SOMMARIO Appello per la ricerca umanistica Appello per la filosofia Siamo convinti, come già Epimenide, che la storia è profezia del passato. E siamo convinti anche che la ricerca storiografica abbia indicato senza esitazioni che sulla persona umana, nella sua natura e nei suoi rapporti, mai fu fatta tanta luce come nella cultura umanistica. Al centro di tutte le sue scoperte e di tutte le istanze, I’Umanesimo afferma che la persona è identica e progressiva in qualsiasi cultura. Di proprio gli umanisti ritengono che la dignità dell’uomo coincida con la libertà e che, grazie alla razionalità, egli è divino: è imago Dei. In tal senso l’Umanesimo è permanenza di radici, di semi e di costume. È dignità dell’uomo la possibilità di governare la vita e di incidere nella storia, perché contro le forze della Fortuna egli oppone la Virtù operosa, ossia creativa. Dignità dell’uomo è ancora il diritto attivo alla libertà di pensiero, di coscienza e di domanda contro ogni costrizione. L’umanista ritiene che dappertutto e in ogni tempo l’uomo abbia le medesime virtù essenziali. Anzi l’umanista propone l’osmosi di queste virtù, ovvero dei pensieri, delle istituzioni e delle conquiste di ogni cultura, passata e contemporanea. Lo dimostrano le concordanze colte nelle civiltà dell’Egitto, dell’Oriente, dell’Ebraismo, del Cristianesimo, dell’lslam e di ogni altra esperienza umana conosciuta: l’Umanesimo è per ciò un crogiuolo. Ed è anche l’idea, espressa anzitutto da Dante, che ciò che non può l’uomo singolo, lo possa la humanitas, ossia il coordinamento, ideale e fattivo, delle capacità umane. Senza questa visione l’umanità sarebbe rimasta sostanzialmente immobile, non sarebbe nata la poesia né la scienza. E perdendo questa visione la scienza moderna, nata dall’Umanesimo, non sarebbe più strumento di conoscenza e di liberazione, ma scientismo, annientamento dello spirito e quindi dell’etica. È per questo che nella crisi gravissima, e tuttavia feconda, che l’umanità tutta intera sta attraversando - col rischio di sostituire ai valori etici e storici l’utile individuale, le divisioni aggressive e il bisogno pigro di autorità ordinatrici - occorre ripensare l’Umanesimo. Per Leonardo è valore primario la fatica della mente nella ricerca del vero. Abbiamo appreso dai maestri di ogni tempo e di ogni popolo che nelle ore della confusione si deve ritrovare il fondamento. Perciò facciamo proprio, e lo estendiamo, un pensiero di Rainer Maria Rilke secondo il quale ad ogni svolta storica l’umanità deve interrogare Michelangelo, che Kant ritiene il primo dei moderni. Noi proponiamo di interrogare l’Umanesimo e domandiamo ai responsabili del governo civile di ogni nazione, e specialmente a quanti nell’Umanesimo riconoscono le proprie radici, di incentivare o di istituire la ricerca umanistica dovunque e in ogni modo possibile, a cominciare dalla scuola. Ma subito, prima che venga smarrito del tutto il senso universale della persona umana e prima che si dissolva la percezione dello spirito e delle sue esigenze. Nonostante sia da tutti riconosciuta l’indifferibilità di un confronto razionale delle esperienze culturali del mondo, l’incontro tra le diverse civiltà è stato ed è segnato da un appiattimento dei costumi e delle forme espressive, oppure dalla perdita della memoria storica: piuttosto che le rispettive virtù, ciascuna civiltà scambia con le altre i difetti, gli aspetti deteriori. In quel crogiuolo di civiltà che fu il mondo classico, è sorto un vitale e perpetuo alimento: la riflessione filosofica, un sapere che ha contraddistinto la nostra storia e a cui dobbiamo i tratti distintivi della nostra civiltà. Tuttavia l’atteggiamento della società contemporanea verso la filosofia non appare adeguato ai problemi del presente. Nelle scuole di molti paesi, I’insegnamento della filosofia e della storia del pensiero scientifico è da sempre ignorato o si riduce sempre più: milioni di giovani studenti ignorano finanche il significato del termine filosofia. Noi educhiamo talenti tecnico-pratici e atrofizziamo il genio dell’invenzione filosofica. Ne consegue che vi sono sempre meno persone che comprendono - o sono effettivamente in grado di comprendere - la connessione dei fattori che costituiscono la realtà storica. E invece oggi il mondo ha più che mai bisogno di forze creative. Per stimolare la creatività abbiamo bisogno di una educazione al giudizio e perciò di uomini educati alla filosofia. Rivolgiamo dunque un appello a tutti i parlamenti e governi del mondo perché venga confermato e rafforzato, o introdotto a pieno titolo, in tutte le scuole lo studio della filosofia nel suo corso storico e nella sua connessione con la storia delle indagini scientifiche - dal pensiero greco al pensiero delle grandi civiltà orientali fino all’oggi - come indispensabile premessa ad un autentico incontro tra i popoli e le culture e per la fondazione di nuove categorie che superino le contraddizioni attuali e orientino il cammino dell’umanità verso il bene. In questa straordinaria e sconvolgente ora della storia, quando il termine «umanità» comincia ad assumere il significato di «tutti gli uomini», vi è necessità di coscienza civile. Vi è necessità della filosofia. L’lstituto Italiano per gli Studi Filosofici, l’lstituto della Enciclopedia Italiana e la Rai Radiotelevisione Italiana Dipartimento Scuola Educazione hanno rivolto questo appello per la ricerca umanistica e la filosofia ai governi e ai parlamenti di tutto il mondo. 2 SOMMARIO 5 CONFERENZA 39 Gadamer e Platone 5 Ragione finita e verità 40 Gracián e la perfezione 40 Bernard Lonergan: le opere 11 SCHEDA 41 NOTIZIARIO 11 La rinascita dell'estetico dallo spirito del pensiero postmetafisico 43 CONVEGNI E SEMINARI 15 AUTORI E IDEE 43 Genealogie e fratture della memoria 15 Ricoeur e il raccontarsi del Sé 45 Frege: filosofia e matematica 16 Ermeneutica ed esistenzialismo in Pareyson 46 Congresso hegeliano a Stoccarda 16 In ricordo di Jurij M. Lotman 47 Il senso del divenire 17 Hegel e la religione 49 Interpretare Dante 18 Lo spirito della grecità 49 Epistemologia senza soggetto 19 Storicismo e filosofia dell’esistenza 50 Filosofia come metafilosofia 20 In ricordo di Daniele Boccardi 21 La geometria: storia di una scienza astorica 51 CALENDARIO 21 Storia dei racconti 53 DIDATTICA 23 TENDENZE E DIBATTITI 53 Positivismo 23 Marxismo, capitalismo, o...? 53 Convegni 24 Interiorità e verità in S. Agostino 25 Metafisica e fisica matematica 57 STUDIO 25 Il simbolo e le sue forme 57 Sulla “ragion pratica” di Kant 28 La filosofia politica di Rosmini 58 Compendi di filosofia 29 Stirner e la rivolta 59 Una nuova storia della filosofia 30 L’esperienza delle cose nella società moderna 60 La felicità del pensiero nel Medio-Evo 30 Heidegger, il logos e la parola 31 Primo piano: Menone e l’ago nel pagliaio: le banche dati per la filosofia 62 RASSEGNA DELLE RIVISTE 67 NOVITÀ IN LIBRERIA 37 PROSPETTIVE DI RICERCA 37 L’ eredità di Wittgenstein 38 Barthes: ‘Oeuvres complètes’ 38 Realismo senza dogmi 3 CONFERENZA Hans-Michael Baumgartner (foto di M. Totaro) 4 CONFERENZA Nell’ambito del ciclo di conferenze “La filo- ragione, cioè è prima dell’apertura alla smen- può andare all’infinito, perché, diventando sofia in Germania oggi”, organizzato dal tita medesima. La ragione è argomentativa assoluta, essa pone se stessa. Baumgartner Goethe-Institut di Milano in collaborazione in quanto è prima di essere argomentazione: ha però a sua volta obiettato che questa con il Dipartimento di Filosofia dell’Univer- il prius è qui costituito dal fatto della ragione. riflessione, continuamente retrocedente risità degli Studi di Milano, il 23 marzo 1993 Baumgartner ha indicato come centrali, nel- spetto a se stessa, resta estrinseca rispetto si è tenuta presso l’Ateneo milanese una la propria prospettiva, due temi. Il primo è alla propria essenza; proprio per questo moconferenza di Hans-Michael Baumgart- rappresentato dal motivo, pensato in funzio- tivo essa non raggiunge mai uno stato di ner, introdotta da Vincenzo Vitiello, con la ne antiidealistica, della finitezza della ragio- assolutezza. In altri termini, secondo Baumpartecipazione di Carlo Sini. Tema della ne, contrapposto alla tesi relativa alla sua gartner, la riflessione in Kant non rappresenconferenza è stata la filosofia trascendentale assolutezza; pretesa, quest’ultima, fondata ta il movimento della cosa, ma quello sulla nel suo significato, la sua portata, i suoi sull’identità della coscienza con ciò che essa cosa; per questo la cosa non viene mai colta obiettivi. percepisce. Il “ritorno a Kant” si qualifica dalla riflessione come totalità e la riflessione Introducendo il dibattito, Vitiello ha soste- perciò, anzitutto, come riproposizione del non può mai porsi come assoluta, restando il nuto che i molti tentativi che dalla metà del valore dell’io-penso in quanto modello non prodotto di una ragione finita. secolo scorso si sono qualificati come “ritor- assoluto di interpretazione della realtà. Il Riguardo al concetto di finitezza della ragiono a Kant” hanno avuto come significato la secondo tema, correlato al primo, riguarda la ne, sulla quale paiono concordare Baumsconfitta della ragione finita. Esemplare il questione della fattualità della ragione. La gartner e Vitiello, Sini ha sostenuto che si caso di Dilthey dove, a parere di Vitiello, il ragione finita non può fondare se stessa, non perviene a una nozione di finitudine improprogetto di una teleologia della storia rivela può regredire fino ad attingere l’infinità, pria, finché la finitezza della ragione vien la propria trama hegeliana. Il tentativo di proprio perché naufraga nella propria fattua- fatta discendere dall’affermazione secondo Heidegger, attuato in Sein und Zeit, di fon- lità. In effetti, con le tre Critiche, ha osserva- cui le conoscenze umane sono finite, cioè dare la ragione finita kantiana si limitate. A un’impostazione sifrealizza nel progetto, ancora una fatta, ha osservato Sini, appartieGoethe-Institut di Milano volta di stampo hegeliano, sottene la posizione di Apel, che si in collaborazione con so al passaggio dalla Daseinarivela appunto tautologica; in lui Università degli Studi di Milano nalyse (analisi dell’esserci) alla la ragione finita è quella che perSeinsgeschichte (storia dell’estiene ai dialoganti, in quanto la sere). Secondo Vitiello, solo con ragione dei dialoganti viene deApel, il cui “ritorno a Kant” è finita come finita. Baumgartner scevro dalle ipoteche hegeliane ha ribadito di ritenere la ragione e aperto, invece, al discorso scien“finita” come “non assoluta”: il tifico e alla dimensione della coconcetto critico di ragione finita municazione, la prospettiva non prevede affatto una concemuta, laddove si segnala un’atzione della ragione medesima, tenzione alla questione etica. In concepita come una sorta di deApel il carattere, per Heidegger, minutio della ragione divina. Di di Hans Michael Baumgartner “destinale” del dominio della tecquest’ultima, infatti, non cononica diviene espressione della sciamo nulla. Anche Vitiello, da responsabilità dell’individuo nel parte sua, rifiuta un rapporto comsuo essere storicamente deterparativo tra ragione finita e infiminata; in questo modo il “ritornita, preferendo ricorrere all’imno a Kant” operato da Apel è magine di un medio che non effettivamente ritorno alla ragiomedia tra finito e infinito, ma ne finita. Il rischio solipsistico tiene sospeso il finito alla sua viene rimosso alle radici per il fallibilità. Per Vitiello, la finitezfatto che ci si colloca nella proza della ragione consiste nel fatspettiva, originariamente interto che essa, nel suo “dar ragione” soggettiva, del linguaggio argomentativo to Baumgartner, Kant non fa altro che tenta- fondativo, pone capo a una posizione che delle scienze, concepito come immediata- re di decifrare questo “fatto”. riconosce l’impossibilità di dare una ratio, mente sociale. Nella riflessione heideggeriana relativa alla intesa come causa, agli enti. Per questo, In effetti, Baumgartner considera Apel come questione del fondamento, al Satz vom Grund, paradossalmente, la ragione si qualifica come costante punto di riferimento, seppure in che dimostra come tale “fondamento” non “fatto trascendentale”, cioè come Faktum, e modo spesso critico. Il terreno è il medesi- sia esplicabile se non filosoficamente, po- non come Tatsache. A questo Sini ha obietmo, quello della scienza; pur nella sua speci- nendolo sempre come già conosciuto in modo tato che così facendo si rischia di riproporre ficità, fin dalle origini la filosofia - che non è aprioristico, Baumgartner ha indicato la ra- ciò che Hegel definiva “cattiva infinità”: il cognitio ex principiis, bensì cognitio princi- dice della propria critica ad Apel; questi, “fatto” della ragione rischia di assumere le piorum - si dichiara epistéme. La specificità appunto, riassorbirebbe il fondamento in ciò caratteristiche dello sprofondamento infinidella filosofia risiede proprio, a parere di che viene fondato, il trascendentale nell’em- to nell’insignificanza. Accogliendo, contro Baumgartner, nel suo carattere “trascenden- pirico, mentre Kant avrebbe ammesso la Sini, le indicazioni di Vitiello, di quest’ultitale”. Esso consiste nel continuo ritrarsi del- possibilità che le scienze non siano fondate. mo Baumgartner ha accettato l’esposizione lo sguardo filosofico, nel suo collocarsi sem- Vitiello ha però espresso il proprio scettici- della nozione di “fatto trascendentale”, pre un “passo indietro” nei confronti del già smo relativamente al fatto che su questa rilevando come esso possa effettivamente saputo, nei confronti del sapere costituito. A strada, dopo Hegel, si possa effettivamente porsi come quel regresso, che si determina partire da questa posizione, Baumgartner giungere a Kant. Egli ha infatti sostenuto che nella dinamica che ha luogo a partire dalla critica la pratica filosofica di Apel, che si se si vuole rappresentare la riflessione filoso- “possibilità della condizione di possibilimuoverebbe, a suo parere, nell’ambiguità tra fica come un continuo differenziarsi da sé tà”, a patto che in tale nozione fondativa di il livello della fondazione trascendentale e stessa, sempre un “passo indietro” rispetto a “possibilità” venga compresa anche l’imquello della ricerca empirica. Per Baumgart- se stessa, occorre che la riflessione neghi se possibilità; a patto, cioè, che essa non ner è possibile alla ragione finita aprirsi alla stessa, proprio come aveva indicato Hegel. venga pensata a partire dalla contrapposismentita solo in quanto essa è, appunto, La riflessione deve cioè riflettersi in sé; non zione fra possibilità e realtà. F.C. Ragione finita e verità 5 CONFERENZA contenuti. In questo risiede un’essenziale conoscenza di sé della ragione: la ragione umana è autonoma, ma non assoluta. Sebbene sia fonte di conoscenza a-priori, non empirica e indipendente dal discorso, in linea di principio, riguardo al sapere contenutistico che si costituisce per il suo tramite, la ragione è incompiuta, superabile, storica. In quanto ragione finita essa rinvia il nostro conoscere a una dimensione di apertura - poiché il sapere soggiace alla determinazione fondamentale di un’apertura condizionata in senso trascendentale. Sul terreno di condizioni strutturali a-priori, essa apre anche alla filosofia lo spazio dell’esperienza: l’esperienza del pensiero. Il testo che segue rappresenta la rielaborazione di Hans-Michael Baumgartner delle considerazioni da lui svolte nella conferenza all’Università degli Studi di Milano. I II La questione della verità è fin dall’inizio una questione centrale della filosofia; essa si presenta in modo particolare nella misura in cui la filosofia viene interrogata riguardo alla sua possibile verità, ovvero alla sua specifica verità, e con ciò viene messa nella necessità di comprendere se stessa. Idea guida di questa comprensione di sé è naturalmente la questione della ragione, ovvero delle possibilità e dei confini di quella facoltà fondamentale dell’uomo che - per dirla in modo tradizionale - lo caratterizza come animal rationale, come essere che ha la capacità specifica di pensare, di volere e di agire; in altre parole lo caratterizza come essere razionale finito. In quanto essere di questo tipo l’uomo si realizza e si concepisce come un rapporto che si riferisce a se stesso (si pensi alla penetrante definizione di Kierkegaard) e che in quanto tale include una relazione con il mondo e con l’incondizionato. Posto tra finitezza e infinità, tra determinatezza e indeterminatezza, l’uomo soggiace alla legge dinamica dell’opposizione limitativa. Questa struttura dell’esistenza umana costituisce l’oggetto genuino della riflessione filosofica, il suo tema centrale. Per questo motivo la filosofia, in quanto analisi e teoria di questa struttura apriori, è nel suo nucleo critica della ragione finita: cognitio principiorum, conoscenza dei principi del nostro sapere. Seguendo il suo oggetto, essa sviluppa gradualmente i momenti costitutivi della propria struttura e concepisce infine i concetti più comprensivi della ragione umana, le idee trascendentali: in ambito teoretico, le idee di totalità (anima, mondo, Dio), nelle quali viene progettato, in un modo di volta in volta specifico, un elemento incondizionato e con ciò una dimensione fondamentale della conoscenza possibile; in ambito pratico, l’idea di umanità, in quanto elemento incondizionato della libera persona morale. Ottenute tramite un’analisi autoriflessiva del sapere e dell’agire, le idee teoretiche risultano essere idee necessarie, ma non oggetti di una conoscenza possibile; al contrario, l’idea pratica dell’incondizionato viene riconosciuta come evidenza fondamentale del modo in cui l’uomo ha se stesso e il mondo. Dal collegamento di tutto ciò risulta un concetto ben determinato del mondo della vita umana e della molteplicità del sapere possibile, subordinata alle sue dimensioni costitutive, anche della storia. Le idee teoretiche di totalità sono principi regolativi della ricerca, dell’ampliamento sistematico e del completamento della nostra conoscenza. Esse offrono una sistematica dimensionale del sapere possibile, dalla quale segue al tempo stesso che la conoscenza filosofica non è in grado di raggiungere la compiutezza definitiva di un sistema di contenuti. In questo modo, appunto, la filosofia protegge la ragione da valutazioni sbagliate, da un’errata posizione assoluta del tipo della ragione = sostanza hegeliana, ma anche, all’estremo opposto, da una ragione del procedimento priva di I II III La questione della verità nasce da un interesse originario per un orientamento fidato della vita: è una questione fondamentale della vita umana. In quanto attraversa tutti i rapporti vitali, in essa conoscere e agire, teoria e prassi sono ancora indistinti. Per questo motivo la questione della verità anche non coincide con la domanda di Pilato: «che cos’è la verità?«, che piuttosto presuppone già un atteggiamento riflessivo e scettico. Al contrario la questione originaria della verità è la questione circa l’insieme di ciò che possiamo sapere in modo fidato su noi stessi e sul mondo, di ciò di cui possiamo fidarci. Vero è ciò che vale, ciò che è fidato, ciò che conta. Proprio per questo si può parlare correttamente tanto di un vero amico, quanto di una asserzione vera e di un accadimento vero. Questa comprensione immediata della verità diventa un problema solo quando diventano problematiche la validità e la fidatezza stesse, e devono con ciò essere interrogate riguardo alla condizione della loro possibilità, cioè riguardo al loro fondamento. Se ci si domanda in che cosa consista il fatto che qualche cosa sia vero, che valga e che di conseguenza ce ne si possa fidare, allora si approda a quel livello di riflessione che si sviluppa storicamente e in cui la verità stessa viene tematizzata e diventa un problema. Si dà effettivamente qualche cosa di vero? Dove risiede il suo fondamento e come si può concepirlo e giustificarlo? Nella conseguenza di questa direzione problematica emergono tutte quelle differenziazioni che costituiscono i problemi parziali del problema filosofico della verità. La prima conseguenza consiste nel fatto che la questione della verità venga teorizzata. Fidatezza e validità si separano, in quanto ci si può fidare di qualche cosa nella misura in cui essa vale; ma non viceversa. La validità è primariamente una determinazione del nostro sapere, un carattere della nostra conoscenza delle cose. Ma con ciò la teoria viene subordinata alla prassi, la conoscenza all’azione. La seconda conseguenza è la differenziazione e lo sviluppo dell’orizzonte, all’interno del quale noi poniamo teoreticamente la questione della verità: una cosa è porre la questione di ciò che intendiamo per verità; un’altra è chiedersi in che modo possiamo decidere tra verità e falsità; un’altra ancora è porre la questione dei presupposti o della funzione e rilevanza della 6 CONFERENZA S. Tommaso D’Aquino, affresco di Andrea di Bonaiuto (part.) 7 CONFERENZA sta a un mutamento storico. Tuttavia questa storicità non si riferisce alla struttura della verità stessa, ma alla sua interpretazione. In questa misura è ancora valida la formula strutturale classica veritas est adaequatio rei et intellectus: la verità è la concordanza di cosa e ragione. Questa determinazione è formale e dunque è una mera spiegazione nominale, ma non una formula che garantisca circa la verità della conoscenza umana. Essa potrebbe anche essere riformulata come segue: se si dà verità, essa ha la sua figura compiuta nel fatto che una cosa (la realtà effettuale) viene portata a rappresentazione, tramite la ragione, nel modo in cui essa è in se stessa. La struttura della verità contiene così una relazione di due grandezze diverse: cosa e ragione. Questa relazione è però una relazione all’interno del linguaggio e della ragione. Se essa deve essere dotata di senso in quanto relazione, la cosa di cui si parla come di uno dei membri della relazione deve essere non solo delimitabile, ma anche, sotto un certo profilo e almeno in modo rudimentale, anche già dischiusa. Ma proprio questo significa che alla struttura della verità appartiene come momento fondamentale il carattere manifesto della realtà effettuale, ovvero, in termini classici, la verità trascendentale. Nella sua famosa raccolta di definizioni, De veritate I, 1, Tommaso d’Aquino lo chiama il momento «in quo verum fundatur» e introduce per questo la definizione di Agostino da Soliloquia II: «verum est id quo est»: ciò su cui si fonda la verità è ciò che è. Potremmo anche dire: la realtà effettuale è già sempre e necessariamente dischiusa ed è già sempre entrata nell’orizzonte del linguaggio e del conoscere. Essa viene concepita e appresa linguisticamente. Una logica trascendentale può mostrare in che modo questo esser-appreso della realtà effettuale venga elaborato linguisticamente e strutturalmente sul cammino della conoscenza umana. Essa porta a conoscenza il fatto che il giudizio, portando a rappresentazione e affermando uno stato di cose, rappresenta la configurazione gnoseologica primaria del compimento della verità. Il luogo della conoscenza della verità è il giudizio. Alla sua formazione appartengono momenti strutturali a-priori dell’esperienza, concetti dell’intelletto in senso kantiano, che possono essere a loro volta formulati attraverso giudizi, le leggi del nostro intelletto. Ma anche, se il luogo primario della conoscenza della verità è il giudizio, con questo non è affatto detto che ogni giudizio sia vero, e non è detto che ogni giudizio vero sia già provato nella sua verità. La questione del modo in cui i giudizi possono essere dimostrati veri conduce in maniera conseguente alla questione dei criteri della verità. Di tali criteri se ne danno molti, secondo il tipo di giudizio con cui si ha a che fare. Come ambiti in cui si suddividono tali criteri si potrebbero menzionare i seguenti: osservazione, esperienza, derivabilità logica da altri giudizi, connessione contestuale con altri giudizi (Rescher), inseribilità sistematica in un contesto di coerenza (Puntel), riscattabilità della pretesa di validità che viene affermata con il giudizio in un discorso argomentativo, il quale deve soggiacere a condizioni tali che il consenso a cui in esso si mira possa apparire come un consenso fondato (Habermas). In quanto tutti questi criteri non conducono a una validità conoscenza della verità. In quanto tutte queste domande hanno il loro punto di riferimento nella definizione di verità, il problema filosofico della verità si cristallizza anzitutto nella questione di fondo di cosa significhi verità: fidato è ciò che è valido teoreticamente. Valida teoreticamente è quella conoscenza che porta ad espressione ciò che accade. Se s’intende l’essere come insieme di ciò che accade e il sapere come insieme di conoscenze possibili, ciò che intendiamo come verità si può allora circoscrivere in quanto accordo di sapere ed essere. A partire da ciò, come terza conseguenza, il problema della verità si dà alla filosofia come la questione delle condizioni sotto le quali la verità, cioè l’accordo di sapere ed essere, è possibile. Il problema filosofico della verità nasce dall’interesse vitale dell’uomo per ciò che è fidato. Il nostro orientamento nel mondo è fidato quando si basa su una conoscenza della realtà. Una conoscenza della realtà è vera solo quando essere e sapere concordano. Ma come si può essere sicuri di questa concordanza? Sotto quali presupposti essere e sapere possono concordare? Da che cosa si può riconoscere questa concordanza in casi concreti? E’ questo spettro di problemi che dà avvio e determina costantemente la storia del chiarimento filosofico della verità. II III IV La storia del problema della verità nella prospettiva filosofica è una storia di spostamenti essenziali di orizzonte. La garanzia della verità della conoscenza umana, il fondamento dell’identità di essere e pensiero si sposta da una realtà dell’essere di carattere ideale o divino, fondata in un atto creativo, alla certezza di sé della soggettività e alla fine scompare. Con ciò anche la problematica della verità si sposta da una comprensione logico-ontologica della verità a un problema di analisi semiotica ed ermeneutica del linguaggio. La questione della sostanza della verità e delle sue condizioni di possibilità viene sostituita dalle questioni dei criteri, delle condizioni, della rilevanza della verità. La verità viene naturalmente ancora definita dalla concordanza di essere e sapere, essere e pensiero, realtà e linguaggio, fatto e asserzione, ecc.; ma questa definizione, per quanto precisamente possa venir sviluppata, viene intesa solo come chiarimento nominale della verità, come indicazione di ciò che intendiamo con verità. Nel migliore dei casi essa è oggetto di acume riflessivo, ma non più un tema della speculazione filosofica. Il nuovo luogo della problematica della verità è il linguaggio. III IV V La conoscenza umana si realizza nel medium del linguaggio. Con la sua storicità e finitezza sono date anche la finitezza e la storicità della conoscenza umana. Per questo già la comprensione della verità è sottopo8 CONFERENZA dentale apre l’accadere della verità a tutte le figure dello spirito, che guardano al mondo in modo universale e insieme prospettivistico. Filosofia, scienza, religione e arte sono modalità dell’accorgersi di sé dello spirito e con ciò modalità della schiusura del mondo. Alla loro base stanno le capacità creative dell’uomo di orientarsi nel suo mondo in quanto essere finito e di dischiudere al suo esserci possibilità di senso. Queste esperienze hanno certo bisogno, per essere comunicabili, della forma del giudizio e soggiacciono nel loro essere riferite a cose e nella loro aspirazione alla verità, nella misura in cui questo deve essere affermato in modo universalmente valido, alla possibile critica della filosofia e della scienza. Tuttavia esse sono, per i loro contenuti, opere spirituali che hanno un proprio diritto. In esse si realizza, in modo di volta in volta specifico, l’opposizione limitativa, che caratterizza la struttura della ragione tra finitezza e infinità, incondizionatezza e condizionatezza, non-oggettualità e oggettualità. Il loro rapporto con la filosofia può essere determinato storicamente e sistematicamente più da vicino: storicamente la religione si trova all’origine della storia della coscienza dell’umanità. Nel processo dello sviluppo sociale essa si differenzia in arte, filosofia e infine scienza, le quali si sviluppano progressivamente in figure autonome dello spirito. Le società industriali moderne possono essere caratterizzate dal fatto che i suddetti prodotti dello spirito sono diventati sistemi autonomi, con un proprio significato e una propria storia. Da questo processo di distacco e di differenziazione deriva non solo il pluralismo dei sistemi della cultura, ma anche la tendenza per cui ognuno di questi sistemi cerca di subordinare a se stesso gli altri. Nascono così mutevoli dominanze e si formano gerarchie, rimozioni e dissolvenze di singoli sottosistemi dello spirito: rapporti dinamici con problemi di delimitazione e zone di conflitto. Queste mutano o si spostano; sono oggetto di discussione storica. Dal punto di vista sistematico, alla filosofia spetta tuttavia una preminenza formale: la filosofia è teoria della struttura della ragione del sapere finito nel medium della riflessione concettuale. In conseguenza della sua autocritica, al tempo stesso storica e sistematica, essa non può più intendere se stessa come ragione assoluta, ma solo come ragione critica, che di per sé è in grado solo di delineare il contesto di determinazione delle altre figure dello spirito, ma non i loro contenuti. In rapporto alla scienza, all’arte e alla religione, la filosofia può concepire se stessa solo come interlocutore critico in un dialogo, ma non come tutrice. In questo modo le altre figure dello spirito sono concorrenti autonomi nell’interpretazione del senso della vita umana. Come però il luogo della verità è formalmente il giudizio, così le diverse dimensioni dell’accadere della verità sono riferite formalmente alla filosofia. In questo riferimento si manifesta la funzione critica e correttiva della filosofia, della ragione critica, che ha imparato a concepire se stessa come ragione finita e storica. La filosofia ha bisogno del momento creativo della scienza, dell’arte e della religione; al tempo stesso, però, essa è ancora il luogo rappresentativo e il punto di riferimento dell’accadere finito della verità che in quelle si rappresenta. (trad. it. di M.M.) ultima dei giudizi, la conoscenza umana, nel campo del sapere empirico, resta in linea di principio ipotetica. Non possiamo qui discutere fino a che punto la conformità logica a una legge e anche le leggi trascendentali del nostro sapere empirico, così come la legge fondamentale della ragione pratica, costituiscano una eccezione rispetto a tale ipoteticità. E’ però indubbio che anche queste conformità a leggi apriori della ragione umana soggiacciono alla storicità del linguaggio umano. Il nostro sapere contenutistico sul mondo e su noi stessi non può essere in ogni caso fondato in quanto vero; una verità assoluta in questo senso ci è preclusa. Tuttavia, anche in questo accadere finito della verità si mostra qualche cosa di reale effettuale, di modo che Tommaso potrebbe dire a buon diritto ancora una volta: ciò che deriva dai nostri giudizi è il manifestarsi di ciò che è, «Verum est manifestativum et declarativum esse»; o, come aveva detto Agostino: «veritas est qua ostenditur id quod est» (De vera religione, cap. XXXVI). Nell’accadere della verità il reale diventa manifesto. Questo accadere della verità è qualcosa di finito, ma è orientato all’idea della verità che traluce nella menzionata formula strutturale della verità. Non siamo in grado di giungere alla completa concordanza di res e intellectus; tuttavia questa concordanza è l’idea che abbiamo in mente di una verità completa, di un’identità assoluta di pensiero ed essere. Questa idea è l’idea del sapere divino, l’ideale trascendentale di una omnitudo realitatis (Kant), che dobbiamo pensare necessariamente, ma che non possiamo riscattare gnoseologicamente. Nella struttura della verità e nell’accadere finito della verità si mostra così la struttura generale della ragione finita, ben nota a partire da Kant: la ragione finita è costruita con le autonome, eppur reciprocamente connesse facoltà della sensibilità (intuizione), dell’intelletto (concetto) e della ragione in senso stretto (idee). La sua conoscenza empirica è inconclusa e aperta, seppure essa pensa necessariamente l’idea dell’incondizionato. La sua struttura fondamentale è quella di una opposizione limitativa: ciò che viene da essa realizzato e prodotto in quanto opera spirituale è determinato dall’opposizione di finitezza e infinità, condizionatezza e incondizionatezza. Dal punto di vista gnoseologico non siamo in grado di giungere all’incondizionato; al tempo stesso però l’incondizionato è un’idea necessaria. Questa idea conferisce orientamento e senso all’aspirazione alla conoscenza in tutte le sue forme, così come nella sua processualità. IV V L’accadere finito della verità non è limitato all’esperienza in senso generale, alle scienze e alla filosofia. La verità si dischiude anche nelle altre figure della spiritualità riflessiva, nell’arte e nella religione. La verità trova sì il suo luogo sistematico nel giudizio, ma la sua esperienza non è affatto delimitata a un accertamento di carattere empirico, concettuale e teoretico. Nella struttura della verità, proprio il momento trascen9 SCHEDA Raymond Hains, La foire aux skis (1988) 10 SCHEDA «Dal concetto di estetica filosofica promana un sapore di tuttavia un pò sconcertante, se pensiamo che questo vecchio, un po’ come succede al concetto di sistema o di stesso autore si dedica ostinatamente all’“estetica dello morale». Quando nel 1969 Theodor W. Adorno aprì con stato”, interpretando la politica e i fenomeni attinenti alla questa frase la sua “Protointroduzione” alla Teoria este- sfera pubblica nei loro tratti simbolici ed estetici. Ma tica, si fece guidare in questa scoraggiante valutazione questa confusione la si può considerare nell’insieme da una doppia prospettiva. Da un punto di vista interno come sintomatica dello stato attuale della discussione. alla teoria, egli ha presente davanti a sé l’estetica filosofica come sistema, così come essa è stata, in modo Pensiero postmetafisico. Chi parla di riabilitazione, titanico, presentata da Hegel e trascinata, nonostante dà ad intendere che con ciò si annuncia una reintegraziomolteplici inizi antisistematici, ancora per tutto il XX ne di precedenti diritti e il ristabilirsi delle capacità. secolo. Ma della forza hegeliana del pensiero sistematico Entrambe le cose vengono negate all’estetica ad opera di è rimasto soltanto uno scetticismo abissale o una filoso- quelle due direrzioni tradizionali dello sviluppo posthefia della Weltanschauung di tipo provinciale-accademi- geliano, in cui la filosofia, come ha descritto Herbert co. Da un punto di vista esterno alla teoria, Adorno volge Schnädelbach nel suo libro La filosofia in Germania lo sguardo indietro all’evoluzione dell’arte moderna, 1831-1933, si trasforma in scienza dello spirito, storicizche ha preso sul serio la propria autonomia, e lascia zante o filologizzante, oppure elegge a proprio modello dietro di sé i tentativi, da allora apparentemente senza lo scientismo. Soltanto in una terza direzione, nella quale speranza, di comprenderla teoreticamente. Il risultato è la filosofia, per le vie traverse della critica della filosofia lo stesso su entrambi i piani: l’estetica filosofica smarri- a se stessa, si fonda nuovamente come critica o come sce il proprio oggetto. Dal pensiero esistenziale, vieconcetto, malamente unine conservato all’estetica il versale, di estetica promasuo diritto, o addirittura rafna, dunque, l’espressione forzato. Questa direzione dell’antiquato. va da Kierkegaard, attraMa al disinteresse per verso Nietzsche, fino a l’estetica si aggiunge un Heidegger e alla prima teoaltro motivo. E’ il sospetto ria critica. E questa direscientifico nei confronti di zione viene oggi portata ciò che non è consolidato avanti in modo estremacon sicurezza, che nel cammente energico. Purtuttapo dell’estetico presenta invia, vengono accolte solledi Josef Früchtl dubbiamente un fondamencitazioni provenienti anche tum in re. In questa descridalle altre due tradizioni. zione di motivi, Adorno Ciò rende nuovamente s’incontra con Hans-Georg comprensibile lo stato difGadamer. Quasi dieci anni fuso e confusionale delle prima, questi pubblica il suo discussioni attualmente in opus magnum, che già nel atto. Alla riabilitazione deltitolo traccia la linea decil’estetica filosofica hanno siva di demarcazione. La contribuito oggi molte mena cura di Riccardo Ruschi verità viene contrapposta al ti diverse, allo stesso modo metodo, scientificamente esercitato, e viene, invece, messa che nel precedente caso della filosofia pratica. Nel caso scoperto nell’esperienza dell’arte. dell’estetica, però, queste menti hanno tutte una cosa in Trenta, anzi più precisamente, vent’anni dopo, la situa- comune: pensano in modo fondamentale e, rispetto alla zione si è completamente mutata. L’estetica filosofica filosofia posthegeliana avutasi finora, in modo ancora risplende con rinnovato fulgore, tanto che per spiriti più decisamente postmetafisico. audaci potrebbe sembrare che con ciò si annunci, come Nella filosofia posthegeliana, la critica della metafisica si due secoli fa, una nuova fioritura della filosofia in genere. esercita nel modo più veemente nei confronti della tradiDopo che era stata introdotta con successo, all’inizio zione scientifica. Essa raggiunge il suo punto più alto degli anni ’70, la “riabilitazione della filosofia pratica”, quando l’analisi linguistica e la teoria della scienza, a ha fatto seguito l’estetica filosofica con non minore partire dall’inizio del XX secolo, si orientano verso la successo. Ciò che Jean Paul, all’inizio del XIX secolo, logica matematica come paradigma della razionalità. In formulava in tono annoiato: «Di nient’altro pullula di più questo quadro d’insieme, le questioni estetiche, così la nostra epoca quanto di esteti», celebra oggi una felice come quelle etiche, vengono squalificate in quanto “inrinascita. sensate”. Tale prospettiva muta fondamentalmente nel Ma al recente congresso di Hannover su “L’attualità momento in cui questo quadro d’insieme si spezza, e si dell’estetico” 3-5 settembre il tono era ben più allarmato: spezza in modo tanto più completo, quanto più la critica «Un terrore incombe sulla terra: l’accettazione dell’este- si sviluppa a partire dalla sua propria disciplina, nel tico». Con questa espressione Karl Hein-Bohrer, meglio