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Contabilità pubblica MASSIMO DI STEFANO – GIOVANNI GUIDA Elementi di DIRITTO ROMANO
I edizione 2015 SOMMARIO CAPITOLO I IL DIRITTO ROMANO OGGETTO DI STUDIO Il diritto romano oggetto di questa sintesi. Il diritto romano come studio storico. La tradizione romanistica. Le fonti di cognizione del diritto romano. QUESTIONARIO CAPITOLO II FORMAZIONE E PARTIZIONI DEL DIRITTO NELLE VARIE FASI DELL'ESPERIENZA GIURIDICA ROMANA 1. Il Periodo antico. 2. Il Periodo classico. 3. Il Periodo postclassico e giustinianeo. 4. Classificazioni romane del diritto. QUESTIONARIO CAPITOLO III IL PROCESSO ROMANO 1. Nozioni generali. 1.1. Alcuni caratteri comuni del processo per legis actiones e della procedura formulare. 2. Il processo per legis actiones. 2.1. Le legis actiones di cognizione. 2.2. Le legis actiones esecutive. 3. Il processo formulare. 3.1. Origini ed inquadramento generale. 3.2. La formula. 3.3. Lo svolgimento del processo per formulas. 3.4. L’esecuzione della sentenza formulare. 3.5. Classificazione delle azioni. 1. 2. 3. 4. 1 1 2 3 10 16 17 17 26 32 36 37 38 38 40 40 42 46 48 48 50 59 61 63 VII 3.6. Mezzi complementari della procedura formulare. 4. La cognitio extra ordinem. QUESTIONARIO CAPITOLO IV LE PERSONE 1. I soggetti di diritto. 2. Nascita della persona fisica. 3. Estinzione della persona fisica. 4. Uomini liberi e schiavi. 5. L’attività giuridica dello schiavo e le azioni quod iussu, institoria, exercitoria. 6. Il peculio. 7. Altre obbligazioni nascenti dall’attività dello schiavo. L’actio de peculio e l’actio de in rem verso. 8. Atti illeciti dello schiavo o contro lo schiavo. 9. Aspetto religioso della vita dello schiavo. 10. Fatti che determinano la condizione di schiavo. 11. Postliminium. 12. Le manumissioni. 13. Manumissioni pretorie. 14. Limitazioni alle manomissioni e differenti condizioni degli schiavi manomessi. 15. Condizione dello schiavo manomesso. I liberti. 16. Modificazioni in epoca post‐classica. 17. Condizioni simili alla schiavitù. 18. La familia. 19. Lo status familiae. 20. Rapporti patrimoniali. Il peculium 21. Ingresso e uscita dalla famiglia. Adrogatio, adozione. 22. Sottoposizione della donna alla manus. 23. Capacità giuridica e capacità d’agire; tutela e cura. 24. Tutela degli impuberi. 25. I negozi compiuti dell’impubere. 26. Responsabilità del tutore. 27. Tutela sulle donne. 28. Cura dei pazzi, dei prodighi e dei minores. VIII 65 68 71 73 73 74 75 76 78 80 80 81 82 83 85 87 89 89 91 91 92 94 97 98 99 101 102 103 104 105 106 107 29. 30. 31. 32. 33. 34. Status civitatis. Diverse condizioni delle persone. Modi di acquisto della cittadinanza romana. Diverse situazioni degli stranieri rispetto a Roma. I peregrini. Matrimonio romano. Nozione. Rapporti patrimoniali tra coniugi. QUESTIONARIO CAPITOLO V COSE E RAPPORTI GIURIDICI CON LE COSE 1. Res corporales e res incorporales. 2. Le res. Distinzioni principali. 3. Res mancipi e res nec mancipi. 4. Cose immobili e cose mobili. 5. Altre distinzioni delle res. 6. Cose semplici e cose composte. Le università di cose. 7. Res extra commercium. 8. Modi di acquisto delle cose iure civili e iure gentium, a titolo originario e a titolo derivativo. 8.1. La occupatio. 8.2. L’accessione di cosa mobile a cosa mobile. 8.3. La specificazione. 8.4. Confusione e commistione. 8.5. Accessione di immobile ad immobile: alluvione, avulsione, insula in flumine nata, alveus derelictus. 8.6. Accessione di mobile ad immobile. 9. La mancipatio. 9.1. La deductio. 9.2. La in iure cessio. 9.3. La traditio. 10. Origine della proprietà. 11. In bonis habere, ovvero, proprietà pretoria. 12. Usucapione. 13. La longi temporis praescriptio. 14. Difesa della proprietà. 14.1. La reivindicatio. 14.2. Actio negatoria. 108 109 109 110 111 114 115 117 117 118 119 120 120 121 122 123 124 125 126 126 126 127 128 129 130 130 131 133 134 135 136 136 137 IX 14.3. 14.4. 14.5. 14.6. 14.7. 14.8. 15. 15.1. 16. 17. 18. 19. 19.1. 19.2. 20. 21. 22. 