Indice Introduzione................................................................................................................... 2 La Malattia ..................................................................................................................... 3 • ......................................................................................................................... Sintomi primari ...................................................................................................... 7 • ......................................................................................................................... Sintomi secondari .................................................................................................. 9 • ......................................................................................................................... Anatomia patologica e patogenesi ....................................................................... 12 • ......................................................................................................................... Diagnosi differenziale.......................................................................................... 16 • ......................................................................................................................... Evoluzione della malattia..................................................................................... 17 • ......................................................................................................................... Trattamento farmacologico.................................................................................. 19 Approccio riabilitativo: valutazione neuromotoria e principi di trattamento .................................... 22 Interferenza del doppio compito (dual task) nel paziente parkinsoniano .................................................................................... 64 Il mio studio................................................................................................................. 70 • ......................................................................................................................... Scopo dello studio................................................................................................ 71 • ......................................................................................................................... Materiale e metodi ............................................................................................... 72 • ......................................................................................................................... Procedura ............................................................................................................. 77 • ......................................................................................................................... Risultati................................................................................................................ 78 • ......................................................................................................................... Conclusione ......................................................................................................... 82 Bibliografia .................................................................................................................. 83 ALLEGATI ................................................................................................................. 88 1 Introduzione La malattia di Parkinson è piuttosto comune, conosciuta sin dai tempi antichi, vanne descritta per la prima volta in modo convincente da James Parkinson nel 1817 che la definì come“tremore involontario, con forza muscolare diminuita, in parti non in movimento anche se sostenute, con tendenza a piegare il tronco in avanti e a passare dal camminare al correre, mentre le sensibilità e l’intelligenza risultano intatte”. La sua descrizione non contiene, stranamente, riferimenti alla rigidità o alla lentezza dei movimenti e, secondo il parere degli Autori, pone eccessivamente in risalto la riduzione della forza muscolare. La stessa critica può essere mossa nei confronti del termine paralisi agitante che comparve per la prima volta nel 1841 nel libro Disease and Derangements of the Nervous System di Marshall Hall. La malattia di Parkinson ha sempre suscitato un certo interesse dal punto di vista della ricerca, sia nell’ambito farmacologico che in quello riabilitativo; in questi ultimi anni vari autori hanno studiato l’interferenza nelle performance motorie dei parkinsoniani durante l’esecuzione di un doppio compito (dual task). Nella maggior parte delle attività della vita quotidiana le persone eseguono più di un compito contemporaneamente. La capacità di eseguire un secondo compito insieme al primo (dual task performance) è molto vantaggiosa, ad esempio durante il cammino permette di parlare con un'altra persona, di portare un oggetto da un posto all'altro. Per dual task si intende l’esecuzione di un compito primario, che è il focus principale dell'attenzione, e di un compito secondario, eseguiti allo stesso tempo. Eseguire due compiti allo stesso tempo risulta essere un problema nei parkinsoniani, difatti se questi focalizzano l'attenzione sull'esecuzione di un compito, si ha deterioramento della performance nell'altro compito. 2 La Malattia Alcuni aspetti della storia naturale di questa malattia rivestono un certo interesse; essa generalmente inizia tra i 40 e i 70 anni d’età, con picco d’inizio che coincide con il sesto decennio di vita. Non è frequente prima dei trent’anni (solo 4 su 380 casi in una casistica); la maggior parte delle casistiche indica un’incidenza più elevata negli uomini. I traumi, i turbamenti emotivi, il superlavoro, l’esposizione al freddo, una personalità rigida, insieme ad altri fattori, sono stati indicati quali elementi predisponenti alla malattia, ma non vi sono prove evidenti che sostengano alcuna di tali affermazioni. La malattia di Parkinson idiopatica si osserva in tutti i Paesi, in tutti i gruppi etnici e in tutte le classi socio-economiche, benché l’incidenza nella razza nera sia solo un quarto rispetto a quella nella razza bianca; negli asiatici l’incidenza è paria un terzo-metà di quella che si osserva nei bianchi. La malattia sembrerebbe più frequente nei paesi industrializzati e nelle zone agricole in cui vengono comunemente utilizzate diverse tossine, ma la sua diffusione universale depone contro qualsiasi tipo specifico di tossina. Fino ad oggi nessuna tossina chimica o metallo pesante è stato incriminato come responsabile della malattia di Parkinson. L’assenza di concordanza per la malattia di Parkinson nei gemelli sembra negare il ruolo di eventuali fattori genetici; tuttavia un lavoro eseguito con PET sul metabolismo della dopamina ha dimostrato che il 75% dei gemelli asintomatici di pazienti con Parkinson presentava segni di disfunzione striale, mentre solo una piccola percentuale di gemelli dizigotici mostrava tali alterazioni (Piccini et al.). Questi dati indicano un ruolo più sostanziale di un fattore ereditario nei casi apparentemente sporadici. Inoltre Kruger e coll. anno riferito un aumento della suscettibilità alla malattia di 13 volte nei pazienti che presentano una particolare combinazione di genotipi di alfa-sinucleina e apolipoproteina E. Benché i casi familiari siano decisamente rari, Golbe e coll. hanno descritto due ampi gruppi familiari (probabilmente imparentati fra loro e originari di una piccola città dell’Italia meridionale) nei quali vennero colpite 41 persone in quattro generazioni. In questi pazienti si osservava un a forma tipica di malattia di Parkinson, sia dal punto di vista clinico 3 che neuropatologico; le uniche caratteristiche insolite erano un esordio piuttosto precoce (età media 46 anni), un decorso relativamente rapido ( 10 anni dall’esordio al decesso) e un’incidenza riferita di tremore solo in 8 dei 41 pazienti. La malattia è frequente: nell’America del Nord vi è approssimativamente un milione di soggetti affetti, che rappresenta l’1% circa della popolazione di età superiore ai 65 anni. L’incidenza è analoga in tutti i Paesi in cui si tengono statistiche su questa malattia. Considerando tale frequenza, la concomitanza casuale di malati in una stessa famiglia può essere addirittura del 5%. Presenta un’ incidenza di circa 20 nuovi casi ogni 100.000 persone nella popolazione di età superiore ai 65 anni. In Italia la prevalenza è stata indicata tra 65.6 e 243/100000 in differenti studi epidemiologici (Beghi e coll., 1994), con crescita esponenziale al di sopra dei 50 anni. Si può ritenere che attualmente in Italia esistano 20.000 parkinsoniani, di cui il 10% è al di sotto dei 45 anni, e che nella maggior parte dei casi la patologia insorga prima dei 60 anni (Pezzoli e Tesi, 2000). La malattia di Parkinson è una malattia neurodegenerativa, caratterizzata da una perdita di neuroni nella sostanza nera, nucleo mesencefalico di partenza del circuito dopaminergico nigro-striato-talamo-corticale. Quando la riduzione di dopamina, prodotta nei terminali nervosi a partire dalla levodopa, aminoacido neutro introdotto con la dieta, raggiunge l’80%, iniziano a manifestarsi i sintomi. La degenerazione neuronale è testimoniata da una depigmentazione della sostanza nera; caratteristica patologica della malattia di Parkinson sono considerati i corpi di Lewy, inclusioni eosinofile citoplasmatiche che contengono sinucleina. I sintomi principali sono: tremore a riposo, bradicinesia, ipertono plastico, atteggiamento camptocormico, impaccio all’andatura e disturbi dell’equilibrio, questi ultimi ad insorgenza più tardiva; a questi si associano vari sintomi secondari. 4 Nella malattia di Parkinson idiopatica l’esordio è generalmente monolaterale. I cardini della diagnosi sono: • i sintomi; almeno 2 dei sintomi sopra descritti, di cui una deve essere necessariamente o tremore o bradicinesia; • la favorevole risposta alla terapia; • esami strumentali quali TAC o RMN encefalica, che possono dare informazioni anatomiche molto dettagliate sulle strutture cerebrali coinvolte; • i test farmacologici utilizzano apomorfina ( agonista del recettore dopaminergico) oppure levodopa, che forniscono informazioni sulla funzionalità della via nigro-striatale; • altri esami di tipo funzionali, utili per la diagnosi, sono gli studi PET o Spect con vari traccianti, per valutare la funzionalità recettoriale o l’attività dei nuclei trmite studi sul flusso. 5 I disordini del movimento più frequenti sono stati molto efficacemente descritti da Martin nel 1967, e da Morris nel 2000, (vedi tabella 1). Tabella 1. (da Martin, 1967, e Morris 2000) SINTOMI POSITIVI SINTOMI NEGATIVI Rigidità: iperriflessia ed ipertonia nei Bradicinesia: riduzione in velocità ed gruppi muscolari agonisti ed antagonisti ampiezza dei movimenti, povertà dei in un dato arto. movimenti. Acinesia: difficoltà ad iniziare i movimenti. Tremore: in genere tremore a riposo, più Alterazione della fissazione posturale: raramente tremore posturale o d’azione intesa come la capacità a mantenere la relazione geometrica del corpo nel suo insieme, e dei vari segmenti di esso, in Discinesie: in genere interessano solo alcune parti del corpo, con movimenti “contorti” distonici. tipo coreo-atetosici relazione all’attività del momento. Alterazione delle reazioni di equilibrio. o Alterazione delle reazioni di raddrizzamento. Alterazione riconducibile della in parte locomozione: all’acinesia e bradicinesia, in parte ad un deficitario controllo del baricentro nello spazio. Alterazione della fonazione e dell’articolazione del linguaggio. Riduzione delle risposte adattive: debolezza muscolare, ridotta lunghezza muscolare e contratture, deformità, ridotta capacità aerobica. Episodi di “freezing”, cioè improvvisa incapacità a muoversi durante l’esecuzione di una sequenza di movimento. 6 Vediamo ora in dettaglio la sintomatologia: Sintomi primari Tremore: movimento ritmico lento, la frequenza è di 5-6 Hz, ma può essere anche più veloce. Tipico il coinvolgimento delle prime due dita della mano che mimano il movimento di chi conta cartamoneta. Viene definito “a riposo” in quanto è presente quando l’arto non è utilizzato, o quando viene lasciato pendere lungo il corpo durante il cammino; questa è spesso una condizione in cui si accentua, mentre si riduce grandemente, o scompare, durante un movimento finalizzato, per poi riprendere all’assunzione della nuova postura. Viene controllato meno bene degli altri sintomi dalla terapia, in quanto risente molto dello stato emozionale del soggetto, per cui aumenta in condizioni di emozione, mentre si riduce in condizioni di tranquillità. Bradicinesia: letteralmente lentezza dei movimenti. Si evidenzia facendo compiere al soggetto dei movimenti di fine manualità che risultano più impacciati, con una ridotta escursione spaziale e più rapidamente esauribili, per cui il movimento, con la ripetizione, diventa sempre meno ampio, fino ad essere impercettibile. Segno di bradicinesia sono anche le difficoltà nei passaggi posturali, quali ad esempio scendere dall’automobile o girarsi nel letto o anche nel vestirsi, come indossare la giacca o il cappotto. Conseguenza della bradicinesia è anche la ridotta espressività del volto (ipomimia), dovuta a una riduzione della mimica spontanea che normalmente accompagna le variazioni dello stato d’animo; altra conseguenza della bradicinesia è una modificazione della calligrafia, che diventa più piccola man mano che si procede nella scrittura (micrografia). Ipertono: l’ipertono della malattia di Parkinson è di tipo plastico, per cui l’arto oppone una resistenza costante al movimento passivo durante tuta l’escursione del movimento. L’ipertono può coinvolgere anche la muscolatura assiale e contribuire 7 al tipico atteggiamento definito “camptocormico” del malato Parkinsoniano. La riduzione dell’oscillazione pendolare degli arti superiori durante il cammino è un segno di rigidità. Atteggiamento camptocormico: il malato si pone come “ripiegato” su se stesso, per cui il tronco è flesso in avanti, le braccia addotte al tronco e flesse, le ginocchia pure mantenute flesse. Questo atteggiamento, dovuto al sommarsi di bradicinesia e rigidità, è ben correggibile con i farmaci. Con l’avanzare della malattia si instaura una sorta di cifosi dorsale alta, che può diventare definitiva, per cui il mento viene mantenuto per lo più sul petto. Deambulazione: viene compromessa la velocità d’esecuzione del passo, la lunghezza del passo stesso, che viene a farsi sempre più corto e l’agilità nel cambiare direzione, movimento che viene compiuto in più passi. La prima modificazione del cammino a venire notata, può essere una riduzione dei movimenti pendolari di accompagnamento, dapprima a carico di un arto e poi d’entrambi, per cui le braccia vengono mantenute ferme a lato del corpo. Disturbo dell’equilibrio: essenzialmente dovuto a una riduzione dei riflessi posturali di raddrizzamento, per cui il soggetto non è più in grado di correggere spontaneamente eventuali perturbazioni del baricentro; si ricerca verificando la capacità del soggetto a correggere una spinta all’indietro. E’ un sintomo che generalmente si presenta quando la malattia è conclamata, la sua presenza nelle fasi iniziali della malattia pone qualche dubbio diagnostico. 