Dott. Gaetano Petrelli

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Aggiornato al 25 luglio 2010
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Allineamento catastale e pubblicità immobiliare:
l’art. 29, comma 1-bis, della legge 27 febbraio 1985, n. 52
1. L’INTERAZIONE
TRA REGISTRI IMMOBILIARI E CATASTO NELL’EVOLUZIONE DEL
SISTEMA ED IL RUOLO DEL NOTAIO. ................................................................................ 2
1.1. Premessa. L’attivazione dell’anagrafe immobiliare integrata; rapporti tra
pubblicità immobiliare e catasto................................................................................... 2
1.2. L’utilizzo dei dati delle trascrizioni immobiliari per finalità di interesse pubblico. 4
1.3. La funzione del notaio nel sistema della pubblicità immobiliare. ........................... 6
1.4. L’indicazione dei dati catastali negli atti: disciplina codicistica, legislazione
catastale e giurisprudenza in tema di dispensa dall’obbligo di visure........................... 7
1.5. L’individuazione “a fini fiscali” del “soggetto titolare di diritti reali”. ................. 8
2. L’ÀMBITO DI APPLICAZIONE DELL’ART. 29, COMMA 1-BIS, DELLA LEGGE N. 52/1985... 9
2.1. Gli atti soggetti alla nuova disciplina. ................................................................... 9
2.2. Le vicende giuridiche oggetto degli atti. .............................................................. 11
2.3. Le categorie di immobili. ..................................................................................... 18
2.3.1. Premessa. Fabbricati esistenti e fabbricati non ultimati. .................................... 18
2.3.2. I fabbricati urbani in corso di ristrutturazione.................................................... 21
2.3.3. I fabbricati urbani improduttivi di reddito. ........................................................ 22
2.3.4. Le unità immobiliari urbane di proprietà condominiale e in uso esclusivo. ........ 23
2.3.5. Le aree di pertinenza dei fabbricati urbani......................................................... 24
2.3.6. I posti auto scoperti........................................................................................... 26
2.3.7. I fabbricati rurali............................................................................................... 27
3. LE PRESCRIZIONI NORMATIVE RIGUARDO ALLA “CONFORMITÀ OGGETTIVA”. ............. 29
3.1 L’identificazione catastale dei fabbricati ed il riferimento alle planimetrie
depositate in catasto................................................................................................... 29
3.2. La conformità delle planimetrie e dei dati catastali con lo stato di fatto............... 31
3.3. La sanzione della nullità...................................................................................... 35
3.4. Obblighi del notaio in relazione alla conformità oggettiva................................... 38
3.5. Conseguenze della dichiarazione falsa od erronea delle parti o del tecnico. ........ 40
4. LE PRESCRIZIONI RELATIVE ALLA CONFORMITÀ “SOGGETTIVA” DELL’INTESTAZIONE
CATASTALE CON LE RISULTANZE DEI REGISTRI IMMOBILIARI. ........................................ 42
4.1. La verifica della conformità soggettiva: ratio e perimetro applicativo del secondo
periodo del comma 1-bis. ........................................................................................... 42
4.2. L’individuazione degli intestatari catastali. ......................................................... 45
4.3. L’identificazione delle “risultanze dei registri immobiliari”; la continuità delle
trascrizioni. ................................................................................................................ 46
4.4. Gli obblighi del notaio. Attività preliminari ed attività successive alla stipula. .... 51
4.5. La mancanza di “atti legali” di provenienza........................................................ 53
4.6. Conseguenze della violazione degli obblighi posti a carico del notaio. ................ 55
1. L’interazione tra registri immobiliari e catasto nell’evoluzione del sistema ed il
ruolo del notaio.
1.1. Premessa. L’attivazione dell’anagrafe immobiliare integrata; rapporti tra pubblicità
immobiliare e catasto.
Nell’àmbito dei provvedimenti dettati dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, contenente
“misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”,
occupa un posto di spicco la disciplina contenuta nell’art. 19, sotto la rubrica
“aggiornamento del catasto”. La disposizione prevede l’attivazione, a partire dal 2011,
dell’«Anagrafe Immobiliare Integrata”, attuando in tal modo la previsione contenuta
nell’art. 64 del d. lgs. 30 luglio 1999, n. 300, nello Statuto dell’Agenzia del Territorio e
nella successiva legislazione tributaria 1, e realizzando così un obiettivo che era da
tempo perseguito 2: l’art. 19, comma 1, chiarisce che “l’Anagrafe Immobiliare Integrata
attesta, ai fini fiscali, lo stato di integrazione delle banche dati disponibili presso
l’Agenzia del Territorio per ciascun immobile, individuandone il soggetto titolare di
diritti reali”. In questo contesto, e con queste finalità, il comma 14 dell’art. 19 – come
integrato dalla legge di conversione – ha modificato l’art. 29 della legge 27 febbraio
1985, n. 52, aggiungendovi il seguente comma 1-bis:
"Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il
trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su
fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere,
per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il
riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli
intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie,
sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può
essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla
1
A norma dell’art. 64, comma 1, del d. lgs. n. 300/1999, istitutivo delle Agenzie fiscali, “L’agenzia
del territorio è competente a svolgere i servizi relativi al catasto, i servizi geotopocartografici e quelli
relativi alle conservatorie dei registri immobiliari, con il compito di costituire l’anagrafe dei beni
immobiliari esistenti sul territorio nazionale sviluppando, anche ai fini della semplificazione dei rapporti
con gli utenti, l’integrazione fra i sistemi informativi attinenti alla funzione fiscale ed alle trascrizioni ed
iscrizioni in materia di diritti sugli immobili”.
Ai sensi dell’art. 2, comma 1, del Provvedimento in data 13 dicembre 2000 (pubblicato nel Suppl.
ord. alla G.U. n. 193 del 21 agosto 2000), che approva lo statuto dell’Agenzia del Territorio, quest’ultima
“svolge tutte le funzioni ed i compiti statali ad essa attribuiti dalla legge in materia di catasto, di servizi
geotopocartografici e di conservazione dei registri immobiliari; costituisce l’anagrafe integrata dei beni
immobiliari esistenti sul territorio nazionale”. Ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. a), compete all’Agenzia
la “gestione dell’anagrafe integrata dei beni immobiliari”.
L’art. 1, comma 56, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, ha successivamente istituito il sistema
integrato delle banche dati in materia tributaria e finanziaria, finalizzato alla condivisione ed alla
gestione coordinata delle informazioni dell’intero settore pubblico per l’analisi ed il monitoraggio della
pressione fiscale.
2
Si veda l’art. 9, comma 12, del D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito in legge 26 febbraio
1994, n. 133, che demandava ad un successivo regolamento di stabilire che “il conservatore può
rifiutare, ai sensi dell’articolo 2674 del codice civile, di ricevere note e titoli e di eseguire la trascrizione
di atti tra vivi contenenti dati identificativi degli immobili oggetto di trasferimento o di costituzione di
diritti reali, non conformi a quelli acquisiti al sistema alla data di redazione degli atti stessi”. Parimenti,
a norma del successivo comma 13, “Qualora si renda necessario richiedere che negli atti soggetti a
trascrizione od iscrizione vengano dichiarati dati ulteriori relativi agli immobili, nonché alla loro
conformità con le rappresentazioni grafiche in catasto, le relative modalità e tempi sono stabiliti con
appositi regolamenti governativi, nei quali è prevista per i privati anche la facoltà di fornire tali dati
mediante autocertificazione, ai sensi della legge 4 gennaio 1968, n. 15”. I regolamenti, previsti dai
surriportati commi 12 e 13, non sono stati mai emanati, a causa evidentemente dell’insufficiente stato di
integrazione delle diverse banche dati, ipotecaria e catastale.
2
presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti
atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le
risultanze dei registri immobiliari”.
La portata della disposizione può essere adeguatamente colta solo se inquadrata
sistematicamente nel complesso delle previsioni normative che disciplinano l’utilizzo a
fini fiscali dei dati risultanti dai registri immobiliari. A tal fine è necessario valutare
preliminarmente l’insieme delle disposizioni codicistiche e delle leggi speciali che
disciplinano la materia, premettendo qui alcuni rilievi metodologici.
La precisazione – aggiunta dalla legge di conversione – che la conformità richiesta
dalla legge deve essere dichiarata “sulla base delle disposizioni vigenti in materia
catastale”, rinvia all’intera normativa, di rango sia primario che secondario, costituente
l’ordinamento del catasto italiano 3. Il catasto è l’inventario delle proprietà
immobiliari, diretto a formare un “registro di anagrafe generale degli immobili” 4 dai
molteplici utilizzi 5: uno di essi è dato dalla funzione civilistica di identificazione degli
immobili, in particolare nel procedimento attuativo della pubblicità immobiliare 6, ed al
fine di costituire un “ausilio pratico” nelle ricerche relative ai trapassi ed alla titolarità
della proprietà immobiliare (c.d. pubblicità di fatto) 7. Il catasto ha poi un importante
scopo fiscale 8, essendo sua finalità istituzionale quella di consentire l’equa ripartizione
delle imposte fondiarie (art. 1, n. 2, del r.d. 8 ottobre 1931, n. 1572), e quella di
determinare la base imponibile ai fini di alcune imposte indirette, e dell’imposta
3
Cfr. BUCCICO, Il catasto. Profili procedimentali e processuali, Napoli, 2008; CASINI, Il catasto
e i registri immobiliari, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da Cassese, Diritto amministrativo
speciale, I, Milano, 2003, p. 3 ss.; SALANITRO, Profili sostanziali e processuali dell’accertamento
catastale, Milano, 2003; D’AMATI, Catasto (dir. trib.), in Enc. giur. Treccani, VI, Roma,
Aggiornamento 2003; GHINASSI, Catasto, in Enc. dir., Aggiornamento, IV, Milano, 2000, p. 241;
PETRUCCI, Catasto, in Digesto discipline privatistiche, sez. comm., III, Torino 1988, p. 31;
MOLTENI–SACCONE, Catasto (diritto amministrativo), in Enc. giur. Treccani, VI, Roma 1988;
PETRUCCI, Catasto, in Novissimo dig. it., Appendice, I, Torino 1980, p. 1080; RUMBOLDT, Catasto
(diritto attuale), in Enc. dir., VI, Milano 1960, p. 495; RUMBOLDT, Catasto, in Novissimo dig. it., III,
Torino, 1959, p. 3; D’AMATI, Catasto (diritto tributario), in Enc. giur. Treccani, VI, Roma, 1988;
PETRUCCI, Mappa ed altri documenti catastali, in Novissimo dig. it., Appendice, IV, Torino, 1983, p.
1122; MARGIOCCHI, Mappa ed altri documenti catastali, in Novissimo dig. it., X, Torino, 1964, p.
200.
4
SALANITRO, Profili sostanziali e processuali dell’accertamento catastale, cit., p. 5.
5
Ad esempio, nei procedimenti urbanistici, o di espropriazione per pubblica utilità, o a fini statistici:
GALGANO, Diritto civile e commerciale, IV, Padova, 2004, p. 296.
6
PUGLIATTI, La trascrizione, I – La pubblicità in generale, Milano, 1957, p. 275, e nota 240; ID.,
La trascrizione, II – L’organizzazione e l’attuazione della pubblicità patrimoniale, Milano, 1989, p. 253
ss.; GALGANO, Diritto civile e commerciale, IV, cit., p. 296; SALANITRO, Profili sostanziali e
processuali dell’accertamento catastale, cit., p. 5; GALOPPINI, L’individuazione catastale dei beni
immobili: problemi giuridici, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1985, p. 602; TAGLIAPIETRA,
L’individuazione giuridica dei beni immobili, in Riv. dir. civ., 1990, II, p. 37.
Fine istituzionale del catasto è, infatti, anche quello di “accertare le proprietà immobiliari, e di
tenerne in evidenza le mutazioni” (art. 1 della legge 1 marzo 1886, n. 3682; art. 1 del r.d. 8 ottobre 1931,
n. 1572; artt. 1, n. 1, e 17 del r.d.l. 13 aprile 1939, n. 652).
7
PUGLIATTI, La trascrizione, I – La pubblicità in generale, cit., p. 275 e 277; RESTAINO, La
pubblicità immobiliare fra attualità e prospettive, in La casa di abitazione tra normativa vigente e
prospettive, II – Aspetti civilistici, Milano, 1986, p. 496; TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile,
Padova, 2005, p. 233, nota 4.
8
Sulla prioritaria funzione tributaria del catasto, cfr. AURICCHIO, La individuazione dei beni
immobili, Napoli, 1960, p. 18; RUMBOLDT, Catasto (diritto attuale), cit., p. 495; GHINASSI, Catasto,
cit., p. 241; PUGLIATTI, La trascrizione, I – La pubblicità in generale, cit., p. 274 ss.; GALGANO,
Diritto civile e commerciale, IV, cit., p. 296; TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, p. 233;
GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2006, p. 300; CASINI, Il catasto e i registri immobiliari,
cit., p. 4; BUCCICO, Il catasto. Profili procedimentali e processuali, cit., p. 3.
3
comunale sugli immobili 9. Quanto appena detto riveste un rilievo determinante ai fini
dell’interpretazione della novella in commento: deve ritenersi necessario – sul piano
metodologico – fare riferimento, nell’interpretazione del nuovo art. 29, comma 1-bis,
della legge n. 52/1985, non solo alla normativa catastale ivi espressamente richiamata
(dopo le modifiche apportate con la legge di conversione), ma anche alle norme
tributarie, le quali contribuiscono in vario modo a definire i concetti impiegati nella
nuova disposizione. Primo fra tutti quello di unità immobiliare urbana: in base alla
vigente normativa catastale e tributaria, l’aspetto della “suscettibilità reddituale”
costituisce parte integrante della nozione di “unità immobiliare urbana”, impiegata
dall’art. 29, comma 1-bis, della legge n. 52/1985 10: conseguentemente – lo si vedrà
meglio in dettaglio nel prosieguo del lavoro – le norme tributarie che disciplinano i
presupposti per l’esistenza e l’attribuzione del reddito dei fabbricati assumono
rilevanza diretta nel procedimento ermeneutico, diretto a delimitare l’àmbito di
applicazione della novella.
Le norme tributarie e quelle catastali non sono, peraltro, le uniche a venire in
considerazione. Non è senza significato che la novella – in luogo di intervenire su una
legge catastale, o su una legge tributaria – abbia modificato la legge n. 52/1985, che
detta disposizioni in materia di pubblicità immobiliare: l’obiettivo di natura fiscale –
che costituisce la ratio immediata della nuova disciplina – è perseguito non solo
mediante l’aggiornamento della banca dati catastale, ma altresì accrescendo, tramite
quest’ultima, il livello di affidabilità e di sicurezza garantito dal sistema di pubblicità
immobiliare. Quest’ultimo a sua volta, istituzionalmente deputato a garantire la
sicurezza giuridica, crea un più solido fondamento dell’azione amministrativa, diretta
anche – ma non solo – all’accertamento ed alla riscossione dei tributi 11. Si tratta,
quindi, di una integrazione reciproca delle due banche dati, ipotecaria e catastale, nella
anagrafe immobiliare integrata: con essa il legislatore – cambiando rotta rispetto al
passato – impone oggi un “allineamento” – in senso bidirezionale – delle risultanze del
catasto a quelle dei registri immobiliari, e viceversa.
1.2. L’utilizzo dei dati delle trascrizioni immobiliari per finalità di interesse pubblico.
La disciplina in commento fa seguito ad una importante legislazione che, nel tempo,
ha previsto un utilizzo sempre più intensivo dei registri immobiliari ai fini
9
GHINASSI, Catasto, cit., p. 241; SALANITRO, Profili sostanziali e processuali
dell’accertamento catastale, cit., p. 6.
10
Ai sensi dell’art. 5 del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652 (contenente disposizioni sull’accertamento e
la formazione del nuovo catasto edilizio urbano), “Si considera unità immobiliare urbana ogni parte di
immobile che, nello stato in cui si trova, è di per se stessa utile ed atta a produrre un reddito proprio”. A
norma dell’art. 40 del D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142 (regolamento per la formazione del nuovo catasto
edilizio urbano), “Si accerta come distinta unità immobiliare urbana ogni fabbricato, o porzione di
fabbricato od insieme di fabbricati che appartenga allo stesso proprietario e che, nello stato in cui si
trova, rappresenta, secondo l’uso locale, un cespite indipendente”. Infine, ai sensi dell’art. 36, comma 2,
del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917 (testo unico in materia di imposte sui redditi), “Per unità immobiliari
urbane si intendono i fabbricati e le altre costruzioni stabili o le loro porzioni suscettibili di reddito
autonomo”.
11
La finalità “non solo fiscale”della novella emerge chiaramente dal preambolo della Circ. Agenzia
Territorio 9 luglio 2010, n. 2/T: “La ratio ad essa sottesa, da inquadrare anche nell’ambito della
progressiva realizzazione della Anagrafe Immobiliare Integrata, appare sostanzialmente diretta a
consentire il miglioramento della qualità delle banche dati catastali e di pubblicità immobiliare, in
termini di coerenza sostanziale e non solo formale, con un indubbio impatto positivo sull’affidabilità
delle informazioni che potranno confluire nella predetta Anagrafe Immobiliare, per il rilascio dei servizi
ad essa correlati. Ulteriore finalità, di analogo rilievo, è quella tesa a far emergere possibili fenomeni di
elusione ed evasione fiscale, nel settore impositivo immobiliare, connessi ad un mancato aggiornamento
dei dati oggettivi delle unità immobiliari urbane, ai quali può corrispondere una maggiore redditività,
rispetto a quella risultante in catasto”.
4
dell’aggiornamento della banca dati catastale 12, nonché per conseguire obiettivi di
natura tributaria 13, e svariati scopi di natura pubblicistica 14. Alla luce di questa
imponente serie di dati normativi, sembrano appartenere ormai alla preistoria le
affermazioni, rinvenibili nei lavori preparatori del codice civile del 1942, secondo le
quali “la trascrizione, quale istituto di diritto civile, deve essere, naturalmente, estranea
a preoccupazioni fiscali, le quali non dovrebbero trovar posto che nella loro particolare
sede” 15. Al contrario, la trascrizione – venutane meno l’esclusiva matrice privatistica –
è oggi pacificamente un istituto di ordine pubblico, informato ai princìpi di verità,
tendenziale completezza e sicurezza giuridica, e finalizzato a fornire un quadro il più
possibile veritiero dello stato della proprietà immobiliare. Sulla base di questi princìpi
devono essere interpretate, sistematicamente, le disposizioni del codice civile e delle
leggi speciali che ne disciplinano l’attuazione, e che regolano in particolare la
formazione dei titoli soggetti a trascrizione, ed i relativi controlli 16.
12
Le formalità di trascrizione vengono utilizzate ai fini dell’esecuzione in via automatica delle
volture catastali: cfr. l’art. 2 del D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito con modificazioni dalla legge 24
marzo 1993, n. 75; l’art. 2, comma 1, del D.M. 19 aprile 1994, n. 701; il Decreto dirigenziale del 15
ottobre 1998 (pubblicato nella G.U. n. 250 del 26 ottobre 1998); l’articolo 3–sexies, comma 2, del d. lgs.
18 dicembre 1997, n. 463; l’art. 5 del D.P.R. 18 agosto 2000, n. 308.
13
Svariate sono le modalità di utilizzo “diretto” delle risultanze dei registri immobiliari a fini
tributari. Si considerino, in particolare, oltre al collegamento e integrazione della banca dati ipotecaria
con quella catastale:
- il collegamento della banca dati relativa ai registri immobiliari con il sistema informativo
dell’anagrafe tributaria: art. 6, comma 1, lett. d), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 605, come modificato
dall’art. 1, comma 65, del D.L. 30 dicembre 1982, n. 953, convertito in legge 28 febbraio 1983, n. 53;
D.M. 7 giugno 1986 (pubblicato nella G.U. n. 134 del 12 giugno 1986); art. 1 del decreto interdirettoriale
14 giugno 2007 (pubblicato nella G.U. n. 139 del 18 giugno 2007); art. 2659, n. 1, c.c., come modificato
dalla legge n. 52/1985, che impone, a pena di rifiuto della trascrizione, di indicare nelle note di
trascrizione il codice fiscale delle parti;
- l’accesso facilitato ai registri immobiliari, consentito ai concessionari della riscossione, ai
funzionari e dipendenti dell’Agenzia delle Entrate, ai consorzi di bonifica e irrigazione, con l’obiettivo di
fornire a tali soggetti uno strumento efficiente ai fini dell’accertamento e della riscossione dei tributi:
art. 47, comma 2, e art. 47-bis, comma 1, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, come introdotti dall’art.
16 del D. Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, e dall’art. 3, comma 40, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203,
convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248; art. 17, comma 8, della legge 30
dicembre 1991, n. 413; art. 18 del D. Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, come modificato dall’art. 3, comma 36,
del D.L. 30 settembre 2005, n. 203; art. 8, comma 1, del D.M. 1 settembre 1992, n. 465; art. 32, comma
1, n. 6, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; art. 31 della legge 13 maggio 1999, n. 133;
- l’utilizzo diretto delle risultanze dei registri immobiliari ai fini dei controlli in materia di imposte
sui redditi, di imposta sul valore aggiunto ed altre imposte indirette: art. 16, comma 2, lett. b), del D.M.
30 dicembre 1993 (pubblicato nella G.U. n. 306 del 31 dicembre 1993); art. 3, comma 13–quinquies, del
D.L. 27 aprile 1990, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 26 giugno 1990, n. 165 (ora abrogato
dall’art. 23 della legge 29 luglio 2003, n. 229);
- l’utilizzo della banca dati ipotecaria da parte dei Comuni e degli altri enti locali, ai fini
dell’accertamento riguardante i tributi di relativa competenza, ovvero per consentire la partecipazione
dei Comuni all’attività di accertamento riguardante le imposte di competenza statale: Decreto
Direttoriale in data 18 dicembre 2007 (pubblicato nella G.U. n. 296 del 21 dicembre 2007); art. 12,
comma 3, del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate in data 3 dicembre 2007
(pubblicato nella G.U. n. 292 del 17 dicembre 2007); Provvedimento del direttore dell’Agenzia del
Territorio in data 16 giugno 2008 (pubblicato sul sito Internet dell’Agenzia del Territorio in data 19
giugno 2008, ai sensi dell’art. 1, comma 361, della legge 24 dicembre 2007, n. 244).
14
Cfr. PETRELLI, Pubblicità legale e trascrizione immobiliare tra interessi privati e interessi
pubblici, in Rass. dir. civ., 2009 (anche in http://www.gaetanopetrelli.it/), p. 689 ss., spec. p. 706 ss.
15
Cfr. le Osservazioni e proposte sul progetto del libro secondo, Cose e diritti reali, III, Roma,
1938, p. 221.
16
PETRELLI, Pubblicità legale e trascrizione immobiliare tra interessi privati e interessi pubblici,
cit., p. 728 ss.
5
1.3. La funzione del notaio nel sistema della pubblicità immobiliare.
Il codice civile del 1942 attribuisce al notaio un ruolo primario, al fine di rendere
possibile l’efficiente funzionamento della pubblicità immobiliare. Innanzitutto, l’art.
2657 c.c. richiede l’autenticità del titolo quale presupposto imprescindibile ai fini della
trascrizione, in ragione del filtro così operato mediante i controlli preventivi di legalità,
identità, capacità e legittimazione svolti da parte del notaio 17. In secondo luogo, l’art.
2671 c.c. pone a carico del notaio, o altro pubblico ufficiale che ha ricevuto o
autenticato l’atto “soggetto a trascrizione”, “l’obbligo di curare che questa venga
eseguita”. Autorevole dottrina ha correttamente evidenziato trattarsi di obbligo
pubblicistico, inderogabile e non dispensabile dalle parti 18, che non si esaurisce nella
“richiesta” della formalità, ma si concretizza nel compimento di ogni attività utile al
fine di ottenere il “risultato” della trascrizione; ivi compreso, ad esempio, quello di
proporre reclamo a fronte di un rifiuto ingiustificato di trascrivere da parte del
conservatore 19.
E’, quindi, il notaio – in veste di pubblico ufficiale e “ausiliario” del conservatore 20
– a redigere la nota di trascrizione, inserendo in essa i dati richiesti dalla legge (art.
2659 c.c.). E’ sempre il notaio a formare il titolo idoneo alla trascrizione, inserendo o
verificando che siano inseriti nello stesso – o nei relativi allegati 21 – i dati necessari,
che devono corrispondere a quelli da inserirsi, da parte del medesimo notaio a norma
dell’art. 2671 c.c., nelle note di trascrizione 22. Il notaio quindi, coadiuva il
conservatore nell’esecuzione dei controlli preventivi, finalizzati ad ammettere l’accesso
nei pubblici registri ai soli titoli “idonei”, sotto il profilo della legalità sia formale che
sostanziale; soprattutto, per ciò che qui interessa il notaio è giuridicamente “autore” dei
documenti rilevanti a tal fine (titolo e nota), e tali documenti redige – è importante
ribadirlo – nella sua veste di pubblico ufficiale, e non di consulente delle parti. Pubblico
ufficiale il cui dovere primario ed inderogabile – in questo particolare àmbito – è quello
di inserire nei pubblici registri solo dati “veritieri” e “affidabili”. Non a caso la prassi
17
Cfr. PETRELLI, L’autenticità del titolo della trascrizione nell’evoluzione storica e nel diritto
comparato, in Riv. dir. civ., 2007, I (anche in http://www.gaetanopetrelli.it/), p. 585 ss.
18
GABRIELLI, Limiti di ammissibilità di una dispensa del notaio dal dovere di provvedere alla
pubblicità immobiliare, in Rass. dir. civ., 1996, p. 572.
19
GENTILE, La trascrizione immobiliare, Napoli, 1959, p. 583, nota 52; App. Palermo 17 gennaio
1992, in Vita not., 1992, p. 344.
20
Per la qualificazione del notaio, o altro pubblico ufficiale obbligato ex art. 2671 c.c., come
ausiliario del conservatore dei registri immobiliari, PUGLIATTI, La trascrizione, I – La pubblicità in
generale, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1957, p. 339.
21
E’ pacifico che i vincoli legali, anche di contenuto, riguardino oltre all’atto notarile vero e proprio
anche i relativi allegati, che ne costituiscono parte integrante: cfr. BOERO, Deposito di atti e documenti,
in Digesto discipline privatistiche, sez. civ., V, Torino, 1989, p. 217; FALZONE-ALIBRANDI, Deposito
di atti e documenti presso il notaio, in Dizionario Enciclopedico del Notariato, II, Roma, 1974, p. 75;
FALZONE-ALIBRANDI, Plico chiuso, in Dizionario Enciclopedico del Notariato, III, Roma, 1977, p.
303 ss.; CALÒ, Deposito di software presso un notaio, in Studi e Materiali, I, Milano, 1986, p. 416 ss. Si
ritiene altresì, comunemente, che l'
allegato, per il solo fatto di essere unito all'
atto pubblico (e come tale
munito delle sottoscrizioni, sia pur marginali, del notaio e delle parti) acquisisca natura di scrittura
privata autenticata: RESCIO, Sulla natura e sulla forma degli statuti societari, in Riv. soc., 2005, p. 788789. Opinione, quest’ultima, condivisibile in linea generale, mentre diversa è la conclusione valida per lo
statuto societario: cfr. PETRELLI, Ancora su atto costitutivo e statuto: il contenuto dell’atto pubblico e
l’essenza della funzione notarile, in Riv. dir. priv., 2006, p. 377 ss.
22
Quanto detto nel testo vale principalmente per l’atto pubblico, redatto sotto la direzione del notaio
a norma dell’art. 47 della legge n. 89/1913; ma vale anche per la scrittura privata autenticata, anch’essa
soggetta al controllo notarile di legalità (a norma dell’art. 28, n. 1, della stessa legge notarile, come
modificato dalla legge n. 246/2005), ed il cui contenuto deve essere quindi “adeguato” alle norme
inderogabili di legge (cfr. PETRELLI, L’indagine della volontà delle parti e la «sostanza» dell’atto
pubblico notarile, in Riv. not., 2006, p. 29 ss.); a pena – per quanto riguarda il profilo in esame – di
esclusione dal novero degli atti “soggetti a trascrizione”, agli effetti dell’art. 2671 c.c.
6
amministrativa richiede che i dati anagrafici da inserire nelle note di trascrizione siano
tratti dai corrispondenti documenti di stato civile, e non rimessi alla mera dichiarazione
delle parti 23. La stessa cosa, evidentemente, vale per quanto riguarda i dati catastali.
La novella in commento valorizza oggi opportunamente la centralità della funzione
notarile, confidando evidentemente nell’apporto professionalmente qualificato del
pubblico ufficiale, che è in grado di assicurare la conformità, sia soggettiva che
oggettiva, dei dati catastali rispetto a quelli inseriti nei registri immobiliari; con
l’obiettivo finale dell’attuazione dell’anagrafe immobiliare integrata, la quale
rappresenta a sua volta il preludio di un sistema di libri fondiari, che
l’informatizzazione e l’evoluzione dei controlli di legalità ha reso obiettivo non più
irraggiungibile.
1.4. L’indicazione dei dati catastali negli atti: disciplina codicistica, legislazione
catastale e giurisprudenza in tema di dispensa dall’obbligo di visure.
Ai fini dell’iscrizione dell’ipoteca, l’art. 2826 c.c. richiede, già dal 1942, la
necessaria indicazione nel relativo atto di concessione dei dati di identificazione
catastale. Con riferimento agli atti soggetti a trascrizione, invece, l’art. 2659, n. 4, c.c.,
richiede l’indicazione dei suddetti dati unicamente nella nota, e non nel titolo. Una
differenza di disciplina difficilmente spiegabile se non sulla base della diversa
tradizione storica degli istituti, e che poteva far dubitare, prima della novella in esame,
della inderogabile necessità – ai fini della trascrizione – di inserire nel titolo i suddetti
dati, ogni qualvolta l’immobile vi fosse stato in altro modo descritto compiutamente.
Teoricamente era, certo, possibile sostenere la non necessità di indicazione dei dati
catastali nel titolo, in presenza di altri elementi di descrizione univoci; praticamente, ciò
risultava tuttavia possibile solo in casi particolari (es., vendita di un intero piano di un
edificio 24), essendo il più delle volte indispensabile il dato catastale proprio ai fini del
riscontro di corrispondenza con quanto indicato nella nota, che il conservatore deve
effettuare.
Sopperiva, peraltro, alla lacuna codicistica la legislazione in materia catastale, la
quale imponeva – come regola – l’indicazione dei dati di identificazione catastale
nell’atto soggetto a voltura (artt. 3 e 4 del d.p.r. n. 650/1972). Nessuna disposizione
imponeva però il riscontro dei suddetti dati identificativi con le planimetrie catastali, al
fine di riscontrare la corrispondenza tra la consistenza da esse risultante con quella
effettivamente oggetto di trasferimento.
