezza del passo di 0,13 cm e una mediocre riduzione della velocità del passo
di 7,56 m/min quando si passava dal cammino libero al cammino portando il
vassoio con i bichieri.
Analogamente Canning nel 2004, studiò gli effetti del variare l'attenzione al
compito, durante il cammino con un dual task nei parkinsoniani. Questo studio fu
eseguito su 12 soggetti con MP idiopatica e con non fluttuante risposta alla Ldopa. I soggetti erano 9 uomini e 3 donne, con età media di 65 anni, con un
tempo medio dalla diagnosi di MP di sette anni, capaci di camminare per 120 m
senza assistenza, senza significativi danni cognitivi, testati nella fase “on “ del
farmaco. Gli individui erano registrati quando camminavano alla loro velocità
confortevole in due condizioni di base: 1)camminare con le mani libere senza
specifiche istruzioni; 2) camminare portando un vassoio contenente 4 bicchieri di
plastica vuoti senza specifiche istruzioni. Le condizioni sperimentali erano: 3)
camminare portando il vassoio di bicchieri, con istruzioni di stare attenti a
camminare con passi lunghi; 4) camminare portando il vassoio con i bicchieri, con
istruzioni di stare attenti a mantenere in equilibrio il vassoio con i bicchieri. Le
condizioni di base erano testate per prime, le condizioni sperimentali in modo
randomizzato. Erano eseguite tre serie per ogni condizione, e l'analisi statistica
venne fatta sulla terza serie. Un computer registrava la velocità, la lunghezza del
passo, la cadenza. Furono registrati gli errori (caduta del vassoio e/o dei bicchieri)
durante le serie sperimentali, e con delle V.A.S. fu rilevata la quantità di
attenzione al compito. I risultati dimostrarono che le due condizioni di base erano
69 comparabili con quanto riportato nei precedenti lavori sul cammino nel MP.
Quando il cammino era eseguito portando un vassoio con dei bicchieri, la
performance del cammino si deteriorava quando i soggetti non ricevevano
istruzioni specifiche, oltre a quelle di camminare del loro modo confortevole,
invece quando erano istruiti a dirigere l'attenzione verso il cammino, mentre
portavano un vassoio con bicchieri, i soggetti camminavano più velocemente
(p=0,003) e con passi più lunghi (p<0,001). Il miglioramento ottenuto era
confrontabile con la situazione in cui i soggetti camminavano in modo
confortevole alla loro velocità, senza un significativo decremento della
performance del compito concorrente. Questi risultati suggeriscono che l'abilità
del cammino nelle condizioni di dual task può essere migliorata manipolando
l'attenzione, cioè richiedendo ai parkinsoniani di stare attenti al cammino, anche
quando eseguono un altro compito in modo concorrente. Questi risultati sono
coerenti con altri studi.
70 Il mio studio Scopo dello studio
Lo scopo di questo studio è quello di stabilire quali sono gli effetti dell’usare
istruzioni che dirigono l’attenzione sull’attività del cammino in condizioni di dual
task, in soggetti con malattia di Parkinson, e di valutare se tali variazioni possono
essere osservate anche attraverso strumenti di natura clinica come le scale di
valutazione. Questo studio si svolge in maniera analoga agli studi eseguiti da
Morris nel 2000, da Canning nel 2005, Baker nel 2007; a questo riguardo è giusto
fare una premessa: tutti gli studi che possiamo trovare il letteratura, sono stati
realizzati utilizzando sistemi informatici e tecnologie per la misurazione e
l’elaborazione dei singoli parametri del passo, dei quali noi non possiamo
disporre. Pertanto il nostro studio e i risultati da noi ottenuti non possono essere
paragonati agli esiti degli studi ottenuti da tali autori. Nel nostro caso quindi, per
la valutazione dei soggetti abbiamo utilizzato delle scale di valutazione diffuse e
normalmente impiegate per la valutazione del cammino di pazienti con malattia di
Parkinson e non.