8 Sintomi secondari Accanto ai sintomi primari, va poi considerata un’altra serie di sintomi legati al disturbo motorio principale e a carico di vari apparati, tipici della malattia di Parkinson. Ad esempio la voce si modifica, è più flebile e può perdere in modulazione, cosi da risultare monotona. A volte il linguaggio risulta impastato, frettoloso e può essere difficile la comprensione. Caekebeke e coll. si riferiscono al disturbo del linguaggio come a una “disartria ipocinetica” e lo attribuiscono ad una disfunzione respiratoria, fonetica e dell’articolazione della parola. Come sopra osservato, gli svariati impedimenti motori e il tremore iniziano tipicamente in un arto (più spesso il sinistro) e si diffondono a un lato e successivamente a entrambi, fino a che il paziente diventa completamente invalido. Ciò nonostante, in caso di agitazione dovuta a qualche circostanza insolita (per es. un incendio), il paziente è in grado di eseguire movimenti brevi ma notevolmente efficaci (cinesia pradossa). La rarità dell’ammiccamento, come sottolineato in origine da Pierre Marie è spesso un utile segno precoce: nel paziente Parkinsoniano, la frequenza normale (da 12 a 20 ammiccamenti al minuto) è ridotta a 5-10 volte. Si verifica anche un lieve ampliamento della rima palpebrale, dando l’impressione che il paziente abbia gli occhi sgranati (segno di Stellwag). La deglutizione può essere compromessa, di solito però tardivamente nel decorso della malattia. Si tratta di un movimento automatico piuttosto complesso; i muscoli della gola e della lingua devono muoversi in modo coordinato per spingere il cibo dalla bocca all’esofago e quando questa coordinazione non è perfetta, il paziente può avere la sensazione che il cibo si fermi in gola. Anche la saliva può fermarsi in bocca, essendo ridotto il movimento automatico di deglutizione. In questo modo si accumula; di conseguenza la scialorrea, di 9 comune riscontro, è legata ad una ridotta deglutizione e non ad un aumento della produzione di saliva. Altro disturbo è la seborrea, comune a molte persone, che può essere accentuata nella malattia. La pelle si presenta untuosa e talvolta arrossata, particolarmente sulla fronte e sul cuoio capelluto. Il fenomeno può essere accompagnato da prurito. Una perdita di peso, anche considerevole, è una evenienza comune nella malattia di Parkinson. In assenza di altre cause, che per altro vanno sempre ricercate, può essere facilmente spiegata se si considerano, nell’ordine, la difficoltà di deglutizione, una maggiore lentezza a consumare il pasto, una tendenza alla stipsi, o un eccesso di movimento causato da tremore e discinesie. Nella malattia di Parkinson la funzionalità intestinale può risultare rallentata e i fermaci utilizzati per il trattamento della malattia rischiano di aggravare questo problema. Si possono manifestare gonfiore e distensione addominale, a volte anche fastidiosi. Nausea e vomito sono generalmente effetti collaterali del trattamento farmacologico, specialmente nelle fasi iniziali. Si verifica anche spesso un aumento della frequenza minzionale, sia perché la vescica non si svuota completamente ogni volta, sia perché viene avvertito lo stimolo ad urinare anche quando la vescica non è ancora piena. Possono inoltre stabilirsi difficoltà quali ritardo nell’iniziare la minzione, lentezza nello svuotare la vescica, o anche esagerato riempimento della vescica, che può portare ad una involontaria emissione delle urine. E’ necessario ricordare che anche altre condizioni possono determinare o aggravare questi disturbi, quali ad es. infezioni delle vie urinarie, alterazioni prostatiche negli uomini e un prolasso vescicale e uterino nelle donne. Il desiderio sessuale (libido) può ridursi nella malattia di Parkinson; in alcuni casi ciò è dovuto a complessi meccanismi psicologici, in altri a un meccanismo neurochimico diretto della malattia. Il trattamento farmacologico di fondo della malattia di solito migliora la libido e anzi, a volte, la esagera, il che può essere egualmente fastidioso. Spesso si verifica inoltre un eccesso di sudorazione, presumibilmente da imputare al coinvolgimento del sistema nervoso autonomo, che controlla queste funzioni automatiche. La parte superiore del corpo è generalmente la più coinvolta e spesso l’eccesso di sudorazione si presenta quando l’effetto del farmaco si sta esaurendo. 10 In circa la metà dei pazienti si riscontrano depressione ed ansia, che qualche volta possono presentarsi come sintomi d’esordio della malattia. Un umore depresso può in parte essere legato alla reazione negativa conseguente alla diagnosi di malattia cronica, ma più spesso è il risultato della riduzione di mediatori quali noradrenalina e serotonina. Nei casi più comuni ansia e depressione sono lievi, talvolta migliorano con la terapia antiparkinsoniana, ma spesso richiedono un intervento terapeutico mirato. Per quanto riguarda il sonno, si verifica più frequentemente una difficoltà a mantenere il sonno che ad addormentarsi, per cui si determinano frequenti risvegli durante la notte. Più raramente si presenta una inversione del normale ritmo sonno-veglia. Alcuni pazienti sperimentano sogni particolarmente realistici (di solito indotti da un eccesso di terapia antiparkinson) e durante il sonno parlano e gesticolano. Durante il sonno possono anche verificarsi movimenti a scatto degli arti (mioclono notturno), spesso di nessun significato patologico. Talvolta la malattia di Parkinson è complicata da demenza, una caratteristica già commentata da Charcot. La frequenza riportata per questa associazione varia considerevolmente in base alla selezione dei pazienti e al tipo d’esame. Una stima pari al 10-15% (Mayeux et. al.) è generalmente accettata. L’incidenza aumenta con l’avanzare dell’età, avvicinandosi al 65% nei pazienti con età superire a 80 anni. In alcuni casi di malattia di Parkinson con demenza, la RMN evidenzia lesioni nella sostanza bianca cerebrale (nelle immagini pesate in T1) che non si osservano nei parkinsoniani senza demenza. 11 Anatomia patologica e patogenesi Tutti i neuropatologi sono oggi concordi nell’accettare che la perdita di cellule pigmentate nella substantia nigra o in altri nuclei pigmentati (locus ceruleus, nucleo dorsale motore del vago) costituisca la caratteristica più costante nella malattia di Parkinson. La perdita neuronale non è limitata ai neuroni dopaminergici, ma si riscontra anche un coinvolgimento dei neuroni acetilcolinergici, serotoninergici e noradrenergici e si verifica spesso anche una compromissione del Sistema Nervoso Autonomo. Il sistema dopaminergico nigrostriale (extrapiramidale) è composto da: sub stantia nigra, striato (caudato e putamen), globo pallido, nucleo subtalamico e talamo. La sub stantia nigra è l’insieme delle cellule che producono dopamina, si trova nel mesencefalo e si presenta di colore grigiastro per i granuli di melanina contenuti nelle cellule. La dopamina viene sintetizzata nei neuroni e rilasciata nello spazio intersinaptico dello striato, dove attiva i recettori pre e postsinaptici e viene inattivata tramite reuptake. 12 Dallo striato partono due vie, una diretta e una indiretta, che raggiungono il pallido interno. Tramite la via indiretta lo striato si connette con il globo pallido esterno, che a sua volta proietta verso il nucleo subtalamico da cui partono impulsi eccitatori sul pallido interno, bilanciati da impulsi inibitori in arrivo dallo striato tramite la via diretta. Nel Parkinson a causa della riduzione di dopamina, si assiste a una relativa iperattività della via indiretta, con disinibizione del nucleo subtalamico, che sommata alla diminuita inibizione della via diretta sul nucleo pallido, determina una eccessiva inibizione del talamo e, di conseguenza, della corteccia motoria, con comparsa di bradicinesia e degli altri sintomi del Parkinson. La substantia nigra appare visibilmente pallida anche ad occhio nudo, dal punto di vista microscopico, i nuclei pigmentati presentano una marcata deplezione di cellule e una gliosi sostitutiva. Inoltre, molte delle cellule rimaste nei nuclei pigmentati contengono inclusioni citoplasmatiche eosinofile con un alone chiaro, dette corpi di Lewy; queste formazioni si osservano praticamente in tutti i casi di malattia di Parkinson e possono essere presenti anche nei casi post-encefalici, benché in quest’ultima forma siano più comuni gli ammassi neurofibrillari. 13 Entrambe queste alterazioni cellulari, tuttavia, compaiono occasionalmente nella substantia sigra di individui anziani non parkinsoniani; probabilmente questi individui avrebbero sviluppato la malattia se fossero vissuti ancora qualche anno. E’ importante notare , come sottolineato da McGeer et al. che le cellule nigrali diminuiscono con l’età, passando da 425000 a 200000 (a 80 anni). Anche la tirosina beta-idrossilasi, l’enzima che controlla la velocità di sintesi di dopamina, diminuisce con l’età. Questi autori trovarono che nei pazienti con malattia di Parkinson il numero dei neuroni pigmentati era ridotto di circa il 31% rispetto ai controlli di pari età. Pakkenberg e coll., usando tecniche di conteggio più precise, hanno valutato il numero medio di neuroni pigmentati in 550000 e hanno dimostrato che nei pazienti parkinsoniani era ridotto del 66%. Il numero dei neuroni non pigmentati nei soggetti di controllo era di 260000, mentre era ridotto del 24% nei pazienti. Quindi l’invecchiamento contribuisce notevolmente alla perita cellulare nella substantia nigra, ma nella malattia di Parkinson la diminuzione cellulare è cosi marcata che devono essere considerati fattori diversi dall’invecchiamento. Le cause di questa patologia rimangono sconosciute, sebbene alcune ricerche siano a favore di una patogenesi del disturbo provocata da fattori ambientali. Un primo dato a favore di tale ipotesi è la presenza di una sindrome parkinsoniana secondaria ad encefalite. Un parkinsonismo postencefalico si è manifestato in molti pazienti precedentemente colpiti da encefalite letargica, nel corso dell’epidemia degli anni che vanno dal 1915 al 1926. Sebbene studi autoptici eseguiti allora non lasciassero dubbi sulla natura infiammatoria di questa patologia, nessun agente infettivo fu mai isolato. Un’ idea diffusa tra i neurologi era ritenere che, se un agente infettivo provocava una malattia con sintomatologia parkinsoniana, allora probabilmente un’infezione era responsabile anche del morbo di Parkinson. Tuttavia, studi serologici ed epidemiologici hanno escluso una eziologia virale (Hopkins, 1996). Un ulteriore dato che emerge da studi epidemiologici è la minor prevalenza della malattia nei pazienti fumatori rispetto a coloro che non hanno mai fumato. Questo lascia supporre che la nicotina o qualche altro componente della sigaretta possa 14 assolvere ad una funzione di protezione di sviluppo della malattia (Hellenbrand, et al., 1997; Tzourio, et al., 1997). Una importante prova a favore di un’eziologia ambientale è stata l’identificazione della sostanza tossica MPTP (1-metil-4-fenil-1,2,3,6-tetraidropiridina) quale causa di una patologia irreversibile simile al Parkinson (Langston, 1985). Il ruolo del MPTP venne alla luce alla fine degli anni 70, quando fu riscontrato che numerosi pazienti che contrassero il Parkinson in giovane età avevano fatto uso di sostanze stupefacenti contenenti MPTP; studi sui primati confermarono l’insorgere della malattia in seguito alla somministrazione di tale principio. L’opinione che prevale attualmente è che la malattia di Parkinson possa essere la manifestazione di diverse condizioni che hanno un comune percorso finale. I soggetti possono essere affetti in modo diverso da una combinazione di fattori genetici e ambientali. Per i parenti di primo grado di soggetti affetti da Parkinson il rischio di contrarre la malattia può essere due volte superiore a quello della popolazione generale (Marder, et al., 1996; Jarman, et al., 1999; Lazzarini, et al., 1994). Sebbene le varietà solo genetiche comprendono probabilmente una piccola minoranza di soggetti con malattia di Parkinson, mutazioni genetiche identificate recentemente che riguardano più precisamente il gene alpha-synucleina (Polymeropoulos, et al., 1997; Kruger, et al., 1998), e il gene parkina ([Kitada, et al., 1998) hanno fornito degli indizi preziosi sull’eziologia della degenerazione neuronale e hanno permesso di riconoscere l’importanza di un’alterazione del metabolismo proteico nella malattia di Parkinson (Huang, et al., 2003). Il gene parkina sul cromosoma 6 può essere associato alla malattia in famiglie con almeno un membro affetto da Parkinson a esordio precoce, mentre molteplici fattori genetici possono essere coinvolti nella forma idiopatica a esordio tardivo (Scott, et al., 2001). 15 Diagnosi differenziale Esistono forme cliniche che inizialmente assomigliano alla malattia di Parkinson idiopatica, ma che presentano poi un decorso differente, spesso maggiormente invalidante. Un dubbio diagnostico va posto quando la modalità d’esordio non è monolaterale, quando il decorso è rapido e quando non vi è una buona risposta alla levodopa. Fra tutti i parkinsonismi, la malattia di Parkinson è quella di gran lunga più diffusa, rappresentando circa il 65-70% di tali malattie. Una classificazione dei parkinsonismi è presentata nella sottostante tabella. CLASSIFICAZIONE DEI PARKINSONISMI Parkinsonismi secondari Parkinsonismi primitivi • Malattia di Parkinson idiopatica • Parkinsonismo Vasculopatico • Atrofie multisistemiche: • Parkinsonismo da Farmaci • Parkinsonismo da Neurotossine -Atrofia Olivo-Ponto-Cerebellare - Degenerazione Striato-Nigrica • Parkinsonismo Post-traumatico • Paralisi Sopranucleare Progressiva • Degenerazione Cortico-Basale • Parkinsonismo da Idrocefalo Normoteso • Parkinsonismo Post-encefalitico 16 Evoluzione della malattia L’evoluzione naturale della malattia si è molto modificata con l’avvento della terapia con levodopa che, ripristinando la quantità di dopamina disponibile per la stimolazione striale, corregge i sintomi. Con l’avanzare della malattia e della perdita neuronale, si riduce anche la possibilità di immagazzinamento della dopamina nei terminali nervosi, per cui la stimolazione recettoriale perde il pattern fisiologico che ancora era possibile nelle prime fasi della malattia. Si ha cosi una stimolazione recettoriale discontinua, legata alle somministrazioni di levodopa, farmaco a breve emivita. Clinicamente diventa evidente una riduzione della risposta al farmaco che svanisce (wearing off) dopo qualche ora. Si può quindi assistere a periodi di ripresa dei sintomi, con bradicinesia più o meno accentuata, fino ad arrivare al blocco completo. Questa è la cosiddetta sindrome on-off ; si vuole con questo termine, descrivere la sensazione che spesso descrive il paziente, cioè di essere “acceso o spento”. Con l’avanzare anche i periodi in cui il paziente è in “on”, cioè quelli di mobilità, risultano complicati. L’evenienza di un eccesso di movimento, per lo più di tipo coreoatetosi, dapprima localizzato e poi diffuso, è riscontro comune in malati parkinsoniani trattati con levodopa per molti anni. E’ questa la sindrome da trattamento cronico con levodopa. L’utilizzo di dopaminoagonisti, in ionoterapia all’inizio della malattia e successivamente in associazione alla levodopa, grazie alla loro più lunga emivita e alla loro azione di stimolazione recettoriale diretta, permette di posticipare l’insorgenza di questa sindrome. Il trattamento farmacologico è di tipo sintomatico e non influisce sull’evoluzione della malattia, anche se con i dopaminoagonisti dell’ultima generazione si può ipotizzare un rallentamento. L’autonomia del paziente è direttamente correlata al controllo dei sintomi, che è ottimo nei primi anni e si riduce successivamente. Nelle fasi più avanzate la malattia si può complicare con disturbi di equilibrio e conseguenti cadute. Da considerare inoltre un eventuale deterioramento cognitivo, riscontrabile nel 30% dei casi, e la presenza di dispercezioni (allucinosi o allucinazioni) o di franche sindromi psicotiche, queste correlate per lo più alla terapia dopaminergica. 17 La scala Hoehn & Yahr (Hoen e Yahr, 1967)è utile per definire lo stadio clinico del paziente: STADIO 0 NESSUN SEGNO DI MALATTIA; STADIO 1 COINVOLGIMENTO UNILATERALE; STADIO 1,5 COINVOLGIMENTO UNILATERALE E ASSIALE (RIGIDITA’ DEL COLLO); STADIO 2 COINVOLGIMENTO BILATERALE SENZA ALTERAZIONE DELL’EQUILIO; STADIO 2,5 COINVOLGIMENTO BILATERALE LIEVE CON INSTABILITA’POSTURALE MA CAPACITA’ DI RIPRENDEREL’EQUILIBRIO QUANTO SPINTO; STADIO 3 COINVOLGIMENTO BILATERALE DA LIEVE A MODERATO INSTABILITA’POSTURALE (INCAPACE DI RIPRENDERE L’EQUILIBRIO SE SPINTO) ANCORA FISICAMENTE INDIPENDENTE; STADIO 4 DISABILITA’ GRAVE; IL PAZIENTE PUO’ ANCORA CAMMINARE O STARE IN PIEDI DA SOLO MA E’ GRAVEMENTE DISABILE; STADIO 5 IL PAZIENTE E’ ALLETTATO O IN SEDIA A ROTELLE SE NON AIUTATO ; Gli stadi da 0 a II rappresentano la fase lieve della malattia; lo stadio III quella moderata; gli stadi IV-V rappresentano la fase avanzata della Malattia di Parkinson. Questa scala indica la condizione di progressione della malattia, ed è quindi la scala fondamentale per definire eventuali livelli di inabilità. 18 Trattamento farmacologico Dalla prima proposta terapeutica avanzata dallo stesso Parkinson (salasso di sangue dal collo dei pazienti), molta strada è stata fatta nella ricerca della cura per la Malattia di Parkinson. Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, non esiste una terapia capace di debellare definitivamente la malattia, l'unica possibilità terapeutica è la correzione dei sintomi via via che compaiono. Gran parte dei risultati positivi ottenuti in questo campo sono legati alla scoperta della fisiopatogenesi della malattia e alla conseguente introduzione in terapia della L-DOPA, ancora oggi il farmaco per eccellenza nella cura della Malattia di Parkinson. Tuttavia, oggi, esistono altri farmaci a disposizione del medico, la cui scelta dovrà essere adattata al paziente ed alla severità della malattia. Per il trattamento della malattia di Parkinson idiopatica possono trovare impiego: agonisti dopaminergici, Levodopa. inibitori delle monoamminoossidasi B, inibitori della catecol-O-metiltrasferasi, Amantadina. Levodopa La Levodopa è un precursore aminoacidico della dopamina. A differenza della dopamina, la Levodopa è in grado di attraversare la barriera emato-encefalica e di raggiungere quindi il sistema nervoso centrale dove viene metabolizzata ad opera di un enzima, la dopa-decarbossilasi. La conversione a dopamina si verifica, non solo a livello centrale ma anche a livello periferico. Questo provoca effetti indesiderati quali vomito, nausea ed 19 effetti cardiovascolari, e diminuisce l’attività della dopamina a livello centrale. Per questo motivo la somministrazione di Levodopa è generalmente associata a Carbidopa ( Sinemet ) o Benserazide ( Madopar ), che sono inibitori della dopa decarbossilasi extracerebrale. La terapia con Levodopa va iniziata a basse dosi ed aumentata gradualmente cercando sempre di ridurre al minimo la dose massima. Questo perché la Levodopa è associata allo sviluppo di numerose effetti collaterali. Tra i più comuni effetti avversi legati all’uso di Levodopa ci sono l’ipotensione, l’aritmia, i disturbi gastrointestinali, la perdita di capelli, la confusione ed i disturbi emozionali e del comportamento. Ben più gravi sono però le complicazioni associate all’uso cronico di Levodopa. Primo tra questi l’effetto wearing off, ovvero una diminuzione dell’attività del farmaco dovuta ad una progressiva diminuzione dei neuroni dopaminergici. Accanto a questo troviamo oscillazioni on/off dell’attività della Levodopa, ovvero il passaggio da periodi on caratterizzati da attività motorie normali a periodi off di non risposta al farmaco, in cui l’attività motoria è ridotta ed è accompagnata da debolezza. Si può verificare anche un peggiormento di fine dose quando il beneficio associato al farmaco assume una durata sempre più breve. Ci sono inoltre casi di resistenza al farmaco e discinesia associata alla dose efficace. Anche se la Levodopa è considerata dalla maggioranza un farmaco sicuro e non tossico per l’uomo, alcuni dati suggeriscono il suo effetto deleterio a livello del tessuto neuronale, che sembra essere coinvolto nella patogenesi della malattia. Pur essendo numerosi gli effetti collaterali associati alla Levodopa, tra cui anche quelli psichiatrici, questi sono inferiori rispetto a quelli prodotti da altri antiparkinson, tra cui anticolinergici, Amantadina ed agonisti della dopamina. Agonisti dopaminergici Rientrano in questa categoria la Bromocriptina ( Pardodel ), Pramipexolo ( Mirapexin ) e Ropinirolo ( Requie ), farmaci che mimano l’azione della dopamina, agendo direttamente sui neuroni dopaminergici. Questi farmaci 20 possono essere usati da soli oppure possono essere associati a Levodopa. Il Committee on Safety of Medicines ( CSM ) ha segnalato che gli agonisti dopaminergici derivati dall’ergot ( Bromocriptina, Cabergolina, Lisuride e Pergolide ) possono essere associati a fibrosi polmonare, retroperitoneale e pericardica. Viene raccomandato di verificare la VES e la creatinina sierica e di eseguire una radiografia del torace prima di iniziare il trattamento con questi farmaci. E’ necessario controllare i pazienti in caso di comparsa di dispnea, tosse persistente, dolore toracico, scompenso cardiaco e dolore o dolorabilità addominale. In caso di terapie prolungate sono utili indagini della funzionalità polmonare. Nella maggior parte dei casi gli agonisti dopaminergici non-derivati dell'ergot sono preferibili agli agonisti dopaminergici derivati dell'ergot. Inibitori delle monoaminossidasi B Appartengono a questa classe la Seleginina ( Jumex ) e la Rasagilina ( Azilect ), che possono essere usati da soli ( Rasagilina ) o associati a Levodopa ( entrambi ) per diminuire gli effetti collaterali associati ad utilizzo cronico di Levodopa. Inibitori della catecol-O-metiltrasferasi Gli inibitori COMT, Entacapone ( Comtan ) e Tolcapone ( Tasmar ), sono impiegati in associazione alla Levodopa e alla Carbidopa per prolungare l’effetto della Levodopa in quanto inibiscono l’enzima catecol-O-metiltrasferasi prevenendo la degradazione periferica di Levodopa. Vengono generalmente utilizzati per contrastere gli effetti di fine dose. Amantadina L’Amantadina ( Mantadan ) è un debole antagonista dopaminergico, utile per contrastare alcuni effetti del Parkinson, anche se in alcuni casi si può instaurare 21 tolleranza.La sospensione del farmaco deve essere graduale indipendentemente dall’effetto ottenuto dal paziente. In alcuni casi l’Amantadina può dare allucinazione Approccio riabilitativo: valutazione neuromotoria e principi di trattamento La riabilitazione, e con essa la fisioterapia, si imposero nel trattamento della M.P. prima della diffusione del trattamento con Levodopa. In seguito, i successi della terapia farmacologica ne fecero diminuire l’importanza. Si è avuta una ripresa di interesse per questo tipo di intervento da quando si sono evidenziate le complicanze dovute ai farmaci ed in seguito alla constatazione che la progressione della patologia continua nonostante la terapia medica. Il trattamento riabilitativo del soggetto con M.P. si propone innanzitutto il mantenimento della situazione psicofisica del paziente e la prevenzione di danni secondari e terziari, cioè delle problematiche non direttamente causate dalla patologia primaria, ma dalla riduzione del movimento, dell’ attività fisica generale, dei contatti sociali, ecc.. La riabilitazione del soggetto con M.P. si basa sul lavoro in team multi professionale per promuovere lo sviluppo del potenziale di salute dell’individuo, il mantenimento delle autonomie di base e l’apprendimento/riapprendimento di strategie motorie e cognitive. 22 Prioritario è il monitoraggio dell’evoluzione della patologia e degli effetti del trattamento attraverso un’attenta valutazione del soggetto, preferibilmente con l’uso di metodiche e scale validate (U.P.D.R.S., I.C.F., test di disabilità, menomazione, qualità della vita, abilità cognitive, ecc.). Le evidenze scientifiche sull’efficacia del trattamento fisioterapico, logopedico e di terapia occupazionale per il soggetto con M.P. sono ancora limitate, soprattutto per la carenza di studi e, ancor più, per la loro disomogeneità e scarsa qualità. Non esistono ancora, infatti, linee guida condivise riguardo alle metodologie di riabilitazione e fisioterapia da considerarsi come “best practice” di trattamento per la M.P. Nonostante ciò, le più diffuse Linee Guida (per es., quelle della American Academy of Neurology Medical Speciality Society) affermano che “Per pazienti con M.P., la terapia con esercizio può essere considerata per migliorare la funzione…” Numerosi studi hanno inoltre dimostrato l’efficacia di esercitazioni di addestramento nelle attività della vita quotidiana e dell’uso di segnali visivi ed uditivi nel trattamento del M.P. Tutti gli studi concordano però sulla scarsa “tenuta” nel tempo dei risultati acquisiti. 23 Conoscere le caratteristiche dei disturbi del movimento nelle persone con malattia di Parkinson è il punto di partenza per la progettazione degli interventi riabilitativi. Il paziente parkinsoniano deve essere preso in considerazione nella sua globalità, tenendo presente che spesso è potatore di altri quadri patologici e deficit funzionali. Deve essere stilata una accurata anamnesi che evidenzi: sesso, età, epoca d’esordio della patologia, patologie pregresse e concomitanti, patologie familiari, abitudini di vita ed alimentari, terapia farmacologica. L’esame obiettivo neuromotorio deve prendere in considerazione lo stadio della patologia del paziente, i conseguenti deficit motori, psichici, funzionali che ne derivano, per definire un programma riabilitativo mirato, per migliorare e tenere sotto controllo quei deficit che impoveriscono e riducono la funzionalità del paziente. Si deve tener presente che la Rieducazione Neuromotoria ha un ottimo risultato sulla maggior parte dei sintomi motori del parkinsoniano, ma non su tutti. Per rendere efficace l’approccio riabilitativo, si dovrà quindi concentrare l’attenzione sui particolari aspetti deficitari di cui è portatore ogni paziente e intervenire con una serie di attività mirate su ogni deficit suscettibile di miglioramento, che si evidenzia man mano che la patologia progredisce. Si valuterà quindi: La bradicinesia. Consiste nella lentezza dell’esecuzione del movimento. E’ presente su tutti i parkinsoniani ed aumenta col progredire della gravità della patologia, sino ad arrivare all’acinesia: mancanza del movimento. Agli esordi è lieve ed è ben controllata dalla terapia farmacologica, soprattutto dalla levodopa. E’ accompagnata dalla perdita graduale dei movimenti automatici, come il pendolamento degli arti, la deglutizione, la mimica facciale, etc. A seconda dello stadio della patologia, è presente anche difficoltà nell’iniziare e bloccare il movimento, tipica è la lentezza tra il comando e l’esecuzione del movimento. Con l’aggravarsi della malattia aumenta la difficoltà nei movimenti alternati, nei movimenti fini della mano e nell’esecuzione dei programmi motori complessi. Pian piano si alterano i riflessi posturali che correggono la posizione del capo in funzione di quella del corpo e del baricentro, con conseguente alterazione dello schema corporeo. Negli stadi più avanzati è presente il freezing: acinesia paradossa, caratterizzata dal congelamento dei piedi che sembrano 24 incollati al suolo; da questa posizione di blocco il paziente può tornare improvvisamente ad una motricità normale. Con la rieducazione neuromotoria si possono ottenere buoni risultati sulla bradicinesia, soprattutto nelle forme lievi e medie, in particolare quando la rigidità è ridotta. La rigidità. Può essere il solo segno clinico all’esordio della malattia. E’ definita plastica (troclea dentata) poiché il muscolo si decontrae a scatti. Inizialmente può passare inosservata quando è ancora lieve ed è per questo che, a volte, la diagnosi è ritardata a quando il sintomo è più evidente. L’ipertono muscolare interessa i muscoli agonisti ed antagonisti con una resistenza omogenea alla mobilizzazione passiva. Coinvolge tutta la muscolatura, è interessata anche quella della mimica facciale, delle lingua, della faringe, laringe, dei muscoli oculomotori, etc. Negli stadi avanzati i normali movimenti di rotazione della colonna vertebrale si annullano, rendendo impossibile la rotazione sul proprio asse. La rigidità, quando non è più controllabile con la terapia farmacologica, provoca una spiccata sintomatologia dolorosa agli arti e alla colonna vertebrale, che spesso è riferita erroneamente a cause ortopediche. In tutti gli stadi la rieducazione neuromotoria, sia attiva che passiva, è indicata ed ha un buon risultato per la funzione decontratturante, di rilasciamento, elasticizzante. Inoltre rallenta l’instaurarsi di retrazioni permanenti delle parti molli, che sono causa di riduzioni articolari. Il tremore. Può essere l’unico sintomo evidente. E’ il più appariscente e perciò spaventa molto il paziente, che se ne vergogna e spesso per questo si isola. E’ dovuto ad una regolare contrazione alterna dei muscoli agonisti e antagonisti, contrazione più spiccata nei segmenti distali. E’ presente durante il riposo, si accentua con le emozioni, l’ansia, gli sforzi e durante i movimenti fini. Scompare nel sonno e nei movimenti ampi. E’ tipico tipico l’atteggiamento delle dita che contano monete. All’inizio è presente in un arto o in un emilato, poi si estende a tutti e quattro gli arti con l’aggravarsi della patologia. Sul tremore la fisioterapia non apporta modifiche positive, al contrario lo stesso può essere esasperato dall’esecuzione di esercizi attivi troppo impegnativi. Il terapista dovrà quindi essere attento nel dosare l’intensità e la difficoltà dell’esercizio. Poiché il tremore essenziale a volte può essere confuso 25 con quello parkinsoniano, si è ritenuto utile riportare qualche cenno sulle sue caratteristiche. Insorge a qualsiasi età, è presente una familiarità del 50% dei casi, colpisce il capo, le mani, la voce. E’ posturale cinetico, non è mai associato alla rigidità, alla bradicinesia e all’instabilità posturale. Non beneficia della terapia con levodopa. Coordinazione. Man mano che la patologia avanza, vengono meno i presupposti per una normale coordinazione. La rigidità, il tremore, la bradicinesia, la mancanza di normali reazioni d’equilibrio, la difficoltà nell’iniziare e bloccare il movimento, fanno si che questo non sia più ben controllato e armonioso. Migliora con la fisioterapia, di pari passo con il miglioramento della bradicinesia e rigidità. Instabilità posturale. Si evidenzia soprattutto negli stadi più avanzati. Vengono gradatamente meno gli aggiustamenti posturali, per cui la stazione eretta e i cambiamenti posturali dapprima sono insicuri, poi difficili o impossibili autonomamente. Sempre negli stadi più avanzati si evidenzia la festinazione: il paziente inizia il movimento con difficoltà, per poi proseguire di corsa alla ricerca del proprio baricentro. Per mancanza degli aggiustamenti posturali si può osservare l’antero, retro o lateropulsione del tronco, cosi che la deambulazione si fa via via più arischio di caduta. Un consistente miglioramento è ottenibile con appropriate attività per l’equilibrio, insegnando al paziente a mettere in atto le reazioni che ancora possiede, a contenere il deficit posturale dedicando una maggiore attenzione ai movimenti e, nei casi più gravi, ad utilizzare ausili. Ulteriore caratteristica degli stadi più avanzati è il riscontro della acatisia, ovvero difficoltà a stare fermo o seduto per qualche tempo nella stessa posizione. Forza muscolare. Difficilmente l’ipostenia è un problema legato al morbo di Parkinson; gli arti hanno normalmente una forza buona. E’ invece presente una stancabilità generica legata alla patologia. La riduzione della forza muscolare solitamente è legata al non uso. 26 Attività della vita quotidiana. La funzionalità nelle ADL permane più o meno sufficiente fino agli ultimi due stadi. Man mano che si verificherà l’inadeguatezza, sarà compito del fisioterapista di individuare come varicare i vari deficit, o studiando come sostituire i gesti impossibili con altri possibili, per ottenere lo stesso risultato motorio, o consigliando ausili di sostegno, o apportando modifiche all’ambiente circostante, per facilitare l’autonomia del paziente. Valutazione della stazione eretta, passaggi posturali e deambulazione. I deficit posturali si evidenziano man mano che la patologia si aggrava e non vi è più risposta alla terapia farmacologica. Si deve valutar la presenza di atteggiamento camptocormico: cifosi del rachide sia cervicale che dorsale e flessione degli arti inferiori. Negli stadi avanzati la deambulazione avviene a piccoli passi, con piedi trascinati, ginocchia flesse, assenza di movimenti pendolari degli arti superiori, con corpo “en bloc”. La partenza e la fermata sono difficoltose. Si deve inoltre valutare come vengono effettuati i passaggi posturali autonomamente: da supino a prono, da supino a seduto, da seduto in piedi, da in ginocchio in piedi e viceversa. Si devono verificare la capacità di rotolamento, che direttamente proporzionale a quella di svincolo dei cingoli, e le reazioni di raddrizzamento. L a rieducazione posturale è indispensabile in tutti gli stadi della malattia; nei primi evita il peggioramento repentino ed insegna il controllo dell’ atteggiamento camptocormico. Quando questo si aggrava è indispensabile un ritocco della terapia farmacologica. Valutazione articolare. La vera riduzione articolare avviene quando lo stadio è avanzato, in fase terziaria. I vizi di posizione allora diventano irreversibili: flessione del capo, cifosi dorsale, flessione degli arti, equinovarismo dei piedi, mano a ceppo o ad artiglio, etc. Il paziente diviene quindi totalmente dipendente, per cui vanno studiati ei supporti per lui e la famiglia. Sin dai primi stadi la kinesi attiva e passiva evita la riduzione articolare. Movimenti involontari. Le discinesie possono