duplice senso della parola. Questo succede soprattutto conosciuto come enfant terrible del dibattito culturale in col tardo Wittgenstein e continua oggi in linea diretta con Germania, ha lanciato il grido d’allarme, in maniera Richard Rothy. Non più un linguaggio ideale, ma la La rinascita dell’estetico dallo spirito del pensiero postmetafisico 11 SCHEDA “parzialmente” estetica può essere ingigantita fino a una posizione “fondamentalmente” estetica. Come verifica di entrambe le posizioni, potrebbe essere compresa la questione di come, in un certo modo, l’oggettività, nella sua generale validità postmetafisica, possa essere fondata sulla soggettività. Tale questione, che con Kant viene imposta in senso teoretico-conoscitivo alla filosofia, è familiare all’estetica sin dal suo inizio, da Baumgarten in poi, ma se ne derivi per essa una particolare competenza nel rispondere a questa questione, non è così semplice da dire. lingua quotidiana diventa pietra di paragone e strumento terapeutico per problemi filosofici. Sull’estetica analitica questo cambiamento ha intanto agito in modo molteplice e stimolante. Lo scientismo, che per Gadamer e Adorno si firma ancora come avversario d’acciaio, attraverso la sua autocritica contribuisce così, con qualche ritardo nella ricezione a livello europeo-continentale, alla rinascita dell’estetica dallo spirito del pensiero postmetafisico ormai non più ostacolato neanche scientificamente. In quanto postmetafisico, il pensiero attuale si riconosce, dal punto di vista teoretico-razionale, nell’accentuazione della pluralità delle forme razionali e dei giochi linguistici, dal punto di vista teoretico-conoscitivo, nel riconoscimento di categorie quali “differenziatezza” o “sensibilità”, dal punto di vista ontologico nel tener fermo al sensibile di contro al sovrasensibile, all’apparenza mutevole di contro all’essenza profonda e immutabile. Sotto ognuno di questi tre aspetti la filosofia trova rifugio nell’estetica. In nessuna disciplina filosofica il fattore della pluralità, quand’anche inizialmente più per necessità che per virtù, viene così prontamente accettato come nell’estetica; in quasi nessuna (un’etica aristotelica può avere qui ampio gioco per avanzare pretese di concorrenza) l’aisthesis, la facoltà percettiva, viene maggiormente richiesta, e in nessuna la sensibilità viene così benevolmente difesa, addirittura eretta ad oggetto lascivo del godimento, e affermata l’apparenza, senza riserve, come oggetto del gioco e la realtà come finzione. La conseguenza è che quel pensiero che viene preformato dall’estetica, il “pensiero estetico” (Wolfgang Welsch), deve essere ritenuto quello propriamente adeguato. Questo pensiero, rappresentato da Michel Foucault, Jacques Derrida, Jeans-François Lyotard, Paul Feyerabend e Richard Rothy, è estetico non primariamente perché fà dei fenomeni estetici il proprio oggetto, bensì perché si lascia plasmare nella forma del suo pensare da fenomeni stessi dell’estetico. La riabilitazione dell’ “estetica filosofica”, a tale riguardo, è soltanto un derivato della riabilitazione della “filosofia estetica”. A questa appartengono già i dialoghi platonici. Ancora una volta si rivela la dipendenza - riscontrabile, comunque, a partire da Platone - dell’estetica dalla teoria gnoseologica. Mentre, però, una volta le spettava dipendentemente un posto modesto, oggi le viene offerto il posto d’onore. In un ultimo atto di sovranità, la gnoseologia conferma l’estetica, in quanto disciplina filosofica specialista dell’estetico, nuova sovrana. Questa incoronazione, tuttavia, si tira dietro un effetto spiacevole per una filosofia che, in quanto decisamente postmetafisica o “postmoderna”, vuole rinunciare ad ogni fondamento. Essa indulge, cioè, ad un nuovo fondamentalismo, anche se a un fondamentalismo di tipo vano, o per meglio dire elegante, che si compiace di perdersi in sottigliezze e in ampie metafore. Solo una entusiastica sopravvalutazione dell’estetico può arrivare ad affermare che la filosofia, nel suo insieme, debba ricrearsi esteticamente. Vi sono certamente ambiti problematici - come quello ad esempio del “buon vivere”, tradizionalmente coltivato in senso aristotelico - che non possono essere adeguatamente compresi senza l’ausilio dell’estetica. Ma, solo a prezzo di una rozza indifferenziazione, questa posizione Etica antiuniversalistica. La critica protratta della metafisica è il primo importante fondamento dell’attualità dell’estetico. Essa ha conseguenze immediate per l’etica. A questo proposito, è soprattutto sul versante del postmodernismo, cioè di Foucault, che riallacciandosi alla morale autonoma e individualizzata di Nietzsche rimette in discussione l’ “estetica dell’esistenza”, l’idea di una vita plasmata in senso analogo dall’arte. Sul versante del neoaristotelismo, in forma più attenuata, vengono rivendicate idee simili da Charles Taylor, Martha Nussbaum e Alasdair MacIntyre. L’etica aristotelica del “buon vivere” detiene il primato davanti alle etiche kantiano-universalistiche della giustizia. Alla riattualizzazione dell’estetica e del pensiero estetico contribuisce, nell’ambito dell’etica, l’interesse, risvegliato da motivi epocali, per un’etica “ecologica”. Qui il regresso all’estetica è ovvio, poiché da un lato uno dei temi di questa etica è sempre stato un rapporto diverso con la natura, dall’altro, come si può da ultimo notare in Adorno, essa può compensare delusioni storico-filosofiche e utopiche. Anche nell’ambito speciale dell’estetica ecologica della natura, viene in primo piano l’aspetto dell’aisthesis, una teoria della conoscenza sensibile. Anche in questo ambito, come in quello dell’etica e della filosofia nel suo insieme, bisogna far attenzione a non rimestare una torbida “minestra dell’estetizzazione”, anche se proprio Lyotard, che con ragione ha fatto questa osservazione al congresso di Hannover, da questo punto di vista è stato in precedenza zelante giocatore in qualità di chef de cuisine. Una considerazione differenziata dovrebbe scaturire dal fatto che o l’estetica può costituire il fondamento dell’etica - e in questa etica “fondamentalmente estetica” sarebbero da annoverare, con riserva, Nietzsche, Adorno, Lyotard e Welsch - o l’etica, la moralità kantiana o l’ethos aristotelico, costituiscono, al contrario, il fondamento dell’estetica. Muovendo da ciò, si può distinguere tra un’etica “parzialmente estetica” e un’etica “anti-estetica”. Tra i rappresentanti di quest’ultima dovrebbero, al presente, essere annoverati, in una singolare coalizione, Bohrer e Karl-Otto Apel. All’interno dell’etica parzialmente estetica si può ancora ulteriormente distinguere tra un’etica estetica di tipo “marginale”, “paritetico” e “perfezionistico”. Talune attribuzioni risultano qui certamente controverse; ma nella rubrica dell’etica marginalmente estetica, che cioè riserva all’estetico solo un posto marginale, si lascia raccogliere la più ampia scelta di autori, Kant e qualcuno dei suoi seguaci moderni, così come molti rappresentanti dell’utilitarismo e del neoaristotelismo. Nell’etica pariteticamente estetica sono da annove12 SCHEDA La modernità postmoderna. Se con l’obbligo di un pensiero postmetafisico, di un’etica antiuniversalistica e di una teoria del moderno si possono definire i fondamenti filosofico-teoretici dell’attualità dell’estetico, è necessario lasciarsi ammaestrare dalla sociologia e dalla critica della cultura quando ci si rivolge alla forma più recente del moderno, il “moderno postmoderno” (Welsch). All’attualità dell’estetico contribuiscono perciò motivi completamente diversi. Evidenziamone due. Da un lato, il diffondersi dell’estetico si offre come apertura di una via d’uscita dal moderno sistema sociale, che sta diventando sempre meno trasparente. L’estetizzazione della realtà ha in questa prospettiva, assunta da Odo Marquard e da Rudiger Bubner, la funzione di “compensazione”. La seconda prospettiva pone l’accento, in modo opposto, sulle nuove forme di vita rese possibili dalle società del benessere. In una società in cui arte, pubblicità e consumo trapassano l’uno nell’altro senza sutura alcuna e in modo seducente, l’edonismo subentra alla morale del lavoro protestante e lo stato sociale si sviluppa essenzialmemte nella messa in scena della vita personale in tutti i suoi ambiti. L’economia trae profitto diretto e indiretto dalla diffusione sociale dell’estetico: la cultura in senso stretto è diventata il fattore più significativo dell’economia politica e la cultura in senso lato, cioè il potenziale creativo di una società, favorisce il successo nella competizione economica. Anche il consolidamento economico dell’attualità dell’estetico offre, tuttavia, un fondamento vacillante. Se fosse giusta l’osservazione che nelle ricche nazioni industriali, dopo il crollo del socialismo di stato nell’Europa dell’Est, incombono ancora, suscitate dai movimenti di migrazione, lotte di ripartizione, allora questo è anche un test per verificare se il pensiero estetico sia qualcosa di più di un’ideologia di viziati figli del benessere. (trad. it. di L.C.) rarsi quei giovani autori che, come Martin Seel, assegnano all’estetico un ruolo di pari diritto nel “gioco della ragione”; infine, nell’etica perfezionisticamente estetica, che concepisce l’estetico come compimento dell’etico, si possono annoverare da un lato Gadamer e Nussbaum, dall’altro Foucault e di nuovo Nietzsche. Teoria del moderno. Accanto alla critica della metafisica e alla corrispondente etica universalistica, un ulteriore fondamento dell’attualità dell’estetico vien dato dalla coscienza storica, specificatamente moderna, della filosofia. Questo fondamento viene elaborato esclusivamente sulla base della terza direzione della tradizione posthegeliana, quella “critica”; la coscienza storicizzante delle scienze dello spirito gli è estranea. Da quando Kant e poi, con estrema lucidità, Hegel vedono il compito della filosofia nella capacità di comprendere in pensieri la propria epoca, la filosofia è tenuta a sviluppare una teoria del moderno. Il suo imperativo è l’ “autofondazione”. Il moderno, così come è stato esposto da Jürgen Habermas, può e vuole non attingere più da altre epoche i propri criteri orientativi. Di questo problema, però, non si prende coscienza soltanto e in primo luogo nell’ambito dell’estetica e della critica dell’arte, nella Querelle des Anciens et des Modernes dell’inizio del XVIII secolo, sicché le espressioni “moderno” e “modernità” da allora vengono connotate da un significato estetico; oltre a ciò l’estetica, a partire da Schiller e dal primo Friedrich Schlegel, fornisce anche l’ideale normativo, sia pratico-esistenziale che cognitivo, per l’epoca moderna. L’ “estetizzazione del mondo della vita” e del “discorso”, di cui oggi ci si rallegra o ci si rammarica, si chiarisce, su questo sfondo, non come scoperta postmoderna, ma a partire dal processo stesso della modernità. Attuale è l’estetico in quanto riscoperta e continuo sviluppo delle proprie origini moderne. Bibliografia critica Beck U., Risikogesellschaft. Auf dem Weg in eine andere Moderne, Frankfurt a/M. 1986. Böhme G., Für eine ökologische Naturästhetik, Frankfurt a/M. 1989. Bohrer K. H., Plötlichkeit. Zum Augenblick des ästhetischen Scheins, Frankfurt a/ M. 1981. Bourdieu P., Die Feinen Unterschiede. Kritik der gesellschaftlichen Urteilskraft, Frankfurt a/M. 1982. Bubner R., Ästhetische Erfahrung, Frankfurt a/M. 1989. Ferry L., Der Mensch als Ästhet. Die Erfindung des Geschmaks im Zeitalter der Demokratie, Stuttgart 1992. Habermas J., Der philosophische Diskurs der Moderne. Zwölf Vorlesungen, Frankfurt a/M. 1985. Henrich D. - Iser W. (Hrsg.), Theorien der Kunst, Frankfurt a/M. 1982. Strube W., Sprachanalytische Ästhetik, München 1981. Jauss H. R., Literaturgeschichte als Provokation, Frankfurt a/M. 1970. Wellmer A., Zur Dialektik von Moderne und Postmoderne. Vernunftkritik nach Adorno, Frankfurt a/M. 1985. Koppe F. (Hrsg.), Perspektiven der Kunstphilosophie. Texteund Diskussionen, Frankfurt a/M. 1991. Welsch W., Unsere postmoderne Moderne, Weinheim 1988. Kutschera F. v., Ästhetik, Berlin - New York 1989. Welsch W., Ästhetisches Denken, Stuttgart 1990. 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Bonato, Edizioni Biblioteca dell’Immagine, Pordenone 1993), che contiene il testo, riveduto e corretto dall’autore, di una relazione tenuta da Ricoeur nel 1989 a Pordenone, nel corso di un convegno in suo onore, organizzato dalla Società Filosofica Italiana. Vengono qui velocemente compendiate le ben più approfondite e complesse analisi, svolte durante un corso di lezioni nel 1986, pubblicate in Francia nel 1990 e ora tradotte in italiano con il titolo di SÉ COME UN ALTRO (trad. it. di D. Iannotta, Jaca Book, Milano 1993). Sulla riflessione di Ricoeur segnaliamo la monografia dedicata a questo autore da Elena Soetje, RICOEUR. TRA NARRAZIONE E STORIA (Rosenberg & Sellier, Torino 1993). Ciò che Paul Ricoeur presenta ne L’attestazione costituisce una sorta di compendio delle cosiddette “Gifford Lectures”, tenute a Edimburgo nel 1986, pubblicate in forma pressoché integrale in Francia nel 1990, e ora tradotte in italiano con il titolo di Sé come un altro. Tema centrale della speculazione ricoeuriana è qui la questione del soggetto: più precisamente, la questione relativa al cogito cartesiano e alla crisi che esso conosce nella riflessione, non solo filosofica, contemporanea. Nei dieci saggi che compongono il testo maggiore, l’analisi di Ricoeur si svolge lungo quattro tappe, e la questione del soggetto viene sezionata attraverso quattro approcci; in essi, il soggetto appare, di volta in volta, come l’autore di un enunciato, il responsabile di un’azione, il titolare di un’identità personale, e il crocevia di relazioni interpersonali che definiscono la dimensione etica. L’obiettivo dell’analisi è individuato nella parte finale del testo, che verte sulla possibilità di un’ontologia del Sé; proprio questa, d’altra parte, emerge con tutta evidenza come scopo della più sintetica trattazione contenuta ne L’attestazione. La domanda ontologica appare qui come l’esito necessario dell’analisi fenomenologica, che non acquisisce la capacità di autofondarsi in quanto l’ipseità, che in essa si “attesta”, non appare nella sua compiutezza. Come nota nella sua ampia “Introduzione” Beatrice Bonato, curatrice dell’edizione italiana de L’attestazione, nell’idea di un darsi dell’essere nella forma della dissimilazione si colloca il punto di contatto fra l’ontologia heideggeriana e quella ricoeuriana. La questione ontologica, secondo Ricoeur, s’impone infatti come necessaria proprio a causa dell’estrema mediatezza in cui il Sé si dà, per i tratti caratteristici che emergono dalla sua fenomenologia; su questa strada, Ricoeur si muove consapevolmente, e dichiaratamente, sulle orme della fenomenologia di Merleau-Ponty. La filosofia tradizionale del soggetto non viene dunque rigettata, ma trasformata, in quanto Ricoeur non rinuncia a porre la questione della verità, ma intende scindere quest’ultima dalla determinazione della certezza. Se il carattere di immediatezza del Sé si delinea con radicalità tale da legittimare la tesi di una sua differenza, irriducibile al mondo degli enti in cui esso si manifesta, il complesso di relazioni di tale manifestarsi va contestualizzato, nel caso della posizione ricoeuriana, riferendosi più alle analisi sviluppate dall’ermeneutica che a quelle condotte dai filosofi analitici. A proposito delle ascendenze della riflessione ricoeuriana, proprio all’ambito dell’ermeneutica viene dedicato largo spazio da Elena Soetje, autrice della monografia Ricoeur. Tra narrazione e storia. Sul fondamento della preferenza di Ricoeur per il testo scritto nei confronti del dialogo, Soetje sostiene che “idea direttrice” dell’ermeneutica ricoeuriana sia da considerarsi la riconduzione del discorso allo statuto di testo; poiché la riflessione del pensatore francese si organizza intorno alla relazione fra linguaggio ed esistenza, la nozione di testo risulta centrale per definire l’articolazione della struttura esistenziale di questa riflessione. La posizione di Ricoeur va dunque compresa in relazione a quella di Gadamer, e si configura come un’ontologia del testo, il cui carattere ermeneutico va inteso, anzitutto, dal punto di 15 vista di una conferma dell’ineliminabilità della mediatezza. La centralità del “testo” rinvia però a un’altra decisiva caratteristica della riflessione di Ricoeur, quella che fa riferimento, sulla base della relazione di coappartenenza all’essere, al primato del pensiero poetico narrativo nei confronti di quello scientifico. In rapporto a queste tematiche è opportuno richiamare qui il saggio di Fabio Merlini, L’incerto raccontare del sé. Genealogia e analitica filosofica della temporalità autobiografica (Edizioni Alice, Comano (CH) 1990), che sottolinea come Ricoeur, nelle sue analisi relative alla dimensione temporale del testo narrativo (relative, cioè, alla circolarità fra tempo e racconto), sostituisca una “poetica” con una “teoretica” della temporalità. L’intento consiste nel guadagnare un punto di vista sulla temporalità, cioè sul testo, non estrinseco ad essa: stante la dimensione uniplanare del testo nella prospettiva ricoeuriana, la questione della temporalità, osserva Merlini, può essere affrontata «solo dal punto di vista di quelle esperienze che si sono impegnate a raccontarla», per cui figure come quelle di Aristotele, Agostino o Heidegger diventano reali rappresentanti di una filosofia analitica della temporalità. Nel suo saggio, eminentemente teoretico, Merlini segue le indicazioni di Ricoeur: l’ “incerto raccontare del Sé” si configura come un “raccontarsi” del Sé medesimo. Per questo il testo autobiografico risulta la via d’accesso privilegiata alla questione della temporalità del racconto, che si svolge tra un principio e una fine, nell’intento, mai dissimulabile da parte del Sé che si racconta, di mostrare «il disegno lineare di una genesi, che da un meno conduce a un più». L’incertezza di questo raccontare del Sé si radica però nel presupposto, intrinsecamente aporetico, dell’implodere in se stesso del Sé che si racconta: per quanto il Sé che si racconta appaia preesistente al racconto, esso ne è, al contrario, un “effetto”. Sulla base di questo stallo, Merlini conclude a un’aporia decostruttiva del soggetto: il venir meno della garanzia della necessità del processo narrativo, cioè dell’individualità che si racconta nell’autobiografia, indica non solo la morte dell’autobiografia, ma, più radicalmente, di ogni identità, di ogni possibilità di biografia, inquantoscaccodiogni “autos”. F.C. AUTORI E IDEE Ermeneutica ed esistenzialismo in Pareyson La recente pubblicazione di una raccolta di saggi di Luigi Pareyson, PROSPETTIVE DI FILOSOFIA CONTEMPORANEA (Mursia, Milano 1993) e di una monografia dedicata a questo autore ad opera di Francesco Russo, ESISTENZA E LIBERTÀ. IL PENSIERO DI LUIGI PAREYSON (Armando Editore, Roma 1993) richiamano con forza l’attenzione sui motivi e i tratti peculiari del pensiero del filosofo recentemente scomparso. Il volume che con il titolo Prospettive di filosofia contemporanea riunisce i saggi, gli articoli e le commemorazioni di Luigi Pareyson si presenta con una quadruplice ripartizione in “Filosofia dell’esistenza”, “Idealismo”, “Esistenzialismo positivo e spiritualismo cristiano”, “Dibattiti odierni”, a cui fa seguito un’appendice, “La filosofia italiana alla fine degli anni quaranta”. Gli scritti, non organizzati in ordine cronologico, coprono un lungo periodo (dal 1941 al 1989) e consentono di cogliere i temi peculiari della speculazione di Pareyson e di individuarne i rapporti e le relazioni intrattenute con altri autori e con le tematiche del suo tempo. In questa direzione si muove anche la monografia di Francesco Russo, che parte da una attenta ricognizione della [...] ermeneutica di Luigi Pareyson, per affrontare «l’insieme della sua speculazione, distesa tra il personalismo ontologico e l’ontologia della libertà»; lo studio si presenta, quindi, come una ricostruzione genetica della speculazione pareysoniana, a partire da un attento esame dello sfondo storiografico che soggiace alla riflessione di questo filosofo. Nell’analisi della scelta per l’esistenzialismo e della concezione dell’ermeneutica come struttura costitutiva della conoscenza umana, si delineano con precisione i motivi dominanti della speculazione pareysoniana e, allo stesso tempo, le coordinate entro cui inquadrarla. Russo ne individua alcuni fondamentali: l’abbandono dell’orizzonte hegeliano, i cui caratteri Pareyson individuò nell’assolutizzazione della ragione, nella complementarietà di finito e infinito e nella condizionalità storica della filosofia, motivo, quest’ultimo, rielaborato nella direzione di una condizionalità storico-esistenziale della filosofia; la concezione della coincidenza di auto ed etero-relazione e dell’ontologicità dell’esistenza; la posizione della distinzione tra pensiero rivelativo e pensiero espressivo, a cui conseguirà la critica radicale di ogni ideologia; la difesa del carattere speculativo della filosofia e l’unità di teoria e prassi; la rivelanza filosofica della scelta per il Cristianesimo e la critica al dogmatismo inconsapevole del razionalismo metafisico. I capitoli centrali della ricerca di Russo sono dedicati allo studio del personalismo ontologico e dell’ontologia della libertà e alla rico- struzione della teoria dell’interpretazione. Emerge così come il concetto pareysoniano di interpretazione sia legato a una ontologia dell’inesauribile, per cui da una parte non c’è interpretazione se non dell’essere, dall’altra, e allo stesso tempo, l’essere si affida al processo interpretativo senza risolversi in esso: in questa prospettiva la posizione di Pareyson viene specificata ulteriormente a fronte di quelle di Gadamer e di Ricoeur. Chiude la monografia un capitolo dedicato all’ermeneutica dell’esperienza religiosa, dove vengono delineate e trattate le tematiche proprie dell’ultima speculazione pareysoniana: il mistero del male e l’abissalità della libertà originaria. C.F. In ricordo di Jurij M. Lotman Il 29 ottobre 1993, all’età di 71 anni, Jurij Michajlovic Lotman si è spento a Mosca in quel silenzio attivo con cui si è sempre posto all’interno del dibattito culturale internazionale. Di Lotman, sebbene fosse notissimo in ambito internazionale, da noi non si è mai parlato molto quando era in vita; uomo schivo e riservato, non amava gli atteggiamenti divistici e plateali. Negli ultimi anni della sua vita, anche per la malattia che lo aveva colpito, non fece sentire spesso la sua voce in quasi nessuna pubblicazione. Eppure, molti ebbero a dire che il suo fu un silenzio “rumoroso”, perché carico di quell’attenzione al mondo e al suo evolversi, che sempre lo contraddistinse. Nato a Pietrogrado (oggi S. Pietroburgo ed ex Leningrado e Stalingrado) il 28 febbraio 1922, Jurij Michajlovic Lotman studiò all’università della sua città, una delle più prestigiose di tutto l’ex impero sovietico, sotto la guida di Mordovcenko, che lo convinse, verso la metà degli anni ’40, a dedicarsi con impegno agli studi di semiologia. Ricordiamo, a questo proposito, che alla scuola sovietica di semiologia si deve, in particolare, la distinzione tra “fonema” e “suono”, dove il fonema è la rappresentazione vera e propria della lingua e il suono la manifestazione esterna, esistente solo in riferimento al fonema. Questo portò i semiologi russi, soprattutto Kruszewski, a considerare la lingua una struttura, cioè un insieme organico con leggi e meccanismi propri, da indagare necessariamente sotto il duplice aspetto dell’espressione, “il come si dice”, e del contenuto, “il cosa si dice”. Cresciuto in questa ortodossia strutturalista, Lotman abbraccia, in seguito, la semiologia critica di Michail Bachtin, ponendo sempre più l’accento sull’aspetto contenutistico del testo. La scuola americana di Chomsky, che in seguito rivoluzionerà la semiologia, era ai suoi inizi quando Lotman, nel 1963, divenne docente ordinario di letteratura russa all’Uni16 versità di Tartù in Estonia, dove visse per quasi tutta la sua vita in una specie di segregazione, impostagli dal regime sovietico, che proibiva gli studi semiologici perché non si ponevano il problema di una compatibilità con il sistema marxista. Ma nonostante questa situazione Lotman poté continuare gli studi e fondare la scuola semiologica di Tartù, che si distinse subito per l’eterogeneità delle posizioni ideologiche e religiose: lo stesso Lotman, pur essendo iscritto al partito dal 1942, non risparmiò critiche alla concezione marxista dell’arte, accusata di aver introdotto il principio dell’influenza dei rapporti sociali sull’arte come unico e dominante fattore di possibile spiegazione. Fu soprattutto il concetto di cultura ad essere prevalente nel pensiero di Lotman. Una cultura viva, vissuta; non un puro concetto astratto, bensì una serie di strutture date dal cervello: «Fra ambiente e comportamento dell’uomo si frappone il cervello, che gioca un ruolo niente affatto passivo. La cultura è un cervello collettivo che ha la sua struttura immanente, la sua memoria; fra l’azione esterna e i prodotti della cultura c’è la sua interna organizzazione, senza la quale nulla di nuovo si produrrebbe. La ricerca culturologica è volta a questo “trasformatore” che traduce la lingua della effettualità in quella delle persone». Fondamentale per Lotman è dunque cercare di ritrasformare la lingua poetica in linguaggio umano, proprio, e solo, perché l’umano è l’ultimo volto, quello definitivo, di ogni testo inteso come polisemico, cioè portatore di molteplici messaggi referenti ad un unico fattore: l’uomo nella sua potenzialità intellettuale. Per tutta la vita Lotman cercò di affermare questo principio contro una cultura che andava disgregandosi sotto i suoi occhi in una miriade di esercizi formali e strutturali di analisi del testo. In questo tentativo tre sono le domande fondamentali che Lotman sembra porsi: 1) che cosa vuol dire “avere un significato”; che cosa c’è oltre il semplice testo letterario o poetico; quali sono i modi secondo cui un testo letterario diventa portatore di un pensiero determinato; 2) che cos’è la comunicazione artistica di contenuti; qual è l’essenza di un tale atto comunicativo; 3) qual è la funzione sociale del messaggio; che cosa significa un testo per chi scrive e per chi legge. Tutte domande legate all’idea di cultura che, a sua volta, viene considerata un linguaggio con strutture interne e una capacità di essere mezzo di conservazione e di trasmissione dell’informazione. Ma se la cultura produce cultura tramite il linguaggio informativo, è necessario allora spaziare attraverso tutti i campi del linguaggio: il teatro, il cinema, la musica, la letteratura, la storia, la religione, la pittura e anche la politica. Così Lotman cercò di applicare il suo metodo polisemico a opere come Anna Karenina di Tolstoj, Eugenio Onegin di Puskin, ai films di Fellini (come Otto e mezzo) e di Visconti e anche alla pittura di Van Eyck. In materia politica Lotman fu diffidente verso le riforme gorbacioviane, sebbene AUTORI E IDEE con l’avvento di Gorbaciov, nel 1986, poté compiere il suo unico viaggio in Italia, nel 1987, a Napoli, per una serie di lezioni presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. La diffidenza nasceva in lui dalla sua profonda conoscenza della storia, della cultura russa e dell’illuminismo francese: era per lui impossibile che nella storia russa un rivolgimento democratico si potesse attuare per gradi. Le spinte nazionalistiche successive al golpe dell’agosto ’91 lo preoccupavano e gli apparivano un restringimento culturale privo di fondamenti storici. Per questo, forse, negli ultimi anni, a parte una breve lettera sull’argomento, pubblicata sulla rivista “Novyj Mir”, non scrisse quasi nient’altro, preferendo gli studi, la riflessione e il ricordo della moglie, deceduta qualche anno prima. L.B. Bibliografia delle opere in volume STRUKTURACHU DO ZHESTEBENNO, (Dalla struttura all’azione del testo poetico-struttura poetica) Iskussjvo, Mosca 1970. ANALIZ POETICESKOGO TEKSTA. STRUJTURA STCHA, (analisi Prosvescenie, Leningradskoe otodelenie, Leningrad 1972. Indagine semiotica, trad. it. a cura di Clara Strada Janovioc, Einaudi, Torino 1973. ROMAN V STICHACH PUSKINA “EUGENIJ ONEGIN”, Tartù 1975; trad. it., Il testo e la storia. L’ ‘Eugenij Onegin’ di Puskin, Il Mulino, Bologna 1985. The structure of the artistic text, trad. ingl. di Ronald Vroom e Ann Arbor, University of Michigan, Departement of slavic languages and literatures, 1977. Introduzione alla semiotica del cinema, Officina, Roma 1979. ROMAN A.S. PUSKINA “EVGENIJ ONEGIN” KOMMENTARI. (Commento al romanzo di Puskin “Eugenio Onegin”. Sussidio per gli insegnanti) Prosvescnie, Leningradskoe otdelemie, Leningrad 1980. POSOBIE DLJA UCITELJA, Testo e contesto. Semiotica dell’arte e della cultura, a cura di Simonetta Salvestrani, Laterza, Bari 1980. Da Rousseau a Tolstoj. Saggi sulla cultura russa, Il Mulino, Bologna 1984. The semiotics of russian culture, a cura di Ann Shukman e Ann Arbor, University of Michigan, 1984. La semiosfera. L’assimetria e il dialogo nelle strutture pensanti, a cura di Simonetta Salvestrani, Marsilio, Venezia 1985. Semiotica e culture, R. Ricciardi, Milano-Napoli 1985. SOTVORENIE KARAMZINA, (La creazione di Karamzin) Lotman-Moskva, Kniga, 1987. Tipologia della cultura, a cura di R. Faccani e M. Marzaduri, tad. it. di M. Barbato Faccani, Bompiani, Milano 1987. V SKOLE POETICESKOGO SLOVA: PUSKIN, LERMONTOV, GOGOL: KNIGA DLJA UCITELJA, (A scuola di linguaggio poetico: Puskin, Lermotov, Gogol: testi poetici per insegnanti) Prosvescenie, Moskva 1988. KUL’TURA I VZRJV, ( Cultura e esplosione) Gnosis, Progress, Moskva 1993. Hegel e la religione Due recenti studi sulla concezione hegeliana della religione, HEGEL. LA RELIGIONE E L’ERMENEUTICA DEL CONCETTO (Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1992), di Maurizio Pagano, e LA DOTTRINA DELLA TRINITÀ IN HEGEL (trad. it. di G. Sansonetti, Queriniana, Brescia 1993), di Jörg Splett, richiamano l’attenzione, da un punto di vista specificatamente filosofico, il primo, e più propriamente teologico, il secondo, sulla portata, il valore e gli esiti della filosofia della religione di Hegel. Dichiarandosi in accordo con l’ipotesi interpretativa di E. L. Fackenheim, e prendendo le distanze dalle letture di W. Jaeschke e di M. Theunissen, Maurizio Pagano propone una linea di ricerca tesa a mostrare che se è impossibile oggi riproporre la sintesi hegeliana, va tuttavia riconosciuto alla filosofia il compito di mantenere «la tensione fra tutti i suoi elementi, di mantenere cioè la tensione fra il radicamento esistenziale concreto e l’apertura universale della ragione». Lo studio di Pagano si muove all’interno di una prospettiva che è quella dell’ermeneutica del concetto, consistente, da una parte, nel richiamare l’intreccio di ermeneutica e logica, presente in Hegel, e dall’altra nel portare l’attuale orizzonte filosofico in giudizio di fronte a Hegel e viceversa. Attraverso l’analisi del concetto di religione e delle critiche mosse alla filosofia della religione di Hegel da parte di Schelling e del teologo cattolico F. A. Staudenmaier, Pagano mette in evidenza come Hegel prenda le mosse dal conflitto che lacera la coscienza moderna. I poli del conflitto sono individuati da Hegel nel diritto assoluto del soggetto, di cui ha preso coscienza l’epoca moderna, e nelle ragioni dell’oggetto, cioè nel contenuto infinito presente nella religione. Di fronte a ciò Hegel non rimuove la complessità: tiene insieme le ragioni del soggetto e dell’oggetto. Emerge, così, l’impostazione della sua ermeneutica: da una parte si profila un “principio di globalità”, consistente nel non lasciar cader ciò che è autentico e reale, bensì leggerlo nella luce del concetto. Dall’altra, e insieme, si delinea un “principio recettivo”, secondo il quale la salvezza si dà nel condurre la realtà nella luce del concetto, nella misura in cui la realtà stessa viene rispettata nella sua configurazione concreta. L’esame della deduzione empirica e della deduzione speculativa nel corso del 1824 e dell’esposizione speculativa della religione nel corso del 1827 conducono Pagano a sottolineare come l’intenzione fondamentale di Hegel consista nel congiungere rigorosamente il momento universale con quello interpretativo. Il rapporto tra questi due momenti può essere proficuamente discusso, e qui la proposta di Pagano si confronta con alcuni momenti del dibattito contemporaneo, sotto l’aspetto del rapporto tra 17 concetto e rappresentazione. La plausibile prossimità del momento della rappresentazione e di quello del concetto, pur nella sottolineatura della loro discontinuità, conduce ad affermare una identità di identità e non identità tra filosofia e religione. In particolare il rapporto tra momento universale e momento interpretativo si rende possibile nel rinvenimento del carattere relazionale dell’unità concettuale: «la filosofia [...] offre certo alla rappresentazione un’unità, ma questa unità non è l’uno astratto che sta per sé, ma un uno relazionale, un “uno di due”, che non è senza relazione al contenuto che unifica». In questa direzione va sottolineata anche la natura relazionale dello stesso assoluto hegeliano, in quanto l’unità che esso pone include sempre un ineludibile riferimento alla dimensione empirica. In una prospettiva del tutto difforme si situa, invece, il lavoro di Jörg Splett, il cui scopo fondamentale è quello di completare il programma delineato da J. Hessen nell’opera Trinitätslehre. Zugleich eine Einfuhrung in sein System (La dottrina della Trinità. Con un’introduzione al suo sistema, 1922). Hessen riteneva, in generale, che la filosofia intellettualista di Hegel non rendesse giustizia né alla religione, né alla realtà in quanto totalità, perché quest’ultima non è concepibile semplicemente come pensiero. Situandosi in questa direzione di ricerca, Splett ritiene che sia necessario approfondire lo studio sulla dialettica, indagando gli influssi della religione sulla dialettica stessa. Occorre, inoltre, esaminare il rapporto Dio-Figlio-Spirito e, in particolare, quello Figlio-mondo sulla base di una analisi che colga «la specificità della distinzione e della identità dialettiche». L’autore prende pertanto in esame la concezione della Trinità nell’intera produzione hegeliana delineando, nella parte conclusiva del suo lavoro, “il guadagno e il pericolo” di cui è portatore al riguardo il pensiero di Hegel. La Trinità, precisa Splett, diviene per il filosofo di Stoccarda «l’immagine di quella identità dell’identità e della non-identità, la cui conoscenza rende tutto comprensibile, il cui richiamo “riconcilia” il mondo»: il problema è, pertanto, se per Hegel si dia una Trinità. In un serrato dialogo con i maggiori critici e interpreti del pensiero hegeliano e con molti teologi contemporanei, la Trinità hegeliana viene letta come una “biunità” o come una unità che si dispiega «in un modalismo per il quale il numero dei momenti è infine equivalente». L’unità paolina della scritturale tripersonalità di Dio, conclude Splett, è del tutto sconosciuta alla Trinità hegeliana, nella quale «l’altro è soppresso nel Sé invece di restare riconosciuto nel vero rapporto reciproco»: ciò conduce l’autore a interrogarsi circa l’esistenza di Dio all’interno della stessa concezione hegeliana. Chiude il volume una appendice su “Hegel e il Mistero” che pone la questione se e in che misura la dialettica hegeliana possa pensare il mistero in quanto mistero. C.F. AUTORI E IDEE Testa dell’Afrodite di Cnido, detta “testa Kaufmann” (Parigi, Museo del Louvre) Lo spirito della grecità Secondo Carlo Diano il mondo greco è pervaso da uno spirito duplice che lo attraversa in tutte le sue manifestazioni, dal mito al “logos”: la forma, cioè la tendenza alla razionalità e alla perfezione, riscontrabile in Achille come in Platone, e l’evento, cioè lo spirito della contingenza e del cambiamento, presente tanto negli Stoici come in Ulisse. È questa la tesi di Diano nel suo FORMA ED EVENTO (Marsilio, Venezia 1993), oggi ripubblicato dopo quarant’anni dalla prima edizione. A questa interpretazione può essere accostata quella di Bernard Williams, che nel suo SHAME AND NECESSITY (University of California Press, Berkley 1993), individua nel mondo greco una intensa tragicità senza scopo. Alla classica distinzione mito-filosofia Carlo Diano sostituisce quella di forma ed evento, categorie che attraversano la Grecia del mythos e del logos, legati in questo modo da una continuità di fondo. Forma ed evento rappresentano due mondi nettamente distinti che oppongono la cultura della necessità dei concetti e della razionalità a quella della contingenza dei fatti e della differenza. Diano apre piccoli squarci nella cultura greca, non distinguendo il mondo del mito da quello della filosofia, ma individuando invece quello spirito del contingente e del tragico che pervade la cultura greca a partire dal personaggio di Ulisse fino alla filosofia degli Stoici, opposto a quello del necessario e dell’epico, riscontrabile in Achille come in Platone o Aristotele. La cesura che determina lo spirito greco non si manifesta pertanto come separazione storica tra due culture, ma come continuo rimando della forma all’evento. Per questo l’interpretazione di Diano non è cronologica: partire dal logos o dal mythos, che qui perdono la loro identità, è irrilevante ai fini dell’analisi, che non presenta un’impostazione storica e scavalca la temporalità. Diano analizza il sillogismo aristotelico in opposizione a quello stoico: se il primo rappresenta la necessità dei concetti, la forza della verità logica, il secondo si manifesta nella particolarità e nella contingenza del fatto, al di là dell’universalità: Aristotele contro Zenone; il Motore immobile contro il dio che diviene e si dà nelle cose. A fianco di Aristotele Diano colloca la metafisica, che in Platone e Parmenide ha trovato il suo apogeo: l’eternità e la necessità dell’essere si caratterizzano come forma sempre identica a se stessa, al di là dello spazio e del tempo in una perfetta intelligibilità. In contrasto alla luminosità della forma, Diano individua la contingenza dell’evento nella filosofia ellenistica: nel dio che diviene e si manifesta 18 nello spazio e nel tempo, nel dio-logos che “è” spazio e tempo. L’evento si concretizza quindi nel divenire del fatto in continuo ripiegarsi su se stesso, nella contingenza dell’esistenza che si rivela soltanto nell’hic et nunc. Come osserva Remo Bodei nell’introduzione al volume di Diano, l’evento «è sempre puntuale e individualizzato: costituisce un vissuto e non un pensato». L’epifania dell’evento si contrappone così all’oggettività della forma, a sua