Non vi era, d’altra parte, certezza che i dati catastali inseriti nell’atto fossero,
effettivamente, aggiornati e corrispondenti a quelli risultanti dalla banca dati catastale.
L’art. 4, comma 2, del d.p.r. n. 650/1972 imponeva, è vero, l’inserimento di dati
aggiornati, ma il successivo comma 3 consentiva poi di “derogare dalla norma di cui al
precedente comma per atti di eccezionale e dichiarata urgenza” 25. Alla luce di questa
disciplina – di chiara impronta pubblicistica – doveva essere interpretata la
giurisprudenza che ammetteva la possibilità per le parti di dispensare il notaio
23
Circ. Min. Fin., Direzione Catasto, 2 maggio 1995, n. 128/E, paragrafo 3.3.
Cfr. Cass. 3 giugno 1995, n. 6269, in Giust. civ., 1995, I, p. 2664.
25
Dispone sul punto l’art. 4, commi 2 e 3, del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 650, che “Negli atti e nelle
denunce di cui al primo e secondo comma del precedente art. 3, così come nelle domande di volture da
essi dipendenti, gli immobili trasferiti devono essere descritti con gli estremi con i quali sono individuati
in catasto da desumersi da certificati catastali di date non anteriori a tre mesi rispetto a quelle dei
medesimi atti o denunce. È però consentito derogare dalla norma di cui al precedente comma per atti di
eccezionale e dichiarata urgenza. In tal caso nelle dipendenti domande di volture deve essere resa
esplicita dichiarazione che gli estremi con i quali sono descritti gli immobili di cui si chiede la voltura,
benché desunti da certificati di data posteriore agli atti, identificano esattamente gli immobili sui quali si
esercitano i diritti trasferiti”.
24
7
dall’obbligo di eseguire le visure ipotecarie e catastali nei soli casi di urgenza. La
giurisprudenza, in effetti, non ha mai consentito una dispensa “incondizionata”
dall’obbligo di visure, sempre subordinandola alla ricorrenza di esigenze “oggettive”
delle parti 26. Un tale orientamento non era, peraltro, agevolmente armonizzabile con la
giustificazione teorica dell’obbligo notarile di visure, che dottrina e giurisprudenza
collocavano nel contratto d’opera professionale, anziché ricollegarlo alla funzione
pubblica del notaio, in tale ottica ammettendo la disponibilità del medesimo obbligo ad
opera delle parti 27. D’altra parte, l’art. 4, comma 3, del d.p.r. n. 650/1972, privilegiava
– nel bilanciamento tra l’interesse delle parti alla stipula urgente dell’atto, e l’interesse
pubblico alla completa indicazione dei dati catastali nell’atto – il primo dei due, e ciò
ha probabilmente impedito fino ad oggi di trarre le necessarie conseguenze dal tenore,
invero abbastanza chiaro, di detta disposizione.
1.5. L’individuazione “a fini fiscali” del “soggetto titolare di diritti reali”.
Il suddescritto panorama normativo, già fortemente caratterizzato in senso
pubblicistico, è ora modificato dalla nuova disciplina dettata dall’art. 19 del d.l. n.
78/2010. Viene disposta l’attivazione dell’anagrafe immobiliare integrata, la quale
“attesta, ai fini fiscali, lo stato di integrazione delle banche dati disponibili presso
l’Agenzia del Territorio per ciascun immobile, individuandone il soggetto titolare di
diritti reali”. Viene, nel contempo, demandata a successivi decreti la disciplina della
“attestazione integrata ipotecario-catastale”, con le suddescritte finalità 28.
Merita attenzione, per ciò che qui interessa, l’obiettivo di “individuazione del
soggetto titolare dei diritti reali”, espressamente posto “ai fini fiscali”. L’anagrafe
immobiliare integrata è finalizzata all’accertamento – ed alla conoscibilità legale – della
titolarità civilistica del diritto reale, per la ragione che quest’ultima costituisce il
presupposto impositivo, che consente di individuare il soggetto passivo delle imposte
fondiarie. Per raggiungere questo obiettivo, il legislatore si serve dei registri
immobiliari, i quali sono l’unico strumento oggi esistente, idoneo a consentire – sia
pure in modo approssimativo ed imperfetto, e senza piena efficacia probatoria –
l’individuazione dei titolari dei diritti reali. La novella non trasforma quindi la
trascrizione immobiliare in uno strumento di “pubblicità di diritti”, ma integra la
“pubblicità di atti”, costituita dalle complessive risultanze dei registri immobiliari, con
la banca dati catastale, da sempre impostata su base reale, al fine di desumere da
quest’ultima – con il grado di certezza che il sistema è in grado di assicurare – la
titolarità dei diritti reali.
D’altra parte, al fine di conseguire il suddetto obiettivo di accertamento della
titolarità del diritto reale, il legislatore – con il nuovo comma 1-bis dell’art. 29 della
legge n. 52/1985 – ha individuato nel notaio, incaricato di formare il titolo autentico,
richiesto ai fini della trascrizione dall’art. 2657 c.c., e quindi di richiedere la
trascrizione e la voltura catastale, il soggetto più idoneo – per la sua competenza tecnica
ed in considerazione del suo ruolo istituzionale – al fine di ottenere l’allineamento,
26
363.
Cfr. da ultima Cass. 1 dicembre 2009, n. 25270, in Giur. it., 2010, p. 1047, ed in Vita not., 2010, p.
27
Cfr. sulla questione PETRELLI, Visure ipotecarie, Milano, 1994, p. 7 ss.
L’integrazione delle due banche dati, ipotecaria e catastale, si rivela utile proprio per la loro
diversa impostazione, a base personale la prima, a base reale la seconda; in tal modo si agevola l’attività
di accertamento da parte degli enti impositori, che risulterebbe notevolmente complicata se dovesse farsi
riferimento ai soli registri immobiliari, stante la necessità di risalire indietro nel tempo al fine di
verificare la titolarità dei diritti reali. Titolarità che costituisce il presupposto impositivo, ai fini delle
imposte dirette sui redditi fondiari (art. 26 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), e dell’imposta
comunale sugli immobili (art. 3 del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504).
28
8
anche sul piano “soggettivo”, tra le risultanze dei registri immobiliari, e quelle del
catasto.
2. L’àmbito di applicazione dell’art. 29, comma 1-bis, della legge n. 52/1985.
2.1. Gli atti soggetti alla nuova disciplina.
Le nuove disposizioni si applicano agli atti pubblici ed alle scritture private
autenticate tra vivi. Ne sono quindi esclusi gli atti relativi a trasferimenti a causa di
morte: l’esclusione vale non solo per i testamenti, ma anche per gli atti riguardanti la
vicenda successoria (accettazioni di eredità, e simili), il cui oggetto non è,
specificamente, il trasferimento di diritti reali.
La norma si differenzia quindi da altre previsioni, che impongono prescrizioni
formali e contenutistiche per tutti gli “atti tra vivi, sia in forma pubblica sia in forma
privata”, quindi anche per le scritture private non autenticate (cfr., ad es., gli artt. 17, 18
e 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47; e gli artt. 30 e 46 del d.p.r. 6 giugno 2001, n.
380). La differenza si giustifica evidentemente in ragione della rilevanza in subiecta
materia del principio di autenticità, ossia dell’imposizione della forma pubblica o
autenticata per i titoli destinati alla pubblicità immobiliare (artt. 2657, 2821, 2835 c.c.):
essendo esclusa in radice la trascrizione e la voltura catastale in base a scrittura privata
non autenticata, il legislatore non si è posto evidentemente il problema di determinarne,
a pena di nullità, il contenuto.
A formare il suddetto titolo è innanzitutto il notaio. Non vi è dubbio, peraltro, che
anche nei casi eccezionali in cui la legge consente la formazione o autenticazione del
titolo con l’intervento di altro pubblico ufficiale autorizzato, diverso dal notaio (artt.
2699, 2703 c.c.), la norma trovi integrale applicazione, essendosi in presenza anche in
quel caso di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata, a cui le leggi speciali
estendono le prescrizioni dettate per gli atti notarili, in quanto compatibili (cfr., in
particolare, l’art. 19 del D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200, e l’art. 96 del R.D. 23 maggio
1924, n. 827).
Occorre, tuttavia, considerare che – ai fini della produzione degli effetti previsti dal
comma 1-bis dell’art. 29 (il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di
comunione di diritti reali su fabbricati) – è sufficiente ad validitatem la forma scritta
dell’atto (art. 1350 c.c.), essendo poi facoltà delle parti rendere il titolo successivamente
idoneo alla trascrizione mediante accertamento giudiziale delle sottoscrizioni (artt.
2657 e 2652, n. 3, c.c.). La nuova disciplina – se interpretata letteralmente – si
presterebbe però a facile elusione: il differente trattamento delle due categorie di
documenti (autentici, e non autentici) appare irragionevole, in considerazione degli
interessi pubblici coinvolti, a tal punto da sollevare il dubbio di legittimità
costituzionale della norma ricavata da un’interpretazione strettamente letterale. Al
problema non può, d’altronde, ovviarsi ritenendo applicabile la novella anche alle
scritture non autenticate, stante l’inequivoco dettato normativo che limita la nullità ai
soli documenti autentici. Il giudice è però obbligato, per pacifica giurisprudenza
costituzionale e di legittimità, all’interpretazione “adeguatrice”, la quale impone –
nella possibile alternativa tra diverse opzioni ermeneutiche – di dare la preferenza a
quella lettura del testo normativo che conduce alla conservazione della relativa validità,
e costituzionalità. Occorre, allora, esplorare un percorso alternativo: sulla base della
qualificazione della nullità prevista dal comma 1-bis come documentale, suscettibile
come tale di conversione a norma dell’art. 2701 c.c., il contenuto effettivo della norma
potrebbe consistere nel sancire l’inidoneità del titolo ai fini della pubblicità
immobiliare, in quanto sprovvisto dei requisiti di autenticità di cui all’art. 2657 c.c., ed
9
in quanto tale non trascrivibile (a norma dell’art. 2674, comma 1, c.c. che richiama il
suddetto art. 2657, ovvero – forse più plausibilmente – dell’art. 2674-bis c.c. 29). Né
sembra plausibile impedire la trascrizione dei soli titoli di formazione notarile, per
l’evidente irragionevolezza della disparità di trattamento che verrebbe così a crearsi
rispetto agli atti giudiziari ed amministrativi. Può allora ipotizzarsi l’interpretazione
estensiva, in chiave adeguatrice, della disposizione in esame: ritenendo che qualsiasi
titolo rientrante tra quelli “soggetti a trascrizione” debba avere i contenuti prescritti
dalla novella per essere trascrivibile, e che in mancanza dei riferimenti e dichiarazioni
riguardo alla conformità oggettiva, prescritti dal primo periodo del comma 1-bis
dell’art. 29, nella scrittura privata o in alternativa nella sentenza di accertamento delle
sottoscrizioni, il conservatore possa e debba rifiutare la trascrizione, anche se si tratta
di scrittura privata non autenticata con firme giudizialmente riconosciute 30.
Alla medesima conclusione, e con il medesimo procedimento interpretativo, deve
giungersi con riferimento ai provvedimenti giudiziari, non contemplati dalla
disposizione in esame. Si pensi alle sentenze costitutive, emanate a norma dell’art. 2932
c.c.: è vero che le eventuali nullità della sentenza sono coperte dalla preclusione del
giudicato (che copre sia il dedotto che il deducibile), ma la oggettiva inidoneità del
titolo giudiziario ai fini della trascrizione – argomentabile come sopra – permane
nonostante qualunque sanatoria. Per di più, l’inapplicabilità delle prescrizioni del
comma 1-bis potrebbe consentire l’elusione della relativa disciplina, nei casi in cui le
parti stipulassero appositamente un contratto preliminare di immobile catastalmente
non regolare, ed operassero quindi in modo da ottenere una sentenza, sostitutiva del
contratto definitivo non concluso. Lo stesso dicasi per i decreti di trasferimento, emessi
nella procedura di espropriazione forzata immobiliare (art. 586 c.p.c.); nonché, a
maggior ragione, per la vendita fallimentare la quale – pur essendo sottoposta al regime
delle vendite forzate (e quindi, tra l’altro, alla disciplina dell’art. 2929 c.c., che assicura
la stabilità di qualsiasi alienazione forzata) – può aver luogo anche mediante atto di
natura “negoziale” (cfr. gli artt. 107 ss. l. fall.).
Un caso particolare è poi quello dei trasferimenti immobiliari realizzati, in sede di
separazione personale dei coniugi o di divorzio, mediante verbale di udienza redatto
nell’àmbito del relativo procedimento, del quale secondo un orientamento dottrinale e
giurisprudenziale sarebbe ammessa la trascrizione 31, la quale è invece negata – con
maggior fondamento – da altra dottrina e giurisprudenza 32. Sul punto – a parte la
necessità di “restringere” interpretativamente la nozione di “atto pubblico” ex art. 2657
29
Alla conclusione indicata nel testo può giungersi all’esito di una lettura “evolutiva” e “funzionale”
dell’art. 2674-bis c.c., che consideri come “non trascrivibile” il titolo privo di requisiti formali e
contenutistici, espressamente prescritti dalla legge ai fini del perseguimento di importanti interessi
pubblici; a differenza del precedente art. 2674, informato ad un principio di tassatività espressamente
sancìto dal secondo comma, l’art. 2674-bis c.c. consente al richiedente la possibilità – tramite la richiesta
di trascrizione con riserva – di mantenere il “beneficio del grado”, a fronte di problematiche di più
difficile accertamento e come tali rimesse al giudice a norma dell’art. 113-ter disp. att. c.c.
30
Non può essere quindi assolutamente condivisa, per le ragioni indicate nel testo, l’affermazione
contenuta nella Circ. Agenzia Territorio 9 luglio 2010, n. 2/T, secondo cui “Gli elementi innovativi
introdotti dal comma 1-bis non assumono diretta rilevanza in ordine alla trascrivibilità o meno degli atti
immobiliari a cui la norma fa riferimento. E ciò anche nell’ipotesi, peraltro espressamente prevista, di
nullità dell’atto per mancato inserimento dei predetti dati. La norma, infatti, non affianca alla previsione
della nullità dell’atto, quella della intrascrivibilità. D’altra parte, come è noto, la trascrizione non ha, di
norma, efficacia sanante rispetto ad eventuali profili di invalidità degli atti trascritti, profili che possono
essere fatti valere dalle parti o dai terzi interessati indipendentemente dall’avvenuta trascrizione”.
31
Cfr. per tutte Cass. 15 maggio 1997, n. 4306, in Vita not., 1997, 842, ed in Famiglia e dir., 1997,
p. 417, con nota di CARAVAGLIOS, Trasferimenti immobiliari nella separazione consensuale tra
coniugi.
32
Cfr. Cass. 8 marzo 1995, n. 2700, in Foro it., Rep. 1995, voce Separazione di coniugi, n. 57.
10
c.c., limitandola ai soli atti redatti da un pubblico ufficiale obbligato al controllo di
legalità di cui all’art. 28, n. 1, della legge n. 89/1913 33, la molteplicità dei controlli ed
adempimenti oggi necessari per assicurare la validità e regolarità del trasferimento
immobiliare
(regolarità
urbanistica,
certificazione
energetica),
che
ha
significativamente indotto diversi uffici giudiziari a non formalizzare più trasferimenti
immobiliari nei suddetti verbali di udienza 34, si arricchisce ora delle verifiche di
conformità catastale. Essendo pacifico che quelli documentati nel verbale di udienza
sono veri e propri negozi giuridici, essi rientrano appieno nella categoria degli atti tra
vivi, menzionata dall’art. 29, comma 1-bis, in esame: con la conseguente applicabilità
del regime di nullità, assoluta e insanabile, ivi sancìta. Lo stesso vale per gli atti
traslativi o costitutivi di diritti reali contenuti nei verbali di conciliazione giudiziale, in
quanto trascrivibili 35, nonché nel verbale di divisione giudiziale realizzata a norma
dell’art. 789 c.p.c. 36.
Infine, e per le medesime ragioni suesposte, alle stesse conclusioni sembra doversi
giungersi – limitatamente alle prescrizioni di conformità “oggettiva” – per quanto
attiene ai provvedimenti, giudiziari od amministrativi, che determinano o accertano un
acquisto a titolo originario (si pensi all’usucapione, ed all’espropriazione per pubblica
utilità): se la legge ha voluto in definitiva subordinare la trascrivibilità degli atti
riguardanti l’acquisto di diritti reali su fabbricati alla relativa regolarità catastale, non
sembra sussistere alcuna ragione per trattare in modo diverso gli acquisti a titolo
originario da quelli a titolo derivativo. Se è vero, d’altra parte, che l’accertamento
dell’acquisto a titolo originario può aver luogo mediante atto negoziale 37, e che
parimenti in luogo di espropriazione può addivenirsi alla relativa cessione volontaria 38,
non avrebbe senso che all’assoggettamento alla disciplina in commento questi ultimi
negozi (che appare certa, rientrando essi certamente tra gli atti tra vivi), facesse
riscontro una diversa soluzione per i corrispondenti atti giudiziari e amministrativi.
In tutti i suddetti casi, quindi, la conclusione dell’intrascrivibilità in difetto dei
contenuti di legge – imposta dall’interpretazione sistematica ed adeguatrice – non può
che essere estesa a tutti i titoli soggetti a trascrizione, aventi l’oggetto previsto dalla
legge; e non può che condurre alla intrascrivibilità di tali titoli, in difetto dei contenuti
e della conformità oggettiva richiesti dalla novella in commento.
2.2. Le vicende giuridiche oggetto degli atti.
Il comma 1-bis dell’art. 29 si applica agli atti tra vivi “aventi ad oggetto il
trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su
fabbricati già esistenti”. La formula riprende quella contenuta nelle norme urbanistiche
che impongono allegazioni, dichiarazioni e menzioni negli atti aventi ad oggetto
fabbricati (artt. 17 e 40 della legge n. 47/1985; art. 46 del d.p.r. n. 380/2001): ciò
consente di rifarsi alla casistica elaborata in sede di interpretazione di tali disposizioni:
33
PETRELLI, L’autenticità del titolo della trascrizione nell’evoluzione storica e nel diritto
comparato, cit., p. 585 ss., 632 ss., spec. p. 638, nota 190.
34
Trib. Milano 6 marzo 2009 – Separazioni tra coniugi ed immobili: dall’avvocato al notaio, in
Notariato, 2010, p. 475; Trib. Torino – Rapporti patrimoniali tra i coniugi – Trasferimenti immobiliari
in sede di separazioni consensuali e divorzi, in Riv. not., 1995, p. 1101.
35
Sui quali v. TONDO, Idoneità dei verbali di conciliazione ai fini della esecuzione delle formalità
di pubblicità immobiliare, in Studi su argomenti di interesse notarile, a cura del Consiglio nazionale del
notariato, I, Roma, 1969, p. 68.
36
Cfr. SANTUCCI, Osservazioni sull'
applicabilità dell'
art. 40 legge 47/1985 nell'
ambito del
giudizio divisorio, in Studi e materiali, 2008, 4, p. 1678; FABIANI, Divisione giudiziale e normativa sul
condono edilizio, in Studi e materiali, 2006, 2, p. 1939.
37
Cfr. sul punto PETRELLI, L’evoluzione del principio di tassatività nella trascrizione immobiliare,
Napoli, 2009, p. 348 ss.
38
Cfr. gli artt. 20 e 45 del d. lgs. 8 giugno 2001, n. 327.
11
a titolo esemplificativo, mentre sono inclusi nella previsione gli atti di trasferimento
della proprietà o di costituzione di diritti reali su fabbricati, ne sono esclusi i contratti
preliminari.
Quanto alle vicende giuridiche sopra contemplate, la norma non menziona
espressamente né la modificazione dei diritti reali, né la relativa estinzione (per effetto
di rinunzia o vicende analoghe). Si potrebbe, per un verso, far leva sulla natura
eccezionale della norma, escludendone l’applicazione per analogia alle suddette
vicende. Sembra, tuttavia, che debba prevalere una diversa lettura, considerando
l’omessa menzione di esse non quale lacuna legis, bensì in termini di mera
imperfezione della lettera della legge, suscettibile di interpretazione estensiva. In
questo senso depone – oltre al principio di simmetria tra vicende costitutive,
modificative ed estintive – il parallelismo con la normativa urbanistica, sopra
richiamata: se si considera, tra gli altri, l’art. 46 del d.p.r. n. 380/2001, anch’esso
menziona unicamente gli atti tra vivi “aventi per oggetto trasferimento o costituzione o
scioglimento della comunione di diritti reali”, ma poi, nell’eccettuare gli “atti
costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù”, presuppone
chiaramente la ricomprensione delle vicende modificative ed estintive degli altri diritti
reali nell’àmbito della disciplina.
A differenza delle previsioni urbanistiche, invece, il generale riferimento agli atti
aventi ad oggetto lo scioglimento della comunione di diritti reali comporta l’inclusione,
nel perimetro della nuova normativa, delle divisioni ereditarie, che non sono escluse
dalla norma in esame.
A seguito delle modifiche apportate dalla legge di conversione, sono stati
espressamente esclusi dall’àmbito di applicazione della norma i “diritti reali di
garanzia”, allineando in tal modo la disciplina in commento a quella della normativa
urbanistica. Alla previsione deve attribuirsi natura innovativa e non interpretativa,
considerata l’eccezionalità di quest’ultimo tipo di disposizioni 39, e gli argomenti che
conducevano – nel vigore del testo originario del decreto legge n. 78/2010 – a ritenere
ricomprese le ipoteche nella relativa disciplina 40.
39
Cfr. in particolare l’art. 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212. In giurisprudenza, più in
generale, v. tra le altre Cass. 17 gennaio 2003, n. 654, in Foro it., Rep. 2003, voce Fideiussione e
mandato di credito, n. 34; Cass. 2 febbraio 1996, in Foro it., Rep. 1996, voce Legge, n. 49;
40
Secondo una prima, possibile interpretazione si sarebbe potuto ritenere che l’irrilevanza ai fini
catastali degli atti di concessione di ipoteca ne giustificasse l’esclusione; inoltre la costituzione del diritto
reale di garanzia ha luogo per effetto della pubblicità costitutiva rappresentata dall’iscrizione, anziché a
seguito del solo atto di concessione. Si trattava però, a ben vedere, di argomentazioni destituite di
fondamento. Quanto all’argomento dell’irrilevanza catastale, esso da solo non era probante: nulla
escludeva che il legislatore avesse inteso incentivare la regolarizzazione e l’allineamento catastale dei
fabbricati, imponendola anche in occasione di atti non soggetti a voltura catastale (come è avvenuto,
mutatis mutandis, con la normativa urbanistica che ha vietato la commerciabilità degli immobili
urbanisticamente irregolari). Per quanto concerne, invece, la natura costitutiva della pubblicità ipotecaria,
essa non esclude il concorso, ai medesimi fini costitutivi, dell’atto di concessione dell’ipoteca (la cui
invalidità determina, pacificamente, invalidità della stessa ipoteca, come si desume inequivocabilmente
da diverse disposizioni codicistiche: tra le altre, gli artt. 2821, 2824, 2841 c.c.): in altri termini, la
costituzione dell’ipoteca non è effetto della sola iscrizione, ma di una fattispecie complessa che
comprende anche l’atto di concessione. Del resto, l’obiezione avrebbe avuto qualche senso se la norma
avesse richiamato gli atti che hanno “per effetto” la costituzione del diritto reale; essa, invece, richiede
solamente che l’atto abbia “ad oggetto” tale costituzione, e non sembra dubbio che la costituzione
dell’ipoteca è “oggetto” del relativo atto di concessione. E’ vero, piuttosto, che la norma non distingue tra
diverse tipologie di diritti reali, di godimento o di garanzia, a differenza di altri casi (ubi lex voluit, dixit);
ciò significa che anche gli atti, aventi ad oggetto la concessione di ipoteca, erano soggetti alla disciplina
del d.l. 78/2010, e che a tale stregua deve essere apprezzata la validità degli atti stipulati dal 1° luglio
2010 fino all’entrata in vigore della legge di conversione. Non erano invece da ritenersi assoggettati alla
suddetta norma gli atti di mutuo con consenso a surrogazione, ex art. 1202 c.c., non avendo essi “ad
12
Costituiscono, invece, oggetto della norma la proprietà e tutti i diritti reali di
godimento. Tra di essi, in particolare, non sono esclusi dal comma 1-bis – a differenza
di quanto fa la normativa urbanistica – i diritti reali di servitù: ancorché si tratti di
diritti irrilevanti agli effetti catastali, e non soggetti a voltura né ad evidenza alcuna in
catasto, essi sono certamente compresi nel novero dei diritti reali, ai quali la
disposizione in esame fa generale riferimento. Da ciò alcune questioni interpretative,
che è opportuno affrontare sinteticamente.
La norma deve ritenersi applicabile agli atti che costituiscono servitù prediali,
escluso per ovvie ragioni il relativo “trasferimento”, che è effetto automatico del
trasferimento dei fondi servente e dominante 41. Di conseguenza, non sussiste alcun
dubbio che la semplice “menzione” dell’effetto legale del trasferimento della servitù, in
sede di alienazione del fondo servente o di quello dominante, non dà certamente luogo
ad applicazione dell’art. 29, comma 1-bis. Tale disciplina si applica invece
estensivamente – giusta quanto sopra chiarito riguardo a tutti i diritti reali – alla
modificazione ed alla estinzione delle servitù 42.
Quanto all’oggetto del diritto di servitù, sorge il problema della estensione o meno
della disciplina in commento, oltre che al fondo servente, al fondo dominante, quando
quest’ultimo sia costituito da un fabbricato urbano ultimato. Non vi è dubbio che
entrambi i fondi, servente e dominante, costituiscano oggetto del contratto che
costituisce, modifica o estingue la servitù, e che quindi per entrambi debbano ricorrere i
requisiti prescritti dall’art. 1346 c.c. (possibilità, liceità, determinatezza o
determinabilità) 43. Nessun dubbio, altresì, che per entrambi i fondi, servente e
dominante, debbano applicarsi, ai fini della trascrizione, le prescrizioni dell’art. 2659,
n. 4, e dell’art. 2826 c.c., dal primo richiamato, quanto alla individuazione di entrambi,
con gli estremi di identificazione catastale, nella nota di trascrizione. Non vi è neanche
dubbio che la previsione del comma 1 dell’art. 29, a norma della quale “Negli atti con
cui si concede l'
ipoteca o di cui si chiede la trascrizione, l'
immobile deve essere
designato anche con l'
indicazione di almeno tre dei suoi confini”, sia applicabile sia al
fondo servente che al fondo dominante. L’applicabilità anche a quest’ultimo delle
suddette norme in tema di trascrizione, e l’inclusione del comma 1-bis in commento
proprio nell’art. 29 – il cui primo comma certamente si riferisce a tutti gli immobili
oggetto di pubblicità – sembrerebbe deporre per l’interpretazione estensiva. Senonché,
questi argomenti non appaiono decisivi, se solo si considera che certamente il comma
1-bis non si applica a numerosi atti soggetti a trascrizione (quelli aventi ad oggetto
terreni, fabbricati non ultimati, fabbricati non urbani): la speciale ratio del comma 1-bis
ne impedisce l’interpretazione alla luce delle disposizioni generali in tema di
trascrizione.
Non è decisivo – al fine di escludere il rilievo del fondo dominante – il fatto che la
qualifica soggettiva di “alienante” sussista in capo al solo proprietario del fondo
servente che costituisce la servitù, per la circolarità dell’argomento: il comma 1-bis
parla di “intestatario”, e l’individuazione del soggetto passivo dell’obbligo di
dichiarazione è il thema demonstrandum, cosicché non appare metodologicamente
corretto utilizzarne il risultato al fine di risolvere altri aspetti dubbi della discipilna.
Neanche può farsi leva su alcune particolari servitù caratterizzate dall’assenza di fondo
oggetto” il trasferimento del diritto reale di ipoteca, bensì la surrogazione (legale) del mutuante in tutti i
diritti del creditore, su consenso non del proprietario del bene ipotecato bensì del debitore.
41
Il “trasferimento” della servitù non è, coerentemente, menzionato neanche negli artt. 1350, n. 3, e
2643, n. 4, c.c., per le ragioni indicate nel testo.
42
Significativo, per ciò che concerne modificazione ed estinzione delle servitù, il parallelo da un lato
con la disciplina urbanistica, dall’altro con le previsioni degli artt. 1350, nn. 3 e 5, e 2643, nn. 4 e 5, c.c.,
ove sono menzionate anche dette vicende unitamente a quelle costitutive del diritto reale.
43
Cfr. per tutte Cass. 5 settembre 2000, n. 11674, in Foro it., Rep. 2000, voce Servitù, n. 31.
13
dominante (servitù di elettrodotto, servitù di uso pubblico, ecc.), trattandosi di casi
particolari nei quali, evidentemente, un fondo dominante manca e non è possibile
riferirsi ad esso, impregiudicata la soluzione nei casi “normali” nei quali il fondo
dominante, invece, esiste. Infine, non può farsi riferimento ai casi particolari nei quali il
titolare del fondo dominante non interviene all’atto (es., contratto a favore del terzo),
trattandosi unicamente di “adattare” la disciplina ritenuta applicabile alle peculiarità
soggettive della fattispecie: nell’esempio citato, dovrebbe essere lo stipulante a rendere
le dichiarazioni corrispondenti, come pure tutte le dichiarazioni “normalmente” rese in
atto dall’acquirente. Per contro, far leva genericamente sulla ratio della disciplina in
commento al fine di estendere la stessa al fondo dominante non conduce a risultati
migliori: l’aggiornamento delle banche dati ipotecaria e catastale, e il contrasto
all’evasione ed elusione fiscale, sono in astratto risultati auspicabili sia per il fondo
servente che per il fondo dominante, ma ciò da solo non è sufficiente a dimostrare che il
legislatore abbia normativamente esteso la disciplina in esame al fondo dominante.
Nell’assenza di diversi elementi interpretativi occorre allora basarsi sulla lettera del
comma 1-bis dell’art. 29, che parla degli atti “aventi ad oggetto … la costituzione … di
diritti reali su fabbricati già esistenti”. Tale dato testuale deve essere interpretato alla
luce della lettera delle disposizioni codicistiche, che individuano inequivocabilmente
nel fondo servente l’oggetto del diritto reale di servitù 44, con le espressioni “sopra” ed
“a carico”, paragonabili all’espressione “su” qui utilizzata. Invece, laddove il legislatore
si è riferito al fondo dominante, ha utilizzato l’espressione “a favore”, la quale – non a
caso – è invece assente nel comma 1-bis dell’art. 29. Un’ulteriore, espressa conferma di
quanto sopra si ricava ancora dall’art. 15, comma 1, c.p.c., che nel dettare i criteri per la
determinazione del valore delle cause relative a beni immobili, trattandosi di cause
relative a servitù prende in considerazione unicamente il fondo servente (considerando
evidentemente che esso solo costituisce oggetto della servitù) 45. Sembra quindi, da
tutte le suddette disposizioni, che il legislatore consideri quale “oggetto” della servitù
unicamente il fondo servente.
