"I POPOLI MUSULMANI - sec. XIX-XX" - Ira M. Lapidus INTRODUZIONE Nei secoli XVIII e XIX l'evoluzione delle società musulmane fu distorta dall'intervento coloniale europeo: soprattutto Russia, Francia, Olanda e Gran Bretagna completarono in poco tempo la conquista di quasi tutto il mondo musulmano e questo intervento alterò profondamente le strutture intrinseche di quelle società, producendo effetti diversificati che, combinandosi con le peculiarità culturali e istituzionali delle singole società musulmane, generarono i vari tipi di società islamiche contemporanee. Dopo il Medioevo, il Rinascimento e la Riforma, i popoli europei, in possesso di una forma unica di pluralismo sociale e istituzionale e di una mentalità che enfatizzava l'innovazione, l'agire individuale, l'aggressiva ricerca del dominio e la sperimentazione tecnica, compirono progressi che li portarono ad affermare la propria supremazia nel mondo: lo stato nazionale moderno con il concetto di identità nazionale di ogni popolo, la rivoluzione industriale capitalista e il processo di laicizzazione furono i pilastri di questa evoluzione. L'influenza europea portò diverse conseguenze nel mondo musulmano (nascita di nuove élite, decadenza delle industrie locali. N.B.: le élite musulmane avevano un orientamento prevalentemente politico o culturale anziché economico e tendevano a porre il problema dell'intervento europei in termini socio-culturali; in Europa invece il fattore economico era determinante per la suddivisione in classi, soprattutto con l'avvento della borghesia industriale), così come un nuovo bagaglio di valori (apprezzamento dell'identità nazionale e della partecipazione politica, l'impegno nelle attività economiche, l'attivismo morale e una concezione scientifica del mondo), che si calarono nella matrice delle società islamiche preesistenti. Si possono individuare tre fasi del processo di trasformazione delle società islamiche in senso moderno: 1. Crollo del sistema musulmano e imposizione del dominio europeo (XVIII-XX sec.): le élite politiche, religiose e tribali musulmane cercano di porre su nuove basi ideologiche e religiose il problema dello sviluppo interno della loro società; 2. Formazione degli stati nazionali (XX sec.): le élite musulmane cercano di dare un'identità moderna alle loro società e di promuovere lo sviluppo economico e il cambiamento sociale; 3. Lotta per assumere la direzione dello sviluppo in atto e per definire il ruolo ultimo dell'Islam (in atto). La dominazione coloniale europea continua tuttora a produrre i suoi effetti, tra cui la formazione di nuove élite composte da intellettuali, militari, burocrati, tecnici, mercanti, borghesi e possidenti terrieri. Questi nuovi gruppi suscitarono due risposte alle pressioni europee: una fu quella delle élite politiche, che favorirono le concezioni moderniste o laiche e nazionaliste delle società islamiche e si adoperarono a ridefinire l'Islam per conciliarlo con le forme europee di stato ed economia; la seconda risposta venne invece dai capi tribali, dai mercanti e dagli imprenditori agrari guidati dagli ulema e dai sufi, che si proposero di riorganizzare le comunità musulmane e di riformare i costumi secondo i principi religiosi fondamentali. La prima tendenza fu tipica delle zone dell'ex-Impero ottomano, quindi Turchia, Mezzaluna fertile, Egitto e Tunisia, dove quindi la penetrazione europea, che fu diplomatica, commerciale e culturale prima della caduta della Porta, era stata più forte e dove la concorrenza europea indebolì fortemente la borghesia musulmana, contribuendo a concentrare il potere economico nelle mani delle nuove élite statali, educate secondo i dettami occidentali: qui, anche nei vari movimenti indipendentisti (Tunisia, Egitto), gli ulema svolsero un ruolo secondario. Ovunque comunque essi si opponevano sia al dominio coloniale europeo sia alle nuove élite stataliste pro-indipendenza, che nel frattempo, tentando di ammodernare le proprie società, avevano aderito prima al modernismo musulmano (riforma dell'Islam sulla base dei suoi principi originali, ma abbandonando le forme medievali di civiltà islamica, seguendo l'esempio degli europei) e poi al nazionalismo laico. Gli ulema adottarono il modernismo islamico: predicavano un ritorno alla pura fede islamica, basata su disciplina e tradizione e ripudiando coloro che tolleravano l'influenza europea: queste tendenze, che portarono alla nascita di varie correnti riformiste (i primi furono i wahabbiti) ebbero più fortuna in Arabia, Africa occidentale (Senegal, Gambia, Niger), Algeria, Marocco, Libia, Asia interna, Caucaso, India settentrionale (Bengala) e Sudest asiatico (Sumatra), ovvero in zone dove il movimento riformista poteva esercitare maggiormente il suo richiamo su società tribali, mercantili e agricole. Nelle società con una forte tradizione di subordinazione degli ulema allo stato, come nell'Impero ottomano, l'intellighenzia politica guidò il movimento per l'indipendenza nazionale, ma nelle società musulmane più pluraliste il dominio coloniale innescò una variegata lotta per il potere che si svolse su due fronti: contro i regimi coloniali e fra le numerose élite islamico-moderniste, laiche, nazionaliste, socialiste e musulmane di orientamento tradizionalista e riformatore. CAPITOLO I: IRAN: STATO E RELIGIONE NELL'ERA MODERNA Sia nell'epoca dei Safavidi (1501-1722) che in quella dei Cagiari (1779-1925), la Persia fu caratterizzata dalla presenza di un regime debolmente accentrato costretto a confrontarsi con potenti forze tribali provinciali e un apparato religioso di ulema sempre più forte e indipendente, capace di mobilitare un vasto sostegno popolare. Negli ultimi duecento anni, la lotta fra lo stato e gli ulema ha costituito una caratteristica costante e fondamentale della società persiana. 1.1. Lo stato cagiaro. Mentre lo stato cagiaro disponeva di una sovranità precaria, il potere dell'apparato religioso andava rafforzandosi e gli ulema, noti come mujtahid o interpreti della legge religiosa, accrebbero ampiamente la loro autorità dottrinale: gli ulema ricchi e influenti erano i veri capi della comunità persiana, frammentata e ancora tribale/provinciale, avevano contatti con le comunità sciite in Iraq e legami con la gente dei bazar (artigiani, operai e mercanti) e costituivano una forza unificante molto più potente dello stato. Esisteva anche una grande collaborazione fra stato ed ulema, che per tradizione spesso rifiutavano di impegnarsi politicamente, concentrandosi su temi teologici e religiosi e per queste funzioni premiati dallo stato con diverse cariche e ruoli a corte: in particolare Fath 'Ali Shah (1797-1834) diede agli ulema cariche importanti e li accettò come mediatori fra stato e popolazione. Esisteva quindi un buon rapporto di cooperazione fra stato e ulema, che permetteva a questi ultimi di rafforzarsi gradualmente. L'intervento europeo modificò sensibilmente la posizione del regime cagiaro e acuì le tensioni insite nel rapporto fra stato e ulema: mentre il primo cercò di modernizzarsi con l'aiuto europeo, i secondi si eressero a difensori della tradizione persiana. Presto la Persia si trovò divisa in due aree di influenza, una russa nel Caucaso e in Asia interna e una inglese in Afghanistan, senza tuttavia subire un dominio coloniale diretto: gli anglo-russi assunsero di fatto il controllo del paese, avviando una massiccia penetrazione economica e la suddivisione territoriale fu ratificata da un accordo anglo-russo nel 1907. L'intervento europeo provocò diverse conseguenze: diffusione di ideali occidentali, stimolo all'ammodernamento e il rafforzamento dell'apparato statale-militare (con Nasir al-Din, 1848-1896), formazione di una nuova corrente di pensatori islamici modernisti e intellettuali occidentalizzanti (propensi ad una modernizzazione della Persia) e creazione di una piccola borghesia persiana. Il problema fu che le riforme proposte dagli intellettuali toccarono solamente poche élite, lasciando il popolo totalmente disinteressato e, del resto, troppo arretrato, diviso e povero per contribuire all'evoluzione della Persia. Talvolta, anche gli scià erano poco propensi ad affrancarsi dal dominio straniero, visto che i loro regni dipendevano dagli aiuti russi e inglesi. Perciò, gruppi tribali e ulema, che di fatto guidavano il popolo, si identificarono come i due maggiori oppositori alla centralizzazione del potere, alla laicizzazione dello stato e al colonialismo europeo: la tensione fra stato e ulema accrebbe molto nella seconda metà dell'Ottocento con Nasir al-Din, che ne ridusse la giurisdizione, e gli ulema stessi si sentirono pressati, oltre che dall'irrigidimento del regime, anche dalla nascita di nuovi movimenti religiosi come quello di 'Ali Muhammad, dal forte messaggio sociale e di giustizia, ucciso nel 1850 (i seguaci si divisero in azali e