volta pensata e non vissuta, paradigma ordinato nella sua luminosità. Lo stesso spirito, secondo Diano, attraversa anche il mondo del mythos e si concretizza nelle figure di Achille e Ulisse: se l’eroe dell’Iliade, infatti, è l’eroe della forma, quello dell’Odissea è l’eroe dell’evento. Achille è l’eroe che contempla la sua immagine sempre identica a se stesso: in Achille «l’essere e l’esser visto coincidono» in un’identità perfetta. Ulisse è invece l’eroe dell’azione, della furbizia e dell’inganno; è l’eroe dai mille volti e dalle mille trasformazioni. Achille è sempre visto nella sua giovinezza, che al di là dello spazio e del tempo trascende la contingenza dei fatti per raggiungere l’idealità delle forme. Ulisse invecchia e rivela la sua esistenza attraverso il divenire affaccendato nel tempo; come il dio-logos degli stoici, Ulisse si stacca dal destino della necessità, si pone in perpetuo divenire nell’assenza di fondamento, nel AUTORI E IDEE “caso” che è non-senso: la logica dell’evento non ha “logica” e per questo è fondamentalmente tragica. Achille invece non diviene: è la perfezione che si materializza nell’eroe, è la forma che nella sua necessità anticipa l’ontologia classica; per questo la forma non è tragica, bensì epica, trasparente e immediata. Forma ed evento, ovvero epico e tragico, costituiscono così i due generi che pervadono l’antichità classica, non segnata quindi da un’evoluzione determinista o comunque da una legalità. L’avvicendarsi di forma ed evento costituisce a sua volta un fatto contingente. Bene allora dice Bodei nell’introduzione: «in principio era l’evento», assegnando una priorità logica all’evento e alla particolarità; in fondo le due categorie sono tali proprio perché si manifestano nell’individualità degli eventi culturali e perché non seguono una logica, che di fatto si perde nella contingenza dei fatti. Non è possibile pensare ad un rapporto “formale” e simmetrico tra forma ed evento, solo ad un rimando reciproco che si scopre nella sua tragicità. In questa priorità dell’evento sulla forma, del tragico sull’epico, l’interpretazione che Diano fa del mondo antico può essere accostata a quella di Bernard Williams, che nel suo Shame and Necessity individua nel mondo greco una intensa tragicità senza scopo. Secondo Williams la cultura greca, e in particolare il mito e la tragedia, manifestano una profonda frammentazione dell’integrità del mondo, una mancanza di senso e di sistematicità, che ricordano la tragicità dell’evento di Diano. Williams studia le idee etiche dei greci, come quelle di responsabilità e di giustizia, che, fondate solo su se stesse, mancano di una qualsiasi teleologia. Secondo Williams, Platone e Aristotele hanno cercato di imporre la logica della necessità e della giustificazione razionale, non riuscendo però nel loro scopo. Per questo nella Grecia classica la logica del tragico, profondamente nichilista, vince su quella della razionalità metafisica: seguendo la terminologia di Diano, il mondo dell’evento continua a prevalere su quello della forma. Ma non solo: Williams accosta la tragicità dei greci alla mancanza di sistematicità dei nostri giorni. Il profondo nichilismo, già radicato nella Grecia classica, si manifesta ancora oggi nel mondo contemporaneo, incapace di darsi un fine o uno scopo. La ricerca del paradigma ordinato e strutturato di un’oggettività pensabile resta allora un’esigenza dell’uomo, che nel corso dei secoli ha sempre cercato di razionalizzare e giustificare gli eventi di per sé tragici senza riuscire mai, però, a legittimarli definitivamente. La forma, che in Diano ha comunque una propria autonomia, diventa in Williams quell’ideale regolativo che, dallo spazio del nichilismo, viene richiamato all’infinito. A.S. Storicismo e filosofia dell’esistenza Una chiara valenza “critica” definisce il percorso dello storicismo che Giuseppe Cantillo traccia nel suo recente studio: L’ECCEDENZA DEL PASSATO. PER UNO STORICISMO ESISTENZIALE (Morano editore, Napoli 1993), in cui viene proposta una linea di contiguità sostanziale tra gli itinerari dello storicismo e quelli dell’esistenzialismo. Risultato di una complessa attività di ricerca, i saggi che compongono lo studio di Giuseppe Cantillo prendono in esame alcune tra le voci più rappresentative del pensiero storicista e dell’esistenzialismo tedesco italiano, nella definizione di un quadro analitico che metta in evidenza la portata dirompente dello Storicismo nella temperie culturale fin du siècle, tanto da rappresentare la radice teorica dei successivi sviluppi dell’ Existenzphilosophie. Droysen, Dilthey e Troeltsch sono infatti, osserva Cantillo, rappresentanti di una nuova sensibilità filosofica novecentesca che riconosce i limiti del pensiero matematizzante positivista e neo-kantiano, rivendicando per il sapere umano un nuovo ambito di definizione, non più esclusivamente scientifico (nel senso delle Naturwissenschaften), ma anche storico (secondo il significato delle Geistes-wissenschaften). Due direttive, dunque, emergono dall’interpretazione di Cantillo; l’una riguarda le possibilità teoriche dischiuse dalle nuove metodologie dell’Historismus, l’altra sottolinea la necessità di recuperare il senso integrale dell’Io: non solo la sua produttività teoretica, ma anche il suo agire pratico e storicamente determinato. Dell’universalità e centralità della natura storica dell’Io sono informate, e non è un caso, tanto la speculazione di Droysen, quanto quella di Dilthey e Troeltsch. In effetti, la necessità di riconsiderare il valore meta-empirico dell’agire umano e il bisogno di definire l’assolutezza della dimensione etica - che rappresenta la natura più intima dell’individuo e che determina il dispiegarsi dell’esistenza storica - diventano in Droysen altrettanti punti-cardine intorno a cui si costituiscono i momenti salienti della sua speculazione. Interlocutore spesso polemico di personalità di spicco nel panorama scientifico a lui contemporaneo (Klemm, Boechk e lo stesso Hegel), Droysen esprime innanzitutto l’esigenza di porre nuove basi metodologiche su cui fondare una filosofia della storia, capace di leggere il passato con intelligenza, di trarre dall’esperienza vissuta gli insegnamenti per il presente e per il futuro, nella concezione di un tempo storico come interno all’Io e flusso ininterrotto, un tempo che non ha un’unica direzione, ma che anzi, “simmelianamente”, sa anche guardare all’indietro. Con l’ausilio prezioso di uno scritto di Droysen, tradotto per la prima volta in italiano, Der Mensch und die Menscheit (L’uomo e l’umanità), originaria sezione conclusiva delle Vorlesungen über die Historik del 1857, 19 Cantillo mette in luce la profonda novità della concezione storiografica di questo autore, di cui viene evidenziato il richiamo da un lato alla centralità dello Erleben, dall’altro all’attualità infinita della Kulturgeschichte. Ma se la dimensione culturale dell’uomo, che Droysen pone prepotentemente in primo piano, deve assumere un valore fondamentale nell’analisi storica, è la speculazione di Troeltsch che si avvicina di più a questo intento. Nel definire “storicamente” l’esperienza religiosa, nel farne oggetto di conoscenza filosofica, Troeltsch dà vita a un’opera destinata a porsi come paradigma della riflessione storicista sui “valori”. Sovente in contrasto con le affermazioni rickertiane intorno alla Geltungsphilosophie, nell’intento di riconciliare “Sistema-di-valori” e “Vitastorica”, Troeltsch resta infatti, secondo Cantillo, molto vicino al «soggetto concreto, vivente, al diltheyano “Io che pensa, vuole e sente” (...). La vita storica, piuttosto che la forma storico-individualizzante del conoscere, diventa ora sempre più chiaramente il centro della riflessione troeltschiana, che proprio perciò porta sempre più in primo piano la problematica dello sviluppo storico e della continuità della storia». Proprio a partire dalla significativa posizione troeltschiana, che assegna al soggetto empirico un ruolo operante nella storia, Cantillo cerca ora di rintracciare una linea comune nella riflessione storicista e nella esperienza dell’esistenzialismo. In particolare nelle considerazioni su Piovani, Cantillo sottolinea la continuità esistente tra Historismus e filosofia dell’esistenza: margine di congruenza che si determina proprio nella messa in rilievo dell’importanza dell’individuo nella storia, del peso della volontà empirica nel sistema intemporale dei valori. «La filosofia dell’individualità - osserva Cantillo - incontra così la storia come l’orizzonte più proprio dell’individualità e riconosce la storicità come il suo costitutivo modo di essere. Accettando di esistere, l’individuo non può non accettare le conseguenze di questo originario atto di libertà e di responsabilità». D’altro canto la filosofia dell’esistenza, aggiunge Cantillo, nel suo voler recuperare il significato fondamentale della “decisione” nella vita dell’uomo, è necessariamente portata a ridefinire anche i limiti di una concezione storicista che invece ponga l’accento soprattutto sulla necessità del “Sistema-deivalori” e sulla indipendenza dell’accadere storico dalle individualità concrete. A questo riguardo, fa notare Cantillo, già all’interno dello Historismus esistono due tendenze di pensiero contrapposte; la storia dello storicismo nell’Ottocento e nel Novecento, come appunto suggerisce Piovani, «è fondamentalmente storia del contrasto fra due concezioni storicistiche (...): l’una sostanzialmente rivolta a restaurare nella Storia teologizzata una filosofia assoluta ed universalistica, l’altra sostanzialmente rivolta a far tesoro della lezione della ricerca storica al servizio ideale [di una] filosofia pluralizzata ed antimonistica». M.P.R. AUTORI E IDEE In ricordo di Daniele Boccardi Il 14 febbraio 1993 è prematuramente scomparso Daniele Boccardi, giovane promettente studioso di Filosofia del diritto, allievo di Marcello Pera. La recente pubblicazione dell’ultimo lavoro di Boccardi, PER UNA FILOSOFIA DELLA SCIENZA SPERIMENTALE. LA CONTROVERSIA PASTEUR - POUCHET (Edizioni ETS, 1993), offre la possibilità di cogliere una traccia significativa del pensiero di questo autore attraverso la Prefazione di Marcello Pera, da cui appunto è tratto il brano che segue. La cronologia degli eventi al centro del lavoro di Daniele Boccardi può essere contenuta in pochi dati. Alla fine del 1858 F. A. Pouchet invia all’Accademia delle scienze di Parigi una “Nota su alcuni protoorganismi vegetali e animali, nati spontaneamente nell’aria artificiale e nel gas ossigeno”. Il 3 gennaio 1859 (è l’anno stesso della prima edizione dell’Origine della specie di Darwin, l’opera che più di altre ha bisogno, se non di una teoria della generazione spontanea, almeno di una teoria dell’origine della vita) si apre la discussione; il 17 gennaio Pouchet presenta le sue “Note sulle obiezioni relative ai protoorganismi riscontrati nell’ossigeno e nell’aria artificiale”, e nel marzo viene bandito il premio Alhumbert con il tema di «provare, con delle esperienze ben fatte, a gettare una luce nuova sulla questione delle generazioni dette spontanee». In quello stesso anno, Pouchet dà alle stampe la sua enorme (settecento pagine) Hétérogenie ou traité de la génération spontanée basé sur des nouvelles expériences, cui seguono cinque note fondamentali di L. Pasteur (6 febbraio, 7 maggio, 3 settembre, 5 novembre 1860 e 7 gennaio 1861), finché, il 3 giugno 1861 egli presenta la sua celebre Mémoire sur les corpuscules organisés qui existent dans l’atmosphère. Examen de la doctrine des gènérations spontanée. Il 24 novembre 1862, dopo che ormai, per una serie di vicende, nella Commissione erano rimasti solo i suoi avversari, Pouchet si ritira dal premio che viene assegnato, all’unanimità, a Pasteur il 22 dicembre 1862. Quando nel 1864 Pouchet darà alle stampe le Nouvelles expériences de génération spontanée et la resistance vitale, tutto ormai sarà concluso. A giudicare da tanta rapidità, è come se ci si trovasse di fronte ad una lunga ed estenuante partita risolta improvvisamente in poche mosse con uno scacco matto. Eppure, proprio perché non intende descrivere “come andarono realmente le cose” o prescrivere “come avrebbero dovuto andare” o “perché avrebbero dovuto andare in un certo modo”, questo lavoro è utile per gli storici, stimolante per i filosofi, e provocatorio per tutti coloro che intendono atteggiarsi in modo consapevole nei confronti della scienza e della tecnica, ne condividano o no la scelta con cui esso si conclude. Boccardi chiama la sua opera «un’occasione per l’epistemologia». In realtà, si tratta di un incontro fra la filosofia e la storia o, più precisamente, fra un filosofo e un episodio di storia della scienza, fatto con due scopi: uno teorico, di capire la peculiarità dell’impresa scientifica e uno, che direi antiprometeico, di «dissociare il riconoscimento della peculiarità dalla scelta di rifiutare quella impresa e i suoi progressi». Non ci si dovrà perciò stupire se in un lavoro dedicato ad una pagina scientifica tra le più ammirate si dà credito alla tesi centrale del penetrante romanzo di R.M. Pirsig, Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, in materia di rapporto rovesciato fra individuo e tecnologia, e si celebrano le intuizioni di Bacone in fatto di peculiarità della ricerca scientifica per finire con la condanna radicale della tecnica ad opera di M. Heidegger. Non si tratta, in entrambi i casi, di suggestioni o emozioni sentite, ma di un pensiero meditato e compiuto, e anche di uno stile di vita. Quanto alla peculiarità della scienza, la novità del risultato di Boccardi proviene dalla novità della domanda iniziale. Con le sue parole, essa suona: «che cosa si deve incontrare perché si possa dire che siamo di fronte ad un caso di...», dove la sospensione può essere rimpiazzata dai principali concetti su cui continua ad affaticarsi la filosofia della scienza: razionalità, progresso, accettazione, falsificazione, esperimento cruciale, ipotesi ad hoc, ecc. La peculiarità della scienza così concepita è quella stessa scoperta da Bacone, in cui Boccardi, non senza qualche enfasi, vede «già presenti tutti gli elementi che caratterizzano, in modo specifico, i mezzi e i fini di questa disciplina». Da questo punto di vista, Boccardi rmprovera alla “nuova filosofia della scienza” due “distrazioni”: quella di essersi concentrata su il soggetto, piuttosto che sui singoli ricercatori, e su la teoria, piuttosto che sulle specifiche operazioni che i ricercatori fanno. Con la conseguenza che l’aspetto tipico, proprio, della scienza ha finito col diluirsi. Invece, ciò che è proprio della scienza è il fare, il manipolare, l’agire e il dominare, insomma il baconiano “commercio con la natura”: un insieme di interventi mirati e di trasformazioni provocate. Si tratta allora, per gli scienziati che svolgono questa attività, di fornire “istruzioni” per ottenere “risultati”. E’ su ciò che si basa il valore cognitivo della scienza ed è da ciò che può partire la nostra presa di posizione sul suo valore pratico. Individuata nel fare la peculiarità della scienza, Boccardi si pone ora la questione morale (anche se egli preferisce non chiamarla così) dell’uso dello strumento di questo fare, cioè della tecnica. Secondo il suo modo di vedere, oggi, quando l’esplosione tecnologica investe sempre nuovi settori della vita,accade che «un numero 20 sempre più grande di individui è sempre più spesso a contatto con sempre più macchine, sempre più difficili da capire e comode da usare». Di fronte a questa situazione che sente alienata, Boccardi accetta la diagnosi di Heidegger, che l’uomo autentico o «l’Esserci che si mantiene nella chiacchiera, in quanto essere-nel-mondo, è del tutto tagliato fuori dal rapporto originario e genuino del proprio essere col mondo»: a conferma che tanto fascino dell’heideggerismo, specie tra i giovani di questa dolente generazione, si nutre di uno stato d’animo di disagio e insoddisfazione che poco si cura se i rimedi heideggeriani e dei loro predicatori “post moderni” contro la supposta inautenticità della vita odierna possano avere esiti più costosi e anche più crudeli del male denunciato, o se questo male sia davvero così irreparabile e nuovo. Del resto, per Boccardi, rimedio non c’è. Non solo egli rifiuta la tesi di H. Marcuse, ancora intrisa di speranza, di una rivolta dei «reietti e degli stranieri, degli sfruttati e dei perseguitati» contro il tentativo di «imporre la Ragione su una intera società», ma è d’accordo con la posizione di R.M. Pirsig, assai più disperante, che «non c’è nessun “cattivo” che ci vuol costringere a vivere vite senza senso, è solo che la struttura, il sistema, lo esige, e nessuno è disposto ad assumersi l’arduo compito di cambiare la struttura solo perché non ha senso». D’altro canto, Boccardi avverte il male della struttura come radicale, originale, insuperabile. Così, nonostante la dichiarazione in contrario dell’intelligenza, quell’arduo compito diventa impossibile anche per il cuore più generoso. Il 14 febbraio 1993, Daniele Boccardi ha guardato negli occhi il mostro spietato della Stuttura e ha scoperto che davvero non aveva senso per lui. Se n’è accorto con mente lucida, sguardo fisso, volontà ferma. E allora ha deciso di mettere il mostro alla prova, dandogli un’ultima, crudele “istruzione” per un ultimo, fatale “esperimento”. C’è vuoto freddo in chi ha lasciato, e rammarico e sgomento per non essere riusciti persuasivi abbastanza nel mostrargli che altra struttura meno spietata può esistere e altro commercio con l’umanità, improbo e dolente come l’esercizio del vivere ma meritevole di essere tentato, può stabilirsi. Ma non può esserci per nessuno sentimento di colpa. Perché nell’esperimento c’è posto solo per la ragione, tanto più in quell’esperimento della vita in cui, come Boccardi aveva scritto in uno dei suoi versi che trafiggono l’anima: «Dio si approfitta di un cieco/ e lo veste di colori stonati./ Ma il cieco sa il gioco di Dio,/ non conosce i colori/ e lo lascia giocare». Allora Daniele Boccardi si è rifiutato al gioco. Che sia così: «Mi butto/ nel cuore/ di un fiore». AUTORI E IDEE La geometria: storia di una scienza astorica In Francia, alcuni “ maestri” del pensiero come Jean-Toussaint Desanti e Gilles-Gaston Granger si sono spesso pronunciati per una riflessione centrata sui rapporti di parentela fra filosofia e scienza, in particolare nell’ambito delle scienze matematiche e della logica. Da segnalare in questo contesto il volume di autori vari: LE LABYRINTHE DU CONTINU (Il labirinto del continuo, Springer, Parigi 1993), a cura di Jean-Michel Salanskis e di Hourya Sinaceur, in cui viene affrontata l’esperienza fenomenologica dell’infinito, a partire, in primo luogo, dal concetto di continuo. Si affianca a questo tipo di teorizzazione anche l’ultimo studio di Michel Serres, LES ORIGINES DE LA GÉOMETRIE (Le origini della geometria, Flammarion, Parigi 1992), che si situa decisamente al confine tra ricerca storica, riflessione filosofica e epistemologia. Cronologicamente il momento che vede la formalizzazione di una scienza che studia le proprietà delle figure e le relazioni tra gli spazi è databile attorno al V secolo a.C. in Grecia. Michel Serres invita tuttavia a considerare l’origine come «l’era che precede la geometria»; la scienza delle “forme pure”, dell’astrazione razionale, è figlia di un sapere pratico ed empirico, né può essere diversamente, dal momento che «prima di essere razionali, eravamo intelligenti». La testimonianza dell’utilizzo di un criterio di misurazione delle superfici ci viene da Erodoto, che la riferisce all’attività di riscossione delle imposte sul suolo da parte dei funzionari del faraone; ma ancor prima i Babilonesi disponevano di un insieme abbastanza esteso e articolato di conoscenze geometriche. La geometria è dunque, in origine, «misurazione della terra», una pratica che i Greci ereditano dalle culture egizie e babilonesi e che portano ad un livello di astrazione scientifica. L’attribuzione di un valore universale a questo sapere pratico è infatti la scoperta decisiva della civiltà greca: il quadrato, la sfera, il triangolo diventano forme pure, ideali, soggette a regole razionali ed eterne; Serres non esita a parlare di miracolo per definire questa trasformazione della geometria in scienza delle forme pure, che inaugura un mondo di regole universali ed un tempo assoluto, astorico. Questo è lo statuto epistemologico della geometria che i Greci ci hanno lasciato in eredità. Nella mirabile ricostruzione delle origini della geometria, Serres mette in relazione i due differenti momenti, ugualmente originari, della scienza della misura: il momento sensibile, contingente e politico, proprio di una disciplina destinata a regolare i rapporti e a stabilire i criteri della configurazione, e dello svolgimento, delle cose umane, e il momento intellettuale, teorico e fondatore di una razionalità universale, mettendo altresì in evidenza il ruolo della scienza geometrica nella definizione delle “proporzioni” che fondano la correttezza del giudizio razionale e morale. Alle interpretazioni di Serres fanno riscontro, in area francese, alcuni altri recenti interventi sulla questione del rapporto tra filosofia e scienze “esatte”, che hanno in comune la ricerca di un linguaggio preciso, ma semplice, per rilanciare la discussione filosofico-scientifica al di là dei “circoli” di specialisti. Uno dei temi che da Parmenide a Einstein ha più appassionato filosofi e scienziati è sicuramente l’infinito. Le labyrinthe du continu riunisce, in tal senso, interventi di autori vari, che sotto la direzione di JeanMichel Salanskis e di Hourya Sinaceur, s’interrogano sull’esperienza fenomenologica dell’infinito, a partire, in primo luogo, dal concetto di continuo. Come pensare il continuo? In che modo le cose si manifestano nella loro persistenza su una superficie di esperienza in cui tutto cambia? L’esercizio fenomenologico, sottolinea uno degli autori della raccolta, Jean-Toussaint Desanti, è innanzitutto dare significato al fatto che la nostra esistenza, per quanto fragile, si sviluppa come “continua”: qualcosa che non cessa di essere, pur variando. Di Hourya Sinaceur, che dirige con Michel Blay la collana “Mathésis”, dobbiamo qui anche segnalare, accanto al suo lavoro più imponente, Corps et modèles. Essai sur l’histoire de l’algèbre réelle (Corpi e modelli. Saggio sulla storia dell’algebra reale, Seuil, Parigi 1993), l’opera di pubblicazione, che egli va compiendo, di tutta una serie di testi fondamentali della storia della logica, come Les lois de la pensée (Le leggi del pensiero) di Boole, o gli articoli di Leibniz sul calcolo infinitesimale. Rientra in questo contesto anche la sua recente traduzione dell’opera di Bernardo Bolzano, Les paradoxes de l’infini (Il paradosso dell’infinito, Seuil, Parigi 1993). F.M.Z./E.N. Storia dei racconti Con la pubblicazione di due studi di grande risonanza, L’HISTOIRE DES CONTES (La storia dei racconti, Fayard, Paris 1993) e LA FILLE EN GARÇON (La fanciulla travestita da uomo, Garae-Hésiode, Tolosa 1993), una giovane studiosa, Catherine Velay-Vallantin, ha recentemente fatto parlare di sé in Francia per le sue originali ricerche sulla storia dei racconti e si sta attualmente preparando ad affrontare oggetti di ricerca altrettanto originali: le lanterne magiche, il mimo, la pantomina. Ciò che da parte della stampa e degli studiosi francesi ha suscitato più interesse, ma anche riserve, è stata l’ipotesi 21 di fondo dello studio di Catherine Velay-Vallantin. Diversamente dalle varie scuole che studiano le strutture di produzione e di trasmissione dei racconti, interessate per lo più a reperire o teorizzare entità rigide, sovratemporali (vuoi della psiche profonda, vuoi della costituzione antropologica sovranazionale), Velay-Vallantin rivendica il carattere storico e contingente dei racconti. Lungi dal costituire delle varianti, i racconti vivono di vita propria, intessuti in una storia d’infinite variazioni e varianti, di cui protagonista non è il racconto, ma il narratore, il cantastorie. L’adattabilità dei racconti non risiede nella duttilità con cui essi rivestono forme quasi-universali, ma nella plasticità con cui paiono essere sempre gli stessi, pur cambiando continuamente e radicalmente. Come è stato riconosciuto da più parti, lo studio attento delle procedure di trasmissione (fogli sparsi, colportage, rapporto testo/immagine) rende particolarmente convincente l’ipotesi dell’autrice, che da un’attenzione capillare per le differenti edizioni di un racconto, trae un gusto erudito per il viaggio, seguendo così nel tempo le metamorfosi di un racconto, che solo di primo acchito appare già visto, già sentito. Da questo punto di vista Velay-Vallantin rivendica l’arbitrarietà della separazione fra orale e scritto: il viaggio da lei compiuto è un viaggio ermeneutico, capace di dimostrare come l’interpretazione non comprenda solamente i testi, ma in qualche modo li “crei”. Un esempio può essere il fatto che alcuni racconti orali, considerati fonti primarie, sono in realtà delle manipolazioni, trasformazioni di racconti scritti. Talvolta l’orale precede lo scritto e inventa così una tradizione da tramandare: Barbablù è certo una favola che Perrault ha tratto dalla tradizione orale. Ma è vero anche che da lui, attraverso i libri di colportage, si è sviluppata un’altra tradizione, spacciata per antica, in realtà già ampiamente lavorata dagli interpreti. L’interesse per le frontiere labili fra scritto e orale, libro edito e libro plagiato, ha spinto Velay-Vallantin - da noi intervistata a questo proposito - a occuparsi della pantomima, della gestualità del circo, che hanno una loro tradizione mimica, imparentata con quella cultura dell’immagine rappresentata dalle lanterne magiche; una prospettiva di ricerca questa, che peraltro, almeno all’inizio, le ha procurato non pochi ostacoli in ambiente accademico. Va osservato inoltre che Velay-Vallantin si dimostra estranea a ogni tipo di utilizzazione nazionalistica dei racconti: il suo sguardo rimane capace di vaste vedute, europee e non solamente. Un vero spirito da viaggiatore, che non trova che tutto il mondo è paese, bensì che ogni paese è un mondo familiare e insieme lontano. F.M.Z. TENDENZE E DIBATTITI Manhattan fotografata da Weehawken, New Jersey (foto di A. Feininger, particolare) 22 TENDENZE E DIBATTITI TENDENZE E DIBATTITI Marxismo, capitalismo, o...? Dissacratore dell’ortodossia comunista negli anni ’70, nella sua nuova opera, SPECTRES DE MARX (Spettri di Marx, Editions Galilée, Parigi 1993), Jacques Derrida invoca il fantasma di Marx come rimedio ai mali che affliggono la società contemporanea. A questa ipotesi fa riscontro una recente pubblicazione di Emanuele Severino, IL DECLINO DEL CAPITALISMO (Rizzoli, Milano 1993), in cui si tenta una conclusione dello scontro tra capitalismo e marxismo, consumati entrambi da una logica di fondo contradditoria. Come terza forza sembra farsi avanti la tecnica, vincitrice dell’antica sfida e ultima manifestazione del divenire dell’essere occidentale. Punto di riferimento polemico, bersaglio dichiarato di Jacques Derrida in questo suo ultimo lavoro è Francis Fukuyama, che in The End of History (La fine della storia e l’ultimo uomo, trad. it., Rizzoli, Milano 1992) celebra l’istituzione della democrazia liberale e del capitalismo come traguardi ultimi della storia. Spectres de Marx, che rielabora i contenuti di una serie di conferenze tenute a Riverside (California), ci riserva un Derrida dai toni inediti, tant’è che lui stesso definisce quest’opera «un libro di protesta», una denuncia del «discorso dominante», quello appunto che recita il de profundis del marxismo. Un’accorta e minuziosa lettura dei testi di Marx, condotta secondo l’ormai collaudato “metodo” decostruttivo, fa qui tutt’uno con la presa di posizione nei confronti del mondo contemporaneo. Derrida definisce il testo di Fukuyama un “gadget mediatico”, un “neo-vangelo”, andato a ruba «nei supermercati ideologici di un Occidente angosciato», fungendo quasi da ansiolitico. Fukuyama diventa così l’emblema di quell’atteggiamento oggi diffuso che da un lato esulta per la scomparsa delle società improntate al modello marxista e dall’altro «canta l’avvento dell’ideale di democrazia liberale e del mercato capitalista nell’euforia della fine della storia». Non marxista quando tutti lo erano, per quanto intempestivo, Derrida non sembra affatto oggi intenzionato a “convertirsi” o a ricredersi. D’altra parte lo stesso Marx parlava di un fantasma: «uno spettro si aggira per l’Europa - si legge nel Manifesto - lo spettro del comunismo». Ma che cosa rende urgente per Derrida il recupero di questo fantasma? Mettendo il dito sulle “piaghe” del nuovo ordine mondiale, più che esultare per la fine delle ideologie e glorificare lo stato attuale, Derrida ammonisce di “gridare” tutto questo. Una proposta peraltro già accolta da circa duecento intellettuali, tra cui anche Derrida, Lyotard, Blanchot, che nel luglio 1993 hanno sottoscritto un appello alla fondazione di un Parlamento Internazionale degli scrittori, riunitosi poi in ottobre a Strasburgo. La costatazione di un’umanità sofferente, sostiene Derrida, non solo mostra quanto siamo lontani dall’aver realizzato una democrazia liberale come traguardo finale del governo umano, ma soprattutto rivela che bisogna ripensarne gli assiomi e le istituzioni democratiche minacciate. Per far questo, suggerisce Derrida, occorre essere “fedeli” a Marx: «Ci sono pochi testi nella tradizione filosofica, forse nessun altro, la cui lezione appaia oggi più urgente». Con questo non si tratta di assolvere la teoria marxista per condannare le sue applicazioni storiche; ciò che negli anni ’70 Derrida rifiutava del marxismo, la sua piega totalitaria, continua a essere da lui considerato un aspetto strutturale dell’ideologia e non un semplice incidente di percorso. Si tratta piuttosto di distinguere innanzitutto gli “spettri” che inchiodano il marxismo alla sua «pretesa totalità sistemica, metafisica o ontologica», riscontrabile sia nella teoria della dialettica materialistica che negli apparati nati sotto la sua stella. Si tratta, in altri termini, di recuperare quello spirito di critica radicale del marxismo. Restare fedeli a Marx significa allora mettere in atto una critica sociale che oggi coinvolge la democrazia parlamentare, i concetti di uomo e cittadino, le leggi del capitale. Derrida auspica che questa fedeltà possa esprimersi attraverso una “nuova Internazionale”, diversa da quella socialista, un’alleanza senza istituzione, senza partito, senza ideologia, sorretta da un «legame di affinità, di sofferenza e di speran23 za» tra coloro che intendono ispirarsi a Marx in modo nuovo «per una critica dei concetti di Stato e di Nazione». Infatti l’irragionevolezza delle autorità internazionali che sono al servizio degli stati più potenti, la legge del mercato, la disparità dello sviluppo tecnico-scientifico, economico e militare non fanno che aumentare la disuguaglianza effettiva. L’ “analisi chimica”, che mira a separare lo spirito del marxismo, a cui è opportuno rimanere fedeli, dagli altri spiriti orientati in senso totalitario, non è altro che una decostruzione del pensiero di Marx. Ma “decostruire”, osserva Derrida, si rivela proprio quell’operazione che l’invocato spettro di Marx insegna a compiere, se per “critica radicale” intendiamo la ricerca in profondità non della radice, ma di ciò che è irriducibile a una “origine”, a un “fondamento” e che si presenta come traccia, disseminazione, simulacro, fantasma. L’atto decostruttivo, la “critica radicale”, rivela così l’insufficienza di un’ontologia della presenza e dell’assenza nel pensare l’evento, che è appunto ciò che Derrida si propone attraverso la rilettura di Marx. Lo spettro diventa allora il paradigma per pensare l’ “evenire dell’evento”: quel che accade, accade nel modo di quel che è là senza esser là, come il fantasma, e come oggi la virtualizzazione dello spazio e del tempo, ci mostrano inequivocabilmente. La necessità di «pensare a un altro spazio per la democrazia a venire e dunque per la giustizia» s’impone allora a partire dall’inadeguatezza del vecchio paradigma ontologico che ha dato luogo all’attuale concezione della democrazia e della giustizia. Di diverso avviso sembra invece Emanuele Severino, che ne Il declino del capitalismo sostituisce alla classica immagine dello scontro tra capitalismo e comunismo quella di un marxismo ormai definitivamente consumato e di un capitalismo prossimo alla fine, vittime di una contraddizione logica che ruota intorno ad una terza forza, la tecnica, considerata il destino necessario di entrambi. Secondo Severino il marxismo è definitivamente morto grazie ad una serie di contraddizioni che hanno determinato il dissolversi della sua logica di fondo. In primo luogo il venir meno della possibilità di una TENDENZE E DIBATTITI verità immutabile e necessaria: la pretesa di un dogmatico assolutismo ha costituito il limite interno del marxismo stesso, poiché ogni immutabile, sostiene Severino, è destinato a tramontare in quanto testimone di una pretesa di eternità e necessità che stride con il presupposto ontologico occidentale del divenire dell’essere. Il marxismo, inoltre, nato come dottrina fondata sui valori di uguaglianza sociale, ha dovuto via via rinunciare alla propria etica per potersi difendere dal capitalismo: l’apparato tecnologico, che è diventato lo strumento necessario per fronteggiare economicamente il capitalismo dell’Ovest, ha tradito i valori di partenza e con essi l’essenza stessa del marxismo. Infine il marxismo non ha capito come la contraddizione vera e propria del capitalismo sia strutturale e non ideologica: avendo confuso capitalismo e tecnocrazia, ha perso la possibilità di competere, sul piano logico, con il capitalismo. Ma se il marxismo è giunto al proprio epilogo a causa della sua struttura essenzialmente contraddittoria, anche il capitalismo sembra essere prossimo al tramonto a causa di una contraddizione logica. Seguendo la definizione aristotelica per cui «il fine di un’azione non è qualcosa di esterno ad essa, bensì ne costituisce l’essenza», Severino identifica l’essenza del capitalismo nella logica del profitto, riconoscendo in quest’ultima la causa di una contraddizione fondamentale: lo sviluppo industriale si sta dirigendo verso l’annientamento delle risorse naturali che costituiscono la base della produzione economica. Di fronte alla minaccia della distruzione della Terra, e quindi della sua auto-distruzione, il capitalismo, osserva Severino, o prosegue, fatalmente, nella medesima direzione, o rinuncia al fine che gli è proprio, il profitto, per darsene un altro, cioè la salvezza della Terra, chiedendo aiuto alla tecnica. In entrambi i casi il capitalismo rinuncerebbe tuttavia alla propria essenza e si avvierebbe, in ogni caso, al suo epilogo. La tecnica diviene così il “farmaco”, per usare un termine caro a Derrida, del capitalismo; farmaco inteso sia come rimedio, in quanto lo salva dalla rovina della Terra, sia come veleno, in quanto lo conduce, in ogni caso, al suo tramonto. Capitalismo e tecnocrazia, sottolinea Severino, accomunati da Marx, e in fondo dallo stesso Derrida, in una medesima logica contraddittoria, sono caratterizzati da strutture che entrano necessariamente in collisione. La tecnica, in quanto possibilità indefinita di realizzare scopi, ha come fine ultimo l’eliminazione della scarsità e la realizzazione della massima efficienza e benessere. Di contro il capitalismo necessita di una situazione di scarsità per poter imporre la propria ricchezza ed il proprio capitale in vista del profitto. Così la tecnica si rivela in ultima analisi il fattore che ha concorso al tramonto del marxismo e che oggi minaccia il capitalismo dall’interno della sua struttura. Severino giustifica il ruolo distruttivo e la consistenza della tecnica riconoscendo in essa l’ultima espressione della volontà di potenza dell’uomo occidentale: la tecnica, definita da Severino come la capacità di realizzare qualcosa di “essente” dal “nulla” e quindi come la massima espressione del divenire dell’essere, diviene in tal senso la manifestazione estrema della “follia” dell’Occidente. Con ciò Severino esclude il presupposto che regge l’interpretazione di Derrida; se per Derrida, infatti, è ancora possibile evocare quegli “spettri” del marxismo che, sfuggendo ai concetti assorbiti dall’ideologia, ci richiamano ancora un senso di giustizia sociale, lo stesso non è possibile per Severino, che ci propone l’immagine di marxismo e capitalismo come sistemi essenzialmente contraddittori e destinati all’esaurimento completo in virtù della tecnica. A.M./A.S. Interiorità e verità in S. Agostino Un intenso dibattito su alcuni temi fondamentali della concezione filosofica di S. Agostino è quello che emerge nel volume INTERIORITÀ E INTENZIONALITÀ (Institutum Patristicum “Augustinianum”, Roma 1993), che raccoglie gli atti del IV Seminario internazionale del Centro Studi Agostiniani di Perugia, a cura di Luigi Alici, Remo Piccolomini, Antonio Pieretti. Un’interessante integrazione di questo ambito di riflessioni è offerta dallo studio di Orlando Todisco, PAROLA E VERITÀ (Anicia, Roma 1993). Nel volume Interiorità e intenzionalità viene seguito il cammino esistenziale e religioso della concezione filosofica agostiniana alla luce di nuove riflessioni su alcune tematiche fondamentali. Il percorso riflessivo segnato dai vari contributi al volume si snoda attraverso i temi centrali della teoria di S. Agostino e stabilisce i nessi significativi che l’interiorità rivela nella sua apertura esistenziale. L. F.Tuninetti e G. Fidelibus pongono l’accento sulla relazione esistente tra l’interiorità e Dio, sottolineando le similitudini che legano, al di là delle differenze, la prospettiva agostiniana con la concezione religiosa tomistica. M. Fabris mostra invece come Maine De Birain abbia recepito l’appello agostiniano a calarsi nell’interiorità dell’anima umana attraverso la separazione dal mondo esterno, per cogliere la verità interiore. Infatti, l’interiorità rappresenta per S. Agostino la vera dimensione dell’uomo, poiché questi, solo ripiegandosi in sé, può trovare la verità. Tuttavia l’interiorità è anche “tensione verso”, che ne impedisce la chiusura rigida in se stessa, ponendola in continuo movimento “itinerante”, illuminato dalla rivelazione divina. Così l’uomo, pur trovandosi nella 24 condizione di ineludibile finitezza, possiede, secondo A. Pieretti, una sua “dignità”, determinata dalla possibilità di distacco dalle cose materiali e dall’apertura alla dimensione spirituale dell’eterno. Il tema dell’amore per Dio si ritrova nella riflessione di B. Studer collegato con l’altro pilastro fondamentale della tematica religiosa agostiniana, che è quello della