essere collegate alla somministrazione di levodopa, quando in genere è somministrata da anni. Quando sono molto frequenti rendono la vita del paziente molto difficile; aumentano negli stati d’ansia, emotività, paura, etc. L’aggiustamento terapeutico in questi casi è 27 molto importante. La rieducazione non ottiene risultati sulla riduzione dei movimenti involontari. E’bene effettuarla nei periodi della giornata in cui questi movimenti sono meglio controllabili. Valutazione dell’ambiente circostante. Per ambiente circostante si intende sia il contesto familiare che sociale in cui è inserito il paziente, oltre a quello ambientale; è molto importante sapere da quali e quanti stimoli il paziente è sollecitato. E’ necessario educare i familiari a trattare il parkinsoniano in maniera idonea in base alla risposta motoria che ancora possiede, senza negare la patologia e di conseguenza i limiti funzionali che man mano si evidenziano, non facendogli richieste al di sopra delle sue possibilità ed evitando di sostituirsi totalmente nelle attività che il paziente è ancora in grado di effettuare. Se il paziente è in età lavorativa, si deve mirare ad ottenere il massimo del risveglio del suo potenziale motorio ed incoraggiarlo a mantenere la sua attività. Si deve verificare che la terapia sia sempre sotto stretto controllo neurologico, per un continuo aggiustamento posologico che, nelle fasi più avanzate, diventa elemento indispensabile. Si deve infondere fiducia e invogliare il paziente a vivere a pieno, mettendo in atto le capacità motorie che ancora possiede e che in parte vengono esplicate con il lavoro. Se l’età è più avanzata, si devono sollecitare iniziative risocializzanti, sfruttando tutte le occasioni per vivere in movimento e con gli altri. La tendenza all’isolamento deve essere combattuta sin dall’inizio, cioè da quando la diagnosi di Parkinson coglie il paziente impreparato, spesso terrorizzandolo. Ciò esaspera i sintomi e gli iniziali deficit motori, che peraltro permettono una vita pressoché normale. Troppo spesso il Parkinsoniano si elimina dalla vita sociale da solo, prima ancora di arrivare ad una vera e propria impotenza funzionale globale. Vengono presentati ora alcuni test di facile somministrazione, per una valutazione più accurata del paziente, che aiutano ad evidenziare lo stadio di gravità del Morbo di Parkinson, lo stato funzionale, il quadro cognitivo, l’equilibrio e il tono dell’umore. Il test può dare un indirizzo, un aiuto per focalizzare al meglio il quadro del paziente. E’ compito poi del Riabilitatore sfruttare tutta la sua esperienza, la sua sensibilità e tenacia, per ottenere il massimo risultato 28 riabilitativo, apprendendo di giorno in giorno, dalle risposte del paziente, quali siano le migliori tecniche da adottare e gli schemi motori da utilizzare per ricostruire la funzione persa ed infine quale sia l’atteggiamento psicologico da mantenere. Se tutto ciò verrà osservato, il risultato sarà ottimale per il paziente. Qui di seguito presentiamo alcune tra le più famose scale di valutazione utilizzate nei pz. con malattia di Parkinson, tra cui: l’UPDRS (Fahn, et al., 1987), che è la scala di valutazione maggiormente utilizzata per la valutazione delle abilità motorie nei pazienti con malattia di Parkinson. E’ un ottimo strumento di valutazione che permette di seguire il corso longitudinale della malattia di Parkinson. E’ composta da più sezioni: 1) Capacità mentali, comportamento e umore; 2) Attività della vita quotidiana ; 3) Esame motorio; 4) Complicanze dovute alla terapia. UNIFIED PARKINSON'S DISEASE RATING SCALE (UPDRS) 29 30 31 32 33 34 COLUMBIA UNIVERSITY RATING SCALE (1977) 1) Espressione facciale 0 – normale 1 – ipomimia minima; potrebbe trattarsi di una normale impassibilità 2 – diminuzione lieve ma abnorme dell’espressione facciale 3 – ipomimia moderata 4 – facies fissa con perdita grave o completa dell’espressione facciale 2) Seborrea 0 – normale 1 – fronte untosa, senza dermatite 2 – lieve dermatite,eritema e desquamazione 3 – dermatite moderata 4 – dermatite grave 3) Scialorrea 0 – assente 1 – lieve ma evidente eccesso di saliva nella faringe; il paziente può non accorgersene; assente la perdita di saliva dalla bocca 2 – moderato eccesso di saliva con minima perdita 3 – notevole eccesso di saliva con discreta perdita 4 – perdita notevole, che richiede speciali provvedimenti 4) Disturbi della parola 0 – assenti 1 – lieve perdita dell’espressione, della dizione e/o del volume 2 – eloquio monotono, impastato ma comprensibile 3 – eloquio molto compromesso, di difficile comprensione 4 – incomprensibile 5/9) Tremore 0 – assente 1 – lieve e raramente presente 35 2 – di ampiezza moderata ma presente solo ad intermittenza 3 – moderato e presente per la maggior parte del tempo 4 – di ampiezza marcata e presente tutto il tempo 10/14) Rigidità 0 – assente 1 – lieve o apprezzabile in alcune circostanze 2 – moderata 3 – marcata, ma la mobilizzazione completa è ottenibile facilmente 4 – grave, la mobilizzazione è ottenibile con difficoltà 15/16) Agilità delle dita ( il paziente oppone il pollice alle altre dita in rapida successione) 0 – normale 1 – leggermente lento 2 – lento 3 – molto lento 4 – impossibile 17/18) Diadocinesia Il paziente deve toccare alternativamente col dorso e il palmo delle mani le ginocchia (vedi 15-16) 19/20) Alzarsi dalla sedia 0 – normale 1 – lento 2 – si spinge sul bracciolo o sul sedile 3 – tende a cadere in dietro e può fare diversi tentativi, ma riesce ad alzarsi senza aiuto 4 – incapace di alzarsi senza aiuto 22) Postura 0 – normale 36 1 – non del tutto eretta, leggermente incurvata; potrebbe essere normale per un anziano 2 – moderatamente scimmiesca con cifosi 3 – marcatamente scimmiesca con cifosi 4 – grave flessione con postura estremamente anormale 23) Stabilità posturale (se il segno di Romberg è normale, valutare la risposta ad un improvviso spostamento all’indietro prodotto da una spinta sullo sterno) 0 – normale 1 – presenza di retropulsione ma si riprende senza aiuto 2 – assenza di risposta posturale; cadrebbe se non afferrato dall’esaminatore 3 – molto instabile, tende a cadere spontaneamente al test di Romberg 4 – incapace di stare in piedi senza assistenza 24) Disturbi della marcia 0 – deambulazione sciolta, passi normali gira regolarmente 1 – cammina lentamente, i passi possono essere brevi ma senza festinazione o propulsione 2 – deambulazione difficile e con festinazione, a passi brevi, con freezing e propulsione, ma richiede minima o nessuna assistenza 3 – grave disturbo dell’andatura che richiede assistenza frequente 4 – non può camminare anche se aiutato 25) Bradicinesia (comprende sia la lentezza che la povertà di movimenti in generale) 0 – assente 1 – minima lentezza che da al movimento una caratteristica; potrebbe essere normale in certe persone 2 – lieve grado di lentezza e di povertà di movimento che è anomalo 3 – lentezza moderata con occasionale esitazione nell’iniziare e arrestare un movimento in corso 4 – marcata lentezza e povertà di movimenti, con frequenti freezing e lunghi ritardi nell’iniziare i movimenti 37 WEBSTER (1968) Interpretazione dei punteggi Da 1 a 10: Sindrome Parkinsoniana leggera – non vi è una significativa limitazione dei movimenti; da 11 a 20: Sindrome Parkinsoniana moderatamente grave – peggioramento apprezzabile anche se vi è ancora indipendenza; da 21 a 30: Sindrome Parkinsoniana grave – peggioramento da grave a molto grave. Totalmente dipendente dall’aiuto esterno. SCALA I. Bradicinesia della mano, inclusa scrittura 0 = Nessuna compromissione. 1 = Segni di rallentamento della velocità di prono-supinazione, difficoltà iniziali nell’uso di utensili, nell’abbottonarsi e nello scrivere. 2 = Rallentamento moderato della velocità di prono-supinazione in uno o entrambi i lati, moderata compromissione delle funzioni della mano, scrittura marcatamente compromessa, micrografia. 3 = Grave rallentamento della velocità di prono-supunazione. Incapacità di scrivere o di abbottonarsi gli abiti. Difficoltà marcata nell’uso degli oggetti. II. Rigidità 0 = Tono normale. 1 = Segni di rigidità del collo e delle spalle. Fenomeni di attivazione presenti. Uno o entrambi gli arti superiori mostrano rigidità lieve, persistente e negativa. 2 = Moderata rigidità del collo e delle spalle. Persistente rigidità se il paziente non è sotto terapia. 3 = Grave rigidità del collo e delle spalle. Nonostante la terapia, rigidità permanente. III. Postura 0 = Posizione normale. Capo flesso in avanti per meno di 10 cm. 1 = Incipiente rigidità della colonna. Capo flesso in avanti (fino a 12,5 cm). 38 2 = Iniziale atteggiamento in flessione degli arti superiori. Capo chinato in avanti fino a 15 cm. Uno o entrambi gli arti superiori flessi ma con la mano ancora al di sotto dell’articolazione dell’anca. 3 = Incipiente posizione scimmiesca. Capo flesso in avanti per più di 15 cm. Una o entrambe le mani al di sopra dell’ articolazione dell’ anca. Marcato atteggiamento in flessione della mano con incipiente estensione inter-falangea. Incipiente flessione delle ginocchia. IV. Oscillazione degli arti superiori 0 = Entrambi gli arti oscillano mentre il paziente cammina. 1 = Un arto oscilla di meno. 2 = Un arto non riesce ad oscillare. 3 = Entrambi gli arti non riescono ad oscillare. V. Andatura 0 = Facilità nella marcia, con passi di 45-105 cm. Nessun problema nel voltarsi. 1 = Passi abbreviati fino a 30-45 cm. Comparsa di tallonamento monolaterale. Lentezza nel voltarsi. Sono necessari più passi. 2 = Passo moderatamente abbreviato fino a 15-30 cm. Notevole tallonamento bilaterale. 3 = Strisciamento dei piedi, ogni passo è inferiore a 7,5 cm. Comparsa di andatura inceppata e bloccata. Cammina in punta di piedi. Ha notevole difficoltà nel voltarsi. VI. Tremore 0 = Nessun tremore 1 = Meno di 2,5 cm di ampiezza del tremore alle estremità, al capo, o alla mano nella prova indice naso. 2 = Il limite del tremore non eccede i 10 cm. Il tremore è grave ma non costante. Il paziente conserva un certo controllo del movimento delle mani. 3 = L’ampiezza del tremore eccede i 10 cm. Il tremore è grave e costante. Durante la veglia il tremore è continuo, a meno che non sia di tipo puramente cerebellare. Il paziente non può scrivere o alimentarsi da solo. 39 VII. Facies 0 = Normale, vivace, senza fissità. 1 = Segni di immobilità. La bocca resta chiusa. Segni incipienti di ansia o depressione. 2 = Immobilità moderata. Le emozioni compaiono solo dopo aver superato una soglia apprezzabilmente più alta. La bocca resta talvolta aperta. Moderati segni di ansietà e depressione. Può esistere ipersalivazione. 3 = Fissità dell’espressione. Bocca aperta per più di circa 0,5 cm. Possibile grave ipersalivazione. VIII. Seborrea 0 = Nessuna 1 = Aumento della sudorazione. Secrezione fluida. 2 = Pelle significativamente grassa. La secrezione è molto più densa. 3 = Seborrea inequivocabile. La testa e il viso sono coperti da una secrezione densa. IX. Linguaggio 0 = Chiaro, forte, risonante, facilmente comprensibile. 1 = Incipiente raucedine con perdita di modulazione e risonanza. Buon volume di voce, ancora facilmente capibile. 2 = Moderata raucedine e disfonia. Timbro di voce costante, monotono invariato. Incipiente disartria. Parola esitante, balbettante, difficilmente comprensibile. 3 = Marcata raucedine ed affievolimento della voce. X. Autonomia 0 = Nessuna compromissione. 1 = Ancora autosufficiente, ma con una certa difficoltà nel vestirsi. 2 = Bisogno di aiuto in situazioni critiche, ad esempio salire e scendere dal letto, alzarsi dalla sedia. Può fare alcune cose ma impiega molto tempo. 3 = Incapace di vestirsi, mangiare e camminare senza aiuto. 40 NORTHWESTERN UNIVERSITY DISABILITY SCALE (NUDS) SCALA A: DEAMBULAZIONE Non cammina da solo 10 – Non può assolutamente camminare, neppure con la massima assistenza. 9 – Ha bisogno di notevole assistenza anche per fare pochi passi; non può uscire di casa neppure se aiutato. 8 – Richiede un certo aiuto in casa, può uscire di casa se notevolmente aiutato. 7 – Deve contare su un aiuto in casa e richiede aiuto effettivo per uscire. Qualche volta cammina da solo 6 – Cammina da una stanza all’altra senza bisogno di assistenza, ma si muove lentamente ed usa degli appoggi; non esce mai da solo. 5 – Va da una stanza all’altra senza troppe difficoltà, qualche volta può uscire senza aiuto. 4 – Percorre facilmente brevi distanze; camminare per strada gli è difficile ma lo può fare spesso senza aiuto; solo raramente percorre dei lunghi tratti da solo. Cammina sempre da solo 3 – L’andatura è molto anormale, lenta e strascicata; la postura è molto alterata, ci può essere propulsione. 2 – La qualità dell’andatura è insoddisfacente ed il passo lento; la postura è moderatamente alterata, può esserci una leggera tendenza alla propulsione; voltarsi riesce difficile. 1 – L’andatura è solo leggermente anormale per quanto riguarda la qualità e velocità; voltarsi è l’operazione più difficoltosa; la postura è essenzialmente normale. 0 – Normale. SCALA B: VESTIRSI Necessita di assistenza totale 10 – Il paziente è un impedimento piuttosto che un aiuto per l’assistente. 9 – I movimenti del paziente non aiutano né ostacolano l’assistente. 8 – Può aiutare l’assistente con i movimenti del corpo. 7 – Aiuta notevolmente con i movimenti del corpo. 41 Necessita di parziale assistenza 6 – Indossa da solo i capi più semplici (cappello, giacca). 5 – Esegue da solo circa la metà delle operazione di abbigliamento senza aiuto. 4 - Esegue da solo circa la metà delle operazione di abbigliamento con notevole fatica e lentezza. 3 – Si veste da solo eccetto che per alcune operazioni più difficili (annodare la cravatta, allacciare i bottoni). Completa indipendenza 2 – Si veste completamente da solo, lentamente e con grande fatica. 1 – Si veste completamente da solo, ma un po’ più lentamente e faticosamente che di norma. 0 – Normale. SCALA C: IGIENE Necessita di assistenza totale 10 – Incapace di mantenere buona l’igiene personale; neppure con la massima assistenza. 9 – Discreta igiene personale se assistito, ma non aiuta l’assistente in modo considerevole. 8 – Buon igiene personale, aiuta l’assistente. Necessita di assistenza parziale 7 – Può eseguire alcuni compiti da solo se l’assistente è vicino. 6 – Richiede assistenza per circa la metà delle operazioni connesse alla propria toilette. 5 – Richiede aiuto per alcuni compiti non particolarmente difficili dal punto di vista della coordinazione. 4 – Provvede a quasi tutti i bisogni personali da solo; usa metodi di ripiego per aiutarsi nei compiti più difficili ( rasoio elettrico). Completa indipendenza 3 – Provvede alla propria igiene indipendentemente, ma con fatica e lentezza; non rari incidenti; può avvalersi di metodi di ripiego. 2 – Le attività igieniche richiedono un certo impiego di tempo; non si avvale di metodi di ripiego; pochi incidenti. 42 1 – Mantiene un igiene normale, se si eccettua una certa lentezza. 0 – Normale. SCALA D: ASSUNZIONE DI CIBO E COMPORTAMENTO A TAVOLA (da valutare separatamente) Assunzione di cibo 5 –La capacità di mangiare è cosi ridotta che necessita un attrezzatura ospedaliera per ottenere un nutrizione adeguata. 4 – Si nutre solo con liquidi e con cibi molli che digerisce con grande lentezza. 3 – Se la cava bene con liquidi e cibi molli; qualche volta mangia cibi solidi, ma con fatica e grande lentezza. 2 – Mangia abitualmente alcuni cibi solidi, ma con fatica e lentezza. 1 – Segue una dieta normale, ma la masticazione e la deglutizione sono laboriosi. 0 – Normale. Comportamento a tavola 5 – Richiede assistenza completa. 4 – Esegue da solo operazioni connesse con l’alimentazione. 3 – Esegue da solo la maggior parte delle operazioni connesse con l’alimentazione, lentamente e con fatica; richiede aiuto per compiti specifici (tagliare la carne, riempire il bicchiere). 2 – Provvede all’alimentazione da solo con moderata lentezza, ma può avere bisogno di aiuto in situazioni specifiche (tagliare la carne); non rari gli incidenti. 1 – Si alimenta da solo con rari incidenti; più lentamente che di norma. 0 – Normale. SCALA E: PAROLA 10 – Non vocalizza per niente. 9 – Vocalizza, ma raramente per comunicare. 8 – Vocalizza per attirare l’attenzione su di se. 7 – Tenta di usare la parola per comunicare, ma ha delle difficoltà ad iniziare la vocalizzazione; gli capita di interrompersi in mezzo ad una frase e non riuscire a continuare. 6 – Usa la parola per comunicare, ma l’articolazione delle parole è quasi incomprensibile; gli capita di avere difficoltà nell’incominciare a parlare; in 43 genere dice parole singole o brevi frasi. 