Tra Nichilismo e Illuminismo. Ray Brassier e la sfida del realismo speculativo di Knox Peden Continuando ad approfondire quei nodi di pensiero che, sempre più, sembrano richiedere l’incontro tra la tradizione analitica e continentale, questo secondo intervento si rivolge ad un lavoro che coinvolge intenzionalmente queste due correnti del pensiero, intrecciando le filosofie di pensatori quali Alain Badiou, Quentin Meillassoux, da un lato, e filosofi della mente quali Paul Churchland e Wilfrid Sellars dall’altro. Ray Brassier – l’autore del testo di cui proponiamo la recensione – è conosciuto internazionalmente soprattutto per essere uno dei più autorevoli rappresentanti del Realismo speculativo1, movimento di pensiero volto a ridefinire le basi del realismo filosofico, alla luce delle sfide poste dalla filosofa post-kantiana. La recensione che presentiamo è ad opera di Knox Peden, ricercatore presso il Centre for the History of European Discourses (Australia), ed è apparsa – in forma parzialmente differente - sulla nota rivista di filosofia Continental Philosophy Review2. Inframmezzato da elogi alla “splendente potenza della ragione” ed alla “forza dissociativa della negatività non-dialettica”, Nihil Unbound: Enlightenment and Extinction (Palgrave, 2007) di Ray Brassier è un lavoro filosofico impegnato “nell’opera di disincanto iniziata da Galileo nel mondo fisico, continuata da Darwin nella sfera biologica, ed attualmente estesa dalle scienze cognitive all’ambito della mente” (xi, 45, 40). Lo sgretolamento del “libro del mondo” realizzato durante l’illuminismo rappresenta “un corroborante vettore di scoperta intellettuale, piuttosto che un calamitoso impoverimento” (xi), infatti, “il pensiero ha degli interessi che non coincidono con quelli della vita” (xi). Seguendo tali interessi, Brassier sviluppa un concetto di “volontà di conoscere” congruente con la “volontà di nulla” che resiste alle contrapposte forze della “volontà di vivere”. Animato dalla persuasione che “la filosofia dovrebbe essere più che un debole conforto dell’autostima umana”, ovvero dovrebbe mettere in questione i presupposti antropocentrici che ancora popolano il pensiero contemporaneo, Brassier sviluppa un progetto, il cui nucleo polemico concerne la riabilitazione della scienza, in opposizione al riduttivo e derisorio atteggiamento di alcuni settori della filosofia continentale: la fenomenologia e la teoria critica. I due assi portanti di questo progetto sono i seguenti: (1) il recupero del nichilismo come programma filosofico che sia antitetico al soggettivismo, piuttosto che complice con esso, (2) il riconoscimento che il nichilismo sia la filosofia più adeguata a esprimere la rivoluzione, introdotta da Albert Einstein, inerente la relazione spazio-tempo, contro quelle filosofie che si proclamano filosofie del tempo e trascurano la necessaria congiuntura tra queste due dimensioni. 1 2 A tal riguardo si veda anche l’intervista rilasciata da Quentin Meillassoux per Il Rasoio di Occam. Cont Philos Rev (2010) 42:583–589. Il libro è diviso in tre sezioni. La prima parte, dedicata a distruggere “l’immagine manifesta” (“Destroying the Manifest Image”) dell’uomo, rappresenta la critica introduttiva, in cui le scienze cognitive ed il razionalismo contemporaneo di Quentin Meillassoux sono utilizzati contro la fenomenologia e la teoria critica di Horkheimer ed Adorno. Nella sezione centrale, “L’anatomia del negativo” (“The Anatomy of Negation”), Brassier elabora un concetto non-dialettico di negazione che presuppone la demistificazione dell’ontologia svolta da Badiou ed il principio ontologico di “unilateralizzaione” ricavato dalla “non-filosofia”di Francois Laruelle. La parte finale, “La fine del tempo” (“The End of Time”), conclude il testo con la considerazione filosofica di Brassier sulla “verità dell’estinzione” (“truth of extinction”), come fatto spaziale che nega, ed in realtà ha già negato, il tempo umano. Questa conclusione è sviluppata a partire dall’abbandono della prospettiva heideggeriana e da una dura ed estesa critica della filosofia di Deleuze. Nonostante l'acutezza della loro riflessione filosofica, Brassier, infatti, rintraccia in entrambi questi pensatori la radice di un comune problema filosofico: l'aver legato assieme vita e morte nelle maglie di una sintesi. Al contrario Brassier sostiene che l'unica possibile relazione ontologica non è la sintesi, ma la negazione. La tematizzazione della nozione di “negativo” permette anche di introdurre le due tesi cardine trattate nel libro, le quali vanno adeguatamente distinte. In primo luogo, il