Nel senso di individuare l’“oggetto” del diritto reale di godimento nel solo fondo
servente appare orientata anche la dogmatica in materia di servitù. Ferma la “duplice
inerenza reale” del diritto di servitù al fondo servente ed a quello dominante 46, gli
autori appaiono sufficientemente concordi nell’individuare nel fondo servente l’oggetto
del diritto reale (quale ius in re aliena): si è giustamente detto che il fondo dominante
entra nel “rapporto di servitù” solo a parte subiecti, nel senso che la servitù non spetta
certamente al fondo dominante, bensì “alla persona che abbia il godimento di un
fondo”, mentre “oggetto della servitù e dell’esercizio della servitù è il fondo servente,
solo il fondo servente” 47. Altrettanto incisivamente si è detto – sull’ovvio presupposto
44
A norma dell’art. 1027 c.c., “la servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per
l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario”: disposizione, quest’ultima, che
chiaramente circoscrive l’oggetto del diritto reale al fondo servente, mentre il fondo dominante rileva
solo in funzione della utilità ad esso arrecata. Sempre sul piano letterale, anche l’art. 1062, comma 2,
c.c., parla di servitù “stabilita attivamente e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi separati”;
l’art. 1029, comma 2, c.c., parla di servitù “a favore o a carico di un edificio da costruire o di un fondo
da acquistare”; in modo corrispondente si esprime l’art. 1071 c.c. Gli artt. 1064 e 1065 c.c. si riferiscono
a colui che “ha un diritto di servitù”, riferendosi evidentemente al proprietario del fondo dominante, che
ha tale diritto sul fondo servente.
45
Cfr. Cass. 4 maggio 1982, n. 2760, in Foro it., Rep. 1982, voce Competenza civile, n. 69.
46
Cfr. TRIOLA, Le servitù, Milano, 2008, p. 7 ss.; COMPORTI, Le servitù prediali, in Trattato di
diritto privato, diretto da Rescigno, 8, Torino, 2002, p. 190 ss.; TAMBURRINO-GRATTAGLIANO, Le
servitù, Torino, 2002, p. 18 ss.; BIANCA, Diritto civile, 6. La proprietà, Milano, 1999, p. 644;
QUARANTA-PREDEN, Delle servitù prediali, Roma-Novara, 1976, p. 10.
47
BRANCA, Servitù prediali, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma,
1987, p. 5.
14
che un rapporto giuridico non può intercorrere tra due fondi, e che questi ultimi non
hanno soggettività giuridica – che “l’utilità ricade sempre sulla persona, ma nel caso
della servitù si ricava in base ad una relazione col fondo” 48; e che in quanto diritto
reale di godimento su beni altrui, tale godimento si esercita, in vario modo, sul fondo
servente 49; la servitù svolge nen contempo la funzione di “accessorio” del fondo
dominante 50, e più precisamente la titolarità della servitù è accessoria alla titolarità
del fondo dominante 51.
Le superiori conclusioni appaiono confermate dalla disciplina tributaria del diritto
reale di servitù, analizzata in collegamento con quella contenuta nel comma 1-bis
dell’art. 29 52. E’ vero che la rilevanza tributaria del diritto di servitù è circoscritta 53,
come dimostra il fatto che detto diritto non deve essere evidenziato in catasto. E’ però
anche vero che in determinati casi il reddito tratto dal diritto di servitù costituisce
oggetto di imposizione 54: in tali casi, non sembra dubbio che i tributi debbano essere
parametrati alla “consistenza” oggettiva del fondo servente, non certo alla consistenza
del fondo dominante. D’altra parte, se è vero che la titolarità della servitù dipende dalla
titolarità del fondo dominante, il relativo accertamento – sulla base delle risultanze dei
registri immobiliari – non può che riguardare la proprietà del fondo dominante.
Il riferimento – da parte del comma 1-bis dell’art. 29 – alla categoria dei “diritti
reali”, che è categoria dogmatica prima che legislativa, comporta la necessità di fare
riferimento al concetto di ius in re aliena, ove la res aliena, che costituisce oggetto del
diritto reale di servitù, non è altro che il fondo servente. Il fondo dominante rileva,
invece, solo al fine di individuare, per relationem, colui che è titolare tempo per tempo
del diritto reale. D’altra parte, quando la legge parla di diritti reali “su” fabbricati, non
può che riferirsi al fondo servente, al quale soltanto devono quindi limitarsi i
riferimenti, le dichiarazioni e le verifiche previsti dal suddetto comma 1-bis. Perciò,
concludendo, le disposizioni in tema di conformità oggettiva, dettate dal primo periodo
del comma 1-bis, devono intendersi riferite unicamente al fondo servente. Quanto al
problema della verifica della conformità soggettiva, l’ampio tenore della disposizione
(“Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica
la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”) non sembrerebbe
48
BIONDI, Le servitù, Milano, 1967, p. 61 ss. Nel medesimo senso GROSSO-DEIANA, Le servitù
prediali, I, Torino, 1963, p. 13 ss., 79 ss.
49
BIONDI, Le servitù, cit., p. 65 ss.; BURDESE, Le servitù prediali, Padova, 2007, p. 14 ss.;
QUARANTA-PREDEN, Delle servitù prediali, cit., p. 10.
50
GROSSO-DEIANA, Le servitù prediali, I, cit., p. 79 ss.; QUARANTA-PREDEN, Delle servitù
prediali, cit., p. 10,
51
BURDESE, Le servitù prediali, cit., p. 57 ss.
52
Il comma 1-bis dell’art. 29, come già chiarito, ha principalmente uno scopo fiscale,
strumentalmente al quale viene disposto l’aggiornamento bidirezionale delle banche dati ipotecaria e
catastale: in quest’ottica deve essere intesa la limitazione della portata della norma – in luogo che a tutti
gli atti trascrivibili, tra i quali sono compresi atti relativi a diritti personali di godimento, diritti di credito
come quelli nascenti dal contratto preliminare vincoli di destinazione, domande giudiziali, ecc. –
solamente a quelli aventi ad oggetto “diritti reali”. Infatti soltanto il “possesso” di un diritto reale
costituisce presupposto per l’applicazione delle imposte reddituali e patrimoniali.
53
A norma dell’art. 3, comma 1, del d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, soggetti passivi dell'
imposta
comunale sugli immobili sono “il proprietario di immobili di cui al comma 2 dell'
articolo 1, ovvero il
titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie, sugli stessi”. Non è quindi
menzionata la servitù.
54
L’art. 26, comma 1, del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, dispone che “I redditi fondiari
concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che
possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale”. Parimenti, ai sensi
dell’art. 9, comma 5, riguarda anche le servitù, quando dispone che “ai fini delle imposte sui redditi le
disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso valgono anche per gli atti a titolo oneroso che
importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento”.
15
consentire una differenziazione tra proprietario del fondo servente e del fondo
dominante; la regolarità dell’intestazione catastale del fondo dominante potrebbe d’altra
parte assumere rilievo “indiretto”, al fine di individuare il titolare del diritto di servitù,
anche ai fini tributari, ma di ciò non vi è dimostrazione nel sistema della legge, che
d’altra parte assegna rilievo esclusivamente al catasto dei fabbricati (mentre il fondo
dominante potrebbe essere un terreno). Plausibilmente, quindi, il compito del notaio
deve limitarsi al solo accertamento, mediante le risultanze dei registri immobiliari, della
titolarità del fondo dominante.
Un caso particolare è quello delle servitù (limitazioni al godimento delle proprietà
esclusive) contenute nel regolamento di condominio c.d. contrattuale, allegato al primo
atto di vendita di unità immobiliari, per effetto del quale si costituisce il condominio,
una volta venuta ad esistenza la dualità soggettiva indispensabile a tal fine 55. Il
regolamento, in quanto allegato all’atto notarile (in forma pubblica o autenticata) 56,
forma parte integrante di quest’ultimo in quanto recepito – anche mediante relatio
all’allegato – dalla volontà negoziale delle parti dell’atto documentata nell’atto stesso
57
; né può porsi in dubbio che anche detto allegato partecipi della natura di atto
autentico agli effetti dell’art. 2657 c.c., essendo lo stesso perfezionato, a mezzo della
sottoscrizione delle parti dinanzi al notaio (art. 51, terzultimo comma, l. not.), e quindi
contestualmente alla sottoscrizione dell’atto notarile; ed essendo estesa allo stesso
l’efficacia probatoria ex art. 2703 c.c., nonché la disciplina dei controlli notarili di
legalità. La giurisprudenza parte proprio da questi presupposti quando, pacificamente,
ammette la trascrizione del regolamento di condominio 58.
Il momento del perfezionamento del regolamento contrattuale di condominio è
individuato dalla giurisprudenza assolutamente prevalente nel momento della sua
sottoscrizione ad opera dei primi due condomini 59, mentre una giurisprudenza
minoritaria lo colloca nel momento della sua accettazione da parte dell’ultimo
acquirente di unità in condominio 60. L’orientamento dominante appare decisamente
condivisibile, in quanto è al momento del primo atto di vendita che si costituisce il
condominio, mentre i successivi atti di alienazione sono solo eventuali: teoricamente, il
costruttore potrebbe rimanere proprietario, per tempo indefinito, di tutte le altre unità
immobiliari. Non è quindi accettabile la teorica del regolamento contrattuale di
condominio come contratto aperto all’adesione a norma dell’art. 1332 c.c. 61: essa, a
parte la relativa inconsistenza sul piano dogmatico, esigerebbe che l’accettazione di
ciascun acquirente sia comunicata a tutti i condomini già esistenti, cosa che non
avviene in alcun modo nella prassi 62; d’altra parte, nella disciplina del regolamento
della comunione e del condominio vi è un’espressa disposizione, l’art. 1107, comma 2,
55
Cass. 14 dicembre 1992, n. 13179, in Vita not., 1993, p. 765.
Sull’equiparazione del regime degli allegati a quello dell’atto notarile, ai fini del regime
dell’autenticità, cfr. supra, la nota 21.
57
Cass. 26 ottobre 1992, n. 11626, in Arch. locazioni, 1993, p. 296; Cass. 3 dicembre 1994, n.
10397, in Foro it., Rep. 1994, voce Comunione e condominio, n. 179.
58
Cfr., tra le tante, Cass. 3 luglio 2003, n. 10523, in Contratti, 2004, p. 31; Cass. 25 ottobre 2001, n.
13164, in Arch. locazioni, 2002, p. 292; Cass. 5 settembre 2000, n. 11684, in Arch. locazioni, 2000, p.
885.
59
Cass. 14 novembre 1991, n. 12173, in Giust. civ., 1992, I, p. 2771; Cass. 4 giugno 1992, n. 6892,
in Arch. locazioni, 1992, p. 761; Cass. 7 gennaio 1992, n. 49, in Vita not., 1992, p. 542; Cass. 17 marzo
1994, n. 2546, in Giust. civ., 1994, I, p. 1481; Cass. 25 ottobre 2001, n. 13164, in Arch. locazioni, 2002,
p. 292; Cass. 11 novembre 2002, n. 15794, in Riv. giur. edilizia, 2003, I, p. 917.
60
In questo senso Cass. 15 aprile 1999, n. 3749, in Vita not., 1999, p. 778.
61
Sulla quale v., oltre alla citata Cass. 15 aprile 1999, n. 3749, CORONA, Regolamento contrattuale
di condominio, Torino, 2009, p. 169 ss.; ID., I regolamenti di condominio, Torino, 2004, p. 131 ss.
62
Per condivisibili critiche alla teoria del contratto aperto, cfr. TRIOLA, Il regolamento di
condominio, Milano, 1992, p. 84 ss. (ed ivi ulteriori riferimenti).
56
16
c.c. (richiamato dagli artt. 1138 e 1139 c.c.), che dichiara senz’altro efficace il
regolamento nei confronti degli aventi causa dei condomini, senza necessità di
espressa accettazione da parte di questi ultimi 63.
Quanto al rapporto tra servitù e contenuto proprio del regolamento di condominio,
le limitazioni alle proprietà esclusive dei condomini, pattuite nella prassi – ed
ascrivibili, a seconda del loro contenuto, alla categoria delle servitù o a quella delle
obbligazioni propter rem – rientrano nella quasi totalità dei casi nell’àmbito delle
“norme circa l’uso delle cose comuni”, ovvero tra le “norme per la tutela del decoro
dell’edificio”, che a norma dell’art. 1138 c.c. giustificano l’imposizione dei suddetti
vincoli proprio nel regolamento di condominio. Le servitù in tal modo e con tali finalità
costituite riguardano, pertanto, le singole unità immobiliari in condominio, ma
riguardano anche le parti comuni, in quanto è a beneficio dell’intero condominio e del
relativo decoro che esse sono previste (si pensi al divieto di adibire i locali ad attività
rumorose, di modificare l’aspetto esteriore delle unità immobiliari, di tenere animali,
ecc.). Per tale ragione, anche questi vincoli producono effetto – a norma degli artt.
1107, comma 2, e 1138 c.c. – anche nei confronti degli aventi causa dai condomini.
Ciò induce a ritenere che le servitù suddette si costituiscano sin dal momento in cui si
perfeziona il primo atto del condominio, e solamente con esso 64: il che giustifica sia la
pacifica prassi di trascrivere immediatamente il regolamento di condominio 65, sia
quella di escludere la necessità di un’accettazione espressa del regolamento, e dei
vincoli in esso contenuti, da parte dei successivi acquirenti, ai fini dell’efficacia nei
loro confronti.
Agli effetti dell’art. 29, comma 1-bis, della legge n. 52/1985, i riferimenti e le
dichiarazioni previsti riguardo alla conformità oggettiva, e gli obblighi di verifica ed
allineamento riguardo alla conformità soggettiva, trovano quindi applicazione
unicamente con riferimento all’atto con il quale è approvato inizialmente il
regolamento di condominio, ed a tutte le unità immobiliari a cui esso si riferisce,
esclusa invece qualsiasi applicabilità dello stesso agli atti di vendita successivi.
Nessun dubbio, invece, che non rientrino tra i diritti reali, oggetto della disciplina in
esame, le obbligazioni propter rem, gli oneri reali ed i vincoli “reali” di destinazione
(ancorché contenuti nei regolamenti di condominio suddetti): si tratta di situazioni
giuridiche che possiedono unicamente una delle caratteristiche del diritto reale (il c.d.
63
La giurisprudenza – in linea con l’orientamento maturato in relazione all’opponibilità delle servitù
non trascritte – subordina la vincolatività delle servitù reciproche contenute nel regolamento
condominiale, in via alternativa, alla trascrizione del regolamento ovvero all’accettazione dello stesso
nei singoli atti di vendita (con la conseguenza che tale opponibilità sussiste senz’altro quando il
regolamento è trascritto, senza che sia necessaria una specifica accettazione da parte dei successivi
acquirenti): cfr. Cass. 3 luglio 2003, n. 10523, in Contratti, 2004, p. 31; Cass. 11 novembre 2002, n.
15794, in Riv. giur. edilizia, 2003, I, p. 917; Cass. 25 ottobre 2001, n. 13164, in Arch. locazioni, 2002, p.
292; Cass. 17 marzo 1994, n. 2546, in Giust. civ., 1994, I, p. 1481; Cass. 1 giugno 1993, n. 6100, in Foro
it., Rep. 1993, voce Comunione e condominio, n. 63; App. Napoli 30 luglio 1993, in Arch. locazioni,
1994, p. 817; Cass. 7 gennaio 1992, n. 49, in Vita not., 1992, p. 542; Cass. 14 novembre 1991, n. 12173,
in Giust. civ., 1992, I, p. 2771. D’altra parte, è stata esclusa la rilevanza dell’accettazione da parte degli
acquirenti “per fatti concludenti”, quali il richiamo del regolamento già trascritto o la presa di cognizione
dello stesso: cfr. Cass. 13 settembre 1991, n. 9591, in Giur. it., 1992, I, 1, c. 1530.
64
Per le ragioni indicate nel testo, l’effetto della costituzione delle servitù reciproche in condominio
non è impedito dal principio nemini res sua servit, del resto escluso in materia condominiale per pacifica
giurisprudenza: cfr. per tutte Cass. 29 novembre 2004, n. 22408, in Foro it., Rep. 2005, voce Comunione
e condominio, n. 172; Cass. 3 ottobre 2000, n. 13106, in Foro it., Rep. 2000, voce Servitù, n. 14; Cass. 17
luglio 1998, n. 6994, in Nuova giur. civ., 1999, I, p. 440; Cass. 6 febbraio 1986, n. 734, in Foro it., Rep.
1986, voce Servitù, n. 8; Cass. 22 novembre 1985, n. 5770, in Foro it., Rep. 1985, voce Servitù, n. 6.
65
Cfr. TRIOLA, Il regolamento di condominio, cit., p. 93, ove si evidenzia come in base all’art.
1071 c.c., la trascrizione non deve essere ripetuta in occasione delle singole vendite di appartamenti,
successive alla prima.
17
diritto di seguito, o ambulatorietà), con esclusione degli altri (in particolare, dei
requisiti della immediatezza ed assolutezza del diritto).
Per finire, occorre precisare che oggetto delle prescrizioni di legge è unicamente il
diritto oggetto dell'
atto. Ciò significa, ad esempio, che se questo riguarda una quota di
comproprietà, non è richiesta al notaio la verifica della titolarità e dell'
intestazione
catastale riguardo alle altre quote. Parimenti, se l'
atto ha ad oggetto un diritto di nuda
proprietà, il notaio non deve verificare la titolarità e l'
intestazione del diritto di
usufrutto.
2.3. Le categorie di immobili.
Il comma 1-bis definisce, quanto all’àmbito oggettivo, la portata della nuova
disciplina con riferimento ai “fabbricati già esistenti”; subito dopo peraltro –
occupandosi delle dichiarazioni relative alla “conformità oggettiva” tra dati catastali,
planimetrie e stato di fatto – circoscrive il riferimento alle sole “unità immobiliari
urbane”. Si tratta di concetti disomogenei. Il primo (“fabbricati già esistenti”), che ha
valenza generale (rilevante, quindi, ai fini sia della conformità oggettiva che di quella
soggettiva), descrive lo “stato di fatto” del fabbricato (esistente, con esclusione quindi
delle costruzioni che non possono “ancora” definirsi come fabbricati), ed è compatibile
con qualsiasi destinazione (sia urbana che rurale). Il secondo (“unità immobiliari
urbane”) – posto ai soli fini della disciplina della conformità oggettiva – identifica
invece una determinata “destinazione” dei fabbricati o loro porzioni (urbana, in
contrapposizione a quella rurale) 66.
E’ certa, d’altra parte, l’esclusione dall’àmbito applicativo della disciplina dei
terreni (fatto salvo il più articolato discorso relativo alle aree urbane, come si dirà nel
prosieguo). Tenuto conto di ciò, e della finalità fiscale della disciplina, non vi è dubbio
che l’intero comma 1-bis dell’art. 29 presupponga l’iscrizione nel catasto dei
fabbricati, nel quale – a differenza che nel catasto terreni – i fabbricati sono iscritti con
attribuzione di rendita, e assumono quindi rilevanza ai fini fiscali. Poste queste basi,
occorre esaminare alcune questioni interpretative, sollevate dalla formulazione della
disposizione.
2.3.1. Premessa. Fabbricati esistenti e fabbricati non ultimati.
Va chiarito, in primo luogo, il riferimento ai “fabbricati già esistenti”. Esso non era
contenuto nell’originaria bozza del comma 1-bis, quale risultante dal primo testo
pubblicato dagli organi di stampa 67, ed è stato aggiunto solo in una fase successiva del
66
La distinzione, indicata nel testo, si desume chiaramente dalla lettera della legge. Nella prima
parte del primo periodo, il comma 1-bis si riferisce agli atti tra vivi “aventi ad oggetto il trasferimento, la
costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti”; a questa
espressione fa rinvio il secondo periodo, secondo cui “prima della stipula dei predetti atti il notaio
individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.
Invece, nella parte intermedia dedicata al profilo della conformità oggettiva, la norma dispone che i
suddetti atti “devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre
all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in
atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie”. E’ chiaro,
quindi, che la sanzione di nullità si riferisce ai soli atti riguardanti le unità immobiliari urbane, mentre
invece gli obblighi del notaio riguardo alla conformità soggettiva (tra intestazione catastale e risultanze
dei registri immobiliari) riguardano tutti gli atti relativi a “fabbricati già esistenti”, compresi quelli che
non sono unità immobiliari urbane.
67
Cfr. Il Sole 24 Ore del 29 maggio 2010, p. 28. Il testo originario del comma 1-bis, aggiunto all’art.
29 della legge n. 52/1985, era del seguente tenore: “Gli atti di cui al comma 1 devono contenere, per le
unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle
18
drafting normativo, dando luogo ad un risultato particolarmente infelice, che rende
ardua l’opera dell’interprete. Si tratta, allora, di comprendere innanzitutto qual è stata la
ragione del suo inserimento.
La legge non parla qui di “fabbricati esistenti”, ma di “fabbricati già esistenti”, e la
formulazione normativa sembra avere un significato preciso, di segno negativo anziché
positivo: ciò che, con tutta evidenza, il legislatore ha voluto escludere è l’applicabilità
della disciplina ai fabbricati “non ancora” esistenti, quindi l’errata conclusione che non
fosse più possibile commerciare i fabbricati “non ancora esistenti”, se non
accatastandoli in corso di costruzione, e sottoponendoli preventivamente alle verifiche
di conformità richieste dalla legge. Con la nuova formulazione della norma, invece, non
appare dubbio che i fabbricati in corso di costruzione possano senz’altro costituire
valido oggetto di atti traslativi, pur in assenza di accatastamento e di presentazione di
planimetrie.
Un dubbio si pone, tuttavia, relativamente ai fabbricati “esistenti ma non ultimati”,
essendo utilizzata la nozione di “fabbricato esistente” in alcune fonti normative con
significato diverso da quella di fabbricato “ultimato”: l’art. 2645-bis, comma 6, c.c. –
norma di riferimento in materia – qualifica come esistente “l’edificio nel quale sia stato
eseguito il rustico, comprensivo delle mura perimetrali delle singole unità, e sia stata
completata la copertura”: a tale definizione è stato dato rilievo, in più occasioni, anche
ai fini tributari 68. Si potrebbe, allora, porre il dubbio che i fabbricati già esistenti –
quelli cioè completati al rustico e con la copertura – debbano essere necessariamente
accatastati per poter formare oggetto degli atti indicati nel comma 1-bis dell’art. 29. A
ben vedere, tuttavia, un tale dubbio si rivela infondato.
Innanzitutto, va posta in dubbio la stessa precisione della formula normativa: il
legislatore non ha voluto, con essa, contrapporre i fabbricati ultimati a quelli non
ultimati ma “esistenti”, ma ha inteso unicamente escludere l’applicazione della nuova
disciplina ai fabbricati ancora da costruire o in corso di costruzione, e ciò perché
questi fabbricati sono irrilevanti ai fini tributari 69. Nel contempo, l’espressione
“fabbricati già esistenti”, in contrapposizione all’altra “unità immobiliari urbane”,
costituisce oggetto di richiamo da parte del secondo periodo del comma 1-bis che
disciplina la c.d. conformità soggettiva, rendendo applicabile quest’ultima anche ai
fabbricati rurali che siano censiti nel catasto dei fabbricati.
Soprattutto, però, occorre rammentare che l’obbligo di denuncia al catasto dei
fabbricati sorge soltanto decorsi trenta giorni dal momento in cui il fabbricato è
ultimato ed abitabile 70. Colui che non ha ancora denunciato al catasto dei fabbricati un
fabbricato “esistente”, ma non ancora “ultimato”, non ha violato alcuna disposizione di
legge, e non si vede ragione per impedirgli di commerciare il medesimo fabbricato pur
se non ancora accatastato. Se il legislatore avesse voluto anticipare l’obbligo di
planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo
stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie”.
68
Cfr., tra l’altro, la Ris. Agenzia Entrate 28 gennaio 2009, n. 23/E; la Circ. Agenzia Entrate 13
giugno 2006, n. 18/E, e la Circ. Agenzia Entrate 31 gennaio 2002, n. 11/E.
69
A norma dell’art. 40 del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, “il reddito dei fabbricati di nuova
costruzione concorre a formare il reddito complessivo dalla data in cui il fabbricato è divenuto atto
all'
uso cui è destinato o è stato comunque utilizzato dal possessore”.
A norma dell’art. 2, comma 1, lett. a), del d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, “il fabbricato di nuova
costruzione è soggetto all'
imposta a partire dalla data di ultimazione dei lavori di costruzione ovvero, se
antecedente, dalla data in cui è comunque utilizzato”.
70
Art. 28, comma 1, del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, come modificato dall’art. 34-quinquies del
D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, convertito in legge 9 marzo 2006, n. 80, “I fabbricati nuovi ed ogni altra
stabile costruzione nuova che debbono considerarsi immobili urbani, a norma dell’art. 4, devono essere
dichiarati all’Ufficio tecnico erariale entro trenta giorni dal momento in cui sono divenuti abitabili o
servibili all’uso cui sono destinati”.
19
accatastamento, avrebbe dovuto modificare la normativa catastale di riferimento; non
avrebbe senso invece escludere la commerciabilità dei fabbricati non ancora ultimati e
non accatastati, perché non si soddisferebbe in tal modo alcun interesse meritevole di
tutela. Si consideri, inoltre, che la novella non ha abrogato l’ultimo inciso dell’art. 2826
c.c. (richiamato dall’art. 2659, n. 4, c.c.), nella parte in cui dispone che “per i fabbricati
in corso di costruzione devono essere indicati i dati di identificazione catastale del
terreno su cui insistono”. Questa disposizione dimostra molto chiaramente che non è
necessaria la denuncia al catasto dei fabbricati al fine di assoggettare i relativi atti a
trascrizione. Vale, allora, anche qui la medesima osservazione effettuata con riguardo
alla disciplina catastale: se il legislatore avesse voluto escludere la commerciabilità dei
fabbricati non ultimati, in quanto non accatastati, avrebbe dovuto modificare l’art.
2659, n. 4, c.c., ed il rinvio ivi contenuto all’art. 2826. La circostanza che, invece,
questa norma sia rimasta in vigore non può essere, d’altra parte, giustificata
limitandone l’applicazione ai fabbricati in corso di costruzione ma per i quali non siano
ultimati rustico e copertura: si privilegerebbero in tal modo i fabbricati nello stadio
iniziale della costruzione, in modo del tutto irragionevole.
La denuncia dei fabbricati in corso di costruzione è, nella vigente normativa,
facoltativa 71, e viene corredata dal solo elaborato planimetrico, senza presentazione di
planimetria 72. Il presunto onere di accatastamento ai fini della commerciabilità dei
fabbricati non ultimati avrebbe allora l’unica funzione di consentirne la “identificazione
catastale” nel catasto dei fabbricati; in considerazione dello scopo fiscale del comma 1bis in esame, non sembra peraltro che questa finalità possa essere considerata
sufficiente, al fine di escludere la commerciabilità dei fabbricati non accatastati. D’altra
parte, la prescrizione di identificazione catastale nel comma 1-bis non è fine a se stessa:
essa è utile unicamente in raffronto con le planimetrie, come meglio si dirà nel
prosieguo. Sul piano civilistico, infine, le esigenze di identificazione dei fabbricati in
oggetto possono ben essere soddisfatte mediante le indicazioni prescritte dagli artt.
2659 n. 4, 2826, ultima parte, e 2645-bis, comma 4, c.c.
In conclusione, i fabbricati per i quali non sia ancora sorto l’obbligo di denuncia al
catasto dei fabbricati possono formare oggetto degli atti, indicati nel comma 1-bis
dell’art. 29, anche se non accatastati, e tali atti devono indubbiamente ritenersi validi.
Giunti a questo punto, occorre chiarire quale sia la disciplina applicabile
nell’ipotesi in cui – pur non avendone l’obbligo – il titolare del diritto reale abbia
proceduto ad accatastare il fabbricato esistente, ma non ancora ultimato. L’iscrizione
in catasto avviene in queste ipotesi senza attribuzione di rendita, corredata da solo
elaborato planimetrico e senza presentazione di planimetria (che sarebbe superflua,
considerato lo stato del fabbricato). Nessun dubbio che – in base alla disciplina
generale del codice civile – debbano essere indicati nella nota di trascrizione i nuovi
dati di identificazione catastale nel catasto dei fabbricati; tenuto conto, però, della
differente funzione a cui detti dati assolvono nella fattispecie descritta al comma 1-bis,
e stante l’assenza di planimetrie a cui far riferimento, deve ritenersi che in questo caso
l’eventuale mancanza di dati di identificazione catastale non dia luogo a nullità
dell’atto.
Per quanto riguarda la disciplina della “conformità soggettiva” (secondo periodo del
comma 1-bis), la circostanza che il fabbricato non sia ancora ultimato non incide sulla
necessità che l’intestazione catastale dello stesso sia corretta, e quindi che vi sia
71
A norma dell’art. 3, comma 2, lett. a), del D.M. 2 gennaio 1998, n. 28, i “fabbricati o loro porzioni
in corso di costruzione o di definizione”, ai soli fini della identificazione, ai sensi dell’articolo 4,
“possono formare oggetto di iscrizione in catasto, senza attribuzione di rendita catastale, ma con
descrizione dei caratteri specifici e della destinazione d’uso”.
72
Cfr. la successiva nota 76.
20
allineamento tra la stessa e le risultanze dei registri immobiliari, in vista della sua futura
ultimazione e, quindi, produttività di reddito. E’ anche vero che è compito del notaio –
già in base alle regole generali – assicurarsi della conformità oggettiva di cui trattasi,
ponendo in essere le attività necessarie. Si è già detto, tuttavia, che la nuova disciplina
trova applicazione unicamente ai fabbricati per i quali sia sorto l’obbligo di
accatastamento, cioè quelli ultimati; sulla base del dettato normativo, deve quindi
comunque escludersi l’applicazione dell’intero comma 1-bis, compreso il secondo
periodo, ai casi di accatastamento in corso di costruzione.
2.3.2. I fabbricati urbani in corso di ristrutturazione.
Simile a quella dei fabbricati non ultimati è la situazione dei fabbricati in corso di
ristrutturazione, i quali sono espressamente dichiarati improduttivi di reddito – ai fini
delle imposte sui redditi fondiari e dell’imposta comunale sugli immobili – fino al
momento dell’ultimazione dei lavori o della relativa utilizzazione, nel periodo di
validità del titolo abilitativo edilizio, sul presupposto evidentemente del previo rilascio
di quest’ultimo e dell’effettivo inizio dei lavori di ristrutturazione 73. Coerentemente, la
giurisprudenza ha escluso che la precedente attribuzione di rendita assuma rilievo ai
fini tributari 74.