5 – Usa sempre la parola per comunicare, ma l’articolazione è ancora molto difettosa, di norma usa frasi complete. 4 – Può venir compreso se l’ascoltatore sta molto attento; sia l’articolazione delle parole che la voce possono essere difettose. 3 – Riesce a comunicare facilmente, sebbene le difficoltà di parola tolgano efficacia al contenuto del discorso. 2 – Le parole vengono senza difficoltà, ma la voce o il ritmo del discorso possono essere alterati. 1 – Espressione verbale soddisfacente; presenza di lievi difetti vocali. 0 – Normale. 44 TINETTI, 1986 A) Equilibrio Equilibrio da seduto - si inclina o scivola dalla sedia - è stabile, sicuro 0 1 Alzarsi dalla sedia - è incapace sansa aiuto - deve aiutarsi con le braccia - si alza senza aiutarsi con le braccia 0 1 2 Tentativo di alzarsi - incapace senza aiuto - capace, ma richiede più di un tentativo - capace al primo tentativo 0 1 2 Equilibrio nella stazione eretta - instabile - stabile grazie all’uso del bastone o di altri ausili - stabile senza ausili 0 1 2 Equilibrio nella stazione eretta prolungata - instabile - stabile, ma a base larga (i malleoli mediali distano >10cm) - stabile a base stretta 0 1 2 Romberg sensibilizzato - incomincia a cadere - oscilla - stabile 0 1 2 Romberg - instabile - stabile 0 1 Girarsi a 360° - a passi discontinui - a passi continui - instabile - stabile 0 1 0 1 Sedersi - insicuro - usa le braccia - sicuro 0 1 2 Punteggio A)_______/16 45 B) Andatura Inizio della deambulazione (immediatamente dopo il via) - una certa esitazione - nessuna esitazione 0 1 Lunghezza ed altezza del passo -A. piede dx - durante il passo il piede dx non supera il sx - il piede dx supera il sx - il piede dx non si alza completamente dal pavimento - il piede dx si alza completamente dal pavimento -B. piede sx - durante il passo il piede sx non supera il dx - il piede sx supera il dx - il piede sx non si alza completamente dal pavimento - il piede sx si alza completamente dal pavimento 0 1 0 1 Simmetria del passo - Il passo dx e sx non sembrano uguali - il passo dx e sx sembrano uguali 0 1 Continuità del passo - continuo - discontinuo 1 0 Traiettoria - marcata deviazione - lieve o moderata deviazione - assenza di deviazione 0 1 2 Tronco - marcata oscillazione - nessuna oscillazione, ma flessione delle ginocchia, della schiena o allargamento delle braccia durante il cammino - nessuna oscillazione, flessione, uso delle braccia Cammino - i talloni sono separati - i talloni quasi si toccano 0 1 0 1 0 1 2 0 Punteggio B)_______/12 Punteggio A)+B)_______/28 46 47 48 Esistono infine delle scale che valutano in modo selettivo il tono dell’umore; ne presentiamo adesso alcune: 0-20: Tono dell’umore normale 23-44: Tono dell’umore lievemente depresso 45-66: Tono dell’umore depresso 49 La riabilitazione si troverà ad affrontare diverse forme cliniche che si differenziano per sintomi, per lo stadio clinico, per l’aggressività del quadro patologico e per le complicanze associate, che vengono elencate di seguito. 50 FORME CLINICHE PIU’ FREQUENTI Forma completa Rigidità, Bradicinesia, Tremore Forma ipercinetica Prevale il Tremore Forma rigido-acinetica Prevale la Rigidità e la Bradicinesia Forma complicata Interessamento vegetativo importante e multisistemico Forma con depressione Forma con demenza Forma benigna Lenta progressione Forma maligna Rapida progressione Inoltre, in relazione all’età, si distinguono: Forma giovanile Esordio a meno di 20 anni Forma precoce Tra 20 e 40 anni Forma tipica Tra 40 e 75 anni Forma tardiva Oltre 75 anni 51 A seguito della valutazione neuromotoria, si stilerà un piano di trattamento per il paziente, a seconda dello stato di gravità della patologia e della forma clinica. La rieducazione neuromotoria deve essere consigliata sin dai primi sintomi motori con un mirato programma di esercizi. Deve essere adeguata alle possibilità motorie individuali e per ogni fase di progressione della patologia. Infatti, è inesorabile il peggioramento del quadro neuromotorio, che accompagna il paziente con l’avanzare della gravità del Morbo ed è per questo che, all’esordire di un nuovo deficit, si deve prontamente stabilire un programma fisioterapico adeguato a ridurre il progredire del danno funzionale. Gli obiettivi del riabilitatore sono quelli di prevenire posture e schemi motori scorretti, mantenere quanto è stato ottenuto e migliorare, ove è possibile, il quadro motorio. Non possono essere apportati cambiamenti radicali, ma possono essere minimizzati gli effetti della patologia, promuovendo una maggiore efficienza delle potenzialità residue. Più precoce sarà il trattamento e migliore sarà il risultato che si avrà, perche non saranno dimenticati gli schemi normali; lo schema motorio patologico non deve diventare l’abitudine. Il trattamento riabilitativo persegue le indicazioni che la neurofisiologia ci offre: solo gli automatismi di più recente acquisizione sono danneggiati nel Morbo di Parkinson; gli automatismi arcaici di fuga, paura, immobilità sono integri; gli automatismi si ripristinano attraverso la continua ripetizione dello schema motorio (facilitazione). Con questi presupposti, si tenterà di ricostruire gli schemi motori rivolti all’esplorazione ed all’interazione del mondo esterno, facilitandone l’acquisizione con la ripetizione quasi esasperata degli stessi. La rieducazione neuromotoria individuale è sempre il trattamento d’elezione: la mobilizzazione passiva, la kinesi attiva assistita individuale, fanno si che il paziente recuperi al massimo il potenziale motorio perso. Il terapista ha infatti, di volta in volta, la possibilità di valutare i progressi del paziente e di capire con quali esercizi insistere per migliorare la funzione là dove il paziente ha maggiori difficoltà. Poiché la sintomatologia del parkinsoniano è spesso variabile, si dovranno dosare gli esercizi a seconda della sua performance al momento del trattamento. Ogni ciclo deve avere un numero di sedute sufficienti per riportare il paziente al massimo delle sue capacità. Devono essere consigliati diversi cicli in un anno, cosi da mantenere sotto controllo il quadro patologico. La rieducazione neuromotoria di gruppo può essere intercalata a quella individuale. L’esercizio 52 attivo che si effettua nel gruppo, agirà sull’elasticità tendinea, sull’allungamento muscolare, sulla coordinazione, sulle reazioni d’equilibrio, sulla resistenza fisica, etc. il gruppo deve essere di massimo 5/6 elementi, per dare al fisioterapista al possibilità di un controllo adeguato sull’esecuzione dell’esercizio. Il “gruppo” ha un soddisfacente risultato anche dal punto di vista psicologico, poiché il paziente può confrontarsi con gli altri componenti, diluendo cosi le proprie angosce e accettando maggiormente i propri limiti. I gruppi devono avere un’omogeneità per quanto riguarda il potenziale motorio, l’età, la capacità intellettiva dei pazienti. Sin dall’esordio della malattia, deve essere effettuata una valutazione anche dal logopedista e dal terapista occupazionale, che ciclicamente verificheranno la necessità del loro intervento. Il logopedista si occuperà dei problemi legati alla fonazione, deglutizione e alla sfera cognitiva. Il terapista occupazionale si dedicherà allo studio del ripristino delle funzioni legate alle attività quotidiane con l’uso di ausili appropriati, con modifiche all’ambiente, all’abbigliamento, etc. La psicomotricità è indicata per pazienti particolarmente negativisti. Può essere d’aiuto al paziente che non accetta la propria invalidità e la vive esasperandone la limitazione. Per questi aspetti, l’intervento dello psicomotricista può essere di valido aiuto a quello del fisioterapista per “sbloccare” l’inibizione del paziente al movimento. L’attività psicomotoria può essere effettuata sia individualmente, che in gruppo. 53 Consigli pratici per il riabilitatore: • Trattare il paziente nel suo momento migliore. • Equilibrare il livello di difficoltà dell’esercizio al potenziale del paziente. • Proporre esercizi semplici e comprensibili, l’esercizio deve essere stimolante pur ricalcando schemi motori sempre uguali. • Richiedere una prestazione di maggiore impegno ma mai irraggiungibile. • Intercalare esercizi semplici, “che rassicurano”, ad esercizi più complessi che possono procurare frustrazione. • Incoraggiare sempre il paziente affermando che solo attraverso l’allenamento si raggiungono risultati soddisfacenti. • Privilegiare esercizi attivi in quei pazienti che hanno una personalità passiva. • Privilegiare il recupero delle attività funzionali negli stadi avanzati e nei pazienti anziani. • Ricordare al paziente di utilizzare sempre pienamente il potenziale motorio posseduto. • Consigliare di effettuare attività motorie piacevoli nel tempo libero. • Non negare le difficoltà motorie, valorizzare e incoraggiare l’utilizzo delle capacità residue. 54 Alcune strategie per aumentare le abilità nei compiti funzionali CAMMINARE La maggior parte dei soggetti con MP hanno difficoltà a camminare, e queste difficoltà non sempre rispondono positivamente ai farmaci antiparkinson , ad esempio la lentezza nel cammino e la presenza di passi corti possono rimanere, nonostante i migliori tentativi di farmacoterapia. L’ipocinesia del cammino colpisce quasi tutti gli individui ed aumenta in severità con la progressione della malattia. Il deficit fondamentale nella ipocinesia del cammino è un disturbo nella regolazione della lunghezza del passo, poiché c'è una relazione proporzionale tra la lunghezza del passo e la distanza dal suolo, i pazienti con ipocinesia sono da considerare a rischio di inciampare sugli ostacoli durante la fase oscillante del cammino, specie se la lunghezza del passo è < 1 m. Il rischio di cadute limita molto l'autonomia del soggetto, quindi il fisioterapista deve dedicare molto tempo ad insegnargli a camminare con passi di lunghezza appropriata alla sua altezza e all'età. L’uso di stimoli esterni e di strategie cognitive sono i principali mezzi che il terapista può usare per ridurre l'acinesia del cammino. La letteratura fornisce considerevoli prove che gli stimoli visivi (ad esempio linee bianche sul pavimento spaziate ad una lunghezza del passo adatta per l'età e l'altezza del soggetto) rendano normali le variabili temporali e spaziali del cammino (Morris e al., 1994; Morris e al., 1996; Morris e al., 1999). In aggiunta Behrman e al., nel 1998 dimostrarono che le strategie attentive , dove le persone rispondono a differenti programmi di addestramento, come ad esempio le istruzioni a camminare con passi lunghi od oscillando le braccia, sono efficaci nell’ aumentare, a breve termine, la lunghezza del passo e la velocità del cammino. GIRARE (dietrofront) L’ attività di girarsi e tornare indietro durante il cammino è molto problematica per i parkinsoniani che hanno episodi di freezing o di instabilità motoria. Generalmente quando i soggetti anziani girano a 360°(fanno dietrofront) durante il cammino, essi fanno cinque o sei passi per completare l'azione, le persone con MP fanno anche 20 passi per girare, con passi corti, che diventano sempre più corti 55 fino eventualmente a fermarsi, questi inoltre presentano pochi movimenti del tronco, della testa e degli arti superiori quando girano, rispetto ai soggetti normali. Per evitare fenomeni di freezing durante il girarsi, gli individui con MP possono essere allenati a concentrarsi sul girare in un largo arco di movimento, piuttosto che focalizzandosi su un rapido cambio di direzione. Usando questa strategia, Yekutiel e altri nel 1991 trovarono che 12 soggetti con MP ridussero il tempo che loro impiegavano a girarsi del 40% , dopo tre mesi di trattamento fisioterapico bisettimanale. ALZARSI E SEDERSI Carr e Shepherd nel 1998 indicarono che per alzarsi dalla posizione seduta sono necessarie quattro azioni: spostare il corpo in avanti, così che i glutei siano sul margine della sedia, porre i piedi ben appoggiati sul pavimento e abbastanza indietro, portare il tronco in avanti, alzarsi velocemente mentre si pensa di piegarsi “in avanti e su” in un arco di movimento. Un problema comune è che i soggetti con MP non si flettono abbastanza in avanti mentre vengono in piedi, per cui il centro di gravità cade posteriormente in rapporto ai piedi, ed il momento della forza di carico all'anca e al ginocchio risulta aumentato, rendendo l'alzarsi veramente difficile. Nei parkinsoniani con ipocinesia, provare mentalmente la sequenza prima della sua esecuzione, o l'uso di stimoli verbali come ripetere la sequenza ad alta voce, può aiutare l’esecuzione di questo compito. Possono essere usati anche stimoli propriocettivi, come portare il tronco in avanti e indietro prima del movimento, o stimoli uditivi come ad esempio dire “vai” possono essere di aiuto. In uno studio sui movimenti di alzarsi e sedersi usando queste strategie, Kamsma e colleghi nel 1994 trovarono che quattro sessioni di allenamento riducevano gli errori di pianificazione ed esecuzione di questa sequenza di azioni in 10 soggetti con MP, ed in aggiunta tre individui che furono esaminati un anno dopo l'addestramento, non dimostrarono un deterioramento in questa attività. Così pure Yekutiel e al. nel 1991 trovarono che 12 soggetti con MP migliorarono il tempo dell'attività di alzarsi e sedersi di 56 più del 50% in tre mesi di fisioterapia bisettimanale, che enfatizzava l’attenzione sui movimenti di tutto il corpo durante l’azione, aumentando la velocità di prestazione. I soggetti inoltre mostravano più energia, ed eseguivano il compito più semplicemente. Nelle fasi più avanzate della malattia i parkinsoniani possono trovare giovamento nell'attività di alzarsi con l'uso di sedie con braccioli o con il fondo della sedia rialzato, è inoltre utile istruire i familiari su come assisterli in questi compiti, così da evitare traumi muscolo-scheletrici. Un altro problema frequente nelle persone affette da MP è la difficoltà nel girarsi nel letto e nell’ alzarsi e coricarsi, queste attività sono difficili da eseguire perché richiedono una complessa sequenza di movimento, che può essere divisa in varie sub-componenti, come ad esempio tirare giù le coperte, scivolare il bacino verso il centro del letto in modo che quando la rotazione sul sacro è completata, il corpo non è sul bordo del letto, portare le braccia nella direzione del rotolamento, portare gli arti inferiori oltre il bordo del letto, spingersi verso l'alto e fare gli aggiustamenti posturali necessari per alzarsi in piedi. Questa attività è ulteriormente resa difficile perché è usualmente eseguita la notte, quando il livello della L-dopa è basso e l'ipocinesia e l'acinesia sono al loro picco massimo. Queste azioni inoltre vengono eseguite con poca luce, e quindi senza che la vista possa guidare la sequenza di movimento, inoltre in genere è presente l'urgenza di andare in bagno a causa del ridotto controllo del muscolo detrusore della vescica, per il coinvolgimento del sistema nervoso autonomo nel MP. Per questo motivo è essenziale insegnare a questi soggetti delle strategie efficaci per spostarsi nel letto, girarsi, alzarsi e coricarsi, in modo da ridurre al massimo l'assistenza dei familiari. Anche per queste attività si possono usare degli accorgimenti che le rendano più facili, come ad esempio usare una L-dopa a lenta azione, che aumenti la mobilità nel letto durante la notte, usare una lampada per la notte in modo che la vista possa guidare i movimenti, mettere sul letto una trapunta leggera, facile da tirare su e giù e dei lenzuoli di raso o seta in modo da ridurre l'attrito. Si può inoltre insegnare al soggetto con MP a provare mentalmente la sequenza del movimento prima di cominciare, ed a stare attento all'esecuzione di ogni sub-movimento da eseguire. In alcuni casi può servire un registratore con registrati gli ordini verbali 57 che aiutino ad attivare le varie componenti della sequenza motoria, inoltre è necessario assicurarsi che il letto non sia troppo basso, perché questo rende difficile l'alzarsi in piedi. Uno studio sperimentale di Kamsma e al. nel 1994 ha quantificato gli effetti delle strategie cognitive sull’abilità del girarsi nel letto in 10 soggetti parkinsoniani, trovando che esercitazioni ripetute di strategie per la mobilità a letto, che comprendevano provare mentalmente il compito o spezzare la sequenza delle azioni in varie parti, per evitare la necessità di azioni simultanee, portarono ad un progressivo miglioramento del risultato. I vantaggi erano maggiori per quei