Ai soggetti veniva chiesto di eseguire un doppio compito che consisteva nel
camminare e di trasportare un vassoio con 4 lunghi bicchieri di carta allo stesso
tempo. Questo veniva fatto dapprima focalizzando l’attenzione sul vassoio e sui
bicchieri, successivamente focalizzando l’attenzione sul cammino. In base ai
precedenti studi pubblicati in letteratura, ipotizziamo che l’abilità del cammino
dovrebbe peggiorare quando l’attenzione viene diretta verso il vassoio con i
bicchieri, ed invece migliorare quando questa viene diretta verso il cammino.
71 Materiale e metodi
Soggetti
Lo studio è stato rivolto ad una popolazione di 16 soggetti affetti da malattia di
Parkinson, facenti parte dell’Associazione Parkinson di Arezzo, che svolge le
proprie attività presso la palestra della scuola media IV Novembre, in via F.
Rismondo n4, Arezzo.
I criteri d’inclusione furono:
• diagnosi di malattia di Parkinson idiopatica;
• capacità di camminare per circa 150 metri senza assistenza.
• punteggio al Mini Mental State Examination (Folstein e al.,1975),
superiore a 24/30, questo in quanto il compito sperimentale richiesto è di
tipo attenzionale ed è quindi necessario escludere importanti deficit di tipo
cognitivo.
I criteri d’esclusione furono:
• la presenza di altre patologie di tipo neurologico, cardiovascolare o
muscolo-scheletrico, o di deficit di vista, di gravità tale da, in qualche
modo, interferire con il cammino;
Il loro danno motorio è stato valutato attraverso la “Scheda di valutazione
riabilitativa nel Parkinson della ASF modificata”, la seconda parte della scala
Tinetti, relativa all’andatura e il walking test di 2minuti. Gli ultimi due sono stati
utilizzati anche per valutare le procedure sperimentali (vedi dopo condizione A).
Mentre l’indice di gravità della malattia, di “Hohen e Yahr”, purtroppo, non è
stato possibile recuperarlo. Comunque, anche se l’assegnazione del punteggio
dell’indice di Hohen e Yahr è di competenza strettamente medica, in base alle
nostre osservazioni e valutazioni possiamo affermare che tutti i soggetti presi da
noi in considerazione possano rientrare entro lo stadio 1°e 2°.
72 Infine per escludere eventuali deficit cognitivi venne somministrata la “Mini
Mental State Esamination”(MMSE), Folstein 1975.
Dalla popolazione totale di 16 individui, vennero esclusi 6 pazienti, di cui 4
frequentavano la struttura i modo molto sporadico e quindi non è stato possibile
somministrare i test, e 2 in quanto ottennero un punteggio alla MMSE <24/30;
quest’ultimi inoltre erano affetti da altre patologie importanti che influivano
pesantemente sull’esito dei test: il primo era affetto da malattia di Alzheimer, il
secondo presentava una forma di Parkinson secondaria a trauma cranico. I 10
soggetti presi in considerazione (3 maschi e 7 femmine) avevano un età compresa
tra i 53 e i 77 anni (età media 68,8 ; DS ±7,42) ed erano ammalati mediamente da
8,3 anni con DS ±4,67.
I soggetti non presentavano nessun significativo danno cognitivo infatti il valore
medio riportato al MMSE (0-30) fu di 27,1 con DS ±1,79. Tutti i soggetti inoltre,
sono stati informati sulle finalità dello studio, e su che cosa veniva chiesto loro,
garantendo il totale anonimato dei dati riportati, ed ognuno ha firmato una scheda
per il consenso informato prima di iniziare la raccolta dei dati.
73 I dati raccolti sono sintetizzati nella seguente tabella:
Tabella 2.