bahaisti). Una serie di avvenimenti portarono poi alla crisi costituzionale del 1905-1911: l'affare De Reuter (concessioni ferroviarie, tranviarie e doganali, 1872) e la concessione del monopolio del tabacco agli inglesi (1890-92) provocarono diverse agitazioni da parte degli ulema, dei bazar e degli intellettuali e pensatori islamici modernisti, i quali però non furono sostenuti dai contadini (questi erano praticamente tutti servi, vivevano in villaggi isolati ed erano estremamente poveri). Principi come la sovranità popolare, la supremazia della legge e il patriottismo, di ispirazione occidentale e portati avanti dalle élite intellettuali (Akhund-Zadah, Malkum Khan), furono adottati in occasione della crisi costituzionale del 1905-06 e ad essi aderirono anche molti agitatori panislamisti (Giamal al-Din al-Afghani, Mirza Aqa Khan Kermani) e ulema liberali (sia per equivoci sia per motivi tattici: pensavano che un'assemblea costituente avrebbe rafforzato il ruolo dell'Islam): fu emanata una Costituzione, in vigore fino al 1979, che rendeva l'Iran una monarchia costituzionale e proclamava l'Islam religione ufficiale, con applicazione della Sharia. Dopo una breve interruzione tra il 1907 e il 1908, quando lo scià fece chiudere il parlamento, ci fu un secondo periodo costituzionale, terminato nel 1911 con l'intervento russo che riportò al potere lo scià, durante il quale l'alleanza fra riformatori liberali e ulema cominciò a incrinarsi. In linea di massima, gli ulema non erano contrari alla monarchia in se, ma semplicemente erano preoccupati che le politiche statali si conciliassero con le norme religiose islamiche. 1.2. Il regno dei Palhavi. Il XX secolo vide un forte acuirsi del conflitto fra stato e apparato religioso, come dimostrò la crisi costituzionale del 1905: mentre il potere dello stato riusciva a consolidarsi in virtù delle riforme interne e di una dipendenza ancora più stretta, dopo la prima guerra mondiale, dall'aiuto europeo e americano, gli ulema mantennero la loro posizione di guida nelle coalizioni che si opponevano al potere statale, all'influenza straniera e alle politiche contrarie ai valori islamici. Il periodo 1911-1925 fu un periodo di semi-anarchia: il trattato anglo-persiano del 1919 fece della Persia una sorta di protettorato inglese, mentre quello con l'Urss del 1921 lasciava alla Persia diversi vantaggi. Le cose cambiarono con l'avvento di Riza Khan al comando dell'esercito e al ministero della Guerra: egli si proclamò scià di Persia nel 1925, dando vita alla dinastia Pahlavi, che regnerà fino al 1979. Durante il regno dei Pahlavi vide la luce, per la prima volta, un forte governo accentrato. Lo stato fu definito in termini ideologici nazionalistici e impegnato nella realizzazione, guidata da un governo autoritario, di un ambizioso programma di modernizzazione economica e di occidentalizzazione culturale, superando presto l'opposizione delle élite religiose, mercantili e tribali. Le forze tribali furono eliminate, i poteri degli ulema ridotti, il sistema scolastico laicizzato, il partito comunista messo fuori legge, la stampa sottoposta a censura e il parlamento ridotto al ruolo di passacarte: la supremazia dello stato era totale. Fu riorganizzata anche l'amministrazione giudiziaria, fino a quel momento appannaggio dei soli ulema: tribunali laici, nuovi codici legali e requisiti universitari per i giudici. Ci furono anche importanti riforme economiche, controllate strettamente dallo stato: nuovo sistema doganale, infrastrutture, nuova esazione delle imposte, creazione di una banca nazionale persiana, progetti industriali (soprattutto per beni di consumo alternativi) e orientamento dei commerci esteri verso la Germania, per bilanciare l'influenza anglo-sovietica (v. raffinerie di Abadan, acquisite nel 1914, e Anglo-Persian Oil Company, creata nel 1909). Il modernizzato stato persiano definì la sua legittimità in termini nazionalistici e laici, rispolverando l'antica storia persiana per creare un'identità nazionale comune. Il suo programma era però totalmente dipendente dall'aiuto estero e dell'apparato di consiglieri occidentali e amministratori persiani educati all'occidentale, che costituivano una ristretta élite che governava una popolazione contadina improduttiva e povera. La seconda guerra mondiale pose fine a questi esperimenti di accentramento del potere statale e sviluppo economico: Urss e Gran Bretagna si impadronirono militarmente del paese, sostituendo nel 1941 lo scià con il figlio Muhammad Riza Pahlavi; seguì, fino al 1953, un periodo di lotta politica aperta fra le varie potenze straniere che ambivano a proteggere la Persia e fra i numerosi partiti politici interni. Aumentò l'influenza degli Stati Uniti e dopo la crisi di Abadan (1951-53), conclusasi con il colpo di stato filo-britannico contro Mossadeq, gli inglesi riuscirono ad evitare la nazionalizzazione delle compagnie petrolifere creando la National Iranian Oil Company. Il 1953, con la caduta del Fronte Nazionale di Mossadeq, fu anche la fine delle lotte politiche interne: lo scià restaurò un regime accentrato e autoritario, basato sull'appoggio straniero e favorevole alla modernizzazione economica e sociale (si trattava in pratica di un potere assoluto dello scià, appoggiato da una piccola élite di ufficiali, amministratori, proprietari terrieri e ricchi mercanti). Le riforme in senso centralizzato, laico e socialista furono molte: servizio sanitario, alfabetizzazione, riforma agraria, miglioramento della condizione femminile, produzione industriale; queste però non impedirono l'avvento di un'acuta inflazione e il peggioramento delle condizioni di vita generali, visto che le industrie persiane erano troppo poco competitive per il mercato mondiale e la produzione agricola stentava a decollare a causa di un'eccessiva presenza statale; in più, le ricchezze prodotte dalle vendite petrolifere erano distribuite in modo iniquo. Nel complesso, il programma di rinnovamento accrebbe i quadri dell'intellighenzia dotati di una moderna formazione occidentale e creò un settore modernizzato dell'economia, ma intimorì mercanti, artigiani, intellettuali di sinistra e ulema, che si opponevano all'influenza straniera e alla natura autoritaria del regime. Dopo un periodo di quietismo religioso dopo la crisi del '53, gli ulema tornarono all'attacco, criticando tra le altre cose anche l'alfabetizzazione (che gli avrebbe tolto il ruolo di educatori delle masse) e il diritto di voto alle donne: nacque un movimento per la riforma religiosa all'inizio degli anni Sessanta e guidato dall'ayatollah Khomeyni, esiliato in Iraq nel '64 e sostenitore di un ruolo attivo degli ulema in politica contro gli abusi della monarchia. Negli anni Settanta il regime di Pahlavi divenne più rigido, ma le condizioni del popolo non migliorarono visto che i vantaggi andavano sempre alle stesse élite. Il 1979 fu l'anno della rivoluzione, scaturita dall'uccisione a Qum di alcuni manifestanti religiosi da parte della polizia: l'esercito non poté fermare la rivolta, lo scià fuggì all'estero e l'ayatollah Khomeyni, proclamatosi Guida Suprema del nuovo governo islamico, abolì la monarchia, sostituita da una repubblica islamica presidenziale. La rivoluzione islamica iraniana segna il culmine di una lotta, iniziata circa due secoli fa, fra lo stato persiano e gli ulema organizzati. I rapporti fra questi furono sempre ambigui: l'opposizione contro lo stato era inizialmente sporadica e in vari momenti gli ulema passarono dall'attivismo rivoluzionario al quietismo religioso, atteggiamenti che trovano una giustificazione nello sciismo (l'attivismo è giustificato dalla dottrina "comandare il bene e proibire il male" e dal diritto riconosciuto agli ulema di farsi consiglieri spirituali di tutti i persiani in assenza dell'imām occultato; il quietismo invece si spiega col fatto che gli sciiti, aspettandosi un mondo ingiusto e speranzosi nella redenzione messianica, non sono portati a impegnarsi nella vita pubblica). Non si può dire che la rivoluzione iraniana sia il frutto di un'intrinseca opposizione religiosa contro l'autorità dello stato; occorre invece trattarla come una reazione a condizioni specifiche e cause storiche (occupazione anglo-russa, concessioni a stranieri, riforma agraria maldestra, tensioni economiche). Sia la rivoluzione costituzionalista del 1905-06 che la rivoluzione del 1979 sono l'espressione non già di una costante ostilità, bensì di una ricorrente possibilità di confronto fra stato e religione. La sua importanza è mondiale: per la prima volta, dei capi religiosi sono riusciti a opporsi con successo a un regime modernizzato e dispotico, assumendo il controllo dello stato. CAPITOLO II: LA DISSOLUZIONE MODERNIZZAZIONE DELLA TURCHIA DELL'IMPERO OTTOMANO E LA Vedi tesi sulla caduta dell'Impero ottomano. 2.1. Il crollo dell'Impero ottomano, avvenimenti principali. 