Città degli Uffizi - Benozzo Gozzoli e Cosimo Rosselli nelle terre di Castelfiorentino Le opere BERNARDO DI STEFANO ROSSELLI (1499) “paliotto di Santa Caterina” La tavola era in origine un paliotto, oggetto con il quale nel XV secolo si copriva la fronte di un altare. Poteva essere in stoffa o legno e in tal caso era solitamente decorato con motivi ornamentali tratti dai tessuti dell'epoca, così come questo che intende imitare i più pregiati paliotti tessili preziosamente ricamati dei quali sfortunatamente sono giunti fino a noi solo pochi esempi. Da notare che il fregio nella parte alta ricorda la passamaneria con borchie e frange con la quale si fissavano all'altare gli antependi in stoffa. Al centro, entro ad un clipeo, campeggia la figura di santa Caterina d'Alessandria rappresentata con il libro, simbolo della sua sapienza, e gli attributi del martirio, la palma e la ruota, ripetuta qui due volte per conferire equilibrio alla composizione. Le armi sono riferibili a Bernardo Cambi e alla moglie Caterina Capponi, alla quale va riconodotta verosimilmente la commissione della tavola, visto il ruolo in primo piano riservato in essa dalla sua santa patrona ed omonima protrettrice. La data di morte di Caterina, scomparsa nel 1499 pone un sicuro termine ante quem per la realizzazione del paliotto, posto in relazione con la bottega del Gozzoli. L'autore è Bernardo di Stefano Rosselli, pittore fiorentino cugino del più noto Cosimo Rosselli, pure attivo in Valdelsa e titolare di una bottega ubicata fra via Porta Rossa e P.zza S. Trinita a Firenze. Allievo del Neri di Bicci nel 1460, risulta essere assai attivo nel contato per una committenza tuttavia importante e prestigiosa. Di Bernardo si conoscono numerosi altri paliotti dipinti, alcuni destinati a importanti altari della chiesa di Santo Spirito a Firenze, che mostrano gli stessi caratteri sottolineati in questo. L'incisivo segno di contorno che caratterizza il pittore gli deriva certo da una fomazione artigianale e della pratica del graffito su muro cui era dedito. MAESTRO DI MENPHIS (?) Compianto sul Cristo morto 1497? Il soggetto del compianto sul Cristo morto è rappresentato secondo una particolare iconografia “Vesperbild” di origine oltralpina, ma diffusa anche nella pittura del '400 fiorentino.La Madonna, ai piedi della croce sorregge il corpo del figlio esanime, a destra, rispetto all'osservatore è raffigurata sant'Orsola, riconoscibile dal vessillo crociato e con un inconsueto pugnale (attributo invece di santa Lucia) conficcato nel collo, che assiste Maria in questo drammatico momento; Santa Caterina, identificata dalla ruota dentata simbolo del suo martirio. A sinistra san Francesco e sant'Antonio da Padova. La tavola è integra della sua predella dove sono raffigurati, entro piccoli tondi , l'arcangelo Gabriele, san Girolamo e la Vergine annunciata, accanto a Gabriele e alla Vergine ci sono due tondi di dimensioni inferiori, nei quali fino ad oggi gli studiosi avevano riconosciuto le “discipline”, uno strumento di flagellazione itilizzato dai confratelli delle cosiddette Compagnie dei Disciplinati.Un più attento studio ci ha permesso invece di identificare lo stemma di una importante famiglia molto legata a Castelfiorentino. NERI DI BICCI (1419 - 1491) “Annunciazione” 1470 Sotto un loggiato a due archi di tipo brunelleschiano è rappresentata l'Annunciazione con l'angelo messaggero inginocchiato davanti alla Vergine con il capo abbassato in segno di timorosa riverenza, mentre a sinistra dal cielo il Padre Eterno invia la colomba con i raggi dello SS. Il portico, dal soffitto cassettonato, è arredato da un ornato leggio e da una fantasiosa