Il fabbricato in corso di ristrutturazione, in definitiva, è da equipararsi a quello in
corso di costruzione: improduttivo di reddito, e facoltativamente censibile in una
categoria speciale ai soli fini di identificazione, senza obbligo di presentazione di
planimetria e senza attribuzione di rendita, non rilevando quella preesistente, fino alla
ultimazione dei lavori di ristrutturazione. Si aggiunga – considerazione questa che
appare di grande importanza – che la conformità richiesta dalla legge a pena di nullità,
è quella tra stato di fatto, dati catastali e planimetrie “sulla base delle disposizioni
vigenti in materia catastale”: ma queste ultime non richiedono alcuna conformità tra
stato di fatto e planimetrie durante il periodo della ristrutturazione, e fino a quando i
lavori non sono ultimati o il fabbricato è utilizzato: è infatti fisiologico che lo stato di
fatto si evolva continuamente durante i lavori, e proprio per questo le norme catastali
impongono la presentazione della denuncia solo a lavori ultimati.
Agli effetti dell’art. 29, comma 1-bis, della legge n. 52/1985, pertanto, il fabbricato
in corso di ristrutturazione deve essere equiparato al fabbricato “non ancora
73
A norma dell’art. 36, comma 3, del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, come modificato dall’art. 4
del d.l. n. 330/1994, non si considerano “produttive di reddito le unità immobiliari per le quali sono state
rilasciate licenze, concessioni o autorizzazioni per restauro, risanamento conservativo o ristrutturazione
edilizia, limitatamente al periodo di validità del provvedimento durante il quale l'
unità immobiliare non è
comunque utilizzata”. A norma dell’art. 5, comma 6, del d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, “In caso di
utilizzazione edificatoria dell'
area, di demolizione di fabbricato, di interventi di recupero a norma
dell'
articolo 31, comma 1, lettere c), d) ed e), della legge 5 agosto 1978, n. 457, la base imponibile è
costituita dal valore dell'
area, la quale è considerata fabbricabile anche in deroga a quanto stabilito
nell'
articolo 2, senza computare il valore del fabbricato in corso d'
opera, fino alla data di ultimazione dei
lavori di costruzione, ricostruzione o ristrutturazione ovvero, se antecedente, fino alla data in cui il
fabbricato costruito, ricostruito o ristrutturato è comunque utilizzato”.
74
Cass. 18 dicembre 2009, n. 26685 (“in tema di imposta di registro, l'
art. 52 del d.p.r. 26 aprile
1986, n. 131, laddove stabilisce un limite al potere di accertamento dell'
Ufficio del Registro in ordine
agli atti concernenti immobili, richiede che l'
immobile oggetto dell'
atto da registrare sia dotato di rendita
catastale riferibile allo stato del bene trasferito al momento della cessione, sicché il criterio di valutazione
automatica non può trovare applicazione quando, a causa di intervenute modifiche, la situazione di fatto e
giuridica risulti modificata rispetto a quella catastale, poiché in tale evenienza è come se l'
immobile fosse
privo di rendita”). Cfr. anche, in precedenza, tra le altre, Cass. 16 aprile 2007, n. 8983, in Foro it., Rep.
2007, voce Tributi locali, n. 218; Cass. 18 marzo 2002, n. 3927, in Foro it., Rep. 2002, voce Registro
(imposta), n. 93.
21
esistente”: con la conseguenza che non trova applicazione né la disciplina della
conformità oggettiva, né quella della conformità soggettiva 75.
2.3.3. I fabbricati urbani improduttivi di reddito.
Esistono fabbricati che, a norma dell’art. 3, comma 2, del D.M. 2 gennaio 1998, n.
28, “possono formare oggetto di iscrizione in catasto, senza attribuzione di rendita
catastale, ma con descrizione dei caratteri specifici e della destinazione d’uso”, e ciò ai
soli fini della identificazione. Si tratta, più precisamente, oltre che dei “fabbricati o loro
porzioni in corso di costruzione o di definizione”, di cui si è già detto, delle
“costruzioni inidonee ad utilizzazioni produttive di reddito, a causa dell’accentuato
livello di degrado” (c.d. unità collabenti), dei lastrici solari, e delle aree urbane.
Relativamente a questi fabbricati, la conclusione sembra dover essere identica a quella
proposta riguardo ai fabbricati non ancora ultimati: essendo la loro iscrizione nel
catasto dei fabbricati meramente facoltativa, ed esclusivamente finalizzata
all’identificazione, non può farsi discendere dalla mancata identificazione nel catasto
dei fabbricati la nullità dell’atto, la quale sarebbe totalmente ingiustificata alla luce
dello scopo fiscale della disciplina in esame, considerato che si tratta di unità iscritte in
catasto senza attribuzione di rendita, e senza presentazione di planimetria 76, il cui
possesso non assume rilievo ai fini tributari. Né avrebbe senso richiedere una
determinata “classificazione” nel catasto fabbricati (ad esempio, di un rudere di
fabbricato come “unità collabente”) al solo fine di … dichiarare inapplicabile la
disciplina in commento: è evidente che è sufficiente che l’esistenza dei presupposti che,
a norma dell’art. 3, comma 2, del d.m. n. 28/1998 sia dichiarata dalla parte alienante
(e, preferibilmente, confermata dalla parte acquirente). Da ciò discende l’inapplicabilità
anche della disciplina della conformità soggettiva, dettata dal secondo periodo del
comma 1-bis.
A maggior ragione, sono esclusi dal perimetro applicativo della disposizione in
esame i fabbricati che – a norma dell’art. 3, comma 3, del D.M. 2 gennaio 1998, n. 28 –
non costituiscono oggetto di inventariazione, “a meno di una ordinaria autonoma
75
Una diversa e “prudenziale” lettura della disciplina in commento – rispetto a quella proposta nel
testo – potrebbe fondarsi sul rilievo che anteriormente all’inizio dei lavori di ristrutturazione il fabbricato
era produttivo di reddito, ed era censito o censibile in catasto dei fabbricati con attribuzione di rendita; su
queste basi potrebbe richiedersi il riferimento alla planimetria anteriore alla ristrutturazione, e la
dichiarazione di conformità al corrispondente stato di fatto. A ben riflettere, però, a parte l’incongruenza
di un riferimento ad uno stato di fatto antecedente, diverso quindi da quello esistente al momento in cui
l’atto è stipulato, che non trova nella legge alcun fondamento normativo, un problema irresolubile
sorgerebbe nell’ipotesi in cui, prima dell’inizio dei lavori di ristrutturazione, non esisteva conformità tra
planimetria, dati catastali e stato di fatto. In questo caso non sarebbe possibile soddisfare lo scopo di
realizzare la “conformità” oggettiva, se non presentando una nuova planimetria, la quale però per
definizione non potrebbe essere conforme allo stato attuale (essendo i lavori in corso); né la vigente
normativa catastale consente di presentare una planimetria aggiornata facendo riferimento ad uno stato di
consistenza anteriore. Per converso, non può neanche ritenersi necessaria una variazione dell’unità
immobiliare urbana mediante classamento provvisorio in una categoria speciale (F/3 o F/4): si è già
detto, a proposito dei fabbricati in corso di costruzione, che tale tipo di accatastamento è sempre
facoltativo, non dà luogo a presentazione di planimetria né ad attribuzione di rendita: fermo restando
che la necessità o l’opportunità di identificazione può condurre a denunziare la variazione in catasto, ciò
non vale certo ai fini della validità dell’atto. Non rimane, in conclusione, che ritenere totalmente
inapplicabile il d.l. 78/2010 ai fabbricati in corso di ristrutturazione.
76
Come chiarito dalla Circ. Agenzia Territorio 26 novembre 2001, n. 9/T, § 7, le unità ascrivibili
alle cosiddette categorie fittizie, ossia F1 (area urbana), F2 (unità collabenti), F3 (unità in corso di
costruzione), F4 (unità in corso di definizione) ed F5 (lastrico solare), a cui non è associabile una rendita
catastale, “devono essere individuate esclusivamente nell’elaborato planimetrico, con esclusione della
presentazione di singole planimetrie”.
22
suscettibilità reddituale”, e più precisamente: a) i manufatti con superficie coperta
inferiore a otto metri quadri; b) le serre adibite alla coltivazione e protezione delle
piante sul suolo naturale; c) le vasche per l’acquacoltura o di accumulo per l’irrigazione
dei terreni; d) i manufatti isolati privi di copertura; e) le tettoie, i porcili, i pollai, i
casotti, le concimaie, i pozzi e simili, di altezza utile inferiore a metri 1,80, purché di
volumetria inferiore a 150 metri cubi; f) i manufatti precari, privi di fondazione, non
stabilmente infissi al suolo. Questi immobili non devono essere, quindi, ordinariamente
iscritti nel catasto dei fabbricati, e conseguentemente non si applica loro la disciplina in
esame, per la stessa ragione sopra enunciata (irrilevanza del possesso dei suddetti
fabbricati ai fini dell’applicazione dei tributi). A meno che – come espressamente
disposto dal suddetto art. 3, comma 3 – detti fabbricati abbiano una “ordinaria
autonoma suscettibilità reddituale”: la sussistenza di questo requisito non può che
essere dichiarata dalla parte alienante, la quale deve a tal uopo effettuarne o farne
effettuare una valutazione tecnica, preferibilmente da parte di un esperto di sua fiducia.
Sono infine esclusi tout court dall’obbligo di iscrizione, e pertanto dall’àmbito di
applicazione del comma 1-bis in esame, i fabbricati indicati nella disposizione – da
considerarsi ancora attuale – dettata dall’art. 6, comma 3, del R.D.L. 13 aprile 1939, n.
652, e cioè i fabbricati costituenti le fortificazioni e loro dipendenze, i fabbricati
destinati all’esercizio dei culti, i cimiteri con le loro dipendenze, i fabbricati di
proprietà della Santa Sede 77.
Ovviamente, l’inapplicabilità dell’art. 29, comma 1-bis, presuppone che il
fabbricato sia intrinsecamente inidoneo a produrre reddito, come appunto avviene nelle
fattispecie appena richiamate; la suddetta disciplina si applica invece normalmente
allorché l’improduttività di reddito dipenda da ragioni estrinseche, legate ad una
particolare soggettiva destinazione dell’immobile. E’ questo, ad esempio, il caso degli
“immobili relativi ad imprese commerciali e quelli che costituiscono beni strumentali
per l’esercizio di arti e professioni”, i quali, a norma dell’art. 43, comma 1, del D.P.R.
22 dicembre 1986, n. 917, “non si considerano produttivi di reddito fondiario”, pur
costituendo oggetto dell’imposta comunale sugli immobili.
2.3.4. Le unità immobiliari urbane di proprietà condominiale e in uso esclusivo.
Problemi particolari nascono con riferimento alle unità immobiliari comuni
condominiali, quali indicate nell’art. 1117 c.c. E’ noto che tali beni, proprio in
considerazione della loro destinazione ed inerenza al condominio ed all’uso comune,
seguono, per la corrispondente quota millesimale spettante a ciascun condomino, la
sorte dell’unità immobiliare a quest’ultimo spettante, e quindi si trasferiscono
necessariamente unitamente ad essa, ancorché non costituiscano espressamente oggetto
dell’atto 78. Ciò, evidentemente, fino a quando i beni comuni mantengono la
destinazione a servizio del condominio: in caso contrario è possibile la sottrazione al
regime dei beni comuni condominiali, e la disposizione autonoma 79. Si è posto,
pertanto, il problema della ricomprensione o meno dei suddetti beni comuni nel regime
dettato dall’art. 29, comma 1-bis, in esame, e si è sostenuto che il regime di inerenza
necessaria sopra descritto – il quale fa sì che i suddetti beni si trasferiscano
automaticamente all’acquirente delle singole unità, e non possano essere
convenzionalmente esclusi dal trasferimento – escluderebbe in ogni caso l’applicabilità
77
Cfr. anche le esenzioni previste dall’art. 7 del d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 504.
Cass. 29 maggio 1995, n. 216, in Vita not., 1996, p. 215; Cass. 10 gennaio 1990, n. 9, in Vita not.,
1990, p. 107.
79
Cfr. gli artt. 61 e 62 disp. att. c.c.
78
23
della disciplina in commento 80. Ciò, è evidente, vale senza alcun dubbio per le porzioni
del fabbricato che siano censibili e censite nel catasto dei fabbricati come beni comuni
non censibili, sprovvisti cioè di autonoma potenzialità reddituale.
Riguardo, invece, alle porzioni di fabbricato di proprietà comune dei condomini, e
suscettibili di reddito proprio, le cose stanno in termini parzialmente diversi: non esiste
infatti – né nella normativa catastale né in quella tributaria – alcuna espressa
disposizione di esenzione che le riguardi, e che le renda irrilevanti ai fini della
disciplina in esame. Esiste, al contrario, una specifica disposizione tributaria che
dimostra la potenziale suscettibilità reddituale di alcune categorie di beni comuni: a
norma l’art. 36, comma 3-bis, del d.p.r. n. 917/1986, come modificato dall’art. 4 del d.l.
n. 330/1994, “il reddito imputabile a ciascun condomino derivante dagli immobili di cui
all'
articolo 1117, n. 2, del codice civile oggetto di proprietà comune, cui è attribuita o
attribuibile un'
autonoma rendita catastale, non concorre a formare il reddito del
contribuente se d'
importo non superiore a lire 50 mila”. Si tratta – ai sensi del
combinato disposto delle due norme succitate, dei “locali per la portineria e l’alloggio
del portiere, per la lavanderia, per il riscaldamento centrale, per gli stenditoi e per
altri simili servizi in comune”, quando la quota millesimale della relativa rendita
catastale, costituente il reddito imputabile al singolo condomino, sia superiore ad euro
25,82 81. Nei suddetti casi, il condomino – obbligato a dichiarare il relativo reddito – ha,
innanzitutto, diritto ad ottenere dall’amministratore la documentazione relativa ai beni
comuni, avendovi specifico interesse 82; egli ha poi, evidentemente, la possibilità di
accedere agli uffici dell’Agenzia del territorio per verificare i dati catastali e chiedere
copia della planimetria; ha, eventualmente, la facoltà e l’obbligo di presentare una
nuova planimetria, in caso di intervenute mutazioni nello stato di fatto.
Ricorre quindi - limitatamente alle suddette unità immobiliari comuni produttive di
reddito – l’interesse alla verifica della conformità oggettiva (rilevante ai fini della
determinazione delle imposte dovute dal condomino), e della conformità soggettiva (ai
fini dell’individuazione del suddetto condomino quale soggetto passivo dei
corrispondenti tributi). Deve, in conclusione, ritenersi che le disposizioni in esame
trovino applicazione alle sole porzioni comuni del fabbricato che rientrano
nell’elencazione dell’art. 1117, n. 2, c.c., e nel solo caso in cui ricorrano le condizioni
previste dall’art. 36, comma 3-bis, del d.p.r. n. 917/1986.
2.3.5. Le aree di pertinenza dei fabbricati urbani.
Va a questo punto verificata la rilevanza o meno, ai fini del comma 1-bis dell’art.
29, delle aree pertinenziali al fabbricato, di proprietà esclusiva ovvero condominiale.
Si è già visto che le aree urbane, in quanto non abbiano destinazione a pertinenza di una
unità immobiliare urbana, sono soggette ad iscrizione nel catasto fabbricati a soli fini di
identificazione, senza obbligo di presentazione di planimetria né attribuzione di rendita
(art. 3, comma 2, del d.m. n. 28/1998). Le aree urbane non pertinenziali sono, pertanto,
escluse dalla disciplina in esame.
Diverso è il discorso per le aree di pertinenza. A norma dell’art. 6, comma 2, del
R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, la dichiarazione al catasto urbano “va estesa alle aree e
80
In questo senso Consiglio Nazionale del Notariato, La circolazione immobiliare a seguito del d.l.
31 maggio 2010, n. 78 (c.d. manovra economica). Prime note, in CNN Notizie del 28 giugno 2010.
81
Ad esempio, in presenza di un alloggio del portiere avente rendita catastale di euro 400,00, se al
condomino alienante compete una quota pari a 35 millesimi dei beni comuni, il reddito a lui imputabile è
pari ad euro 14,00, con la conseguenza che esso non concorre a formare il di lui reddito complessivo, e
non assume di conseguenza rilevanza neanche ai fini in esame.
82
Cass. 5 aprile 1984, n. 2220, in Giust. civ., 1985, I, p. 1189.
24
ai suoli che formano parte integrante di una o più unità immobiliari, o concorrono a
determinarne l'
uso e la rendita”. L’art. 56, lett. f), del D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142
dispone l’obbligo di indicare nella denunzia di accatastamento le “aree, scoperte od
altre dipendenze annesse all'
uso dell'
unità immobiliare precisando se esse sono comuni
ad altre unità immobiliari”. L’art. 8, comma 7, lett. f), del D.P.R. 23 marzo 1998, n.
138, nel determinare i criteri di classamento delle unità immobiliari urbane, e quindi gli
elementi rilevanti per stabilire categoria e classe delle stesse, ricomprende tra questi le
“pertinenze comuni ed esclusive”; nel successivo allegato “C” detta poi criteri al fine di
determinare in quale misura debba essere computata la superficie delle aree scoperte di
pertinenza esclusiva (ivi compresi parchi, giardini, corti e simili), ai fini della
determinazione della superficie convenzionale dell’unità immobiliare urbana.
Alle suddette aree pertinenziali attribuisce rilievo anche la normativa tributaria: a
norma dell’art. 36, comma 2, del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, “le aree occupate
dalle costruzioni e quelle che ne costituiscono pertinenze si considerano parti integranti
delle unità immobiliari”; ai sensi dell’art. 2, comma 1, del d. lgs. 30 dicembre 1992, n.
504, si considera “parte integrante del fabbricato l'
area occupata dalla costruzione e
quella che ne costituisce pertinenza”. Corrispondentemente, dette aree cessano di essere
allibrate al catasto terreni, a seguito della denuncia di cambiamento che deve essere
preliminarmente presentata a quest’ultimo 83.
Agli effetti dell’art. 29, comma 1-bis, della legge n. 52/1985, è quindi necessario
distinguere diverse possibili situazioni:
a) – aree urbane non pertinenziali: le stesse non assumono rilevanza ai fini in
oggetto; ovviamente, non essendo le stesse pertinenza di edifici censiti nel catasto
fabbricati, la relativa alienazione richiede a pena di nullità l’allegazione del certificato
di destinazione urbanistica, a norma dell’art. 30 del d.p.r. n. 380/2001; ai fini fiscali, il
relativo trasferimento non può usufruire della tassazione “su base catastale” (c.d.
prezzo-valore, ex art. 1, comma 497, della legge 23 dicembre 2005, n. 266) 84, né
dell’agevolazione fiscale per l’acquisto della prima casa, limitata alle sole aree
pertinenziali “graffate” al fabbricato 85, e quindi inserite nella relativa planimetria;
b) – aree urbane di pertinenza esclusiva dell’unità immobiliare urbana: esse devono
essere necessariamente incluse nella relativa planimetria, in base alla vigente
normativa catastale: in mancanza, non sussiste la conformità oggettiva – in base alla
vigente normativa catastale – tra stato di fatto, planimetria e dati catastali;
c) – aree di pertinenza comune (condominiali), le quali devono essere inserite
nell’elaborato planimetrico dell’intero edificio. Si è già detto che le stesse incidono sul
classamento e quindi sul calcolo della rendita: ciò nonostante, la circostanza che esse
non debbano essere inserite nella planimetria – con la quale soltanto il comma 1-bis
impone il riscontro – rende il relativo status indifferente ai fini della conformità
83
A norma dell’art. 8 della legge 1 ottobre 1969, n. 679, i possessori di particelle censite nel catasto
terreni sulle quali vengono edificati nuovi fabbricati ed ogni altra stabile costruzione nuova, da
considerarsi immobili urbani, hanno l'
obbligo di denunciare all'
Ufficio tecnico erariale il cambiamento
verificatosi nello stato del terreno per effetto della avvenuta edificazione, nel termine di sei mesi dalla
data di riconosciuta abitabilità o agibilità dei locali. Alla denuncia deve essere allegato un tipo mappale,
riportante la rappresentazione grafica della avvenuta variazione, indicandovi anche le relative attinenze
coperte e scoperte. Da rilevare che tale denuncia di cambiamento al catasto terreni costituisce il logico
pendant della denuncia al catasto dei fabbricati, con inclusione dell’area urbana pertinenziale nella
planimetria (trattandosi di pertinenza esclusiva) o nell’elaborato planimetrico (trattandosi di pertinenza
comune): cfr. sul punto la Circ. Min. Fin. 20 gennaio 1984, n. 2. Conseguentemente, il semplice
allibramento alla partita 1 (aree di enti urbani) nel catasto terreni non è sufficiente al fine di conseguire la
conformità oggettiva di cui all’oggetto, essendo necessario l’inserimento nella planimetria depositata nel
catasto fabbricati.
84
Ris. Agenzia Entrate 11 aprile 2008, n. 149/E.
85
Circ. Agenzia Entrate 12 agosto 2005, n. 38/E; Ris. Agenzia Entrate 16 febbraio 2006, n. 32/E.
25
oggettiva di cui trattasi 86. Il che comporta l’irrilevanza, ai fini de quibus,
dell’inserimento o meno del cortile condominiale nell’elaborato planimetrico del
fabbricato.
2.3.6. I posti auto scoperti.
Una particolare categoria di unità immobiliari urbane è quella dei posti auto
scoperti, i quali devono essere censiti nel catasto dei fabbricati con attribuzione di
rendita (nell’allegato “B” al d.p.r. n. 138/1998 sono espressamente inclusi i “posti auto
scoperti su aree private”) e si differenziano quindi nettamente dalle aree urbane,
improduttive invece di reddito proprio. Occorre, sul punto, distinguere due situazioni
differenti.
Per quanto riguarda i posti auto in proprietà esclusiva di determinati soggetti, essi
rientrano certamente nella disciplina del comma 1-bis dell’art. 29, nella misura in cui
possano essere definiti come “fabbricati”, e siano quindi realizzati mediante opere che
comportino trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio. Si tratta dell’ipotesi
maggiormente ricorrente, anche se non è da escludere l’eventualità di posti auto ricavati
su un’area scoperta senza compimento di alcuna opera edilizia: caso, quest’ultimo, nel
quale mancherebbe un “fabbricato”, e dovrebbe ritenersi inapplicabile la disciplina in
esame.
Vi è poi il caso dei posti auto realizzati nel cortile condominiale, di proprietà
comune dei condomini. Il cortile condominiale, ricompreso tra i beni comuni a norma
dell’art. 1117, n. 1, c.c., non rientra tra i beni comuni produttivi di reddito in capo ai
singoli condomini (indicati al n. 2 dell’art. 1117, richiamato dall’art. 36, comma 3-bis,
del d.p.r. n. 917/1986): neanche ai fini catastali è prevista l’autonoma denuncia di tali
cortili nel catasto dei fabbricati, tanto più che la destinazione a posti auto non è in
generale esclusiva di altri utilizzi, secondo il regime proprio del condominio 87. Deve
quindi ritenersi, a contrario, che l’irrilevanza tributaria e fiscale del cortile
condominiale determini l’inapplicabilità, agli atti che lo riguardano, della disciplina in
commento.
E’ poi possibile che i posti auto condominiali siano assegnati in uso esclusivo a
singoli condomini. Le pattuizioni di uso esclusivo sono, come è noto, di controversa
qualificazione: si tratta, tendenzialmente, di deroghe – deliberate dall’assemblea del
condominio o pattuite tra i condomini – alle previsioni degli artt. 1102 e 1104 c.c., in
forza delle quali ciascun condomino assegnatario usufruisce in via esclusiva di una
porzione del bene comune, e ne sopporta le spese 88. Dette pattuizioni di uso esclusivo
non danno quindi luogo al sorgere di un diritto reale a favore del condomino (essendo,
tra l’altro, nella disponibilità dell’assemblea del condominio la relativa permanenza o
cessazione). Si tratta comunque di quaestio facti, da risolversi mediante interpretazione
86
La conclusione raggiunta nel testo vale anche per le aree comuni a più unità immobiliari urbane,
nell’ipotesi in cui tutte le suddette unità appartengano ad un unico proprietario: pur non essendo
giuridicamente “comune”, l’area è tuttavia legittimamente inserita nell’elaborato planimetrico anziché
nelle planimetrie delle singole unità, e non rileva pertanto ai fini delle prescrizioni dettate dal comma 1bis dell’art. 29.
87
Cfr. sul punto Cass. 16 giugno 2005, n. 12873, in Arch. locazioni, 2005, p. 648.
88
Cfr. BARALIS-CACCAVALE, Diritti di "uso esclusivo" nell'
ambito condominiale, in Studi e
materiali, 2003, 2, p. 489. Cfr. anche, sulla complessa problematica, MARMOCCHI, L'
uso delle parti
comuni: dal pari uso all'
uso esclusivo, in Riv. not., 2008, p. 91; PUGLIESE, Utilizzo di cose comuni e
poteri dell'
assemblea condominiale (nota a Cass. 17 luglio 2006 n. 16228), in Giust. civ., 2007, I, p.
2475; Cass. 17 luglio 2006, n. 16228, in Giust. civ., 2007, I, p. 2473; Cass. 7 dicembre 2006, n. 26226, in
Giur. it., 2007, p. 1918; Cass. 29 dicembre 2004, n. 24146, in Vita not., 2005, p. 255; Cass. 17 maggio
1997, n. 4394, in Vita not., 1997, p. 1451.
26
del titolo che attribuisca l’uso esclusivo, essendo anche possibile riscontrare nei casi
concreti l’attribuzione di un diritto reale (in particolare, di servitù, o di uso a norma
dell’art. 1021 c.c.) 89. In questi ultimi casi, la costituzione del diritto reale comporta
applicazione del comma 1-bis in commento (non sarebbe invece configurabile un
trasferimento dei suddetti diritti, stante l’incedibilità degli stessi). Nelle fattispecie
“normali”, di pattuizioni di uso esclusivo in deroga agli artt. 1102 e 1104 c.c., la
disciplina del comma 1-bis dell’art. 29 è invece inapplicabile.
2.3.7. I fabbricati rurali.
Delicati problemi si pongono per i fabbricati rurali, intendendosi per tali quelli in
possesso dei requisiti di ruralità previsti dalla vigente normativa. I fabbricati già rurali,
ma non più in possesso dei requisiti di ruralità, sono infatti “unità immobiliari urbane”
a tutti gli effetti di legge, per le quali sussiste l’obbligo di denuncia al catasto dei
fabbricati. Ne consegue la piena applicazione ad esse della disciplina del comma 1-bis:
a decorrere dal 1° luglio 2010, i fabbricati già rurali che non siano accatastati sono
pertanto incommerciabili.
Quanto ai fabbricati in possesso dei requisiti di ruralità, gli stessi sono – come tutte
le unità immobiliari, urbane o meno – soggetti all’obbligo di iscrizione nel catasto dei
fabbricati 90. Il comma 1-bis, come già visto, esordisce nel primo periodo menzionando
tutti i “fabbricati già esistenti”, ma limita poi la disciplina relativa alla “conformità
oggettiva” alle sole “unità immobiliari urbane”; il secondo periodo del comma 1-bis
rinvia invece genericamente ai “predetti atti”, riferendosi pertanto a tutti i “fabbricati
già esistenti”. In tal modo si viene a creare un diverso àmbito di applicazione delle due
discipline, essendo invece l’esigenza di “conformità soggettiva” – giusta il suddetto
rinvio contenuto nel secondo periodo del comma 1-bis – riferibile sia alle unità
immobiliari urbane che ai fabbricati rurali in possesso dei requisiti di ruralità.
La conclusione raggiunta in termini di inapplicabilità dei riscontri di “conformità
oggettiva” ai fabbricati aventi i requisiti di ruralità merita, peraltro, un
approfondimento. Le norme catastali in vigore definiscono il concetto di “fabbricato
urbano”, e quello corrispondente di “unità immobiliare urbana” 91, in contrapposizione
alla diversa nozione di “fabbricato rurale” 92; mentre – quando trattano di entrambe le
categorie di fabbricati, utilizzano l’espressione generica di “unità immobiliare” 93. Sul
89
Cfr. sul punto ALCARO, Appunti in tema di servitù di "uso esclusivo", in Studi e materiali, 2009,
3, p. 1027.
90
A norma dell’art. 9, comma 1, del D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito in legge 26 febbraio
1994, n. 133, “Al fine di realizzare un inventario completo ed uniforme del patrimonio edilizio, il
Ministero delle finanze provvede al censimento di tutti i fabbricati o porzioni di fabbricati rurali e alla
loro iscrizione, mantenendo tale qualificazione, nel catasto edilizio urbano, che assumerà la
denominazione di «catasto dei fabbricati”. V. anche il D.M. 2 gennaio 1998, n. 28 (regolamento recante
norme in tema di costituzione del catasto dei fabbricati), ed il D.P.R. 23 marzo 1998, n. 139
(Regolamento recante norme per la revisione dei criteri di accatastamento dei fabbricati rurali, a norma
dell’art. 3, comma 156, della legge 23 dicembre 1996, n. 662); nonché la Ris. Min. Fin. 31 maggio 1999,
n. 87/T.
91
Cfr. supra, la nota segnalibro.
92
A norma dell’art. 4, comma 1, del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, “Si considerano come immobili
urbani i fabbricati e le costruzioni stabili di qualunque materiale costituite, diversi dai fabbricati rurali”.
93
L’art. 1 del D.M. 2 gennaio 1998, n. 28 (“Regolamento recante norme in tema di costituzione del
catasto dei fabbricati”), premesso che “il catasto dei fabbricati rappresenta l’inventario del patrimonio
edilizio nazionale”, dispone che “il minimo modulo inventariale è l’unità immobiliare”; l’art. 2, al
comma 1, precisa che “l’unità immobiliare è costituita da una porzione di fabbricato, o da un fabbricato,
o da un insieme di fabbricati ovvero da un’area, che, nello stato in cui si trova e secondo l’uso locale,
presenta potenzialità di autonomia funzionale e reddituale”, e al comma 2 dispone l’iscrizione nel catasto
27
piano strettamente normativo, quindi, non sembra dubbia la correttezza della superiore
interpretazione, e la ricomprensione nel solo àmbito applicativo del secondo periodo
del comma 1-bis dei fabbricati rurali censiti nel catasto fabbricati: la legge circoscrive
inequivocabilmente il riscontro di conformità oggettiva richiesto dal primo periodo del
comma 1-bis alle sole “unità immobiliari urbane” (mentre, quando ha voluto riferirsi a
tutte le “unità immobiliari” ha utilizzato quest’ultima espressione). Occorre, tuttavia,
considerare l’estrema complessità dell’accertamento dei requisiti di ruralità dei
fabbricati 94, la quale non è oggetto di alcuna certificazione da parte degli uffici
dell’amministrazione finanziaria 95. I fabbricati rurali, come le unità immobiliari
urbane, sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita: semplicemente, quest’ultima
non è oggetto di tassazione in presenza dei requisiti di ruralità (art. 42 del D.P.R. 22
dicembre 1986, n . 917) 96. Si consideri, inoltre, che tra i requisiti richiesti ai fini della
ruralità vi sono anche quelli soggettivi (qualifica di imprenditore agricolo iscritto nel
registro delle imprese): nell’ipotesi in cui il trasferimento del diritto reale abbia luogo
da un imprenditore agricolo ad un soggetto privo di tale qualifica soggettiva, deve
probabilmente ritenersi che venga meno istantaneamente la qualità di fabbricato
rurale, con le conseguenze del caso (compresa l’applicabilità del primo periodo del
comma 1-bis in esame, e quindi la nullità dell’atto, in caso di inottemperanza alle
relative prescrizioni). Tutte queste ragioni – ferma l’esclusiva applicabilità del primo
periodo del comma 1-bis alle sole unità immobiliari urbane – consigliano pertanto un
atteggiamento di massima prudenza nell’applicazione della disciplina in esame ai
fabbricati rurali.