1831 invasione della Siria da parte di Muhammad Ali, governatore d'Egitto. 1833 trattato di Unkiar Skelessi fra Impero ottomano e Russia: chiusura degli Stretti alle navi da guerra in cambio dell'appoggio russo contro Ali. 1841 convenzione degli Stretti: no passaggio di navi da guerra negli Stretti in tempo di pace. 1853-56 guerra di Crimea: integrità Porta, neutralizzazione del Mar Nero, autonomia di Valacchia e Moldavia, internazionalizzazione del Danubio. 1876 crisi d'Oriente e guerra turco-russa. 1877 trattato di Santo Stefano. 1878 congresso di Berlino: Romania, Serbia e Montenegro ufficialmente indipendenti; Bulgaria autonoma tributaria di Istanbul; Bosnia e Sangiaccato amministrati da Austria. 1881 trattato del Bardo: protettorato francese in Tunisia. 1882 occupazione britannica dell'Egitto. 1908 annessione austriaca della Bosnia-Erzegovina. 1912-13 guerre balcaniche. 1916 accordi Sykes-Picot. 1917 accordi di San Giovanni di Moriana. Dichiarazione Balfour. 1920 mandato britannico in Palestina e mandato francese in Siria. 2.2. Le riforme ottomane. Nonostante l'enorme influenza delle potenze europee, il loro impatto sull'evoluzione interna della società tardo ottomana e di quella turca emergente fu mediato dalle élite ottomane e turche. A differenza degli altri imperi musulmani, gli Ottomani mantennero infatti la loro sovranità e riuscirono a realizzare il loro programma di modernizzazione e riforma, ispirandosi all'Occidente e venendo influenzati da esso culturalmente, economicamente e diplomaticamente. Principali riforme: Nizam-i Jedid ("nuova organizzazione") di Selim III (1789-1807); scioglimento del corpo dei giannizzeri e indebolimento degli ulema (1826); abolizione monopoli statali e riduzione dei dazi (1838); rescritto sultanale di Gulhane (1839); riorganizzazione economica e produttiva (durante i Tanzimat, 1839-1876); creazione di un sistema postale e telegrafico (18341855); avvio costruzioni ferroviarie (1866); introduzione di tribunali di tipo occidentale (dal 1840); nuovo codice civile, Mejelle (1870); prime scuole medie (1847); prima università (1870, poi chiusa); rescritto imperiale (Hatt-i Humayun, 1856); riorganizzazione in senso laico delle comunità non musulmane. Pur non essendo penetrate profondamente nella società ottomana, né avendo influenzato il grosso della popolazione, le Tanzimat determinarono però la formazione di una nuova classe, quella dei memur (burocrati), occidentalizzati e occidentalizzanti, affermatisi grazie all'indebolimento degli ulema e all'eliminazione dei giannizzeri: fu questa élite a guidare le riforme ottomane nella seconda metà dell'Ottocento. Inizialmente fatte in modo agevole, a partire dal 1860 le riforme incontrarono una certa opposizione, quella di una nuova intellighenzia rappresentata dai Giovani Ottomani, favorevoli ad un regime costituzionale e alla fusione della tradizione islamica ottomana con il riformismo modernizzante; essi erano di fatto dei musulmani modernisti, poiché affermavano che l'Islam, se correttamente inteso, fosse compatibile con l'organizzazione moderna della società e con il governo costituzionale: bisognava conciliare l'Islam con le esigenze della modernità. Fautori del colpo di stato del 1876 con cui Abdul Hamid II fu portato al trono, i costituzionalisti rimasero presto delusi dall'atteggiamento autoritario e conservatore del sultano, che presto finirono per combattere, sviluppando un'opposizione soprattutto all'estero, che però prese la via del nazionalismo turco al posto del modernismo musulmano: a Parigi, nel 1889, nacquero i Giovani Turchi ("Società ottomana per l'unione e il progresso"), seguita poi dal Comitato per l'unione e il progresso (CUP), fondato a Salonicco nel 1907, entrambi composti principalmente da giovani quadri ufficiali. Dopo un periodo di lotte di potere tra il 1908 e il 1912, il CUP salì stabilmente al potere, adottando un programma di laicizzazione delle scuole, dei tribunali e dei codici legali per reagire all'impronta islamica del regno di Abdul Hamid. Il programma del CUP era ottomano e laico, ma andava altresì accentuando l'orientamento turco: i capi del CUP cominciarono a pensare all'Impero ottomano in termini di nazionalità turca e l'idea di nazione turca rafforzò le tendenze favorevoli al secolarismo e alla modernità, poiché consentì ai turchi di separarsi dall'Islam senza compromettere la loro identità non occidentale (il concetto di "turco" rese possibile definire una nuova civiltà che incorporava l'identità storica del popolo turco senza essere musulmana ed era moderna senza essere occidentale). Dopo la guerra Mustafa Kemal mise in pratica i principi sviluppati dai Giovani Turchi, guidando l'élite nazionale e mobilitando le masse turche nella lotta contro l'occupazione straniera e a sostegno dell'idea nazionale: nel 1923, con il Trattato di Losanna, le potenze riconobbero l'indipendenza della Turchia. La svolta verso la concezione di uno stato nazionale laico fu propiziata dall'incapacità dei capi religiosi musulmani di esprimere e organizzare un'efficace opposizione politica musulmana, soprattutto grazie all'eliminazione dei giannizzeri e all'indebolimento degli ulema nel 1826. Questi ultimi continuarono ad appoggiare lo stato ottomano, a riconoscerne il potere, il carisma e il fascino di stato guerriero difensore dell'Islam: il sultano era considerato ancora il capo religioso dei popoli musulmani. Perché? Innanzitutto perché molti di loro capivano l'esigenza di conferire all'Islam l'efficienza richiesta dal mondo moderno e, in secondo luogo, perché gli ulema più influenti erano amici del sultano, frequentavano la corte e avevano un importante tornaconto finanziario. La marcia verso la costruzione di uno stato laico e moderno fu agevolata anche dal fatto che le élite militari e burocratiche musulmane non dovevano confrontarsi con una borghesia musulmana o con una classe media mercantile, assenti a causa sia della sempre esistita preminenza dello stato sulla società sia della penetrazione economica europea che aveva danneggiato le classi medie ottomane (a partire dall'abolizione dei dazi nel 1838). 2.3. La Turchia repubblicana. Due tratti salienti della tradizione ottomana, il forte centralismo statale e la leadership dei militari, furono trasmessi alla repubblica turca. La storia della Turchia può essere divisa in due fasi: 1. 1921-1950 epoca della dittatura presidenziale, della riforma religiosa e dell'industrializzazione incipiente; 2. 1950 - oggi epoca del sistema multipartitico, della crescente differenziazione sociale, del rapido cambiamento economico e della ripresa dei conflitti ideologici. Il periodo kemalista ebbe inizio ne 1921 con la Legge fondamentale sull'organizzazione, che proclamò la sovranità del popolo turco. Nel 1923 Kemal fu nominato presidente a vita della repubblica, era capo del governo e leader del Partito repubblicano popolare; proprio il partito era il principale strumento del regime nelle campagne, dove il governo instillava l'ideologia laica e nazionalistica nelle popolazioni rurali. Mentre gli ulema e la nobiltà locale furono esclusi da potere politico, a governare il paese fu un'élite urbana colta di burocrati e militari. Gli obiettivi principali della Turchia kemalista erano lo sviluppo economico e la modernizzazione culturale: nazionalizzazione di ferrovie e trasporti, controllo statale sull'economia, piani quinquennali e rivoluzione culturale. Bisognava far sì che il popolo si allontanasse dall'Islam e si accostasse invece a una maniera di vivere occidentale e laica: perciò il regime soppresse le istituzioni organizzate dell'Islam, che venne così spogliato del suo carattere ufficiale e privato del suo ruolo nella vita pubblica, mentre i comuni segni dell'affezione dei turchi per la cultura tradizionale furono sostituiti da nuovi simboli dell'identità moderna. Importante fu anche l'evoluzione, seppur timida, della condizione femminile, teorizzata da Ziya Gok Alp: abolizione della poligamia (1924), parità dei sessi in fatto di divorzio, diritto di voto alle donne ed elezione di donne al parlamento (1935). Per quanto radicali fossero le sue politiche economiche e culturali, il regime kemalista non era rivoluzionario. Le élite e le organizzazioni dominanti conservarono il potere, non si fece alcuno sforzo per mobilitare i contadini e la rivoluzione culturale, calata dall'alto, non agì in profondità e servì soprattutto a dividere il paese fra un'élite urbana modernizzata e le masse rurali fedeli all'Islam. La Turchia divenne un regime autoritario che cercava di realizzare riforme economiche e culturali radicali. Nel 1938 morì Kemal e il regime continuò con Ismet Inönü. Dopo la seconda guerra mondiale e la presenza degli Stati Uniti come garanti della sicurezza turca, si aprì una nuova epoca, segnata dalla nascita di un sistema