soggetti classificati al grado II o III della scala di Hoen e Yahr, e minori per quei pazienti gravemente disabili (stadio IV), l'allenamento fu soltanto per quattro sedute e non furono valutati gli effetti a lungo termine. PREVENZIONE DELLE CADUTE Più del 35% dei soggetti con MP in fase avanzata cadono, ed il 18% si procura delle fratture, come conseguenza della caduta, e quindi la prevenzione delle cadute è il più importante obiettivo del fisioterapista nei parkinsoniani agli stadi più avanzati della malattia. In linea generale le cadute si verificano più facilmente se il soggetto presenta anche disturbi cognitivi, oltre quelli motori, e se esegue più compiti insieme piuttosto che uno soltanto. Fattori ambientali, quali ad esempio i tappeti sul pavimento, o gli effetti collaterali della terapia farmacologica, o fattori correlati come l'età, sono pure da considerare per ridurre i rischi di cadute. Può essere utile tenere un diario delle attività della vita quotidiana, e dei farmaci con il loro relativo orario di assunzione, e le eventuali cadute, in modo da elaborare un'efficace programma di prevenzione, costruito sui bisogni dell'individuo. Hausdorf, Balash e Giladi nel 2003 studiarono gli effetti del dual-task sull’instabilità del cammino e sul rischio di cadere nei soggetti parkinsoniani. I soggetti, affetti da morbo di Parkinson di varia gravità, furono studiati durante il cammino normale e mentre eseguivano un compito cognitivo. Risultò che durante il cammino con associato il doppio compito, le persone con MP avevano una maggiore instabilità nel camino ed un maggior rischio di cadere 58 rispetto al cammino normale, con una correlazione significativa con la durata della malattia. AVVICINAMENTO AD UN OGGETTO, PRESA, MANIPOLAZIONE E SCRITTURA A causa della bradicinesia, la capacità di avvicinarsi agli oggetti, di afferrarli e di manipolarli è compromessa nella maggior parte degli individui con MP, ed i compiti più complessi come vestirsi, aver cura della propria persona, nutrirsi sono eseguiti con eccessiva lentezza e con movimenti di ampiezza inadeguata. Questi pazienti inoltre presentano una forza di prensione alta quando eseguono compiti di presa di precisione, ma non riescono a sollevare un lapis. Per questi compiti il fisioterapista lavora in collaborazione con il terapista occupazionale e con i familiari, in modo da utilizzare strategie efficaci. Anche per queste attività è importante provare mentalmente la sequenza dell’ azione, prima di eseguirla. Può essere utile anche guardare l'oggetto che deve essere afferrato prima e durante il movimento, in quanto l'oggetto può funzionare come uno stimolo visivo, e quindi permettere l'esecuzione di un movimento dell'arto superiore più normale. E’ utile frammentare i movimenti di prensione in varie parti, e concentrarsi sull'esecuzione di ogni componente in modo separato, anche stimoli verbali come “ vai” o “rilascia” possono aiutare nell'attività, è inoltre importante evitare stimoli distraenti nell'ambiente, o eseguire un compito secondario concorrente allo stesso tempo. Sebbene le persone con MP siano lente a raggiungere un bersaglio fermo, esse sono spesso capaci di protendersi in avanti ed afferrare un oggetto in movimento, come ad esempio una palla che si muove, ad una velocità quasi normale, presumibilmente poiché il movimento della palla attiva risposte elaborate a livello del midollo spinale o di strutture basse del cervello. Per quanto riguarda la scrittura, vari studi sperimentali hanno dimostrato che la carta rigata aiuta questi soggetti a scrivere più facilmente, probabilmente perché fornisce uno stimolo visivo che regola l'ampiezza delle lettere, come pure focalizzare l'attenzione su scrivere con lettere grandi può essere di aiuto. Queste strategie sembrano avere un effetto a breve termine, in quanto se la persona 59 esegue un secondo compito, ad esempio parlare al telefono, mentre scrive un messaggio, ricompare la micrografia. La prevenzione dell'atrofia muscolare e dell’ipostenia, della riduzione dell’ampiezza del movimento, e della ridotta capacità all'esercizio è in genere lo scopo iniziale della fisioterapia nei soggetti con MP, e dovrebbe iniziare appena eseguita la diagnosi. Nei primi stadi della malattia la persona dovrebbe essere incoraggiata a partecipare ad attività fisiche come camminare, nuotare, fare yoga, tai-chi, golf, andare in bicicletta, poiché questi soggetti hanno una più rapida riduzione del livello di attività fisica rispetto agli individui sani di pari età. Canning e al. nel 2005 suggeriscono che gli individui con lieve e moderato MP possono mantenere una normale capacità di esercizio, con un'adeguata e regolare attività aerobica. Essi possono anche aumentare lo sviluppo della forza e la coordinazione con attività come il karatè o esercizi di mobilizzazione del rachide. Quando la malattia progredisce, sono necessarie attività compito-specifiche, che tengano conto della capacità aerobica, ad esempio salire e scendere le scale. Quando sono presenti deformità o contratture muscolari possono essere utili stimoli visivi, come ad esempio lo specchio, dei programmi specifici di rafforzamento o di stiramento di specifici gruppi muscolari, o l'uso di adeguate ortesi, o speciali sedie, o letti. 60 Consigli per tutti i giorni I pazienti con Malattia di Parkinson possono avere delle difficoltà ad eseguire le attività della vita quotidiana. Riportiamo qui sotto alcuni punti che possono aiutare il paziente a superare questi problemi. TREMORI: un tremore a riposo può di tanto in tanto interferire con le attività manuali. Per meglio controllare il tremore, premete il gomito colpito contro il corpo in maniera tale da stabilizzare la parte superiore del braccio e quindi eseguite il movimento desiderato il più rapidamente possibile. VESTIRSI: Vestirsi e spogliarsi può essere molto faticoso e lento. I seguenti consigli possono aiutarvi a vestirvi e spogliarvi più rapidamente: Indossate vestiti leggeri e larghi; cominciate a vestirvi e spogliarvi dal lato più rigido. Se avete problemi di equilibrio sedete sul bordo del letto o su una poltrona con braccioli per vestirvi; usate cinture elastiche o abiti con chiusure in velcro invece di bottoni o chiusure lampo; indossate pullover perché non hanno i bottoni; utilizzare il gancio per bottoni ; scegliete vestiti che si chiudono davanti; usate lacci elasticizzati per le scarpe o mocassini; mettetevi le scarpe usando un calzante a maniglia lunga; chiedete a un membro della famiglia di sistemarvi prima i vestiti. IL BAGNO: il bagno di solito è il posto più pericoloso per tutti quelli con problemi di equilibrio, difficoltà a camminare o tremori. La maggior parte dei bagni sono piccoli ed hanno pavimenti in maiolica e vasche da bagno rivestite in porcellana. Quando queste superfici sono umide diventano estremamente scivolose. Alcune misure preventive per evitare gli incidenti sono: 1) mettete una superficie ruvida, o una superficie adesiva antisdrucciolo alla base della vasca o della doccia; 2) togliete le porte di vetro dalla doccia; 3) usate una vasca col sedile o una doccia col sedile; 4) fate la doccia utilizzando un tubo flessibile per sciacquarvi stando seduti; 61 5) attaccate il sapone ad una cordicella per poterlo raccogliere facilmente; 6) non usate come punti di appoggio i dispositivi del bagno (ad es. i porta asciugamani) poiché non sono molto resistenti e possono cedere e farvi cadere 7) se necessario un maggior supporto fatevi installare delle maniglie; in più un water rialzato rende più facile l'alzarsi e dei braccioli possono essere applicati al water come punti di leva. In alternativa uno sgabello di fronte al water aiuta inoltre a tenere le gambe raccolte e facilita il torchio addominale e quindi la defecazione. CAMMINARE: la tipica postura flessa in avanti del paziente con Malattia di Parkinson favorisce la tendenza a camminare sulle punte dei piedi con i talloni sollevati. Questi passi traballanti spesso diventano più piccoli e veloci con la distanza. Quando ciò si manifesta: 1) smettete di camminare; 2) accertatevi che i piedi siano separati di almeno 20 centimetri; 3) correggete la postura stando più diritti che potete; 4) sforzatevi di fare un passo più ampio; 5) fate un passo portando il piede più in alto, come in uno stile di marcia; sollevate l'alluce ed appoggiate prima il tallone ; 6) scivolate sulla punta del piede e delle dita; 7) ripetete questo movimento con l'altro piede; 8) fate oscillare il braccio posto in avanti quando fate un passo, questo migliora il ritmo della marcia ed il vostro aspetto. I bastoni e i girelli non sono sempre utili. Alcuni pazienti trovano che sono d'impaccio e sono difficili da coordinare. I girelli, inoltre possono favorire la postura flessa. GIRARSI: quando volete girarvi non fate perno su un piede incrociando le gambe. Girate sempre andando in avanti, camminando mentre girate. Camminando fate un semicerchio con i piedi tenuti separati. 62 FREEZING: il freezing spesso si manifesta quando il paziente si avvicina a degli spazi stretti: quando si trovano in una posizione di freezing, i pazienti sono di solito in una postura flessa, con le ginocchia piegate e i talloni sollevati dal suolo. Più il paziente cerca di muoversi, più perde l'equilibrio. Per ridurre il freezing: 1. non fate nessun passo; 2. poggiate i talloni a terra; 3. raddrizzate le ginocchia, le anche e il tronco, non sporgetevi indietro; 4. oscillate leggermente da lato a lato; 5. iniziate a fare i passi in avanti poggiando a terra prima il tallone o provate a marciare sollevando anche le ginocchia; 6. tenete i piedi separati di circa 20 centimetri e correggete la vostra postura. SCENDERE DAL LETTO: i pazienti spesso hanno delle difficoltà a scendere dal letto al mattino a causa di una maggiore rigidità. Poiché tipicamente la risposta migliore alla L-DOPA si ha dopo la prima dose del mattino, in alcuni casi è opportuno farsi portare a letto la prima dose di L-DOPA con una tazza di tè. Ciò risolve la difficoltà ad alzarsi dal letto al mattino nella maggior parte dei pazienti. Altrimenti quando siete pronti ad uscire dal letto stendetevi sul fianco lungo il bordo del letto, fate cadere giù le gambe mentre vi spingete dall'altro lato con i gomiti e con la mano. ALZARSI DA UNA SUPERFICIE BASSA: i pazienti hanno dei problemi ad alzarsi da una superficie bassa come una poltrona. Per alzarvi portate il bacino vicino al bordo della poltrona. Tenete i piedi separati almeno di 20 centimetri, uno più avanti dell’altro all'altro. Oscillate con il tronco velocemente in avanti ed indietro per tre volte. Alla terza volta portate in avanti le spalle proprio oltre le vostre ginocchia e spingete in basso con le mani e raddrizzatevi. 63 Interferenza del doppio compito (dual task) nel paziente parkinsoniano Durante molte attività della vita quotidiana, le persone hanno la necessità di eseguire più di un compito alla volta. La capacità di eseguire un doppio compito (dual task performance) è molto vantaggiosa durante il cammino, perché consente ad esempio, di parlare con le altre persone, di portare un oggetto da un luogo ad un altro, e ci consente ti tenere sotto controllo l’ambiente esterno, così che gli ostacoli che minacciano il nostro equilibrio possano essere evitati. L’esecuzione di un dual task è nota anche come “cuncurrent performance” e comporta l’esecuzione di un compito primario (es. cammino) quale focus primario d’attenzione, e di un compito secondario eseguito allo stesso tempo. Nella malattia di Parkinson i disturbi del cammino sono caratterizzati da una riduzione dell’ampiezza e della velocità del passo, da una riduzione della frequenza, e in alcuni casi da festinazione e freezing. Nei soggetti con malattia di Parkinson comunque, il deficit primario del cammino è descritto come una incapacità di generare movimenti sufficientemente ampi. In questi pazienti i disturbi del passo sono incrementati durante l’esecuzione di un secondo compito motorio (Camicioli e coll. 1998); l’importanza del deterioramento del passo si pensa sia proporzionale alla complessità del compito motorio che stiamo eseguendo (Morris e coll. 1996, Bond e coll. 2000). Nelle persone con malattia di Parkinson l’interferenza del doppio compito è un problema particolarmente evidente in quanto si ha una perturbazione delle funzioni motorie dei gangli della base (Iansek e coll. 1995). I gangli della base svolgono il ruolo più importante nel controllo dell’apprendimento delle sequenze motorie ripetitive, attraverso gli output verso l’area motoria supplementare e la regione motoria del tronco cerebrale (Iansek e coll. 1995). Nelle prime fasi d’acquisizione delle abilità motorie, le regioni corticali dell’encefalo esercitano il ruolo più importante nella regolazione del movimento. Quando poi, i movimenti vengono acquisiti e diventano automatici si pensa siano controllati dai gangli della base (Seitz e Roland 1992). 64 Quando un movimento è controllato da gangli della base, una persona, in teoria, è in grado di direzionare l’attenzione per un nuovo o più impegnativo compito attenzionale attraverso l’uso delle regioni corticali frontali. Nelle persone con malattia di Parkinson i normali schemi di movimento possono essere generati quando l’attenzione è focalizzata sulla prestazione; l’attenzione si pensa porti ad un aggiramento dei gangli della base e ad un uso delle regioni corticali (Morris e coll. 1996, Behrman e coll.1998). In situazioni di dual task, le risorse corticali sono impegnate nel mantenimento dell’esecuzione del secondo compito, lasciando la regolazione della performance dell’altro compito automatico al circuito difettoso dei gangli della base. Talland e Schwab hanno condotto degli studi su persone con e senza malattia di Parkinson durante l’esecuzione di compiti che richiedevano di premere un contatore con una mano mentre trasferivano delle piccole palline con l’altra mano. Questi valutarono anche la sequenza di queste azioni. Sebbene entrambi i gruppi mostrarono una riduzione della velocità di movimento nella condizione di doppio compito, quelli con malattia di Parkinson mostrarono un decremento maggiore della performance. O’ Shea e Morris nel 2005 hanno studiato 15 soggetti con MP e 15 soggetti sani di pari età che camminavano: 1) alla loro velocità, 2) eseguendo simultaneamente un compito motorio, che consisteva nel trasferire delle monete da un borsellino dal lato dominante, ad un altro borsellino, posto sull'altro lato anteriormente a livello dell'anca, 3) eseguendo un compito cognitivo, ovvero contare , con le dita , all'indietro per tre, da un numero estratto in modo random, compreso tra 125 e 250. I soggetti anziani sani, mostrarono un’ interferenza del dual task durante il cammino, con riduzione dei parametri registrati (velocità, lunghezza del passo, cadenza). I soggetti con MP mostrarono una riduzione nella velocità del cammino e della lunghezza del passo, significativamente maggiore rispetto ai sani. Come abbiamo visto, l’esecuzione simultanea di due compiti, con un dual task sia motorio che cognitivo, compromettevano il cammino negli individui con MP, ma secondo questi autori, il tipo di compito secondario non era determinante rispetto alla severità di interferenza del dual task. 65 Rodriguez, Muniz, e al. nel 2004 studiarono l'influenza di un compito concorrente, e dell'immaginare il movimento, sull'attivazione dell'area motoria primaria. Lo scopo del loro lavoro fu di studiare la rilevanza della corteccia motoria primaria (C1) per funzioni motorie diverse dalla semplice esecuzione di ordini motori. Furono inseriti nello studio 10 soggetti volontari sani, di età compresa tra i 25 ed i 45 anni. Con la risonanza magnetica funzionale (RMF) fu studiata l’ attivazione di C1, e delle altre aree cerebrali, durante l’esecuzione di: 1) un semplice compito motorio (movimento di flessione fasica del dito indice della mano destra, senza direzionare l'attenzione); 2) un compito di tenuta in flessione del dito indice della mano destra (contrazione tonica) contro la resistenza di un elastico; 3) un movimento fasico del dito indice associato ad un compito cognitivo concorrente, che consisteva nel contare indietro di due da 500; 4) un compito che richiedeva di immaginare un movimento fasico di flessione del dito indice, senza eseguirlo. I risultati hanno mostrato che i movimenti del dito indice attivavano aree della corteccia sensitiva primaria e dell'area motoria primaria della mano, inoltre l'attivazione di questa zona era maggiore durante il movimento di contrazione tonica del dito indice. Durante la condizione del movimento associato ad un compito concorrente di calcolo, l'attivazione dell'area motoria primaria si riduceva circa del 40%, con attivazione per il restante 60% di altre zone dell’area sensitivo-motoria della mano. Quando il movimento era soltanto immaginato, risultava un marcato aumento dell'attivazione sia dell'area motoria, che sensitiva primaria. Questo lavoro conferma che l'attenzione induce una riconfigurazione funzionale dell'attivazione di C1, ed inoltre attiva altre aree cerebrali oltre che la corteccia motoria primaria. L'esecuzione di più compiti contemporaneamente (dual task interference) , modifica il cammino anche nei soggetti sani, sia giovani, che anziani, anche se in modo più consistente negli anziani (Mailor e Wing 1996, Melzer e al. 2001), oltre che nei soggetti con MP. Le ragioni per l’interferenza del dual task sembrano basarsi sul fatto che i vari compiti richiedono l’uso di più forme di processi cognitivi, e, quando sono eseguiti insieme, risultano presenti meno risorse per eseguire entrambi al meglio (Kahneman 1973). Quali compiti determinino interferenza dipende dall’individuo, dai compiti eseguiti e dalla priorità del compito. 