cattedra marmorea. A sinistra si intravede dalla porta di accessoalla casa parte dell'interno, con la camera e il letto, e dall'arco di fondo del loggiato si distingue invece una prospettiva a cannocchiale con un cortile alberato. L'opera decorava in origine l'altare della Compagnia della Santissima Annunziara, contigua alla chiesa di Santa Maria Assunta. La tavola, che risulta collocata all'altare della compagnia ancora nel 1911, presenta gli inconfondibili caratteri stilistici propri del Neri di Bicci, che con la sua ben organizzata bottega sapeva soddisfare, grazie ai suoi schemi collaudati e arricchiti da decorazioni festose, i gusti della clientela di provincia. Egli era particolarmente ricercato dalle confraternite laicalidel contado, per le quali esegu svariati dipinti destinati ad adornare gli altari delle loro cappelle. L'opera dovrebbe collocarsi intorno alla metà del settimo decennio, quando, superatigli stilemi ancora tardogotici ereditati dal padre Bicci, il nostro artista cerca di aggiornare la sua maniera in direzione angelicana e lippesca.Anche il velo che cade sulla testa della Vergine presenta pieghe schematiche e semplificate, non lontane da quelle presenti nel più arcaico dipinto per Mosciano. L'Annunciazione è uno dei soggetti più ricorrenti nella produzione di neri, che evidentemente sapeva offrire di questi tema soluzioni compositive semplici ed ornate, particolarmente apprezzate dalla committenza. Tratti − − − distintivi: tratto acerbo caratteristica fisionomia dei suoi personaggi l'incerto e a volte maldestro attaccamento alla tradizione con qualche interessamento alle innovazioni fiorentine della seconda metà del Quattrocento. Analisi stilistica dell'pera: − − superamento degli stilemi tardo gotici paterni avvicinamento alle novità apportae da Beato, Filippo Lippo e Benozzo Gozzoli Nel 1470 Messer Grazia, (committente anche dei due Tabernacoli del Museo) in occasione dei lavori di ristrutturazione della canonica, commissionò il dipinto a Neri. La Vergine Maria, in suntuosi abiti, assorta nei suoi pensieri e l'elegantissimo Arcangelo sono inseriti in un raffinato loggiato a due archi, di tipo brunelleschiano, decorato da un prezioso soffitto a cassettoni. Il leggio di fianco alla Vergine presenta motivi ornamentali e stilistici molto vicini alle produzioni marmoree della bottega dei Rossellino. A destra è ritratto un rigoglioso brano di paesaggio, mentra e sinistra si intravede una vegetazione che pare aludere al medievale Hortus conclusus, simbolo della castità della vergine (spesso presente, anche solo con un accenno nelle scene dell'Annunciazione) Le punzonature delle aureole presentano grandi fori dorati e la decorazione sui polsini dell'abito della Vergine e dell'angelo è caratteristica peculiare in molti lavori del Neri. COSIMO ROSSELLI “Madonna in trono e Santi” 1471 Santa Maria a Lungotuono (Castelfiorentino) Iscrizione “Neri di Domenico di Neri fece fare questa tavola con i denari delle elemosine 27 ottobre 1471” Non sappiamo con certezza chi sia Neri di Domenico, probabilmente il priore della chiesa d'origine dell'opera (San Niccolò a Collepatti) oppure il camarlingo di una confraternita grazie alle offerte degli adepti. Alla destra della Madonna (posizione privilegiata) è presenta Santa Verdiana (pani e serpenti) Di fronte a lei Sant'Antonio abate, con i caratteristico mailae ai suoi piedi (il santo traeva ungenti con virtù traumaturgiche dal suo grasso per il fuoco di Sant'Antonio) (ricordarsi che S.Verdiana si fece rinchiudere nella cella proprio a seguito delle prediche di Sant'Antonio.) Al lato di Verdiana è sempre stata identificata Santa Chiara, ma una