speranza concepita come attesa paziente di una buona realtà futura. L’uomo supera la sua nullità esistenziale attraverso una speranza immensa che proviene direttamente da Dio, il quale, sceso nelle profondità interiori dell’anima umana, fornisce significato all’esistenza dell’uomo. D’altro canto Lettieri mette invece in evidenza come solamente il valore immane della grazia possa consentire all’uomo il contatto spirituale con Dio. L’uomo è quindi viator, alla continua ricerca della verità, mosso da un infinito amore per Dio e proiettato verso l’imperscrutabile direzione della “grazia”. L’amore per Dio si manifesta anche attraverso l’amore per il prossimo, in quanto partecipe della stessa natura divina. L’interiorità si apre agli altri e comunica attraverso il segno linguistico, lasciando che il significato autentico dell’interpretazione venga ricercato da colui che ascolta attraverso la discesa nella profonda caverna interiore della sua memoria, del suo tempo intimo. K. Flasch esamina il rapporto tra l’interiorità e il tempo, dove il tempo agostiniano si definisce come il movimento espansivo ed estensivo dell’anima umana che rivela il proprio carattere di prodotto della creazione divina. In questa prospettiva, osserva G. Santi, si può verificare l’incontro con l’ermeneutica di Gadamer che, sebbene sia svincolata da una fondazione ontologica della verità, mira a valutare l’importanza dell’ascolto, della comprensione della parola e quindi dell’interpretazione possibile, compiuta dall’ascoltatore. Diviene così fondamentale il rapporto tra segno linguistico e il significato interiore, il legame della parola con il contenuto mentale. Secondo E. Esposito il linguaggio rivela una dimensione significativa dell’essere, poiché è abitato dall’essere, come propone la riflessione heideggeriana. Questa prospettiva apre interessanti direzioni di ricerca riguardo al valore determinante dell’interpretazione in funzione del significato della comunicazione umana: in quest’ottica può acquistare grande importanza “ ripensare S. Agostino”. Il tema del rapporto tra interiorità e segno linguistico, sottolineato qui in particolare da G. Balido, R.A. Markus e da G. Santi, acquisisce un rilievo specifico nello studio di Orlando Todisco, Parola e Verità, in cui viene analizzato il valore che la filosofia del linguaggio assume nella prospettiva teorica di S. Agostino alla luce del rapporto tra parola e verità. S. Agostino rifiuta la concezione “rappresentativa” del linguaggio, mostrando come le parole non TENDENZE E DIBATTITI rappresentino le cose, ma siano segni che rinviano oltre se stessi. Pertanto la verità non deve essere ricercata nella parola “esteriore”, ma in quella “interiore” che ognuno ascolta dentro di sé in un profondo silenzio mistico. Solo la parola “interiore” può conferire significato a quella “esteriore”, poiché la verità risiede nell’intimo dell’uomo nel quale si è rivelata la luce divina che dissipa le false ombre. L’essenza divina non è segno perché non rinvia ad altro all’infuori di se stessa, essendo il significato di tutta la realtà, essendo luce nel cui riverbero tutte le cose del mondo ricevono senso. Todisco mostra come la concezione agostiniana della realtà, intesa come mondo dei segni che rimandano ad altri segni attraverso un continuo rinvio di significati, riveli la possibilità di una ininterrotta interpretazione di ciò che viene detto. Nella comunicazione con gli altri, compiuta sempre con lo sfondo della presenza divina, avviene un perenne scambio di segni, passibili delle più varie interpretazioni in base a quella “parola interiore” che ognuno sente nel profondo abisso temporale della propria interiorità. Se ciò che conta non sono le cose materiali ma i segni linguistici, che rinviano ai significati interiori, l’uomo non può far altro che interpretare e la filosofia del linguaggio diviene essenzialmente interpretazione e quindi “ermeneutica”. M.Mi. Metafisica e fisica matematica In un momento in cui la filosofia dialoga preferibilmente con l’ermeneutica o con le scienze umane, delegando agli epistemologi i rapporti con la scienza, il proposito dell’opera di Gilles Chatelet, LES ENJEUX DU MOBILE (La posta in gioco di ciò che si muove, Seuil, Parigi 1993) è avvincente quanto insolito: mostrare che l’esigenza della metafisica è ancora attuale, ridestare la filosofia della natura dal sonno in cui è piombata dopo l’idealismo tedesco. Di taglio diverso è il testo di Michel Blay, LES RAISON DE L’ INFINI. DU MONDE CLOS A L’ UNIVERS MATHEMATIQUE (Le ragioni dell’infinito. Dal mondo chiuso all’universo matematico, Gallimard, Parigi 1993), che si presenta nei termini di una rivisitazione a fini didattici di uno dei più affascinanti capitoli della storia della scienza, quello che riguarda la costituzione della fisica matematica. Come esempio di un dialogo oggi dimenticato tra scienza e filosofia Gilles Chatelet chiama in causa Shelling, quando nelle sue Idee per una filosofia della natura, con l’affermazione «dell’identità assoluta dello spirito in noi e della natura fuori di noi», sopprime la separazione di oggetto e soggetto, la scissione tra natura e comprensione. Il rifiuto del dualismo di pensiero e natura s’impone per Chatelet a una filosofia che voglia pensare adeguatamente la fisica matematica. Docente di fisica teorica e direttore di ricerca al Collège international de philosophie, Chatelet si stupisce che l’armonia tra filosofia, fisica e matematica, che anche Kant aveva colto, sia andata perduta. Nel tentativo di renderla nuovamente percepibile, Chatelet fornisce esempi circa i contributi che la filosofia ha dato per il perfezionamento della matematica o della fisica, mostrando una propositività assente nell’epistemologia, laddove essa si limita a fornire una modellizzazione teorica del fare scientifico. Les enjeux du mobile si presenta come una vera e propria opera di riabilitazione della metafisica, del vecchio “mondo intellegibile”, inteso però come spazio di virtualità e dell’attività di pensiero ad esso relativa, la “contemplazione”. Questa è emblematicamente concepita come “gesto intellettuale”; e proprio la nozione di gesto si rivela il comune denominatore delle ricerche condotte dall’autore in metafisica, fisica e matematica. Il proposito di Chatelet è infatti quello di ritrovare l’intuizione centrale di una teoria, coglierne il gesto inaugurale, quindi di ripercorrere a ritroso quel movimento che ha consentito di compiere un salto nel sapere fisico o matematico. È sul terreno della metafisica, quel che gli antichi chiamavano “mondo intellegibile”, che si “apprende” a esercitare il gesto intellettuale. Il mondo virtuale più classico e accessibile è per Chatelet quello della geometria: lo spazio geometrico è il mondo astratto iniziale in cui matematici e fisici hanno colto i rispettivi oggetti. Tanto la fisica che la matematica hanno bisogno di questo spazio virtuale “metafisico” per esplorare le realtà che costituiscono i rispettivi campi d’indagine; esso si rivela supporto fondamentale all’esercizio dell’intuizione, operazione costitutiva della ricerca fisica e matematica. Ma Chatelet non trascura neanche le trasformazioni che questo mondo virtuale subisce attraverso i “gesti” matematici e fisici ed esamina i guadagni teorici determinati dai principali cambiamenti di prospettiva in campo scientifico: nel XVIII secolo con la comparsa della nozione di “forza”, nel XIX con l’elettrogeometria, nel XX con la relatività. Mostra infine che questo mondo intellegibile ha oggi la dignità di un oggetto reale e una consistenza tanto più solida quanto più la fisica e la matematica si sono evolute verso un grado di maggiore complessità, ovvero verso una gestualità più ricercata. Questa metafisica “a fior di pelle”, necessaria per pensare la fisico-matematica deve rinunciare, secondo Chatelet, alla distinzione tra contenuto (fisico) e linguaggio (matematico). Sulla scia di Merleau-Ponty potremmo ribattezzarla una metafisica 25 del gesto; oppure, considerando la simpatia di Chatelet per Deleuze e Guattari, una metafisica della “piega” e del movimento che le corrisponde, il “dispiegamento”. Una guida di lettura alle opere fondamentali della fisica matematica: i Discorsi di Galileo, i Principia di Newton, l’Horologium di Huygens, con le relative dimostrazioni commentate passo per passo, è quella offerta da Michel Blay in Les raison de l’infini. Sebbene l’approccio non sia nuovo, il testo ha il pregio della chiarezza e della precisione. Esso mostra come il progetto di costituzione della fisica matematica, abbozzato da Galileo in termini di geometria euclidea, viene messo a punto da Lagrange nel suo Meccanica analitica del 1788, dove il modello matematico proposto non è più di tipo geometrico. L’universo non è più scritto in «triangoli, quadrati, cerchi», ma in caratteri algebrici. L’invenzione del calcolo infinitesimale e gli sviluppi dell’analisi hanno così consentito alla famosa formula galileiana, «l’universo è scritto in termini matematici» di acquisire un senso pieno. Blay esamina le condizioni di questo cambiamento: nel XVII secolo, la questione dell’infinito in matematica trovava resistenze religiose, in quanto la nozione d’infinito era riservata solo a Dio. Sarà Fontanelle, nel suo Elements de la geometrie à l’infini (1727), a spianare la strada a Lagrange, distinguendo tra infinito geometrico e infinito metafisico. A.M. Il simbolo e le sue forme Se la modernità e l’epoca della tecnica hanno determinato una sorta di demitizzazione della cultura e di perdita del significato di una dimensione simbolica, appare senz’altro urgente una risimbolizzazione della realtà che necessariamente deve passare attraverso un confronto fattivo con la tradizione, soprattutto quella romantica, e con una ridiscussione del rapporto tra segno e simbolo, uno degli esiti più rilevanti della riflessione contemporanea. L’annuario “Estetica 1992”, a cura di Stefano Zecchi, che compare con il titolo monografico: FORME DEL SIMBOLO (Il Mulino, Bologna 1993), intende affrontare questi problemi attraverso una serie di interventi di autori vari. Nel suo saggio “Simbolo e allegoria nel primo romanticismo tedesco” Ernst Behler mette in luce come il primo romanticismo tedesco attui una svolta, non soltanto da un punto di vista strettamente terminologico, rispetto alla posizione del classicismo tedesco e della filosofia idealistica: simbolo ed allegoria, fino ad allora non TENDENZE E DIBATTITI Léon Spilliaert, Vertige, l’escalier magique (1908, particolare) 26 TENDENZE E DIBATTITI distinti con precisione, assumono significati ben differenti e diverso è anche il loro rapporto con la poesia. Il primo a separare nettamente il simbolo dall’allegoria è Goethe che sottolinea la capacità del simbolo di rappresentare in forma intuitiva ed allusiva l’universale, “l’idea” in un’immagine, un fenomeno, mentre l’allegoria viene relegata al ruolo di mera metafora, legata all’ambito del concettuale e quindi poco adatta ad esprimere l’essenza del poetico. Ma è soprattutto con Schelling che il nuovo concetto di simbolo assume una valenza filosofica, inscrivendosi anche all’interno di una nuova teoria della creazione artistica: «la rappresentazione dell’assoluto che comporta l’assoluta indifferenza dell’universale e del particolare nel particolare» è possibile solo nel simbolo; in esso l’universale non è il particolare, né il particolare è l’universale, perché entrambi sono «assolutamente uno», come compiutamente avviene nella mitologia greca. Un rilevante spostamento rispetto a Schelling è quello operato da Novalis, il quale rinuncia alla funzione di rappresentazione dell’assoluto propria dell’arte e fa della poesia stessa una realtà assoluta. In questo senso la posizione di Novalis appare più in linea con quella espressa dai fratelli Schlegel ed altri teorici della poesia che assumono una posizione più moderata nei confronti della designazione “simbolo” e meno ostile verso l’allegoria. Partendo invece dal presupposto che la modernità è caratterizzata da una “demitologizzazione”, nel suo intervento (“L’arte del XX secolo e il simbolo”) Jean Claude Pinson si chiede in quale misura essa influenzi l’arte del nostro secolo. La dimensione simbolica dell’arte, nonostante la “desimbolizzazione” operata dalle estetiche del nostro secolo, risulta in realtà ben presente nella produzione artistica della modernità, come dimostra emblematicamente l’esperienza del monocromo di Malevic. Qui l’assoluto, quell’assoluto che la speculazione estetica romantica poneva nel simbolo, si dà in absentia; Malevic rifiuta ogni legame e senso di appartenenza ai simboli remoti o latenti e concepisce la sua arte come sradicamento, la cui simbolicità è data proprio dal rinvio ad un’assenza non rappresentabile che si offre come un’intuizione dell’infinito, privo di qualsiasi legame con la terra. Forse meno attento all’assoluto ed al divino, ma altrettanto aperto ad una risimbolizzazione dell’arte, il surrealismo sviluppa da un lato un’iconografia tesa a demistificare e desacralizzare i simboli tradizionali, dall’altro sviluppa un’ontologia della bellezza, significativamente proprio in Breton, come apertura all’essere, al di là della solita esistenza ed in una dimensione più analogica che logica, che assume i caratteri di un’emozione dinnanzi alla sacralità. Un’analisi critica dei presupposti teorici sottesi alla considerazione del simbolo come altro dal segno, è quella sviluppata da Carlo Sini con il saggio: “Il pensiero e il simbolo”, che prende spunto dalla riflessione di Wittgenstein sulla logica della rappresentazione. Il problema posto da Wittgenstein è infatti quello di come una cosa possa significarne un’altra. Egli sottolinea l’insignificanza del contenuto materiale dei simboli e più in generale dei segni: il simbolo, come il segno, si limita a rendere trasparente e nominare il “nucleo logico” di un’immagine sensibile dal punto di vista del pensiero; pertanto non ha senso distinguere segno e simbolo come categorie ontologicamente diverse, perché il pensiero non può che raffigurarsi il mondo logicamente, cioè nel segno e come segno. Il significato si dà solo nell’espressione, e proprio per questo ogni attività dell’uomo è simbolica: significato del mondo e sua espressione sempre aperti. Jacques Taminiaux prende invece in esame nel suo intervento (“Il simbolo nell’ontologia fondamentale di Heidegger”) la dimensione del simbolico limitatamente al progetto dell’ontologia fondamentale di Heidegger; il metodo d’approccio qui adottato è quello fenomenologico: il simbolo ricade da un lato nella dimensione dell’Erscheinung che, a differenza del fenomeno primordiale, non ha la caratteristica dell’automanifestazione, bensì una funzione referenziale, l’indicare una cosa per mezzo di un’altra; dall’altro lato proprio il rinvio del simbolico a ciò che non può essere visibile lo relega sul piano del discorso semantico che non è né vero, né falso. Ma è soprattutto dall’esame del 17 di Essere e Tempo (“Rimando e segno”), osserva Taminiaux, che tale riduzione della portata del simbolo si attua emblematicamente; a livello della Cura e della riappropriazione del suo più proprio poter essere, il Dasein giunge intuitivamente e istantaneamente alla visione della sua più autentica possibilità, al di là dei segni che popolano il suo essere-nel-mondo quotidiano. Dal fatto che l’unità delle arti sembra dipendere dalla comune filiazione dalla memoria (le Muse sono figlie di Mnemosine), prende spunto la riflessione di José Jiménez (“Il rischio dell’immagine”), che sottolinea come tale unità trovi radice nella capacità rappresentativa delle arti, il loro essere immagine. E’ in Wittgenstein, sostiene Jiménez, che l’idea di una rappresentatività, del linguaggio in particolare, acquista una rilevanza filosofica centrale: il linguaggio si costruisce come immagine del mondo. Tuttavia, sottolinea Jiménez, che la tesi dell’iconicità del pensiero e del linguaggio non implica un’immagine come semplice copia di essenze, ma rimanda alla dimensione antropologica e convenzionale di ogni immagine in rapporto ad un determinato contesto culturale. Ed è in quest’ottica che è possibile giustificare l’unità delle arti come «materializzazione della capacità proiettiva dell’essere umano», la cui unità simbolica emerge attra27 verso un «uso estetico delle immagini». L’intervento di Burghart Schmidt (“La polemica sul simbolo nella logica dell’arte”) affronta la tematica del simbolo a partire da due posizioni estreme: da un lato la posizione di Goethe che, muovendo dall’arte, vede il simbolo come presenza piena di ciò che è significato nella rappresentazione; dall’altro quella di Peirce che, in rapporto ad una più generale dimensione segnica della rappresentazione, vede il simbolo come ciò che rappresenta qualcosa per mezzo di qualcos’altro. All’interno di questo dualismo tra presenza-luminosità del significato in Goethe, assenza-convenzionalità del significato in Peirce, si pone secondo Schmidt l’esperienza estetica del simbolismo del XX secolo. Se nello stile simbolista il nesso significante è frutto di una convenzione, quest’ultima viene fissata solo dall’artista ed è priva di quel senso comunicativo riconosciuto, proposto da Peirce. Attraverso un’analisi delle figure più significative della letteratura contemporanea, Aldo Trione (“Udire l’oscurità”) sottolinea la centralità in essa dell’elemento della poiesis, che colloca nella forma la cifra caratteristica della poesia della modernità: il contenuto non è più causa, ma effetto della forma, come, secondo, Velery, accade emblematicamente in Mallarmé. Lo spazio della poiesis è uno spazio simbolico dominato dalla forma pura che annulla il mondo, diventato un puro Nulla, ma che rivela nuove affinità e nuovi rapporti. In questa prospettiva del fare poetico, osserva Trione, dire le cose significa farle poeticamente, aprendo un’utopia del fare, dell’arte come promessa di un «risarcimento immaginario di quella catastrofe che è la storia del mondo». Con il suo intervento dal titolo: “Emozione, immagine, simbolo”, James Hillmann, attraverso un immaginario colloquio, mette in luce infine il complesso rapporto esistente tra immagine, rappresentazione ed immaginazione, sottolineando come le immagini ci coinvolgano come portatrici di una testimonianza della nostra natura e come tale simbolicità costituisca l’essenza della creatività dell’anima. Completa la serie degli interventi una parte monografica dedicata a Richard Wagner, figura emblematica della contraddittorietà e complessità delle forme del simbolo. S.C. TENDENZE E DIBATTITI La filosofia politica di Rosmini Inquadrare il pensiero politico di Rosmini nel contesto storico-culturale del suo tempo, al fine di rendere le concezioni di questo autore più facilmente comprensibili, è quanto si propone il volume FILOSOFIA E POLITICA (Morcelliana, Brescia 1993), a cura di Giorgio Campanini e Francesco Traniello, in cui vengono presentati gli atti di un convegno dedicato a questo autore, promosso dal Comune di Rovereto. Alla questione del rapporto che lega la scienza politica rosminiana ad altri ambiti del sapere è rivolto invece sia lo studio di Evandro Botto, ETICA SOCIALE E FILOSOFIA POLITICA IN ROSMINI (Vita e pensiero, Milano 1992), che quello di Franco De Faveri, ESSERE E BELLEZZA (Morcelliana, Brescia 1993). Le problematiche politiche sollevate da Rosmini nella sua opera si confrontano continuamente con le linee teoriche della sua epoca nel clima della Restaurazione, mostrando legami, in particolare, col pensiero di Tocqueville e di altri rappresentanti della cultura francese. L’evento cardine della storia con il quale la riflessione rosminiana si misura è la Rivoluzione francese. Rosmini non solo valuta il significato di rottura che questo evento ha rappresentato nei confronti della struttura signorile e della forma civile della società, ma soprattutto mostra come esso abbia scardinato il connubio Chiesa e Stato, rivelando l’anelito verso una religione liberata da compromessi mondani e politici. Per lo più, le riflessioni presenti nel volume Filosofia e politica sono volte a cogliere i significati centrali della concezione della società e dello Stato di Rosmini per una fondazione di una scienza politica, svincolata da determinazioni quantitative e connessa con altri rami del sapere, in particolare con l’antropologia filosofica, che costituisce il perno della teoria politica rosminiana. Un tema fondamentale di quest’indagine concerne la funzione che la società deve esercitare: concepita come la manifestazione visibile e concreta di una società invisibile e quindi religiosa, essa deve regolamentare i diritti dei cittadini senza pretendere di garantire la felicità umana che rimane nell’arbitrio unico del singolo. Nelle analisi politiche di Rosmini si possono peraltro intravedere tematiche specificatamente moderne: la critica al dispotismo di uno Stato che in nome di assoluti mandati abusa del potere, rivelandosi intrusivo nei confronti del diritto inalienabile del singolo alla libertà; la critica alle teorie socialiste e comuniste che si basano su un errato ideale di “perfettibilità” nella loro assurda pretesa di stabilire in astratto ciò che è bene per l’uomo, svalutando i limiti della realtà concreta e non tenendo conto della natura umana nella sua duplice caratterizzazione di negati- Antonio Rosmini (litografia di Seghesio) 28 vità e di positività e basandosi su miti utopici e irrealizzabili di redenzione sociale. In quest’ottica la proposta politica di Rosmini mostra di basarsi sull’esame delle reali condizioni della società che possono consentire o meno l’applicabilità di una forma di governo. Assai interessante risulta essere a questo proposito il confronto critico di Rosmini con Popper. Sebbene i punti di partenza e le motivazioni teoriche dei due filosofi siano diverse, tuttavia conducono ad un medesimo risultato: la critica ad una concezione politica che si ponga come esaustiva, che non consideri i suoi limiti, che invada le altre sfere dell’esistenza umana come quella religiosa, che sia omnicomprensiva, totalizzante e distruttiva degli spazi del singolo. E se Popper si attiene ad un pensiero scientifico critico, ad un sapere che non si trasformi in potere, Rosmini considera invece fondamentale la separazione dello Stato dalla Chiesa per lasciare che ogni uomo viva attraverso il cerchio unico della propria individualità l’esperienza sacra della fede. Il tema del nesso indissolubile che lega la scienza politica rosminiana ad altri ambiti del sapere viene preso in considerazione da Evandro Botto in Etica sociale e filosofia politica in Rosmini. Tra i diversi ambiti di sapere, risulta in particolare determinante l’antropologia metafisico-personalistica. Per Rosmini la filosofia della politica può svolgere compiutamente la sua funzione solo se trascende la sua sfera di competenza valorizzando il nucleo individuale della persona umana, il cui vero bene costituisce il fine ultimo della società civile. In tal senso Botto prende in esame la critica di Rosmini alle concezioni politiche del passato, che si basano su una prospettiva limitata dell’antropologia, come nel caso del Sensismo che appiattiva le caratteristiche della persona riducendole alle sole componenti sensibili. Per Rosmini, invece, la persona è quella componente che unifica le molteplici dimensioni proprie della sua natura (sensibili, razionali, spirituali). Questa concezione della persona, osserva Botto, è tipica di Rosmini e lo collega alla filosofia personalistica, poiché anch’egli mira a cogliere l’integrità della persona umana contro ogni possibile dispersione e frammentazione. L’analisi di Botto è essenzialmente rivolta a dimostrare come nella teoria rosminiana la filosofia della politica, per evitare di incorrere nella mancata considerazione dell’individuo, non possa fare a meno di saldarsi all’etica sociale. Anche la dimensione estetica di Rosmini è strettamente collegata con la concezione metafisica, come emerge dall’analisi di Franco De Faveri Essere e bellezza, in cui viene analizzata la concezione ontologica della bellezza in Rosmini alla luce nelle coordinate teoriche della cultura europea del suo tempo. Dopo aver esaminato in modo approfondito la problematica gnoseologica rosminiana, volta a cercare una mediazione tra il realismo dogmatico del filone aristotelicotomistico e l’occasionalismo di Malebranche, proponendo un realismo critico, De TENDENZE E DIBATTITI Karl Marx, Ludwig Feuerbach Faveri si addentra nell’indagine della complessa questione della fondazione ontologica della teoria del bello di Rosmini. Privilegiando il valore di unità della molteplicità come significato preminente della bellezza, la prospettiva estetica rosminiana, fa notare De Faveri, va a inquadrarsi in una corrente di pensiero che richiama costantemente il principio dell’unità come raccordo del molteplice e rivelatore della bellezza. La teoria rosminiana manifesta tuttavia la sua originalità in base al legame che istituisce tra l’ideale oggettivo presente nella mente umana e la bellezza reale. Infatti la bellezza può essere colta solo attraverso il suo rapporto ontologico con la verità metafisica, con l’oggetto ideale della mente, con l’essenza divina. Nella callologia rosminiana, tra i diversi tipi di bellezza risulta preminente la bellezza divina e soprannaturale che nella sua assolutezza sussume sotto di sé la bellezza macrocosmica e la bellezza umana, che a sua volta si suddivide in bellezza corporea, psichica e microcosmica. La bellezza ha per Rosmini un duplice aspetto, essendo formale e materiale, intellegibile e concreta, ideale e reale e può trovare solo nell’unione tra questi due aspetti quel sentimento morale che è segno, che è emblema della divinità. La bellezza rosminiana è armonia, ordine, perfezione, unità, lontana dalla infinità dispersiva del sublime; è integrità, totalità, oggettività, luminosità e plauso naturale e sovrannaturale. M.Mi. Stirner e la rivolta Un convegno della fine del 1992, i cui atti sono stati recentemente pubblicati con il titolo: INDIVIDUO E INSURREZIONE, STIRNER E LE CULTURE DELLA RIVOLTA (a cura di Elio Xerri e Vincenzo Talerico, Il Picchio, Bologna 1993) e due monografie, una di Giorgio Penzo, MAX STIRNER. LA RIVOLTA ESISTENZIALE (Marietti, Genova 1992, 3ª ed. riveduta e aggiornata), l’altra di Enrico Ferri, L’ANTIGIURIDISMO DI MAX STIRNER (Giuffrè, Milano 1992) rivelano un rinnovato interesse per la figura e l’opera di Max Stirner. Un primo problema, nell’affrontare il pensiero di Max Stirner, pseudonimo di Johann Caspar Schmidt, consiste nel collocarne la riflessione sul piano filosofico piuttosto che su quello ideologico, come puntualizza Giorgio Penzo in apertura della terza edizione della sua monografia, Max Stirner. La rivolta esistenziale. Alla considerazione filosofica della riflessione stirneriana ha senza dubbio contribuito la polemica di Stirner con Marx ed Engels, dalla quale l’opera di Stirner - del quale, più di ogni altro pensatore, si può forse dire sia stato l’autore di un solo libro, L’Unico e la sua proprietà (trad. it. di C. Berto, a cura e con introduzione di G. Penzo, Mursia, Milano 1990) - esce con le sembianze di una manifestazione di anarchismo selvaggio su base individualistica, dove 29 l’egoismo stirneriano (che viene anche apparentato a quello di Bentham) rimarrebbe, dal punto di vista filosofico, sul piano del dilettantismo. D’altra parte, l’irriducibilità del concetto stirneriano di rivolta a quello marxiano di rivoluzione non necessariamente comporta la riduzione dell’opera di Stirner al livello della letteratura, o della propaganda d’agitazione. Secondo Penzo, la centralità del concetto di rivolta introdurrebbe invece alla dimensione più propria della riflessione di questo autore, quella ontologico-esistenziale, dissimulata e sistematicamente celata da Stirner medesimo. Differenziando il proprio detto dal suo senso profondo, che rimane indicibile, l’opposizione di Stirner al cristianesimo, similmente a quanto accade in Nietzsche iuxta l’interpretazione heideggeriana, non deve essere interpretata come una posizione antireligiosa, bensì, osserva Penzo, come una tesi ontologica indirizzata contro il pensiero metafisico occidentale. Analogamente, nell’interpretazione di Enrico Ferri, l’antigiuridismo di Stirner indica la chiave d’accesso, ancorché apparentemente settoriale, al complesso della riflessione stirneriana, e in quanto critica al fondamento medesimo dell’idea di diritto, al concetto cioè della doverosità giuridica, rappresenta «una variante e un’estensione del rifiuto di ogni doverosità etica, tanto che essa si fondi su valori trascendenti, quanto immanenti: su Dio (teologia) o sull’uomo (antro- TENDENZE E DIBATTITI pologia)». È d’altra parte noto, a questo proposito, il ruolo che il disprezzato Stirner ebbe nel distacco di Marx dall’antropologismo feuerbachiano. La riflessione stirneriana si configura dunque come una critica radicale della metafisica occidentale e delle categorie da essa formulate, quella del politico in primo luogo. Proprio la valenza politica e ideologica della nozione stirneriana di rivolta ha costituito il tema del convegno “Individuo e insurrezione”, promosso dalla Libera Associazione di Studi Anarchici e tenutosi alla Casa del Popolo di Firenze il 12-13 dicembre 1992, di cui vengono ora pubblicati gli atti nel volume omonimo. L’opera collettanea contiene saggi, fra gli altri, di Giorgio Penzo, Roberto Escobar, Ferruccio Andolfi, Enrico Ferri, Antimo Negri, Alfredo Maria Bonanno, Fabio Bazzani, nonché il resoconto dei dibattiti svoltisi nelle due giornate del convegno. La figura di Stirner risulta qui colta nella completa molteplicità dei suoi aspetti: quella esistenziale, quella politicoideologica, quella di critico della cultura. Vengono inoltre approfonditi da un lato il rapporto fra Stirner e i suoi contemporanei, dall’altro le eredità, tanto sul piano storicofilosofico, quanto su quello politico, della riflessione stirneriana. Colta nella globalità dei suoi aspetti, la figura di Stirner emerge dagli interventi al convegno di Firenze nel suo carattere di “cesura” del paradigma della ragione moderna, nella complessità delle sue articolazioni. F.C. L’esperienza delle cose nella società moderna Nel volume di autori vari ESPERIENZA DEL(a cura di A. Borsari, Marietti, Genova 1992) la questione di fondo è rappresentata dall’esperienza umana delle cose nella società postmoderna rispetto alle società del passato. In particolare viene posta l’attenzione sul fatto che nella società attuale non solo il soggetto ha perso il suo significato più autentico, ma le cose stesse non sono che “feticci”, venendo meno il loro valore fondamentale di comunicazione con gli uomini, da cui traspare il tipo di struttura sociale vigente in una data cultura. LE COSE La società attuale con la sua economia di mercato di tipo capitalistico è dominata dal consumismo e dal forte senso della proprietà, che privano le cose del loro potenziale valore simbolico. Le cose occupano, affollano lo scenario della vita moderna, acquisendo un carattere universale, oggettivo, valido per tutti che le rende oggetti neutri, privi di proiezioni simboliche individuali, chiamati a designare lo status sociale, i valori, la personalità di chi li possiede. Questa universalizzazione si traduce in una notevole sem- plificazione, che limita la capacità dell’individuo di interpretare la realtà poiché ora ogni individuo viene qualificato dagli oggetti di sua appartenenza, che pure hanno perduto i significati che avevano nelle società passate come oggetti carichi di significazioni affettive e individuali, dotati di valore unico e non passibili di un’interscambiabilità che li defrauda della possibilità di rappresentare la cornice esistenziale e individuale dell’uomo. Tra gli interventi presenti nel volume, Alfonso M. Jacono e Franco La Cecla sottolineano l’equazione cosa-merce in base alla quale l’utilità pratica sostituisce il valore simbolico delle cose. In particolare Jacono mostra il legame tra le cose e il feticcio mentre Wanda Tommasi evidenzia il rapporto delle cose con l’idolo. Le cose intese sia come feticci che come idoli vengono assolutizzate senza rimandare ad altro da sé, in quanto vengono desiderate per se stesse, investite di significati totali. In tale contesto, osserva Luisa Leonini, le cose diventano il supporto sostitutivo rispetto al mancato raggiungimento di un’identità personale, esprimendo una pienezza che si rivela indicativa di un vuoto interiore. Nell’attuale società, sostiene Tommasi, le cose, non essendo più simboli, rinviano indefinitivamente ad un’altra catena di segni, entrando in un circolo vizioso che impedisce il riferimento a qualcos’altro da sé. Nelle cose attuali, come rileva Ezio Manzini, è presente una componente “immateriale” che evoca una miriade di immagini “prefabbricate” prive di senso “terrestre”. Andrea Borsari si sofferma invece sul legame tra le cose e la memoria in rapporto al tentativo ossessivo dell’uomo di collezionare oggetti antichi per placare il proprio senso di vuoto interiore, che non solo non scompare, ma viene esaltato dall’eccessiva moltitudine delle cose possedute nell’alternanza sinistra di “presenza” e “assenza”, risultato di una mancata elaborazione del “lutto”, della “perdita”. In tal senso Giorgio Franck fa notare come l’uomo, immerso in un mondo di cose semplicemente presenti, prive di spessore simbolico, ambigue, si vive, si avverte come “cosa” tra le cose, costretto a subire la drammatica situazione di un’esistenza che si svolge sotto l’emblema di un destino “non decifrabile”. Per Chiara Zamboni le cose rimandano ai sentimenti, significano gli “affetti” solo se l’uomo è in grado di stabilire un rapporto autentico con esse, non chiudendosi nel centro rigido di una soggettività avulsa dal mondo esterno e nello stesso tempo non proiettandosi in un mondo oggettivo separato dal soggetto, come ci ha insegnato Heidegger. Secondo Stefano Zecchi sono gli oggetti d’arte che hanno il potere di “salvare” l’uomo dall’utilitarismo, una volta che la Bellezza venga rispettata nel suo valore insostituibile. Gli oggetti d’arte sono unici, individuali e irripetibili, osserva Birgitta Nedelmann, testimoni di una soggettività che non si lascia irretire dalle maglie intricate di una “stiliz30 zazione” generale, basata sulla “riproducibilità”. Le cose che ci circondano possiedono tanti vettori di significato che possono essere rispettati solo se viene lasciata intatta nell’uomo la possibilità di interpretare, di decifrare un mondo che non deve avere un significato assoluto, dato una volta per tutte. M.Mi. Heidegger, il logos e la parola L’uomo, la parola, l’ascolto dell’Altro: sono queste le coordinate fra le quali si muovono due testi per molti versi tra loro differenti, quello di Gino Zaccaria, L’ETICA ORIGINARIA. HÖLDERLIN, HEIDEGGER E IL LINGUAGGIO (Egea, Milano 1993) e quello di Graziano Ripanti, PAROLA E ASCOLTO (Morcelliana, Brescia 1993). Li accomuna il riferimento a Heidegger, quale filosofo il cui pensiero ha affrontato la questione del linguaggio e della dimensione di alterità che esso implica. Verso l’etica, al di là dell’etica: questo il programma che guida la ricerca di Gino Zaccaria ne L’etica originaria. Ma qual’è la concezione di etica verso cui ci si intende dirigere? Più agevole, forse, è intendersi su quella che si vuole oltrepassare: l’etica metafisica, che pone l’uomo come presupposto dato, stabile nella sua inconcussa soggettività, che si rapporta al mondo, concepito come l’insieme degli enti oggetto, attraverso le sue facoltà. Un’etica siffatta “pensa per valori” e fa corrispondere a un’ontologia che non pone la questione dell’essere un’assiologia che non fa questione del fondamento del valore, del luogo dove accade l’abitare dell’uomo, che è ciò cui l’ “etica”, in senso originario, rimanda. Si tratta dunque, per Zaccaria, di recuperare l’etica in quanto domanda sull’ethos dell’uomo, uno spazio la cui essenza originaria Zaccaria vede circoscritta da tre “figure”, quella del linguaggio, quella del metodo, quella della verità. Per intendere rettamente ciascuna di queste figure di pensiero occorre rifarsi, secondo Zaccaria, alle teorizzazioni heideggeriane. Avvicinandosi al luogo originario dell’ethos, si fa avanti come decisiva la questione del linguaggio, in quanto nodo in cui l’essenza dell’uomo si manifesta nel suo carattere poietico: è questo ciò che emerge dal dialogo fra Heidegger e Hölderlin, delle cui poesie Zaccaria fornisce alcuni saggi di traduzione, nell’intento di ripetere, con la lettura di Hölderlin, l’essenza del gesto heideggeriano di “tener fede e render grazie” al carattere poietico-poetico del linguaggio. Spazio di apertura (Lichtung), quest’ultimo, in cui l’uomo attinge al proprio essere, in quanto collocato nel proprio ethos originario. In questo senso, la questione etica si fa questione linguistica, e da qui poetica; per questo la poesia di Hölderlin, nella lettura di Heidegger, è “destinale”, in quanto congiunge essere e TENDENZE E DIBATTITI pensare, pensare e dire (poeticamente) e abitare. In questo senso, sostiene Zaccaria, Hölderlin è “il poeta del poeta”; non perché egli rifletta sul proprio poiein, ma perché egli “poeta” (cioè “dice poeticamente”) l’essenza destinale del linguaggio, in quanto poesia. Nell’accadere del poetico, l’uomo si ritrova nell’Aperto, che è il suo luogo più proprio, e viene condotto in avanti, spinto da un appello che gli proviene dalla lontananza: la Grazia (Charis, Huld) che lo apre al richiamo dell’Altro, del Divino. Proprio a misurare questo rapporto è chiamato l’uomo nell’opera di Graziano Ripanti, Parola e ascolto, che tematizza la questione dell’Altro, inserendo, sul filone del confronto con Heidegger, tematiche di ascendenza ebraica, potentemente risonanti nel pensiero di Rosenzweig, Ricoeur e Levinas. L’ermeneutica di Gadamer solo in subordine viene qui richiamata al suo fondamento ontologico, l’essere (di cui si sottolinea, comunque, la dimensione di radicale alterità), e ne viene invece evidenziato il carattere dialogico; la parola diventa dunque Parola dell’Altro, e l’apertura all’Altro configura la relazione dell’ascolto. Muovendo dagli ultimi sviluppi della riflessione heideggeriana, dalla “nostalgia dell’essere” che nutre il “pensiero rammemorante”, Ripanti intende esplicitamente trascendere la posizione di Heidegger, ponendo capo a un “pensiero della rivelazione”. A questo scopo, secondo Ripanti, occorre abbandonare il concetto heideggeriano di essere, la centralità del quale impedisce a Dio la possibilità di farsi dire o farsi pensare, cioè di rivelarsi: Dio - e questa costituisce, per Ripanti, suprema “barbarie intellettuale” - è qui collocato sullo stesso piano del divino, cioè degli dei. La sortita dal pensiero dell’essere porta la questione nella dimensione linguistica; Dio, liberato dall’essere (progetto cui mettono mano, come riconosce Ripanti, tanto Heidegger, quanto Levinas nel tentativo di opporre, rispettivamente, la filosofia alla teologia, e l’ontologia all’etica), ha qui il suo luogo epifanico. Si configura così un’ermeneutica che, nella predominanza metafisica del testo biblico, ovvero della Parola di Dio, grazie all’assoluta emergenza e radicale alterità di quest’ultima, spezza il cerchio magico del “circolo ermeneutico” e si determina perciò come un’ermeneutica dell’ascolto. Nell’ascolto del mondo, degli enti dati (che rimangono fissati nella loro oggettività solo dallo sguardo teoretico, che impone il primato della “visione”), si verifica, secondo Ripanti, una doppia trascendenza: «essa giunge da un altrove del mondo compiuto della visione, ed è rottura e oltrepassamento del dato». Per questo l’ascolto dell’Altro, la subordinazione alla Parola, si rivelano come «la dimensione originaria, epistemologicamente autentica, del pensare ermeneutico». F.C. Primo piano: filosofia e computer Menone e l’ago nel pagliaio: le banche dati per la filosofia Quindici anni fa François Lyotard azzardava una previsione: «L’Enciclopedia del domani sono le banche di dati. Esse eccedono la capacità di ogni utilizzatore. Rappresentano la “natura” per l’umanità postmoderna». Le tre osservazioni avevano valori diversi. La prima era azzeccata: il domani del 1979 è l’oggi, quando “trovare un ago nel pagliaio” non è più un problema, visto che lo facciamo cercare dal computer a una velocità prossima a quella della luce , dentro quegli ordinati covoni elettronici che sono le banche dati. L’enciclopedia si è smaterializzata, tanto che l’eccesso di accessibilità ai dati porta oggi al problema dei crimini informatici, mentre le grandi potenzialità di registrazione comportano il rischio opposto della perdita totale dei dati. L’ultima delle tre affermazioni di Lyotard era banale: non le banche dati, ma l’enciclopedia umana, creatasi nell’epoca moderna grazie alla stampa, ha rappresentato la realizzazione anche fisica di un secondo ambiente naturale per l’uomo. Il sapere e la sua memoria hanno rappresentato l’ambiente in cui l’uomo “moderno” ha svolto le sue attività e trascorso la propria esistenza perlomeno a partire dal Rinascimento. Ciò che è più interessante, tuttavia, è che la seconda osservazione di Lyotard mancava il bersaglio: la differenza tra l’enciclopedia e le banche dati non risiede nel fatto che queste ultime “eccedono la capacità di ogni utilizzatore” - perché ciò è ovviamente vero anche per l’enciclopedia - ma nel fatto che contrariamente alla semplice enciclopedia le banche dati mettono ogni volta a disposizione dell’utente tutto e solo ciò di cui egli ha bisogno. L’enciclopedia cartacea è un registro, le banche dati sono una memoria interattiva che può essere interrogata, rimodellata, adattata alle proprie esigenze e rappresenta il ritorno, in versione artificiale, di quella cultura del dialogo rimpianta da Platone e che oggi definiremmo “a misura d’uomo”. 