23. Actio finium regundorum. Azioni a tutela dei rapporti di vicinato. Cautio damni infecti. Operis novi nuntiatio. Actio aquae pluviae arcendae. L’interdictum de arboribus caedendis. L’interdictum de glande legenda. Il possesso. I rimedi a difesa del possesso. Ager publicus. Fondi provinciali. L’enfiteusi. Le servitù prediali. Modi di costituzione delle servitù. Mezzi giudiziali a difesa della servitù. L’usufrutto e i rapporti affini Diritto di superficie. I diritti reali di garanzia. Pegno e ipoteca. Il condominio. CAPITOLO VI L’OBBLIGAZIONE E LE SUE FONTI 1. Nozione. 1.1. Oggetto dell’obbligazione e sue tipologie. 2. Le fonti delle obbligazioni. 3. Inadempimento dell’obbligazione. 4. Estinzione dell’obbligazione. L’adempimento. 4.1. Modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento. 5. Le garanzie dell’obbligazione. QUESTIONARIO CAPITOLO VII I CONTRATTI 1. La nozione romana di contratto. 2. Le obligationes verbis contractae. 3. Le obligationes re contractae. 4. Le obligationes litteris contractae. X 138 138 139 139 140 141 141 143 145 147 148 149 151 152 152 154 155 157 159 159 161 162 167 168 168 171 174 175 175 177 178 182 5. Le obligationes consensu contractae. 6. Patti e contratti innominati. QUESTIONARIO CAPITOLO VIII I DELITTI E LE ALTRE FONTI DELL’OBBLIGAZIONE 1. Caratteristiche generali delle obbligazioni nascenti da delitto. 2. Il furtum. 3. Rapina. 4. Il damnum iniuria datum. 5. Iniuria. 6. Le altre figure di illecito. 7. I quasi contratti. QUESTIONARIO CAPITOLO IX LE SUCCESSIONI 1. La successione ereditaria. 2. Rapporti tra successione testamentaria e successione legittima. 3. L’eredità. 4. Gli eredi. 5. Le fasi della successione ereditaria. Delatio, Aditio, facultas abstinendi. 6. Testamenti factio attiva. 7. Le più antiche forme di testamento. 8. La mancipatio familiae e il testamento per aes et libras. 9. Disposizioni particolari. 10. La successione legittima. 11. La successione pretoria. La bonorum possessio. 12. La successione tra madre e figli. 13. Querela inofficiosi testamenti. 14. La donazione. QUESTIONARIO 184 196 200 202 202 203 208 208 211 213 213 216 217 217 218 218 219 221 222 222 223 225 226 227 230 230 231 232 XI CAPITOLO X LA RIFLESSIONE ROMANA SUGLI ATTI GIURIDICI 233 233 235 239 243 1. 2. 3. Premessa: il negozio giuridico. Gli elementi accidentali del negozio giuridico. La patologia degli atti negoziali. QUESTIONARIO INDICE ANALITICO XII 244 CAPITOLO II B) La struttura istituzionale
Il tratto, che maggiormente caratterizza la struttura istituzionale di questa prima fase dell’esperienza romana, è il ruolo limitato svolto dalle istituzioni pubbliche e dal diritto da esse applicato. Lo Stato romano, infatti, sia nell’epoca monarchica che nella prima parte della Repubblica (instaurata a partire dalla prima parte del VI secolo a.C.), si limitò in prevalenza a perseguire i soli delitti, che avessero riguardato atti di tradimento o che mettessero in pericolo l’ordine interno o l’attività militare, lasciando, invece, all’autotutela dei privati la punizione degli altri illeciti e la risoluzione della maggior parte delle controversie insorte tra i privati stessi. In altre parole, risulta in quest’epoca assolutamente centrale il ruolo svolto dalle gentes e dai loro capifamiglia, mentre le istituzioni cittadine, il rex prima e i magistrati repubblicani dopo, si limitavano a progressivamente incanalare l’uso della forza privata nel canale del diritto, in modo da evitare ogni indiscriminato uso della violenza e il verificarsi di una situazione di sostanziale anarchia. Altro elemento che connota fortemente quest’epoca e correlativamente il diritto che si sviluppa nella stessa è l’assoluta centralità della religione. Le regole di condotta, infatti, erano spesso di natura giuridico‐religiosa e la loro osservanza era spesso assicurata attraverso la minaccia di sanzioni religiose. Anche la magia aveva un ruolo centrale nel regolare la vita sociale della prima comunità romana, dovendo i principali atti essere posti in essere nel rispetto di precisi rituali magici. Connesso a quest’ultimo profilo, vi è quello relativo all’importanza che in quest’epoca deve essere riconosciuta al formalismo. Il perfezionarsi di determinati atti e la produzione dei correlati effetti erano ricollegate al compimento di rigidi gesti o alla pronuncia di specifiche formule, come vedremo esaminando i primi atti negoziali e la prima forma di processo. C) Le fonti del diritto
