Cervia, 29 novembre 2011 Adolescenti e violenza di genere. Rappresentazioni e stereotipi Alcuni spunti per riflettere di Laura Gobbi e Federica Zanetti Viviamo in un mondo di donne e uomini, in cui i processi di costruzione della soggettività sono relazionali. Eppure il rapporto tra i generi, nonostante il movimento femminile e le trasformazioni sociali, resta un ambito su cui tenere aperta la riflessione e il confronto. Sono infatti ancora oggi tante le violazioni che donne e bambine subiscono, per il solo fatto di essere femmine. Si tratta di violazioni dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali che si fondano, nella maggior parte dei casi, sulla discriminazione di genere. La discriminazione può assumere, a volte, aspetti drammatici e sfociare nella violenza, addirittura in una forma di violenza, se possibile, ancora più inaccettabile ed odiosa: la violenza domestica. La violenza contro le donne è una delle violazioni dei diritti umani più invasiva e diffusa, e, in molti casi la più nascosta. Anche a livello internazionale si è tardato a riconoscerne tutta la gravità. Colpisce donne di ogni classe sociale, gruppo etnico, età, religione, credo politico, nazionalità e, a livello mondiale, è la decima causa di morte per le donne dai 15 ai 44 anni. Secondo i dati Istat del 2010, In Italia una donna su tre tra i 16 e i 70 anni è stata vittima nella sua vita dell’aggressività di un uomo. Sei milioni 743 mila quelle che hanno subito violenza fisica e sessuale. E ogni anno vengono uccise in media 100 donne dal marito, responsabili i mariti nel 36% dei casi, conviventi o partner nel 18%, ex compagni nel 9% e parenti nel 13%. Per lo piu’ italiane le vittime (70,8%) e gli assassini (76%). Il numero delle denunce e delle testimonianze da parte delle donne che subiscono violenze è in aumento (segno di una maggiore fiducia nelle istituzioni e nella loro capacità di intervento), ben sapendo, peraltro, che le denunce sono soltanto la punta dell’iceberg di un fenomeno ancora ampiamente taciuto, specie quando si manifesta all’interno della sfera domestica. Al di là dei numeri, in ogni caso inquietanti, un aspetto importante ma spesso tralasciato è il profilo delle vittime che emerge dall’indagine dell’ISTAT, decisamente lontano dall’immagine stereotipata della donna emarginata, povera e disperata. Per la maggior parte, in realtà, si tratta di donne pienamente inserite nella vita sociale, che hanno mariti, figli, genitori e amici, un lavoro e un titolo di studio elevato, che tuttavia faticano a interpretare ciò che sono costrette a subire, il più delle volte tra le mura di casa, come un fenomeno di violenza, un reato, e ancor più appaiono incapaci di reagire e sottrarsi a relazioni con partner violenti. Il tema della violenza di genere si conferma, dunque, ancora oggi un problema cruciale delle società contemporanee, malgrado sia cresciuta l’attenzione non solo all’interno della comunità scientifica, ma anche nelle istituzioni nazionali e internazionali. In molti paesi sono state approvate normative specifiche per tutelare le donne contro i comportamenti lesivi della loro dignità e, un po’ ovunque, si sono moltiplicate le iniziative per sensibilizzare alla lotta contro la violenza di genere che hanno favorito l’emersione del fenomeno e la costruzione di dispositivi e strumenti per il sostegno delle vittime. Tuttavia, se le conclusioni raggiunte dalle indagini empiriche hanno contribuito a delineare un’immagine nuova del fenomeno e a infrangere molti luoghi comuni a proposito del chi commette violenza, del perché questo avviene e del chi la subisce, persistono ancora pregiudizi e stereotipi che finiscono per rinforzare quella struttura simbolica dei rapporti tra i sessi che ancora conserva molti tratti patriarcali. La rappresentazione che emerge dalla maggior parte dei risultati tende da un lato a collocare il fenomeno nella categoria della patologia, dall’altro a rilevare la persistenza di un paradigma interpretativo che punta alla colpevolizzazione della donna che subisce violenza, richiamandosi ad una sorta di complicità inconsapevole della donna stessa nei confronti di una cultura che ancora tende a svalorizzarla. 1 Di certo il radicamento persistente della violenza contro le donne affonda le proprie radici in un immaginario collettivo in cui i ruoli maschile e femminile non si sono ancora modificati. Possono essere cambiati modi e stili di vita, ma nell’immaginario sia maschile sia femminile, il ruolo delle donne viene ritrasmesso inalterato da generazione a generazione e la società è ancora profondamente a misura d’uomo. La violenza di genere ha dunque conservato un ruolo centrale nel dibattito pubblico, e sempre più è andata aumentando la consapevolezza di come non possa certamente essere considerata un fenomeno estraneo alle regole e alle norme che governano la vita sociale e, in particolare, al modo in cui si strutturano le relazioni di genere in una determinata società, come conferma la realtà quotidiana delle relazioni tra uomini e donne, fatta ancora di asimmetrie, disparità, umiliazioni e paure. Ciò significa che rimane un compito ineludibile per ogni società quello di costruire un’azione integrata degli attori politici, sociali e culturali con l’obiettivo di raggiungere insieme una convivenza di genere dinamica e cooperativa. Da una parte lo Stato deve intraprendere tutti gli sforzi necessari per adempiere alla propria responsabilità nel proteggere le donne dalle violazioni dei propri diritti. Spesso, infatti, misure preventive inadeguate, indifferenza della polizia di fronte agli abusi, incapacità di definire gli abusi come reati criminali, pregiudizi all’interno dei tribunali e procedure legali che impediscono una giusta persecuzione del crimine impediscono a molte donne, vittime di violenza, di vedere riconosciuti i propri diritti e ottenere giustizia. Serve quindi promulgare leggi che siano repressive dei comportamenti violenti, ma questo da solo non basta. Occorre anche procedere sul fronte della prevenzione, dell’educazione e della formazione. Infatti, forme di educazione discriminante rimangono largamente presenti nella trasmissione culturale implicita: sia nelle agenzie educative più informali, quali la famiglia, le associazioni, i luoghi di culto, i mezzi di comunicazione di massa, sia nelle stesse istituzioni scolastiche, attraverso il cosiddetto “curricolo nascosto”, che semplificando si identifica con la suddivisione dei tempi, degli spazi, con le aspettative diverse che gli adulti riservano ai bambini e alle bambine, con i punti focali dell’attenzione che i docenti rivolgono ai loro allievi e alle loro allieve, con il linguaggio stesso dei libri di testo. Non sfugge certo la grande importanza che rivestirebbe la possibilità per gli insegnanti, gli educatori, gli operatori nei mass media ecc. di usufruire di percorsi di formazione in merito a questo tema e la conseguente capacità degli stessi ad operare concretamente in tutte le principali agenzie formative, sul disvelamento e sulla decostruzione degli stereotipi di genere. La scuola per prima può e deve fare i conti con l’effettiva rilevanza di stereotipi e pregiudizi nel vissuto degli studenti, insegnare a coglierne l’origine sociale e culturale, fornire a tutti e tutte, in chiave sessuata ma non sessista, gli strumenti per una reale uguaglianza delle opportunità: essere, uomini e donne, diversi ma uguali per valore e reciprocamente interagenti nella relazione e nella socializzazione. 2 Per approfondire Adami C., Basaglia A., Tola V., Progetto Urban. Dentro la violenza: cultura, pregiudizi, stereotipi. Rapporto nazionale Rete Antiviolenza Urban, Franco Angeli, Milano, 2002. 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