La prudenza riguarda anche, ed anzi soprattutto, i fabbricati rurali non iscritti nel
catasto dei fabbricati. In assenza, infatti, dei requisiti di ruralità, il mancato
accatastamento di quella che sarebbe a tutti gli effetti un’unità immobiliare urbana ne
determinerebbe l’incommerciabilità. Tuttavia, nel caso in cui vi sia certezza dei
requisiti soggettivi ed oggettivi di ruralità, in capo sia all’alienante che all’acquirente,
il fabbricato rurale può formare oggetto di trasferimento anche se non accatastato. In
questa ipotesi, le risultanze del catasto terreni (ivi compresa l’intestazione) devono
ritenersi invece irrilevanti agli effetti della “conformità soggettiva”, richiesta dalla
norma in esame: si è già visto, infatti, che dal complesso della disciplina si ricava
l’esclusiva attenzione del legislatore al catasto dei fabbricati, l’unico avente rilievo ai
fabbricati anche delle costruzioni rurali (“L’abitazione e gli altri immobili strumentali all’esercizio
dell’attività agricola costituiscono unità immobiliari da denunciare in catasto autonomamente”).
94
Cfr. sul punto l’art. 9, commi 3, 3-bis, 3-ter, 4 e 5, del D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito
in legge 26 febbraio 1994, n. 133, quale risultante dalle successive modificazioni intervenute. Sui
requisiti di ruralità, v. anche il Provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio in data 9 febbraio
2007 (pubblicato nella G.U. n. 42 del 20 febbraio 2007); nonché la Circ. Agenzia Territorio 15 giugno
2007, n. 7/T, e la Ris. Agenzia Entrate 23 maggio 2007, n. 111/E.
95
In tal senso la Ris. Agenzia Entrate 23 maggio 2007, n. 111/E, che afferma l’insussistenza di
“alcun obbligo in capo agli uffici dell’Agenzia delle Entrate di rilasciare certificazioni che attestino la
ruralità di un fabbricato. Sarà cura del soggetto che chiede l’accatastamento o la variazione di
accatastamento, valutare la ricorrenza di tutte le condizioni previste dalla norma al fine di qualificare
rurale il proprio fabbricato e, in caso positivo, applicare le norme che ne disciplinano il regime fiscale”.
96
In tal senso, v. espressamente la Circ. Agenzia Territorio 15 giugno 2007, n. 7/T, § 6, ove si
evidenzia la “piena autonomia tra il profilo catastale (costituzione dell’inventario completo) e quello
fiscale (imposizione o esenzione sulla base delle redditività oggettive, comunque riportate in catasto)”.
Va, comunque, considerata anche la previsione dell’art. 23, comma 1-bis, del D.L. 30 dicembre
2008, n. 207, convertito in legge 27 febbraio 2009, n. 14, a norma del quale, ai sensi e per gli effetti
dell’art. 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 2, comma 1, lett. a), del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, deve intendersi nel senso che non si considerano fabbricati le unità
immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità di
cui all’articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge
26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni”.
28
fini della tassazione dei fabbricati. In sintesi, i fabbricati rurali, effettivamente in
possesso dei requisiti di ruralità e non censiti nel catasto fabbricati, sono da ritenersi
commerciabili, e ad essi non si applica in alcun modo la disciplina del comma 1-bis in
esame.
Nessun dubbio, comunque, sull’applicabilità della disciplina della “conformità
soggettiva” a tutti i fabbricati rurali censiti nel catasto fabbricati, oltre che alle unità
immobiliari urbane: ciò discende dalla lettera della legge, oltre che dalla considerazione
che il possibile futuro mutamento di destinazione dei fabbricati rurali rende
potenzialmente rilevante ai fini tributari la correttezza dell’intestazione catastale.
3. Le prescrizioni normative riguardo alla “conformità oggettiva”.
3.1 L’identificazione catastale dei fabbricati ed il riferimento alle planimetrie depositate
in catasto.
Il primo periodo del comma 1-bis dell’art. 29 – riguardante le unità immobiliari
urbane ultimate – può essere, a sua volta, suddiviso in due distinte prescrizioni: la
prima richiede “oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie
depositate in catasto”, la seconda impone invece “la dichiarazione, resa in atti dagli
intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie”,
consentendo poi di sostituire quest’ultima dichiarazione con una “attestazione di
conformità rilasciata da un tecnico abilitato”.
Iniziando dalla prima delle suddette disposizioni, va innanzitutto chiarito che, ai
sensi dell’art. 4 del D.M. 2 gennaio 1998, n. 28, “a ciascuna unità immobiliare e
comunque ad ogni bene immobile, quando ne occorra l’univoca individuazione, è
attribuito un identificativo catastale”; l’art. 1, comma 6, e l’art. 2, comma 3, del D.M.
19 aprile 1994, n. 701, chiariscono d’altra parte che i “parametri di identificazione
definitivi” sono rappresentati da “sezione, foglio, numero di mappale e di eventuale
subalterno”. Questi sono, pertanto, i “dati di identificazione catastale” a cui fa
riferimento – oltre al comma 1-bis in esame – l’art. 2826 c.c. (a sua volta richiamato
dall’art. 2659, n. 4, e dall’art. 2839, n. 7, c.c.).
L’espressione “oltre all’identificazione catastale” sembrerebbe far intendere che
non si tratti di una nuova prescrizione di contenuto, e probabilmente trova la sua ragion
d’essere nell’esistenza di una disposizione (l’art. 2826 c.c.) che già richiedeva tale
indicazione. Il codice civile, peraltro, richiedeva detta indicazione nel solo atto di
concessione di ipoteca, mentre per effetto della nuova disciplina anche i titoli soggetti a
trascrizione – nella misura in cui abbiano l’oggetto indicato nel comma 1-bis dell’art.
29 – devono riportare i dati di identificazione catastale; soprattutto, in questi ultimi
titoli i dati di identificazione catastale sono ora richiesti a pena di nullità.
Quanto al “riferimento alle planimetrie depositate in catasto”, si tratta delle
planimetrie la cui presentazione è obbligatoria a norma della vigente normativa
catastale (art. 7 del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, e successive modificazioni e
integrazioni). La planimetria è essenziale ai fini della individuazione della esatta
consistenza dell’unità immobiliare urbana, e conseguentemente del calcolo della rendita
catastale. Vi erano bensì delle ipotesi – a suo tempo contemplate dall’art. 58 del d.p.r. 1
dicembre 1949, n. 1142 – di esenzione dall’obbligo di presentazione della planimetria
per limiti di reddito del possessore: pur non potendosi aderire all’affermazione secondo
cui detta esenzione sarebbe “superata” dalla nuova disciplina (per il motivo che “il
riferimento alla planimetria catastale fa parte del contenuto necessario dell’atto”) 97, la
97
Circ. Agenzia Territorio 9 luglio 2010, n. 2/T.
29
difficoltà di accertare oggi l’esistenza di una causa di esenzione dal relativo obbligo
impone di fatto – in considerazione della gravità della sanzione di nullità – la
presentazione della planimetria per tutte le unità immobiliari urbane per cui sia
attualmente previsto il relativo obbligo, anche quando detta planimetria non sia
reperibile o non sia stata a suo tempo presentata.
La legge richiede, come risulta chiaramente dalla sua lettera, il raffronto tra
l’identificazione catastale e la planimetria depositata in catasto: in tal senso deve
intendersi l’espressione “riferimento alle planimetrie depositate in catasto”, che ha la
funzione di rendere evidente il collegamento tra il dato catastale e quella determinata
planimetria. Detto in altri termini, il “riferimento” richiesto dalla legge consiste nella
dichiarazione che la particella catastale, ed il relativo subalterno, identificano l’unità
immobiliare raffigurata da quella determinata planimetria depositata in catasto. Si
tratta però di capire come tecnicamente debba essere effettuato il riferimento richiesto
dalla legge, e come debba essere, quindi, “identificata” la planimetria. E’, ovviamente,
mezzo idoneo a tal fine l’allegazione della planimetria all’atto, che costituisce tra
l’altro il miglior modo per indagare la volontà delle parti (art. 47 l. not.), verificando lo
specifico intento di concludere un contratto relativo a quella determinata unità
immobiliare; non a caso il codice deontologico notarile prescrive, come regola,
l’allegazione delle planimetrie agli atti 98. Altrettanto idonea appare la modalità
consistente nella indicazione degli estremi della planimetria (coincidenti con data e
numero di protocollo della denuncia di nuova costruzione, o di variazione, a corredo
della quale la planimetria è stata presentata) 99. La legge, tuttavia, non richiede
espressamente l’indicazione di tali estremi (a differenza di altre disposizioni normative
che espressamente richiedono gli “estremi” di determinati documenti, come, ad
esempio, l’art. 46, commi 1 e 4, del d.p.r. n. 380/2001; ovvero l’art. 6, comma 1, lett.
c), g) ed i) del d. lgs. 20 giugno 2005, n. 122). Pertanto, anche altre modalità di
“riferimento” possono essere impiegate, purché in concreto idonee ad identificare
senza margini di dubbio la planimetria di cui trattasi (si pensi, per esemplificare, alla
citazione di un precedente atto notarile, al quale la planimetria è stata allegata). E’
invece da escludersi che possa considerarsi idoneo un semplice riferimento alla
“planimetria depositata in catasto”, senza ulteriori indicazioni: in questi termini, la
previsione normativa del “riferimento” sarebbe infatti superflua, venendo a confondersi
con la dichiarazione di conformità allo stato di fatto.
La legge non indica espressamente l’autore del “riferimento” di cui trattasi: dal
confronto con la seconda parte della disposizione – che a proposito della conformità
con lo stato di fatto richiede espressamente la dichiarazione degli intestatari – si è
desunto, a contrario, che autore della dichiarazione in esame debba essere il notaio 100.
Una tale conclusione è però destituita di qualsiasi fondamento. Innanzitutto, nel caso di
scrittura privata autenticata, il notaio interviene al solo fine di autenticare le
sottoscrizioni delle parti, previo espletamento dei prescritti controlli di identità,
capacità, legittimazione e legalità, mentre autori (in senso giuridico) della scrittura
privata rimangono soltanto ed esclusivamente le parti (e ciò anche quando il notaio sia
stato autore materiale del documento, essendo stato incaricato dalle parti di
98
Art. 50, lett. c), dei “Princìpi di deontologia professionale dei notai”, approvati con delibera del
Consiglio nazionale del Notariato del 5 aprile 2008, n. 2/56 (pubblicata nella G.U. n. 177 del 30 luglio
2008).
99
Occorre, peraltro, valutare il fatto che numero e data di registrazione della denuncia di variazione,
o di nuova costruzione, molto spesso non identificano una sola planimetria, ma un certo numero di
planimetrie, corrispondenti a diverse unità immobiliari urbane; in questi casi, il mero riferimento a tali
estremi non consente quindi di identificare compiutamente la singola planimetria che interessa.
100
In questo senso Consiglio Nazionale del Notariato, La circolazione immobiliare a seguito del d.l.
31 maggio 2010, n. 78 (c.d. manovra economica). Prime note, in CNN Notizie del 28 giugno 2010.
30
confezionarlo). Nel caso invece dell’atto pubblico – il quale documenta, oltre ad
eventuali dichiarazioni del notaio, le dichiarazioni delle parti dell’atto – la lettera del
comma 1-bis è talmente ampia da consentire che la dichiarazione in esame possa
provenire, indifferentemente, dal notaio o dalle parti. Va però considerata la circostanza
decisiva per cui – come sarà meglio chiarito nel prosieguo (cfr. il § 3.4) – il notaio
potrebbe non essere in condizione di verificare direttamente le planimetrie (la legge ne
consente la visione unicamente al titolare del diritto reale). In conclusione, deve
ritenersi che normalmente la dichiarazione di corrispondenza tra identificazione
catastale e planimetria debba essere effettuata dalle parti; nell’atto pubblico, è
possibile, ma non necessario, che la stessa dichiarazione provenga, o sia confermata,
dal notaio che abbia avuto modo di eseguire personalmente il raffronto richiesto dalla
legge.
Altro, e diverso discorso è se il notaio sia tenuto a verificare la correttezza della
dichiarazione resa dalle parti, e quali siano le conseguenze dell’eventuale dichiarazione
non veritiera: profili, questi, che verranno esaminati nel prosieguo della trattazione.
3.2. La conformità delle planimetrie e dei dati catastali con lo stato di fatto.
Il secondo requisito richiesto – a pena di nullità – dal comma 1-bis dell’art. 29, è “la
dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati
catastali e delle planimetrie”, sostituibile come già detto con una attestazione di
conformità redatta da un tecnico abilitato. A differenza della prima dichiarazione di
corrispondenza (quella tra dati catastali e planimetria), la quale – consistendo in un
raffronto tra dati risultanti dal catasto – potrebbe almeno in alcuni casi essere resa dal
notaio, quella qui all’esame richiede la precisa conoscenza dello stato di fatto; proprio
per questo la legge richiede che la stessa sia resa dalle parti.
In sostanza, le parti devono raffrontare la reale situazione dell’unità immobiliare
urbana sia con la planimetria che con i dati catastali: con riferimento a questi ultimi, la
legge adopera, non a caso, un’espressione più ampia di quella utilizzata nella prima
parte della disposizione (“identificazione catastale”). Nel più esteso concetto di “dato
catastale” devono ritenersi ricompresi anche i “dati non identificativi”, nella misura in
cui ad essi possa essere riconosciuta rilevanza ai fini tributari: quindi, oltre a sezione,
foglio di mappa, numero di mappa e subalterno, anche indicazione del piano 101, del
numero dei vani o dei metri quadri 102, elementi questi ultimi certamente rilevanti ai
fini del classamento, e quindi del calcolo della rendita catastale. Deve, pertanto,
ritenersi che la dichiarazione richiesta alle parti debba estendersi anche a questi ulteriori
101
Ai sensi dell’art. 8, comma 7, lett. g), del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 138, il “livello di piano” è
elemento rilevante ai fini del classamento dell’unità immobiare urbana. Ciò significa che eventuali errori
nell’indicazione del piano potrebbero incidere sul classamento e, quindi, sull’attribuzione della rendita,
rendendo i dati catastali e/o la planimetria non conformi allo stato di fatto. Non tutti i casi sono,
ovviamente, uguali: è possibile che il piano sia indicato non correttamente nella planimetria, e questa è
evidentemente una difformità rilevante; è al contrario possibile che il piano sia indicato in modo inesatto
– in conseguenza di un mero errore materiale – nel solo indirizzo risultante dalla visura catastale, ed in
questo caso potrebbe trattarsi di difformità che non ha determinato alcuna conseguenza sul classamento.
La valutazione di conformità è, in ogni caso, di esclusiva competenza della parte alienante, la quale
soltanto – edotta dal notaio sulle conseguenze dell’eventuale dichiarazione mendace – ha l’onere di
eseguire le relative verifiche.
102
Occorre peraltro evidenziare che, per effetto dell’art. 3 del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 138,
“L’unità di consistenza delle unità immobiliari urbane a destinazione ordinaria indicate nel quadro
generale, di cui all’allegato B, è il metro quadrato di superficie catastale”, con la conseguenza che “Le
tariffe d’estimo delle unità immobiliari urbane, di cui al comma 1, sono determinate con riferimento alla
suddetta unità di superficie”. Cfr. anche, sui criteri di classamento, l’art. 8 del medesimo decreto, nonché
la Determinazione del direttore dell’Agenzia del territorio in data 16 febbraio 2005 (pubblicata nella
G.U. n. 40 del 18 febbraio 2005).
31
dati catastali. Non sembra, invece, che abbiano rilevanza ai fini in esame i dati
toponomastici, ossia l’indirizzo (via e numero civico) dell’unità immobiliare: la
mancata corrispondenza della relativa indicazione negli atti catastali, rispetto alla realtà
ed a quanto risulta dalla planimetria, non può ragionevolmente condurre, per la sua
irrilevanza, alla nullità dell’atto. Neanche le indicazioni della categoria, della classe e
della rendita catastale sono da considerarsi “dati catastali” nell’ottica in esame,
essendo il risultato di operazioni di calcolo e valutazione, comunque non confrontabili
con lo stato di fatto e con la planimetria. Parimenti, non rilevano – nell’ottica del solo
primo periodo del comma 1-bis – gli eventuali errori nell’intestazione soggettiva (della
partita catastale o della planimetria), che è oggetto di autonoma disciplina nel secondo
periodo della disposizione.
Dal raffronto sopra descritto può emergere la conformità, o in alternativa la
difformità della situazione di fatto rispetto ai dati catastali ed alla planimetria. La legge,
tuttavia, richiede la “dichiarazione della conformità”, con ciò evidentemente
subordinando la validità dell’atto all’esito positivo dell’accertamento. In presenza,
pertanto, di difformità che investano i dati emergenti dalla planimetria, ovvero i dati
catastali sopra menzionati, l’intestatario che intenda alienare l’immobile ha l’onere di
regolarizzare preventivamente la situazione catastale, presentando apposita denuncia
di variazione al catasto dei fabbricati, corredata da nuova planimetria (a norma dell’art.
28, comma 3, del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652); in mancanza, la conformità non può
essere dichiarata, e l’atto che contenesse una dichiarazione di difformità sarebbe nullo.
La novella impedisce, pertanto, di addossare convenzionalmente all’acquirente l’onere
di regolarizzare la situazione catastale successivamente all’acquisto.
Il principio suesposto è temperato dalla limitazione all’obbligo di denuncia delle
variazioni catastali, desumibile dall’art. 20 del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, a norma
del quale occorre presentare detta denunzia, corredata da una planimetria delle unità
variate, nei soli “casi di mutazioni che implichino variazioni nella consistenza delle
singole unità immobiliari”. L’art. 17 dello stesso decreto attribuisce, d’altra parte,
rilevanza alle sole le mutazioni che avvengono “nello stato dei beni, per quanto
riguarda la consistenza e l’attribuzione della categoria e della classe”. Anche se di
recente l’amministrazione finanziaria ha ritenuto possibile la presentazione di denunce
di variazione “non sostanziali”, a fronte anche di modifiche interne all’unità
immobiliare non rilevanti ai fini del classamento 103, la denuncia di variazione con
presentazione di nuova planimetria è obbligatoria unicamente quando i mutamenti nello
stato di fatto incidono su consistenza, categoria e classe, e quindi si riflettono sul
calcolo della rendita catastale 104. L’esclusione dell’obbligo di presentare denunce di
variazione per tali modifiche interne (ad esempio, spostamento di pareti interne)
esclude la rilevanza – agli effetti del comma 1-bis dell’art. 29 – delle difformità non
sostanziali, nel senso sopra precisato.
Al fine di eliminare ogni dubbio sul punto, la legge di conversione del d.l. n.
78/2010 ha espressamente precisato che la dichiarazione della conformità tra stato di
fatto, planimetrie e dati catastali deve essere resa dagli intestatari “sulla base delle
disposizioni vigenti in materia catastale”: l’espressione deve essere, plausibilmente,
interpretata nel senso che la “conformità” non deve essere “assoluta”, ma che il relativo
103
Circ. Agenzia Territorio 9 luglio 2010, n. 2/T, che modifica sul punto la Circ. Min. Fin. 14
ottobre 1989, n. 3405.
104
In tal senso la suddetta Circ. Agenzia Territorio 9 luglio 2010, n. 2/T, e anteriormente la Circ.
Agenzia Territorio 26 novembre 2001, n. 9/T, § 4, ove si precisa che la denuncia di variazione per
“diversa distribuzione di spazi interni” comporta necessità di presentazione di una nuova planimetria
qualora le modifiche interne comportino una variazione del classamento già attribuito (aumento o
diminuzione del numero dei vani e variazione della consistenza)”.
32
significato deve essere inteso, appunto, alla luce delle norme catastali vigenti: con il
risultato di ritenere sussistente la conformità in tutti i casi in cui non vi sia obbligo di
presentare una denunzia di variazione con una nuova planimetria.
Alla luce del significato come sopra ricostruito occorre, allora, verificare se sia
legittima, e veritiera, la dichiarazione di conformità allo stato di fatto delle planimetrie
redatte secondo disposizioni legislative o regolamentari oggi non più in vigore: si pensi
alle planimetrie che – in base alle norme vigenti al momento della relativa
presentazione – ricomprendono sia l’appartamento che l’autorimessa di pertinenza; o
quelle che ad esempio includono anche accessori comuni (bagni, cantine, locali caldaia,
ecc.). L’interpretazione letterale dell’espressione “sulla base delle disposizioni vigenti
in materia catastale” sembrerebbe condurre alla necessità di presentare una denunzia di
variazione con nuove planimetrie nei casi suddetti, non essendo la planimetria
conforme alle disposizioni “oggi vigenti”. Senonché, per un verso il principio tempus
regit actum, che qui non appare espressamente derogato, depone per la valutazione
della correttezza degli atti catastali, planimetria inclusa, con riguardo al momento in cui
gli stessi sono stati perfezionati. In secondo luogo, il comma 1-bis dell’art. 29 trova
applicazione unicamente nei casi in cui vi è obbligo per il titolare di presentare la
planimetria, e le norme vigenti dispongono tale obbligo unicamente quando vi siano
“mutazioni nello stato dei beni” rispetto alla situazione preesistente (art. 17 del r.d.l. n.
652/1939), ovvero “situazioni di fatto non più coerenti con i classamenti catastali per
intervenute variazioni edilizie” (art. 1, comma 336, della legge n. 311/2004), ovvero
ancora “interventi edilizi che abbiano determinato una variazione di consistenza ovvero
di destinazione” (art. 19, comma 9, del d.l. 78/2010). Nessuna disposizione, per contro,
obbliga il proprietario a presentare denunzia di variazione e nuova planimetria quando,
in luogo della situazione di fatto, sia mutata unicamente la normativa che regola il
contenuto delle planimetrie. L’argomento decisivo – al fine di circoscrivere il
riferimento alle “vigenti disposizioni” al significato, puramente “negativo” di non
rendere necessarie denunzie di variazione per difformità minimali non rilevanti –
sembra, però, un altro: la legge, nel menzionare le planimetrie, fa riferimento a quelle
“depositate in catasto”: il raffronto, quindi, non può che aver luogo tra dati catastali,
stato di fatto e planimetrie “già depositate” (non certo con planimetrie “da depositare”
in base alla normativa vigente). Se quindi, ad esempio, appartamento ed autorimessa,
ancorché riportati nella medesima planimetria, vi sono correttamente raffigurati, nessun
obbligo grava sul titolare, la conformità allo stato di fatto sussiste e può essere
legittimamente dichiarata dall’alienante.
Diverso è, ovviamente, il caso in cui già ab origine – a prescindere quindi da
modificazioni successive – la planimetria fosse difforme dalla situazione di fatto: in
questo caso evidentemente sussiste a monte una violazione di legge, e nell’attualità
l’obbligo di presentare una nuova planimetria, anche ai fini qui in esame.
Quanto all’autore della dichiarazione, la legge menziona gli “intestatari”; nel
secondo periodo del comma 1-bis, invece, fa riferimento agli “intestatari catastali”. La
diversa formulazione della disposizione non sembra casuale: al di là del problema – che
verrà infra esaminato – della necessità di preallineamento dell’intestazione catastale ai
fini della stipula, sembra che la ratio della prima parte della disposizione esiga la
provenienza della dichiarazione dal soggetto alienante, sia egli o meno titolare del
diritto reale che costituisce oggetto dell’atto, o intestatario catastale. Il punto merita
una precisazione, essendo questo uno snodo fondamentale della disciplina in esame.
Deve essere qui affermato, senza esitazioni, che l’effettiva titolarità del diritto in capo
all’alienante non costituisce in alcun modo presupposto della validità dell’atto di
alienazione ai fini del comma 1-bis dell’art. 29: nelle ipotesi in cui l’atto provenga a
non domino, esso è – in base alle norme civilistiche – inefficace (secondo i princìpi
33
generali), nullo (es., donazione di cosa altrui) o annullabile (es., vendita da parte di un
solo coniuge nell’ipotesi regolata dall’art. 184 c.c.). L’obiettivo limitato della norma in
commento (quello fiscale, come più volte ripetuto) non è certamente sufficiente a
stravolgere l’intero sistema civilistico degli acquisti a non domino, e va recisamente
escluso che questo possa essere il significato della novella. Ciò che rileva, ai fini della
norma in esame, è soltanto che la dichiarazione sia resa dal soggetto alienante, il quale
normalmente, ma non necessariamente, è il vero titolare del diritto reale ed è, sempre
normalmente ma non necessariamente, intestatario catastale. Il legislatore, nel parlare
di “intestatario”, ha evidentemente impiegato una sineddoche, riferendosi all’ipotesi
normale e maggiormente ricorrente, in cui intestatario, titolare del diritto e alienante
coincidano, ma disciplinando in realtà una fattispecie più ampia, come sopra precisato.
Tecnica normativa, questa, di utilizzo abbastanza frequente 105, e che trova molteplici
esempi nella legislazione più recente: basti pensare al richiamo del contratto di
compravendita, in fattispecie normative che hanno, per pacifica interpretazione, ad
oggetto tutti gli atti traslativi a titolo oneroso (cfr., ad esempio, l’art. 8 del d. lgs. 20
giugno 2005, n. 122, e l’art. 6 del d. lgs. 19 agosto 2005, n. 192). Del resto, è risalente
insegnamento metodologico quello secondo il quale la costruzione interpretativa deve
procedere dalle ipotesi “normali”, e non viceversa 106; anche il legislatore,
evidentemente, procede in questa direzione. In definitiva, nei casi – pur marginali nella
circolazione giuridica – in cui sussista un disallineamento tra intestazione catastale,
titolarità reale del diritto e qualifica di alienante, non appare dubbio che sia proprio
l’alienante l’unico soggetto legittimato a rendere la dichiarazione di conformità
oggettiva richiesta dalla legge.
La legge di conversione ha consentito, come già detto, di sostituire la dichiarazione
dell’alienante con “un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla
presentazione degli atti di aggiornamento catastale”. Ciò, evidentemente, sul
presupposto che almeno in alcuni casi la valutazione di conformità può non essere
agevole per un profano (ad esempio, per difficoltà connesse al confronto tra le misure
reali dell’unità immobiliare e quelle risultanti, in scala, dalla planimetria; o per la
difficoltà di verificare l’esatta ubicazione dell’unità immobiliare rispetto al fabbricato).
Non sembra dubbio che l’attestazione del tecnico – in quanto “sostitutiva” della
dichiarazione dell’alienante – debba essere redatta su richiesta ed a spese di
quest’ultimo; e che del relativo contenuto il medesimo alienante risponda, a norma
dell’art. 1228 c.c. Sotto il profilo documentale, l’attestazione di conformità non è
soggetta né a formule sacramentali, né a requisiti particolari: non vi è, in particolare,
l’obbligo di rendere l’attestazione dinanzi al notaio, né di asseverarla con giuramento,
essendo unicamente necessaria la sottoscrizione da parte del tecnico abilitato; ed anche
l’onere di accertamento dei requisiti di abilitazione del professionista non può che far
capo al soggetto alienante. Ai fini del soddisfacimento dell’esigenza documentale posta
dall’art. 29, comma 1-bis, sembra invece necessaria (e sufficiente) l’allegazione
dell’attestazione di conformità all’atto notarile. A maggior ragione, ovviamente, il
tecnico può intervenire quale comparente nell’atto notarile, e rendere in quella sede
l’attestazione di cui trattasi. Non occorre – anche se è possibile, e consigliabile – la
dichiarazione dell’alienante che l’attestazione è stata redatta su sua richiesta, né la
menzione in atto che detta attestazione è stata consegnata al notaio dall’alienante. Sono,
per il resto, estensibili alla materia de qua – nei limiti ovviamente dell’oggetto di cui
105
Cfr. sul punto MONATERI, La sineddoche, Milano, 1984; ID., Sineddoche, in Digesto discipline
privatistiche, sez. civ., XVIII, Torino, 1998, p. 524.
106
BIGIAVI, “Normalità” e “anormalità” nella costruzione giuridica, in Riv. dir. civ., 1968, I, p.
519.
34
trattasi – le considerazioni elaborate dalla dottrina in relazione alla c.d. perizia
contrattuale 107.
3.3. La sanzione della nullità.
Gli atti in oggetto “devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di
nullità”, l’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie e la dichiarazione (o
attestazione sostitutiva) di conformità, di cui si è già detto. Dalla disposizione emerge
chiaramente che la sanzione di nullità colpisce sia la mancanza di identificazione
catastale 108, sia la mancanza della dichiarazione (o attestazione sostitutiva) relativa alla
corrispondenza con le planimetrie, sia infine la mancanza della dichiarazione della
corrispondenza tra stato di fatto, planimetrie e dati catastali. Risulta, inoltre,
chiaramente che la nullità è prevista solamente per gli atti riguardanti unità
immobiliari urbane, con esclusione quindi dei fabbricati che non abbiano tale
caratteristica (fabbricati rurali aventi i requisiti di ruralità ai fini fiscali; immobili urbani
iscritti o iscrivibili senza attribuzione di rendita).
Quanto all’inquadramento della nullità, è escluso che si tratti di nullità per
violazione di norma imperativa, ex art. 1418, comma 1, c.c.: sia perché il comma 1-bis
non rientra non rientra nella categoria delle norme imperative, quale accolta dalla
dottrina prevalente 109; sia perché, diversamente, la nullità sarebbe stata prevista anche
in relazione alle scritture private non autenticate; sia perché quella disciplinata dal
primo comma dell’art. 1418 è “nullità virtuale”, non comminata cioè espressamente
dalla legge, ma desumibile dalla natura imperativa della norma violata, mentre quella in
esame è una nullità testuale, rientrante tra quelle previste dall’art. 1418, comma 3, c.c.