Come anticipato nel capitolo precedente, possiamo enucleare due diverse categorie di fonti del diritto: • le fonti di cognizione, che abbiamo esaminato nel precedente capitolo e che sono gli strumenti che ci consentono di conoscere il diritto applicato in una certa epoca/in un certo ordinamento; • le fonti di produzione, che sono i canali di produzione delle varie regole giuridiche che vengono a costituire un determinato ordinamento giuridico. 18 FORMAZIONE E PARTIZIONI DEL DIRITTO NELLE VARIE FASI DELL’ESPERIENZA GIURIDICA ROMANA Occorre, dunque, esaminare quali siano le fonti di produzione operanti nel periodo antico, ovvero i formanti del diritto di quest’epoca. ™ Mores – durante i primi tre secoli dell’ordinamento giuridico romano la fonte principale di produzione del diritto è individuabile nei mores, ovvero dai costumi, cioè da regole non scritte conformi a tali costumi; il diritto più antico è, dunque, un diritto consuetudinario, che si basa sui costumi, che progressivamente sono emersi come regole giuridico‐
religiose nell’insieme di valori costituenti il fondamento della società romana; la consuetudine, come intesa anche modernamente, è fonte del diritto quando consta del ripetersi di comportamenti costanti, accompagnati dalla generale convinzione che tali comportamenti siano imposti dalla società e che il loro mancato rispetto può essere sanzionato dalla comunità stessa; è evidente che un sistema esclusivamente fondato su norme consuetudinarie può porre due rilevanti problemi: la difficoltà ad assicurare la certezza del diritto, essendo spesso difficile anche la mera conoscenza dell’esistenza di un determinato precetto, e l’impossibilità di evolversi del sistema, tenuto conto del meccanismo complesso di formazione di tali norme. Per capire appieno il ruolo dei morese il loro inquadramento nel sistema complessivo delle fonti, va ricordato come il sistema di produzione del diritto romano, già in questa fase storica, si articola su tre elementi fondamentali (PUGLIESE): 1. Ius civile – costituisce l’ordinamento specifico del popolo romano; nella fase storica in esame, esso corrisponde con i mores, la cui interpretazione e “rivelazione” quali fonti del diritto spetta ai collegi sacerdotali (interpretatio); 2. Interpretatio – merita a questo punto di essere richiamata l’attenzione sull’attività svolta dai collegi sacerdotali ora richiamati e, in particolare, dai Pontefici, il cui collegio, oltre a funzioni prettamente religiose, ebbe sin dall’origine, il compito di esprimere pareri (responsa) su tutti gli aspetti più importanti del diritto privato; questi pareri potevano avere il contenuto più vario e potevano essere richiesti sia da privati che dal rex, sia per sapere quale fosse la forma più idonea per compiere un determinato atto, sia per valutare la liceità di atti già posti in essere; ritorna, dunque, in tutto il suo rilievo, l’importanza del formalismo, nel periodo più antico: il ruolo dei Pontefici risultava fondamentale, in quanto soltanto ponendo in essere un determinato atto nella forma dagli stessi ritenuta idonea, vi era la certezza che quell’atto avrebbe prodotto effetti valevoli per l’ordinamento giuridico. 19 CAPITOLO II 3. Iurisdictio – l’ultimo elemento, necessario per dare effettività al sistema normativo ora delineato, non può che essere quello dell’applicazione in giudizio del diritto ad una singola controversia; tale potere era esercitato inizialmente dal rex (custode della pax deorum e suprema autorità civile), che doveva iusdicere durante il processo, determinando la liceità o meno di un determinato atto/comportamento, alla luce della regola di diritto elaborata dal collegio dei Pontefici. Attraverso questi tre elementi può, dunque, cogliersi l’operatività del sistema dei mores: fonti normative di natura consuetudinaria costituenti la base dello ius civile, venivano enucleate e applicate alle singole fattispecie dall’attività interpretativa del Collegio dei Pontefici; il sistema era completato dalla iurisdictio del rex, attraverso