multipartitico. Dal 1950, quando le elezioni rilevarono un conflitto fra un regime autoritario e centralizzato e un governo liberale e tollerante verso l'Islam, al 1960 governò il Partito democratico di Bayar e Menderes. La collaborazione militare turco-americana portò alla costruzione di strade, ferrovie, aeroporti e porti, ma crebbero inflazione, disavanzo commerciale e debito pubblico. Il Partito democratico venne poi meno al credo kemalista laico, favorendo sia la modernizzazione economia sia l'indulgenza nei confronti dell'Islam. Nel 1960 Menderes venne rovesciato da un colpo di stato militare, lasciando il posto a un nuovo regime parlamentare: le difficoltà economiche tuttavia continuarono, mentre nacquero nuovi partiti e si tornò ad un sistema pluripartitico con l'ingresso di nuovi attori di varia estrazione sociale. Nel 1971 e nel 1980 ci furono altri due colpi di stato militari, visto che i conflitti fra partiti si erano intensificati pericolosamente: si era creata una società fortemente pluralistica che mancava di mezzi politici idonei a imprimere un coerente orientamento economico e ideologico allo sviluppo del paese. Ne frattempo, la tradizione urbana degli ulema era stata in gran parte distrutta ed essi non ebbero più influenza sulla vita pubblica del paese: l'ideologia della Turchia era ed è laica e le classi superiori colte delle città vedevano l'Islam come simbolo di arretratezza; la tradizione sufi comunque sopravvisse nel mondo rurale e il sentimento di appartenenza all'Islam della gente comune non è mai stato seriamente scosso. Le tensioni politiche ed economiche diedero infatti vita a movimenti impegnai a re-islamizzare stato e società, come quello di Said Nursi, autore dell' "Epistola della luce", o il Partito di salvezza nazionale, favorevole alla costituzione di uno stato islamico in Turchia. Ad ogni modo, questa rinascita dell'attivismo islamico rimase circoscritta a una minoranza. Lo scenario era molto complesso: al tradizionale problema del ruolo dell'Islam nella società politica si sono aggiunte le contrapposizioni fra gli interessi del centro e quelli delle province, fra le direzioni aziendali e gli operai, fra il blocco militare-burocratico e l'imprenditoria privata. In Turchia la rinascita islamica è soltanto uno tra molti movimenti ideologici, in una società caratterizzata da un alto grado di pluralismo e cambiamento. La contrapposizione fra laicismo e Islam dunque non è che uno fra i tanti problemi turchi. In definitiva, la moderna Turchia, che fu preparata da riforme già avviate nell'Impero ottomano, possiede una società nazionale fortemente pluralistica e secolarizzata, dove l'Islam conserva un profondo significato religioso per gran parte della popolazione turca, ma ha uno spazio molto limitato nella vita pubblica. CAPITOLO III: EGITTO: LAICISMO E MODERNITA' ISLAMICA La storia dell'Egitto è simile a quella della Turchia, con alcune importanti differenze. Prima fra tutte, la dominazione inglese ha impedito il consolidamento di un'élite militare e amministrativa egiziana, con la conseguenza che alla guida del movimento per l'indipendenza nazionale si pose un'elite subalterna di proprietari terrieri, funzionari, mercanti ed elementi dell'intellighenzia. Le élite liberali furono col venire estromesse dal potere e sostituite da una nuova generazione di ufficiali arabi nazionalisti che istituirono un regime militare e socialista. 3.1. Muhammad 'Ali e Isma'il. Durante il periodo della sovranità ottomana l'Egitto fu di fatto governato da fazioni militari locali di Mamelucchi. Dopo l'invasione napoleonica del 1798, nel 1805 divenne governatore Muhammad 'Ali, lo stesso che nel 1831 invase la Siria andando in guerra contro il suo stesso impero. Il suo fu un regime militare aggressivo, ma riformatore in campo interno: nuovo esercito (reclutamento di contadini egiziani locali), nuovo sistema fiscale, eliminazione delle opposizioni, demolizione del potere degli ulema, controllo dello stato sull'economia. Il suo successore, Isma'il, fece progredire ulteriormente il paese: sviluppo economico e tecnico, creazione di istituzioni giuridiche e culturali simili a quelle occidentali. Questa riorganizzazione ebbe l'effetto di distruggere il vecchio ordinamento sociale, travolto da un sommovimento ancora più profondo di quello che ebbe luogo nel resto dell'Impero ottomano. Nacque così una nuova élite di proprietari terrieri e le famiglie egiziane divennero potenti nell'esercito e nella pubblica amministrazione: mercanti, usurai, capi-villaggio e funzionari governativi gestivano ora la maggior parte dei terreni. Fu da questa nuova classe di proprietari terrieri che provennero i burocrati e gli ufficiali dell'esercito che formarono la nuova élite dominante. Nello stesso tempo, il nuovo sistema economico distrusse l'economia di villaggio, le cui istituzioni collettive furono sostituite dai controlli statali e dalla proprietà privata. La nuova economia favorì poi lo sviluppo del controllo statale e dell'individualismo al posto delle strutture corporative. Analoga trasformazione subì la posizione delle élite religiose: Muhammad 'Ali, in cambio del loro appoggio, accettò di consultarli a proposito degli affari politici e consentì loro di arricchirsi; tuttavia, una volta consolidato il suo potere, il governatore sottomise gli ulema al regime ed essi persero la loro capacità di influenzare la politica dello stato, venendo sostituiti da nuove élite di militari e burocrati. I poteri dei sufi furono parimenti circoscritti e Muhammad 'Ali li assoggettò all'autorità dello stato. 3.2. La dominazione inglese. La subordinazione degli ulema e l'ascesa di una nuova élite agraria, mercantile e intellettuale prepararono il terreno altri, radicali cambiamenti nella società. Prima ancora che queste nuove élite potessero far sentire la loro influenza, la Gran Bretagna, sconfiggendo i ribelli di Arabi Pascià, pose l'Egitto sotto il suo diretto controllo nel 1882, avendo l'esigenza di consolidare il proprio impero in India (prima, nel 1875, la bancarotta dell'Egitto era sfociata nella creazione di un'amministrazione anglo-francese del debito pubblico). Fino alla fine della prima guerra mondiale gli inglesi avrebbero amministrato l'economia egiziana in modo efficiente ma secondo i loro interessi imperiali, così lo sviluppo economico favorì la concentrazione del surplus nelle mani dei grandi proprietari terrieri. L'industrializzazione invece fu impedita da molteplici fattori: l'interesse degli inglesi a scoraggiare la concorrenza, la scarsa propensione dei proprietari terrieri a investire e mancanza di risorse naturali. Sotto la dominazione inglese la nuova élite egiziana continuò la resistenza, esprimendosi attraverso il modernismo islamico e il nazionalismo egiziano, i cui principali esponenti del primo furono Giamal al-Din al Afghani e il suo discepolo Muhammad 'Abduh: gli egiziani, come i turchi, definirono prima la concezione islamico-modernista e poi quella laica in una società nazionale indipendente. Il modernismo islamico e la riforma religiosa divennero le parole d'ordine dell'intellighenzia egiziana nel periodo compreso fra la rivolta di Arabi Pascià nel 1879-81 e la fine del secolo. Scopo principale del movimento islamico era la rinascita politica: mentre al-Afghani aveva privilegiato l'esigenza pragmatica di una solidarietà islamica, 'Abduh perseguì gli stessi obiettivi puntando sulla riforma scolastica, giudiziaria e spirituale. In Egitto però, come in Turchia, il modernismo islamico e la riforma teorizzati da loro furono superati da una concezione nazionalistica dell'identità egiziana e della politica più laica: l'intellighenzia nazionalista vide i suoi più alti rappresentanti in Mustafa Kamil, Lutfi al-Sayyid e Sa'd Zaghlul. L'omogeneità e l'isolamento del paese, la sua lunga tradizione di governo centrale e il suo particolare passato culturale favorirono la nascita di una coscienza dell'identità egiziana (in Egitto più che in qualsiasi altro paese musulmano, l'identità nazionale è fondamentale) e lo sviluppo di un intenso nazionalismo basato sulle idee di nazione unificata, spirito patriottico, odio per la dominazione straniera e società laica e costituzionale. Il movimento nazionale ebbe inizio sulla stampa, ma fu la formazione del Partito nazionale nel 1907 che gli diede una vera forma politica. La prima guerra mondiale rinsaldò la determinazione di ottenere l'indipendenza e, dopo tre anni di lotta delle masse, nel 1922 gli inglesi furono costretti ad abolire il protettorato, rendendo l'Egitto uno stato semindipendente, guidato da un'intellighenzia occidentalizzata e da un regime costituzionale liberale (ebbe un regime nazionale laico come la Turchia, ma rimase in parte dipendente) dominato politicamente dal partito Wafd. Tuttavia, mentre l'élite turca di militari e burocrati era stata in grado