visione ravvicinata dell'aureola durante il restauro ha permesso di decifrare, anche se con qualche incertezza, Santa Monica (madre di agostino, assai popolare nel '400) L'altro santo, Francesco, attribuisce al dipinto una connotazione francescana, che non si spiega con con la possibile originaria provenienza dal monastero di Santa Maria della Marca di Castelfioernitno, ma con il fatto che l'ufficiatura della chiesa di Collepatti era stata affidata ai frati del Convento di San Francesco a Castelfiorentino. MAESTRO DEI CASSONI CAMPANA “Trinità e Santi”, Petrazzi La tavola proviene dalla chiesa di Santa Lucia a Gello dove rimase fino alla soppressione della chiesa (1785), quando passò nell'attuale sede. La primitiva collocazione giustifica la presenza nel dipinto di Santa Lucia quale titolare della chiesa, mentre l'immagine del San Rocco, che per aver contratto e scamapato la peste divenne uno dei santi protettori dell'epidemia, va forse riconodotto proprio a una delle pestilenze che colpirono la zona, peraltro molto frequenti nel contado all'inizio del XVI secolo: l'opera potrebbe essere quindi un ex-voto di qualche sopravvissuto alla malattia. L'autore del dipinto è un pittore del quale non si conosce ancora l'identità anagrafica, noto come il Maestro dei Cassoni Campana, da una delle sue opere più rappresentative, le tavole con le storie di Teseo e Arianna, oggi conservate nel Museo del Petit Palais di Avignone, ma già nella Collezione Campana. L'artista rivela una particolare sensibilità nella resa dei paesaggi di sfondo, talora riconoducibili a vere e proprie vedute dal vero :la bella marina sullo sfondo della tavola di Petrazzi non sembra tuttavia riconducibile in ad alcun luogo preciso della zona ed è forse piuttosto una veduta di fantasia. ALESSO DI BENOZZO (1500 ca) “Visitazione di santa Maria a santa Elisabetta tra i Santi Jacopo e Stefano” Museo di Santa Verdiana Il dipinto raffigurante la Visitazione di maria a Sant'Elisabetta fra San Jacopo e Santo Stefano, ora nel Museo di Santa Verdiana si trovava nella chiesa di San Jacopo a Voltiggiano. Questa località situata su un colle nel comune di Montespertoli, alla confluenza fra il territorio di Castelfiorentino con quello di Certaldo, vanta origini romane ed era sede di un antico castello ora non più esistente. E' possibilie risalire ai committenti del dipinto grazie all'identificazione dei due stemmi raffigurati sulla tavola ai lati dell'arco, appesi a dei ganci, quello di sinistra appartiene ai Conti Alberti di Certaldo del ramo di Maghinardo e quello di destra alla famiglia fiorentina dei mattei. Jacopo di Scipione dei Conti Alberti di Certaldo sposò infatti nel 1475 Elisabetta di Antonio di Pietro Mattei e agli inizi del Cinquecento i due consorti commissionarono il dipinto per la chiesa di Voltiggiano, destinandolo probabilmente alll'altare maggiore di cui erano patroni. L'identità dei committenti è suffragataa anche dalla scelta dei personaggi raffigurati nel dipinto. La presenza di San Jacopo ha infatti una doppia valenza, essendo il santo titolare della chiesa e anche del committente,lo stesso si può dirsi di Elisabetta, seanta omonima della consorte. I conti Alberti nel Quattrocento avevano assunto cittadinanza fiorentina e non godevano più di quella floridezza economica che aveva caratterizzato l'epoca medievale, tantochè nel 1472 avevano venduto anche il loro palazzo di Certaldo, affinchè servisse di residenza al Vicario. Ciononostante mantenevano forti legami con la Valdelsa, in particolare con Gabbiavoli, frazione assai prossima a Voltiggiano, dove si erano ritirati a vivere in qualche dimora di campagna. In questo contesto