la quale si dava effettività e si rendeva coercibile, relativamente alla singola controversia, la regola di diritto, di natura consuetudinaria, elaborata dall’interpretatio pontificale. ™ Leges regiae – proprio per superare le criticità sopra richiamate, che si ricollegano alla natura esclusivamente consuetudinaria del diritto più antico, ben presto si affiancano ai mores, senza, però, sostituirli o farli cadere in disuso, altre fonti di produzione normativa, tra cui sono probabilmente riconducibili le leges regiae, rispetto alle quali mancano informazioni certe. Si tratterebbe di disposizioni autoritative emanate dal rex, al fine di dare certezza al sistema normativo; parte della dottrina ritiene, però, che tali fonti non siano, in realtà, mai esistite e che con tale espressione ci si riferisse ad indicare specifiche consuetudini, affermatesi all’epoca di singoli re di Roma; ciò non toglie, tuttavia, che al singolo rex potesse essere attribuito un potere di emettere delle disposizioni autoritative, delle ordinanze, che avrebbero potuto contenere anche delle norme giuridiche (CENDERELLI). ™ Legge delle Dodici Tavole ‐ nel V secolo a.C., all’inizio della Repubblica, il sistema delle fonti del diritto è ancora fortemente centrato sui mores e sul correlato ruolo interpretativo svolto, come visto, dai Pontefici. Questi ultimi appartenevano alla classe dei patrizi e ciò portò ad una situazione di contrasto con i plebei, che ritenevano che l’esercizio dell’interpretatio ad opera dei Pontefici fosse esercitata ad esclusivo vantaggio dei patrizi stessi. Per superare questa criticità e per meglio garantire la certezza del diritto, fu allora nominata un’apposita commissione, composta dai decemviri, che ebbero l’incarico di predisporre una raccolta scritta di 20 FORMAZIONE E PARTIZIONI DEL DIRITTO NELLE VARIE FASI DELL’ESPERIENZA GIURIDICA ROMANA norme, che riguardano in modo prevalente il diritto privato e la relativa procedura, non mancando di dettare anche disposizioni relative al diritto e al processo penale, nonché alcune concernenti anche la struttura costituzionale. Questo primo corpus normativo fu redatto su dodici tavole eburnee tra il 451 e il 450 a.C. e divenne la base del diritto in Roma per diversi secoli. Le caratteristiche principali di questa prima codificazione sono le seguenti: o Le norme dettate nelle XII Tavole non forniscono una disciplina completa degli istituti privatistici, ma regolano alcuni aspetti specifici di questi istituti, che vengono dati per presupposti, in quanto saldamente previsti dall’ordinamento consuetudinario; o La codificazione deve essere considerata “innovativa”, in quanto primo tentativo di raccolta di norme scritte; il contenuto di quest’ultime, invece, non può essere considerato innovativo, in quanto tali norme riprendevano, in prevalenza, disposizioni già elaborate partendo dai mores; o Le XII Tavole costituiscono un momento di rottura nell’evoluzione del sistema delle fonti, che influenzò anche l’attività di interpretazione, svolta ancora per un secolo dai Pontefici, che, però, sono da questo momento tenuti a confrontarsi con un sistema di norme scritte e non più esclusivamente consuetudinario. La narrazione del giurista Pomponio dei primordi dell’ordinamento romano ‐ D. l, 2, 2, 1‐4 (Pomp. lib. sing. enchir.): “Ed invero, nei primordi della nostra città, il popolo cominciò a regolarsi senza alcuna legge certa, senza diritto certo, e tutto veniva governato a discrezione dei re. Poi, essendosi accresciuta fino ad una qualche misura la città, si tramanda che lo stesso Romolo abbia diviso il popolo in trenta parti, che chiamò curie, proprio perché allora egli curava la gestione dello Stato con i loro pareri. E così egli stesso propose al popolo talune leggi (dette) curiate: e ne proposero anche i successivi re. Le quali tutte sono raccolte in forma scritta nel libro di Sesto Papirio, il quale fu uno tra gli uomini preminenti ai tempi in cui visse Tarquinio il Superbo, figlio di Demarato di Corinto. Tale libro, come dicemmo, è chiamato ius civile Papirianum, non perché Papirio aggiunse qualcosa di suo, ma perché raccolse in un solo libro le leggi