31 Spiegare lo sviluppo della conoscenza umana è sempre stato un bel grattacapo per i filosofi. Come si passa dall’ignoranza alla conoscenza? In un passo del Menone (80de) Platone presenta la questione nei termini del famoso dilemma: «in quale modo, Socrate, andrai cercando quello che assolutamente ignori? E quale delle cose che ignori farai oggetto di ricerca? E se per un caso l’imbrocchi, come farai ad accorgerti che è proprio quella che cercavi, se non la conoscevi?». Il problema è che «l’uomo non può cercare né quello che sa, né quello che non sa: quel che sa perché conoscendolo non ha bisogno di cercarlo; quel che non sa perché neppure sa che cosa cerca (81a)». All’apparenza il dilemma di Menone sembra solo un sofisma, ma basta adottare la traduzione inglese di Jowett (where can you find a starting-point in the region of the unknown?) perché esso si trasformi in una delle questioni centrali dell’epistemologia: l’uomo può uscire dal suo stato di ignoranza? La conoscenza può crescere? E in caso affermativo, secondo quale logica? La teoria dell’anamnesi ed il dualismo ontologico costituiscono la risposta platonica a questi quesiti; ma all’inizio del secondo libro della Metafisica Aristotele propone un’alternativa più “secolare”. «Anche se i filosofi, singolarmente presi, non hanno dato alcun contributo o hanno contribuito solo in piccola parte alla conoscenza della verità, tutti quanti messi insieme, hanno conseguito risultati di una certa importanza» (II,[…], 1, 993b, 1-5). Platone accetta l’impostazione monistica e a-temporale implicita nel dilemma di Menone, mentre Aristotele articola l’unità della mente nella nozione di comunità scientifica, caratterizzando la ricerca come percorso diacronico e costruttivo. Si esce dall’ignoranza per tentativi. Si accumula il sapere secondo un processo storico. L’individuo non si trova perduto nel bel mezzo della sua insipienza, ma partendo dalle sue poche certezze si fa forte della tradizione e forse lentamente, ma fermamente, colonizza le regioni dell’ignoto. Se avete letto le prime pagine de Il Pozzo e il Pendolo il racconto di Edgar Alan Poe in cui il protagonista, dopo aver preso coscienza di essere disteso sul pavimento di un misterioso luogo completamente buio, cerca faticosamente di tracciarne il perimetro avete presente l’equivalente “aristotelico” del mito della caverna. A partire dal V secolo a.C. la cultura occidentale è rimasta in bilico tra il modello platonico e quello aristotelico. Come uscire dal circolo vizioso dell’ignoranza iniziale e della conoscenza che ci rende coscienti di non sapere ? Nel 1455 Guttenberg e Fust pubblicano la Bibbia Mazarina. Di colpo l’invenzione della stampa fa pendere la bilancia a favore di Aristotele. Oggi viviamo in un mondo in cui la perdita di informazioni è un incubo, ma per secoli essa è stata una fatalità cui l’uomo era rassegnato. Poche copie di un testo potevano scompa- TENDENZE E DIBATTITI rire facilmente, come avvenne. Vecchi manoscritti erano raschiati perché potessero essere riutilizzati. La scarsità dei supporti fisici determinava la selezione dei lavori che le generazioni future avrebbero ereditato (pensate a che cosa fareste se in tutta la vostra vita aveste a disposizione un solo floppy disk). L’invenzione della stampa rivoluziona tutto questo. Improvvisamente l’accumulazione e la conservazione del sapere divennero allo stesso tempo più facili e più sicure. L’occidente smise di selezionare le conoscenze del passato per iniziare ad ammassare dati ad una velocità che avrebbe fatto impallidire Menone. I libri stampati trasformarono la conoscenza in un territorio che cominciò a richiedere mappe precise per essere attraversato. Presto apparve chiaro che solo delle guide esperte avrebbero trovato i percorsi giusti al’interno del dominio del sapere. Essere uno studioso divenne una professione. Nacquero le grandi biblioteche europee, che iniziarono a espandersi a dismisura, proprio grazie a quella metodologia della cooperazione modulare e strutturata che Aristotele prefigurava come fondamentale per interpretare il percorso del sapere. Ad un certo punto l’enciclopedia umana fu lì, con i suoi problemi fisici e la sua pressione psicologica. Tutto ciò spiega perché all’alba dell’epoca moderna la mnemotecnica assunse un ruolo determinante, trasformandosi da semplice aiuto per l’arte retorica a strumento di orientamento, in quanto logica della registrazione, dell’ordinamento e del rinvenimento. Nel 1666 Leibniz scrisse il suo De arte combinatoria; ma sarebbero dovuti passare tre secoli prima che le sue idee seminali trovassero un’applicazione tecnologica. Di fatto, trenta anni dopo gli uomini disperavano ormai di poter venire a capo dell’accumulo del sapere. Nel 1699 Thomas Baker scriveva: «il sapere è divenuto ormai così voluminoso che ha iniziato ad affondare sotto il suo stesso peso; i libri si ammucchiano ogni giorno in numero sempre maggiore e sono ammassati l’uno sull’altro; il loro numero infinito distrae le nostre menti e scoraggia ogni nostro sforzo». Il processo aristotelico aveva finito per trasformare il mondo delle idee in una realtà concreta. Platone era vendicato. Nel 1751 Diderot e D’Alambert pensarono fosse ormai tempo che si desse una descrizione adeguata e completa di questo universo, disponibile per tutti. Era il primo di una lunga serie di tentativi. La vendetta di Platone fu presto seguita dal ritorno del paradosso di Menone. Secoli di continuo accumulo avevano ormai dimostrato che l’uomo era in grado di uscire dal suo stato di ingoranza. La conoscenza poteva essere accresciuta progressivamente. Ma ora il mondo dell’enciclopedia umana era divenuto altrettanto misterioso e scarsamente penetrabile quanto quello naturale. La conoscenza, come la storia e la cultura, sono una questione umana, ma gli uomini possono perdersi all’interno della loro stessa memoria. Se l’universo della conoscenza non è il prodotto di una sola mente, ma il risultato degli sforzi cognitivi di milioni di vite, come può un solo individuo riappropriarsi del conosciuto? Agli inizi del Settecento Menone poteva di nuovo chiedere: «in quale modo, Socrate, troverai ciò che sai essere già presente nell’enciclopedia umana? Dove cercherai il sentiero che ti guiderà attraverso la regione del conosciuto?». L’umanità era passata dal circolo vizioso dell’uovo o la gallina al processo infinito dell’ago nel pagliaio. Lo sviluppo del sapere è rimasto sotto lo scacco del nuovo paradosso di Menone fino al secondo dopoguerra, quando grazie all’informatica la cultura occidentale ha dato una risposta scientifica e procedurale alla crescita della memoria (si veda “Informazione Filosofica”, n. 1314, 1993). Questa risposta sono le “banche dati” (databank). Tecnicamente, un databank si compone di dati informativi relativi ad un certo argomento e di un “sistema per la gestione di base di dati” che li organizza (DBMS, Data Base Management System, o più brevemente database). I database rappresentano l’intelligenza del sistema. Quando le informazioni sono strutturate, esse lo sono generalmente secondo un modello “gerarchico” (struttura ad albero), “reticolare” (ogni dato è accessibile attraversando percorsi diversi), “relazionale” (l’accesso e la struttura dei dati è stabilita da relazioni predefinite tra tabelle, è questo il genere di database più diffuso) oppure “orientato all’oggetto” (OOP, object-oriented programmed). Le prime applicazioni di OOP risalgono agli anni sessanta; ma l’approccio ha ricevuto grande attenzione solo negli ultimi anni. Il rinnovato interesse per l’OOP è filosoficamente significativo. Invece di separare le procedure dai dati, ponendo le prime al centro e considerando gli ultimi come gli ingredienti nei confronti della ricetta, la metodologia object-oriented parte dall’analisi dei dati per arrivare ai processi in cui essi possono essere coinvolti. Dati e algoritmi (come l’addizione) sono uniti in una struttura definita oggetto. Gli oggetti rappresentano poi i nodi che si scambiano i messaggi di procedura. Procedure stabilite per classi di oggetti possono essere ereditate dalle loro sottoclassi. In questo ambito gli ingegneri parlano ad esempio di ELH, entity life cycle, il ciclo di vita di un insieme di dati - come quello attraversato dalle informazioni che mettete nella vostra dichiarazione dei redditi -, di eredità delle proprietà dei dati e così via. E’ la rivalutazione della nozione di sostanza nei confronti di quella di funzione. Torniamo al nostro database. Elementi di un insieme di dati, ad esempio i manoscritti tratti dalla bibliografia dell’Iter Italicum, rappresentano i records; ogni record è caratterizzato da un numero finito di attributi (fields), nel nostro caso le varie informa32 zioni relative alla natura fisica del manoscritto, al suo autore, al suo incipit, alla sua datazione e così via. Un field è l’unità informativa più piccola gestita dal database, ed equivale a quello che in linguistica è il morfema. La funzione base del software è quella di permettere la registrazione (record) che può essere preclusa all’utente finale, la ricerca (query), il recupero (retrieval) e l’analisi dei dati nella maniera più semplice per l’operatore/utente (trasparenza user-friendly) e nel modo più adeguato alla natura delle informazioni trattate (per una chiara introduzione al tema il lettore può ora consultare Itzcovich [1993] e Sprugnoli [1987]). Le banche dati oggi disponibili sono innumerevoli, tanto che strumenti di navigazione elettronica come i gophers, o software di interrogazione come Veronica, trattano altre banche dati come oggetti di ricerca (tornerò sull’argomento nel quinto articolo di questa serie, quando parlerò della “comunità elettronica”). In generale il singolo operatore che desideri creare e gestire la propria banca dati deve distinguere tra i database, come dBaseIII - il cui principale fine è soprattutto quello di gestire informazioni e testi (ad esempio una bibliografia) e i fogli elettronici (spreadsheet) come Excell o Lotus 1-2-3, il cui fine è quello di gestire valori quantitativi per calcolare frequenze, somme, percentuali, tracciare diagrammi etc. Gli storici quantitativi, ad esempio, fanno grande uso di quest’ultimo genere di software (per una semplice applicazione di una spreadsheet si veda il diagramma a colonne, concernente la diffusione dei manoscritti di Sesto Empirico nel Rinascimento ed il crollo di produzione successivo alla pubblicazione della traduzione di Henri Estienne nel 1562, in Floridi [1994]; si tratta di un’ovvio caso di spiegazione post hoc ergo propter hoc). Quando i dati non sono strutturati, o lo sono solo in forma minima, come avviene nei testi liberi (free text), allora ci troviamo di fronte a software finalizzati al ritrovamento dell’informazione, programmi noti anche come IRS (Information Retrieval Systems), TRS (Text Retrieval Systems), TM (Textbases Managers) o più semplicemente textbase. Il più semplice esempio di textbase è fornito da un file e dalla funzione search presente in tutti i più diffusi word processing package, si pensi alle varie versioni di Microsoft Word o Wordperfect. Un textbase permette di sfogliare il testo (browse), la ricerca di stringhe di simboli alfanumerici - magari abbreviate con caratteri jolly o wild cards quali “*” oppure “?”, o combinate con operatori Booleani “and” oppure “or” - e a volte fornisce una lista dei termini che possono essere ricercati, come accade nel software del Philosopher’s Index (si veda la scheda in questo stesso numero). Se si prescinde dalla logica organizzativa, che è spesso del tutto “trasparente” (cioè invisibile) per l’utente, le banche dati pos- TENDENZE E DIBATTITI sono essere analizzate secondo due parametri: accessibilità, e funzione. Quasi tutte le banche dati utili al filosofo sono accessibili sia in versione network (rete) che in versione CD-rom. Raramente si tratta di servizi gratuiti, ma in genere i costi sono sopportati dall’istituzione cui l’utente può fare riferimento. La distinzione network/ CD (compact disk) nasconde poi un importante fattore culturale. Le case editrici tradizionali (da Brill alla Oxford University Press, alla Zanichelli) non amano molto il prodotto “in rete”. Preferiscono stampare centinaia di copie di CD-rom, magari da aggiornare periodicamente, per un’apparentemente ovvia questione finanziaria: più prodotti, maggior profitto. In realtà si tratta di una mentalità obsoleta, che risente del tradizionale mercato librario, oltre che della dinamica dello sviluppo tecnologico. La gestione del sapere sta infatti abbandonando progressivamente la logica degli oggetti per user a favore della logica per time del servizio in rete attraverso il quale si vendono ore di consultabilità. Proprio in questi mesi, ad esempio, il “Sole-24 Ore” ha presentato il suo servizio Big on Line, la banca dati rappresentata da tutte le edizioni della testata a partire dal 1984. Basta un computer, un modem e una rete telefonica digitale (quella che fa bip quando componete il numero di telefono) per collegarsi (e poi due milioni di lire per assicurarsi dodici ore di accesso in un anno). Nonostante il prezzo sia proibitivo per le tasche dei filosofi, l’idea di fondo rimane interessante. Chi produce informazioni le vende all’utente direttamente, assumendosi tutti i costi di installazione e manutenzione dell’hardware, addestramento del personale, aggiornamento della banca dati e consulenza. Dialog ha seguito la stessa strada per il suo Philosopher’s Index, oltre a quella del CDrom. Tutto ciò vale anche per le banche dati testuali. Chi vuole studiare il testo elettronico della Divina Commedia può comprare il CD-rom edito da Editel per 150 mila lire, andare nella biblioteca più vicina incrociando le dita, oppure collegarsi con un modem alla posta elettronica e di qui al Dartmouth Dante Database (indirizzo internet: baker.dartmouth.edu, una volta all’interno del database inviare il comando “connect dante”) e consultare gratuitamente sia il testo che sessanta commentatori medievali e moderni, senza alzarsi dalla scrivania. E’ ovvio che in futuro la fonte di produzione dell’informazione finirà per saltare la mediazione delle case editrici per mettersi in contatto direttamente con l’agenzia che gestisce un network, a meno che chi ha sempre stampato libri, ed ora anche CDrom, non decida di passare allo sfruttamento in rete delle stesse informazioni, magari accordandosi proprio con una società di servizi informatici per una loro venditagestione in appalto. Che le cose si stiano muovendo in questa direzione lo dimostra anche il fatto che sempre più case editrici, a partire da quelle universitarie americane Pol Bury, 16 Balls, 16 Cubes in 8 Rows (1966) 33 TENDENZE E DIBATTITI come la Chicago University Press o la Harvard University Press, forniscono ora il proprio catalogo di libri e relativa vendita per corrispondenza via internet (il network internazionale). Il risultato sarà che in futuro gli editori rivestiranno sempre più spesso il ruolo di managers dell’informazione. Gestiranno unità di tempo-accesso, non supporti fisici magnetizzati, soprattutto quando i dati sono sottoposti ad un continuo mutamento diacronico. Si può aggiungere che anche il mercato televisivo si sta orientando in questa direzione, sebbene ci sia una differenza: siccome è molto più difficile rendere il piccolo schermo interattivo, il presente stato della ricerca tecnologica lascia presagire che i prodotti per la televisione registrati su supporto individuale (analogico o digitale), come i videotape o i videodischi, avranno un ciclo economico più lungo delle banche dati o testuali per computer prodotte in versione individuale. Per quanto riguarda la funzione delle banche dati, due aspetti risultano di particolare interesse. Anzitutto si può distinguere tra banche dati “specializzate” per la ricerca umanistica, come Francis Philosophie, il Philosopher’s Index, l’Humanities Citation Index o l’Iter Electronicum (si veda la scheda che segue), e banche dati “generali”, come i cataloghi elettronici delle biblioteche (da quello della Library of Congress, accessibile via internet da casa, a quello della British Library, contenente otto milioni e mezzo di schede bibliografiche aggiornate fino al 1975, di cui esiste anche una versione in CD-rom), i dizionari (per un dizionario di informatica si può consultare il gopher wombat.doc.ic.ac.uk) o le enciclopedie. All’interno delle banche dati finalizzate si può quindi distinguere tra banche dati “bibliografiche”, come quelle appena citate, e banche dati “testuali”, come la Patrologia Latina o il Thesaurus Linguae Graecae (di queste ultime mi occuperò successivamente in questa rivista). Viviamo tuttavia in una fase della digitalizzazione del nostro sapere in cui la facilità di rinvenimento delle informazioni, da un lato, e l’apprezzamento dei dati quantitativi dall’altro hanno iniziato ad offuscare la precedente distinzione. Per spiegare il fenomeno farò un paio di esempi. Supponiamo di voler scoprire se un tardo filosofo scolastico come John Sergeant abbia influenzato il lessico inglese. La seconda versione dell’ Oxford English Dictionary in 20 volumi, con mezzo milione di definizioni e quasi due milioni e mezzo di citazioni che illustrano i vari usi linguistici, è consultabile su CD-rom (edito dalla Oxford UP, 1992). In pochi minuti scopriamo che John Sergeant è citato soprattutto per il suo uso tecnico del plurale di knowledges. Non è un uso del tutto originale. Il temine piaceva anche a Francis Bacon. Controlliamo la lista dei dizionari compilata da Giorgio Tonelli e notiamo che nessun dizionario inglese del settecento o dell’ot- tocento riporta knowledges, ma che tutti (ad esclusione di A general Dictionary of the English Language, compilato da Thomas Sheridan, London 1780) riportano la definizione di knowledge data da Locke: «the perception of the connection and agreement, or disagreement and repugnancy, of our ideas». In effetti sulla base di questa definizione non si vede come potrebbe venire in mente di formulare il plurale del sostantivo. Sergeant e Bacone usavano knowledges per tradurre cognitiones oppure scientiae; mentre Locke aveva a disposizione gli equivalenti anglicizzati. Passiamo al testo elettronico di Locke (ci fu una polemica assai aspra tra lui e Sergeant) e non troviamo nessuna occorrenza di knowledges. A questo punto nasce il sospetto che Locke stesso abbia contribuito ad eliminare il plurale del sostantivo. Con un po’ di pazienza si può trovare conferma dell’ipotesi nell’edizione curata da Hamilton di The Works of Thomas Reid. Secondo Hamilton «Knowledges era una parola usata comunemente sia da Bacone che dai nostri filosofi inglesi fino a Locke e non dovrebbe essere abbandonata» (si veda Floridi [1994b]). Il risultato è che una banca dati generale come un dizionario è stata usata come banca dati specializzata per risolvere un problema di tipo storico, riguardante il lessico epistemico inglese. L’informatica, in questo caso, non ha solamente facilitato il lavoro; lo ha reso possibile. Secondo esempio. La banca dati del quotation index fornisce informazioni su milioni di citazioni prese da centinaia di riviste specializzate, a partire dal 1981, con aggiornamento settimanale (la lista è ottenibile via posta elettronica). Nel suo uso primario la banca dati serve a scoprire dove e quando una certa opera di un certo autore è stata citata. Posso tuttavia basarmi sul numero di citazioni per scoprire in una lista di cento filosofi quale filosofo può rappresentare un settore di ricerca maturo e quale no. Karl Marx è il più citato (più di diecimila riferimenti, seguono al secondo e al terzo posto Aristotele e Platone). Ed il più trascurato? Difficile dirlo; ma certo Nicola Cusano, con sole 15 citazioni, rappresenta per la cultura anglofona un potenziale settore di ricerca ancora tutto da sviluppare (la banca dati è americana e risente dell’orientamento linguistico nella scelta delle riviste). Per una controprova posso controllare il catalogo elettronico della biblioteca dell’Università di Cambridge, che registra testi successivi al 1977. Così scopro che delle 35 opere connesse in qualche modo al nome di Cusano solo 11 sono in lingua inglese, tra traduzioni e monografie, una è francese e tutte le altre sono in tedesco, pur trovandoci in Inghilterra. L’ipotesi sembra confermata: gli studi su Cusano sono veramente un settore trascurato dalla cultura filosofica di lingua inglese. In questo caso le banche dati generali non hanno solo velocizzato 34 l’accesso all’informazione, liberando le idee dal peso dei dati, esse hanno reso possibile l’acquisizione di nuova conoscenza. I due esempi precedenti aprono un panorama nuovo. Se volete sapere che cosa scrivono i filosofi di Princeton potete fare una richiesta per citazioni degli autori appartenenti a quell’università. Si può controllare lo sviluppo di un tema nel corso degli anni (qual’è stata l’evoluzione culturale seguita dal “Gettier-problem”?), sapere quale testo di un autore classico ha ricevuto meno attenzione, capire quale filosofo deve ancora essere tradotto in una certa lingua, pur essendo famoso in un’altra, o quando un tema ha cominciato ad essere di moda. Non ci si deve limitare alla sola filosofia. Quanto impiega un testo ad essere assorbito dalla comunità scientifica cui appartiene? E come si misura l’estensione della sua influenza? Ogni generazione scrive i suoi manuali, come si passa da uno all’altro? Come accade che un autore passi dall’essere citato nella bibliografia all’essere citato nell’indice degli argomenti? Che cosa pubblicano certe riviste e quali sono le riviste del settore più comunemente citate? Le banche dati a nostra disposizione oggi sono ancora organizzate secondo la loro funzione “speciale” o “generale”. Non sono pensate per essere gli strumenti di una “ideometria”, che applichi l’uso dell’analisi quantitativa alla storia delle idee, perciò hanno appena iniziato a darci qualche risposta in questa direzione. Usarle per indagini di tipo quantitativo è un po’ come usare gli elenchi del telefono di Frosinone e provincia per scoprire dove vivono i professionisti, individuare quale zona della città è in espansione sulla base del numero di nuovi collegamenti, delineare le zone ad alta densità di popolazione e così via. La strumentazione tecnica e concettuale tuttavia è già disponibile. Per questo oggi più che mai sarebbe poco lungimirante sostenere che le banche dati testuali siano mediamente più istruttive di quelle bibliografiche, per quantità di Kbyte (kilobyte, cioè 1024 bytes) di memoria utilizzata. Il filosofo è un notevole consumatore di informazioni, soprattutto in qualità di bibliotecario di se stesso; ma si tratta di elaborazione dell’informazione a scarso valore aggiunto, come nel caso del rinvenimento di una determinata traduzione o la stesura di una bibliografia. Se si paragona questo aspetto al lavoro principale del filosofo, cioè la comprensione di testi e la riflessione su problemi astratti, può sembrare che un Kbyte di banca dati bibliografica “dica assai meno” dell’equivalente quantità di memoria testuale (si pensi ad un brano della Critica della ragion pura). Ma abbiamo appena visto che i dati bibliografici in senso ampio (citazioni, istituzioni di appartenenza, livelli di consultazione, numero di copie pubblicate, vendita presso il pubblico in rapporto alla vendita alle biblioteche, numero dei remainder, ecc.) permettono un’analisi quantitativa, l’individuazione di costanti, di leggi, di similitu- TENDENZE E DIBATTITI dini e trame, di incroci e fratture, di articolazioni macroscopiche che la visione microscopica interna, “da dentro il mare delle informazioni” non lascerebbe scoprire. La loro analisi richiama terminologie di tipo estensionale e perciò non solo insiemistiche (descrizione statica del discreto), ma anche geografiche (descrizione statica del continuo) - come nelle mappe del sapere, si pensi al linguaggio topologico di Foucault - ed economiche (descrizione dinamica e procedurale del prodotto e del suo mercato), si pensi ad espressioni come creazione e scambio di conoscenze, tasso di crescita o curva esponenziale delle informazioni, transazione o volume di dati come le usa Fritz Machlup. L’ideometria può essere un fecondo settore degli studi umanistici. Per svilupparsi ha solo bisogno di essere munita delle banche dati adatte. L.F. Bibliografia Baker T., Reflections upon Learning, wherein is shown the insufficiency thereof in its several Particulars. In order to evince the Usefulness and Necessity of Revelation, London 1699. Chili G., Pensare per oggetti ovvero la riscossa del dato, in “Informatica Oggi & Unix”, novembre 1993, pp. 26-28. Fabbi F., “La TV interattiva secondo Time Warner”, in “Bit”, novembre 1993, pp. 128-130. Floridi L., “The Diffusion of Sextus Empiricus’ Works in the Renaissance”, in “Journal of the History of Ideas”, 1994a (in corso di stampa). Floridi L., “Objective Knowledge”: the Disappearance and Revaluation of “Knowledges” from John Sergeant to Karl Popper, in “Nouvelles de la Republique des Lettres”, 1994b (in corso di stampa). Foucault M., L’archeologia del sapere, Rizzoli, Milano 1971 (ed. or. fr. 1969). Hamilton W. (a cura di), The Works of Thomas Reid, Maclachlan, Edinburgh 1846, pp. 763-4. Itzcovich O., L’uso del calcolatore in storiografia, Angeli, Milano 1993. Jowett B., The Dialogues of Plato. Vol. I, Meno, Clarendon, Oxford 1953. Per una traduzione più letterale si veda W. R. L. Lamb, Meno, Harvard U.P., Cambridge Mass. 1957 (Loeb Classical Library, vol. II). Lyotard J. F., La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano 1981 (ed. or. fr. 1979), cit. da p. 94. Machlup F., Knowledge: its Creation, Distribution and Economic Significance, Princeton U.P., Princeton N. J. 1980-4. Machlup F. e Leeson K. (a cura di), Information through the Printed World, Praeger, New York 1978. Machlup F. e Mansfield U., The Study of Information, Interdisciplinary Messages, John Wiley and Sons, New York 1983. Pittari M., La televisione nel video, in “LAN & Telecomunicazioni”, ottobre 1993, pp. 76-79. Platone, Menone, Laterza, Roma-Bari 1966. Sprugnoli R., Le basi di dati, Editori Riuniti, Roma 1987. Tonelli G., A Short-title List of Subject Dictionaries of the sixteenth, seventeenth and eighteenth centuries as aids to the History of Ideas, The Warburg Institute, London 1971. Le banche dati in filosofia Non è possibile fornire un elenco esaustivo di tutte le banche dati che un filosofo potrebbe trovare utili per la sua ricerca. Le indicazioni che seguono riguardano solamente alcuni di quegli strumenti che hanno una rilevanza immediata per la ricerca filosofica. Philosopher’s Index: è la versione elettronica dei volumi editi dal Philosophy Documentation Center dell’Università di Bowling Green. I dati riguardano gli articoli di riviste di filosofia soprattutto di lingua inglese a partire dal 1940 (per una sua descrizione si veda la scheda di Diego Marconi al termine della nuova edizione dell’Enciclopedia Garzanti di Filosofia, Garzanti, Milano 1993). C’è da aggiungere che il PI è ottenibile anche su CD-rom e che per coloro che non hanno accesso a DIALOG è possibile connettersi via network al PI mediante CompuServe (il servizio tuttavia è più costoso). L’aggiornamento è quadrimestrale. Francis Philosophie: banca dati prodotta dal Centre National de la Recherche Scientifique, Institut de l’Information scientifique et technique, sciences humaines at sociales (CNRS/INIST). E’ un online service (Telesystems - Questel) contiene circa 80000 citazioni, di cui circa la metà con abstract, riguardanti la letteratura mondiale filosofica, dalla storia della filosofia alla logica. Corrisponde al Bulletin signaletique, sciences humaines: section philosophique, ed ha una copertura internazionale a partire dal 1972. L’aggiornamento è quadrimestrale, per un totale di circa 5000 nuove voci ogni anno. Religion Indexes: banca dati per gli studi religio- si e teologici, contiene riferimenti estratti da oltre 480 riviste e 425 monografie. La versione CDrom copre argomenti che vanno dalla storia delle religioni agli studi biblici a partire dal 1975 e viene aggiornata annualmente. Citation Index: questo servizio è fornito dall’In- stitute for Scientific Information. Si compone di tre banche dati, Science Citation Index, Social Science Citation Index e Arts and Humanities Citation Index. Insieme, i tre indici coprono indicazioni bibliografiche estratte da articoli provenienti da circa 7000 riviste. Si può lavorare solo su una delle tre banche dati alla volta. All’interno, alcuni semplici menu lasciano all’utente la scelta dell’autore, del titolo del saggio, della rivista, dell’istituto di appartenenza, della lingua, dell’annata, del periodo di tempo ecc. su cui fare la ricerca. Se si lavora sul servizio on line, una volta ottenute le informazioni richieste, esse possono essere inviate sotto forma di file al proprio indirizzo elettronico e quindi essere scaricate sul proprio computer. La banca dati è sempre disponibile, ad esclusione di tre ore settimanali durante le quali avviene l’aggiornamento. Solo gli utenti registrati hanno libero accesso al database. In Inghilterra il servizio è gestito da BIDS (Bath Information & Data Services). Iter Electronicum: versione su CD-rom dell’Iter Italicum di Paul Oskar Kristeller. Prodotto da Brill a cura di Luciano Floridi, sarà disponibile alla fine del 1994. Prosopography of Italian Renaissance University Teachers and Students: progetto in corso di sviluppo presso l’Università di Londra riguardante i dati biografici dei docenti universitari nel periodo rinascimentale. Per informazioni rivolgersi a Peter Denley, Department of History, Queen Mary and Westfield College, University of London, Mile End Road, London E1 4NS, Email: [email protected]. Banca Dati delle attività di ricerca del C.N.R. (DBCNR): banca dati interdisciplinare (in cui figura il settore disciplinare “Scienze storiche, filosofiche e filologiche”), che organizza l’insieme dei progetti di ricerca finanziati dal Consiglio 35 Nazionale delle Ricerche (C.N.R.), consentendo un rapido accesso alle informazioni di primo livello su circa 10 000 progetti di ricerca, singolarmente descritti e relativi a progetti degli Organi C.N.R. e progetti finalizzati, nonché sulla struttura organizzativa e le competenze disponibili di 270 Organi di ricerca. La banca dati DBCNR è composta dalle seguenti basi di dati: “Brevetti” (Brevetti e marchi, 1987-91), “Indirizzi” (indirizzi di Istituti e Centri, 1992), “Istituti” (struttura di Istituti e Centri, 1990), “Progetti” (progetti finalizzati e di ricerca di Istituti e Centri, 1989-90 e 1992), “Ricercatori” (elenco dei ricercatori in Matematica e Fisica degli Enti Pubblici italiani, 1991), “Risultati” (pubblicazioni e attività scientifiche e tecnologiche di Istituti e Centri, 198890). Le informazioni contenute nella banca dati DBCNR sono disponibili su CD-rom, in volume a stampa e on-line tramite accesso attraverso il Centro di Calcolo del Servizio Informatico Area Milanese (SIAM). Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche (EMSF). Prodotto dalla Rai DSE, dal- l’Istituto per gli Studi Filosofici, dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, il progetto della versione ipermediale e ipertestuale su CD rom dell’Enciclopedia raccoglie i testi di circa 700 interviste-lezioni in tre lingue, consultabili secondo diverse modalità (titoli delle interviste, nomi dei filosofi intervistati, piano dell’opera, indice analitico dei concetti) e corredati di abstracts. Tra le varie parti che compongono il CD rom figurano un lessico dei concetti fondamentali di oltre 200 parole, suddivisi in gruppi tra loro in connessione secondo parentele di significato, disciplina, correnti di pensiero ecc.; una storia del pensiero filosofico dai presocratici ai nostri giorni; una raccolta antologica dei testi più significativi della storia del pensiero, accompagnati da una breve presentazione del filosofo; un atlante della filosofia, che mostra la collocazione dei filosofi nelle diverse epoche storiche, nelle principali correnti di pensiero, nelle diverse discipline; una scheda bio-bibliografica, accompagnata dalla fotografia con firma autografa, per ogni filosofo intervistato. Il CD rom è inoltre strumento di connessione tra le varie versioni dell’Enciclopedia Multimediale (collane di videocassette, programmi televisivi, radiofonici e via satellite, libri, dispense, software per computer ecc.): questa biblioteca di testi voci, immagini e video costituisce quella parte del CD rom dedicata alle visite guidate. Il CD rom sarà realizzato sia in versione Macintosh che Windows. Edizione Elettronica di Informazione Filosofica (EEIF): l'Edizione Elettronica di "Informazione Filosofica" si propone di offrire, in una diversa versione, il materiale filosofico finora raccolto ed elaborato nei primi dieci numeri della rivista (equivalente ad un libro di 3.000 pagine, con 500 articoli, 6.000 opere citate, 600 realazioni e conferenze segnalate, 2.000 articoli di riviste italiane e estere recensiti e 2.500 novità librarie italiane ed estere schedate). In particolare, questa edizione permette di accedere a tutte queste informazioni e dati attraverso modalità di ricerca decisamente più articolate e approfondite di qualsiasi altro mezzo tradizionale di consultazione. Il materiale che costituisce questa edizione elettronica è organizzato in una sorta di "rivista elettronica" (denominata Infobase) con tanto di sommario, indice analitico e lessico, sulla quale però è possibile effettuare ricerche di parole attraverso raffinati operatori sintattici. Inoltre questa "rivista elettronica" può essere personalizzata dall'utente con l'aggiunta di note a margine, sottolineature e segnalibro, che vengono memorizzate separatamente e restano a disposizione, senza intaccare la base dei dati. L'Edizione Elettronica di "Informazione Filosofica" è attualmente disponibile su dischetto per i sistemi Ms Dos e Windows, e dal primo trimestre del 1994 anche per Macintosh. PROSPETTIVE DI RICERCA Ludwig Wittgenstein Rush Rhees, Ludwig Wittgenstein, Georg Henrik von Wright, G.E.M. Anscombe La casa in cui morì Wittgenstein, in Storey’s End 76, Cambridge 36 PROSPETTIVE DI RICERCA PROSPETTIVE DI RICERCA L’ eredità di Wittgenstein L’opera di Ludwig Wittgenstein è al centro di una imponente iniziativa editoriale: è stata infatti annunciata in Germania, durante l’edizione ’93 della “Buchmesse” francofortese, una nuova edizione critica delle opere del filosofo: LUDWIG WITTGENSTEIN . WIENER AUSGABE (a cura di M. Nedo, SpringerVerlag, Wien-NewYork 1993). Diverranno in tal modo finalmente accessibili le migliaia di pagine manoscritte lasciate dal filosofo alla sua morte, pagine sulle quali, sino ad ora, è stata esercitata da parte degli eredi letterari una stretta censura. Desta interesse e suscita vaste aspettative nel mondo intellettuale l’annuncio di una edizione critica delle opere di Ludwig Wittgenstein. Essa risponde infatti all’esigenza, più volte rivendicata dagli studiosi, di una consultazione dell’opera del filosofo che vada al di là delle edizioni parziali, e spesso filologicamente poco corrette, pubblicate dagli eredi testamentari. Garantisce ora dell’accuratezza del lavoro il nome di Michael Nedo, filologo che già nel 1979 aveva coordinato e diretto, insieme al linguista Hans Jürgen Heringer, il lavoro del gruppo di Tubinga intorno al lascito wittgensteiniano. Le difficoltà che da sempre gli eredi letterari - Rush Rhees, Elisabeth Ascombe e Georg Henrik von Wright - hanno sollevato nei confronti di chi volesse avere accesso al Nachlass, fanno sì che la grande iniziativa editoriale, che nella veste definitiva dovrebbe contare una cinquantina di volumi, possa per il momento assicurare solamente la pubblicazione dei quindici volumi relativi agli anni 1929-1935. Si tratta della produzione di Wittgenstein corrispondente agli scritti Annotazioni filosofiche e Grammatica filosofica, già compresi nella Werkausgabe (Francoforte 1989), rispettivamente nel volume secondo e quarto. A partire dalla prossima primavera dovrebbero pertanto essere resi disponibili annualmente da due a cinque volumi dell’opera critica, i cui criteri guida sono stati esposti dal curatore, Nedo, in un volume introduttivo che ripercorre al contempo la travagliata vicenda del lascito. Per il restante materiale si renderà poi nuovamente necessario il consenso degli eredi, i quali tuttavia hanno già una volta concretamente manifestato la loro fiducia nei confronti del curatore. Risulta chiaro dalla lettura del volume introduttivo quanto sia mutato rispetto alle precedenti edizioni l’approccio al Nachlass. Mentre infatti gli eredi letterari avevano operato, non senza dubbi e incertezze, una selezione del materiale loro disponibile, pubblicando solo una minima parte delle migliaia di pagine manoscritte in stadi diversi di elaborazione e stesura, la nuova edizione ha inteso seguire un criterio maggiormente aderente al metodo di lavoro del filosofo. E’ noto infatti che Wittgenstein ha pubblicato in vita solo una minima parte delle sue riflessioni filosofiche, cui si dedicava nella sua tormentata genialità con il massimo rigore e con una forza di concentrazione tale da esaurire le energie intellettuali degli allievi presenti alle sue lezioni universitarie. Lezioni che del resto - come ricordava Norman Malcom in L. Wittgenstein - A memoir (1958, trad. it. 1974) - «si svolgevano soprattutto in forma di conversazioni», in assenza di una qualsiasi traccia scritta e condotte sempre al limite della tensione intellettuale. Nel consentire oggi al pubblico una visione quanto più completa possibile del materiale esistente, è stato necessario al tempo stesso tener conto del fatto che ci si trovava di fronte al divenire di un pensiero, sviluppatosi attraverso le numerose rielaborazioni cui l’autore sottoponeva le proprie riflessioni, passando da semplici annotazioni su taccuini alla compilazione di manoscritti - e quindi di dattiloscritti - più volte scomposti, ripresi e annotati. Ampliare la pubblicazione degli scritti, significa allora rendere conto delle successive stratificazioni del testo e del fatto che l’autore stesso non riteneva definitiva nessuna di tali stesure. L’approccio ermeneutico mira perciò ad una ricostruzione del lavoro filosofico, seguendo da presso il sorgere e il modificarsi di un pensiero 37 che ha rifiutato la costrizione di una forma definitiva per mettere in gioco continuamente se stesso. Al rischio di una probabile disintegrazione del senso, in cui purtroppo incorre una tale edizione, come hanno sempre temuto gli esecutori testamentari, si è voluto ovviare con la compilazione di sei volumi di indice, grazie ai quali diviene possibile mantenere una visione d’insieme, nel collegamento fra i rimandi tematici da un testo all’altro. Nel frattempo in Francia, a ulteriore conferma dell’attenzione intorno a questo autore, viene pubblicato il Tractatus logico-philosophicus in una nuova edizione a cura di Gilles-Gaston Granger (Gallimard, Parigi 1993). A ciò si affianca la traduzione di due opere fondamentali della letteratura critica, già presenti in edizione italiana: la monografia di David Pears, La Pensée - Wittgenstein (trad. fr. di C. Chauviré, Flammarion, Parigi 1993; ed. orig. Londra 1971), che testimonia l’intenso travaglio intellettuale che portò Wittgenstein dalla teoria del linguaggio come “raffigurazione logica del mondo” alla ricerca incessante dei diversi modi in cui i significati si originano nella pluralità dei “giochi linguistici”, e l’importante biografia ad opera di Ray Monk, Wittgenstein - Le devoir du génie (trad. fr. di A. Gerschenfeld, Odile Jacob, Parigi 1993; ed. orig. 1990 trad. it. 1991), che presenta, unitamente al racc onto della vita d i Wittgenstein, un percorso guida attraverso le opere del filosofo. In Italia, a seguito della proiezione della versione cinematografica della vita di Wittgenstein, è stata pubblicata la sceneggiatura del film: Wittgenstein. La sceneggiatura di Terry Eagleton. Il film di Derek Jarman (Ubulibri, Milano 1993), che dimostra come la versione filmica sia il frutto del fecondo innesto della creatività di Derek Jarman sulla sceneggiatura originale di Terry Eagleton. N.C. PROSPETTIVE DI RICERCA Barthes: ‘Oeuvres complètes’ E’ uscito in Francia il primo volume, a cura di Eric Marty, delle OEUVRES COMPLÈTES (Seuil, Parigi 1993) di Roland Barthes, scomparso nel 1980. Questo volume comprende le opere dal 1942 al 1965; ne sono previsti altri due, complessivamente. Le polemiche suscitate da questa edizione testimoniano tuttavia della difficoltà di identificare con precisione l’eredità di pensiero lasciata da Barthes. A questo proposito è da segnalare la pubblicazione di interventi su questo autore: BARTHES APRÈS BARTHES : UNE ACTUALITÉ EN QUESTION, (Barthes dopo Barthes: un’attualità in questione, a cura di C. Coqui e R. Salado, PUP, Pau 1993). Le polemiche seguite alla pubblicazione del primo volume delle opere complete di Roland Barthes possono riassumersi nel seguente paradosso: Barthes occupa certo un posto importante nella cultura francese, ma quale? Dove si situa la sua recente eredità? Come, in altri termini, si dovrebbero collocare in libreria le opere di Barthes? In quale sezione? Scienze umane? Filosofia? Narrativa? Secondo alcuni quest’edizione non era necessaria; nuoce anzi all’eredità di Barthes. In primo luogo, esiste già una scelta delle opere di Barthes a cura di François Wahl; questa di Eric Marty (che si occupa fra l’altro di una nuova edizione del Diario di Gide ne “La Pléiade”), aggiunge qualche testo introvabile o non ancora pubblicato, ma non è critica. Resta un ibrido fra commemorazione e pseudo-scientificità. Marty si difende, invocando il problema del tempo: Barthes è stato un “maestro”, ma è ancora troppo “contemporaneo” per un’edizione critica; ci vuole il tempo della “memoria”, una serena valutazione del peso specifico del suo insegnamento. Non solo dunque un problema di “classicità”, ma anche d’interpretazione: come “appropriarsi” di Barthes? Non stupisca allora il titolo di “Nôtre Roland Barthes” con cui è stato reso pubblico un ricordo affettuoso e grato verso l’intelligenza serena e sorprendente di Barthes, che pure tocca un problema fondamentale nell’attuale cultura francese: a chi “appartiene” Barthes? Chi, a dieci anni dalla morte, lo comprende meglio di quanto lui si comprendesse? Chi e come riprende e adatta, adegua, rilancia le sue intuizioni, le sue analisi, le sue idee? Dire: nôtre (il nostro), segnala la difficoltà per ogni “maestro” recentemente scomparso di passare dalla celebrazione al “monumento”, dal lutto alla costruzione di un’eredità. La fedeltà, più volte invocata, secondo cui questa edizione tradirebbe lo spirito frammentario della scrittura di Barthes, è un argomento pericoloso, perché non chiarisce se si voglia essere “fedeli” all’autore, oppure alla propria “immagine” dell’autore. Così si sono succeduti articoli, incontri, pubblicazioni, micro-colloqui, tra cui il dibattito pubblico fra Eric Marty e P. Roger alla Fnac di Parigi e un numero monografico di “Magazine Littéraire” (ottobre 1993), che contiene un articolo del 1984 di Umberto Eco, in cui si afferma: «Barthes ci ha insegnato l’avventura d’un uomo di fronte al testo». Lungi dal propinare modelli o schemi astratti, Barthes è stato un maestro che ha incarnato un certo modo di pensare, un certo uso dell’intelligenza volto a cogliere l’esperienza sub specie semiotica. Eco ricorda quando Barthes sosteneva che, passeggiando per strada, dove altri vedono fatti e avvenimenti, lui scorgeva segni in atto. Eco insiste, inoltre, difendendo Barthes da certe “appropriazioni” ingiustificate: le sue idee sul testo, non si prestano affatto a una prospettiva deconstruzionista, alla “celebrazione” dell’inafferrabile, alla deriva del senso: più vicino a Agostino che alla Kabbala, osserva Eco, Barthes pensava al piacere del testo connesso al controllo reciproco dei segni e dei contesti. F.M.Z. Realismo senza dogmi Il realismo è stato spesso considerato una questione vecchia, priva di senso, combattuta e superata. Con il volume: REALISMO SENZA DOGMI (Guerini e Associati, Milano 1993), Fabio Minazzi si è recentemente impegnato in una nuova lettura di questa corrente di pensiero, in particolare del realismo galileiano. A riaprire la questione filosofica del realismo interviene anche John Banville, che avanza una riconsiderazione critica di questo fenomeno, riproponendo la figura di Keplero come “poeta della matematica” in un suo recente studio: KEPLERO (trad. it., di L. Noulian, Guanda, Parma 1993). Non si può negare l’importanza che il ‘600 ha avuto per la scienza e la filosofia moderna. Una vera e propria rivoluzione di vedute, metodi di indagine e di interpretazione della realtà, destinati a non restare indifferenti né per gli scienziati e per i teologi di allora, né per i contemporanei, che ancora oggi si ritrovano a fare i conti con una visione del mondo “ex novo”. Muovendo da un aperto confronto di differenti prospettive in dialogo, in Realismo senza dogmi Fabio Minazzi si esercita in un’analisi quanto più obiettiva delle teorie sostenute nel lontano 1600 da Galileo Galilei, la cui grande innovazione, osserva Minazzi, è l’aver separato scienza e fede, dichiarando l’autonomia della prima. Scienza e fede hanno differenti finalità (salvezza per la fede e conoscenza per la scienza) e diverse modalità di fondazione e di accettazione: nella fede vale l’autorità delle scritture; nella scienza si opera per sensate esperienze e necessarie dimostrazioni. Si legge in alcune pagine scritte da Galilei: «Le proposizioni de fide ci dicono come si vadia al 38 cielo; quelle scientifiche attestano invece come vadia il cielo». Per capire le legittime reazioni nei confronti di questa concezione da parte della Chiesa e di un sistema filosofico aristotelico ancorati ad una unica verità: quella metafisica, occorre collocarsi nel clima culturale del ‘600. A questo proposito vale la pena qui segnalare tra gli studi recenti che hanno riportato documenti sui processi per eresia intentati contro Galilei la ricerca di Antonino Poppi: Cremonini, Galilei e gli inquisitori del santo a Padova (Centro Studi Antoniani, Padova 1993), in cui vengono presentati, a titolo storico informativo, contenuti e motivi dei processi inquisitoriali contro Galileo Galilei, scoperti nell’Archivio di Stato di Venezia. Tra le altre cose, si racconta che «il 21 aprile del 1604, un certo signor Silvestro Pagnoni (amanuense di Galilei) denunciò all’Inquisizione padovana Galileo Galilei per formulare con sicurezza assoluta giudizi sulla vita dei suoi clienti in base ai segni zodiacali». Ma è l’adesione di Galilei al sistema eliocentrico copernicano - «Io non posso senza... gran ripugnanza al mio intelletto, sentir attribuire per gran nobiltà e perfezione ai corpi... dell’Universo questo essere impassibile, immutabile, inalterabile... » - che determina il crollo di una certa visione comoda e sicura della filosofia aristotelica, convinta nell’esistenza di un mondo celeste immutabile e incorruttibile. Galilei, non riteneva dannosa la tradizione aristotelica in sé, ma nel suo ergersi a dogma incontrollabile. Minazzi giustifica questo aspetto della teoria di Galilei: «Solo uno studio scientifico, secondo Galileo, permette di elaborare un’effettiva spiegazione del moto, che eviti sia l’errore di limitarsi alla descrizione estrinseca dei fenomeni, sia quello di sconfinare in pretese spiegazioni metafisiche, fantasiose e incontrollabili». Di fatto, proprio per evitare questi due errori opposti, Galilei ricorre all’ausilio della matematica, che gli consente di intrecciare le dimostrazioni alle sensate esperienze. Vicinissimo a Galilei per studi e contributi di pensiero è Keplero, di cui John Banville ridisegna lo spirito teorico matematico in una recente monografia dedicata a questo autore. Anche Keplero, come Galilei, è indagatore del cielo e anche per lui «l’Astronomia insegna solo che fin dove si scoprono le stelle, anche le più piccole, lo spazio è finito, sicché l’infinito è inaccessibile all’osservazione». La scienza dunque, si deve dedicare all’indagine della realtà naturale, perché solo su di essa ci si può pronunciare. Per quanto superate siano le tesi di un “realismo senza dogmi”, tali reinterpretazioni critiche di Galilei e Keplero permettono di proseguire con spirito aperto in una riflessione filosofica che giunge fini ai nostri giorni e che è capace di servirsi del passato, pur superandolo: occorre riconoscere che le vere rivoluzioni scientifiche-filosofiche sono possibili proprio grazie a quei paradigmi, che, se messi in discussione, danno vita al “nuovo”. D.M. PROSPETTIVE DI RICERCA Gadamer e Platone La breve antologia di testi di Platone raccolti nel volume: TEORIA DELLE IDEE (trad. it. a cura di S. Fadda, Il Melangolo, Genova 1993), introdotto e commentato da Hans-Georg Gadamer, costituisce un significativo esempio dell’approccio ermeneutico gadameriano alla dottrina platonica delle idee, nella convinzione dell’imprescindibilità del ruolo mediatore dell’interprete nella lettura di un testo, filosofico e non. In questa raccolta di testi Hans-Georg Gadamer presenta e commenta passi del Fedone, del Parmenide e della Lettera settima di Platone, con l’intento di mettere in luce il nucleo centrale della teoria delle idee, che si manifesta nel rapporto tra la dimostrazione dell’immortalità dell’anima e l’elaborazione della dialettica. La distinzione delle idee dai fenomeni, affermata nel Fedone e sviluppata nella Repubblica, costituisce il fondamento della discriminazione tra sofistica e filosofia; secondo Gadamer essa non va interpretata, come si è fatto fino al XIX secolo sulla scorta della lettura neoplatonica, come una “teoria dei due mondi”; né, all’opposto, come ha fatto il neokantismo di Marburgo (presentando un Platone precursore del criticismo kantiano), come una fondazione gnoseologica del sapere delle scienze empiriche, bensì come “momento integrativo” della dialettica. La distinzione delle idee dai fenomeni va pensata in Platone, sostiene Gadamer, a partire dalla loro inscindibilità. La dialettica della partecipazione esposta nel Parmenide non rappresenta perciò una crisi della teoria delle idee, ma l’altro lato di essa, a essa consustanziale, nonché il punto d’innesto delle tematiche riguardanti le cosiddette “dottrine non scritte” di Platone, relative ai numeri ideali. Scartando anche qui le opposte teorie interpretative, secondo le quali per un verso la presentazione della dialettica nel Parmenide rappresenterebbe un mero artificio retorico, per l’altro occorrerebbe “prendere sul serio”, come fece il neoplatonismo, una caratterizzazione dell’essere molto vicina alla configurazione della “teologia negativa”, Gadamer vede in questo dialogo l’esplicarsi della dimensione riflessiva del pensiero. Secondo Gadamer, riconoscendo il fatto che le determinazioni di essere e non essere, identità e differenza, appartenendo necessariamente a ogni ente, non consistono in determinazioni di genere, Platone tematizza l’attività essenziale del concetto, che distingue per separare, e separa per sintetizzare. La teoria delle idee esposta nel Fedone e nella Repubblica non viene dunque, nella dialettica diairetica del Parmenide, né abbandonata, né profondamente rimaneggiata, bensì fondata; la teoria diventa pratica euristica, e la contemplazione si trasforma in ostensione e concreta esem- Hans-Georg Gadamer (foto di M. Totaro) 39 PROSPETTIVE DI RICERCA plificazione dell’articolarsi dell’essere. Proprio insistendo su questo aspetto “pratico” della dottrina platonica, che con ciò prende congedo da una visione sapienziale della conoscenza, si qualifica invece una pratica ermeneutica. Nella Lettera settima, secondo Gadamer, è presente la chiave d’accesso alla dimensione più propria della riflessione platonica, e in particolare della dottrina delle idee. L’intera opera dialogica platonica, sostiene Gadamer, rappresenta un’apologia di Socrate, nonché la risposta, sul piano metafisico, alla questione, politica ed etica, relativa alla possibilità dell’esistenza del giusto, Socrate, in un mondo ingiusto. La veste dialogica corrisponde, dal punto di vista teoretico, a una presa di posizione di Platone che lo colloca fra i seguaci (o il capostipite) del fallibilismo logico. Solo in questa prospettiva la dottrina delle idee entra nel cono di luce che la fa emergere nel suo carattere più proprio, quello di prassi ermeneutica: neppure la prova dell’immortalità dell’anima presentata nel Fedone, che costituisce la chiave di volta per argomentare l’esistenza del mondo delle idee, a parere di Gadamer ha forza di per se stessa, «al di fuori dell’esempio vissuto del morire sereno e tranquillo che Socrate ci offre». F.C. Gracián e la perfezione Benché l’opera di Baltasar Gracián sia quasi totalmente disponibile in lingua italiana, la sua fortuna critica è decisamente inferiore a quella riscontrabile in altri paesi europei. Anche per questo è opportuno segnalare, a cura di Giuseppe Patella, la pubblicazione di un’antologia di testi gracianiani, con un’ampia bibliografia ragionata: GRACIÁN O DELLA PERFEZIONE (Edizioni Studium, Roma 1993). Figlia di un secolo tutto proteso alla ricerca dell’essenza, dell’artificio, la riflessione di Baltasar Gracián, gesuita spagnolo, risulta rappresentativa della cultura barocca, anelante da un lato all’assoluto, all’infinito, dall’altro pervasa dalla coscienza dei propri limiti, dalla finitezza in cui la sensibilità costringe la vita umana. Fortissimo qui è il senso della caducità della vita medesima, nei confronti della quale occorre comportarsi con un’accortezza non disgiunta dalla consapevolezza della sua vanità. Se la mancanza di abilità porta necessariamente una natura retta al fallimento, nondimeno Gracián ritiene che l’abilità da sola non basti; prudenza e accortezza sono doti di per sé vuote, se non servono da strumento per orientare una natura proba. Figlio del suo secolo, Gracián lo è anche quando rileva, senza alcun tono di condanna moralistica, che «le cose non si considerano per quel che sono, ma per quel che appaiono»; per questo «valere e saper mostrare che si vale significa valere due volte: ciò che non si vede è come se non ci fosse». D’altra parte, le accuse di formalismo, nonché di amoralità, spesso mosse a Graciàn, si scontrano con le sue esplicite affermazioni, secondo le quali «la virtù è l’unica cosa che conta davvero, tutto il resto è nulla. La capacità e la grandezza si devono misurare alla stregua della virtù e non della fortuna; la virtù sola basta a se stessa». Gracián interpreta il proprio secolo come luogo irto di insidie e tranelli per l’uomo retto; egli non raccomanda affatto l’isolamento dal mondo, bensì, al contrario, un’approfondita conoscenza della malizia che lo governa, osservazione e comprensione delle strategie che portano al successo, a partire da uno sguardo che si colloca al di là di questo mondo, e che è al contempo fine e luogo di residenza più proprio dell’uomo giusto. Nell’Introduzione storica e critica e nella presentazione, in chiusura del volume, di alcune linee fondamentali dell’eredità del filosofo, Giuseppe Patella scandaglia le molteplici sfaccettature e connessioni della riflessione gracianiana, rilevando come per Gracián l’uomo ideale sia colui che sa esercitare, con accortezza e prudenza, l’elezione (elección), la scelta, che definisce l’uomo in quanto tale. Esiste infatti, secondo Gracián, una contrapposizione fra due determinazioni, l’ “uomo” e la “persona”: il primo (hombre) rappresenta lo “stato naturale” della vita umana, ma proprio per questo esso è nulla, dal punto di vista della “vera umanità”, che consiste invece nell’acquisizione della dimensione propria della “persona”. Questa è frutto non della natura, bensì dell’artificio: «donde no media el artificio, toda se pervierte la naturaleza». In ciò, osserva Patella, si esprime compiutamente lo spirito barocco, intimamente pervaso dall’idea della necessità per l’uomo di un agire che, inesorabilmente e, talvolta, anche a dispetto di lui stesso, trasforma l’esistente “naturalmente” dato. La vita dell’essere umano consiste dunque in un viaggio o, meglio, in un pellegrinaggio, che lo porta dalla condizione di uomo a quella di persona, caratterizzata dal saper esercitare con prudenza e accortezza l’atto elettivo; un atto che è, insieme, formativo e autoformativo, in quanto rivolto da un lato alla trasformazione del mondo circostante, dall’altro rivolto a se stesso, alla purificazione del proprio agire dalle inclinazioni sensibili. La condizione del “pellegrino” gracianiano, se ha un fondamento teoretico diverso e opposto rispetto a quello del “viandante” di Nietzsche, risulta connotata da una tonalità esistenziale non molto distante da esso: l’accettazione dell’esistenza del mondo nella sua effettività si coniuga, infatti, con la convinzione dell’ineliminabilità dell’eccedenza della vita umana, in quanto tale, rispetto a esso. La prudenza gracianiana si nutre della capacità di osservazione delle molteplici va40 rietà delle circostanze di cui l’umana esistenza fa prova; la sua connessione con il juicio conferisce al “metodo” gracianiano le caratteristiche di quello della scienza moderna (che nasce nel medesimo volgere di anni), alla quale appartengono, come ideale di conoscenza, l’interrogazione e la riconduzione delle infinite varietà dell’esperienza alla chiarezza e al rigore della riflessione. La “prudenza” gracianiana, sottolinea Patella, esclude tanto l’attivismo soggettivista, tipico dell’età contemporanea, quanto il quietismo e il ritrarsi della spiritualità nella dimensione ascetica. Tutta tesa, grazie alla mediazione dell’intenzionalità cosciente, alla perfezione è dunque la vita dell’uomo; ciò esclude, come ricorda ancora Patella, una considerazione “naturalistica” della perfezione in quanto data all’uomo, a favore invece della assai più realistica idea di una sua indefinita perfettibilità. F.C. Bernard Lonergan: le opere É stato pubblicato il quinto volume delle opere di Bernard Lonergan con il titolo: COMPRENDERE E ESSERE (a cura di N. Spaccapelo e S. Muratore, Città Nuova, Roma 1993). Si tratta del primo volume di un piano di edizione italiana, che nella sua completezza abbraccia ben 22 volumi, di cui solo quattro sono noti al pubblico italiano per precedente traduzione. Il volume è stato presentato ufficialmente il 29 ottobre 1993 a Roma, presso l’Aula Magna di Palazzo Frascara. Le 400 pagine del primo volume delle opere di Bernard Lonergan raccolgono riflessioni e interrogativi sollevati dal filosofo nel lontano 1958, in una serie di seminari da lui tenuti presso l’Università “St. Magi” di Halifas in Canada. Tra i temi trattati spiccano scritti di carattere prevalentemente filosofico, ma con riferimenti alla psicologia del profondo, alla logica, alla matematica e, perfino all’economia. Nello scorrere i titoli colpisce la profondità e l’originalità dello studioso cattolico nell’ambito del pensiero filosofico contemporaneo. Natalino Spaccapelo e Saturnino Muratore hanno tradotto con fedeltà i quesiti discussi tra il maestro e i suoi allievi; ma questa posizione non ha loro vietato alcune varianti, motivate per altro dalle differenze culturali italiane e europee e dalle differenze editoriali e redazionali. L’elemento più significativo in questo processo di “mutazione” riguarda il diverso modo in cui i traduttori hanno riportato la lista delle opere di Lonergan. E stata rispettata invece l’integralità dei contenuti e del valore filosofico del testo, che comunicano gli assi portanti del pensiero e della personalità di Lonergan. Il filosofo teologo, come testimonia la sua PROSPETTIVE DI RICERCA PROSPETTIVE DI RICERCA opera, si è sforzato (con buon esito) di rinnovare le modalità di approccio di quella parte di cultura cattolica spesso chiusa “nel suo habitat”, aprendosi ad un dialogo con la cultura laica e ponendosi in confronto con i saperi contemporanei. In questo Lonergan ha il merito di aver creato uno dei più solidi movimenti di pensiero della riflessione cristiana contemporanea, rivelandosi tra i pensatori più all’avanguardia del XX secolo. In Comprendere e Essere l’autore sviluppa e approfondisce la “conoscenza” intesa come ricerca dell’ignoto. Nell’affascinante itinerario conoscitivo, il soggetto è la voce attiva che entra nei meandri dell’oggetto sconosciuto. Lonergan invita a passare dall’ontologia, che si riferisce al logos, all’ontico, ovvero al giudizio sull’essere, che si riferisce a ciò che uno è nella sua globalità. La portata dell’avventura conoscitiva, sostiene Lonergan, acquista valenze diverse a seconda del modo con cui il soggetto si pone di fronte a se stesso e ad essa. «La ricerca della conoscenza è ricerca di un ignoto; essa non è solo una ricerca conscia, ma anche una ricerca intelligente, razionale, deliberata. Ognuno poi deve giudicare, deve arrivare alla propria conclusione e decidere se sa qualcosa in base alla propria esperienza personale. Se egli non trova alcuna ragionevolezza in se stesso, non dobbiamo, ovviamente, preoccuparci troppo di ciò che egli ha da dire. C’è una quantità di trappole con questo conoscere se stessi. Se una persona non è conoscente, allora si sta praticamente escludendo da sola dalle discussioni e dalla ricerca comune». Trapela dalle affermazioni di Lonergan il valore indiscutibile della persona, unica vera responsabile del proprio mondo interiore, alla quale è dato vivere in contatto con un mondo esteriore (in quanto altro da sé), che rimane “ignoto” fintanto che si è “ignoti” di fronte a se stessi. Lonergan crede in una conoscenza che avvicina l’uomo alla perfezione, che lo arricchisce, ponendo le basi per superare la frammentazione del sapere e del vivere. Tutta la conoscenza (nel senso più ampio del termine) è lo strumento più efficace per dar vita ad un’esistenza feconda, con la quale la cultura dell’amore e della tolleranza supera quella del divisionismo e dell’arroganza. A distanza ormai di dieci anni dalla morte di Lonergan e di quaranta dall’inizio del suo insegnamento alla Pontificia Università Gregoriana, emerge sempre più netta la statura imponente di questo studioso e il grande significato che può assumere oggi la sua opera, definita non senza ragione «un organon, per una nuova epoca della storia». D.M. 41 NOTIZIARIO NOTIZIARIO Il campo di indagine classico della gnoseologia è ormai condiviso da molteplici scienze particolari, dalla spicologia sperimentale alla neurofisiologia, e molte di esse trovano sempre più proficuo ricorrere alle riproduzioni al calcolatore per verificare le proprie ipotesi teoriche. D’altro canto, anche le scienze dell’informazione hanno al loro attivo tutta una serie di ricerche di carattere più generale che si propongono la realizzazione di macchine intelligenti e, di conseguenza, la formalizzazione dei processi essenziali, tipici del ragionamento intelligente: tra i quali ad esempio il riconoscimento degli stimoli esterni. Questa comunanza di interessi tra gnoseologia e scienza dell’informazione è alla base di un’iniziativa dell’Istituto Mitteleuropeo di Cultura di Bolzano, ormai giunta alla sesta edizione, promossa dall’Associazione Italiana di Intelligenza Artificiale e dal Comitato Europeo di Coordinamento per l’Intelligenza Artificiale: le SCUOLE ESTIVE INTERNAZIONALI DI FILOSOFIA E INTELLIGENZA ARTIFICIALE, che da cinque anni orga- nizzano incontri con studiosi provenienti da tutto il mondo. I partecipanti alle Scuole sono per la maggior parte ricercatori e docenti e, dal 1991, sono a loro disposizione diverse borse di studio per la partecipazione alle lezioni. Nelle passate edizioni si sono alternati studiosi di indubbia fama: Jean Petitot ha partecipato alla terza edizione su “Fenomenologia e filosofia analitica” e “Architetture cognitive”; John Searle alla prima su “Prospettive filosofiche dell’intelligenza artificiale”; Hubert Dreyfus alla quarta su “Ontologia formale” e “Simbolo e riferimento”. Alla quinta edizione su “Filosofia del linguaggio” e “Ragionamento temporale” hanno partecipato, tra gli altri, Andrea Bonomi, J. van Benthem e E. Sandewall. L’edizione del 1993, tenutasi dal 5 al 9 luglio, ha proposto due cicli di lezioni, raccolti sotto un unico titolo: “Che cosa è una forma”, ai quali hanno partecipato J. Petitot, I. Grattan-Guinnes, G. Simmons e A. Zimmer. Una selezione dei lavori svolti nelle prime tre edizioni è stata pubblicata nel volume Topics in Philosophy and Artificial Intelligence, a cura di L. Albertazzi e R. Poli (Bolzano 1991). Dall’edi- 41 zione del 1991 è stato tratto il volume Formal Ontology, curato da R. Poli e P. Simons (di prossima pubblicazione presso Kluwer). M.P. Vengono pubblicate in un solo volume le opere più celebri di KIERKEGAARD, fra cui Aut-aut e La malattia mortale (Laffont, Parigi 1993). Il curatore, Régis Boyer, apre il volume con un importante saggio introduttivo, ricordando gli autori scandinavi che hanno influito su Kierkegaard e che sono stati influenzati da lui. Questa nuova edizione rappresenta una tappa importante nella storia, spesso assai confusa e non sempre edificante, della pubblicazione in Francia delle opere di Kierkegaard. L’edizione di Kierkegaard a cura di Régis Boyer riprende la traduzione francese di Paul-Henri Tisseau delle Oeuvres complètes (Orante, Parigi 19661986). La storia di questa edizione è singolare: in primo luogo, è la storia di un solo individuo, Paul-Henri Tisseau - sposato con una donna danese, docente in Romania, poi lettore all’Università di Lund, in seguito docente di latino a Nantes - che ha voluto sacrificare tempo, denaro, risorse e addirittura la propria vista alla traduzione delle opere complete di Kierkegaard. Non riuscendo a trovare un editore, a partire dal 1934 Tisseau si organizza per tradurre, pubblicare, e diffondere da solo l’opera. Ma durante la guerra la sua casa e tutti i manoscritti delle traduzioni vengono distrutti. Bisogna rincominciare tutto da capo: uno ad uno escono i testi tradotti, tutti con la semplice dicitura: “Trd. Paul-Henri Tisseau, Bazogesen-Pareds”. Solamente pochi mesi prima di morire, Tisseau riceve l’offerta di un aiuto economico e nel 1966 prende avvio ufficialmente l’edizione completa delle opere. Questa storia coraggiosa e tenace è accompagnata da un’altra poco edificante: nella confusione più generale, alcuni editori smembrano l’opera di Kierkegaard, incollano, cambiano a piacimento i titoli. Così compare in libreria un testo di Kierkegaard dal titolo: Erotisme, frutto di un operazione editoriale di assemblaggio di proposizioni sulle donne, tratte da fonti diverse. E ancora: La malattia mortale si trova ora edita con il tito- NOTIZIARIO lo: La Maladie à la mort, ora come Le traité du désespoir. Ricordare questa vicenda non è solo riportare un fatto di cronaca, bensì sottolineare come Kierkegaard sia stato mal letto e mal interpretato in Francia: alla lettura esistenzialista ha fatto seguito la semplice lettura da parte di tutti coloro che hanno voluto vedere in Kierkegaard non solo una critica alla filosofia sistematica, ma anche una critica al pensiero, non cogliendo lo spessore filosofico di questo autore. La nuova edizione di Kierkegaard a cura di Boyer sembra invece essere segno di un interesse più competente (un’edizione completa è in preparazione anche ne La Pléiade), anche se non sono mancati sui giornali gli scontati elogi di Kierkegaard come scrittore tout court, il cui interesse principale, pare, è assorbito da questioni riguardanti vicende della vita privata. F.M.Z. A 10 anni dalla morte di RAYMOND ARON le edizioni Flammarion di Parigi pubblicano una sua biografia curata dal sociologo Nicolas Bavarez. Non è un’opera agiografica, piuttosto una rivisitazione critica dell’uomo e del suo pensiero, un’occasione per ricordare l’opera di un’intellettuale poliedrico che ha vissuto il suo tempo con un impegno totale e, per molti versi, solitario. Solitaria infatti fu la battaglia contro il comunismo, assimilato, già prima della seconda guerra mondiale, al nazismo. Il suo grande merito è quello di averci insegnato a trattare la storia da tutte le possibili angolazioni: dal punto di vista del giornalista a quello dello studioso; unico imperativo, la ricerca continua della verità e la lucidità di vedute. Compagno di Sartre all’Ecole Normale, fu spesso suo avversario nella realtà quotidiana, volendo sempre conservare intatto quello spirito di indipendenza che gli permise di leggere nelle vicende storiche senza per questo restarne coinvolto. Tra i problemi storici e politici del suo tempo che maggiormente lo appassionarono, un posto d’onore spetta al dibattito sull’unità d’Europa. Fin dalla fine della guerra, infatti, fu uno dei più accesi sostenitori della necessità di una riconciliazione franco-tedesca, come polo gravitazionale dell’unità europea. Quando si trattò, però, di passare dal pensiero ai fatti, si schierò contro quel Jean Monnet che proponeva la creazione di una forza militare europea. Secondo Aron non si poteva creare una forza europea, senza aver previsto prima un’ autorità politica, economica, finanziaria e morale europea. Era, di fatto, necessario costruire, prima di qualsiasi forza militare, un’entità e una coscienza europea. L.B. Una piccola casa editrice francese, IVREA, accorda uno spazio partico- lare alla filosofia, pubblicata con parsimonia e discernimento in un insieme di testi che va dagli studi storici ai classici della strategia, dai romanzi di Boulgakov ai pamphlets su/contro l’attualità, o ancora, da Karl Marx (Oeuvres philosophiques) a Groucho Marx (Correspondance). Questo paesaggio contrastato, attraversato dalla filosofia di Hegel (Ecrits politiques, 1974) e da quella di Spinoza (Ethique, 1993), non è l’effetto di un sincretismo, ma di una certa “filosofia” dell’uso dei testi filosofici all’interno del loro paesaggio culturale; le opere filosofiche sono accompagnate da studi positivi e da testi letterari (come Ma vie di Alfieri, 1989), che le chiarificano tanto quanto ne sono chiarificati. Questa struttura editoriale, che è tutt’uno con quella della casa editrice, ha essa stessa una storia, talvolta movimentata: dalla creazione delle edizioni Champ libre nel 1970, in pieno fermento politico, ad opera di Gérard Lebovici, all’assassinio di questi nel 1984; dalla ripresa della casa editrice da parte della moglie con il nome di Editions Gèrard Lebovici (1984-1991), alla creazione delle Editions Ivrea nel 1992, sotto la direzione del figlio di Lebovici. Mentre gli anni ’70 erano dominati dagli interrogativi politici, negli anni successivi fu maggiormente accolta la letteratura (Melville e Fenoglio) e l’essenziale dell’opera di George Orwell. Ispirata all’inizio dal movimento dell’I.S. (Internazionale Situazionista) e dal pensiero critico di Guy Debord, la casa editrice privilegiò la critica sociale, grazie alla riedizione di classici del pensiero politico-filosofico e dell’anarchismo e anche alla pubblicazione di studi storici sui movimenti di protesta. Furono così pubblicati Marx (1979) e i critici del marxismo (Karl Korsch, 1970, Gustav Landauer, 1974; Lucio Colletti, 1976), e ancora Hegel, Dietzgen (1973) e l’opera filosofica di August von Cieszkowski (1973). Il progetto più impressionante di questo periodo, senza pari in Europa, resta l’edizione delle Oeuvres complètes di Bakounin ( in 8 volumi, 1973-82) da parte di Arthur Lehning. Come eco di questo orientamento, furono pubblicati anche autori significativi del periodo rivoluzionario (Anacharsis Cloots, 1979; Saint-Just, 1984) nonché dei grandi classici della strategia politica (Clausewittz, Jomini, Picq, Napier). Troviamo anche dei testi decisivi dell’avanguardia estetica di inizio secolo, russa (Chlovski, 1973, Taraboukine, 1972, Malevitch,1975), tedesca o viennese ( Almanach Dada, 1980, Karl Kraus, 3 volumi, Adolf Loos, 1979), francese e belga (Ribemond-Dessaignes, 1974-78, Pansaers, 1986) e portoghese (Pessoa, 1973). Questa costellazione fa spazio anche anche ai trattati della dissimulazione del gesuita Gracián e di Castiglione, disegnando così un luogo atipico in cui Jean de la Croix risponde a Spinoza. Menzioniamo infine la pubblicazione delle Conférences psychanalytiques à l’usage des malades di Georg Groddeck (3 volumi) che conferisce all’insieme una fisionomia originale, in cui les opere teoriche contribuiscono segretamente a mettere “sotto tensio- ne” i testi letterari e storici, i quali suggeriscono discretamente al lettore ampliamenti della filosofia. La critica del marxismo dogmatico (per la riedizione di Marx, l’edizione di Souvarine e di Papaiaonnou) s’accompagna progressivamente ad una apertura alle opere classiche, presentate sotto un aspetto però originale; ecco allora le Poésies di Nietzsche e Le voyage de Petersbourg à Moscou di Raditchev, presentato da F. Venturi (1988). Per la filosofia strictu sensu la recente riscoperta di una traduzione esemplare di Spinoza, tanto leggibile quanto rigorosa, adottata da Brunchvig e da Deleuze, sarà seguita prossimamente dai Ricordi di Guicciardini, presentati da Alain Pons. La rentrée autunnale è stata inaugurata dall’edizione di W. Fraenger, Le Royaume millénaire, uno studio molto interessante su Jérome Bosch, che ha avuto una vasta eco sui giornali e alla radio, e da un altro romanzo di Fenoglio, per sottolineare il rifiuto della separazione ordinaria fra teoria e letteratura; le Edizioni Ivrea desiderano preservare questa originalità rivolgendosi a nuovi domini, come il campo italiano, filosofico e letterario, così come la scelta del nuovo nome, Ivrea, luogo di nascita dell’attuale responsabile, lascia intendere. D.T. E‘ stato pubblicato dalla Cambridge University Press il carteggio del 1960 tra CHARLES DARWIN e noti biologi e botanici dell’epoca. Le 450 lettere raccolte nel volume testimoniano le reazioni del mondo scientifico alla pubblicazione, dell’anno precedente, de L’origine della specie. Darwin affronta con i suoi interlocutori il tema dell’assenza di una qualsiasi progettualità finalistica o comunque di un sistema deterministico nello sviluppo della specie; le lettere rivelano le reazioni dello scienziato alle critiche e alle lusinghe apportate dai lettori alla teoria evoluzionistica che, escludendo la possibilità di un qualsiasi disegno divino, suscita tra il pubblico un notevole scalpore. Se nelle prime lettere, comunque, notiamo un Darwin timoroso e in crisi per le critiche ricevute, in quelle seguenti rileviamo nell’autore una progressiva indifferenza verso i pareri negativi e senz’altro una maggiore sicurezza nella propria teoria. Il carteggio