storico-territoriale è ben spiegabile la scelta da parte dei committenti del Maestro Esiguo, detto anche Alunno di Benozzo, quale autore del dipinto in questione, dato che possiamo identificare quest'ultimo com Alesso, il figlio più giovane di Benozzo, già attivo a fianco del padre insieme al fratello Francesco nel Tabernacolo della Visitazione di Castelfiorentino (1491). Il suo linguaggio allora acerbo, mostra invece nel dipinto di Voltiggiano , risalente agli inizi del Cinquecento, tutte le caratteristiche della sua maniera più matura, nella precisa struttura disegnativa e decorativa delle architetture, in cui si impostano figure allungate, dall'aria sofferta e dai panneggi meccanicamente insistiti. La tavola della Visitazione, della quale esiste anche un disegno preparatorio agli Uffizi, risulta costruita secondo schemi di tradizione quattrocentesca, che gli derivano dalla familiarità con le opere e i cartoni paterni, dai quali anche a distanza di tempo continuò a trarre spunti e soluzioni compositive. Su questa cultura innestò conoscenze acquisite frequentando l'ambiente fiorentino dove si trovò ad operare nel 1503. COSIMO ROSSELLI Adorazione dei Magi (1475 ca ) Uffizi Per questa tavola è stata ipotizzata da Padoa Rizzo una provenienza dalla compagnia dei Magi, che aveva sede in San Marco, per la quale è nota la presenza e il patronato mediceo. L'elemento mediceo sarebbe peraltro testimoniato dall “presenza sulla barda dorata del cavallo a sinistra, in primo piano, dell'impresa con il diamante e due piume, riferibile a Cosimo il Vecchio e a Piero”.(L’anello con la punta di diamante – E’ forse l’impresa più ricorrente nelle opere quattrocentesche di committenza medicea e accompagna il succedersi di almeno tre generazioni, segnate da Cosimo, Piero e Lorenzo. Il diamante (da deo amante, cioè “grazie all’amore di Dio”) sulla sommità presenta il caratteristico taglio piramidale. L’anello diamantato viene rappresentato da solo o in combinazioni di tre o quattro, intrecciati. Simbolo di eternità, fedeltà e unione, l’anello è spesso accompagnato dal cartiglio con il motto ‘semper’, che allude alla perennità della stirpe. Le piume di struzzo, di falco o di pavone – La divisa viene adottata a partire da Cosimo il Vecchio. Sono presenti in alcune sale terrene di Palazzo Medici, negli affreschi di Benozzo Gozzoli nella Cappella dei Magi e nei peducci della Badia Fiesolana.) Il formato della tavola non corrisponde a quello di una pala d'altare ma corrispondono invece a quelle dell'Annunciazione di Leonardo, per la quale è stata ipotizzata la sistemazione in origine di un fornimento (addobbo ) ligneo da stanza, ipotesi valutabile anche per questa tavola, magari in uno degli ambienti confraternali della suddetta Compagnia dei Magi. L'opera si ispira al Corteo dei Magi di Benozzo Gozzoli per la Cappella di Palazzo Medici Riccardi, soprattutto per la serie di ritratti che vi troviamo. Mentre rimane non identificato il re in primo piano che guarda insistentemente verso di noi, invece possiamo forse riconoscere Cosimo il vecchio nella testa di profilo in alto, nel gruppo di sinistra, raffigurato con il lucco (sopricapo) in testa, e Sigismondo Pandolfo Malatesta, nel giovane di progfilo in primo piano ritratto da Benozzo nel suo corteo. BEATO ANGELICO “Madonna col Bambino” 1435 ca. Vaticani Giunto alla Pinacoteca Vaticana nel 1877 è unanime da parte della critica l'attribuzione a Beato Angelico. Differenti opinioni invece si sono avute per la datazione dovute alle peculiari proprietà del dipinto: − da un lato esso esalta le doti di minuto e raffinatissimo decoratore dell'Angelico, (doti che fanno di lui il più