di organizzare uno stato solido con le armi, quella egiziana composta da proprietari terrieri, giornalisti e politici era in grado di organizzarne uno politicamente, ma non anche militarmente nella lotta per l'indipendenza. I problemi di fondo dunque rimanevano anche per il regime nazionale laico, che sarebbe durato fino al 1952 sotto forma di monarchia costituzionale: indipendenza totale, migliorare il tenore di vita, avviare lo sviluppo economico e darsi un'identità culturale e ideologica moderna. Fra il 1922 e il 1952, il regime non riuscì però a far fronte a questi problemi, soprattutto a quelli economici: nonostante un buono sviluppo delle industrie per la produzione dei beni di consumo, la crescita della popolazione aumentò di molto aumentando il tasso di povertà e solo una parte molto piccola di essa traeva beneficio dal progresso economico. Anche in campo culturale ci furono molte difficoltà: nonostante l'intellighenzia egiziana fosse nazionalista, laica, modernista, liberale e occidentalizzante, mentre i governanti turchi procedettero ad attuare un programma di modernizzazione, quelli egiziani non poterono farlo perché mancavano del pieno potere politico e dell'unità ed inoltre erano sempre più delusi dall'Europa bellicosa del tempo. Così, a partire dagli anni '30-'40 si incominciò ad abbandonare l'orientamento laico e occidentalizzante, che fu sostituito dalla rinascita dell'affezione popolare per l'Islam: questa rinascita tuttavia non si dovette agli ulema e ai sufi, ormai poco influenti, quanto a una nuova generazione di predicatori e insegnanti musulmani, che operò per insegnare la morale e l'etica islamica, rafforzare i legami di fratellanza fra musulmani e restaurare la legge religiosa insieme alla supremazia dell'Islam nella società. Il più importante fra i movimenti musulmani fu quello dei Fratelli Musulmani, fondato nel 1928 da Hasan al-Banna, predicante la restaurazione dei principi islamici, il ritorno al Corano e la devozione islamica. In Egitto i Fratelli si allearono con i movimenti giovanili islamici formando una concreta opposizione all'occupazione inglese e al regime nazionale: essi chiedevano la costituzione di un governo islamico basato sulla consultazione degli ulema impegnato ad applicare la Sharia, proponendo di regolare l'economia secondo una combinazione di principi islamici e socialisti. Di fronte a questa rinascita dell'Islam popolare, l'intellighenzia laica dovette scendere a compromessi, legittimando la rinascita e senza riuscire, come i turchi, ad orientare le tematiche culturali nazionali. 3.3. L'indipendenza da Londra e il colpo militare. Il problema della conquista dell'indipendenza era il più pressante e fu complicato dalla triplice divisione del potere fra il re, i partiti politici e gli inglesi, i quali, al fine di destabilizzare il paese e mantenerne il controllo, si servivano del loro potere per fomentare le rivalità fra il re e i partiti e sfruttarle a loro vantaggio. Nel 1936 comunque si concluse un trattato che dava all'Egitto l'indipendenza tanto ambita, seppur con qualche riserva: Londra manteneva importanti canali privilegiati in ambito commerciale e soprattutto continuava ad occupare militarmente la zona del canale di Suez. Gli strascichi della seconda guerra mondiale, durante la quale l'occupazione inglese era divenuta più oppressiva e presente, e la sconfitta nella guerra fra Israele e Palestina del 1948 misero in crisi il regime. Nel 1950, dopo la guerra, l'Egitto abrogò poi il trattato, avviando una guerriglia contro l'occupazione inglese nella zona del canale, che sfociò in sommosse nel gennaio e, infine, nel luglio 1952, in un colpo di stato militare che pose fine alla monarchia e al regime parlamentare nel 1953. L'Inghilterra evacuò il canale, concedendo così la piena indipendenza de facto all'Egitto, divenuto ora un regime presidenziale a partito unico gestito dai Liberi Ufficiali (Muhammad Nagib, Giamal 'Abd al-Nasser e Anwar Sadat) e da una nuova élite politica di ufficiali e burocrati, i cui valori furono socialismo, antimperialismo e panarabismo. Sotto Nasser, l'Egitto assunse il ruolo di guida nella lotta dei paesi arabi contro l'imperialismo e il sionismo: la crisi di Suez, l'adesione al neutralismo, la diffidenza nei confronti di Usa e Gran Bretagna, gli acquisti di armi dalla Cecoslovacchia sovietica e il fatto che il regime fosse sopravvissuto all'attacco anglo-francese-israeliano nel 1956 fecero di Nasser il leader supremo del mondo arabo, malgrado il fallimento del progetto di unione con la Siria (1958-61). Negli affari interni, la figura dominante era quella del presidente, il cui potere poggiava sull'esercito, sulla burocrazia e sulle sue capacità di dirigente politico in grado di mobilitare il paese. Nell'intento di avviare un'economia socialista, Nasser puntò molto sul settore agricolo: per spezzare la spirale dell'impoverimento, il governo cercò di industrializzare il paese poggiandosi sull'aumento produttivo in campo agricolo, appropriandosi del surplus ed eliminando le vecchie classi dirigenti (il partito Wafd fu eliminato, i Fratelli Musulmani schiacciati e i proprietari terrieri danneggiati). L'industrializzazione passò per l'introduzione di elementi di controllo statale dell'economia (nazionalizzazione di molte aziende e banche). Il regime si aspettava che l'economia socializzata soddisfacesse le esigenze dello sviluppo liberando gli egiziani dal controllo economico straniero e generando occupazione ed esportazioni, ma l'economia continuava a stentare. La sconfitta nella guerra dei sei giorni del 1967 e le difficoltà economiche fecero di nuovo traballare il regime laico di Nasser, morto nel 1970, favorendo ancora la rinascita di un forte sentimento islamico. Nel 1973, il buon comportamento dell'esercito nella guerra dello Yom Kippur e l'alleanza di Sadat con gli Stati Uniti permisero un riavvicinamento alla cultura occidentale; grazie a questo rapporto con gli Usa, Sadat incoraggiò l'investimento privato, aprendo le porte all'investimento estero. Riguardo al rapporto con la religione, il regime di Nasser e Sadat cercò di sottoporre le attività religiose islamiche al controllo statale e, nonostante si continuasse ad applicare la Sharia, lo stato creò nuovi codici per controllare la giustizia. Lo sforzo statale di controllare la vita religiosa riuscì solo in parte, perché nel paese il sentimento musulmano rimase forte ed indipendente dall'autorità statale: mentre gli ulema rimasero effettivamente controllati dallo stato, predicatori e insegnanti poterono agire liberamente tra la popolazione. Gli anni '70 furono luogo di una ripresa dell'Islam soprattutto tra gli studenti della classe media e i giovani professionisti, favorito anche dal contemporaneo successo del regime islamico dell'Arabia Saudita. Insegnamenti di maestri come Sayyid Qutb e Shukri Mustafà, capo del movimento Jama'at al-Muslimin (represso nel 1978 con l'esecuzione di Shukri), diffusero idee di lotta diretta contro lo stato, nonostante Sadat facesse propria la retorica dell'Islam per avere l'appoggio popolare: l'Egitto viveva secondo jahiliya, quindi bisognava proclamare il jihad e riconvertire il paese all'Islam. Queste idee sfociarono in violente sommosse che, nel 1981, portarono all'assassinio dello stesso Sadat da parte del movimento alJihad, poiché aveva colpito duramente tutte le organizzazioni musulmane con arresti di massa. Gli assassini di Sadat, succeduto da Hosni Mubarak, proclamavano che il governo egiziano era illegittimo poiché non applicava la legge musulmana, era retto da apostati tiranni ed era alleato a sionisti, comunisti e imperialisti; dopo l'assassinio comunque, il movimento islamista non ebbe il sostegno popolare e l'esercito represse le sommosse. Una base più vasta, seppur con limitato seguito popolare, la ebbero invece le Jama'at al-Islamiya, organizzazioni islamiste studentesche che volevano l'instaurazione di un califfato restaurato. I circoli si occupavano di tutto, dalla politica alla moralità, ed ebbero molto successo tra gli studenti che vivevano in grande povertà e sovraffollamento, disoccupati e senza posto nella società del Cairo, relegati in quartieri periferici malandati, che presto adottarono i costumi del tradizionalismo islamico come il velo integrale (il risveglio islamico fu quindi anche un meccanismo di adattamento degli studenti musulmani alla complessità dell'ambiente urbano): dopo le sommosse del 1981 furono sciolti. A differenza di quanto accadde in Turchia, il Egitto l'Islam rimane il principale canale di resistenza allo stato e alle sue politiche. Le strutture fondamentali della società egiziana sono simili a quelle della società turca, ma, a causa del limitato potere dell'élite politica egiziana e della minore differenziazione sociale ed economica, persiste un tenace conflitto fra l'élite statale