66 In un suo studio Baker nel 2007 affermò che gli stimoli provenienti dal mondo esterno hanno dei risultati positivi sul cammino dei soggetti con malattia di Parkinson, in quanto si ritiene che aggirino il sistema difettoso dei gangli della base, utilizzando dei percorsi alternativi inalterati migliorando le prestazioni motorie (Rubinstein e al. 2002). Le sollecitazioni provenienti dall’esterno forniscono degli stimoli spaziali e temporali, facilitando l’attività motoria, e portano ad un miglioramento dei singoli parametri del passo, come frequenza e lunghezza (Nieuwboer e coll. 2006); questi possono essere espressi utilizzando diverse modalità (stimolazioni uditive, visive, somatosensoriali). In questo studio Baker e coll. confrontarono l’effetto tra stimolazioni uditive ritmiche, attentive, e la combinazione di queste sul cammino in persone con MP, durante singolo e doppio compito. Furono esaminate 15 persone con MP idiopatica e un gruppo di controllo formato da 12 persone sane. Furono confrontate tre stimolazioni: uno stimolo uditivo ritmico (camminare a tempo di un metronomo), strategie attentive (attenzione a fare passi lunghi), e la combinazione di queste (camminare a tempo del metronomo facendo attenzione a compiere passi lunghi). Ne risultò che la velocità del passo nei soggetti con MP è aumentata significativamente con le strategie attentive e combinate, rispetto alla condizione nella quale non erano forniti nessuno stimolo, sia nella condizione di singolo compito che in quella di doppio. Anche l’ampiezza del passo è aumentava significativamente con le strategie attentive e combinate durante il singolo e il doppio compito. La frequenza del passo era ridotta significativamente con le strategie attentive durante il singolo e il doppio compito e con le strategie combinate durante il doppio compito. Solo le strategie uditive non hanno alterato significativamente nessun parametro del passo durante le condizioni di singolo e di doppio compito. Baker concluse affermando che le strategie attentive e la combinazione di stimoli uditivi ritmici con strategie attentive erano ugualmente efficaci, e aumentavano significativamente la velocità e l’ampiezza del passo sia durante il singolo che il doppio compito. 67 Galletly e colleghi nel 2005 studiarono 16 soggetti con MP, con un'età media di 65 anni, li confrontarono con 16 soggetti sani, simili per sesso ed età. I compiti richiesti, in modo concorrente al cammino, erano: 1) di calcolo (contare all'indietro di tre), 2) linguistico (trovare parole che iniziavano con una specifica lettera), 3) motorio (pigiare un bottone con la mano preferita). I soggetti erano istruiti a concentrarsi sia sul cammino che sul compito aggiuntivo allo stesso tempo. I parkinsoniani avevano come stimolo facilitante visivo delle strisce bianche in terra, regolate sulla loro lunghezza del passo. Ne è risultato che il compito motorio aveva la maggior quantità di risposte corrette, mentre il compito linguistico aveva il maggior numero di risposte sbagliate, inoltre gli stimoli visivi risultarono efficaci nel normalizzare la lunghezza del passo durante l'esecuzione dei compiti concorrenti aggiuntivi, infatti quando stimoli visivi con strisce di carta furono aggiunti ai compiti concorrenti, non si osservò un deterioramento nella velocità del cammino, nella lunghezza del passo e nella cadenza delle persone con MP. Il meccanismo per cui gli stimoli visivi siano capaci di migliorare il cammino nei soggetti con MP non è stato bene determinato. Per spiegare questo effetto Morris e coll. nel 1996 ipotizzarono due possibili meccanismi: (1) che gli stimoli visivi focalizzino l'attenzione delle persone sul compito cammino, by-passando il sistema degli stimoli automatici interni, legati all'integrazione del circuito dei gangli della base e dell'area motoria supplementare, che risulta deficitario nei soggetti con MP; (2) che gli stimoli visivi incoraggino la formazione di un miglior set motorio nell'area supplementare motoria, determinando una performance motoria migliore in uscita. I risultati dello studio di Galletly e coll. del 2005 sembrano supportare la teoria del set motorio. Questi risultati forniscono l'evidenza che gli stimoli visivi rimangano efficaci nell'aumentare la lunghezza del passo, durante l'esecuzione di dual task di varia complessità. Le strategie attenzionali, come ad esempio istruzioni a camminare a passi lunghi, offrono delle sollecitazioni esterne alternative; queste dipendono molto dai meccanismi cognitivi legati al controllo motorio (Morris e al. 1996, Behrman e al. 1998, Weriuer e al. 2003). Le strategie visive e attenzionali sembra abbiano degli ottimi effetti sull’ampiezza e sulla velocità del passo, rispetto agli stimoli uditivi ritmici, in condizioni di singolo compito. 68 Canning e coll. nel 2005, durante uno studio, trovarono che le strategie attenzionali si erano rivelate efficaci, durante l’esecuzione di un dual task, quando i soggetti ricevevano esplicite istruzioni sul direzionare l’attenzione nel cammino. Bond e Morris nel 2000 hanno esaminato l’interferenza del dual task facendo trasportare un vassoio come secondo compito. Sia le persone con malattia di Parkinson che quelle del gruppo di controllo hanno camminato sotto 3 condizioni lungo un corridoio di 10 metri: 1) Camminare liberamente; 2) Camminare trasportando un vassoio vuoto; 3) Camminare trasportando un vassoio con 4 lunghi bicchieri vuoti. Nei soggetti senza malattia di Parkinson non fu notato nessun deterioramento del cammino in tutte e tre le condizioni. Al contrario, il gruppo di soggetti con malattia di Parkinson mostrò una mediocre riduzione della lunghezza del passo di 0,13 cm e una mediocre riduzione della velocità del passo di 7,56 m/min quando si passava dal cammino libero al cammino portando il vassoio con i bichieri. Analogamente Canning nel 2004, studiò gli effetti del variare l'attenzione al compito, durante il cammino con un dual task nei parkinsoniani. Questo studio fu eseguito su 12 soggetti con MP idiopatica e con non fluttuante risposta alla Ldopa. I soggetti erano 9 uomini e 3 donne, con età media di 65 anni, con un tempo medio dalla diagnosi di MP di sette anni, capaci di camminare per 120 m senza assistenza, senza significativi danni cognitivi, testati nella fase “on “ del farmaco. Gli individui erano registrati quando camminavano alla loro velocità confortevole in due condizioni di base: 1)camminare con le mani libere senza specifiche istruzioni; 2) camminare portando un vassoio contenente 4 bicchieri di plastica vuoti senza specifiche istruzioni. Le condizioni sperimentali erano: 3) camminare portando il vassoio di bicchieri, con istruzioni di stare attenti a camminare con passi lunghi; 4) camminare portando il vassoio con i bicchieri, con istruzioni di stare attenti a mantenere in equilibrio il vassoio con i bicchieri. Le condizioni di base erano testate per prime, le condizioni sperimentali in modo randomizzato. Erano eseguite tre serie per ogni condizione, e l'analisi statistica venne fatta sulla terza serie. Un computer registrava la velocità, la lunghezza del passo, la cadenza. Furono registrati gli errori (caduta del vassoio e/o dei bicchieri) durante le serie sperimentali, e con delle V.A.S. fu rilevata la quantità di attenzione al compito. I risultati dimostrarono che le due condizioni di base erano 69 comparabili con quanto riportato nei precedenti lavori sul cammino nel MP. Quando il cammino era eseguito portando un vassoio con dei bicchieri, la performance del cammino si deteriorava quando i soggetti non ricevevano istruzioni specifiche, oltre a quelle di camminare del loro modo confortevole, invece quando erano istruiti a dirigere l'attenzione verso il cammino, mentre portavano un vassoio con bicchieri, i soggetti camminavano più velocemente (p=0,003) e con passi più lunghi (p<0,001). Il miglioramento ottenuto era confrontabile con la situazione in cui i soggetti camminavano in modo confortevole alla loro velocità, senza un significativo decremento della performance del compito concorrente. Questi risultati suggeriscono che l'abilità del cammino nelle condizioni di dual task può essere migliorata manipolando l'attenzione, cioè richiedendo ai parkinsoniani di stare attenti al cammino, anche quando eseguono un altro compito in modo concorrente. Questi risultati sono coerenti con altri studi. 70 Il mio studio Scopo dello studio Lo scopo di questo studio è quello di stabilire quali sono gli effetti dell’usare istruzioni che dirigono l’attenzione sull’attività del cammino in condizioni di dual task, in soggetti con malattia di Parkinson, e di valutare se tali variazioni possono essere osservate anche attraverso strumenti di natura clinica come le scale di valutazione. Questo studio si svolge in maniera analoga agli studi eseguiti da Morris nel 2000, da Canning nel 2005, Baker nel 2007; a questo riguardo è giusto fare una premessa: tutti gli studi che possiamo trovare il letteratura, sono stati realizzati utilizzando sistemi informatici e tecnologie per la misurazione e l’elaborazione dei singoli parametri del passo, dei quali noi non possiamo disporre. Pertanto il nostro studio e i risultati da noi ottenuti non possono essere paragonati agli esiti degli studi ottenuti da tali autori. Nel nostro caso quindi, per la valutazione dei soggetti abbiamo utilizzato delle scale di valutazione diffuse e normalmente impiegate per la valutazione del cammino di pazienti con malattia di Parkinson e non. Ai soggetti veniva chiesto di eseguire un doppio compito che consisteva nel camminare e di trasportare un vassoio con 4 lunghi bicchieri di carta allo stesso tempo. Questo veniva fatto dapprima focalizzando l’attenzione sul vassoio e sui bicchieri, successivamente focalizzando l’attenzione sul cammino. In base ai precedenti studi pubblicati in letteratura, ipotizziamo che l’abilità del cammino dovrebbe peggiorare quando l’attenzione viene diretta verso il vassoio con i bicchieri, ed invece migliorare quando questa viene diretta verso il cammino. 71 Materiale e metodi Soggetti Lo studio è stato rivolto ad una popolazione di 16 soggetti affetti da malattia di Parkinson, facenti parte dell’Associazione Parkinson di Arezzo, che svolge le proprie attività presso la palestra della scuola media IV Novembre, in via F. Rismondo n4, Arezzo. I criteri d’inclusione furono: • diagnosi di malattia di Parkinson idiopatica; • capacità di camminare per circa 150 metri senza assistenza. • punteggio al Mini Mental State Examination (Folstein e al.,1975), superiore a 24/30, questo in quanto il compito sperimentale richiesto è di tipo attenzionale ed è quindi necessario escludere importanti deficit di tipo cognitivo. I criteri d’esclusione furono: • la presenza di altre patologie di tipo neurologico, cardiovascolare o muscolo-scheletrico, o di deficit di vista, di gravità tale da, in qualche modo, interferire con il cammino; Il loro danno motorio è stato valutato attraverso la “Scheda di valutazione riabilitativa nel Parkinson della ASF modificata”, la seconda parte della scala Tinetti, relativa all’andatura e il walking test di 2minuti. Gli ultimi due sono stati utilizzati anche per valutare le procedure sperimentali (vedi dopo condizione A). Mentre l’indice di gravità della malattia, di “Hohen e Yahr”, purtroppo, non è stato possibile recuperarlo. Comunque, anche se l’assegnazione del punteggio dell’indice di Hohen e Yahr è di competenza strettamente medica, in base alle nostre osservazioni e valutazioni possiamo affermare che tutti i soggetti presi da noi in considerazione possano rientrare entro lo stadio 1°e 2°. 72 Infine per escludere eventuali deficit cognitivi venne somministrata la “Mini Mental State Esamination”(MMSE), Folstein 1975. Dalla popolazione totale di 16 individui, vennero esclusi 6 pazienti, di cui 4 frequentavano la struttura i modo molto sporadico e quindi non è stato possibile somministrare i test, e 2 in quanto ottennero un punteggio alla MMSE <24/30; quest’ultimi inoltre erano affetti da altre patologie importanti che influivano pesantemente sull’esito dei test: il primo era affetto da malattia di Alzheimer, il secondo presentava una forma di Parkinson secondaria a trauma cranico. I 10 soggetti presi in considerazione (3 maschi e 7 femmine) avevano un età compresa tra i 53 e i 77 anni (età media 68,8 ; DS ±7,42) ed erano ammalati mediamente da 8,3 anni con DS ±4,67. I soggetti non presentavano nessun significativo danno cognitivo infatti il valore medio riportato al MMSE (0-30) fu di 27,1 con DS ±1,79. Tutti i soggetti inoltre, sono stati informati sulle finalità dello studio, e su che cosa veniva chiesto loro, garantendo il totale anonimato dei dati riportati, ed ognuno ha firmato una scheda per il consenso informato prima di iniziare la raccolta dei dati. 73 I dati raccolti sono sintetizzati nella seguente tabella: Tabella 2. Soggetti Età Sesso Scala ASF (0-122) MMSE (0-30) Tinetti(c.A) (0-12) 2MWT(c.A) (metri) Durata MP (anni) 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 62 75 66 75 69 77 70 53 75 66 M F F F F F F M M F 120 113 100 112 119 111 74 120 89 114 25 27 30 26 26 28 27 25 27 30 12 12 11 11 11 11 11 12 10 12 157 155 88 121 111 112 90 219 120 150 3 15 12 5 10 3 10 2 10 13 Media DS 68,8 7,42 107,2 15,16 27,1 1,79 11,3 0,67 132,3 39,23 8,3 4,67 Scala ASF: Scheda di valutazione riabilitativa nel Parkinson della ASF modificata; MMSE: Mini Mental State Esamination; 2MWT: Walking test di 2 minuti; (c.A): stesso parametro utilizzato successivamente per la condizione di base A. 74 Materiale Per la valutazione dei parametri del passo abbiamo utilizzato la seconda parte della scala Tinetti, dedicata all’analisi dell’andatura. Tale scala prende in considerazione più items: lunghezza ed altezza del passo, esitazione iniziale, simmetria del passo, traiettoria, continuità del passo, distanza tra i talloni e oscillazione del tronco. Riportiamo la scala qui di seguito. Tinetti, 1986 B) ANDATURA (modificata) Inizio della deambulazione (immediatamente dopo il via) - una certa esitazione 0 - nessuna esitazione 1 Lunghezza ed altezza del passo -A. piede dx - durante il passo il piede dx non supera il sx 0 - il piede dx supera il sx 1 - il piede dx non si alza completamente dal pavimento 0 - il piede dx si alza completamente dal pavimento 1 -B. piede sx - durante il passo il piede sx non supera il dx 0 - il piede sx supera il dx 1 - il piede sx non si alza completamente dal pavimento 0 - il piede sx si alza completamente dal pavimento 1 Simmetria del passo - Il passo dx e sx non sembrano uguali 0 - il passo dx e sx sembrano uguali 1 Continuità del passo - continuo 1 - discontinuo 0 75 Traiettoria - marcata deviazione 0 - lieve o moderata deviazione 1 - assenza di deviazione 2 Tronco - marcata oscillazione 0 - nessuna oscillazione, ma flessione delle ginocchia, della schiena o allargamento delle braccia durante il cammino 1 - nessuna oscillazione, flessione, uso delle braccia 2 Cammino - i talloni sono separati 0 - i talloni quasi si toccano Punteggio B)_______/12 Oltre alla Tinetti ad ogni paziente è stato somministrato un walking test di 2 minuti (2MWT), molto diffuso tra le valutazioni del cammino nei pazienti Parkinsoniani. Il test consiste nel far camminare il soggetto per due minuti in una superficie piana e di riportare la distanza coperta dal paziente in tale intervallo di tempo. 