alto “emulo” della poetica tardo-gotica di Gentile da Fabriano = la maestria del fondo oro operato e graffito a comporre il modulo a roselline, la seta rossa ricamata che ricopre il trono della Vergine); − Dall'altro l'impianto monumentale delle figure che donano alla composizione il respiro di una “sacra conversazione”, che possiamo ricondurre al proto-Rinascimento fiorentino, battezzato in pittura da Masaccio; Questa sintesi sarà la linea dei suoi seguaci ed allievi, in particolare Benozzo. Unica dell'Angelico è la capacità di umanizzare il sentimento divino e all'inverso elevare gli affetti umani, che si addice alla formula, solo apparentemente in antitesi, di umanesimo Cristiano. • La riduzione proporzionale dei due santi inginocchiati riflette un voluto “arcaismo”. • La rosa bianca retta da Maria è attributo della Sapienza virginale. • Il gruppo della Vergine-Bambino presenta una variante iconografica della tipologia “giocosa”, a metà tra la Hodigitria (Maria che indica Gesù) e la Eleousa (Maria e Gesù guancia a guancia) La presenza di San Domenico (abito bianco e nero, giglio e libro) con Caterina d'Alessandria (ruota dentata) suggerirebbe una pertinenza monastica, probabilmente femminile, visto l'uso di dipinti devozionali di piccole dimensioni nelle celle, specie nei conventi domenicani. BENOZZO GOZZOLI “Testa di Cristo coronata di spine” Assisi, Museo del Tesoro della basilica Questa preziosa icona pergamenacea, incollata su supporto ligneo, sembra condensare insieme diverse caratteristiche: − una minuziosa miniatura − un disegno piuttosto dettagliato − un piccolo dipinto appena abbozzato La solenne immagine del volto di Cristo è posta frontalmente contro uno sfondo blu scuro realizzato a tempera, mentre il resto della composizione è tracciato con sottili linee d'inchistro bruno. Morbide e lunghe sono le ciocche dei capelli colore biondo e I ricci appena accennati della barba delineano I contorni di un viso triste e sofferente. Gli occhi sono enfatizzati da una tinta rossa che in un crescendo di dolore e di tensione emotiva mostra il volto estatico e corrucciato segnato da evidenti rivoli di sangue che solcano parte del viso e fuoriescono copiosamente dalle profonde ferite inferte dalla greve corona di spine. Sullo scollo della tunica è presente la scritta apocalittica : rex reghum et dominus dominantium. L'opera, conservata nel Sacro Convento di Assisi, testimonia quanto il prototipo nordico ideato da Van Eyck sia stato importante per un modello che fu di primaria rilevanza per gli artisti italiani del Quattrocento e in particolar modo per quelli fiorentini che avevano presto assimilato questa novità. COSIMO ROSSELLI “Busto del Redentore” 1480 ca Città di Castello, Pinacoteca comunale La tavola raffigura il Cristo che regge I simboli della passione, I chiodi e la corona di spine, strumenti che hanno lasciato un segno evidente su una mano e sulla fronte. Dietro la testa si staglia un drappo con motivi floreali costituiti da perle, di evidente ascendenza fiamminga. IL soggetto della Testa di Cristo era all'epoca di larga diffusione nella devozione privata, in quanto si era soliti attribuire particolare efficacia nella remissione dei peccati al recitare le preghiere davanti a queste immagini. BENOZZO GOZZOLI “predella con Cristo in pietà, lo sposalizio mistico di santa Caterina, sant'Antonio e san Benedetto” 1460-1463 ca Museo di San Marco La predella, ben conservata e lavorata molto finemente con le tinte vivaci e la finezza della miniatura, è giustamente considerata una delle migliori opere realizzate dal Gozzoli. La predella doveva sottostare ad una pala d'altare, per ora non identificata, collocata in una chiesa fiorentina. Realizzata in un'unica tavola porta al centro il Redentore assistito da San Giovanni evangelista e da Maria Maddalena, a sinistra lo sposalizio mistico di santa Caterina, dove Maria porge la mano della santa al bambino che con grazia le pone al dito l'anello. BENOZZO GOZZOLI “Madonna dell'umiltà fra sant'Andrea e san Prospero e due angeli” predella: Cristo in pietà fra Maria, san Giovanni evangelista, san Girolamo e san Guglielmo San Gimignano Museo Civico. 