In mancanza di diversa previsione di legge, la nullità in esame non può essere
inquadrata tra le nullità speciali, o di protezione. Si tratta di nullità assoluta, e ad essa si
applica la disciplina prevista in generale per le nullità dagli artt. 1418 ss. c.c.: con
conseguente rilevabilità d’ufficio, azionabilità da parte di chiunque vi abbia interesse,
imprescrittibilità, insanabilità. Non vi sono neanche ostacoli all’applicazione della
disciplina dell’art. 1419 c.c., relativa alla nullità parziale, ricorrendone i presupposti.
Nessun dubbio, infine, sulla possibile applicazione della disciplina dettata dall’art.
2652, n. 6, c.c. (c.d. pubblicità sanante): se il contratto nullo viene comunque trascritto,
decorsi cinque anni dalla trascrizione sono fatti salvi i diritti subacquistati da un
soggetto di buona fede.
107
Cfr. sull’argomento BOVE, La perizia contrattuale, in I contratti di composizione delle liti, I, a
cura di Gabrielli e Luiso, Torino, 2005, p. 1219; GALATRO, Problemi di interpretazione e
qualificazione giuridica della perizia contrattuale (nota a Cass. 22 maggio 2007, n. 11876), in Nuova
giur. civ., 2007, I, p. 1297; Cass. 30 giugno 2005, n. 13954, in Obbligazioni e contratti, 2005, p. 5.
108
Un discorso a parte merita l’eventuale errore nell’identificazione catastale. L’errore
nell’indicazione dei dati identificativi (eventuale sezione, foglio e numero di mappa, eventuale
subalterno) potrebbe – secondo una lettura rigorosa – essere considerato equivalente alla mancanza di
tale identificazione: si potrebbe, cioè, astrattamente sostenere che non sia “identificazione” quella
rappresentata dall’indicazione di un foglio o di un numero di mappa non corrispondenti a quelli che
effettivamente corrispondono all’unità immobiliare urbana. Una lettura di questo tipo escluderebbe,
evidentemente, la possibilità di rettificare l’errore (come consentito dai princìpi generali). La nullità
sarebbe, tuttavia, rimedio assolutamente sproporzionato rispetto alla gravità della patologia: sul
presupposto che vi sia materia per una possibile rettifica, e quindi della univoca e sufficiente indicazione
degli altri elementi descrittivi dell’immobile (ubicazione, consistenza, confini, nonché riscontro della
planimetria), sembra davvero eccessivo – ed in contrasto con i princìpi di proporzionalità e
ragionevolezza – ipotizzare una nullità in conseguenza di un mero errore materiale. Deve pertanto
ritenersi che in presenza di errore materiale l’identificazione richiesta dal comma 1-bis debba
considerarsi esistente, e che quindi l’atto sia, in tale ipotesi, valido, e suscettibile di rettifica.
109
Sugli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali riguardo al concetto di norma imperativa, v.
PETRELLI, Gli acquisti di immobili da costruire, Milano, 2005, p. 182 ss.
35
Occorre a questo punto risolvere il delicato problema della qualificazione della
invalidità in esame in termini di nullità formale o sostanziale: occorre, cioè, chiarire se
la nullità sia disposta per il solo caso della mancanza in atto delle dichiarazioni
prescritte, ovvero se la stessa sia configurabile anche nell’ipotesi in cui la dichiarazione
richiesta – pur essendo contenuta nell’atto – non sia veritiera. Il caso prevedibilmente
più frequente, in cui potrà porsi la questione, sarà quello in cui sussista difformità tra la
planimetria e lo stato di fatto, e l’alienante dichiara falsamente la relativa conformità.
La legge, invero, non sancisce la nullità come conseguenza della “oggettiva” e “reale”
difformità, ma si limita a prescrivere “a pena di nullità” alcuni riferimenti e
dichiarazioni: dalla lettera della disposizione si evince quindi la natura formale
(rectius, documentale) della nullità, e – stante la natura eccezionale e tassativa delle
nullità, che non derivino da violazione di norme imperative – è d’obbligo interpretarla
restrittivamente.
Il punto merita un chiarimento. La legge sancisce la conseguenza della nullità
unicamente per l’atto pubblico e la scrittura privata autenticata, a differenza di
disposizioni similari (cfr. per tutte gli artt. 30 e 46 del d.p.r. n. 380/2001) che invece
estendono la sanzione a tutti gli atti in forma pubblica e privata, quindi anche alle
scritture non autenticate. Il profilo dell’autenticità non attiene, invero, alla forma
dell’atto, bensì alle caratteristiche del documento: è autentico il documento redatto da
un pubblico ufficiale autorizzato, con le richieste formalità ed all’esito dei prescritti
controlli, e dotato dell’efficacia probatoria prevista dalla legge (artt. 2699 e 2703 c.c.)
110
. La mancanza delle prescritte formalità rende nullo il documento, non l’atto
giuridico. Sanzione, questa, alla quale non conseguono però gli effetti propri della
nullità del negozio giuridico, nella misura in cui l’atto abbia i requisiti formali e
sostanziali previsti dalla legge. Si tratta di un fenomeno noto, ed espressamente
disciplinato con riferimento alle violazioni “formali” riguardanti l’atto pubblico
notarile: alle infrazioni più gravi consegue la nullità documentale, prevista dall’art. 58 l.
not., la quale però non pregiudica necessariamente la validità del negozio giuridico 111;
ricorrendo i requisiti di sostanza e di forma della scrittura privata, l’atto pubblico si
converte in quest’ultima (art. 2701 c.c., la cui disciplina è richiamata dal suddetto art.
58, sia pure mediante riferimento alla corrispondente previsione – l’art. 1316 – del
codice civile del 1865) 112.
110
Sull’attinenza del profilo dell’autenticità al documento e non all’atto giuridico, v. correttamente
FERRI-ZANELLI, Della trascrizione, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, BolognaRoma, 1997, p. 375 ss.
Sul concetto giuridico di documento, e sulla sua distinzione rispetto all’atto giuridico in esso
contenuto, cfr. per tutti LANDINI, Documento e sottoscrizione, in Formalità e procedimento
contrattuale, Milano, 2008, p. 57; LA TORRE, Contributo alla teoria giuridica del documento, Milano,
2005; DI SABATO, Il documento contrattuale, Milano, 1997; GUIDI, Teoria giuridica del documento,
Milano, 1950; PATTI, Documento, in Digesto discipline privatistiche, sez. civ., VII, Torino, 1991, p. 1;
ANGELICI, Documentazione e documento (dir. civ.), in Enc. giur. Treccani, XI, Roma, 1989;
CANDIAN, Documento e documentazione (teoria generale), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, p. 579;
CARNELUTTI, Documento (teoria moderna), in Novissimo dig. it., VI, Torino, 1960, p. 85; NAVONE,
La teoria giuridica del documento nel sistema della prova civile, in Studi in onore di Majello, II, Napoli,
2005, p. 301; BORTOLUZZI, Frammenti di un discorso sul documento giuridico, in Vita not., 2005, p.
430; ANGELICI, Documentazione e documento, in Studi sull'
autonomia dei privati, a cura di Ferri e
Angelici, Torino, 1997, p. 282; BELVEDERE, Documento, in Glossario, Milano, 1994; IRTI, Sul
concetto giuridico di documento, in Norme e fatti, Milano, 1984, p. 239.
111
Sulla natura “documentale” delle nullità previste dall’art. 58 l. not., cfr. FALZONEALIBRANDI, Nullità dell’atto notarile, in Dizionario enciclopedico del Notariato, III, cit., p. 139 ss.;
PACIFICO, Le invalidità degli atti notarili, cit., p. 143 ss.; DI FABIO, Manuale di notariato, cit., p. 302.
112
Sul fenomeno della “conversione formale”, disciplinato dall’art. 2701 c.c., cfr. soprattutto
FRANZONI, La conversione dell'
atto nullo, in Società, contratti, metodo, Milano, 2002, p. 211;
GANDOLFI, La conversione dell'
atto invalido, I – Il modello germanico, Milano, 1984; GANDOLFI,
36
Appare senz’altro condivisibile la posizione dottrinale che limita la portata dell’art.
2701 c.c., e quindi dell’“effetto di conversione”, al piano puramente probatorio 113: in
quest’ultimo senso depone, inequivocabilmente, la lettera dell’art. 2701 c.c., per cui
l’atto pubblico viziato “ha la stessa efficacia probatoria della scrittura privata”, e che
si esprime quindi con formulazione significamente diversa rispetto all’art. 1316 del
codice civile del 1865 (che recitava: “L’atto che per incompetenza od incapacità
dell’uffiziale o per difetto di forma non ha forza di atto pubblico, vale come scrittura
privata, quando sia stato sottoscritto dalle parti”). Dalla nuova formulazione del vigente
codice civile sembra emergere, nella sua più ampia portata, il principio utile per inutile
non vitiatur: l’ordinamento giuridico ha interesse alla conservazione dei valori
giuridici, e quindi degli effetti, prodotti dall’atto viziato nella misura più estesa
possibile, e pertanto – preso atto dell’impossibilità di accordare all’atto pubblico viziato
gli effetti probatori privilegiati previsti dall’art. 2699 c.c. – l’art. 2701 “sacrifica”
unicamente l’efficacia probatoria suddetta, ma null’altro: facendo invece salve, nella
misura in cui per esse non statuisce, tutte le rimanenti conseguenze che derivano dal
“ricevimento” – pur “irregolare” – dell’atto pubblico da parte del notaio.
Nella fattispecie regolata dall’art. 29, comma 1-bis, in commento, si ha proprio una
nullità documentale, sancita per il documento autentico ma non per l’atto giuridico:
quest’ultimo può ben produrre i propri effetti sostanziali, all’esito della conversione in
scrittura privata non autenticata (sufficiente ai fini della validità, a norma dell’art. 1350
c.c.), in presenza dei relativi requisiti di sostanza e forma. L’art. 2701 c.c. disciplina
una sola fattispecie, quella della conversione da atto pubblico a scrittura privata, non
contemplando l’ulteriore fattispecie della conversione da scrittura privata autenticata a
scrittura privata semplice: anche quest’ultima deve peraltro ritenersi ammissibile, per
effetto dell’interpretazione estensiva dell’art. 2701 c.c.: norma che fu redatta in
un’epoca nella quale non esistevano formalità dettate unicamente per la scrittura privata
autenticata, rispetto alla scrittura privata semplice, e la cui ratio è certamente
comprensiva anche dell’ipotesi qui all’esame. D’altra parte, poiché l’applicazione del
suddetto art. 2701 all’atto pubblico è testuale e non può che essere ammessa, non
potrebbe certo ragionevolmente essere esclusa la stessa applicazione alla scrittura
privata autenticata, a meno di creare una irragionevole, e quindi incostituzionale,
disparità di trattamento.
Va, a questo punto, fatto un passo ulteriore. Alla conversione dell’atto autentico in
scrittura privata non autenticata, ex art. 2701 c.c., consegue l’inidoneità dell’atto quale
titolo per la trascrizione, per l’inesistenza dei requisiti richiesti dall’art. 2657 c.c. Ma
un titolo inidoneo non può dar luogo a trascrizione: ed infatti in mancanza dei requisiti
ex art. 2657 c.c. la legge prevede il potere-dovere del conservatore di rifiutare la
trascrizione (art. 2674, comma 1, c.c.); in ogni caso, anche se si ritenesse inapplicabile
questa disposizione (poiché il titolo è “apparentemente” autentico), reputando precluso
La conversione dell'
atto invalido, II – Il problema in proiezione europea, Milano, 1988; BIGLIAZZIGERI, Conversione dell'
atto giuridico, in Enc. dir., X, Milano, 1962, p. 528; BOZZI, Brevissime note
sparse in tema di atto pubblico, in Riv. dir. comm., 2002, II, p. 83; BIGLIAZZI GERI, Conversione
dell'
atto giuridico, in Rapporti giuridici e dinamiche sociali, Milano, 1998, p. 725; ANSALONE,
Conversione di atto pubblico in scrittura privata, in Nuova giur. civ. comm., 1991, p. 251; GANDOLFI,
Alle origini del principio della c.d. "conversione" dell'
atto pubblico, in La forma degli atti nel diritto
privato. Studi in onore di M. Giorgianni, Napoli, 1988, p. 287 ss.; MONTESANO, Forma essenziale e
documento notarile del negozio nella sentenza civile su falso ideologico e nell'
atto pubblico convertito in
scrittura privata, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1985, p. 879; MONTESANO, Sull'
efficacia probatoria
dell'
atto pubblico convertito in scrittura privata, in Riv. dir. proc., 1954, p. 102.
113
BIANCA, Diritto civile, 3 – Il contratto, Milano, 1991, p. 292, nota 48; MONTESANO,
Sull'
efficacia probatoria dell'
atto pubblico convertito in scrittura privata, in Riv. dir. proc., 1954, p. 109;
GALDIERO, nota a Cass. 20 agosto 1990 n. 8442, in Giur. it., 1992, I, 1, p.169.
37
al conservatore il rilievo della nullità sulla base dell’art. 2674, comma 1, c.c., dovrebbe
ritenersi comunque l’atto non trascrivibile agli effetti dell’art. 2674-bis c.c. Non si tratta
di un mero escamotage: il regime dell’art. 2674-bis c.c. è finalizzato a filtrare le
fattispecie per le quali sussistano “gravi e fondati dubbi di trascrivibilità” ai quali non si
vuole, però, condizionare il “beneficio del grado” a favore del richiedente.
Quest’ultimo ha la possibilità di chiedere la trascrizione con riserva, ed in tal caso la
questione è rimessa al giudice (art. 113-ter disp. att. c.c.); in mancanza di tale istanza, il
conservatore rifiuta la trascrizione. Soluzione, quest’ultima, che appare coerente, e che
consente – interpretando in parte estensivamente la disposizione in commento – di
superare la possibile censura di irragionevolezza, e quindi incostituzionalità, della
disciplina in commento, che si presenterebbe sulla base del rilievo che la legge sancisce
la “nullità” unicamente per gli atti notarili, e non per i provvedimenti giudiziari ed
amministrativi che producono i medesimi effetti. Per gli atti giudiziari, in particolare,
una previsione di nullità era improponibile, essendo coperti i relativi vizi dal regime del
giudicato (o da regimi analoghi: v. l’art. 2929 c.c.). Se però si ritiene che tutti i titoli –
notarili, giudiziari, amministrativi – devono contenere, ai fini della trascrivibilità, i
riferimenti e le dichiarazioni prescritti dall’art. 29, comma 1-bis (cfr. supra, il § 2.1), il
sistema riacquista coerenza e ragionevolezza. Un’operazione “ortopedica” non
dissimile ha compiuto, del resto, la giurisprudenza nei numerosi casi in cui ha ritenuto
che la sentenza ex art. 2932 c.c. non possa essere pronunciata in mancanza di
allegazione del certificato di destinazione urbanistica dei terreni 114.
3.4. Obblighi del notaio in relazione alla conformità oggettiva.
Il primo periodo del comma 1-bis, a differenza del secondo, non prevede
espressamente obblighi del notaio riguardo ai profili di conformità oggettiva, ivi
contemplati. Non chiarisce, innanzitutto, se il notaio possa o debba essere autore delle
dichiarazioni di corrispondenza tra identificazione catastale e planimetria: domanda alla
quale si è, peraltro, già risposto (cfr. il § 3.1). Soprattutto, la norma non chiarisce se sia
compito funzionale ed inderogabile del notaio verificare la conformità della planimetria
con i dati di identificazione catastale.
La questione – a monte del più generale problema della derogabilità o meno
dell’obbligo notarile di eseguire le visure ipotecarie e (per quello che qui interessa)
catastali – dipende dalla risposta ad un quesito preliminare: se sia consentito al notaio –
in veste di pubblico ufficiale – visionare le planimetrie delle unità immobiliari urbane.
Allo stato della vigente normativa, la risposta è in linea di principio negativa: a norma
dell’art. 2, comma 4, del Provvedimento del direttore dell’Agenzia del Territorio in data
12 ottobre 2006, relativo alle modalità di esecuzione delle visure catastali (pubblicato
nella G.U. n. 243 del 18 ottobre 2006), “la visura delle planimetrie delle unità
immobiliari urbane è consentita, in conformità a quanto previsto dalle disposizioni
vigenti, soltanto a richiesta del proprietario, del possessore, di chi ha diritti reali di
godimento sull’unità immobiliare ed in genere di chi ha legittimo interesse o possa
dimostrare di agire per conto di questi”. La medesima disciplina è ribadita dall’art. 15,
comma 2, lett. d) ed e), del Provvedimento del direttore dell’Agenzia del Territorio in
data 13 giugno 2007, in materia di diritto di accesso ai documenti amministrativi, ai
sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241 (pubblicato sulla G.U. n. 279 del 30 novembre
2007), che esclude dal diritto di accesso: “d) le planimetrie di immobili iscritti ovvero
iscrivibili alle categorie A, B, C, qualora l’accesso non sia richiesto dal proprietario
dell’immobile, dal titolare di altro diritto reale, o da persona da questi formalmente
114
Cfr. sul punto la rassegna di LA MARCA, Nullità urbanistiche e preliminare di vendita di
immobili abusivi: inammissibile l'
esecuzione ex art. 2932 cod. civ. (nota a Cass. 30 novembre 2007, n.
25050), in Nuova giur. civ., 2008, I, p. 701.
38
delegata; e) le planimetrie e la documentazione presentata dalle parti o prodotta
d’ufficio relativamente agli immobili iscritti o iscrivibili in una delle categorie dei
gruppi D ed E, quando la richiesta non pervenga dai soggetti intestatari”.
La motivazione della suddescritta disciplina è da rinvenirsi nella considerazione che
le planimetrie delle unità immobiliari urbane – non comprese, ai sensi del Regolamento
approvato con D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, fra gli atti che costituiscono il nuovo
catasto edilizio urbano, ora catasto dei fabbricati – non sono considerate atti catastali a
tutti gli effetti, bensì meri “atti strumentali, finalizzati ad agevolare l’accertamento delle
unità immobiliari urbane, segnatamente con riferimento alla loro consistenza”. Per tale
ragione è stata ritenuta l’“insussistenza, per l’amministrazione, di un generale obbligo
di rilascio delle copie delle planimetrie o della relativa visione a chiunque ne faccia
richiesta. D’altra parte, la circostanza che le planimetrie, consentendo di verificare
(rectius: accertare) la rappresentazione della disposizione interna delle unità
immobiliari, assumono uno spiccato carattere di riservatezza, ha da sempre indotto
l’Amministrazione ad adottare specifiche cautele relativamente al loro utilizzo” 115.
Allo stato della vigente normativa, pertanto, il notaio può visionare le planimetrie
solo in quanto “formalmente” delegato dal titolare del diritto reale; la circostanza che
nella prassi amministrativa l’accesso del notaio alle suddette planimetrie sia facilitata,
in considerazione della funzione espletata 116, pur apprezzabile sul piano della
sensibilità dimostrata dall’amministrazione per le esigenze dei traffici giuridici, non ha
attualmente fondamento normativo, ed in ogni caso deve essere ricondotta ad un
fondamento giuridico – la delega da parte del titolare, espressa o meno –
profondamente diverso dalla legittimazione autonoma del notaio in quanto pubblico
ufficiale, ed in relazione alla sua funzione pubblica. Mancando la facoltà, o potere, di
visionare le planimetrie, non può evidentemente configurarsi neanche un obbligo in tal
senso, almeno fino a quando la suddescritta disciplina non sarà stata modificata (il che
appare certamente auspicabile, soprattutto alla luce del nuovo comma 1-bis in
commento).
Quanto sopra significa quindi che con riferimento alle planimetrie – ed al loro
raffronto con i dati di identificazione catastali – non può configurarsi un obbligo
funzionale di verifica da parte del notaio. Questi è certamente obbligato ad informare
le parti della necessità di operare il raffronto delle suddette planimetrie con i dati
catastali, a pena di nullità dell’atto, ed acquisire – ogni qualvolta ciò sia possibile –
l’incarico al fine di visionare egli stesso gli elaborati. Tuttavia, nel caso – che nella
pratica sarà probabilmente eccezionale, e marginale – che le parti non consentano al
notaio la visione delle planimetrie medesime, e ritengano quindi di effettuare
personalmente il raffronto tra i suddetti documenti e dati, rendendo in atto la prescritta
dichiarazione sotto la loro responsabilità, il notaio non potrà rifiutare il ricevimento
dell’atto, a norma dell’art. 27 della legge notarile.
Diversa è la soluzione per quanto concerne la individuazione dei “dati di
identificazione catastale”, in sé considerati. Si è già visto come, fino all’emanazione
della novella in commento, la giurisprudenza abbia considerato derogabile l’obbligo
notarile su concorde dispensa delle parti, e sul presupposto dell’urgenza (in parallelo
alla previsione dell’art. 4, comma 3, del d.p.r. n. 650/1972). La disciplina in esame
115
Circ. Agenzia Territorio 25 novembre 2003, n. 9/T, e circolari ivi citate.
In base alla Circ. Agenzia Territorio 25 novembre 2003, n. 9/T (peraltro anteriore ai
provvedimenti indicati nel testo), la visura o il rilascio di copie di planimetrie sono consentite anche al
“notaio incaricato della stipula di atti concernenti beni immobili. In tale ipotesi, la lettera d’incarico è
sostituita da una dichiarazione sottoscritta dal notaio, nella quale si attesta l’avvenuto conferimento
dell’incarico di stipula di un atto immobiliare, riguardante le unità urbane di cui si chiede la
documentazione (visura e/o copia)”.
116
39
aggiunge un elemento in più, e precisamente il rilevante interesse pubblico alla
conformità tra risultanze dei dati catastali, planimetrie e situazione di fatto. Da ciò si
desume l’indisponibilità dell’obbligo notarile di accertamento dei “dati di
identificazione catastale”, e quindi la non dispensabilità ad opera delle parti:
trattandosi di obbligo sussistente nell’interesse pubblico, di esso non possono
evidentemente disporre i privati, analogamente a quanto comunemente si ritiene per
l’obbligo notarile di curare l’esecuzione della trascrizione ex art. 2671 c.c., anch’esso
non derogabile. Occorre, piuttosto, chiedersi quale debba essere il comportamento del
notaio, nell’ipotesi in cui le parti effettuino esse stesse l’accertamento dei dati di
identificazione catastale. A tale domanda occorre rispondere in linea con i princìpi
sopra enucleati: il notaio sarà tenuto – per quanto gli è possibile, alla luce della
normativa suddescritta – a verificare la correttezza e veridicità delle dichiarazioni delle
parti, e solo in caso di “eccezionale e dichiarata urgenza” potrà procedere, giusta la
previsione dell’art. 4, comma 2, del d.p.r. n. 650/1972, alla stipula in assenza di tale
controllo. In questo caso, dall’atto dovrà risultare il motivo di urgenza, e la circostanza
che i dati di identificazione catastale non sono stati riscontrati da parte del notaio. Il
mancato controllo sarà comunque imputabile a tali ragioni “oggettive” di urgenza, e
non certo ad un accordo di dispensa da visure intercorso con le parti, trattandosi di
materia indisponibile.
3.5. Conseguenze della dichiarazione falsa od erronea delle parti o del tecnico.
Rimane da verificare quali siano le conseguenze dell’eventuale falsità, od erroneità,
delle dichiarazioni rese in atto dalle parti (rectius, dall’alienante, quale “intestatario”),
ovvero dal tecnico abilitato.
E’ controvertibile, innanzitutto, la responsabilità penale delle parti per falso in atto
pubblico (art. 483 c.p.). Le dichiarazioni in oggetto non devono essere rese in forma di
dichiarazione sostitutiva di atto notorio, in mancanza di prescrizione di legge in tal
senso; d’altra parte, l’atto pubblico non è, di regola, destinato a far prova della
intrinseca veridicità delle dichiarazioni delle parti, ma unicamente della provenienza da
chi le ha rese, nonché delle dichiarazioni del pubblico ufficiale, e dei fatti che lo stesso
attesti essere avvenuti in sua presenza, o da lui compiuti 117. Occorre peraltro segnalare
che altra giurisprudenza ha ritenuto che integri il reato di falso ideologico commesso
dal privato in atto pubblico la condotta del privato, parte di un contratto di
compravendita immobiliare, che dichiari falsamente al notaio rogante la conformità
dell’immobile al titolo abilitativo edilizio ed ivi autorizzate, in quanto, in tal caso,
sussisterebbe a carico del privato l’obbligo giuridico di dire la verità in ordine alla
condizione giuridica dell’immobile oggetto d’alienazione e alla corrispondenza dello
stesso agli estremi della concessione, trattandosi d’obbligo preordinato alla tutela
d’interessi pubblici, connessi all’ordinata trasformazione del territorio, prevalenti
rispetto agli interessi della proprietà, mentre nessun obbligo di verificare la
corrispondenza di tali dichiarazioni al vero incombe sul notaio rogante, tenuto solo a
recepire le dichiarazioni del privato 118. Secondo questo ulteriore orientamento, che
117
Cfr., da ultime, Cass. 4 dicembre 2007, in Foro it., Rep. 2008, voce Falsità in atti, n. 28; Cass. 25
maggio 2006, n. 12386, in Foro it., Rep. 2006, voce Prova documentale, n. 22.
118
Cass. 19 settembre 2008, n. 35999, la quale ha affermato che - pur in assenza di dichiarazione
sostitutiva di atto notorio - le dichiarazioni del privato in atto pubblico, se prescritte dalla legge
“nell’interesse pubblico”, devono essere veritiere: vi sarebbe cioè, un obbligo giuridico di dire la verità,
e conseguentemente si rientrerebbe nell’àmbito di applicazione dell’art. 483 c.p., in quanto l’atto
pubblico sarebbe destinato a provare – nell’interesse pubblico – la verità del contenuto intrinseco della
dichiarazione dell’alienante. Peraltro, in contrasto con quanto sopra, le sezioni unite penali, nel 1999,
avevano affermato che “Il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico è
configurabile nel solo caso in cui una specifica disposizione di legge (non importa se penale, civile,
40
conta altri precedenti 119, non vi sarebbe quindi necessità di una espressa previsione di
legge che sancisca l’obbligo di dire la verità, essendo sufficiente un obbligo di
dichiarazione sancìto nell’interesse pubblico. Presupposto, quest’ultimo, che
ricorrerebbe anche nel caso in esame, posto che le dichiarazioni richieste dal d.l.
78/2010 sono certamente previste nell’interesse pubblico (di natura eminentemente
fiscale). Potrebbe pertanto configurarsi – in presenza di dichiarazione mendace riguardo
alla conformità oggettiva – il delitto di falsità ideologica del privato in atto pubblico di
cui all’art. 483 c.p. (al quale sarebbe, ovviamente, estraneo il notaio che si limitasse a
recepire la dichiarazione di parte).
Per quanto riguarda il tecnico abilitato, la relazione redatta dallo stesso è destinata,
per espressa disposizione di legge, a costituire parte integrante dell’atto notarile: deve
quindi equipararsi la posizione dello stesso a quella della parte alienante, ai fini
dell’eventuale responsabilità penale (non potendo evidentemente applicarsi l’art. 373
c.p., non trattandosi di perito nominato dall’autorità giudiziaria).
Non è invece configurabile una responsabilità amministrativa del dichiarante: le
sanzioni amministrative sono governate dal principio di tipicità e di legalità 120, e
nessuna disposizione di legge sanziona la falsa dichiarazione riguardo agli elementi
richiamati dal comma 1-bis dell’art. 29.
Non può certamente configurarsi nullità, quale effetto della falsa dichiarazione in
atto: la nullità prevista dal comma 1-bis ha infatti natura documentale e non sostanziale,
come già evidenziato (cfr. il § 3.3), e colpisce unicamente l’assenza in atto delle
dichiarazioni e dei riferimenti prescritti.
Invece, alla falsa o erronea dichiarazione dell’alienante consegue la responsabilità
civile nei confronti dell’acquirente (che non ne fosse a conoscenza) per gli eventuali
danni a lui provocati. In particolare, la difformità della situazione di fatto rispetto a
quella raffigurata nella planimetria – se fino ad oggi poteva rimanere sostanzialmente
priva di conseguenze nella maggior parte dei casi, in cui l’acquirente aveva accettato
l’immobile “nello stato di fatto” in cui lo stesso si trovava – oggi, a fronte di una
dichiarazione di conformità resa dall’alienante, può configurare la fattispecie di
“mancanza delle qualità promesse”, con le conseguenze previste dall’art. 1497 c.c. In
caso di attestazione sostitutiva redatta da un tecnico abilitato, l’alienante ne risponde a
norma dell’art. 1228 c.c.; il tecnico, da parte sua, è obbligato in base alle norme che
regolano la responsabilità dei professionisti intellettuali.
amministrativa o processuale) attribuisca all’atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato al
pubblico ufficiale, così collegando l’efficacia probatoria dell’atto stesso al dovere del dichiarante di
affermare il vero” (Cass. S.U. 15 dicembre 1999, in Foro it., 2000, II, c. 463; Cass. S.U. 17 febbraio
1999, in Foro it., 1999, II, 435).
119
Cfr. Cass. 4 dicembre 1995, in Foro it., Rep. 1996, voce Falsità in atti, n. 29 (“In tema di falso
ideologico del privato in atto pubblico, non è necessario che l’atto di cui si ipotizza la falsità sia previsto
da una specifica disposizione di legge, ma è sufficiente che esso sia destinato a provare la verità, e cioè
che la falsa attestazione abbia una qualche efficacia probatoria, da accertare di volta in volta”); Cass. 24
ottobre 1994, in Riv. pen., 1995, p. 1346 (“Il riconoscimento di figlio naturale costituisce una
dichiarazione di scienza rivolta a conferire certezza al fatto della procreazione, di cui è destinato a
provare la verità; commette, pertanto, il delitto di falsità ideologica in atto pubblico (art. 483 c.p.) il
privato che effettui falsa dichiarazione di paternità naturale in un atto ricevuto da notaio”); Cass. 19
dicembre 2005, in Foro it., Rep. 2006, voce Falsità in atti, n. 64 (“Le false dichiarazioni del privato
concernenti la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge o dagli strumenti urbanistici per il rilascio di
concessione edilizia, essendo destinate a dimostrare la verità dei fatti cui si riferiscono e ad essere
recepite quali condizioni per la emanazione o per la efficacia dell’atto pubblico, producendo cioè
immediati effetti rilevanti sul piano giuridico, sono idonee ad integrare, se ideologicamente false, il
delitto di cui all’art. 483 c.p.”).
120
Cfr. l’art. 3 del D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, e l’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689.
41
A parte vanno considerati, ovviamente, i casi in cui la difformità dello stato di fatto
rispetto alla planimetria dipenda da un abuso edilizio, da cui derivano le conseguenze
sanzionatorie, anche civilistiche, previste dalla relativa normativa; la falsa dichiarazione
potrebbe infatti, nei casi più gravi, riguardare anche la regolarità urbanistica del
fabbricato (l’irregolarità può, oggi, emergere con maggiore facilità, attraverso i
riscontri richiesti dalla novella), e dar luogo quindi alle sanzioni previste dal testo unico
dell’edilizia, non esclusa la possibile nullità dell’atto.