nichilismo, “lungi dall’essere una patologica esacerbazione del soggettivismo, è un inevitabile corollario alla persuasione dell’esistenza di una realtà indipendente dalla mente” (xi). Sebbene questa prima tesi nel libro possa a volte assumere i tratti di un principio normativo da cui far logicamente discendere una politica, in ultima analisi, Brassier riesce a proteggersi da questo rischio. Le istanze prescrittive per la filosofia contemporanea però non sono aliene al testo di Brassier ed affiorano quando si esamina la seconda tesi, per la quale il “nichilismo rivisitato” è la più adeguata filosofia del momento. Questa tesi è ricavata dall’idea che il “disincanto del mondo” sia un conseguenza della “maturità intellettuale” e non del suo “debilitante impoverimento” (xi). Celebrare l'Illuminismo come un "progetto" di disincanto contro "il revisionismo anti-illuminista" promulgato da larga parte della contemporanea tradizione continentale, sembra implicitamente comportare una serie di assunti che vanno ben oltre la critica al soggettivismo proposto nella prima tesi. Ad esempio, se da un lato, Brassier sconfessa la nozione in base alla quale c’è una singola e sovra-storica essenza della filosofia, che può essere chiaramente identificata e criticata in quanto tale, un'ossessione che è fortemente presente in Heidegger e che rischia di compromette anche la filosofia di Laurelle. Dall’altro, egli sembra implicitamente sostenere che fare propria "la convinzione" di celebrare l'illuminismo implichi anche un’idea di come la filosofa dovrebbe essere, reintroducendo qui proprio quell'essenzialismo che egli critica a partire dalla nozione di soggettivismo. La radice di tale ipoteca essenzialista va rintracciata non nella filosofia, ma nel ruolo che in essa sembra debba giocare la scienza. Per Brassirer la critica all'essenzialismo filosofico è un modo per rifiutare di leggere la filosofia come una manifestazione singolare di un'unica inedificabile essenza. Al contrario, la scienza sembra possedere una singolare, elementare forza espressa in un concetto centrale del suo argomento: il disincanto. Descrivendo la scienza in sé come l’impegno del disincanto, Brassier attribuisce ad essa un problematico potere normativo. La sua stessa scelta di favorire la neurofilosofia di Paul Churchland al posto della fenomenologia di Husserl sembra in parte arbitraria, dato che egli stesso riconosce ad essa gli stessi limiti tautologici della fenomenologia husserliana. Il progetto di Churchland riguarda la distinzione tra un approccio al problema della coscienza che cerca di ricondursi all’originaria esperienza pre-predicativa e l’approccio che, invece, riconosce l’incommensurabilità tra l’esperienza della coscienza ed il suo sostrato materiale. Questa distinzione assume particolare valore nel secondo capitolo, quando Brassier discute la scelta di Adorno ed Horkheimer di favorire, nella Dialettica dell’illuminismo, la mimesis sulla mimica. La mimesis è superiore alla mimica, in quanto possiede una componente soggettiva, preferibile agli aspetti automatici ed irriflessivi della mimica. La mimesis è dialettica e storica; la mimica respinge ogni idea di cambiamento. Tuttavia, Brassier ritiene che la mimica che inerisce agli animali, agli insetti, ed al mondo inorganico sia la testimonianza di una negatività senza soggetto che supera la proliferazione mimeticamente motivata della non-identità tra storia e natura. Infatti, Brassier ritiene che “la storia culturale sia mediata dalla storia naturale, che include tempo e spazio, biologia e geologia” (48). Dopo un'esaustiva discussione riguardo al tentativo di Meillassoux di pensare un tempo assoluto indifferente all'esperienza umana – un progetto la cui prossimità con quello di Brassier verrà in seguito esaminata – Brassier sposta la sua analisi su Badiou e Laruelle, con l’obiettivo di sviluppare un concetto di “negazione” che possa servire da valida alternativa alla dialettica. Secondo Brassier, la virtù del progetto ontologico di Badiou consiste nella demistificazione della nozione di essere, mostrando che l'essere in quanto essere "è insignificante; non significa letteralmente niente"(116). La tesi di Badiou che "la matematica è ontologia" funge in questo senso da risposta alla fenomenologia, dal momento che – sottraendo le qualità fenomeniche – può elaborare una nozione di pensabilità dell'essere in quanto inconsistente molteplicità infinita. Il gesto critico di Brassier consiste nel suggerire che Badiou compromette il suo stesso progetto ontologico con il concetto di "Evento", il quale introduce "un idealismo dell'iscrizione"(“an idealism of inscription”) in ciò che sarebbe altrimenti un essere insignificante. Brassier rinuncia a sviscerare sino in fondo le implicazioni della sua critica , vale a dire, che Badiou compromette la sua ontologia per salvare la sua politica, dal momento che l'evento è, assieme con il soggetto fedele all’evento, una delle categorie politiche centrali della filosofia del filosofo francese. Spostando l'attenzione da Badiou a Laruelle, le ragioni della critica che Brassier muove a quest'ultimo sono due. In prima istanza, l'autore denuncia l'ipoteca essenzialista della nozione di non-filosofia nel momento in cui ad essa viene attribuita la capacità di definire la natura della filosofia tout court. In secondo luogo, viene posta in questione l'indulgenza nei confronti del concetto di "immanenza radicale", così come esso è elaborato da uno dei pensatori che sin dal principio ha avuto un peso rilevante nel lavoro Laruelle, Michel Henry. Ma nell’economia generale del libro, l'individuazione di tali punti problematici non toglie nulla all’importanza del “metodo di unilateralizzazione” proposto da Laruelle: "una logica non dialettica della negazione filosofica"(120), con le parole di Laurelle, "l'essere-nascosto del reale alla conoscenza, o...l'essere forcluso di ogni oggetto alla sua propria cognizione...non rende la conoscenza possibile, ma piuttosto la determina" (139). Ciò di cui Laruelle va in cerca non è niente meno che la messa in luce della sintesi trascendentale che traccia la relazione tra pensiero e il suo correlato come oggetto fondamentale della speculazione filosofica. Che l'operatore trascendentale sia letto come vita, coscienza o Dasein, in tutti i casi il momento sintetico è essenziale. Al contrario, Laruelle permette di definire "le condizioni per cui pensare non significa riflettere, o rappresentare il proprio oggetto ma piuttosto mimare la sua inoggettivabile opacità, nella misura in cui quest'ultimo è identico-inultima-istanza ad un reale che è forcluso all’oggettivazione"(138). Questa analisi viene arricchita da ulteriori elaborazioni teoretiche attraverso la lettura della parabola della catastrofe solare in Lyotard, del concetto di “trauma” in Levinas e della teoria freudiana della pulsione di morte. L'audacia speculativa di queste analisi permette a Brassier di argomentante in favore di una nozione di pensiero come risultato o effetto determinato della materialità inorganica piuttosto che come luogo privilegiato della considerazione riflessiva del problema. Data la sua ostilità nei confronti del pensiero rappresentativo, Deleuze sarebbe probabilmente un valido alleato per il progetto di Brassier. Ma pur riconoscendo le grandi virtù di tale progetto, quest'ultimo è – secondo Brassier – fatalmente compromesso da un vitalismo da cui segue che il pensiero è determinante essenzialmente organica della materia inorganica. Una tale concezione pone, in ultima analisi, l'intero progetto di Deleuze a cavallo tra un panpsichismo mistico e un idealismo incoerente. Oltre a Laruelle, l'interlocutore fondamentale di Brassier è Quentin Meillassoux, il cui lavoro è stato recentemente introdotto nel mondo anglofono dalla traduzione ad opera dello stesso Brassier3. L’obiettivo critico del pensiero di Meillassoux è una malattia filosofica che lui chiama "correlazionismo". Con “correlazionismo” si definisce ogni filosofia che "afferma l’indissolubile priorità della relazione tra [il?] pensiero e il suo correlato rispetto all'ipostatizzazione metafisica o la reificazione rappresentazionalista o entrambi i termini della relazione"(51). Brassier segue Meillassoux nell'affermare "l'intellegibilità letterale" del fenomeno ancestrale – ovvero, l’occorrenza cosmica precedente alla manifestazione della coscienza – contro l’inintelligibilità della realtà in sé per la filosofia post-kantiana. Rimane però aperta una questione. Da un lato, l’autore critica il correlazionismo poiché esso “sostiene che non ci può essere alcuna realtà intelligibile indipendentemente alla nostra relazione con la realtà; alcun fenomeno senza qualche operatore trascendentale – come la vita o la coscienza o il Dasein – che genera le condizioni per la manifestazione attraverso cui il fenomeno si manifesta a noi"(51). Chiaramente Brassier interpretata il correlazionismo – sia esso di matrice vitalista, kantiana o heideggeriana – come una forma di solipsismo. Dall’altro, però, è lecito chiedersi come faccia la scienza – Brassier assume senza estendervi la stessa critica radicale mossa al correlazionismo – a non ricadere nello