laicizzata e la piccola borghesia e gli studenti che le si oppongono in nome dell'Islam. CAPITOLO IV: IL MEDIO ORIENTE ARABO: ARABISMO, STATI MILITARI E ISLAM 4.1. I notabili e la nascita del nazionalismo arabo. L'attuale sistema di stati arabi e il movimento nazionale arabo ebbero origine dal sistema ottomano del XIX secolo e dalle influenze esercitate dall'Europa sulla Mezzaluna Fertile. Gli Ottomani avevano governato la regione come un insieme di piccole province separate, senza creare particolari unità di governo territoriali che corrispondessero ai "sub-stati" ottomani di Egitto, Tunisia o Algeria. Il nazionalismo arabo ebbe la sua culla in Libano, dove la modernizzazione e la formazione di una nuova coscienza politica furono influenzate direttamente dalla penetrazione commerciale, politica e culturale dell'Europa. Dalla metà del XIX secolo infatti, le potenze europee erano diventate le garanti della sicurezza del Libano, regione che proprio grazie agli scambi con l'Occidente era divenuta molto florida, nonostante fosse in quegli anni in condizioni di guerra civile quasi perenne Tra il 1825 e il 1860 scoppiarono diverse tensione nel paese (risveglio della chiesa maronita contro i signori feudali, conflitti ripetuti fra maroniti cristiani e drusi islamici), fino a quando, con i Regolamenti del 1861, le potenze europee intervennero costringendo il governo ottomano a sancire la supremazia dei cristiani: il capo del governo (mutassarif) doveva essere cristiano, mentre il consiglio di governo avrebbe rappresentato le altre comunità religiose. Il Libano divenne una provincia ottomana privilegiata, la cui sicurezza era garantita dalle potenze europee, la cui influenza sul commercio e sulla politica del paese fu accompagnata da interventi diretti nell'ambito dell'istruzione, che contribuirono a costituire una nuova intellighenzia letteraria occidentalizzante (Nasif Yaziji, Butrus Bustani). Sul finire del secolo la rinascita intellettuale era sfociata in agitazione politica, basata su un forte sentimento di ostilità verso i turchi e di superiorità dei popoli arabi nei confronti delle popolazioni turche: Al-Kawakibi fu uno dei primi scrittori ad affermare che gli arabi dovevano strappare ai turchi corrotti la guida del mondo musulmano; più moderati erano gli scrittori cristiani arabi, che accarezzavano l'idea della secessione dall'Impero ottomano e della formazione di un nuovo stato arabo laico in cui cristiani e arabi potessero convivere. In Siria invece il nazionalismo arabo attecchì in un momento successivo, principalmente fra i notabili musulmani di Damasco e come frutto del desiderio di affrancarsi non tanto dall'influenza commerciale e politica europea quanto dagli stessi meccanismi dell'Impero ottomano. Durante l'occupazione della Siria (1831-39), gli egiziani cercarono di sopprimere l'indipendenza locale, imponendo un'amministrazione accentrata e promuovendo lo sviluppo economico, cosa che fecero anche gli ottomani quando tornarono padroni della Siria nel 1841, eliminando i notabili intermedi e mobilitando le masse a favore dello stato: di qui nacque l'ostilità dei notabili damasceni per le riforme ottomane. Anche l'atteggiamento del Comitato per l'Unione e il Progresso (CUP), salito al potere nel 1908, non piacque ai notabili, poiché il CUP puntava ad accentrare il potere ottomano in mani turche. Ecco che quindi l'arabismo divenne l'ideologia dei notabili di Damasco, degli ufficiali, degli avvocati e degli ulema non integrati nel governo. Il terzo filone del nazionalismo arabo si sviluppò in Arabia, sotto la guida dello sceriffo della Mecca Husayn. Egli, sperando che gli inglesi lo avrebbero aiutato a rovesciare gli ottomani e a divenire re di un grande stato arabo, concluse un accordo con Londra tra il 1915 e il 1916: purtroppo però le promesse britanniche furono presto sconfessate dagli Accordi Sykes-Picot del 1916 e dalla Conferenza di San Remo del 1920, che sancirono la divisione della Mezzaluna Fertile tra Francia (Siria e Libano) e Gran Bretagna (Palestina, Iraq e Transgiordania). Perciò, a differenza di quanto accadde in Turchia e in Egitto, nella Mezzaluna Fertile furono l'Inghilterra e la Francia, invece delle élite locali, che decisero a proprio piacimento la formazione degli stati arabi. Era difficile immaginare una resistenza dei popoli arabi, il cui movimento nazionale era troppo debole e diviso per influenzare la sorte della regione. 4.2. L'arabismo nel periodo coloniale. Nel periodo dei mandati ogni paese era controllato da una potenza straniera alleata a un'élite politica interna conservatrice e la rivendicazione dell'indipendenza, obiettivo di lungo termine di tutte le élite, trovò la sua massima espressione nel nazionalismo arabo. Sulle prime l'idea dell'arabismo fu strettamente associata all'autonomia nell'ambito dell'Impero ottomano e alla rinascita di una classe dirigente araba, nella prospettiva di un nuovo califfato che avrebbe guidato una società araba risorta. Influenzata dall'orientamento laico dell'élite formatasi nelle scuole professionali ottomane, dall'ascendente degli alleati nazionalisti cristiani e dalle inevitabili conseguenze della dissoluzione della Porta e dell'abolizione del califfato, la dottrina arabista accentuò i propri aspetti laici. Molti teorici, come Sati al-Husri, cercarono di dimostrare che i popoli arabi potevano superare la divisione fra di loro e giungere ad un'unità; Michel Aflaq parlava del nazionalismo come "qawmiya" ("appartenente a un gruppo"): è solo attraverso la nazione che l'individuo può conseguire l'autentica libertà ed elevarsi a una forma di esistenza superiore. In ogni paese, all'élite nazionale conservatrice si contrapponeva la generazione più giovane dell'intellighenzia, istituita in modo moderno, composta da soldati, tecnocrati e intellettuali, evidentemente influenzati dagli influssi culturali occidentali: l'avvento del pensiero occidentale permise a questi giovani di acquisire nuove armi culturali per costruire le proprie teorie nazionalistiche. L'élite della nuova generazione era determinata a porsi alla guida dello stato in nome delle riforme interne, dell'anticolonialismo e del nazionalismo arabo. In Siria scoppiò un vero e proprio conflitto generazionale e ideologico fra giovani e conservatori: qui, l'amministrazione francese tracciò i lineamenti di uno stato siriano moderno, ma, nell'intento di accrescere gli ostacoli che si frapponevano alla formazione di una società nazionale compatta, capace di gestire un regime indipendente, acuì le divisioni etniche e religiose del paese. L'espressione più importante della nuova generazione fu il partito Baath (partito socialista arabo), fondato negli anni '40 da Michel Aflaq e Salah al-Din Bitar, che elaborarono una teoria dell'unità, della giustizia sociale, della democrazia e della libertà dei popoli arabi. Il conflitto fra la vecchia generazione e la nuova élite di ufficiali entrò nel vivo alla fine degli anni '40, dopo l'indipendenza siriana del 1947: il nuovo regime fu sconvolto da una serie di colpi di stato che permisero il passaggio del potere dalla vecchia generazione a quella nuova. In Iraq, nell'Ottocento gli ottomani avevano avviato un processo di ridimensionamento del potere dei capi tribali e di sviluppo della proprietà terriera privata (codice fondiario nel 1858), continuato dagli inglesi che, dal 1917, governarono l'Iraq come l'India. Nel 1921, dopo una rivolta, gli inglesi permisero la costituzione di una monarchia con a capo Faysal, figlio di Husayn, mentre nel 1930 un nuovo accordo diede la formale indipendenza all'Iraq, seppur con affari esteri e militari controllati da Londra. I governanti inglesi contribuirono a creare l'infrastruttura di uno stato moderno, ma l'élite che governava il paese era fortemente divisa: negli anni '30 e '40 si verificarono una serie di colpi di stato militari e lotte fra la fazione filo-britannica e quella filotedesca; fino al 1958 fu Faysal II a governare, insieme al suo primo ministro Nuri al-Sa'id, filo-statunitense, e a una cerchia di proprietari terrieri: nel nome del nazionalismo arabo questa élite, di estrazione prevalentemente sunnita, governava un popolo per metà sciita e per metà curdo. Nel 1958 ci fu un colpo di stato condotto dai vertici dell'esercito, che rovesciarono la monarchia e assassinarono Nuri e il re: questi ufficiali facevano parte di una nuova generazione venuta alla ribalta in seguito allo sviluppo economico post-bellico. La Transgiordania doveva, in origine, far parte della Palestina, ma nel 1922 gli inglesi consentirono all'emiro 'Abdallah, fratello di Faysal, di formare un governo, sottraendo così la regione all'area su cui la dichiarazione Balfour aveva promesso di costruire un focolare nazionale ebraico. Un trattato del 1928 istituì una monarchia costituzionale, una legislatura e dei partiti politici, ma