Soggetti
Età
Sesso
Scala ASF
(0-122)
MMSE
(0-30)
Tinetti(c.A)
(0-12)
2MWT(c.A)
(metri)
Durata MP
(anni)
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
62
75
66
75
69
77
70
53
75
66
M
F
F
F
F
F
F
M
M
F
120
113
100
112
119
111
74
120
89
114
25
27
30
26
26
28
27
25
27
30
12
12
11
11
11
11
11
12
10
12
157
155
88
121
111
112
90
219
120
150
3
15
12
5
10
3
10
2
10
13
Media
DS
68,8
7,42
107,2
15,16
27,1
1,79
11,3
0,67
132,3
39,23
8,3
4,67
Scala ASF: Scheda di valutazione riabilitativa nel Parkinson della ASF modificata;
MMSE: Mini Mental State Esamination;
2MWT: Walking test di 2 minuti;
(c.A): stesso parametro utilizzato successivamente per la condizione di base A.
74 Materiale
Per la valutazione dei parametri del passo abbiamo utilizzato la seconda parte
della scala Tinetti, dedicata all’analisi dell’andatura. Tale scala prende in
considerazione più items: lunghezza ed altezza del passo, esitazione iniziale,
simmetria del passo, traiettoria, continuità del passo, distanza tra i talloni e
oscillazione del tronco. Riportiamo la scala qui di seguito.
Tinetti, 1986
B) ANDATURA (modificata)
Inizio della deambulazione (immediatamente dopo il via)
- una certa esitazione
0
- nessuna esitazione
1
Lunghezza ed altezza del passo
-A. piede dx
- durante il passo il piede dx non supera il sx
0
- il piede dx supera il sx
1
- il piede dx non si alza completamente dal pavimento
0
- il piede dx si alza completamente dal pavimento
1
-B. piede sx
- durante il passo il piede sx non supera il dx
0
- il piede sx supera il dx
1
- il piede sx non si alza completamente dal pavimento
0
- il piede sx si alza completamente dal pavimento
1
Simmetria del passo
- Il passo dx e sx non sembrano uguali
0
- il passo dx e sx sembrano uguali
1
Continuità del passo
- continuo
1
- discontinuo
0
75 Traiettoria
- marcata deviazione
0
- lieve o moderata deviazione
1
- assenza di deviazione
2
Tronco
- marcata oscillazione
0
- nessuna oscillazione, ma flessione delle ginocchia,
della schiena o allargamento delle braccia durante il cammino
1
- nessuna oscillazione, flessione, uso delle braccia
2
Cammino
- i talloni sono separati
0
- i talloni quasi si toccano
Punteggio B)_______/12
Oltre alla Tinetti ad ogni paziente è stato somministrato un walking test di 2
minuti (2MWT), molto diffuso tra le valutazioni del cammino nei pazienti
Parkinsoniani. Il test consiste nel far camminare il soggetto per due minuti in una
superficie piana e di riportare la distanza coperta dal paziente in tale intervallo di
tempo.
76 Procedura
La condizione di base era:
A) Camminare con le mani libere senza specifiche istruzioni, al proprio
passo abituale, nella maniera più confortevole.
Le condizioni sperimentali erano:
B) Camminare portando un vassoio (39x28 cm, 1 kg) con 4 bicchieri di
carta, alti 17 cm
(con Ø alla base di 6 cm e Ø all’apice di 9cm), con
istruzioni a stare attenti a mantenere in equilibrio il vassoio con i
bicchieri, quindi di prestare attenzione soltanto al vassoio (dual/walk);
C) Camminare portando il vassoio con i bicchieri con istruzioni di stare
attenti a camminare con passi lunghi, quindi di prestare attenzione
soltanto al cammino (dual/tray).
I soggetti venivano fatti camminare in un corridoio di 10m di lunghezza e 3
metri circa di larghezza; questi percorrevano 40m per ogni condizione, per un
totale di 120m circa. Le condizioni poi erano ripetute anche durante il walking
test di 2 minuti.
77 Risultati
Sintesi dei dati ottenuti con scala Tinetti:
Tabella 3.