Occorre, infine, rammentare le sanzioni amministrative, previste dalla vigente
normativa per il mancato adempimento agli obblighi di denuncia al catasto dei
fabbricati delle nuove costruzioni e variazioni, e per la mancata presentazione delle
planimetrie aggiornate, ove ne ricorrano i presupposti 121, tenuto conto dei nuovi
strumenti e poteri di accertamento ora previsti dall’art. 19, commi 10 e seguenti, del
D.L. n. 78/2010.
Il notaio è ovviamente obbligato ad informare le parti di tutte le suddette
conseguenze, chiarendo loro esattamente la portata delle eventuali infrazioni commesse
ai fini della responsabilità penale, civile ed amministrativa di cui sopra.
4. Le prescrizioni relative alla conformità “soggettiva” dell’intestazione catastale
con le risultanze dei registri immobiliari.
4.1. La verifica della conformità soggettiva: ratio e perimetro applicativo del secondo
periodo del comma 1-bis.
Ai sensi del secondo periodo del comma 1-bis dell’art. 29, “Prima della stipula dei
predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con
le risultanze dei registri immobiliari”. Si tratta della “conformità soggettiva” tra
intestazione catastale e titolarità del diritto, quale risultante dai registri immobiliari: al
fine di comprendere appieno il significato e la portata dell’innovazione, occorre partire
dalla situazione precedente alla sua emanazione.
La “ditta catastale” identifica – in base alla vigente normativa – i titolari di diritti
reali su beni immobili 122; tale “intestazione” agevola, tra gli altri obiettivi, il compito
dell’amministrazione finanziaria ai fini dell’individuazione del soggetto passivo delle
imposte fondiarie (imposta sui redditi, ed imposta comunale sugli immobili). Il sistema
catastale si fonda – come regola – sul “principio di continuità storica delle iscrizioni
catastali” 123, che dovrebbe rispecchiare la serie continua dei trasferimenti, e quindi
degli acquisti a titolo derivativo dei medesimi diritti reali. Questa serie continua emerge
dalle certificazioni storiche catastali, e dalle corrispondenti visure: in occasione di ogni
atto civile, giudiziario o amministrativo che dia luogo a vicende traslative, costitutive o
divisionali, è fatto obbligo ai pubblici ufficiali (e in loro assenza alle parti) di richiedere
la corrispondente voltura catastale (art. 3 del D.P.R. n. 650/1972). Nell’ipotesi di
121
Cfr. gli artt. 28 e 31 del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, e successive modificazioni; l’art. 52 della
legge 28 febbraio 1985, n. 47; l’art. 1, comma 338, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive
modificazioni.
122
A norma dell’art. 41 del D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, “Ciascuna unità immobiliare urbana
accertata deve essere intestata alla ditta che ne è in possesso. La ditta è costituita dalle persone dei
proprietari o dei possessori e da quelle che hanno diritti reali di godimento sull’unità immobiliare. Esse
devono essere individualmente designate, specificando per ognuna le quote di partecipazione o il diritto
spettante”.
123
A tale principio fa riferimento l’art. 26, comma 2, ultimo periodo, del D.M. 2 gennaio 1998, n.
28, nell’attribuire agli uffici – in sede di aggiornamento del catasto dei fabbricati con le procedure
automatiche di cui al D.M. n. 701/1994 – di operare in deroga ad esso.
42
discordanza tra l’autore del trasferimento e il soggetto intestatario in catasto, vi è
obbligo, in sede di domanda di voltura, di indicare gli estremi dei passaggi intermedi.
Nel tempo, tuttavia, l’imperfezione del sistema pubblicitario italiano, e l’esistenza
di mutazioni giuridiche (es., l’usucapione) che maturano a prescindere da specifici “atti
legali” (ossia indipendentemente dall’esistenza di titoli formali), ha determinato
l’introduzione di deroghe alla rigida regola di continuità catastale. Innanzitutto, nel
caso in cui manchino i suddetti atti legali, è data possibilità di eseguire la voltura con
“annotazione di riserva”, ossia “ai soli fini della conservazione del catasto” e
impregiudicati i diritti dei terzi: il che significa, in altri termini, che in questo caso
l’ordinamento rinuncia alla continuità catastale e segnala peraltro, con annotazione a
margine, l’insussistenza di tale continuità (prevedendo, peraltro, la cancellazione della
riserva decorso un ventennio, sul presupposto evidentemente della probabile
usucapione) 124. In secondo luogo, in conseguenza dell’automazione della voltura
catastale – che è oggi eseguita in via automatica, per effetto della presentazione della
nota di trascrizione (ai sensi dell’art. 2 del d.m. n. 701/1994) – è fatto obbligo al notaio
di indicare in apposito foglio informativo gli estremi dei passaggi intermedi e delle
relative domande di voltura; obbligo, questo, ribadito dall’art. 5, comma 2, del D.P.R.
18 agosto 2000, n. 308, a norma del quale “Nel caso in cui non vi sia concordanza fra i
soggetti intestati in catasto e quelli risultanti dall’atto, il pubblico ufficiale indica nel
modello unico gli estremi degli atti e denunce che hanno dato luogo ai passaggi
intermedi o alle discordanze fra le ditte”. E’, tuttavia, eseguita ugualmente la voltura,
con annotazione di “passaggi intermedi da esaminare”, quando non siano indicati gli
estremi delle volture dei passaggi intermedi, o quando in altro modo non risulti la
coincidenza tra ditta catastale ed autore del trasferimento 125. Viene conseguentemente
imposta all’ufficio un’attività di verifica, e di riscontro dell’effettiva sussistenza dei
passaggi intermedi 126, la quale però – per intuibili ragioni, connesse alla mancanza
delle necessarie risorse, umane ed economiche – non ha avuto fino ad oggi luogo. La
verifica dovrebbe essere agevolata dall’obbligo (imposto dall’art. 2, comma 4, del d.m.
701/1994 “al notaio ed agli altri pubblici ufficiali che ricevono atti o autenticano firme
su atti civili, giudiziari e amministrativi, che danno origine a variazione di diritti censiti
in catasto”) di indicare nel medesimo atto la serie dei passaggi intermedi, con i relativi
estremi 127. A parte la pratica assenza di successivi controlli, deve essere anche
124
Cfr. l’art. 12 della legge 1 ottobre 1969, n. 679.
Si veda sul punto – oltre alla disposizione citata alla precedente nota 123 – la disciplina dettata
dal Decreto dirigenziale 15 ottobre 1998 (pubblicato nella G.U. n. 250 del 26 ottobre 1998), concernente
l’esecuzione automatica delle volture catastali: premesso che, a norma dell’art. 1, comma 3, “qualora non
vi sia concordanza tra la situazione indicata nella nota di trascrizione, relativamente ai soggetti, agli
immobili o ad entrambi, rispetto a quella presente nelle scritture e negli atti catastali, la parte che richiede
la trascrizione presenta, su supporto informatico, apposito foglio informativo”, il successivo art. 2,
comma 1, stabilisce che “qualora non risultino indicati nel foglio informativo, di cui all’art. 1, comma 3,
gli estremi di protocollo delle domande di voltura degli eventuali atti intermedi, l’ufficio procede
ugualmente alla registrazione della voltura automatica, ai soli fini della conservazione del catasto e con
indicazione negli atti catastali dell’elenco dei passaggi intermedi riportati nel foglio informativo
medesimo. Tale circostanza sarà fatta rilevare negli atti a mezzo di apposita annotazione”.
V. anche, sul punto, la Circ. Agenzia Territorio 18 dicembre 1998, n. 287/T, § 10, nonché la Circ.
Agenzia Territorio 2 maggio 2002, n. 3/T, § 6.1, lett. a).
126
Cfr. la Circ. Agenzia Territorio 2 maggio 2002, n. 3/T, § 6.4: “Con la precipua finalità del
recupero della qualità dell’informazione catastale, gli Uffici dovranno porre in essere, tempestivamente,
ogni intervento atto alla analisi ed alla risoluzione delle cause imputabili agli Uffici medesimi che hanno
impedito la regolare registrazione delle volture ed esaminare le eventuali annotazioni (da verificare,
apposizione di riserva, ecc.) riportate in automatico dalla procedura, con le modalità che verranno
indicate con apposita procedura operativa in corso di emanazione”.
127
A norma dell’art. 2, comma 4, del D.M. 19 aprile 1994, n. 701, “Qualora non vi sia concordanza
tra la situazione dei soggetti titolari del diritto di proprietà o di altri diritti reali e le corrispondenti
125
43
evidenziato il fatto che l’eventuale mancato adempimento ai suddetti obblighi del
notaio, o altro pubblico ufficiale, non può dar luogo a rifiuto della trascrizione 128.
In tutti i suddetti casi, pertanto, il sistema previgente affidava certamente al notaio
ed agli altri pubblici ufficiali il compito di verificare preventivamente la concordanza o
meno “tra la situazione dei soggetti titolari del diritto di proprietà o di altri diritti reali
e le corrispondenti scritture catastali” (art. 2, comma 4, succitato), ma consentiva
comunque di perfezionare il successivo atto traslativo anche in caso di esito negativo
della verifica, prevedendo soltanto un obbligo di indicare, negli atti e nelle note di
trascrizione (e correlato foglio informativo ai fini della voltura automatica), i passaggi
intermedi mancanti ai soli fini catastali, senza però alcun obbligo di regolarizzare
eventuali volture mancanti. Era, poi, meramente facoltativo il “preallineamento
catastale”, ossia la regolarizzazione della situazione catastale anteriormente all’atto.
Infine, non vi era alcun obbligo di regolarizzare le trascrizioni nei registri immobiliari,
in caso di loro mancanza: ove, ad esempio, fosse mancata la trascrizione di un acquisto
successorio, il successivo atto di alienazione poteva essere stipulato senza necessità di
trascrivere, preventivamente o contestualmente, anche l’acquisto mortis causa. Tutto
ciò rendeva, evidentemente, precario lo stesso fondamento dell’obbligazione tributaria,
in quanto la futura contestazione della titolarità del diritto reale – anche in conseguenza
di un difetto di trascrizione, o di continuità delle trascrizioni – poteva comportare
inutile dispendio di attività di accertamento o riscossione da parte dell’amministrazione
finanziaria.
Con la novella in esame il legislatore – ritenuta evidentemente insufficiente la
disciplina già esistente – ha invece imposto la necessità di individuazione, da parte del
notaio, degli intestatari catastali, e di verifica della relativa “conformità”, non più con
“la situazione dei soggetti titolari del diritto”, bensì con le “risultanze dei registri
immobiliari”, e ciò “prima della stipula”. Con un deciso cambio di passo, viene
imposto – con le modalità che saranno infra chiarite – l’allineamento “bidirezionale”
delle risultanze del catasto e dei registri immobiliari, ponendo attenzione – a differenza
del passato – anche a queste ultime; nonché, come meglio si dirà tra breve, la
regolarizzazione della situazione mediante l’allineamento anteriore alla trascrizione. Il
tutto già con riguardo alla posizione dell’alienante; mentre prima della riforma
l’allineamento – che veniva conseguito per effetto della voltura automatica – aveva
luogo nella persona dell’acquirente.
Occorre, a questo punto, definire l’àmbito di applicazione della disposizione.
Sotto il profilo oggettivo, vale quanto sopra chiarito in ordine alla tipologia degli
atti (atti pubblici e scritture private autenticate), al loro oggetto (il trasferimento, la
costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali), ai beni immobili interessati
(i “fabbricati già esistenti”, comprensivi non solo delle unità immobiliari urbane, ma
anche dei fabbricati effettivamente rurali, in quanto censiti nel catasto dei fabbricati).
L’àmbito applicativo della norma in esame è quindi più ampio di quello relativo al
primo periodo del comma 1-bis, che riguarda unicamente le “unità immobiliari urbane”.
Sotto il profilo soggettivo, la norma pone, in modo espresso, l’obbligo di
comportamento solo in capo al notaio. Non sembra, tuttavia, possibile distinguere tra
notaio ed altri pubblici ufficiali roganti, eccezionalmente autorizzati dalle leggi speciali
scritture catastali, è fatto obbligo al notaio ed agli altri pubblici ufficiali che ricevono atti o autenticano
firme su atti civili, giudiziari e amministrativi, che danno origine a variazione di diritti censiti in catasto,
di fare menzione, nell’atto medesimo e nella relativa nota di trascrizione, dei titoli che hanno dato luogo
ai trasferimenti intermedi o delle discordanze”. V. anche, sul punto, la Circ. Agenzia Territorio 18
dicembre 1998, n. 287, § 2.
128
V. in tal senso l’art. 3, comma 2, del Decreto dirigenziale 15 ottobre 1998: “La mancata richiesta
della voltura automatica o la mancata presentazione dei fogli integrativi, ovvero la loro errata o
incompleta compilazione, non costituisce motivo di rifiuto della trascrizione”.
44
a ricevere o autenticare l’atto (ex artt. 2699 e 2703 c.c.): la disposizione contiene, sul
punto, una sineddoche, riferendosi al notaio quale pubblico ufficiale istituzionalmente,
e normalmente, competente riguardo ai suddetti atti, ed è quindi applicabile anche agli
altri pubblici ufficiali competenti (console, segretario comunale, ecc.).
Al di fuori dell’àmbito degli atti autentici tra vivi, la legge non sancisce invece
alcun obbligo di accertamento della conformità soggettiva in oggetto. In particolare, né
il giudice dell’esecuzione nel procedimento di espropriazione forzata immobiliare, né il
professionista delegato a norma dell’art. 591-bis c.c., né il giudice che emana la
sentenza costitutiva, soggetta a trascrizione a norma dell’art. 2643, n. 14, c.c., sono
tenuti – in base al tenore testuale della norma – ad operare preliminarmente alcuna
verifica riguardo alla conformità soggettiva tra risultanze del catasto e dei registri
immobiliari. Una lettura restrittiva di tal genere appare però fortemente irragionevole,
non essendovi ragione di distinguere in relazione a fattispecie che rappresentano, in
egual modo, acquisti a titolo derivativo, e nelle quali quindi la titolarità del diritto
acquistato (ancorché coattivamente) dipende dalla sussistenza della medesima titolarità
in capo al dante causa (con le medesime esigenze di riscontro della continuità catastale
e delle trascrizioni). Sussisterebbe, quindi, un fondato rischio di incostituzionalità della
norma, nella parte in cui la stessa fosse interpretata in modo rigidamente letterale, senza
estendere gli obblighi in accertamento in esame a tutti i pubblici ufficiali che
intervengono, a qualsiasi titolo, in occasione di un trasferimento anche forzato della
titolarità di diritti reali. A fronte di questo rischio, è d’obbligo il ricorso
all’interpretazione adeguatrice ed estensiva: considerando che vi sia una semplice
imperfezione letterale della disposizione, e che la relativa ratio ne imponga
l’estensione anche all’autorità giudiziaria che emani provvedimenti, aventi come
effetto l’acquisto a titolo derivativo dei diritti in oggetto. Soccorre in questo senso
anche la parallela disposizione – contenuta nell’art. 2, comma 4, del d.m. n. 701/1994,
che in presenza di discordanza tra titolarità reale e intestazione catastale pone un
obbligo di menzione dei titoli intermedi in capo “al notaio ed agli altri pubblici ufficiali
che ricevono atti o autenticano firme su atti civili, giudiziari e amministrativi, che
danno origine a variazione di diritti censiti in catasto”; l’evidente similitudine tra le due
situazioni rende certamente plausibile l’estensione analogica, al fine di colmare la
lacuna normativa.
4.2. L’individuazione degli intestatari catastali.
Il primo obbligo, sancito dalla norma in commento, è quello di individuazione degli
“intestatari catastali”. Si tratta delle persone o degli enti che compongono la “ditta
catastale”, in qualità di titolari di diritti reali sui fabbricati in oggetto. La verifica può
dar luogo ad esiti di diverso tipo.
Innanzitutto, è possibile che la ditta catastale non sia aggiornata, perché ad
esempio non è stata richiesta la voltura di uno o più precedenti trasferimenti di
proprietà o riunioni di usufrutto, ovvero la voltura non è stata correttamente eseguita
(dando luogo, ad esempio, ad intestazione parziale, o con errori nell’attribuzione delle
quote di comproprietà). In queste ipotesi, risulterà intestatario catastale, in tutto o in
parte, una persona diversa dal titolare del diritto reale oggetto dell’atto da stipularsi. Si
tratta di situazione da regolarizzare, come meglio si vedrà tra breve.
In secondo luogo, è possibile che l’intestatario catastale corrisponda all’attuale
titolare del diritto reale, ma che l’intestazione catastale rechi una annotazione di
“riserva per passaggi intermedi non esistenti” (per mancanza di atti legali, riguardo ad
un precedente trasferimento), ovvero una annotazione di “passaggi intermedi da
esaminare”, apposta in occasione di una precedente voltura catastale automatica. Si
pone, in questi casi, il problema della rilevanza o meno di tali annotazioni ai fini della
45
regolarità dell’intestazione catastale: quest’ultima è da ritenersi “intestazione catastale”
a tutti gli effetti, ovvero deve essere “regolarizzata"? Ove si rispondesse in questo
secondo senso, occorrerebbe preventivamente individuare le cause che hanno dato
luogo all’annotazione, e quindi chiederne la cancellazione con apposita istanza,
documentando i presupposti che dimostrano la regolarità dei precedenti trasferimenti. A
ben vedere, tuttavia, la legge non richiede nulla di ciò. Nella misura in cui – all’esito
delle indagini eseguite nei registri immobiliari – il notaio accerti che l’attuale
intestatario catastale è il reale titolare del diritto, la veridicità della intestazione catastale
è comprovata dall’esito positivo delle suddette indagini, e si tratta semmai di osservare
il disposto dell’art. 2, comma 4, del d.m. 19 aprile 1994, n. 701, ricorrendo un caso –
sia pur particolare – di discordanza “tra la situazione dei soggetti titolari del diritto di
proprietà o di altri diritti reali e le corrispondenti scritture catastali”. Queste ultime,
infatti, nella misura in cui riportano le suddette annotazioni, manifestano una situazione
di irregolarità che in realtà non sussiste. Potrebbe invece darsi che a fronte, ad esempio,
di un’annotazione di riserva per passaggi intermedi non comprovati da atti legali, il
notaio effettivamente verifichi che manca un passaggio intermedio, perché, ad esempio,
nel ventennio un soggetto ha venduto un immobile dichiarando di averlo usucapito,
senza avere ottenuto la relativa sentenza dichiarativa. In tutti questi casi – giusta quanto
si dirà infra, a proposito dei casi in cui la situazione dei registri immobiliari non è
suscettibile di essere regolarizzata sulla base dei titoli esistenti – appare semmai
opportuno applicare analogicamente la prescrizione del suddetto art. 2, comma 4, e
quindi “fare menzione, nell’atto medesimo e nella relativa nota di trascrizione, dei
titoli che hanno dato luogo ai trasferimenti intermedi o delle discordanze”, per un
periodo comunque non eccedente il ventennio (arg. ex art. 12, comma 3, della legge 1
ottobre 1969, n. 679). In definitiva, in nessun caso l’esistenza di un’annotazione del
tipo di quelle sopra descritte impedisce la stipula dei successivi atti, né può
configurarsi alcun obbligo del notaio – né tantomeno alcun onere delle parti – di
richiedere preventivamente la cancellazione di detta annotazione, in assenza di una
prescrizione normativa in tal senso. La legge richiede l’individuazione degli intestatari
catastali, e tali sono i soggetti indicati nella ditta catastale; l’esistenza di annotazioni
catastali non determina alcuna conseguenza, se non l’obbligo in capo al notaio di
verificare diligentemente che ad essa non corrispondano dei “problemi” riguardo alla
titolarità effettiva del diritto reale.
4.3. L’identificazione delle “risultanze dei registri immobiliari”; la continuità delle
trascrizioni.
Il secondo termine di riferimento, da raffrontare con l’intestazione catastale, sono le
“risultanze dei registri immobiliari”. L’espressione deve essere attentamente valutata,
tenendo conto dello scopo della norma, che è quello di individuare – a fini fiscali – il
“soggetto titolare dei diritti reali”, il possesso dei quali determina la nascita di
obbligazioni tributarie in capo al medesimo titolare.
A prima vista, l’obiettivo del legislatore non sembrerebbe realizzabile. Il sistema
italiano della trascrizione immobiliare appartiene infatti alla categoria della pubblicità
di atti, in contrapposizione ad altri – quale, per rimanere in àmbito nazionale, quello
tavolare – che danno luogo invece ad una pubblicità di diritti 129. La trascrizione,
impostata su base personale e non reale 130, non identifica infatti il “soggetto titolare del
129
Nel sistema tavolare vigente nelle nuove province italiane, l’intavolazione ha ad oggetto diritti,
mentre l’annotazione (ex artt. 19 e 20 della legge tavolare, allegata al R.D. n. 499/1929) ha ad oggetto atti
o fatti giuridici: GABRIELLI, Libri fondiari, in Novissimo dig. it., Appendice, IV, Torino 1983, p. 952.
130
Sull’impostazione “personale” dei registri italiani di pubblicità immobiliare, cfr. per tutti FERRI–
ZANELLI, Della trascrizione, in Commentario del codice civile Scialoja–Branca, Bologna–Roma, 1997,
46
diritto”, ma unicamente gli atti che nella loro sequenza danno luogo – secondo i
princìpi propri degli acquisti a titolo derivativo – a vicende traslative, costitutive,
modificative o estintive del diritto stesso. Vicende la cui sorte dipende dalla validità ed
efficacia dei precedenti trasferimenti, oltre che dalla combinazione delle regole di
priorità e continuità delle trascrizioni.
D’altra parte, è estranea ai registri immobiliari italiani l’efficacia di prova piena
riguardo alla titolarità del diritto, stante la possibilità di trascrizioni in assenza di
continuità, di coesistenza di trascrizioni tra loro contraddittorie (come nel caso di
plurime, parallele catene di provenienza a partire da un remoto autore) 131, nonché di
acquisti a titolo originario (in particolare, usucapione, ma anche espropriazione per
pubblica utilità), la cui mancata trascrizione non ne pregiudica la prevalenza rispetto a
concorrenti acquisti a titolo derivativo a carico di un comune autore 132.
E’, però, anche vero che le risultanze dei registri delle trascrizioni sono ormai
utilizzate, a svariati fini (espropriazione forzata immobiliare, espropriazione per
pubblica utilità, accertamenti antiriciclaggio e antiterrorismo, accertamento di tributi),
quale “prova indiziaria” della titolarità dei diritti reali 133. Tenendo conto, cioè, della
“tendenziale” completezza delle risultanze dei registri immobiliari, e dei controlli di
legalità che costituiscono il presupposto della trascrizione, in una serie di procedimenti
amministrativi o giudiziari le norme “presumono” l’esattezza delle risultanze suddette,
e quindi la titolarità dei diritti in capo a coloro che ne risultano acquirenti, salvo
evidentemente prova contraria che può essere fornita nell’àmbito degli stessi
procedimenti.
Tenuto conto, peraltro, dei princìpi degli acquisti a titolo derivativo (nemo plus iuris
transferre potest quam ipse habeat, e resoluto iure dantis resolvitur et ius accipientis),
una tale presunzione è evidentemente – in un sistema di trascrizione a base personale –
solo nella misura in cui le risultanze di cui trattasi non si esauriscano in una trascrizione
isolata, ma rappresentino invece una serie continua di trascrizioni apparentemente
coerenti tra loro e regolari (tenuto conto anche dell’intervento, decorsi cinque anni da
ciascuna trascrizione, della c.d. pubblicità sanante ex art. 2652, n. 6, c.c.). Anche
perché, in assenza di tale serie continua, le successive trascrizioni non producono
alcun effetto: decisiva, in tal senso, la fondamentale prescrizione dell’art. 2650 c.c., a
norma del quale le trascrizioni ed iscrizioni sono inefficaci, in assenza di trascrizione
dei precedenti acquisti.
Deve pertanto ritenersi che le “risultanze dei registri immobiliari”, richiamate dal
comma 1-bis dell’art. 29 in commento, siano rappresentate dalla catena continua delle
trascrizioni: accertare le risultanze dei registri immobiliari significa verificare,
mediante ispezione dei registri delle trascrizioni, l’esistenza della continuità richiesta
dall’art. 2650 c.c. Argomento decisivo in questo senso è fornito dalla previsione
contenuta nell’art. 567, comma 2, c.p.c. (come da ultimo modificato dalla legge 28
dicembre 2005, n. 263), secondo cui “Il creditore che richiede la vendita deve
p. 47 ss.; GAZZONI, La trascrizione immobiliare, II, in Il Codice civile. Commentario, diretto da
Schlesinger, Milano, 1993, p. 191. In giurisprudenza, v. soprattutto Cass. 1 dicembre 1995, n. 12429, in
Vita not., 1996, p. 909; Cass. 22 aprile 1997, n. 3477, in Vita not., 1997, p. 875.
131
GIULIANI, Nuove norme sull’annotazione tavolare dei contratti preliminari, in Riv. not., 2001,
p. 577; MENGONI, Relazione al disegno di legge per la modifica della legge tavolare (atti condizionati
e trascrizione del preliminare), in Riv. not., 2001, p. 743 ss. (ove si evidenzia che nel sistema dei registri
immobiliari la coesistenza tra trascrizioni incompatibili “è possibile, essendo rimesso esclusivamente al
giudice del contenzioso l’accertamento della prevalenza dell’una o dell’altra delle trascrizioni o iscrizioni
in conflitto»); ASTUNI, La fede del libro fondiario e l’usucapione, in Riv. giur. edilizia, 2000, I, p. 57.
132
Cfr. per tutte Cass. 3 febbraio 2005, n. 2161, in Giur. it., 2005, p. 2275.
133
Cfr. PETRELLI, Pubblicità legale e trascrizione immobiliare tra interessi privati e interessi
pubblici, cit., p. 712, e nota 65.
47
provvedere, entro centoventi giorni dal deposito del ricorso, ad allegare allo stesso
l’estratto del catasto, nonché i certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative
all’immobile pignorato effettuate nei venti anni anteriori alla trascrizione del
pignoramento; tale documentazione può essere sostituita da un certificato notarile
attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari”. Qui
l’espressione “risultanze dei registri immobiliari” è evidentemente impiegata – giusta i
princìpi suesposti – proprio con riguardo alla serie continua delle trascrizioni.
La disposizione appena richiamata è importante anche per un’altra ragione.
Teoricamente, la continuità delle trascrizioni andrebbe verificata a partire dal 21 aprile
1942, data di entrata in vigore del codice civile (art. 225 disp. trans. c.c.). Senonché, la
recente evoluzione normativa consente di raggiungere una diversa conclusione: il
suddetto art. 567 c.p.c., nel circoscrivere al ventennio l’accertamento della titolarità dei
diritti reali finalizzato all’espropriazione forzata, pone in realtà un principio generale,
applicabile a qualsiasi procedimento giudiziario o amministrativo nel quale occorre,
sulla base delle “risultanze dei registri immobiliari”, accertare la titolarità di diritti
reali 134. Principio generale che trova conferma in alcuni articoli del codice civile (artt.
534, 2668-bis, 2668-ter c.c.), recentemente novellati, e finalizzati a consentire la
limitazione delle indagini ipotecarie al ventennio, anche per ciò che riguarda l’esistenza
di vincoli o pesi pregiudizievoli sulla proprietà. Sarebbe, del resto, irragionevole che il
giudice dell’esecuzione dovesse limitarsi, nell’accertamento dei diritti reali ai fini
dell’espropriazione forzata, al ventennio, ed invece questo limite non valesse negli altri
procedimenti, compresi quelli amministrativi tributari. Per altro verso, non avrebbe
senso che solo in alcuni procedimenti, e non in altri, rilevasse la “serie continua” delle
trascrizioni. Nel medesimo senso devono essere pertanto interpretate tutte le
disposizioni legislative che utilizzano, nell’àmbito di procedimenti amministrativi e
giudiziari, l’espressione “risultanze dei registri immobiliari”, al fine di desumerne la
“prova indiziaria” della titolarità del diritto, con svariate finalità, quale ad esempio
quella dell’inventariazione del patrimonio di enti pubblici 135, ovvero – per quanto qui
più interessa – quella dell’accertamento dei tributi.
Non si tratta, del resto, solo di un problema di congruenza formale dei pubblici
registri, ma di una questione di rilievo sostanziale: la continuità delle trascrizioni
svolge una fondamentale funzione anche ai fini tributari, nell’ottica del rafforzamento
del “fondamento” dell’obbligo fiscale, che è costituito dalla titolarità del diritto reale.
E’ vero che sarebbe teoricamente possibile accertare la titolarità di un diritto reale pur
in assenza di continuità delle trascrizioni, ma è altresì vero che – trattandosi di acquisto
a titolo derivativo – detta titolarità sarebbe precaria, e sempre esposta al rischio della
soccombenza nei confronti di un altro avente causa dal medesimo autore, mediato o
immediato (l’art. 2650 fa, infatti, salva la previsione dell’art. 2644 c.c.). Se, ad
esempio, Tizio ha venduto prima a Sempronio (con atto non trascritto), e poi a Caio
134
Le considerazioni sviluppate nel testo sono rafforzate dalla considerazione che il secondo periodo
del comma 1-bis dell'
art. 29, a proposito della conformità soggettiva, non opera sul piano "ontologico"
dell'
esistenza della conformità tra registri immobiliari e catasto, bensì sul piano "comportamentale", degli
obblighi imposti al notaio. Obblighi che non possono essere certo maggiori di quelli imposti al giudice
delle esecuzioni che deve verificare, istituzionalmente, la proprietà dell'
immobile soggetto ad
espropriazione, e che per espressa disposizione di legge deve acquisire solo certificazioni ipotecarie
ventennali (art. 567, comma 2, c.p.c., come modificato nel 2005), senza dover risalire più a ritroso nel
tempo.
135
Si vedano, a titolo esemplificativo, l’art. 46 del d.m. 23 aprile 2009, n. 87; l’art. 70 del d.m. 24
gennaio 2003; l’art. 21 del d.m. 14 giugno 2002; l’art. 59 del d.m. 31 maggio 2001; l’art. 21 del d.m. 29
novembre 2000; l’art. 60 del d.m. 3 agosto 1999; l’art. 17 del d.m. 22 aprile 1997; l’art. 51 del d.m. 27
aprile 1995, n. 392; l’art. 36 del d.p.r. 4 agosto 1986, n. 1104; l’art. 35 del d.p.r. 4 marzo 1982, n. 371;
l’art. 41 del d.p.r. 18 dicembre 1979, n. 696.