riservò all'Inghilterra la potestà sulla politica estera e sull'esercito. Nel 1946 la Transgiordania divenne indipendente e fra il 1948 e il 1950, in seguito alla guerra arabo-israeliana, assorbì alcune parti della Palestina, venendo riorganizzata come Regno di Giordania, governato da un re e da un'élite composta da ufficiali inglesi, funzionari arabi palestinesi, personale di palazzo circasso e capi religiosi musulmani. A differenza di quanto accadde in Iraq, l'influenza dei capi tribali in Transgiordania si ridusse rapidamente, mentre la classe media colta divenne, come altrove, un elemento di opposizione all'élite di governo: mentre l'esercito rimaneva fedele allo stato, l'opposizione fu costruita sull'intellighenzia e sui palestinesi. In Libano invece ci fu una lotta, più che tra le varie generazione o fra le élite, tra le varie comunità confessionali musulmane e cristiane. I francesi non crearono uno stato esclusivamente cristiano, ma aggiunsero alla vecchia provincia libanese nuovi territori (Tripoli, Sidone) per accrescere la superficie del paese e la proporzione di musulmani. Inizialmente governato da un governatore francese, nel 1926 il Libano ebbe una nuova costituzione che garantiva una lieve maggioranza politica ai cristiani in parlamento, distribuendo il potere fra i gruppi religiosi (presidente maronita, premier sunnita e capo del parlamento sciita): le istituzioni statali erano concepite in modo tale da rafforzare le divisioni settarie, anziché unificare la società libanese. I partiti politici erano espressione di clan, comunità e caporioni e il sistema si basava su una fitta rete di clientele: il popolo era indotto a identificarsi con i capi delle clientele, anziché con lo stato. Fu così che il paese fu governato fino al 1945 sulla base di un compromesso fra i caporioni delle sette e delle comunità locali; anche dopo la guerra tuttavia, il nuovo regime indipendente dalla Francia continuò a basarsi sugli equilibri di potere fra le comunità confessionali, venendo governato da governi di coalizione misti. 4.3. La lotta per l'unità araba e gli stati odierni della Mezzaluna Fertile. Gli stati arabi avevano molteplici problemi: su tutti, in ciascuno di essi si sviluppò la lotta per il potere fra le élite di militari, proprietari terrieri e mercanti della generazione precedente e l'intellighenzia espressa dai militari e dai tecnici della generazione successiva, situazione aggravata dalla guerra israelopalestinese del 1948 e dalla guerra fredda. Queste tensioni causarono colpi di stato militari a catena in Siria fra il 1947 e il 1963, e quello iracheno del 1958, mentre il Libano e Giordania ci furono guerre civili. Abbandonato nel primo dopoguerra, il nazionalismo arabo fu ripreso alla fine degli anni '30 dall'esplosione della rivolta contadina palestinese contro la colonizzazione ebraica e il governo inglese. Nel 1945 fu fondata la Lega degli stati arabi fra Siria, Egitto, Iraq e Transgiordania, che però si sciolse subito nel 1948 dopo il fallimento della guerra contro Israele. La causa araba sarebbe stata ripresa negli anni '50, soprattutto da Nasser in Egitto e grazie al successo del partito Baath in Siria, mentre la Turchia e l'Iraq, finiti sotto l'influenza statunitense dopo la guerra, furono coinvolti nel Patto di Baghdad del 1955, pensato da Washington per creare un'organizzazione araba sotto il suo controllo: Egitto e Siria ottennero dall'Urss delle garanzie circa la loro sicurezza. In Libano e in Giordania l'intervento americano e inglese aiutò a sconfiggere l'opposizione e mantenne l'integrità dei regimi esistenti, mentre Egitto, Siria e Iraq furono sconvolti da colpi di stato (1952, 1963, 19581963-19689: in tutti questi paesi la nuova forza dominante fu un'élite militare, antimperialista, antisraeliana e neutralista, legittimata dalla solenne adesione alla causa dell'indipendenza nazionale araba e ai principi della modernizzazione economica diretta dallo stato. Purtroppo però, le continue rivalità fra Siria, Egitto e Iraq impedirono l'unificazione araba e la sconfitta nella guerra del 1967 fu un duro colpo al movimento nazionalista arabo. In Siria, negli anni '50 il partito Baath giunse al potere tramite colpi di stato ed elezioni, estendo il suo controllo sul paese e adottando un programma economico socialista, continuato poi dal regime militare. Il fallimento dell'unione con l'Egitto nel 1958-61 però permise all'esercito di prendere il potere nel 1963: si avviò così un regime militare capeggiato dagli alawiti, minoranza sciita di cui fa parte l'attuale presidente Assad, il cui padre salì al potere con un colpo di mano nel 1970 (tutti i colpi di stato furono all'interno del partito Baath, che resta tuttora il partito di maggioranza di Assad); il regime tentò di superare l'intrinseca divisione del paese in fazioni attuando una politica di controllo accentrato e di sviluppo socializzato dell'agricoltura e dell'industria. Il regime siriano, che continua comunque ad essere diviso in fazioni, ha una forte connotazione personale, faziosa e settaria e la minoranza sciita alawita continua a governare un paese che è in maggioranza sunnita, causando contrasti che hanno condotto alla guerra civile odierna (ci furono già lotte armate negli anni Settanta e Ottanta fra governo e partito sunnita dei Fratelli Musulmani). Anche in Iraq il vecchio regime fu rovesciato in nome del nazionalismo panarabo e delle riforme interne. Nel luglio 1958 il re Faysal II e il suo primo ministro furono trucidati da un gruppo di ufficiali guidato da 'Abd al-Karim Qassim, che creò ben presto una dittatura militare basata sull'appoggio di un forte Partito comunista e ostile ai gruppi di opposizione. Nel 1963 il regime fu però rovesciato da un colpo di stato del partito Baath iracheno, attuato anch'esso in nome dell'unità araba, che avviò in Iraq un corso socialista continuato poi da Saddam Hussein, salito al potere nel 1968 insieme ad Ahmad Hassan con un colpo di stato militare. Il regime iracheno poggiava sull'esercito e sul sostegno accordato da burocrati e tecnocrati. L'élite al potere rappresentava sostanzialmente la popolazione sunnita del'Iraq nordoccidentale e governava richiamandosi agli ideali nazionalisti arabi: essa però non rappresentava la maggioranza sciita della popolazione e la consistente componente curda. Le mire espansionistiche di Saddam svanirono nel 1988 con la fine della guerra contro l'Iran iniziata nel 1981 per sancire la propria supremazia nel Golfo e nel mondo arabo in generale. Mentre i regimi militar-socialisti hanno assunto il potere in Egitto, Siria e Iraq, in Giordania l'opposizione è stata sconfitta nel 1958 con l'aiuto britannico e la Giordania rimane tuttora uno stato conservatore, dipendente dall'Inghilterra, dagli Stati Uniti e dai paesi arabi conservatori del Golfo, appoggiandosi su un'élite militare e burocratica. A differenza degli altri paesi, dove i regimi statali si sono consolidati, il Libano si è disintegrato nella guerra civile. Il problema era che il paese era dominato politicamente dai cristiani, pur essendo in maggioranza musulmano; inoltre, c'erano conflitti riguardo la questione palestinese: ospitare o meno l'OLP, rischiando di far scoppiare un conflitto con Israele? Nel 1975, in mancanza di compromessi, scoppiò la guerra civile fra due fazioni: Falange (destra nazionalista) - gruppi maroniti - parte di sciiti liberali e favorevoli al non conflitto con Israele; Partito socialista progressista (prevalentemente druso) - Partito nazionalista sociale siriano Partito comunista - raggruppamenti palestinesi. Con il Libano diviso, Siria e Israele intervennero per manovrare la lotta interna. Nel 1976 l'esercito siriano intervenne per impedire una vittoria palestinese che avrebbe potuto compromettere i rapporti della Siria con Israele, mentre nel 1978 Israele intervenne nel sud del paese per sostenere i gruppi cristiani e separatisti (operazione Litani), impedendo il consolidamento dei palestinesi lungo il confine. Nel 1982 infine, Israele invase il Libano (operazione Pace in Galilea) nel tentativo di distruggere la base politica dell'OLP e imporre un regime libanese cristiano favorevole ai suoi interessi a Beirut (in ciò l'elezione alla presidenza del falangista Bashir Gemayel avrebbe dovuto aiutarli, ma egli fu ucciso nel 1982 da un attentato organizzato dai siriani). Intanto, a seguito dell’invasione israeliana del 1982, l'Iran, con l'accordo e l'aiuto dei siriani, inviò molti Pasdaran (Guardiani della Rivoluzione khomeinista) per addestrare alla guerra la comunità musulmana sciita. Fece così la comparsa sulla scena libanese una nuova variante: Hezbollah, cioè il "Partito di Dio", composto da musulmani sciiti. L'escalation di violenza costrinse le potenze straniere ad intervenire con una missione di pace (Italcon): tuttavia, dopo una serie di attentati, le truppe americane, francesi e italiane si ritirarono nel 1984, lasciando il Libano in una situazione precaria: nel 1985 Israele si ritirò. 