rivela come le implicazioni “nichiliste” dell’evoluzionismo non siano mai affrontate direttamente dallo scienziato: l’ordine intellettuale e la sicurezza degli studi fatti consentono a Darwin di non vacillare su questioni metafisiche che poco avevano a che fare con l’intento scientifico da lui perseguito. A.S. Il rapporto scienza-filosofia costituisce l’ossatura della biografia dedicata da Abraham Pais a NIELS BOHR con il titolo: Il danese tranquillo (Bollati Boringhieri, Torino 1993). La biografia si occupa in particolare del periodo intorno al 1927, anno in cui si tennero due congressi, a Como e a 42 Bruxelles, in cui il fisico danese, esponendo la teoria dei quanti, pose una grossa ipoteca sulla fisica classica. Se, infatti, nella fisica newtoniana il presupposto è l’indipendenza di soggetto e oggetto, di mente e realtà, con la teoria di Bohr, sostenuta poi anche da Heisenberg, si mette in discussione la consistenza ontologica della materia a livello subatomico: lo stato della materia non esiste in sé, viene generato dall’atto di osservazione. La biografia mette bene in luce l’ampio respiro delle implicazioni filosofiche della teoria dei quanti: negare l’inseità della materia implica i caratteri del soggettivismo, dell’idealismo e dell’antirealismo: condizioni inaccettabili per una scienza di tipo positivista e per lo stesso Einstein, citato spesso e volentieri da Pais come grande antagonista di Bohr. A.S. É stata pubblicata la prima edizione del DIZIONARIO DELLE RELIGIONI ORIENTALI (Garzanti, Milano 1993). Scorrendo le 496 pagine del volume curato da A. Vallardi, il lettore può entrare in contatto con la complessità e la ricchezza delle tradizioni dei popoli dell’oriente. Nomi, figure, tabelle servono all’immaginazione per affiancare l’intelletto nel penetrare culture complesse ed estranee alla razionalità occidentale. Ampio spazio viene dedicato agli assi portanti del pensiero religioso e delle culture indiana e cinese, dal buddhismo all’induismo, al confucianesimo, al taoismo. I temi proposti sono ad ampio raggio e forniscono indicazioni precise sullo shintoismo, sullo zoroastrismo, sul giainismo, così come sulle scuole, i movimenti, i maestri delle religioni orientali. Il lettore più appassionato ha così modo di immergersi nei più svariati simboli, approfondendone i significati, intraprendendo così un viaggio verso la conquista dell’equilibrio, della serenità, della gioia, mete autentiche della religiosità orientale. D.M. Un nuovo strumento in grado di soddisfare ampie esigenze di informazione e di approfondimento, il DI ZIONA RIO TEO LOGICO ENCICLOPEDICO (Piemme, Milano 1993) è oggi a disposizione degli studiosi, finora costretti a ricorrere a più strumenti per avere una sintesi tematica della materia. L’opera si distingue infatti, rispetto ai tradizionali dizionari di teologia, per la vasta gamma di argomenti e di discipline considerate. In 1200 pagine sono contenute 1100 voci che trattano non solo di dogmatica e teologia speculativa, ma anche di esegesi biblica, storia, spiritualità, teologia, morale, religioni. Il dizionario affronta temi remoti e questioni attualissime (come ad esempio la “bioingegneria genetica”), si pronuncia (anche) in termini storici evolutivi sulla riflessione teologica e si dispensa con una minibibliografia che dà ampio spazio alla letteratura italiana. D.M. CONVEGNI E SEMINARI CONVEGNI E SEMINARI Genealogie e fratture della memoria Presso la sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, dal 28 giugno al 2 luglio 1993 Remo Bodei ha tenuto un seminario sul tema: “OBLIO E MEMORIA NELLA FORMAZIONE DELL ’IDENTITÀ COLLETTIVA”, dove è stato analizzato il complesso e stratificato intreccio di dimenticanza e ricordo che caratterizza l’identità dei popoli e degli individui nel corso della storia. La memoria collettiva di una comunità si forma mediante stratificazioni che, nel tempo, producono negli individui che la compongono un più o meno forte senso di appartenenza, il quale si manifesta nell’attaccamento a tradizioni in cui si è sedimentata l’idea stessa della comunità di cui si è parte. Tuttavia, ha esordito Remo Bodei, all’interno della memoria super-individuale si presentano delle discontinuità o dei “vuoti” che intaccano la compattezza dell’identità, fagocitando a volte nell’oblio intere civiltà o linguaggi. Allo stesso modo, quando l’identità collettiva si forma mediante aggregazione di tradizioni diverse, la lunga opera di sovrapposizione culturale non appare indolore, poiché vi è sempre qualcosa che viene perduto e costituisce il prezzo pagato dalla comunità per un’identità più ampia, il rovescio inquietante delle filosofie della storia che hanno disegnato trionfali coscienze unitarie, rispecchiantisi nelle Istituzioni di un popolo o di una civiltà. Così, ha osservato Bodei, quando un regime cade o muta radicalmente la forma di governo di un Paese, gli uomini sembrano non ricordare il passato prossimo, e recuperano un passato lontano, rimuovendo la “colpa” recente attraverso la riesumazione di remote tradizioni. Tale rimozione collettiva rivela il carattere instabile e oscillante della memoria di un popolo; quando alcuni eventi ne toccano l’identità profonda, allora può intervenire, a modificarla per sottrazione, l’oblio, che non è un semplice vuoto, ma il risultato di un conflitto all’interno della stessa memoria storica. Vi è dunque una volontà di dimenticare pari alla volontà di ricordare, e la lotta tra le due mette in crisi il concetto continuistico di passato tipico dello storicismo. Accanto a questa lotta, fa notare Bodei, vi è oggi, nel mondo, una tendenza all’uniformità e alla globalità culturale, mediante l’unificazione delle abitudini e la mummificazione di alcuni - scomodi - passati locali; mediante la simultanea coordinazione degli eventi planetari grazie alle reti telematiche, e la conseguente liberazione dalla dipendenza dal contesto geografico. La tendenza opposta, la frammentazione esasperata, ci riporta ad una drammatica richiesta di identità su basi “biologiche”: là dove l’oblio ha operato come forma sostitutiva della memoria e si è disgregata l’identità stabile, vi può essere la negazione di ciò che era stato collettivamente ritenuto valido, e l’invenzione di una identità poco verificabile con metodi rigorosamente storici, o mai esistita nel passato. Ciò accade, ha sottolineato Bodei, nelle fasi di transizione, quando vengono meno i criteri di selezione della memoria tradizionale, e se ne alterano quei “quadri sociali” che Maurice Holbwachs aveva posto alla base della stessa identità individuale, per dimostrare l’inesistenza di una dimensione esclusivamente privata del ricordo - e finanche del sogno. Bodei ha proseguito la sua analisi evidenziando gli aspetti narrativi, che costituiscono l’identità attraverso la rielaborazione mnestica, e la continua interpretazione del passato. La memoria si presenta qui come palinsesto sempre riscritto alla luce di un medesimo trauma e impone di distinguere, già con Aristotele, tra semplice ricordo come registrazione passiva del fatto, ed attiva reminiscenza, la quale è spesso costretta a rimuovere la cortina dell’oblio che nasconde ciò che deve essere ricordato, che resiste alla rete anamnestica dei rimandi. Il revisionismo storiografico avviato in Germania dopo il 1989 è un esempio di attiva e volontaria ricostruzione dell’identità collettiva tedesca, che considera l’esperienza fascista come “reazione” al bolscevismo (1917) e dunque scaturigine di una sorta di “guerra civile europea”, conclusasi con la caduta del muro di Berlino. L’esempio tedesco, ha fatto rilevare Bodei, mostra quanto sia difficile trovare il giusto equilibrio - che Nietzsche aveva già profilato 43 nella Seconda Inattuale - tra l’accanimento terapeutico verso “pesanti” memorie ed un’estrema leggerezza dell’oblio, in campo culturale e politico, poiché non si può ricordare solo ciò che interessa al nostro presente, né tantomeno, storicisticamente e avalutativamente, ricordare “tutto”, tacendo i conflitti ed evitando di guardare dall’esterno la propria identità storica. La strada impervia che Bodei auspica è quella verso un’identità collettiva sempre più allargata, capace di estendere il senso di appartenenza al “Noi” con una memoria condivisibile da molti. Contro tale tendenza ha sempre operato nella storia la manipolazione politica della memoria e dell’oblio, la deturpazione di ciò che resta o la sua deformazione in termini sociali o religiosi. Bodei ha mostrato anche il livello antropologico della memoria storica, retroattiva rispetto all’idea dei morti di una comunità, ricordare i quali comporta la santificazione del luogo dove sono sepolti come patria e come proprietà da difendere a costo della vita. Il valore simbolico della memoria, ha osservato Bodei, è quello di una vittoria sulla morte; esempi di una simile memoria sono offerti dalle varie strategie che gli uomini escogitano per ricordare senza soffrire, dalla necessità della memoria che l’ “essere” dell’uomo si compia in differita, tramite il ricordo. Per Heidegger, ha poi osservato Bodei, siamo vittime dell’oblio dell’Essere: non siamo più capaci, come i presocratici, di guardare e di farci guardare dall’occhio dell’Essere come totalità indeterminata, avendolo scisso in soggetto e oggetto, la cui immagine e il cui ricordo sono legate all’esattezza ed alla separatezza del concepire. Il problema, ha obiettato Bodei, è che non esistono criteri condivisibili di selezione di ciò che viene ricordato o dimenticato, e che non si può allargare indefinitamente lo scenario collettivo di memorie, tra loro, incompatibili. Ciò si evidenzia particolarmente nella memoria dei reduci e degli emigrati, che compiono trasferimenti di identità nei luoghi dove si insediano, costretti ad un tempo, per vivere, a ricordare le origini e a dimenticarle, testimoni della scissione esistente, già nella formamemoria, tra ricordo e oblio. L’Europa oggi offre un esempio dramma- CONVEGNI E SEMINARI Gottlob Frege 44 CONVEGNI E SEMINARI tico di memoria divisa, poiché possiede una smisurata, ma non unitaria, memoria storica: vi sono vistose crisi dell’idea di comunità europea e di quella di sovranità nazionale, a favore di sovranità locali, alle quali è impossibile accettare una coesistenza pacifica. Gli stati europei hanno tuttora potere, ma soffrono di un vuoto di sovranità che comporta un processo di differenziazione etnica - soprattutto nei Balcani - che non passa attraverso i modelli integrativi dell’Europa occidentale. La situazione attuale ci ammonisce sulla precarietà di una identità europea solo “ad uso esterno”, ossia funzionante solo quando l’Europa, penisola dell’Asia, è territorialmente minacciata, e sull’idea antica di un’Europa unita nella difesa della libertà e del cristianesimo contro un’Asia dispotica e pagana. Secondo Valéry, la civiltà europea ha mostrato, nel corso dei secoli, di poter creare una civiltà planetaria al prezzo di introiettare disomogeneamente ogni alterità, dividendo la propria spugnosa memoria, e valorizzandone le stratificazioni, le diversità, il pluralismo. Ciò non ha impedito l’esaltazione del nazionalismo come valore ultimo. E.deC. Frege: filosofia e matematica L’opera di Frege è alla base dello sviluppo della logica contemporanea, ma la sua ricerca era da lui intesa come mezzo per un fine più ampio, una fondazione filosofica solida di tutta la matematica. A partire da questo presupposto Imre Toth ha svolto una serie di seminari sul tema: “LA FILOSOFIA MATEMATICA DI FREGE E LA MATEMATICA AL TEMPO DI FREGE”, presso l’Istituto Italia- no per gli Studi Filosofici di Napoli. Imre Toth ha esordito osservando come la posizione programmatica di Gottlob Frege, solitamente conosciuta come logicismo, non costituisca una novità in filosofia: l’aspirazione a una fondazione assiomatica della matematica è reperibile almeno a partire da Leibniz. Anche nella ricerca propriamente matematica tra la seconda metà dell’Ottocento e gli inizi del XX secolo si diffonde, in maniera non altrettanto rigorosa ai suoi inizi, la consapevolezza di un’esigenza di formalizzazione e fondazione dei concetti matematici. Ma sebbene il programma logicista sia fallito, ciò non sminuisce l’importanza di un tentativo che aveva i caratteri della necessità, nel senso che le condizioni storico-teoretiche dell’epoca imponevano una ricerca di questo tipo. Di fatto, pur riconoscendo questo fallimento, Frege non smise di considerare valida la filosofia di fondo del logicismo, i cui principi, ha rilevato Toth, furono da lui sempre sostenuti e riaffermati sino agli ultimi scritti. Ciò ha fatto sì che la filosofia della matematica di Frege sia stata meno considerata, soprattutto in relazione al sapere matematico coevo. Intorno agli anni 1820, più o meno contemporaneamente, ma del tutto indipendentemente, Gauss, Lobacevskij e Bolyai fondarono quella che poi venne chiamata geometria non euclidea. Tale geometria, in cui l’unità di misura non è arbitraria, ma una costante naturale, possiede caratteri fortemente controintuitivi: una figura non può essere ingrandita o rimpicciolita (non esiste similitudine), un piano può essere ricoperto non da quadrati, ma da pentagoni, e così via. L’opposizione a questi risultati mostruosi portò ad una controversia molto accesa, che si protrasse sino al primo dopoguerra mondiale. L’opposizione di Frege alla geometria non euclidea, ha osservato Toth, rappresenta un caso particolarmente interessante per la coerenza della sua posizione e per il suo ruolo entro il dibattito sui fondamenti della matematica. Se tuttavia Frege non ha mai dato un’esposizione sistematica esplicita della propria filosofia della matematica, è perché non riteneva di formulare una particolare filosofia della matematica, ma la filosofia eterna della matematica, i cui principi egli intendeva solo stabilire rigorosamente e chiaramente per mezzo della logica. Furono, secondo Frege, i matematici dell’epoca a infrangerne le regole immutabili, non rispettandone i principi che sono anche alla base della sua filosofia. Un principio spesso ripetuto da Frege e costantemente messo in discussione dai matematici è quello dell’unicità dell’essere e della verità. Toth ha rilevato come Frege analizzi dapprima, nei Grundlagen der Arithmetik, l’aritmetica e l’analisi. Secondo Frege tutti i numeri, come ad esempio l’insieme N dei naturali, poi l’insieme Q dei razionali (che i Greci chiamavano logoi, rapporti), quindi l’insieme R dei reali, che includono gli “irrazionali” (alogoi o arretoi) come √2 o π, e infine l’insieme C dei complessi (gli “immaginari”), tutti questi numeri sono oggetti esistenti eternamente e indipendentemente dal soggetto conoscente, e costituiscono un mondo chiuso. Il principio di unicità dell’essere implica che tutti i numeri facciano parte di un unico mondo soggetto ad un’unica legge, così come la verità è unica, valida per tutti i mondi e tutti gli oggetti. E la coscienza, sia che si occupi degli enti matematici o di qualsiasi altro dominio, non crea: l’oggetto esiste prima della conoscenza di esso. Frege, ha notato Toth, si pone così in netto contrasto con le dottrine di matematici come Cantor, Dedekind, Weierstrass, Hankel o Heine. Ad esempio, se la verità è una e immutabile, non è accettabile per Frege il punto di vista di Dedekind, che pretendeva di “creare” enti matematici, riprendendo l’antica teoria di Eudosso. Ugualmente, per Frege, non può essere accettato il fatto che un numero possa essere definito una volta da una proposizione e un’altra volta 45 da una proposizione diversa, come proponeva Hankel, la cui dottrina fu battezzata da Frege, con tono dispregiativo, “formalismo”. Da una posizione come quella di Hankel può derivare, secondo Frege, la definizione di enti in apparenza “matematici”, ma in realtà destituiti di qualsiasi significato matematico. Gli esempi addotti da Frege dovevano mostrare che non basta definire, attraverso un sistema di assiomi e di regole di sostituzione, un dominio, perché questo abbia anche una verità matematica. Tuttavia, ha fatto notare Toth, tutti gli esempi addotti da Frege sono falsi. L’esempio più ripetuto, il sistema di due equazioni X+1=2 e X+2=1, suona intuitivamente assurdo, eppure è matematicamente assolutamente legittimo, ed inoltre è anche storicamente attestato, in quanto si trova nel IX libro degli Elementi di Euclide, e definisce la prima teoria deduttiva del pari e dispari. In generale Frege non accettò mai l’idea centrale del formalismo di Hankel (e di Hilbert), per cui è un sistema assiomatico a definire un ente, la cui verità non è dunque preesistente alla definizione stessa. Un altro ampio fronte di polemiche, ha continuato Toth, fu aperto da Frege sul versante delle geometrie non euclidee, specialmente dopo la pubblicazione, nel 1899, dell’opera di Hilbert Die Grundlagen der Geometrie, che sgombrava definitivamente il campo da equivoci, non confrontando più le nuove geometrie con quella euclidea, in qualche modo sempre presupposta e quindi intuitivamente considerata “vera”. Ad esempio Hilbert mostrava, al di là di ogni dubbio, come una “retta” della geometria iperbolica fosse “retta” esattamente allo stesso titolo di quella euclidea. Ma in questo modo il principio di non contraddizione non è più valido, in quanto si possono dare differenti (e compossibili) significati della parola retta. In effetti, ha osservato Toth, la svolta non euclidea consiste proprio nel non presupporre che una geometria sia quella vera, rispetto alla quale le altre sarebbero al più variazioni metaforiche. In questo modo però si opera una ridefinizione del concetto di verità matematica inaccettabile agli occhi di Frege. Va però sottolineato, ha aggiunto Toth, che il principio con cui Hilbert definisce una retta, usando solo proprietà topologiche e non facendo riferimento alla misura, è lo stesso adottato da Euclide, sicché risulta come Frege leggesse gli Elementi con gli occhiali della tradizione medioevale, vedendo in essi una nozione di verità che essi non contengono. Frege fu il più coerente e lucido esponente del movimento logicista nell’avversare le geometrie non euclidee, tenendo una posizione di estrema coerenza ed intransigenza sia in filosofia, sia in matematica, sia in politica. Poiché si rendeva conto come la concezione geometrica da lui criticata aprisse la strada ad una filosofia della matematica fondata sulla libertà, Frege, ha ribadito Toth, perseguì sempre il programma di dimostrarne l’inaccettabilità teorica e la CONVEGNI E SEMINARI pericolosità pratica, mantenendosi fedele ad una concezione filosofica globale che prese la forma, in politica, di una concezione rigidamente reazionaria, antisemita, anticattolica, antifrancese e filonazista. Strenuo nemico della libertà e paladino della necessità, egli mostrava così, con grande acutezza, il valore teoretico, filosofico e politico delle nuove geometrie, portatrici di un messaggio di libertà del soggetto che la sua filosofia non poteva accettare e che non fu mai accolto. L.V. Congresso hegeliano a Stoccarda E’ stato dedicato al tema “VERNUNFT(Concetti di ragione nella modernità) il congresso hegeliano internazionale svoltosi a Stoccarda dal 10 al 13 giugno 1993. A differenza del precedente congresso, che ha avuto per tema la questione della metafisica, in quest’ultimo, sotto il titolo di “concetti di ragione”, è stato trattato il tema della possibilità della ragione nel mondo contemporaneo. BEGRIFFE IN DER MODERNE” In accordo con il plurale del titolo del convegno, gli interventi hanno mostrato la tendenza unitaria per cui nella filosofia post-kantiana e post-idealistica, con il congedo da un concetto fondamentalistico e unitario di ragione, non viene messa in questione la possibilità della ragione, ma la discussione sulla questione della ragione (che genera l’esigenza dell’incondizionatezza) viene posta sul terreno della razionalità nelle condizioni dell’esperienza umana. Sebbene una tale liberalizzazione della tematica produce caratterizzazioni della ragione, che rappresentano di volta in volta concetti propri di ragione, frutto di tentativi teoretici diversi, dove la ragione è sempre posta, relativamente a comportamenti e atteggiamenti umani, al di qua di un concetto normativo in quanto fondamento critico, i contributi presentati al convegno hanno tuttavia tentato di tematizzare aspetti normativi della ragione. Nella sua relazione Michael Theunissen ha sostenuto la tesi che la “cosa della ragione” esige la decisione elementare di assumere in generale una «ragione normativamente pregna di contenuti [...] libera da scopi [...] unificante», che vada oltre un tipo di razionalità per la quale è sufficiente il concetto di intelletto. Comune ai diversi approcci presenti al convegno è stata invece proprio la rinuncia a questa decisione preliminare di un “genuino concetto di ragione”, sotto il quale possa venire ordinato l’ambito della razionalità. Se si segue la tesi di Theunissen, resta in dubbio se a quegli approcci possa riuscire di cogliere l’aspetto normativo della ragione. Rüdi- ger Bittner ha osservato in proposito che un’aspirazione normativa della ragione non può essere ricavata dalla descrizione dell’esperienza. Se si parte infatti dalla descrizione dell’esperienza, il legame tra l’aspirazione normativa della ragione e una qualsiasi indicazione concreta di comportamento appare arbitrario. In opposizione a questa accentuazione dello iato tra ragione ed esperienza, Harry G. Frankfurt ha sviluppato un concetto di “amore incondizionato”, inteso come alternativa alla ragione pratica di Kant, in cui gli aspetti dell’autonomia e della necessità della ragione vengono ricondotti strettamente a una concreta situazione esperienziale. Comune a un comportamento amoroso e a un comportamento obbligato è che la necessità di agire in un determinato modo è al tempo stesso espressione di libertà e autonomia. In questo caso, osserva Frankfurt, agire autonomamente significa, diversamente da quanto avviene in Kant, agire nel senso di un amore che si rivolge a qualche cosa senza essere condizionato da un interesse affettivo o da una mira nei confronti di ciò che è amato. Questo amore non condizionato è legato, secondo Frankfurt, alla “natura essenziale” di una persona ed è espressione della sua identità. In questo progetto di autonomia in quanto autenticità resta tuttavia problematico il fatto che l’autenticità non contenga in sé alcun momento critico. Il concetto di amore di Frankfurt presuppone che ci sia una motivazione (ruling passion of love), pur prescindendo da interessi particolari. Così resta in dubbio se la necessità di un’azione compiuta per amore possa significare qualcosa d’altro da un dispiegamento della natura, non influenzata da condizioni esterne a essa; il concetto di amore di Frankfurt rappresenterebbe pertanto un concetto fattuale e non normativo di necessità. Altri interventi hanno invece sottolineato il fatto che la ragione non va vista in opposizione alle passioni, ma essa stessa ha bisogno di una relazione con i sentimenti, anche se poi non è risultato chiaro come in questi casi si debba intendere l’aspetto normativo della ragione. Marta C. Nußbaum, ad esempio, ha confrontato la scepsi pirroniana e il decostruttivismo di Derrida e di Fish, e contro entrambi ha fatto valere il fatto che la mancanza di criteri trascendentali per rispondere a domande etiche ha sì come conseguenza la possibilità di convinzioni in conflitto tra loro, ma non l’indifferenza delle convinzioni. Una risposta positiva a questo tipo di scepsi, ha osservato Nußbaum, non può essere ottenuta, tematizzando questioni etiche dal punto di vista di una persona in una situazione esistenziale concreta e prendendo in considerazione il contenuto informativo degli affetti che così si presentano (paura, amore ecc.). Questo punto di vista mette tra parentesi la questione se esista una connessione tra la richiesta di convinzioni indubitabili e la rilevanza di ragioni concrete e relativizza46 bili per una decisione etica. Che l’assenza di principi assoluti non implichi l’indifferenza delle convinzioni, non significa che le ragioni relative rendano capaci di una decisione etica. Il problema del diritto con cui un’azione può essere considerata razionale è stato invece al centro dell’intervento di Onora O’Neill, che ha preso le mosse dalla constatazione che “ragionevole” è solo ciò che non viene fatto arbitrariamente e in forza di una autorità. Analizzando quattro modelli di ragione pratica (obiettivo-teleologica, soggettivo-teleologica o strumentale, normativa e critica), O’Neill ha affrontato il problema di un’azione ragionevole che sia in grado di soddisfare questi criteri. Il primo modello ha il vantaggio di conferire autorità a uno scopo obiettivo che deve essere posto dalla ragione stessa. All’obiezione che tuttavia ogni determinazione di uno scopo obiettivo soggiace al sospetto di essere una posizione arbitraria, risponde il secondo modello, nella misura in cui intende la ragione solo come strumento per ottenere uno scopo soggettivo, e non solleva dunque l’esigenza che la ragione stessa ponga degli scopi (che sia pratica). Secondo il terzo modello un’azione è ragionevole se è guidata da norme che hanno carattere obbligante, in quanto costituiscono l’identità di una comunità o di una persona. Come nel caso di uno scopo obiettivo, l’idea di norme obbliganti fallisce per quanto riguarda la possibilità di analizzare i fondamenti secondo i quali viene conferita autorità a determinati contenuti: non appena si diventa consapevoli del fatto che le norme hanno valore all’interno di un punto di vista determinato e che esso viene considerato dall’esterno, esse non sono già più di necessità obbliganti. Il concetto di ragione che O’Neill predilige è quello critico, secondo cui l’aspirazione di un’azione alla razionalità non implica che questa azione sia assolutamente necessaria, ma solo che venga esercitata sulla base di riflessioni che possono essere comunicate e effettuate da ognuno. E poiché la razionalità consiste qui solo nella razionalità del processo decisionale dell’agire, essa può assumere al proprio interno il momento della distanza critica rispetto alle azioni che devono valere come razionali, senza annullarne il loro status razionale. A differenza di quanto avviene con il concetto obiettivo-teleologico di ragione, nel modello critico i criteri sulla cui base viene esercitata la critica non sono essi stessi principi contenutisticamente determinanti. Resta perciò dubbio se si possa attribuire un’autorità alla ragione critica, come fa O’Neill, o se nel caso di una ragione non normativa contenutisticamente l’aspetto autoritativo non coincida con l’aspetto della non-arbitrarietà. Il carattere obbligante di un’azione si sviluppa dalla razionalità riconoscibile del processo decisionale e non può essere trasposto al contenuto determinato di un’azione (in modo che l’azio- CONVEGNI E SEMINARI ne venga esercitata in forza di una autorità), poiché l’accordo circa la correttezza dell’azione non può comunque aver fine, se non si ricorre a un principio normativo e pregno di contenuti. Ram Adhar Mall, nel suo intervento sulla relativizzazione interculturale della ragione, ha a sua volta difeso in modo coerente la causa di un concetto di ragione non contenutistico. Tanto l’idea che la ragione sia normativamente pregna di contenuti, quanto il tentativo di determinare la ragione attraverso dei contenuti, rovesciano, secondo Mall, la pretesa di universalità della ragione in una totalizzazione di punti di vista particolari. Poiché la ragione non è determinata prima del suo uso, non è possibile risalire oltre la pluralità delle impronte culturali, che tuttavia, in quanto modi dell’uso della ragione, si possono riferire reciprocamente e si “sovrappongono”. A questo intervento può essere avvicinata l’interpretazione, proposta da Angelika Nuzzo, dell’universalità della ragione nel contesto di un’analisi della teoria hegeliana del pensiero. La ragione viene qui intesa come quella forma di pensiero che non è un modo determinato del pensiero, ma la condizione di ogni pensiero determinato. Non si può così parlare di un «punto di vista della ragione», bensì solo di manifestazioni della ragione, che sono «punti di vista nella ragione». L’interpretazione dell’unità della ragione in Kant offerta da Paul Guyer delinea un concetto di ragione in cui viene integrata la problematica del rapporto del momento normativo della ragione con l’ambito degli scopi materiali. La pretesa della ragione non viene determinata né nella distanza da scopi empirici, né solo in relazione a contenuti empirici, ma viene orientata in base a una connessione sistematica di scopi concreti. Con ciò la proporzionalità tra virtù, in quanto azione secondo posizioni formali di scopo, e felicità, in quanto realizzazione di un insieme massimale di scopi concreti compatibili, non appare mediata da un principio esterno, ma diventa la conseguenza della realizzazione compiuta della ragione (da pensarsi solo come ideale). In Guyer il dominio proprio della ragione sembra diventare quello dell’esperienza, sempre che questo non implichi o una limitazione della ragione a razionalità (Rationalität) o un’assolutizzazione dell’esperienza. Al presupposto della non pre-razionalità dell’esperienza Michael Theunissen ha opposto la decisione preliminare di una “ragione genuina”, portando il suo discorso sulla questione della portata della ragione. Dal punto di vista storico, ha rilevato Theunissen, le «carenze della ragione illuministica depotenziata a intelletto» vengono ipercompensate nella filosofia idealistica dell’identità di Hegel attraverso l’attribuzione alla ragione di una funzione unificatrice, che estende la sua potenza all’ “altro della ragione”. Da quando l’infinito superamento dei limiti della ragione è dive- nuto un problema obsoleto, ciò che occorre chiarire è il modo in cui deve essere determinato il confine della potenza della ragione, che implica il riconoscimento di qualcosa che rispetto alla ragione è precedente, privo di ragione. Schelling piega la ragione a una potenza che la precede, al fine di superare il carattere destinale di una ragione priva di limiti. In opposizione a questa intenzione schellinghiana di una critica della mitologia, il riconoscimento da parte di Nietzsche di un “altro della ragione” va inteso come mero spostamento della coazione destinale nella realtà immemorabile. Seguendo la critica schellinghiana si potrebbe dire, secondo Theunissen, «che il post-moderno, avviato da Nietzsche, fissa l’errore che la modernità fa rispetto a se stessa, il tradimento mitico del suo potenziale di libertà». Il superamento del carattere destinale tanto della ragione, quanto della contro-ragione o non-ragione, può avvenire solo, sostiene Theunissen, ponendo l’altro della ragione, in cui essa trova i propri confini, non come essere dispotico, ma solo come risultato dell’astrazione della ragione come un “mero esistente”, che rappresenta una base non-razionale della ragione. La proposta di Theunissen implica dunque un alleggerimento della ragione da un compito unificante, per via del fatto che i suoi confini non vengono posti attraverso un altro autonomo, ma in dipendenza da essa. U.S. Il senso del divenire Il 17 giugno 1993, presso il Centro Culturale “La Casa Zoiosa” di Milano, si è tenuta una conferenza di Emanuele Severino sul tema: “IL SENSO DEL DIVENIRE”, che ha concluso il ciclo di conferenze di argomento filosofico sulla questione del limite, organizzato dal Centro per l’anno ’92-’93. Riprendendo tematiche già espresse, Severino ha condotto il proprio discorso fino alla determinazione del divenire come impossibilità e di ogni forma di volontà come violenza. In senso propriamente etimologico, ha rilevato Emanuele Severino, il divenire si definisce già come un passaggio da un termine a quo ad un termine ad quem, ovvero come un oltrepassamento di un limite. Il confronto con la tradizione ci presenta una distinzione in limiti che si possono oltrepassare e limiti che, invece, non si devono oltrepassare. La prima considerazione sollevata da Severino è che, se un limite si può “realmente” e “veramente” oltrepassare, perché mai non dovremmo farlo? La risposta della tradizione Severino la scova a partire dai frammenti di Anassimandro, quando questi parla del «pagare il fio dell’ingiustizia», ovvero della punizione riservata ai colpevoli. Il “non si deve”, quindi, non sarebbe altro che un ma47 scheramento del “non si può”, nel senso che, nonostante una vittoria temporanea (il fatto che il limite sia stato oltrepassato), presto o tardi arriverà la punizione, che smentirà l’illusione della vittoria. A questo punto Severino concentra la propria attenzione proprio su questa deduzione necessaria della punizione come conseguenza di determinate azioni. Riprendendo il concetto di “scienza misuratrice” dal Protagora di Platone, ci accorgiamo, osserva Severino, che di “scienza”, di episteme, come capacità di svelare in modo stabile e incontrovertibile il senso ultimo del mondo, oggi non se ne può più parlare. In altri termini, nella nostra epoca, caduta la possibilità di raggiungere una verità definitiva e assoluta, vengono a cadere i nessi necessari tra le cose, e quindi anche la necessarietà che ad una determinata azione segua una determinata punizione. Ciò che dunque si riesce ad ottenere, quando oltrepassiamo un limite che, ci viene detto, non si deve oltrepassare, è qualcosa che “realmente e veramente” otteniamo. Ad esempio distruggere il divino, in qualunque forma esso ci si presenti, è cosa non solo lecita, ma anche non violenta. La violenza è l’oltrepassamento di un limite che non si deve oltrepassare; ma la voce del “non si deve” non è altro che la voce delle volontà perdenti, poiché il “non si deve” perde fondamento laddove tramonta la verità definitiva. Ma come parlare di violenza, se violento non può essere oltrepassare ciò che si lascia vincere? La violenza è dunque volontà che vuole l’impossibile, che vuole abbattere l’imbattibile. Proprio intorno al tema dell’impossibile si è concentrata la seconda parte della conferenza di Severino, riprendendo la questione dell’identità o meno dei due termini, a quo e ad quem, del divenire. Se ci chiedessimo se la legna è la cenere, risponderemmo ovviamente di no, così come tutta la tradizione dell’occidente ha fatto. Lo stesso Platone, nel Teeteto, afferma che nemmeno in sogno, nemmeno nella follia un uomo può pensare di essere altro da sé, eppure diciamo che le cose divengono, diciamo che la legna è divenuta cenere. Divenire è dunque identificarsi con ciò che si diviene; la legna si identifica con la cenere, ovvero è l’essere altro da sé. É proprio qui, ha affermato Severino, che troviamo l’impossibile: impossibile è che qualcosa sia il proprio altro, che divenga. Ma cosa fa ogni volontà, che sia distruttrice o salvatrice? Ogni volontà richiede che qualcosa si trasformi, basandosi sulla credenza che le cose possano diventare altro da sé. Qualsiasi volontà vuole dunque l’impossibile; qualsiasi volontà è dunque violenza. Per risolvere i problemi del nostro tempo, ha aggiunto Severino, non è sufficiente contrapporre buone volontà a volontà cattive. Cristo stesso predicava violenza, perché voleva trasformare il mondo, e la violenza delle religioni è più pericolosa delle violenze esplicite, proprio perché si maschera. G.B. CONVEGNI E SEMINARI Dante, Divina Comedia (Inferno, Canto VIII), di Federigo da Montefeltro 48 CONVEGNI E SEMINARI Interpretare Dante A Tours, nel quadro delle iniziative del Centre d’Etudes Superieures de la Renaissance, Bruno Pinchard, in collaborazione con Stéphane Toussaint, ha organizzato dal 30 giugno al 5 luglio 1993 un congresso internazionale dal titolo: “L’EMPIRE DE DANTE. LES LECTURES HUMANISTES DE DANTE”. La participazione di studiosi differenti per età, disciplina e nazionalità, è stata pensata come occasione per rilanciare la discussione sulla presenza di Dante nella critica letteraria e nella storia delle idee; in questo modo, filologi, letterati, filosofi e storici, hanno cercato di mettere a punto la ricezione e la creazione del “mito” di Dante nel pensiero occidentale. Dopo la conferenza inaugurale di Maria Corti , dedicata alla rilettura di Dante sulla base della scoperta di nuove fonti testuali e, in particolare, consacrata all’esegesi del mito di Ulisse, sono stati messi a fuoco i “nuovi risultati dell’interpretazione dantesca”, grazie anche ai contributi di giovani studiosi, fra cui Thomas Ricklin (Friburgo) e Bianca Garavelli (Milano). L’americano Robert Hollander (Princeton) ha poi fatto il punto sull’epistola a Cangrande. La parte centrale del congresso, la più densa, ha affrontato la “ricezione umanista di Dante”, entrando così nel vivo della questione ermeneutica. Alcuni, fra cui Marthe Dozon (Nancy III) e Claude Cazale-Berard (Paris X - Nanterre) hanno centrato le loro analisi sulla ri-lettura (e ri-scrittura) di Dante. Dozon ha parlato di Boccaccio “lettore” di Dante nelle Esposizioni sopra la Commedia, un’opera incompiuta, una serie di annotazioni, in cui appare evidente come Boccaccio abbia rivisitato Dante secondo le sue preoccupazioni morali, dimidiato fra la difesa della teologia e di una certa eticità e la concomitante difesa della poesia dei Classici, non cristiani. Centrale diviene la sua apologia della verità allegorica delle fabulae e la ricerca, nel mito, di una compresenza di sacro e di poetico. Cazale-Berard ha insistito, invece, sulla riscrittura di Boccaccio dell’Amor gentile, in cui questi sostituirebbe alla griglia teologica di Dante una fenomenologia letteraria della passione. Qui Boccaccio abbandona l’imitatio per abbracciare a piene mani la narratio e per individuare, così, la propria specificità letteraria: nella difesa dell’amore si annida anche e soprattutto la difesa della letteratura e l’elevazione della letteratura “mezzana” in volgare. Un altro approccio interpretativo fecondo è stato quello, per così dire, biografico: l’interpretazione dantesca è stata vista sia attraverso i numerosi “commentari” sia grazie alle “biografie” più o meno immaginarie. Lucia Gualdo Rosa (Napoli) ha analizzato le Vite di Dante e di Petrarca di Leonardo Bruni, attardandosi in partico- lare sull’opposizione otium-negotium relativa al binomio Dante-Petrarca. Deborah Parker (Villa Tatti, Firenze) ha ricostruito la “geografia” dei “commenti” alla Commedia nel Rinascimento, mostrandone la complessità e la variabilità a seconda dei pregiudizi storici e letterari del momento. Michelangelo Picone (Zurigo) ha analizzato la presenza dantesca in Petrarca e le differenze letterarie e esistenziali dei rispettivi “programmi di vita”. A partire da un’analisi nutrita dei testi, in particolare dei Rerum vulgarium fragmenta di Petrarca, Picone osserva che se in Dante la “biografia” ha un senso, se cioè la conversione