Soggetti
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Media
DS
Condizione di
base A
Condizione
sperimentale B
Condizione
sperimentale C
12 / 12
12 / 12
11 / 12
11 / 12
11 / 12
11 / 12
11 / 12
12 / 12
10 / 12
12 / 12
11 / 12
8 / 12
8 / 12
7 / 12
8 / 12
8 / 12
7 / 12
11 / 12
9 / 12
11 / 12
12 / 12
11 / 12
9 / 12
11 / 12
10 / 12
11 / 12
10 / 12
12 / 12
10 / 12
12 / 12
11,3
0,67
8,8
1,62
10,8
1,03
Sintesi dei dati ottenuti con 2MWT:
Tabella 4.
Soggetti
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Media
DS
Condizione di
base A (metri)
Condizione
sperimentale C
(metri)
157
155
88
121
111
112
90
219
120
150
120
120
75
118
107
105
75
111
105
110
155
130
80
120
109
105
83
138
113
143
132,3
39,23
104,6
16,61
117,6
24,69
78 Condizione
sperimentale B
(metri)
La maggior parte delle prove sperimentali furono eseguite con successo per
quanto riguarda mantenere i bicchieri in equilibrio sul vassoio. Soltanto un
soggetto, infatti, fece cadere un bicchiere durante la condizione sperimentale
C (dual/tray).
Confrontando i risultati ottenuti nelle prove di base con quelli ottenuti nelle
prove sperimentali, possiamo affermare che le performance del cammino si è
modificata in modo significativo, in quanto:
Nella condizione di base (A) i soggetti avevano ottenuto con la scala di
valutazione “Tinetti” un punteggio medio di 11.3/12; mentre al 2MWT, i
soggetti hanno percorso una distanza media di 132,3 metri.
Nella condizione sperimentale (B) abbiamo osservato un punteggio medio di
8,8/12 alla scala “Tinetti”, quindi una riduzione del 22,12% (vedi grafico 1);
mentre al 2MWT i soggetti hanno percorso una distanza media di 104,6 metri,
quindi una riduzione media del 20,94%, ovvero, mediamente, i soggetti hanno
percorso 27,7 metri in meno rispetto alla condizione di base (vedi grafico 2).
Nella condizione sperimentale (C) alla “Tinetti”, i soggetti hanno ottenuto un
punteggio medio di 10,8/12 quindi si è registrata una riduzione del 4,42%
rispetto alla condizione di base A (in cui si richiedeva di camminare senza
specifiche istruzioni), ma un aumento del 18,52% rispetto alla condizione
sperimentale B (nella quale si richiedeva di focalizzare l’attenzione al
mantenere in equilibrio i bicchieri). Al 2MWT i soggetti hanno percorso
mediamente una distanza di 117,6 metri ovvero hanno percorso in media 14,7
metri (11,11%) in meno rispetto alla condizione di base A; ma hanno percorso
mediamente 13 metri (11,05%) in più rispetto alla condizione sperimentale B,
(vedi grafici 1 e 2).
79 (grafico 1).
Condizione base A
Condizione sperimentale B
Condizione sperimentale C
(grafico 2).
80 Nella condizione sperimentale B, nella quale si richiedeva di focalizzare
l’attenzione a mantenere in equilibrio i bicchieri sul vassoio, in tutti i soggetti
abbiamo osservato una riduzione della lunghezza, dell’altezza e della velocità del
passo (anche se, non tutti, mostravano una riduzione tale da poter essere segnalata
nella scala di valutazione), infatti 3 soggetti su 10 mostravano una riduzione della
lunghezza del passo tale che uno dei due piedi non superasse l’altro; 5 soggetti su
10, invece, non riuscivano a sollevare completamente uno dei due piedi da terra,
mentre una lieve esitazione all’inizio della deambulazione che si è verificata in 3
soggetti su 10. La traiettoria del cammino, invece, si è modificata in 6 soggetti su
10, 2 dei quali in modo marcato e 4 in maniera lieve. Anche nella condizione sperimentale C, nella quale si chiedeva di focalizzare
l’attenzione sul cammino, abbiamo osservato
una riduzione della lunghezza,
dell’altezza e della velocità del passo, ma in forma nettamente minore rispetto a
quella che abbiamo osservato nella condizione sperimentale B. Nella condizione
C, infatti, nessun soggetto ha mostrato una riduzione della lunghezza del passo
tale che uno dei due piedi non superasse l’altro, e tutti i soggetti tranne 1,
riuscivano a sollevare completamente entrambi i piedi; 2 soggetti su 10 hanno
mostrato una lieve esitazione all’inizio della deambulazione, mentre 4 pazienti su
10 hanno mostrato una deviazione della traiettoria del cammino, ma nessuno di
questi in maniera marcata.