promulgate disordinatamente. Quindi, cacciati i re, tutte queste leggi (le leggi regie) caddero in disuso per una legge tribunizia ed il popolo romano cominciò di nuovo a governarsi più col diritto incerto e con la consuetudine che con la 21 CAPITOLO II legge, e tollerò ciò per quasi venti anni. Poi, affinché ciò non durasse più a lungo, si ritenne opportuno che dalla pubblica autorità fossero nominati dieci uomini, attraverso i quali si chiedessero i testi delle leggi alle città greche, affinché l’ordinamento cittadino fosse fondato sulle leggi; tali leggi furono Scritte su tavole di legno di quercia ed esposte sui rostri, in modo tale che fossero conosciute più facilmente. In quell’anno. fu dato loro il diritto supremo nella città, sia perché correggessero, se fosse d’uopo, le leggi sia perché le interpretassero, e nei loro confronti non si facesse appello al popolo come invece si faceva per i restanti magistrati. Gli stessi decemviri ravvisarono che a queste prime leggi mancava qualcosa e perciò l’anno seguente aggiunsero altre due a tali tavole: e, così, dall’aggiunta furono chiamate Leggi delle Dodici Tavole. Alcuni riferirono che, della proposta di esse, fosse stato sostenitore, presso i decemviri, un certo Ermodoro di Efeso, esule in Italia.”. ™ Le altre fonti legislative (leggi comiziali e plebisciti) – a partire presumibilmente dalla metà del V secolo a. C., quindi dopo l’emanazione delle XII Tavole, viene introdotta una nuova fonte normativa, la legge (lex rogata). Si tratta di un testo normativo, votato dall’assemblea popolare (comitia centuriata o comitia tributa) su iniziativa dei supremi magistrati e ratificato dal Senato (auctoritas patrum). Va segnalato, in primo luogo, che differentemente da quanto avviene modernamente, l’assemblea popolare poteva esclusivamente approvare o respingere il testo proposto dai magistrati, ma non poteva modificarlo. Peculiare era anche il ruolo svolto dal Senato nel procedimento legislativo: l’organo interveniva sia nella fase antecedente alla votazione da parte dell’assemblea popolare con un parere obbligatorio, ma non vincolante (senatus consultum), sia dopo l’approvazione da parte dell’assemblea per verificare la legittimità dell’intero procedimento legislativo, concedendo la propria auctoritas alla deliberazione assunta. I plebiscita, invece, erano deliberazioni assunte dall’assemblea, concilia plebis, che raccoglieva la sola plebe, che inizialmente era l’unica ad essere vincolata dalle decisioni assunte dal proprio organo rappresentativo. Nel 286 a.C., quindi verso la fine del periodo antico, i plebei ottennero, grazie alla lex Hortensia, che i plebisciti vincolassero tutti i Romani. Ciò fu reso possibile estendendo a queste fonti il procedimento legislativo previsto per le leggi approvate dall’assemblea popolare: ciò portò all’estensione del controllo esercitato dal Senato anche sui plebisciti, che inizialmente ne erano esenti; il potere di proporre tali deliberazione ai concilia plebis fu riconosciuto in capo ai soli Tribuni della plebe. 22 FORMAZIONE E PARTIZIONI DEL DIRITTO NELLE VARIE FASI DELL’ESPERIENZA GIURIDICA ROMANA Va, infine, evidenziato che sia le leggi che i plebisciti hanno avuto un’importanza ridotta nel sistema complessivo delle fonti romane, non avendo una portata generale ed avendo inciso solo su singoli aspetti della disciplina di determinati istituti, che venivano plasmati dall’opera creatrice della giurisprudenza romana. Gai Institutiones l.3: “È legge ciò che il popolo comanda e stabilisce; plebiscito ciò che la plebe comanda e stabilisce. Ora, la plebe è distinta dal popolo in quanto con l’appellativo di populus vengono indicati tutti i cittadini, compresi anche i patrizi, con l’appellativo di plebs vengono indicati, con esclusione dei patrizi, i rimanenti cittadini: onde un tempo i patrizi dicevano di non essere vincolati dai plebisciti, fatti senza la loro approvazione; ma successivamente venne emanata la legge Ortensia, con la quale fu stabilito che i plebisciti vincolassero l’intero popolo: sicché, in tal modo, essi vennero equiparati alle leggi”. D) Le origini della giurisprudenza romana: dalla giurisprudenza