4.4. Il movimento palestinese. La Palestina è l'unica parte della Mezzaluna Fertile che non sia diventata uno stato arabo. L'idea di un movimento sionista fu lanciata dalla pubblicazione, nel 1896, del libro di Theodor Herzl "Lo Stato ebraico": il sionismo intendeva trasformare una comunità religiosa in una nazione che avesse come elementi costitutivi una storia e una cultura comuni, cui necessitava un territorio in cui stabilirsi. Il caso ebraico era complicato dal fatto che gli ebrei intendevano insediare il loro focolare nazionale in un territorio in cui essi non erano che un'esigua minoranza in seno a una popolazione arabopalestinese; ciononostante, gli inglesi rilasciarono lo stesso la dichiarazione Balfour nel 1917. All'inizio del loro mandato in Palestina, gli inglesi consentirono l'immigrazione degli ebrei, permettendogli di acquistare terre e di organizzare le loro istituzioni politiche: sotto il governo britannico la comunità ebraica crebbe molto. Contemporaneamente, si sviluppò anche il movimento palestinese in opposizione all'occupazione britannica e alla colonizzazione ebraica. La comunità araba era profondamente divisa in molti clan e sottoclan: dotati di una forte identificazione con il clan e la religione, i palestinesi avevano scarso senso della comunità nazionale e ben poche possibilità di organizzare un movimenti nazionale. Negli anni '20 la coscienza politica dei palestinesi fu coltivata da un'élite araba che cercava di costruire una resistenza di massa contro il sionismo, formata da due componenti: i nazionalisti, fondatori del Comitato esecutivo arabo, e i musulmani, guidati principalmente da personalità come al-Hajj Muhammad Amin al-Husayni, capo del Consiglio musulmano supremo e mufti di Gerusalemme, autore di varie sommosse e dimostrazione per fare della Palestina una causa panislamica (denunciava il pericolo del sionismo); in opposizione ad Husayni c'era la famiglia Nashashibi, alleata con proprietari terrieri e mercanti, che diede vita al Partito nazionale nel 1923, che rivendicava la guida del movimento arabo palestinese. Le contrapposizione tra le fazioni generarono aspre rivalità e resero impossibile un'azione coordinata. Inoltre, erano presenti molte rivalità fra arabi musulmani e arabi cristiani: questi ultimi aderirono alla causa palestinese e volevano resistere alla colonizzazione ebraica, ma non presero parte alle sommosse di fine anni '20 contro gli inglesi: per i musulmani era preoccupante vedere i cristiani assumere un ruolo indipendente, mentre i cristiani diffidavano del risalto dato ai simboli musulmani. Nonostante ciò, negli anni '20 si fecero notevoli passi avanti verso la creazione di un'identità e di un movimento nazionale dei palestinesi. Gli anni '30 videro l'inizio di un movimento di massa: si formò l'Associazione dei giovani musulmani ad Haifa, guidata da Izz al-Din al Qassam, il quale predicava contro l'imperialismo britannico e l'insediamento dei sionisti, dando vita a cellule destinate a condurre la resistenza armata; fautore sia dell'azione diretta che di un'autodisciplina puritana, fu lui a introdurre la nozione di azione militante di massa, o jihad, così come termini quali mujahid (guerriero per la fede) e shahid (martire). Al Qassam e i suoi ebbero un ruolo importante nel promuovere le grandi rivolte arabe del 1936-38, schiacciate dagli inglesi, che imposero un'amministrazione militare britannica. Sul finire degli anni '30 il movimento palestinese era riuscito a mobilitare parzialmente le masse, ma le divisioni interne alla dirigenza e la mancanza di una matura coscienza politica nazionale avevano impedito di creare un'opposizione coordinata al dominio britannico e al colonialismo sionista. Nel decennio 1938-48 il conflitto precipitò in una crisi che si rivelò disastrosa per le comunità arabe della Palestina: l'Inghilterra aveva cominciato a modificare la sua politica in Palestina allo scopo di guadagnare l'appoggio degli arabi nell'imminente guerra contro la Germania, pubblicando nel 1939 il libro bianco, che limitava l'immigrazione ebraica e le acquisizioni di terra, respingendo gran parte dei rifugiati ebrei; furono proprio gli ebrei questa volta a scatenare la loro lotta militare contro il mandato britannico, mentre i palestinesi si ricompattarono nella Lega degli stati arabi fondata nel 1945. Nel 1947 l'Inghilterra rassegnò il mandato e le Nazioni Unite stabilirono di dividere la Palestina in due stati: tuttavia, Israele vinse la guerra contro gli arabi affermandosi come stato sovrano nel 1948, seppur cedendo alla Transgiordania alcune zone a est del Giordano e all'Egitto Gaza; i profughi palestinesi furono sparpagliata in Giordania, Libano, Siria e negli altri stati arabi: da questo momento in poi, il problema dei palestinesi fu la privazione della terra che gli impediva di affermarsi come popolo libero e affermare la propria identità nazionale (questa identità, nazionale e laica, poggia però in parte sull'Islam, elemento sempre importante). Tra il 1948 e il 1967, anno della sconfitta di Egitto e Siria nella guerra dei sei giorni, la causa palestinese fu portata avanti dai paesi arabi; dopo la sconfitta però furono i palestinesi stessi a riprendere in mano la loro lotta: creazione dell'OLP nel 1964, di al-Fatah (coalizione parte dell'OLP che rappresenta la popolazione palestinese musulmana, capeggiata da Yassir Arafat) e del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (guidato da George Habash). Questi movimenti però ebbero difficoltà ad affermarsi e subirono diverse sconfitte: in Giordania nel 1970, da parte della Siria negli anni '70 (temendo un predominio palestinese in Libano) e con l'invasione di Israele del Libano nel 1982-85. Queste sconfitte hanno condotto alla frammentazione del movimento in fazioni. 4.5. Nazionalismo arabo e Islam. L'epoca precedente la prima guerra mondiale vide delle lotte per liberarsi dal giogo ottomano e per creare uno stato arabo indipendente: durante questo periodo, il nazionalismo arabo passò da un lessico intrinsecamente islamico a uno di stampo nazionalista. L'arabismo si sostituì all'Islam in quanto tema dominante e il suo linguaggio rimpiazzò quello in cui si erano tradizionalmente espresse l'osservanza e l'azione politica. Nel periodo coloniale il nazionalismo arabo divenne l'ideologia comune alle forze d'opposizione, ossia alle élite politiche e all'intellighenzia. Dopo la seconda guerra mondiale l'identità araba divenne il fondamento di finalità politiche quali l'antimperialismo, la lotta contro Israele e la formazione di regimi politici. Quantunque importanti, il modernismo e il riformismo islamici hanno rappresentato filoni secondari. In Siria, il movimento Salafiyya è stato interpretato in senso conservatore da Rashid Rida, principale discepolo di 'Abduh: secondo lui, l'obiettivo ultimo della restaurazione islamica era una società retta da un califfo, orientata dagli ulema, che avrebbe rivisto le leggi dell'Islam per adeguarle alle esigenze del tempo; egli sottolineò anche l'importanza del jihad e della lotta morale per raggiungere la purezza e la perfezione. Le tendenze laiche e nazionaliste affondano le loro radici nella debolezza degli ulema del XIX secolo. In generale, nel mondo arabo la resistenza alle tendenze laiche veniva da funzionari religiosi di basso rango (insegnanti, predicatori), ma questa opposizione si rivelò inefficace, poiché in generale le istituzioni giuridiche e giudiziarie secolari hanno sostituito la legge musulmana, essendo stati introdotti nuovi codici penali e civili (in Siria e in Iraq si è affermato un doppio sistema di tribunali statali e islamici. Grazie al contatto con i principi occidentali, la riforma giudiziaria ha portato ad accettare il punto di vista modernista secondo il quale la legge non è prescritta per l'eternità ma è suscettibile di venire riformulata di volta in volta secondo le circostanze e gli interessi dello stato. Insomma, l'Islam continua a svolgere un ruolo essenziale per l'identità dei popoli arabi. La coscienza nazionalista araba è ancora legata all'Islam: i teorici del nazionalismo degli anni '20 e '30 sottolineavano come in pratica l'arabismo coincidesse con l'Islam, soprattutto dal punto di vista del lessico. Sulle orme dei pensatori nazionalisti, la gente comune identifica infatti la nazione araba con l'Islam: essere arabo è ancora, prima di tutto, essere musulmano. Sembra che dal 1967 in poi l'Islam stia divenendo sempre più importante per la coscienza politica araba. Mentre le ideologie laiche, di stampo economico e panarabo, sono fallite, la protesta contro il ristagno politico, l'ingiustizia economica e l'alienazione culturale hanno assunto la forma di un ritorno all'autenticità islamica.