81 Conclusione
La validità di questo lavoro, come abbiamo già affermato in precedenza, è
parziale, non è comparabile quindi alla validità degli studi della letteratura
internazionale, in quanto non è stato possibile utilizzare apparecchiature
computerizzate per la misurazione e l’elaborazione dei singoli parametri del
passo,
ne
eseguire
un’elaborazione
statistica
dei
dati
ottenuti.
Rimane però importante, sia per la presentazione di recentissimi studi della
letteratura, sia perché i risultati che siamo riusciti ad ottenere confermano quanto
detto dalla letteratura internazionale. Con questo piccolo studio che siamo riusciti
a realizzare, vogliamo confermare che il cammino in condizioni di dual task può
essere influenzato dal direzionare l'attenzione. L'abilità del cammino aumenta
quando i soggetti con MP sono attenti al cammino, rispetto a quando direzionano
l'attenzione al compito concorrente. Inoltre quando l'attenzione era diretta verso il
camminare, l'abilità del cammino in condizioni di dual task migliorava ad un
livello comparabile con la condizione di cammino soltanto. Questo risultato è
ottenuto senza un significativo decremento del compito concorrente eseguito con
gli arti superiori, in quanto nella maggior parte dei trial, i bicchieri rimangono in
piedi sul vassoio. Le differenze nell’abilità del cammino quando i soggetti stavano
attenti a camminare con passi lunghi, in confronto a quando non venivano date
specifiche istruzioni, suggerisce che, in certe circostanze, il compito concorrente
assorbe una quantità eccessiva di attenzione, che può essere di nuovo ricondotta
verso l'importante compito funzionale del cammino, anche in una condizione così
difficile per il soggetto con MP come quella del doppio compito.
Questo studio può fornire utili indicazioni per il trattamento dei soggetti affetti da
lieve e moderata malattia di Parkinson. Se infatti l'abilità del cammino in
condizioni di dual task è influenzabile dall'attenzione, possono essere elaborate,
ed insegnate al soggetto, adeguate strategie per aumentare l'abilità nei compiti
funzionali della vita di tutti giorni, direzionando l'attenzione, in caso di doppio
compito, su quello che crea maggiori difficoltà.
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ALLEGATI
88 The effect of directing attention during walking under dual-task
condition in Parkinson’s disease [19]
Colleen G. Canning
Scopo dello studio: lo scopo di questo studio era di indagare sugli effetti che
comporta il focalizzare l’attenzione sulla performance del cammino in condizioni
di dual task, in persone con MP.
Soggetti: 12 persone con lieve o moderata MP, testati nella fase “on” di efficacia
del farmaco.
Materiali e Metodi: i soggetti camminavano alla loro velocità sotto due
condizioni di base: (i) camminare con le mani libere senza nessuna specifiche
istruzioni e (ii) camminare portando un vassoio con dei bicchieri senza specifiche
istruzioni; e due condizioni sperimentali: (i) camminare portando il vassoio con i
bicchieri con istruzioni di direzionare l’attenzione sul cammino e (ii) camminare
portando il vassoio con i bicchieri con istruzioni di direzionare l’attenzione sul
vassoio.
Risultati: quando i soggetti ricevevano istruzioni di direzionare l’attenzione sul
cammino mentre portavano il vassoio questi camminavano velocemente
(P=0,003) e con passi lunghi (P<0,001) rispetto a quando non ricevevano
specifiche istruzioni. Questo miglioramento del cammino era ottenuto senza un
significativo decremento del compito concorrente di portare il vassoio con i
bicchieri. Il miglioramento era comparabile a quanto ottenuto quando i soggetti
camminavano con le mani libere.