pontificale a quella laica
Nel paragrafo precedente si è iniziato a delineare il ruolo fondamentale svolto dai Pontefici romani nell’elaborazione e nell’interpretazione del diritto. Ciò ci permette di toccare un altro profilo assolutamente centrale, ovvero quello della nascita della giurisprudenza romana. Che cosa si intende con tale espressione? Con essa si fa riferimento all’«attività di analisi, interpretazione, elaborazione scientifica dei principi del diritto svolta da persone che di ciò facevano l’obiettivo specifico … dei loro studi, spesso (ma non necessariamente) concretandone i risultati nella stesura di opere di esposizione e di commento dell’ordinamento vigente o di specifici settori di esso» (CENDERELLI). La giurisprudenza romana, come ora vedremo, nacque dopo le XII Tavole e costituì una scienza autonoma, grazie all’attività elaborazione e di interpretazione svolta dai giureconsulti romani. Questa attività, come detto, affonda le sue origini nel ruolo svolto dal collegio dei Pontefici, che ebbero il compito di mantenere vivo il primo sistema normativo, a base esclusivamente consuetudinaria (mores) e di curarne l’applicazione ai casi singoli, attraverso specifiche risposte – responsa – che erano di volta in volta fornite ai richiedenti. Tale attività consentì, progressivamente, la creazione di schemi negoziali e processuali. Per i primi secoli, l’attività di dare responsi da parte dei Pontefici fu essenzialmente svolta in segreto, in quanto i Pontefici non rivelavano le modalità e le ragioni che giustificavano la soluzione prospettata nel 23 CAPITOLO II proprio responso. Questo sistema mutò quando, per la prima volta, fu nominato un Pontefice massimo di origini plebee, Tiberio Coruncanio (intorno al 280 a.C.), che iniziò a publice respondere, ovvero a consentire che l’attività di dare responsi fosse svolta dai Pontefici in pubblico. Questa apertura ebbe un’importanza fondamentale nell’evoluzione della giurisprudenza romana, in quanto consentì alle persone interessate di iniziare lo studio del fenomeno giuridico, potendolo approfondire e dando vita ad un’attività, che poteva essere svolta anche dai cittadini privati: attraverso questo processo di laicizzazione, trova origine la giurisprudenza repubblicana. I giuristi “laici”, operanti negli ultimi due secoli a.C., iniziando dallo svolgimento di un’attività interpretativa analoga a quella svolta dai Pontefici, successivamente riuscirono a creare una vera e propria scienza del diritto, formando un sistema coerente, basato sull’elaborazione delle basi concettuali delle loro interpretazioni. In via di sintesi, l’attività svolta da un giurista romano può riassumersi, facendo riferimento alle seguenti tre forme: 1. Agere – si tratta dell’attività di assistenza delle parti contendenti durante il processo; bisogna, però, distinguere tale attività, che si sostanzia nell’individuazione dei modi per impostare nel modo più corretto possibile una certa controversia, dall’assistenza legale svolta nel processo, che competeva, invece, agli avvocati difensori, che, di solito, non erano veri e propri giuristi, ma oratori, tra cui possiamo ricordare Cicerone; 2. Cavere – corrisponde ad un’attività di assistenza nella predisposizione degli atti negoziali, in modo da individuare la forma e il contenuto maggiormente conforme alla volontà delle parti e in grado legittimamente di produrre tutti gli effetti giuridici da quest’ultime voluti; 3. Respondere – è l’attività volta a fornire responsi, ovvero soluzioni a singoli casi controversi. La struttura del responso del giurista romano ‐ D. 9.2.52.2 (Alf. 2 dig.) Il singolo parere che veniva fornito da un giurista romano si componeva essenzialmente di tre parti distinte: ‐ casus, ovvero la sintesi degli elementi di fatto più importanti del caso portato all’attenzione del giurista; ‐ quaestio, ossia lo specifico quesito posto al giurista; ‐ responsum, ovvero la soluzione fornita dal giurista Vediamone adesso un esempio concreto, leggendo un responso del giurista Servio Sulpicio Rufo riportato dal suo allievo Alfeno Varo (il frammento è 24 
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