1466 L'opera è datata e firmata dal Gozzoli. E' indicato sull'iscrizione anche il nome del committente Girolamo de' Niccolai. I numerosi lavori che il pittore eseguì in questo periodo e la destinazione dell'opera ad una chiesa campestre rendono ragione dell'esecuzione non in ogni parte adeguata alla nobiltà d'invenzione che si riscontra in questa tavola, dalla bella impaginazione e dalla luminosità intensa. L'opera, grazie alla sua integrale conservazione, ci mostra un autentico esempio di carpenteria all'antica, con trabeazione, paraste scanalate, capitello corinzi, basamento, predella, luminosamente illustrata secondo il consueto schema adottato da Benozzo. Il tema principale, la Madonna seduta a terra semplicemente, senza cuscino, rende l'opera particolare dal punto di vista iconografico. La “Madonna dell'umiltà” è un tipo iconografico molto diffusa a Firenze tra la fine del '300 e I primi del '400. Sul bordo del piviale di san Prospero, in onore della Vergine, è ricordata l'Annunciazione e, in secondo piano, due angeli riccamente abbigliati le offrono bacini colmi di rose, simbolo della sua purezza. COSIMO ROSSELLI La Vergine assunta tra I santi Benedetto e Giovanni Gualberto e donatore 1490-1500 Vicchio, Museo Beato Angelico La pala in origine adornata l'altare maggiore della Badia di Santa Maria a Vigesimo, presso Barberino del Mugello.Il dipinto presenta la Madonna assunta in cielo in una mandorla con serafini, sorretta da quattro angelo in volo. In basso a sinistra è riconoscibile san Benedetto, che regge un fascio di verghe, mentre a destra san Giovanni Gualberto, con il suo immancabile bastone a tau ed un libro, tiene sotto la sua protezione il committente, identificato con il monaco Domenico di Guglielmo, priore di Vigesimo. Qui il pittore esprime le sue capacità di ritrattista, accresciute dall'attenzione fiamminga per il particolare (vedere lle verruche sulla tempia e sotto l'occhio dell'uomo) apprezzabile comunque in tutto il dipinto e riscontrabile nelle belle nature morte dei libri aperti e degli occhiali disposti sullo scalino che decora il sarcofago nel clipeo centrale. L'ombra di san Benedetto visibile sul gradino del sarcofago, ricolmo di gigli e rose, in omaggio alla purezza della Vergine, fa ipotizzare la presenza in originine di una fonte di luce a sinistra, verosimilmente corrispondente alla luce reale della chiesa. La pala è stata privata della sua cornice originale e al momento della rimozione probabilmente alcune parti del dipinto sono state decurtate. COSIMO ROSSELLI Madonna col Bambino, sant'Antonio Abate, san Nicola di Bari, Uffizi 1468- 470 La tavola, che raffigura la Madonna in trono con ai due lati due angeli e I due santi Nicola di Bari a sinistra e Antonio abate a destra, con ai piedi il caratteristico maialino, proviene dalla chiesa di San Prospero a Scheraggio. Il dipinto presenta un ricco apparato decorativo, dalle tende damascate aperte riprese ai lati, al telo riccamente ornato con motivi floreali che fa da sfondo agli angeli ed ai santi, nel trono intarsiato e nel ricco pavimento ricorda il Pollaiolo nella Cappella del Cardinale del Portogallo in San Miniato.