Conclusione: questo suggerisce che specifiche istruzioni possono essere utilizzate
per manipolare l’attenzione e quindi per migliorare la prestazione dei doppi
compiti della vita quotidiana, in persone con lieve o moderata MP.
Dual Task Interference During Gait in People With Parkinson
Disease: Effect of Motor Versus Cognitive Secondary Tasks [1]
Simone O’Shea, Meg E Morris, and Robert Iansek
89 Scopo dello studio: esacerbazione dei
disordini del movimento durante
l’esecuzione di 2 compiti (dual task performance); aspetto caratteristico dei malati
di Parkinson. Lo scopo di questo studio era quello di identificare quale tipo di
compito secondario (motorio o cognitivo) determinasse la maggiore interferenza.
Soggetti e metodi: 15 persone con MP e un gruppo di controllo di 15 persone
senza MP; questi due gruppi venivano fatti camminare: 1) alla loro velocità
preferita; 2) mentre simultaneamente eseguivano un compito motorio (trasferire
monete da una tasca all’altra); 3) mentre simultaneamente eseguivano un compito
cognitivo (sottrarre delle cifre). Velocità, lunghezza, cadenza e percentuale del
ciclo del passo in doppio appoggio (DS) erano esaminate tramite un sistema
computerizzato di analisi del passo.
Risultati: quando non avevano il secondo compito, la lunghezza media del passo
era minore nel gruppo di soggetti con MP (1,29 m) rispetto al gruppo di controllo
(1,51 m), la velocità media del passo era minore nel gruppo di soggetti con MP
(71,47 m/min) rispetto al gruppo di controllo (87,29 m/min). La cadenza media
era inferiore nel gruppo di soggetti con MP (110,79 passi/min) rispetto al gruppo
di controllo (115,81 passi/min).
La percentuale del ciclo del passo in DS era
maggiore nel gruppo di soggetti con MP (33,38 %) rispetto al gruppo di controllo
(31,21 %). Entrambi i gruppi mostravano una riduzione della velocità e della
lunghezza del passo quando dovevano passare dal singolo compito al doppio
compito, con un aumento della % in DS. Anche nel gruppo con MP la cadenza era
diminuita. Per entrambi i gruppi, il tipo di compito secondario ha un effetto
trascurabile nel decremento della performance.
Discussione e Conclusione: sebbene eseguire simultaneamente un compito
motorio o cognitivo comprometteva il passo nelle persone con MP, il tipo di
secondo compito non era un elemento determinante per la severità
dell’interferenza.
The effects of cues in gait variability-Reducing the attentional cost
of walking in people with Parkinson’s disease [25]
Katherine Baker, Lynn Rochester, Alice Nieuwboer
90 Scopo dello studio: Lo scopo di questo studio era quello di indagare il costo
attenzionale di tre strategie di stimolazione, esaminando il loro effetto sulla
variazione del passo.
Soggetti: 14 persone con MP e 12 soggetti facenti perte del gruppo di controllo.
Metodi: i soggetti venivano testati durante queste condizioni: 1) camminare al
proprio passo; 2) camminare tenendo il passo al ritmo di un metronomo; 3)
camminare facendo attenzione di farlo con passi lunghi; 4) condizione 2 +
condizione 3; 5) camminare senza stimoli subito dopo alle prove con gli stimoli.
Risultati: la variabilità del passo dei soggetti con MP tende a ridursi con tutti gli
stimoli, ma la riduzione più consistente si è osservate con la combinazione delle
strategie attenzionali e uditive.
Conclusione: la riduzione della variabilità del passo nei soggetti con MP
attraverso stimoli esterni, suggerisce che questi possono ridurre il costo
attenzionale del cammino.
The Immediate Effect of Attentional, Auditory, and Combined
Cue Strategies on Gait During Single and Dual Task in
Parkinson’s Disease [26]
Katherine Baker, Lynn Rochester, Alice Nieuwboer
91 Scopo dello studio: confrontare l’effetto tra stimolazioni uditive ritmiche,
attentive, e la combinazione di queste sul cammino in persone con MP, durante
singolo e doppio compito.