stessa trappola solipsistica. Cosa sono gli strumenti della sperimentazione scientifica, se non operatori trascendentali, con tanta variazione tra loro come per vita, coscienza o Dasein, e che 3 Dopo la finitudine. Saggio sulla necessità della contingenza, trad. it a cura di M. Sandri, Mimesis, 2012 "generano le condizioni della manifestazione" del fenomeno? La tecnologia ad infrarossi "genera le condizioni" che permettono alla Nebulosa del granchio non di esistere come il resto materiale di una supernova, ma di essere manifesta grazie alle speciali lenti di un telescopio. Ma quello che importa in ultima istanza non sono i colori della nebulosa, le sue mere qualità fenomeniche, ma il bruto fatto della sua esistenza. A partire da tale considerazione si può tracciare una prima differenza tra Brassier e Meillassoux: le ragioni che conducono Brassier a sostenere una filosofia non correlazionista sono in parte differenti rispetto a quelle proposte dall’autore di Dopo la finitudine. La forza dell'argomento di Meillassoux consiste nella riabilitazione del concetto di qualità primarie – esprimibili attraverso il formalismo matematico. La filosofia non-correlazionista interpreta il "mondo glaciale" ripulito da tutti i fenomeni eccetto uno: la fatticità stessa. Quello che importa non è la Nebulosa del granchio in quanto fenomeno, ma il suo apparire. La virtù della matematica secondo Meillassoux non è quella di essere scientifica, come Brassier sembra implicitamente suggerire, ma , invero, la sua pura formalità, il suo esser libera da qualsiasi riferimento all’esperienza. Al contrario, la scienza in quanto tale è condizionata dall’empirico e, infatti, molte delle immagini scientifiche proposte da Brassier rafforzano tale argomento: dagli insetti alle catastrofi solari, tutti questi esempi sono intelligibili solo in quanto sono, appunto, fenomeni. Un secondo punto che mette in relazione, ma anche divide i due filosofi riguarda la temporalità. Brassier insiste che ciò che è anteriore al reame ancestrale di Meillassoux deve essere surrogato da una posteriorità di estinzione cosmica, al fine di consolidare la critica alla filosofia correlazionista in senso assoluto. In ciò, Brassier sostiene che la prospettiva di Meillassoux è ancora antropocentrica in quanto legata ad una concezione lineare del tempo. Eppure, va messo in luce come la tesi dichiaratamente "più assoluta" e radicale di Brassier nello smantellamento della tradizione metafisica sia a sua volta compromessa da un fondamentale presentismo. Nella visione di Meillassoux, Dio rimane una possibilità che si può dare nel futuro. Non per via di un sotterraneo messianismo, ma perché Meillassoux porta alle estreme conseguenze la nozione di contingenza. Lo stesso non vale per Brassier, il quale trova nei fatti scientifici una prova sufficientemente certa per sancire l'impossibilità di alcuni eventi, restringendo quindi il campo del possibile e conseguentemente ponendo in questione la contingenza assoluta. Se il formalismo abiura la fenomenalità, questo anche spiega la complicità con – e in ultima analisi la sua utilità per – il nichilismo. Brassier dà il suo meglio nello sviluppare questo argomento filosofico. Sebbene la decisione di Brassier di abbracciare il nichilismo inauguri la sua analisi, questa stessa decisione non è il risultato di una investigazione filosofica, ma funziona come presupposto al suo pensiero. Questo significa che la forza polemica che motiva il suo lavoro trascura di confrontarsi con altri sforzi intellettuali volti a problematizzare la nozione di nichilismo. Nonostante ciò, Nihil Unbound rimane un testo che riesce ad essere all’altezza delle sue promesse e offre al lettore il gusto della vera scoperta filosofica. A prescindere quindi dai suoi punti d’ombra, il testo conferisce evidenza a una celebre idea di Adorno: “Il pensiero onora se stesso difendendo ciò che è condannato come nichilismo”.4 4 Theodor W. Adorno. Dialettica negativa, Einauidi, 2004. La traduzione qui proposta è a cura dell’autore. Knox Peden [email protected] è un post-doc presso il Centro di storia europea dell'Università del Queensland (Australia). I suoi interessi di ricerca riguardano il pensiero filosofico europeo del ventesimo e ventunesimo secolo, con particolare attenzione alla filosofia francese. Fra le sue pubblicazioni più recenti si vedano la raccolte, curate con Peter Hallward, Concept and Form, Volume 1: Key Texts from the Cahiers pour l'Analyse, (London: Verso, 2012) e Concept and Form, Volume 2: Interviews and Essays on the Cahiers pour l'Analyse, (London: Verso, 2012).