ETNA, UNA COMPLESSA RELAZIONE TRA TETTONICA E

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ETNA, UNA COMPLESSA RELAZIONE TRA TETTONICA E VULCANISMO
L’Etna, il “tetto fumante” d’Europa, è uno dei vulcani più attivi al mondo. La sua mole
occupa una superficie di circa 1250 km2, con una circonferenza basale di circa 140 km ed
un’altezza superiore ai 3330 metri (varia sempre di qualche metro a seconda delle
modifiche apportate dalle eruzioni sommitali).
E’ caratterizzato da un’attività persistente di tipo stromboliano (esplosione di “bolle” di
magma in superficie accompagnate da boati e forte degassamento) che si manifesta sia nei
suoi crateri sommitali (Voragine, Bocca Nuova, Cratere di Sud-Est, e Cratere di Nord – Est) che
lungo fessure che si aprono sui suoi fianchi anche a bassa quota. Tale attività può poi
sfociare in colare laviche più o meno copiose di durata variabile.
Una panoramica del vulcano Etna ( sinistra) e dei suoi crateri sommitali (a destra)
Tuttavia la sua tipologia eruttiva è stata varia nel corso dei millenni, arrivando a esibire
anche eruzioni esplosive di notevole intensità, come la pliniana avvenuta nel 122 A.C.
Questo perché sorge in una regione molto complessa da un punto di vista geodinamico,
dove la struttura e la disposizione delle faglie giocano un ruolo importante nella sua
attività.
Le sue radici si collocano nella zona di convergenza tra moti compressivi, dovuti alla
subduzione della placca ionica al di sotto di Calabria e Sicilia, e distensivi dovuti al moto
rotatorio della placca africana in collisione contro quella euroasiatica.
Il contesto geodinamico sul quale poggia l’Etna, ovvero la disposizione tettonica dell’area
In particolare l’apparato vulcanico giace sulla crosta continentale siciliana al confine
esterno della catena appennino-magrebina, ed è circondato da tre domini tettonici: la
suddetta catena verso nord-ovest, gli Iblei a sud e il bacino Ionico ad est (apertosi durante
il Mesozoico e abortito nel Terziario).
Più superficiale, invece, è il sistema di faglie che frattura l’edificio vulcanico. Quella nota
come Pernicana delimita il confine tra il settore stabile dell’Etna, a nord, e quello che invece
collassa verso il mar Ionio. Qui vi è un’alta circolazione di fluidi che esercita una continua
aggressione chimica sulle rocce favorendo la loro rottura. Ne consegue che il fianco
orientale del vulcano è soggetto ad un lento ma continuo scivolamento verso sud - est ad
una velocità di circa 3 cm l’anno (che può arrivare ad alcuni decimetri nel corso di
eruzioni).
Carta strutturale dell’Etna che mostra la disposizione deile faglie principali. In alto a sinistra il dettaglio dei
crateri sommitali
Gli eventi sismici di questi giorni hanno interessato la zona profonda del vulcano, ed
appartengono ad un volume focale collocato ad una profondità di circa 30 km, quindi
molto vicino alla zona sorgente del magma. Quest’ultima è il luogo in cui il mantello (la
Moho) risale assumendo la forma di un cuneo, ed e testimoniata da un’anomalia termica.
Da qui abbiamo poi la risalita verso le camere magmatiche più superficiali; una collocata a
circa 3-7 km di profondità e l’altra proprio dentro l’apparato vulcanico ad 1 – 1.5 km di
profondità. Più confusa, invece, è la situazione che si ha tra i 15 e i 20 km di profondità
dove abbiamo un’anomalia che si pensa dovuta ad un processo di cristallizzazione
frazionata del fuso magmatico, ovvero una perdita di prosseni ed olivine e quindi un
alleggerimento della miscela magmatica.
Un’interpretazione schematizzata dell’interno del vulcano che mette in luce la posizione della zona di
accumulo rispetto al Plateau Ibleo
Il meccanismo focale si attiva con cadenza di 3-4 anni circa; negli ultimi 20 anni ci sono
stati 4-5 eventi, di cui l’ultimo sciame nel 2009 di durata ed intensità superiore a quello che
si sta verificando ora.
Quest’ultimo si era localizzato nel medio versante Nord-occidentale del vulcano, a circa 3
km SW da M. Maletto, raggiungendo una magnitudo 4.6 la mattina del 19 dicembre 2009
(localizzato strumentalmente 4 km a sud di Maletto, mentre a Bronte era stato avvertito un
forte boato) dopo essere stato preceduto da altri eventi tra cui uno di magnitudo 4.3. Gli
ultimi eventi associabili a questo sciame si sono registrati il 31 dicembre 2009, ed hanno
concluso una sequenza di circa 150 scosse.
Alla luce di queste considerazioni, e di quelli che sono i numerosi aspetti ancora da
chiarire dell’area in questione, possiamo solo fare ipotesi su ciò che sta avvenendo ed è
avvenuto in passato.
Una ragionevole è che lo sciame sismico sia sì ascrivibile a movimenti profondi di natura
tettonica, ma non si può escludere che ci sia una mutua interazione col sistema vulcanico.
In particolare è possibile che la circolazione di fluidi, o la risalita d’impulsi di magma dalle
profondità, possa in un qualche modo interagire con le faglie presenti coadiuvando il loro
movimento (specifichiamo che si tratta di faglie sepolte, ovvero profonde che non hanno
una manifestazione in superficie, della cui natura e dinamica non possediamo
informazioni); e, a loro volta, queste ultime caratterizzano l’attività vulcanica.
Per quello che riguarda l’attività di Stromboli, che nella giornata di ieri 22 novembre ha
emesso una forte sbuffata (d’intensità circa sette volte superiore alla media) che si è spinta
fino a circa 3 chilometri di altezza, non ci sono collegamenti con l’attività tettonica
profonda etnea. I due vulcani appartengono a dinamiche litosferiche differenti. Inoltre non
è insolito che il “Faro del Mediterraneo” produca esplosioni più violente che rientrano
nella sua normale tipologia.
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