Soggetti: 15 persone con MP idiopatica e un gruppo di confronto formato da 12
persone sane.
Metodi: sono state confrontate tre stimolazioni: uno stimolo uditivo ritmico
(camminare a tempo di un metronomo), strategie attentive (attenzione a fare passi
lunghi), e la combinazione di queste (camminare a tempo del metronomo facendo
attenzione a compiere passi lunghi).
Risultati: la velocità del passo nei soggetti con MP è aumentata
significativamente con le strategie attentive e combinate, rispetto alla condizione
nella quale non erano forniti nessuno stimolo, sia nella condizione di singolo
compito che in quella di doppio. Anche l’ampiezza del passo è aumentata
significativamente con le strategie attentive e combinate durante il singolo e il
doppio compito. La frequenza del passo era ridotta significativamente con le
strategie attentive durante il singolo e il doppio compito e con le strategie
combinate durante il doppio compito. Solo le strategie uditive non hanno alterato
significativamente nessun parametro del passo durante le condizioni di singolo e
di doppio compito.
Conclusione: le strategie attentive e la combinazione di stimoli uditivi ritmici
con
strategie
attentive
erano
ugualmente
efficaci,
e
aumentavano
significativamente la velocità e l’ampiezza del passo sia durante il singolo che il
doppio compito. La combinazione degli stimoli comunque può essere utilizzata
come alternativa in situazioni in cui si ha una maggiore richiesta d’attenzione.
Dual tasking, gait rhythmicity, and Parkinson’s disease: which
aspects of gait are attention demanding? [27]
Galit Yogev, Nir Giladi, Chava Peretz, Shmuel Springer, Ely S Simon,
Jeffrey M. Hausdorff
92 Scopo dello studio: per comprendere meglio il controllo motorio del passo e la
relazione di questo con le funzioni cognitive, abbiamo studiato le funzioni
cognitive e gli effetti di differenti tipi di dual task nel cammino di soggetti con
MP e in quello dei soggetti del gruppo di controllo.
Soggetti: 30 pazienti con MP idiopatica (età media=71,8 anni) e con moderato
grado di severità (Hoehn & Yahr 2-3); un gruppo si controllo di 28 soggetti sani.
Memoria e funzioni esecutive sono state valutate in precedenza.
Metodi: Gli effetti del dual task sul cammino erano esaminati in quattro
condizioni: 1) base, ovvero cammino usuale, senza compito; 2) compito semplice
, il soggetto camminava mentre ascoltava un nastro registrato, sapendo che poi gli
sarebbero state fatte 10 domande sul testo, dopo il cammino ; 3) compito
complesso, costruito come il compito 2, ma con un altro testo, in aggiunta egli
doveva contare due parole che apparivano nel testo; 4) compito di contare indietro
di sette, partendo da 500.
Risultati: In entrambi i gruppi la velocità del cammino si ridusse in risposta al
doppio compito, in modo parallelo; nel gruppo dei soggetti con MP la variabilità
del cammino aumentò in confronto al cammino usuale. La funzione esecutiva era
significativamente più bassa nel gruppo dei parkinsoniani mentre per la memoria
non c'erano differenze nei due gruppi. Le misure della funzione esecutiva erano
significativamente correlate con la variabilità del cammino durante il doppio
compito ma non durante il cammino usuale.
Conclusione: Questi risultati dimostrano che la regolazione della variabilità del
cammino e della ritmicità è apparentemente un processo automatico che non
richiede attenzione negli adulti sani, mentre nei soggetti con MP diventa
dipendente dall'attenzione e peggiora quando questi eseguono compiti motori
secondari. L'associazione tra le funzioni esecutive e la variabilità del cammino
suggerisce che un peggioramento delle funzioni esecutive nei parkinsoniani può
aumentare gli effetti del dual task durante il cammino, con un potenziale aumento
del rischio di cadute e quindi di procurarsi fratture.
93