48
(con atto trascritto), e Sempronio ha successivamente venduto a Mevio, che ha
trascritto ed anche volturato a proprio favore l’acquisto, nonostante le apparenze il reale
titolare del diritto è Caio e non Mevio: l’amministrazione finanziaria, che svolgesse
un’attività di accertamento e riscossione dei tributi fondiari nei confronti di Mevio,
sulla base delle risultanze catastali ed in mancanza di riscontro della continuità
ipotecaria ventennale, svolgererebbe un’attività inutile ed illegittima. Da ciò l’interesse
del fisco a conoscere il vero titolare, che è realizzabile solo per effetto
dell’accertamento ventennale delle trascrizioni nei registri immobiliari. La titolarità del
diritto reale è quindi “rafforzata” per effetto della continuità delle trascrizioni, e tale
rafforzamento riguarda indirettamente anche l’obbligazione tributaria.
In conclusione, pertanto, le "risultanze dei registri immobiliari" non si esauriscono
nella sola trascrizione dell'
ultimo titolo di provenienza a favore dell'
alienante.
Quest'
ultima, isolatamente considerata:
1) - è inefficace, a norma dell'
art. 2650 c.c., in mancanza di trascrizioni dei
precedenti acquisti;
2) - potrebbe essere soccombente rispetto ad altra trascrizione prioritaria, a norma
dell'
art. 2644 c.c., presa a carico del comune autore immediato, ovvero di un comune
autore mediato;
3) – in base ai princìpi degli acquisti a titolo derivativo (nemo plus iuris transferre
potest quam ipse habeat; resoluto iure dantis, resolvitur et ius accipientis), non ha da
sola alcuna idoneità ad individuare "il soggetto titolare di diritti reali", obiettivo
primario, quest'
ultimo, dell'
anagrafe immobiliare integrata;
4) – il termine "risultanze dei registri immobiliari" identifica, nel linguaggio
legislativo, proprio la catena continua di trascrizioni efficaci, come risulta tra l'
altro
dall'
art. 567, comma 2, c.p.c.
Pertanto la verifica delle "risultanze dei registri immobiliari" consiste
nell'
accertamento della continuità delle trascrizioni, e della relativa priorità rispetto ad
eventuali formalità confliggenti. Accertamento che deve ritenersi comunque
circoscritto al ventennio, come risulta da altre disposizioni normative, prima tra le quali
quella dettata dall'
art. 567, comma 2, c.p.c. (che, parlando di "risultanze dei registri
immobiliari", fa espresso riferimento a tale ventennio).
Occorre, quindi, innanzitutto curare l’esecuzione nel ventennio della trascrizione
degli acquisti a causa di morte, a norma dell’art. 2648 c.c. 136. Non assume, invece,
alcuna rilevanza agli effetti del comma 1-bis in commento – e non realizza quindi la
“conformità soggettiva” richiesta dalla legge – la trascrizione del certificato di
denunciata successione: quest’ultima individua, a determinati fini fiscali, i chiamati e
non gli eredi; non individua, quindi, i "titolari di diritti reali", sia pure ai fini fiscali,
come richiede la nuova disposizione 137. Ovviamente, per quanto sopra detto, è
136
Cfr. PETRELLI, Note sulla trascrizione degli acquisti «mortis causa», in Riv. not., 1993, p. 271;
ID., , Trascrizione degli acquisti «mortis causa» e espropriazione forzata immobiliare, cit., p. 483.
137
E'infatti sui chiamati all'
eredità che grava l'
obbligo di presentazione della dichiarazione di
successione (art. 28, comma 2, del d. lgs. n. 346/1990). Ed è il contenuto della dichiarazione di
successione che risulta dalla trascrizione prescritta dall'
art. 5, comma 2, del d. lgs. n. 347/1990 (che, per
inciso, non richiede questa trascrizione genericamente a tutti i fini fiscali, ma dispone che "La
trascrizione del certificato è richiesta ai soli effetti stabiliti dal presente testo unico (ossia delle sole
imposte ipotecarie e catastali: n.d.a.) e non costituisce trascrizione degli acquisti a causa di morte").
Occorre, piuttosto, ritenere che – ancorché nella nota di trascrizione dell’accettazione di eredità non
siano stati inseriti tutti i beni immobili ricompresi nella successione – la conformità soggettiva richiesta
dalla legge debba ritenersi sussistente ogni qualvolta dal contesto della nota risulti che si tratta di
successione nell’universum ius (il che avviene, ovviamente, per tutte le successioni legittime, quando la
natura legale della delazione emerga dalla nota). Conclusione, questa, alla quale è possibile giungere
tenendo conto della validità della trascrizione così effettuata a norma dell’art. 2665 c.c. (non essendovi
49
necessario trascrivere tutti gli acquisti mortis causa verificatisi nel ventennio, ancorché
non costituiscano provenienza immediata.
Proseguendo nell’analisi, occorre evidenziare come la legge si riferisca alle
risultanze dei registri immobiliari tout court, senza distinguere fra trascrizioni aventi
natura di pubblicità dichiarativa, e ipotesi di mera pubblicità notizia. L’ampia
formulazione della legge conduce ad estendere la disciplina in esame anche alle ipotesi
in cui la trascrizione sia richiesta a fini soltanto notiziali: ciò risponde anche alla ratio
per la quale la pubblicità notizia è imposta dalla legge, che risponde ad un obiettivo
generale di informazione 138, certamente diretto anche nei confronti
dell’amministrazione finanziaria. Si pensi, a titolo esemplificativo, all’ipotesi in cui
l’acquisto del soggetto alienante sia stato a suo tempo accertato con sentenza
dichiarativa di usucapione, o abbia avuto luogo a seguito di decreto di espropriazione
per pubblica utilità: anche in questi casi deve essere realizzato l’allineamento tra
intestazione catastale e trascrizione dell’acquisto a titolo originario. Ovviamente, è
necessario che la trascrizione, ancorché con efficacia meramente notiziale, sia
obbligatoria: nelle ipotesi in cui si tratti, invece, di trascrizione meramente facoltativa
139
(si pensi, per esemplificare, alla trascrizione della trasformazione di società, o del
mutamento di denominazione o sede sociale, certamente praticabile – arg. ex art. 2 del
d. lgs. 29 marzo 2004, n. 99 – ma sicuramente non obbligatoria per legge), la stessa non
è invece necessaria agli effetti del comma 1-bis dell’art. 29. E’, invece, da ritenersi
obbligatoria – e quindi rientrante nel perimetro applicativo del suddetto comma 1-bis –
la trascrizione degli atti di fusione e scissione (arg. ex art. 10, comma 2, del D. Lgs. 31
ottobre 1990, n. 346, ed art. 4 della tariffa ad esso allegata).
Sempre a proposito di pubblicità notizia, deve ritenersi che la conformità soggettiva
richiesta dal comma 1-bis in commento richieda anche l’esecuzione delle annotazioni a
margine delle trascrizioni, prescritte dagli artt. 2655 e 2668 c.c., essendo le stesse
necessarie al fine di far risultare, dai registri immobiliari, il reale titolare del diritto (a
seguito, ad esempio, di avveramento di condizione sospensiva o risolutiva, di
annullamento o risoluzione del contratto, e simili).
Non sembra invece – alla luce della ratio della normativa in esame – che rilevi la
trascrizione delle convenzioni matrimoniali di scelta del regime di separazione dei
beni. Ai fini fiscali, infatti, l’obbligo tributario grava – in entrambi i regimi – sui
coniugi in quote uguali, e la convenzione non apporta sul punto elementi di novità. Si
aggiunga che la pubblicità dei regimi patrimoniali è realizzata mediante l’“incrocio”
delle risultanze dei registri immobiliari con quelli di stato civile, e dall’esame di questi
ultimi è comunque possibile accertare il regime effettivamente vigente.
Sulla base del medesimo principio deve essere valutata l’ipotesi della trascrizione
dell’acquisto separato del coniuge in comunione legale: in questa ipotesi,
apparentemente, le risultanze dei registri immobiliari non corrispondono
all’intestazione catastale, per ipotesi correttamente eseguita a favore di entrambi i
coniugi. In dottrina si concorda, tuttavia, nel ritenere che in questa ipotesi sia comunque
rispettata la regola di continuità delle trascrizioni, tenuto conto della pubblicità negativa
del regime di comunione legale 140. La fattispecie, come descritta, è quindi regolare, e
“incertezza” sull’oggetto della successione), e dell’impostazione su base personale, e non reale, dei
registri immobiliari italiani.
138
GABRIELLI, Limiti di ammissibilità di una dispensa del notaio dal dovere di provvedere alla
pubblicità immobiliare, p. 572 ss.
139
Sulle fattispecie di trascrizione facoltativa, cfr. PETRELLI, L’evoluzione del principio di
tassatività nella trascrizione immobiliare, Napoli, 2009, p. 423 ss.; BARALIS, La pubblicità
immobiliare fra eccezionalità e specialità, Padova, 2010, p. 67 ss.
140
Cfr. per tutti MONTECCHIARI, La trascrizione dell’acquisto separato del coniuge in comunione
e principio di continuita’ delle trascrizioni, in Riv. not., 1992, p. 1091.
50
non necessita di alcun intervento di regolarizzazione ai fini del comma 1-bis dell’art.
29.
Nulla quaestio, infine, riguardo alle vicende dei diritti reali delle quali la legge non
preveda, o non consenta, la trascrizione: si pensi, in particolare, alla riunione
dell’usufrutto per consolidazione in capo al nudo proprietario, a seguito di morte
dell’usufruttuario 141. In questi casi, vi è certamente l’obbligo di eseguire la relativa
voltura catastale, adempiuto il quale il dettato del secondo periodo del comma 1-bis
deve intendersi rispettato, non essendo prevista la relativa trazcrizione.
4.4. Gli obblighi del notaio. Attività preliminari ed attività successive alla stipula.
L’attività di “individuazione” e “verifica” – che la legge impone “prima dell’atto” –
consiste evidentemente nell’esecuzione delle visure ipotecarie e catastali, finalizzate a
riscontrare la conformità o meno delle risultanze dei registri immobiliari con quelle
catastali, per ciò che riguarda l’intestazione in capo all’attuale titolare. Giusta quanto
sopra chiarito, il notaio deve verificare l’attuale intestazione catastale, e confrontarla
con le risultanze delle trascrizioni nel ventennio. L’esito positivo di tale verifica –
continuità delle trascrizioni ex art. 2650 c.c., assenza di trascrizioni prioritarie
prevalenti, e intestazione catastale in capo all’attuale alienante – rappresenta la
“conformità” che è richiesta dal secondo periodo del comma 1-bis.
Sembra evidente la natura imperativa della prescrizione in esame, che detta un
obbligo di comportamento in capo al notaio nella sua veste di pubblico ufficiale, ed ai
fini del perseguimento di un interesse pubblico, di natura prevalentemente tributaria.
Ciò determina una conseguenza di notevole rilievo. Fino ad oggi dottrina e
giurisprudenza hanno ritenuto che l’obbligo di esecuzione delle visure ipotecarie e
catastali fosse funzionale al soddisfacimento dell’interesse, meramente privato, delle
parti dell’atto, e derivasse quindi dal contratto d’opera professionale tra notaio e clienti
(a seconda delle impostazioni, dall’obbligo di diligenza, o dalla prassi negoziale
integrativa del contratto stesso); ne veniva, conseguentemente, ammessa – sia pure con
limitazioni – la derogabilità, mediante espressa e concorde dispensa proveniente da
tutte le parti dell’atto. Oggi, al contrario, quest’obbligo trova il proprio fondamento
nell’interesse pubblico, e si basa sulla pubblica funzione notarile; esso è sancìto non più
soltanto nell’interesse dei privati, ma – in via prioritaria – nell’interesse pubblico.
Interesse non dissimile da quello che sta alla base dell’obbligo di trascrizione ex art.
2671 c.c. Ne consegue che viene meno qualunque disponibilità di tale obbligo ad opera
delle parti, le quali non potranno più dispensare il notaio dall’eseguire le visure.
Ciò non significa che non vi siano dei casi in cui ragioni di urgenza impongano la
stipula immediata dell’atto senza che vi sia il tempo materiale di eseguire un’indagine
approfondita, qual è quella come sopra richiesta. L’art. 27 della legge notarile impone
al notaio di ricevere o autenticare gli atti di cui sia richiesto, salvo che per gli atti vietati
dalla legge a norma dell’art. 28: e quest’ultima disposizione, come si dirà, non è
applicabile al caso di specie. La soluzione del dilemma – da un lato l’obbligo di
accertamento imposto dall’art. 29, comma 1-bis, dall’altro l’obbligo di ricevere o
autenticare l’atto, la cui urgenza può essere incompatibile con tale accertamento –
sembra doversi rinvenire nell’applicazione, anche analogica per quanto occorra,
dell’art. 4, comma 2, del d.p.r. n. 650/1972, che consente di ricevere l’atto in assenza di
documentazione catastale aggiornata in casi di “eccezionale e dichiarata urgenza”. Ciò
significa che il notaio dovrà menzionare nell’atto nei suddetti casi – che comunque
devono essere eccezionali – le ragioni che hanno determinato l’urgenza e
l’incompatibilità di essa con gli accertamenti richiestigli. In ogni caso, non vi è in
141
FERRI–ZANELLI, Della trascrizione, cit., p. 294.
51
questi casi alcuna necessità, né possibilità, di dispensa ad opera delle parti: l’obbligo
notarile di visura viene meno ex lege ed automaticamente, nei casi eccezionali in cui sia
urgente la stipula dell’atto.
La verifica preliminare sopra descritta può, d’altra parte, condurre al riscontro di
una “difformità”: l’intestazione catastale può non essere aggiornata, oppure uno o più
atti – perfezionati nel ventennio precedente – possono non essere trascritti nei registri
immobiliari. La legge – nel richiedere la verifica della “conformità” tra registri
immobiliari e intestazione catastale – esige evidentemente che questa verifica, lungi dal
rimanere fine a se stessa, sfoci in una attività diretta ad “allineare” le risultanze dei due
archivi.
E’ anche vero, peraltro, che la norma non pone espressamente un obbligo di
“preallineamento”, e ciò, evidentemente, perché vi possono essere delle situazioni che
lo rendono impossibile: si pensi, ad esempio, all’accettazione tacita di eredità che abbia
luogo per effetto del medesimo atto di alienazione, e che può essere quindi trascritta
solo dopo la stipula dell’atto stesso. Per tale ragione, la legge richiede espressamente
l’anteriorità, rispetto all’atto, della sola attività di “individuazione” e “verifica”.
Considerato, però, che come già detto la suddetta attività di “previa individuazione e
verifica” non è e non può essere fine a se stessa, e tenuto conto della ratio della norma,
e del rapporto con la disciplina previgente, deve ritenersi necessario realizzare – al più
tardi al momento della relativa trascrizione – il risultato dell’allineamento. Occorre, a
questo punto, esaminare distintamente l’allineamento catastale, e la regolarizzazione
delle trascrizioni nei registri immobiliari.
Per quanto riguarda l’intestazione catastale, deve ritenersi richiesta dalla disciplina
in esame non soltanto la voltura catastale a favore dell’acquirente – risultato, questo,
che già la normativa previgente consentiva di ottenere, sia pure con l’eventuale
annotazione dei “passaggi intermedi da verificare” – ma soprattutto la regolarizzazione
della situazione catastale dell’alienante, rafforzando in tal modo le possibilità di
accertamento ai fini fiscali con riferimento al periodo pregresso, e quindi di recupero
delle imposte non versate da parte del medesimo alienante, in quanto non sia
intervenuta prescrizione o decadenza dell’azione della finanza. In caso di intestazione
catastale non corretta, deve ritenersi quindi che il notaio debba diligentemente – entro
la data di trascrizione dello stesso – sollecitare l’alienante a richiedere la voltura dei
passaggi intermedi mancanti, ed eventualmente acquisire dallo stesso l’incarico di
richiederla egli stesso (anche mediante procedura telematica di “allineamento”, che il
notaio può certamente eseguire, documentando la richiesta mediante indicazione dei
titoli legali, e dei relativi estremi). Dovrà poi compilare – in sede di redazione della
nota di trascrizione con connessa richiesta di voltura automatica – l’apposito foglio
informativo, con modalità tali da conseguire il “risultato” dell’allineamento e della
continuità storica catastale.
Per quanto concerne le risultanze dei registri immobiliari – in mancanza di
trascrizione a favore dell’alienante, o di una precedente trascrizione nel ventennio che
pregiudichi la continuità ex art. 2650 c.c. – dovrà a tali trascrizioni provvedersi entro il
momento in cui viene eseguita la trascrizione dell’atto da stipularsi. Può verificarsi sia
l’ipotesi in cui il titolo da trascriversi sia anteriormente formato, sia quello in cui esso
debba essere ancora perfezionato (si pensi all’accettazione tacita di eredità, che si
perfeziona con il medesimo atto di alienazione): deve ritenersi che lo scopo della norma
sia egualmente soddisfatto, in entrambi i casi, anche se la trascrizione o le trascrizioni
mancanti vengono eseguite entro il momento in cui viene eseguita la trascrizione
dell’atto da stipularsi.
La possibilità di realizzare l’allineamento – sulla base della “previa” verifica –
anche successivamente all’atto, purché entro il momento della relativa trascrizione,
52
consente di ritenere pienamente rispettato il dettato normativo nei casi di “apparente
disallineamento”, conseguente ad esempio a stipula contestuale di più vendite a catena:
ipotesi nelle quali la normale esecuzione delle formalità, dipendenti dai singoli atti,
condurrà senz’altro all’allineamento richiesto dalla legge.
Per finire, occorre ricordare che la legge non richiede – riguardo all’adempimento
degli obblighi notarili in oggetto – alcuna menzione nell’atto pubblico, e tantomeno
nell’autentica della scrittura privata. Non è quindi indispensabile che venga dato atto
della concordanza, ovvero della discordanza dell’intestazione catastale rispetto alle
risultanze dei registri immobiliari; una tale menzione può, tuttavia, rivelarsi opportuna
sia al fine di verificare l’adempimento degli obblighi posti a carico del notaio, sia
nell’ottica di una trasparente informativa alle parti riguardo alla situazione catastale ed
ipotecaria di ciò che costituisce oggetto dell’atto.
4.5. La mancanza di “atti legali” di provenienza.
Le fattispecie finora analizzate sono quelle “normali”, nelle quali – pur in presenza
di una discordanza dell’intestazione catastale rispetto ai dati emergenti dai registri
immobiliari – sussiste, tuttavia, la titolarità del diritto in capo all’alienante, in base ad
un titolo legale, valido ed efficace. Il legislatore, nel secondo periodo del comma 1-bis
dell’art. 29, si è prefigurato proprio detta situazione “normale”: esiste un titolo legale,
ma lo stesso non è trascritto o non è volturato, o non lo è stato correttamente; occorre,
quindi, regolarizzare le formalità mancanti o erronee.
Ciò che il legislatore ha voluto imporre è stato, quindi, unicamente la
regolarizzazione di obblighi inadempiuti (di trascrizione e/o di voltura), non certo la
formalizzazione di ulteriori atti, oltre a quelli esistenti. Il primo tipo di attività, oltre a
costituire adempimento – sia pur tardivo – di obblighi non assolti, non incide d’altra
parte, se non in misura fisiologica e tollerabile, sulla contrattazione immobiliare, che
verrebbe invece fortemente ostacolata se si imponesse a carico dei privati un obbligo,
od onere, di regolarizzazione anche dei titoli di acquisto. Le due ipotesi sono, e devono
rimanere, nettamente distinte: è risalente in dottrina la distinzione tra fattispecie
primaria (atto) e fattispecie secondaria (pubblicità) 142: la disciplina dettata dal comma
1-bis attiene unicamente al secondo aspetto, e non al primo. Essa non è, d’altra parte,
neanche suscettibile di interpretazione estensiva: il sacrificio che verrebbe così imposto
all’autonomia privata non sarebbe proporzionale, rispetto all’obiettivo fiscale che
costituisce ratio della norma in esame, e contrasterebbe con il fondamentale canone di
ragionevolezza della relativa disciplina.
E’, quindi, possibile che un titolo legale manchi, per diverse ragioni. La più
frequente è quella dell’usucapione, la quale, notoriamente, opera di diritto, a
prescindere dall’eventuale declaratoria con sentenza, che ha comunque natura di
sentenza dichiarativa. D’altra parte, l’usucapione dà luogo ad un acquisto a titolo
originario, che prevale pacificamente su eventuali concorrenti acquisti a titolo
derivativo dall’originario titolare del diritto, e ciò a prescindere dalla trascrizione
(essendo quella prescritta dall’art. 2651 una trascrizione con effetto di mera pubblicità
notizia). La Relazione al codice civile ha chiarito in modo adeguato come non si sia
voluto imporre all’usucapiente l’onere del previo accertamento giudiziale del proprio
diritto, in considerazione del ruolo sistemico che l’usucapione svolge nel vigente
ordinamento italiano, consentendo di rimediare ai problemi a cui dà luogo
l’imperfezione del sistema pubblicitario 143. Tutto ciò, in definitiva, depone per
142
PUGLIATTI, La trascrizione, I – La pubblicità in generale, cit., p. 419 ss.
Cfr. sul punto, la Relazione al Re, n. 1074, che – nel soffermarsi sull’irrilevanza della trascrizione
della sentenza di usucapione ai fini del principio di continuità ex art. 2650 c.c. – afferma: “Se infatti si
fosse voluto applicare anche all’acquisto per usucapione ... la sanzione dell’inefficacia delle trascrizioni o
143
53
l’inapplicabilità del secondo periodo del comma 1-bis ai casi in cui la conformità ivi
contemplata non sussista per il fatto che la provenienza è rappresentata da una
usucapione non dichiarata con sentenza (fattispecie, questa, che è comunque da
ritenersi eccezionale e marginale, e che è dovere del notaio sconsigliare al di fuori di
casi del tutto particolari). In questi casi è necessario che dall’atto risulti la mancanza
del “titolo legale”, la quale giustifica l’inapplicabilità della disciplina in commento.
Nell’ipotesi, invece, in cui la sentenza di accertamento dell’usucapione sussista, la
relativa trascrizione – che costituisce obbligo per il cancelliere, a norma dell’art. 2651
c.c. – deve ritenersi necessaria agli effetti del secondo periodo del comma 1-bis in
oggetto.
Altra ipotesi rilevante, sotto il profilo di cui trattasi, è quella della vendita di cosa
altrui. Non si vuole qui affrontare la problematica della trascrivibilità, o meno, della
vendita dicosa altrui: è sufficiente partire dal presupposto che detta vendita è
trascrivibile a partire dal momento in cui l’alienante ha acquistato la titolarità del
diritto. Il problema deve essere risolto sulla base dei princìpi sopra enunciati: mancando
non solamente la trascrizione e la voltura catastale, ma addirittura il titolo di
provenienza, idoneo ad eseguire tali formalità, la vendita di cosa altrui può essere
ricevuta dal notaio senza che possa ritenersi applicabile il comma 1-bis dell’art. 29.
Salva, ovviamente, la necessità di far risultare dall’atto l’assenza di un titolo legale di
provenienza, come detto a proposito della fattispecie dell’usucapione non dichiarata.
Un altro caso, che potrebbe dar luogo a discussioni, è quello dell’acquisto ex lege
dell’eredità, per effetto del possesso ultratrimestrale da parte dell’erede in assenza di
inventario (art. 485 c.c.): anche in questo caso, infatti, manca un “titolo legale”, sulla
base del quale operare la trascrizione dell’acquisto a causa di morte. Va evidenziata
con decisione la necessità di procedere, anche nel suddetto caso, alla trascrizione
dell’acquisto mortis causa: a parità di effetti giuridici, non può infatti ritenersi che
l’acquisto sia trascrivibile solo se deriva da un titolo piuttosto che da un altro. La
dottrina ha chiarito, d’altra parte, come anche in questa ipotesi la trascrizione possa e
debba aver luogo a norma dell’art. 2648 c.c., sulla base di una sentenza di
accertamento, o di un atto negoziale di accertamento che dia atto del verificarsi della
fattispecie acquisitiva 144. Per quanto qui interessa, va peraltro segnalata la possibilità di
eseguire la trascrizione dell’accettazione tacita di eredità, anche se si è in precedenza
verificato l’effetto acquisitivo mortis causa in dipendenza della fattispecie legale ex art.
485: anche qui la dottrina che ha affrontato il problema concorda sul fatto che titolo
della trascrizione possa essere anche un atto successivo rispetto a quello che ha
prodotto l’effetto (tipica l’ipotesi, frequente nella prassi, della ripetizione in forma
solenne del negozio giuridico ai fini della trascrizione, che trova la sua consacrazione
iscrizioni prese contro l’usucapiente sino a che non fosse stata trascritta la sentenza che la dichiara, si
sarebbe dato un colpo assai grave all’istituto dell’usucapione che invece nel nostro ordinamento ha
un’importanza fondamentale. Infatti colui che ha acquistato per usucapione sarebbe costretto, per avere la
libera disponibilità di fatto del suo diritto, di provocare l’accertamento giurisdizionale dell’acquisto nei
confronti di colui che per effetto dell’usucapione ha perduto il suo diritto. Ora addossare all’acquirente
l’onere di un giudizio di accertamento anche quando il suo diritto non subisce alcuna contestazione, e per
di più un giudizio nei confronti di persone che possono essere ignote e a distanza di molti anni dal giorno
in cui l’usucapiente ha cominciato a possedere in violazione del diritto del proprietario, non sarebbe stato
certo molto opportuno, anche a prescindere dal fatto che l’usucapione è un modo di acquisto che ha in sé,
nel prolungato esercizio del diritto, la sua virtù e la sua ragione di essere, e che quindi non può essere
condizionato, neppure sotto il profilo della disponibilità di fatto della cosa, a una pronuncia giudiziale,
che ne accerti il compimento”.
144
Cfr. per tutti GAZZONI, La trascrizione immobiliare, II, Milano, 1993, p. 114; PETRELLI, Note
sulla trascrizione degli acquisti “mortis causa”, in Riv. not., 1993, p. 304.
54
normativa nell’art. 1543, comma 2, c.c.) 145. Parimenti, non costituisce ostacolo alla
trascrizione dell’accettazione tacita di eredità il decorso del decennio dall’apertura
della successione, in considerazione della non rilevabilità d’ufficio e rinunciabilità della
prescrizione, e della possibile sussistenza di cause di interruzione o sospensione della
stessa 146. Anche nei suddetti casi, quindi, in presenza di acquisto a causa di morte è
necessario “allineare” le risultanze dei registri immobiliari a quelle catastali.
In definitiva, in alcuni casi – come quello da ultimo descritto – solo apparentemente
manca un “titolo legale”, idoneo alle formalità di trascrizione: la realizzazione del titolo
di accettazione tacita consente la trascrizione e quindi l’allineamento richiesto dalla
legge. In altri casi un tale titolo effettivamente manca, e deve allora ritenersi che l’atto
possa essere stipulato – facendo opportunamente menzione di tale circostanza – senza
che a ciò sia di ostacolo il secondo periodo del comma 1-bis dell’art. 29.
4.6. Conseguenze della violazione degli obblighi posti a carico del notaio.
La prima bozza del d.l. n. 78/2010, quale pubblicata dagli organi di stampa 147,
stabiliva – in quello che era l’originario comma 1-ter aggiunto all’art. 29 della legge n.
52/1985 – che “il notaio può stipulare gli atti di cui al comma 1 solo previa
individuazione degli intestatari catastali e verifica della loro conformità con le
risultanze dei registri immobiliari”. Se la norma fosse rimasta di questo tenore, non
sarebbe stato dubbio che il ricevimento o l’autenticazione di un atto, in assenza della
preventiva verifica richiesta, avrebbe integrato violazione dell’art. 28, n. 1, l. not.,
trattandosi di atto espressamente vietato dalla legge.
Il testo di legge è tuttavia cambiato rispetto a quella originaria bozza, e oggi, nel suo
testo definitivo, si limita a disporre che “prima della stipula dei predetti atti il notaio
individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei
registri immobiliari”. Formulazione, questa, che appare significativa soprattutto nel
raffronto con la precedente: non viene più vietata la stipula dell’atto in assenza della
previa verifica, ma si pone unicamente un obbligo di comportamento a carico del
notaio. Nessuna conseguenza, invece, sulla validità dell’atto, che certamente non è
inficiata dalla mera violazione di un obbligo di verifica da parte del notaio, non potendo
ovviamente ascriversi la disposizione alla categoria delle norme imperative, la cui
violazione determina nullità virtuale ex art. 1418, comma 1, c.c.
Esclusa, conseguentemente, la sanzione disciplinare per violazione dell’art. 28 l.
not., non appare tuttavia dubbio che sia configurabile ad altro titolo – in caso di
inadempimento –
responsabilità disciplinare del notaio. La fonte di questa
responsabilità è da individuarsi innanzitutto nell’art. 135 l. not., che commina sanzioni
di diversa natura ed intensità (dall’avvertimento alla destituzione), precisando al
comma 2 che “tali sanzioni si applicano indipendentemente da quelle comminate da
altre leggi ed anche qualora l’infrazione non comporta la nullità dell’atto o il fatto non
costituisce reato”. In particolare, le sanzioni dell’avvertimento e della censura (previste
dall’art. 136) sanzionano il notaio per la violazione dei doveri allo stesso imposti, senza
effettuare elencazioni tassative, quali sono quelle previste, per i casi più gravi, dagli
artt. 137 ss. l. not. Né può sostenersi che tale relativa “genericità” violi il principio di
tipicità delle sanzioni amministrative, visto che gli artt. 135 e 136 rappresentano basi
normative certamente sufficienti a giustificare l’irrogazione delle suddette sanzioni,
quando sussista una infrazione specifica ad un obbligo sancìto da una precisa
disposizione di legge, come avviene nel caso in esame. Non vi è neanche dubbio che,
145
PETRELLI, Note sulla trascrizione degli acquisti «mortis causa”, loc. cit. (ed ivi riferimenti di
dottrina).
146
PETRELLI, Note sulla trascrizione degli acquisti «mortis causa”, cit.
147
Cfr. Il Sole 24 Ore del 29 maggio 2010, p. 28.
55
nei casi più gravi, scatti poi la sanzione disciplinare prevista dall’art. 147 l. not., non
essendovi dubbio che in certe situazioni anche la violazione degli obblighi qui in esame
possa integrare violazione dei princìpi di deontologia professionale, e compromettere il
decoro ed il prestigio della categoria.
Non è configurabile, invece, alcuna responsabilità penale del notaio, se non nel
caso in cui lo stesso dichiari falsamente nell’atto pubblico di aver eseguito una verifica
che in realtà non ha effettuato, o di avere riscontrato una conformità nei fatti
insussistente.
Non vi è, infine, dubbio che sia configurabile responsabilità civile del notaio, per
gli eventuali danni arrecati dalla violazione dell’obbligo in esame.
Gaetano Petrelli
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