76 Procedura La condizione di base era: A) Camminare con le mani libere senza specifiche istruzioni, al proprio passo abituale, nella maniera più confortevole. Le condizioni sperimentali erano: B) Camminare portando un vassoio (39x28 cm, 1 kg) con 4 bicchieri di carta, alti 17 cm (con Ø alla base di 6 cm e Ø all’apice di 9cm), con istruzioni a stare attenti a mantenere in equilibrio il vassoio con i bicchieri, quindi di prestare attenzione soltanto al vassoio (dual/walk); C) Camminare portando il vassoio con i bicchieri con istruzioni di stare attenti a camminare con passi lunghi, quindi di prestare attenzione soltanto al cammino (dual/tray). I soggetti venivano fatti camminare in un corridoio di 10m di lunghezza e 3 metri circa di larghezza; questi percorrevano 40m per ogni condizione, per un totale di 120m circa. Le condizioni poi erano ripetute anche durante il walking test di 2 minuti. 77 Risultati Sintesi dei dati ottenuti con scala Tinetti: Tabella 3. Soggetti 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Media DS Condizione di base A Condizione sperimentale B Condizione sperimentale C 12 / 12 12 / 12 11 / 12 11 / 12 11 / 12 11 / 12 11 / 12 12 / 12 10 / 12 12 / 12 11 / 12 8 / 12 8 / 12 7 / 12 8 / 12 8 / 12 7 / 12 11 / 12 9 / 12 11 / 12 12 / 12 11 / 12 9 / 12 11 / 12 10 / 12 11 / 12 10 / 12 12 / 12 10 / 12 12 / 12 11,3 0,67 8,8 1,62 10,8 1,03 Sintesi dei dati ottenuti con 2MWT: Tabella 4. Soggetti 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Media DS Condizione di base A (metri) Condizione sperimentale C (metri) 157 155 88 121 111 112 90 219 120 150 120 120 75 118 107 105 75 111 105 110 155 130 80 120 109 105 83 138 113 143 132,3 39,23 104,6 16,61 117,6 24,69 78 Condizione sperimentale B (metri) La maggior parte delle prove sperimentali furono eseguite con successo per quanto riguarda mantenere i bicchieri in equilibrio sul vassoio. Soltanto un soggetto, infatti, fece cadere un bicchiere durante la condizione sperimentale C (dual/tray). Confrontando i risultati ottenuti nelle prove di base con quelli ottenuti nelle prove sperimentali, possiamo affermare che le performance del cammino si è modificata in modo significativo, in quanto: Nella condizione di base (A) i soggetti avevano ottenuto con la scala di valutazione “Tinetti” un punteggio medio di 11.3/12; mentre al 2MWT, i soggetti hanno percorso una distanza media di 132,3 metri. Nella condizione sperimentale (B) abbiamo osservato un punteggio medio di 8,8/12 alla scala “Tinetti”, quindi una riduzione del 22,12% (vedi grafico 1); mentre al 2MWT i soggetti hanno percorso una distanza media di 104,6 metri, quindi una riduzione media del 20,94%, ovvero, mediamente, i soggetti hanno percorso 27,7 metri in meno rispetto alla condizione di base (vedi grafico 2). Nella condizione sperimentale (C) alla “Tinetti”, i soggetti hanno ottenuto un punteggio medio di 10,8/12 quindi si è registrata una riduzione del 4,42% rispetto alla condizione di base A (in cui si richiedeva di camminare senza specifiche istruzioni), ma un aumento del 18,52% rispetto alla condizione sperimentale B (nella quale si richiedeva di focalizzare l’attenzione al mantenere in equilibrio i bicchieri). Al 2MWT i soggetti hanno percorso mediamente una distanza di 117,6 metri ovvero hanno percorso in media 14,7 metri (11,11%) in meno rispetto alla condizione di base A; ma hanno percorso mediamente 13 metri (11,05%) in più rispetto alla condizione sperimentale B, (vedi grafici 1 e 2). 79 (grafico 1). Condizione base A Condizione sperimentale B Condizione sperimentale C (grafico 2). 80 Nella condizione sperimentale B, nella quale si richiedeva di focalizzare l’attenzione a mantenere in equilibrio i bicchieri sul vassoio, in tutti i soggetti abbiamo osservato una riduzione della lunghezza, dell’altezza e della velocità del passo (anche se, non tutti, mostravano una riduzione tale da poter essere segnalata nella scala di valutazione), infatti 3 soggetti su 10 mostravano una riduzione della lunghezza del passo tale che uno dei due piedi non superasse l’altro; 5 soggetti su 10, invece, non riuscivano a sollevare completamente uno dei due piedi da terra, mentre una lieve esitazione all’inizio della deambulazione che si è verificata in 3 soggetti su 10. La traiettoria del cammino, invece, si è modificata in 6 soggetti su 10, 2 dei quali in modo marcato e 4 in maniera lieve. Anche nella condizione sperimentale C, nella quale si chiedeva di focalizzare l’attenzione sul cammino, abbiamo osservato una riduzione della lunghezza, dell’altezza e della velocità del passo, ma in forma nettamente minore rispetto a quella che abbiamo osservato nella condizione sperimentale B. Nella condizione C, infatti, nessun soggetto ha mostrato una riduzione della lunghezza del passo tale che uno dei due piedi non superasse l’altro, e tutti i soggetti tranne 1, riuscivano a sollevare completamente entrambi i piedi; 2 soggetti su 10 hanno mostrato una lieve esitazione all’inizio della deambulazione, mentre 4 pazienti su 10 hanno mostrato una deviazione della traiettoria del cammino, ma nessuno di questi in maniera marcata. 81 Conclusione La validità di questo lavoro, come abbiamo già affermato in precedenza, è parziale, non è comparabile quindi alla validità degli studi della letteratura internazionale, in quanto non è stato possibile utilizzare apparecchiature computerizzate per la misurazione e l’elaborazione dei singoli parametri del passo, ne eseguire un’elaborazione statistica dei dati ottenuti. Rimane però importante, sia per la presentazione di recentissimi studi della letteratura, sia perché i risultati che siamo riusciti ad ottenere confermano quanto detto dalla letteratura internazionale. Con questo piccolo studio che siamo riusciti a realizzare, vogliamo confermare che il cammino in condizioni di dual task può essere influenzato dal direzionare l'attenzione. L'abilità del cammino aumenta quando i soggetti con MP sono attenti al cammino, rispetto a quando direzionano l'attenzione al compito concorrente. Inoltre quando l'attenzione era diretta verso il camminare, l'abilità del cammino in condizioni di dual task migliorava ad un livello comparabile con la condizione di cammino soltanto. Questo risultato è ottenuto senza un significativo decremento del compito concorrente eseguito con gli arti superiori, in quanto nella maggior parte dei trial, i bicchieri rimangono in piedi sul vassoio. Le differenze nell’abilità del cammino quando i soggetti stavano attenti a camminare con passi lunghi, in confronto a quando non venivano date specifiche istruzioni, suggerisce che, in certe circostanze, il compito concorrente assorbe una quantità eccessiva di attenzione, che può essere di nuovo ricondotta verso l'importante compito funzionale del cammino, anche in una condizione così difficile per il soggetto con MP come quella del doppio compito. Questo studio può fornire utili indicazioni per il trattamento dei soggetti affetti da lieve e moderata malattia di Parkinson. Se infatti l'abilità del cammino in condizioni di dual task è influenzabile dall'attenzione, possono essere elaborate, ed insegnate al soggetto, adeguate strategie per aumentare l'abilità nei compiti funzionali della vita di tutti giorni, direzionando l'attenzione, in caso di doppio compito, su quello che crea maggiori difficoltà. 82 Bibliografia 1. O’Shea S, Morris ME, Iansek R. 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ALLEGATI 88 The effect of directing attention during walking under dual-task condition in Parkinson’s disease [19] Colleen G. Canning Scopo dello studio: lo scopo di questo studio era di indagare sugli effetti che comporta il focalizzare l’attenzione sulla performance del cammino in condizioni di dual task, in persone con MP. Soggetti: 12 persone con lieve o moderata MP, testati nella fase “on” di efficacia del farmaco. Materiali e Metodi: i soggetti camminavano alla loro velocità sotto due condizioni di base: (i) camminare con le mani libere senza nessuna specifiche istruzioni e (ii) camminare portando un vassoio con dei bicchieri senza specifiche istruzioni; e due condizioni sperimentali: (i) camminare portando il vassoio con i bicchieri con istruzioni di direzionare l’attenzione sul cammino e (ii) camminare portando il vassoio con i bicchieri con istruzioni di direzionare l’attenzione sul vassoio. Risultati: quando i soggetti ricevevano istruzioni di direzionare l’attenzione sul cammino mentre portavano il vassoio questi camminavano velocemente (P=0,003) e con passi lunghi (P<0,001) rispetto a quando non ricevevano specifiche istruzioni. Questo miglioramento del cammino era ottenuto senza un significativo decremento del compito concorrente di portare il vassoio con i bicchieri. Il miglioramento era comparabile a quanto ottenuto quando i soggetti camminavano con le mani libere. Conclusione: questo suggerisce che specifiche istruzioni possono essere utilizzate per manipolare l’attenzione e quindi per migliorare la prestazione dei doppi compiti della vita quotidiana, in persone con lieve o moderata MP. Dual Task Interference During Gait in People With Parkinson Disease: Effect of Motor Versus Cognitive Secondary Tasks [1] Simone O’Shea, Meg E Morris, and Robert Iansek 89 Scopo dello studio: esacerbazione dei disordini del movimento durante l’esecuzione di 2 compiti (dual task performance); aspetto caratteristico dei malati di Parkinson. Lo scopo di questo studio era quello di identificare quale tipo di compito secondario (motorio o cognitivo) determinasse la maggiore interferenza. Soggetti e metodi: 15 persone con MP e un gruppo di controllo di 15 persone senza MP; questi due gruppi venivano fatti camminare: 1) alla loro velocità preferita; 2) mentre simultaneamente eseguivano un compito motorio (trasferire monete da una tasca all’altra); 3) mentre simultaneamente eseguivano un compito cognitivo (sottrarre delle cifre). Velocità, lunghezza, cadenza e percentuale del ciclo del passo in doppio appoggio (DS) erano esaminate tramite un sistema computerizzato di analisi del passo. Risultati: quando non avevano il secondo compito, la lunghezza media del passo era minore nel gruppo di soggetti con MP (1,29 m) rispetto al gruppo di controllo (1,51 m), la velocità media del passo era minore nel gruppo di soggetti con MP (71,47 m/min) rispetto al gruppo di controllo (87,29 m/min). La cadenza media era inferiore nel gruppo di soggetti con MP (110,79 passi/min) rispetto al gruppo di controllo (115,81 passi/min). La percentuale del ciclo del passo in DS era maggiore nel gruppo di soggetti con MP (33,38 %) rispetto al gruppo di controllo (31,21 %). Entrambi i gruppi mostravano una riduzione della velocità e della lunghezza del passo quando dovevano passare dal singolo compito al doppio compito, con un aumento della % in DS. Anche nel gruppo con MP la cadenza era diminuita. Per entrambi i gruppi, il tipo di compito secondario ha un effetto trascurabile nel decremento della performance. Discussione e Conclusione: sebbene eseguire simultaneamente un compito motorio o cognitivo comprometteva il passo nelle persone con MP, il tipo di secondo compito non era un elemento determinante per la severità dell’interferenza. The effects of cues in gait variability-Reducing the attentional cost of walking in people with Parkinson’s disease [25] Katherine Baker, Lynn Rochester, Alice Nieuwboer 90 Scopo dello studio: Lo scopo di questo studio era quello di indagare il costo attenzionale di tre strategie di stimolazione, esaminando il loro effetto sulla variazione del passo. Soggetti: 14 persone con MP e 12 soggetti facenti perte del gruppo di controllo. Metodi: i soggetti venivano testati durante queste condizioni: 1) camminare al proprio passo; 2) camminare tenendo il passo al ritmo di un metronomo; 3) camminare facendo attenzione di farlo con passi lunghi; 4) condizione 2 + condizione 3; 5) camminare senza stimoli subito dopo alle prove con gli stimoli. Risultati: la variabilità del passo dei soggetti con MP tende a ridursi con tutti gli stimoli, ma la riduzione più consistente si è osservate con la combinazione delle strategie attenzionali e uditive. Conclusione: la riduzione della variabilità del passo nei soggetti con MP attraverso stimoli esterni, suggerisce che questi possono ridurre il costo attenzionale del cammino. The Immediate Effect of Attentional, Auditory, and Combined Cue Strategies on Gait During Single and Dual Task in Parkinson’s Disease [26] Katherine Baker, Lynn Rochester, Alice Nieuwboer 91 Scopo dello studio: confrontare l’effetto tra stimolazioni uditive ritmiche, attentive, e la combinazione di queste sul cammino in persone con MP, durante singolo e doppio compito. Soggetti: 15 persone con MP idiopatica e un gruppo di confronto formato da 12 persone sane. Metodi: sono state confrontate tre stimolazioni: uno stimolo uditivo ritmico (camminare a tempo di un metronomo), strategie attentive (attenzione a fare passi lunghi), e la combinazione di queste (camminare a tempo del metronomo facendo attenzione a compiere passi lunghi). Risultati: la velocità del passo nei soggetti con MP è aumentata significativamente con le strategie attentive e combinate, rispetto alla condizione nella quale non erano forniti nessuno stimolo, sia nella condizione di singolo compito che in quella di doppio. Anche l’ampiezza del passo è aumentata significativamente con le strategie attentive e combinate durante il singolo e il doppio compito. La frequenza del passo era ridotta significativamente con le strategie attentive durante il singolo e il doppio compito e con le strategie combinate durante il doppio compito. Solo le strategie uditive non hanno alterato significativamente nessun parametro del passo durante le condizioni di singolo e di doppio compito. Conclusione: le strategie attentive e la combinazione di stimoli uditivi ritmici con strategie attentive erano ugualmente efficaci, e aumentavano significativamente la velocità e l’ampiezza del passo sia durante il singolo che il doppio compito. La combinazione degli stimoli comunque può essere utilizzata come alternativa in situazioni in cui si ha una maggiore richiesta d’attenzione. Dual tasking, gait rhythmicity, and Parkinson’s disease: which aspects of gait are attention demanding? [27] Galit Yogev, Nir Giladi, Chava Peretz, Shmuel Springer, Ely S Simon, Jeffrey M. Hausdorff 92 Scopo dello studio: per comprendere meglio il controllo motorio del passo e la relazione di questo con le funzioni cognitive, abbiamo studiato le funzioni cognitive e gli effetti di differenti tipi di dual task nel cammino di soggetti con MP e in quello dei soggetti del gruppo di controllo. Soggetti: 30 pazienti con MP idiopatica (età media=71,8 anni) e con moderato grado di severità (Hoehn & Yahr 2-3); un gruppo si controllo di 28 soggetti sani. Memoria e funzioni esecutive sono state valutate in precedenza. Metodi: Gli effetti del dual task sul cammino erano esaminati in quattro condizioni: 1) base, ovvero cammino usuale, senza compito; 2) compito semplice , il soggetto camminava mentre ascoltava un nastro registrato, sapendo che poi gli sarebbero state fatte 10 domande sul testo, dopo il cammino ; 3) compito complesso, costruito come il compito 2, ma con un altro testo, in aggiunta egli doveva contare due parole che apparivano nel testo; 4) compito di contare indietro di sette, partendo da 500. Risultati: In entrambi i gruppi la velocità del cammino si ridusse in risposta al doppio compito, in modo parallelo; nel gruppo dei soggetti con MP la variabilità del cammino aumentò in confronto al cammino usuale. La funzione esecutiva era significativamente più bassa nel gruppo dei parkinsoniani mentre per la memoria non c'erano differenze nei due gruppi. Le misure della funzione esecutiva erano significativamente correlate con la variabilità del cammino durante il doppio compito ma non durante il cammino usuale. Conclusione: Questi risultati dimostrano che la regolazione della variabilità del cammino e della ritmicità è apparentemente un processo automatico che non richiede attenzione negli adulti sani, mentre nei soggetti con MP diventa dipendente dall'attenzione e peggiora quando questi eseguono compiti motori secondari. L'associazione tra le funzioni esecutive e la variabilità del cammino suggerisce che un peggioramento delle funzioni esecutive nei parkinsoniani può aumentare gli effetti del dual task durante il cammino, con un potenziale aumento del rischio di cadute e quindi di procurarsi fratture. 93