alla salvezza è possibile, per Petrarca questa svolta non si compie mai: il suo itinerario, grazie all’amore per Laura, è una “erranza” e non, come per Dante, una “peregrinazione”. Estremamente interessante è stato inoltre l’intervento di Frank La Brasca, che si è occupato di leggere attraverso i commenti di Dante, la logica e la storia delle querelles teologiche del XV-XVI secolo. Attraverso le differenti interpretazioni di Dante da parte di Landino, Bembo, Vellutello, Serravalle, la Brasca restituisce la complessità di differenti modelli d’interpretazione a seconda che si privilegi un’attitudine testuale-letterale (Vellutello) o un opzione pregiudiziale come quella di Landino, che interpreta Dante sull’onda del neoplatonismo. Da un punto di vista più prettamente storico, Richard Cooper (Oxford) ha interrogato la presenza di Dante sotto Francesco I e Jean Balsamo (Chambéry) l’utilizzazione di Dante nelle guerre di religione in Francia. Sull’interpretazione di Dante in ambiente ficiniano si sono espressi Cesare Vasoli (Firenze), che si è occupato del rapporto fra Ficino e Dante, concentrandosi in particolare sulla traduzione in volgare della Monarchia, e Stéphane Toussaint (CNRS), che ha rivendicato la specificità della ricezione di Dante nell’ambiente dei matematici e degli architetti legati alla “nuova cultura” non accademica di Manetti, Buonaccorsi, Brunelleschi, Palmieri. Gli interventi più “eccentrici”, nel senso di più estranei a un’ottica storico-letteraria, sono stati quelli di Bruno Pinchard e di Georges Didi-Huberman. Pinchard ha esposto succintamente i risultati di un suo personale studio sul rapporto tra Dante e Rabelais, trovando un punto di contatto tra i due nell’idea di “rivoluzione linguistica”, poiché entrambi costringono la lingua a una torsione poetica connessa a una “logica del comico”. Guardando in filigrana i due scrittori, ciascuno a suo modo “comico”, è possibile rintracciarvi il medesimo primato della lingua come primato dello “stile” e del “tema” sulla “tesi” e sul “contenuto”. Rivoluzionario, eccedente e estraniante si rivela il primato logico del comico, grazie a cui viene significato un pensiero che «non è un modo dell’essere, ma che detta il tono all’ontologia». Attraverso questo inusuale 49 incontro Dante-Rabelais, Pinchard individua dunque una particolare storia dell’individuazione del soggetto, alternativa a quella storico-accademica della filosofia. DidiHuberman ha invece ricostruito e decostruito l’invenzione del “mito” dell’amicizia fra Dante e Giotto nella visione di Vasari: questo mito sarebbe servito a giustificare una certa visione dell’arte e della storia dell’arte, in particolare del ritratto “dal vivo”, in cui sarebbe stato “rimosso”, messo a lato, il carattere funerario, votivo, rituale del ritratto in nome di un programma artistico-cognitivo centrato sull’ideale dell’imitazione naturalisitica e del disegno. Alcuni studiosi si sono infine dedicati a esaminare la figura di Dante in epoche post-umanistiche: Pierre Caye (CNRS) ha ricostruito il divorzio del nesso virtù-amore, presente in Dante, nei pensatori politici posteriori, fra cui Machiavelli e Campanella. Nicolò Mineo (Catania) ha invece analizzato la figura storico-letteraria di Dante nella poetica delle Grazie di Ugo Foscolo. Jean-François Marquet (Paris IV), infine, ha concluso il convegno ricostruendo l’interpretazione di Dante in Fichte, Schelling e Hegel. F.M.Z. Epistemologia senza soggetto Con il passaggio alla postmodernità, il soggetto viene radicalmente decostruito o neutralizzato, e quella che in precedenza rappresentava la conquista più alta, l’autoaffermazione dell’individualità, del singolo, viene ora denunciata come ideologia, come imposizione di un ordine fittizio, privo di legittimazione reale e di inconcusse evidenze. In un ciclo di lezioni su “L’EPI STEMOLOGIA SENZA SOGGETTO ”, tenutosi presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli dal 14 al 19 giugno 1993, Carlo Vinti ha preso le mosse da questa Destruktion, in particolare da quella operata dal sistematico riduzionismo neopositivistico, dove il soggetto, viene cancellato dall’impresa conoscitiva, ora tutta orientata sul “dato” immediato del reale naturale. Partendo da questa cancellazione, Carlo Vinti ha esaminato quattro autori, Popper, Bachelard, Morin, Polanyi, in cui è presente quel complesso intrecciarsi di istanze “forti” (l’ideale razional-positivistico), e “relativistiche” (la problematicità ermeneutico-storicistica), che caratterizza l’epistemologia postneopositivistica e che conduce ad un ritorno del soggetto sulla scena teoretica. La concezione di Popper, ha osservato Vinti, scuote la pretesa di un accesso puro e univoco alla realtà oggettiva, affermando la primarietà e l’eccedenza della teoria rispetto ai dati empirici. Di per sé il dato CONVEGNI E SEMINARI empirico non dà luogo ad asserti scientificamente consistenti (critica all’induttivismo); occorre, invece, che essi vadano a inquadrarsi in una precedente ipotesi teorica, che conferisca loro significato, ordine, chiarezza. Gli stessi “asserti di base”, i fatti empirici, sono frutto di convenzione da parte dei ricercatori. Nella prospettiva popperiana, ha fatto notare Vinti, questo significa accentuare il momento valutativo, le scelte che sorreggono l’impresa scientifica, e che inevitabilmente assumono una connotazione etica, sottraendo il ricercatore alla pericolosa illusione si perseguire l’assoluta oggettività. Vinti ha poi rilevato i punti di contatto tra Popper e Bachelard, entrambi accomunati dal tentativo di contemperare oggettività della conoscenza e storicità del suo farsi rigore e autonomia del metodo scientifico e imprescindibilità dei condizionamenti individuali e sociali. Secondo Vinti, i noti concetti bachelardiani di “ostacolo” e “rottura” epistemologici, sebbene siano tesi ad esaltare la potenza e la purezza del ragionamento scientifico in opposizione al senso comune, evidenziano tuttavia la tensione, la profonda interazione tra sfera immaginativo-soggettiva e oggettività. Lo stesso Bachelard, d’altro canto, nell’intento di isolare fenomenologicamente i tratti nonrazionali, non-discorsivi del pensiero, ha condotto una serie di ricerche di “psicanalisi della conoscenza oggettiva”, da cui emerge la sottostruttura intuitiva, analogico-metaforica, che sorregge la creazione poetica e orienta precategorialmente anche quella scientifica. L’ineludibilità del soggetto, ha rilevato Vinti, diventa addirittura strutturale nello schema sistemico di Morin: nel nuovo “paradigma” della complessità, vige una relazione di circolarità, piuttosto che di opposizione, tra soggetto e oggetto. Tra osservatore ed osservato, sistema ed ambiente, teorie e referente, s’intuisce una mutua determinazione, mai riducibile, poiché ogni ulteriore osservazione è sempre una modificazione dell’osservato. L’atto conoscitivo è per Morin complesso e contestuale; in esso v’è sempre co-implicazione di livelli eterogenei, ed il soggetto è sempre parte di ciò che si conosce. Al paradigma gerarchico e riduzionista, ha fatto notare Vinti, si sostituisce quello complementaristico e sistemico, che mentre scardina la costituzione trascendentale della soggettività, riconduce il soggetto alla dialettica concreta dell’agire conoscitivo, in quanto azione, relazione, scambio, coinvolgimento. Con Polanyi, infine, si compie, secondo Vinti, un ulteriore passo verso il recupero dell’elemento individuale, del contributo personale, creativo, che il ricercatore offre alla scienza. Nella formulazione di teorie permane sempre un qualcosa di implicito, di inespresso, dovuto all’eccedenza del potere della mente rispetto all’asserzione positiva, al “fatto” descritto. L’oggettiva- zione, la fase distale, è solo un lato della conoscenza, che è invece fattualmente sempre accompagnata da un complesso intreccio di fattori storici, contestuali, intuitivi (fase prossimale). Il riferimento all’individualità del ricercatore, ha concluso Vinti, è certamente un segno emblematico della distanza antipodale dell’epistemologia odierna rispetto alle posizioni neopositivistiche, da cui la separa un’opera di progressiva “umanizzazione” dell’impresa scientifica. Quel che certo accomuna gli autori citati è il tentativo di sottrarre la scienza all’identificazione col nichilismo, con l’ “oblio dell’essere” e, reciprocamente, di sciogliere il nesso umanesimo-terrore. Il progressivo recupero della soggettività in epistemologia ha per Vinti un significato fondamentalmente etico, reintroducendo nell’anonimia della “comunità scientifica” il senso della decisione, della responsabilità, della storia, troppo spesso rimosse in nome di una comoda neutralità del sapere. M.R. Filosofia come metafilosofia Muovendo dal presupposto che la filosofia sia l’esercizio del pensiero del filosofo di fronte ai problemi della vita vissuta, Sergio Moravia ha svolto dal 7 al 10 giugno 1993, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, un seminario dal titolo: “FILOSOFIA, METAFILOSOFIA, POST-FILOSOFIA ”, in cui la parola filosofica è stata praticata al di là di ogni legame con i testi, rifiutando il concetto di filosofia come lettura, commento, ripetizione, e riconquistando in questo modo l’intensità della parola diretta. La filosofia, secondo Sergio Moravia, è il partire da sé del filosofo, ed in quanto tale è pensiero indisciplinato, pensiero della pluralità, che esclude da sé ogni forma di universalità. Il pensiero è legato alla vita ed ai suoi fenomeni, ai quali non si può rispondere secondo le categorie generali. Nell’uso delle categorie trapela sempre un metodo che unifica, semplificandolo, il complesso delle cose. Di fatto, ha osservato Moravia, non si tratta più di porre la domanda su “che cosa è il mondo”, ma bisogna piuttosto domandarsi “cosa mi interessa nel mondo”. Il mondo non è fatto di cose oggettivabili, ma di segni, esperienze; esso è sempre parte di un vissuto. Mantenendo lo stile della parola diretta e in quanto tale produttiva, Moravia ha affrontato il problema mente-corpo, questione rilanciata in anni recenti in sede scientifica e intellettuale, soprattutto nell’ambito della cultura anglo-americana, dove il problema è stato trattato più in senso filosofico che fisiologico, con un approccio dunque di natura epistemologica e psico-antropologica. I fisiologisti considerano le neuroscienze come 50 le uniche deputate ad affrontare un discorso sulla mente, identificando la mente con il corpo, anche se poi in questa relazione l’identità non è biunivoca, il corpo cioè non si identifica con la mente. I mentalisti, da parte loro, attribuiscono alla mente possibilità oggettivabili, rapportandola al corpo secondo una certa forma di dualismo cartesiano. Per Moravia bisogna invece ripensare la domanda stessa su “cosa è la mente”; non si tratta cioè di porre domande sul rapporto mente-corpo, ma sull’agire delle soggettività nel mondo, sulle loro relazioni, sulle loro modalità di rapporto. Il mentale non è una cosa, ma un linguaggio, uno dei tanti linguaggi che hanno diritto di esprimersi, e con il quale cerchiamo di differenziarci dagli altri corpi nel mondo, con il quale cerchiamo di dire l’ambivalenza, l’indicibilità della vita, la dimensione soggettiva del nostro esistere, dei nostri sentimenti. La posizione di Moravia esprime una filosofia che non ha più pretese di verità in quanto offerta di un fondamento valido universalmente, o di un metodo a cui le scienze possano riferirsi. La filosofia non ha una collocazione precisa nella quale possa essere definita: essa è atopica; trasgredisce ogni confine e non può essere dotata di caratteri oggettivati come qualsiasi altra disciplina. La filosofia, secondo Moravia, è un’attività legata alla parzialità plurima e contestuale dei filosofi. Questa proposta di Moravia di uscire dalla filosofia, guardando ad essa dall’esterno, potrebbe definirsi metafilosofica. Metafilosofia come possibilità di esercitare uno sguardo ermeneutico sul gioco molteplice delle altre posizioni, è anche in tal senso esercizio del sospetto, capacità di essere dentro e fuori le cose contemporaneamente, segnalando quella dimensione di inquietudine connessa alla relazione tra prossimità e distanza, tra dicibile e indicibile, tra ragione e caos. Proprio nello sforzo di trovare parole per l’indicibile, per ciò che sfugge al linguaggio codificato dei saperi, la filosofia assume, secondo Moravia, la propria valenza etica. La filosofia interviene proprio là dove si annida l’incommensurabilità tra la vita e l’universalità astratta del sapere scientifico; essa è etica nella misura in cui si occupa di problemi non assiologici, relativi a valori e contesti. In quanto tale essa è sempre in situazione; non è mai neutrale e si riferisce sempre alla perturbabilità degli uomini. La filosofia come etica, ha concluso Moravia, affronta il problema dell’alterità, problema che ci pone di fronte alla riflessione sulla vita come agire nel mondo, in un mondo comune dove emergono categorie nel senso di direzioni etiche, che Moravia propone riferendosi soprattutto a Levinas, a Jonas ed in generale alla cultura ebraica del ‘900. La pazienza, l’umiltà, l’attenzione con cui negoziare con il mondo stesso, rivalutando in questa tradizione i motivi in cui predomina una forma di passività come rispetto dell’alterità, dei ritmi del mondo, come attesa ricca di speranza. A.C. CALENDARIO Nell’ambito delle attività culturali del Centro Italiano di Ricerche Fenomenologiche, il giorno 8 gennaio 1994, in occasione della pubblicazione del libro di Paul Ricoeur, Sé come un altro (Jaca Book, Milano 1993), Francesca Brezzi, Daniella Iannotta, Domenico Iervolino, Tomonobu Imamichi e Marcello Sanchez Sorondo hanno parlato su: L’ermeneutica del Sé. Il giorno 26 febbraio 1994, in occasione della presentazione del libro di Marco Ivaldo, Libertà e ragione. L’etica di Fichte (Mursia, Milano 1992), Franco Bianco, Armando Rigobello, Angela Ales Bello e Marco Ivaldo intervengono su: Fatto morale e metodica trascendentale. ● Informazioni: Centro Italiano di Ricerche Fenomenologiche, via dei Serpenti 100, 00100 Roma. Venerdì 25 febbraio 1994, presso il Centro Culturale Polivalente di Cattolica, Armando Torno apre la XVI edizione del ciclo di incontri “Cosa fanno oggi i filosofi?”. Le conversazioni, realizzate in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli e con la rivista “Nuova civiltà delle macchine” si svolgeranno quest’anno intorno al tema: Metafisica. Questo il programma degli incontri: 25 febbraio, A. Torno: “Metafisica, via divina”; 4 marzo, L. De Crescenzo: “Che tempo fa nella metafisica?”; 11 marzo, E. Berti: “Per una metafisica problematica e dialettica”; 18 marzo, D. Losurdo: “Metafisica, Antimetafisica e Storia”; 25 marzo, C. Bernardini: “Il non fisico della fisica”; 8 aprile, R. Bodei: “Il mondo nascosto”; 15 aprile, A. Masullo: “Un sapere equivoco”; 20 aprile, U. Eco: “Brevi cenni sull’essere”; 29 aprile, F. Volpi: “La ‘Metafisica’ di Aristotele oggi: suggerimenti filosofici per l’età post-metafisica”. Il 6 maggio conclude la serie degli incontri una rappresentazione scenica di Platone, Apologia di Socrate, a cura di C. Rivolta con la presentazione di G. Reale. ● Informazioni: Centro Culturale Polivalente, piazza della Repubblica 31, 47033 Cattolica, tel. 0541/967802. In occasione della pubblicazione del libro di Edith Stein, La ricerca della verità. Dalla fenomenologia alla filosofia cristiana (a cura di A. Ales Bello, Città Nuova, Roma 1993), il 22 gennaio 1994 ha avuto luogo un incontro sul tema: Fenomenologia e Metafisica. Il dibattito, organizzato dalla Società Internazionale Tommaso d’Acquino, dall’Associazione Docenti di Filosofia e dal Centro Italiano di Ricerche Fenomenologiche, si è tenuto presso l’Università “San Tommaso” e vi hanno preso parte: Carla Bettinelli, Abelardo Lobato, Battista Mondin e Xavier Tilliette. ● Informazioni: Università “San Tommaso”, Largo Angelicum 1, 00100 Roma. CALENDARIO ● Informazioni: Centro di Studi del pensiero filosofico del ‘500 e del ‘600, C.N.R., via Albricci 9, 20122 Milano, tel. 02/8052538. Nell’ambito delle attività culturali della Fondazione Collegio San Carlo di Modena, da gennaio a marzo 1994 si svolge un Seminario di studio su Hans Blumenberg. Mito, metafora, modernità, con il seguente pro- Il giorno 13 aprile 1994, presso l’Università degli Studi di Milano (Aula “Crociera alta”), si terrà una tavola rotonda, coordinata da M. A. Del Torre, sul tema Libertà dell’individuo rotonda con la partecipazione di G. Fiori, B. Manghi, A. Marchetti, L. Ronconi, A. Devaux, G. Forni, G. Gaeta, U. Perone e N. Bosco. ● Informazioni: Centro Studi T.S.T., piazza San Carlo 161, 10123 Torino, tel. 011/5169405. elegittimità del potere tra liberalismo e democrazia: attualità di John Stuart Mill Partecipano G. La- naro, G. Giorello, V. Lora, P. Zanelli. ● Informazioni: Prof.ssa M. A. Del Torre, Dipartimento di Filosofia, Università degli Studi, Via Festa del Perdono 7, Milano. Organizzato dal Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova, in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, dal 7 all’11 febbraio 1994 si svolge all’Università di Genova un Seminario di Studio dal titolo: Leopardi filosofo-poeta, in occasione della presentazione del libro di A. Caracciolo, Leopardi e il nichilismo (Bompiani, Milano 1994). Sono previsti gli interventi di S. Givone: “Leopardi: il nichilismo e il nulla” (10 febbraio); C. Galimberti: “Profilo storico della questione” (7 febbraio); “Lo Zibaldone: motivi e fasi del pensiero leopardiano” (8 febbraio); “Lo Zibaldone: formulazione e rappresentazione del pensiero” (9 febbraio); “Il pensiero nella poesia dei Canti” (10 febbraio); “Il pensiero nella poesia delle Operette Morali” (11 febbraio). ● Informazioni: Università di Genova, Dipartimento di Filosofia, via Balbi 4, 16100 Genova. Organizzato dalla Facoltà di Filosofia dell’Ateneo Romano della Santa Croce, dal 24 al 25 febbraio 1994 si tiene il III Convegno di Studio su: La verità scientifica. La scienza attuale di fronte all’intelligibilità del reale. Questo il calendario degli in- terventi: 24 febbraio: V. Cappelletti, “Pensiero, natura, essere”; F. T. Arecchi, “Come la scienza legge il mondo: ruolo dei modelli e delle metafore”; M. Baldini, “Verità ed errore nelle riflessioni degli scienziati e degli epistemologi”. 25 febbraio: R. Martìnez, “Congetture, certezza e verità: la natura fallibile della scienza”; M. Artigas, “Scienza e verità parziale”; J. Zycinski, “Realismo scientifico e metafisica”. ● Informazioni: Rev. Prof. R. Martìnez, Ateneo Romano della Santa Croce, piazza Sant’Apollinare 49, 00100 Roma, tel. 06/68803752. In relazione ai problemi della scienza il Centro di Studi del pensiero filosofico del ‘500 e del ‘600, in collaborazione con il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, organizza dal 1 febbraio al 3 novembre 1994 un Seminario su Organizzato dal Dipartimento di Ermeneutica Filosofica dell’Università di Torino, in collaborazione con il Centre Culturel Francais e l’Association pour l’Etude de la Pensée de Simone Weil di Parigi, in occasione della messa in scena di Venezia salva di Simone Weil (regia di Luca Ronconi), dal 27 al 28 gennaio 1994, presso il Teatro Carignano di Torino, ha avuto luogo un Convegno di studi dal titolo: Le passioni di Simone Weil. Politica, cultura, religione. Questi gli interventi: 27 gennaio: U. Perrone, saluto e presentazione; A. Devaux, “Simone Weil ou la passion de la verité”; G. Gaeta, “Simone Weil, una lettura politica”; P. C. Bori, “Ogni religione è l’unica vera”; discussione conclusiva e messa in scena di Venezia salva. 28 gennaio: G. Forni, “Simone Weil e il cristianesimo”; tavola Teorie e problemi di percezione visiva nell’età moderna. Questo il calendario delle lezioni: 1 febbraio, W. Bernardi: “Teorie e modelli di visibilità nelle scienze naturali e nelle scienze della vita del XVII secolo”; 29 marzo, R. Rey: “La théorie de la vision chez Lecat”; 28 aprile, A. Henning: “Vom Starstich zur Kataraktextraktion (1750). Fakten und symbolysche Paradigmen”; 31 maggio, H. M. F. Koelbing: “Teorie della visione e conoscenza dell’occhio all’inizio dell’epoca moderna (XVI e XVII secc.)”; 4 ottobre, G. Brykman: “Le privilège épistémologique de la vue chez Berkeley”; 3 novembre, R. G. Mazzolini: “Anatomia e fisiologia dell’occhio (1650-1840). 51 gramma: 19 gennaio, V. Vitiello: “Per una definizione topologica del moderno: Blumenberg, l’ermeneutica e il superamento della storia”; 16 febbraio, B. Maj: “Motivi metaforici, logico-politici e storici nella metaforologia di Hand Blumenberg”; 2 marzo, M. Cometa: “Mitologie dell’oblio. Hans Blumenberg e il dibattito sul mito”; 23 marzo, B. Accarino: “Visibilità e modernità. Hans Blumenberg tra antropologia e filosofia della storia”. A conclusione dei lavori si terrà il 16 maggio 1994 una giornata di studio con interventi di R. Bodei, G. Carchia, F. Rigotti, P. A. Rovatti. Prosegue intanto il ciclo di lezioni: La prova dello straniero, con il seguente calendario: 11 febbraio, F. Jarauta: “Abitare la frontiera”; 25 febbraio, S. Tabboni: “Lo straniero e la modernità”; 18 marzo, E. Pozzi: “Il traditore come straniero interno”; 13 aprile, A. Pizzorno: “Usi cognitivi e normativi della metafora dello stranniero”; 22 aprile, G. Vattimo: “L’altro tra ermeneutica ed epistemologia”; 6 maggio, M. Douglas: “Immigrati e stranieri”. Prosegue anche il ciclo di lezioni: In cammino verso Dio. La metafora del viaggio nell’esperienza religiosa , con il seguente calendario: 10 febbraio, F. Cardini: “Immagini e dimensioni del pellegrinaggio medievale”; 17 febbraio, A. M. Chiavacci Leonardi: “Il nuovo Ulisse. Il viaggio nella ‘Divina Commedia’ “; 24 febbraio, E. Macola: “Il percorso soggettivo nell’esperienza mistica. Da Juan de la Cruz a Teresa de Avila”; 24 marzo, G. Celati: “Dopo la siccità. Sul viaggio mistico di Rilke”; 14 aprile, S. Dianich: “La chiesa popolo in cammino. Dalle ‘Scritture’ al Vaticano II”. ● Informazioni: Fondazione Collegio San Carlo, via San Carlo 5, Modena, tel. 059/222315. La Fondazione Ugo Spirito organizza dal dicembre 1993 al dicembre 1994 un ciclo di seminari dal titolo: Ugo Spirito nella cultura italiana del Novecento, in preparazione a un convegno internazionale sul pensiero di Ugo Spirito in occasione del centenario della sua nascita (1996). Questo il calendario dei primi tre incontri: 7 dicembre, V. Mathieu: “Ugo Spirito e Augusto Guzzo; 19 gennaio, G. Dessì: “Ugo Spirito e Augusto Del Noce”; 17 febbraio, C. Gily Reda: “Ugo Spirito e Remo Cantoni”. Gli incontri proseguiranno con il seguente ordine: H. A. Cavallera: “Ugo Spirito e Giovanni Gentile”; M. Ciliberto: “Ugo Spirito e Cesare Luporini”; V. CALENDARIO Sainati: “Ugo Spirito e Armando Carlini”; F. Perfetti: “Ugo Spirito e Giuseppe Bottai”; A. Russo: “Ugo Spirito e Agostino Gemelli”; G. Sasso: “Ugo Spirito e Guido Calogero”; G. Longo: “Ugo Spirito e Camillo Pellizzi”. ● Informazioni: Fondazione Ugo Spirito, via Genova 24, 00184 Roma, tel. 06/4743779. La Scuola Normale Superiore e l’Università degli Studi di Pisa, d’intesa con l’Amministrazione provinciale, organizzano da gennaio a maggio 1994 un ciclo di seminari dal titolo: Friedrich Nietzsche centocinquant’anni dalla nascita. Questo il programma delle lezioni: 27 gennaio, D. M. Fazio: “Fortune e sfortune di Nietzsche in Italia”; 10 febbraio, A. Orsucci: “Nietzsche, Spencer e l’etnologia”; 17 febbraio, D. M. Hoffmann: “Le problematiche relative al Nachlass: il caso di Friedrich Nietzsche”; 24 febbraio, R. Venuti: “Nietzsche e Schiller: alcune considerazioni sulla nascita della tragedia”; 3 marzo, F. Volpi: “Dall’abisso di Nietzsche”: Heidegger e la volontà di potenza”; 10 marzo, P. D’Iorio - F. Fronterotta: “La nascita della filosofia dallo spirito scientifico: Nietzsche e i filosofi preplatonici”; 24 marzo, U. Marti: “L’epoca democratica e «l’uomo superiore»”; 14 aprile, G. Campioni: “Nietzsche e la cultura francese della décadence”; 21 aprile, L. Alfieri: “Il pensiero politico giovanile: un Nietzsche diverso?”; 28 aprile, K. Pestalozzi: “La ricezione della Nascita della tragedia nella letteratura tedesca di fine secolo”; 5 maggio, M.-L. Haase: “L’edizione critica di Così parlò Zarathustra”; 12 maggio, F. Orlando: “La «corruzione dell’istinto»: musica e significato in Wagner”. ● Informazioni: tel. 050 911471. L’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli organizza presso la propria sede, da novembre 1993 a marzo 1994, un Corso di aggiornamento e perfezionamento in discipline Storico-Filosofiche sul tema: La filosofia contemporanea. Storia della Storiografia Filosofica. Il Cor- so prevede il seguente svolgimento: 29 novembre, V. Mathieu - F. M. De Sanctis: “Inaugurazione del Corso”; 30 novembre, V. Verra: “La dialettica nella cultura filosofica contemporanea”; 6 dicembre, L. D’Alessandro: “Forme giuridiche e genealogia della verità in Michel Foucault”; 11 gennaio, F. Volpi: “La filosfia pratica contemporanea”; 18 gennaio, C. Sini: “Il problema della pratica filosofica”; 25 gennaio, A. G. Gargani: “La revisione critica della tradizione metafisica nel neo-pragmatismo di Richard Rorty”; 1 febbraio, M. Ferraris: “Le metamorfosi dell’ermeneutica”; 8 febbraio, A. Trione: “L’estetica contemporanea come problema”; 10 febbraio, D. A. Conci: “Realtà e oggettività nel pensiero cognitivo contemporaneo”; 16 febbraio, V. Vitiello: “Filosofia e topologia”; 24 febbraio, E. Berti: “La presenza della tradizione classica nel dibattito filosofico contemporaneo”; 2 marzo, G. Limone: “Figure del simbolo e figure della simbolica”; 8 marzo, E. Agazzi: “Scienza e metafisica”; 14 marzo, R. Bodei: “La post-storia”; 15 marzo, S. Maffettone: “L’ontologia nel dibattito etico contemporaneo”; 21 marzo, F. Moiso: “Storiografia e ermeneutica filosofica”; 23 marzo, S. Veca: “Paradigmi e versioni del mondo: da Nelson Goodman a Hilary Putnam”. ● Informazioni: Dott. C. De Rita, Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, Via Suor Orsola 10, Napoli, tel. 081 400070/412908. L’Istituto di Filosofia dell’Università degli Studi di Perugia ha organizzato un convegno per il 24-26 marzo 1994 sul tema: Il dibattito su Parmenide. Aspetti della filosofia greca tra V e IV secolo a.C.. Sono previste rela- zioni di T. Calvo Martìnez (“Melisso”), G. Casertano, N.-L. Cordero (“Parmenide parmenidizzato”), C. Eggers Lan (“Stadio di Zenone”), I. Ghirassi Colombo (“theos/thea”), R. Laurenti (“La componente geometria della teologia di Empedocle”), M. Migliori, G. Mignini, L. Rossetti (“Parodia gorgiana del parmenidismo”), M. Vegetti (“Figura del sophos arcaico”). In occasione del convegno, tra il 14 e il 23 marzo, N.-L. Cordero terrà a Perugia un seminario su Parmenide. Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Via Monte di Dio 14, Napoli 21-25 febbraio Sten Ebbesen 21-25 marzo Reiner Wiehl Medieval Logic La filosofia della natura nel XX secolo. La cosmologia filosofica di A. N. Whitehead Tha native tradition. “Nominales”, “Poretani” and others - When the native tradition met a new Aristotle. La metafisica su nuove strade - Storia della natura ed evento naturale. 21-25 febbraio Aldo Masullo Il fantasma della comunità e lo scandalo del politico 5-8 aprile Karl Otto Apel La “comunità” o il modello antropologico del “primitivismo” (da Tönnies a Freud) - Il neo-comunitarismo e la maturità etica della teoria politica liberale. Formalpragmatik oder transzendentalpragmatik. Eine auseinandersetzung mit Jürgen Habermas Empirisch universale oder transzendentale Sprachpragmatik? 21-25 febbraio Hans-Georg Gadamer 6-8 aprile Giovanni De Crescenzo Estetica e ermeneutica Estetica e arte - La Critica del giudizio di Kant - Le Lezioni di estetica di Hegel - Il passaggio dall’estetica all’ermeneutica - Ermeneutica e filosofia pratica. Individuo, critica e tradizione in Karl Popper 11-15 aprile Biagio de Giovanni Filosofia del diritto e filosofia dello Stato in Hegel 7-11 marzo Franco Volpi Heidegger e Hegel Hegel e la Rivoluzione Francese Hegel e l’individuo moderno. Didattica ed ermeneutica: la lettura heideggeriana di Hegel fino a Essere e Tempo. 11-15 aprile Valerio Verra Hegel interprete dell’idealismo tedesco 14-18 marzo Osvaldo Guariglia Analisi delle fonti - Kant - Jacobi Fichte - Schelling. Universalismo y particularismo en la ética contemporanea Aristotelismo y kantismo en la tradicion ética - Sentido y alcance del sentido formal de universalizacìon. 18-22 aprile Teng Shouyao 14-18 marzo Armando Savignano General Survey of Chinese Traditional Philosophy - Diverse Schools of Chinese Philosophy. Chinese traditional philosophies Ortega y Gasset: la ragion vitale e storica 18-22 aprile Vincenzo Placella Ortega e la filosofia tedesca. La scuola di Marburgo - Ortega e Husserl. Un’ipotesi per Vico Percorsi del De Antiquissima - La polemica col “Giornale de’ Letterati d’Italia” e il successivo sviluppo del metodo vichiano. 21-25 marzo Muhsin S. Mahdi Alfarabi and the classical tradition Trasmission and Innovation - Alfarabi’s Philosophy of Plato - Alfarabi’s Philosophy of Aristotle. 52 ● Informazioni: Dipartimento di Filosofia, Università di Macerata, Via Garibaldi 10, Macerata, tel. 0733 258305; oppure Istituto di Filosofia, Università di Perugia, P.zza Rimini, Perugia, tel 075 5854921. L’Istituto di Filosofia dell’Università degli Studi di Perugia, in collaborazione con il Centro di Studi Agostiniani, ha organizzato per i giorni 22 e 23 marzo 1994 il VI Seminario di Studio dal titolo: Il mistero del male e la libertà possibile: lettura delle Confessiones e del De Trinitate di Agostino. Questo il programma de- gli interventi: 22 marzo, N. Cipriani: “L’autonomia della volontà umana nell’atto di fede; le ragioni di una teoria prima accolta e poi respinta da S. Agostino”; I. Sciuto: “La volontà del male tra libertà e arbitrio”; M. Bettetini: “Libertà e male nel XII libro delle Confessioni”; V. Grossi: “Libero arbitrio, libertà e antropologia nelle Confessioni”; G. Balido: “Realtà divina e virtualità antropologica nel De Trinitate; V. Pacioni: “Auctoritas e ratio, via alla vera libertà”; P. A. Ferrisi: “Male, misticismo e sessualità nel pensiero di S. Agostino”. 23 marzo, J. O. Reta: “Esigenze della libertà e del male nelle Confessioni; M. Cristiani: “Manicheismo e responsabilità personale”. Nei giorni 27-28 aprile 1994 avrà invece luogo un incontro su Lectio Augustini: il De Doctrina Christiana. Questi gli interventi: 27 aprile: L. Alici, “Lettura del I Libro”; U. Pizzani, “Lettura del II Libro”; 28 aprile: P. Grech, “Lettura del III Libro”; L. F. Pizzolato: “Lettura del IV Libro”. ● Informazioni: Prof. Luigi Alici, Istituto di Filosofia, Università degli Studi di Perugia, Via Aquilone 8, 06123 Perugia, tel 075/5854715. L’Istituto di Filosofia dell’Accademia Ceca delle Scienze ha organizzato un convegno, che si svolgerà dal 5 al 15 aprile 1994 a Praga, dal titolo: Democrazia: Identità e Differenza. Gli argomenti trattati saranno: 1) La politica dell’identità; 2) Il soggetto dei diritti; 3) I problemi del Liberalismo; 4) L’Estetica dell’esistenza; 5) Autonomia e autenticità; 6) Soggettività e intersoggettività; 7) Nuove forme di individualizzazione; 8) Politica, Ragione e Estetica; 9) Il Sé nel processo di civilizzazione; 10) Il Sé postmoderno; 11) Ritradizionalizzazione, Anomia e Società civile; 12) Diritti di gruppo e Identità; 13) Democrazia e cultura politica; 14) Carisma e Democrazia; 15) Teorie femministe del Sé; 16) L’individuo, gli affetti e le passioni; 17) Liberalismo, Republicanismo, Democrazia radicale, Comunitarismo; 18) Nazione, Comunità e cittadinanza del mondo, 19) La globalizzazione del Localismo; 20) Varietà di Universalismo. ● Informazioni: Prof. A. Ferrara, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, via Salaria 113, 00198 Roma, tel. 06 8549638. DIDATTICA DIDATTICA a cura di Riccardo Lazzari Positivismo Il volume di Ferdinando Vidoni, IL POSI(Morano, Napoli 1993), ha il merito di proporre una ricostruzione puntuale del pensiero positivistico dai suoi albori in Francia, agli inizi del secolo scorso, fino al neopositivismo del ‘900 e alle discussioni che ne sono seguite nell’ambito della “nuova filosofia della scienza”. Ne risulta un utile e ricco strumento di approfondimento del pensiero positivistico, che può favorire un’immagine nuova e più critica di questa corrente filosofica rispetto a quella spesso tramandata dai manuali e dalle storie della filosofia. TIVISMO La ricostruzione di Ferdinando Vidoni si apre con una disamina degli inizi del positivismo in Francia in relazione al progetto di riforma della società e di sapere positivo in Saint-Simon e agli sviluppi di queste tematiche da parte del suo “discepolo dissidente” Auguste Comte. Viene poi ricostruito il percorso del positivismo inglese nelle sue diverse versioni, legate all’utilitarismo e alla metodologia scientifica di J. Stuart Mill, alla teoria dell’evoluzione biologica di Darwin, all’evoluzionismo di H. Spencer, per poi passare ad una ricostruzione del “clima positivistico” del tardo Ottocento: sono messi a fuoco, in questa ricostruzione, il movimento positivistico francese (Littré, Bernard, Taine, Renan), lo sviluppo delle scienze sociali da parte di Durkheim, le linee di intersezione delle tematiche positivistiche in Germania (il materialismo, la “fisiologia fisica”, il monismo, la psicologia fisiologica, l’empiriocriticismo), il positivismo in Italia (legato non solo al pensiero di Ardigò, ma anche all’opera di medici, psichiatri, antropologi). La presenza del positivismo in tutti i campi viene documentata da Vidoni con grande obbiettività ed attenzione alle molteplici versioni di un pensiero filosofico che è stato a lungo svalutato per il ritorno di tendenze antitetiche nella nostra cultura novecentesca. Un capitolo specifico è dedicato al rapporto fra positivismo e letteratura, incentrato sui temi del realismo nella letteratura francese, sulla concezione dell’arte in Taine, sul naturalismo di Zola, sulla diffusione delle poetiche realisticonaturalistiche francesi e sul verismo italiano. Il capitolo quinto è dedicato ad una disamina della crisi del positivismo fra Otto e Novecento, alla nascita, con il circolo di Vienna, della corrente nota come neopositivismo e agli sviluppi di quest’ultimo intorno al dibattito sui “protocolli”, sul fisicalismo e sull’unità della scienza; segue, nel medesimo capitolo, un’analisi dei problemi relativi alla “liberalizzazione” dell’empirismo, al “falsificazionismo” di Popper, alla “posizione acquisita” di studiosi come Nagel e Hempel; per ultima viene delineata la critica alla concezione neopositivistica e alla pretesa di discriminare fra enunciati teorici e osservativi da parte dei “nuovi filosofi della scienza” (fra cui Kuhn, Lakatos, Feyerabend), che ha dato luogo ad un orientamento definibile, approssimativamente, come “postpositivismo”. Nelle “Osservazioni conclusive” Vidoni fa il punto intorno a quegli aspetti che in genere sono assunti come caratterizzanti delle varie concezioni positivistiche (il valore della scienza, l’accento riposto sui fatti, il rifiuto della metafisica, l’ottimismo e la concezione del progresso, il rapporto fra quest’ultimo e il richiamo all’ordine sociale) e mostra come essi non siano omologabili a soluzioni univoche o semplificate, ma risultino variare nelle riflessioni specifiche dei diversi pensatori. R.L. Convegni Si è tenuto a Treviso dal 25 al 27 novembre 1993 il convegno annuale della Società Filosofica Italiana sul tema: LA DIDATTICA DELLA FILOSOFIA NELL’ UNIVERSITÀ E NELLA SCUOLA SECONDARIA SUPERIORE . Oltre trecento insegnanti italiani, in grande maggioranza operanti nella scuola secondaria, ma con una significativa presenza anche di docenti universitari, hanno dibattuto un argomento che, pur non avendo un’immediata rilevanza teorica, investe però la concreta mediazione del sapere filosofico, soprattutto nella scuola, e non solo in essa. 53 E’ evidente che il momento della mediazione presuppone un sapere dai lineamenti certi e consolidati. La lunga storia della filosofia, come si sa, non è garanzia di una identità stabile, proprio perchè essa si è sempre proposta come un sapere entro cui si fa questione anche di se stessa. E in tempi in cui, su molti versanti, il sapere filosofico viene spogliato delle sue connotazioni tradizionali fino a proclamarne la “decostruzione”, è arduo discutere di trasmissione e insegnamento di qualcosa che rimane fluido e sfuggente. Il tema del convegno non poteva quindi riguardare solo la “tecnica” didattica - che pure è di grande interesse e utilità - ma investiva anche lo statuto di un sapere che attraversa una perenne “crisi di identità”. Le conclusioni più significative e stimolanti a cui si è giunti al convegno si possono così schematizzare: a) il sapere filosofico, secondo una diagnosi che ha trovato ampi consensi, sarebbe caratterizzato, nonostante tutto, da una decisa rivalutazione, perché, dopo le tendenze “utilitaristiche” e l’accentuazione di tipo “professionalistico” prevalenti negli anni ’60 e ’70 nelle teorizzazioni e nelle politiche scolastiche, ora si stanno imponendo di nuovo, nella svolta sociale e culturale che si sta vivendo, almeno in Italia, le questioni fondanti del senso e delle finalità, che sono sempre stati al centro della riflessione filosofica; b) la “didattica” o il momento della mediazione di un determinato sapere non possono essere considerati componenti “esterne” a quel sapere, perchè esse investono la sua capacità di incidere nel contesto storico entro cui tale sapere viene elaborato - senza per questo cadere nelle degenerazioni del “didatticismo” e del “pedagogismo”, in cui il momento metodologico prende il sopravvento su quello dei contenuti; c) in questa prospettiva, forte è stato il consenso riscosso dai nuovi “programmi Brocca” - curati, per il settore filosofico, da una sottocommissione presieduta da Enrico Berti - consenso motivato anche dall’indicazione, in essi contenuta, di estendere l’insegnamento della filosofia agli ultimi due anni degli altri indirizzi della scuola secondaria; d) a livello liceale si avverte una esigenza fortissima di innovazione didattica, a lungo frustrata da una politica scolastica assen- DIDATTICA teista e inerte, mentre a livello universitario, per autodenuncia degli stessi docenti presenti, si procede con le stantie pratiche della lezione ex cathedra, senza neanche tentare di aprirsi a metodi differenti di didattica ormai consolidati, come ad esempio quelli delle università tedesche; e) nella didattica liceale della filosofia, la linea di tendenza, che è sembrata prevalere e riscuotere il consenso maggiore, riguarda la rivalutazione e la centralità del “testo” filosofico, non più inteso come mero supporto documentario alle tesi manualistiche, bensì come momento centrale e costitutivo dell’atto didattico - senza rifiutare, in questo modo, l’apporto del tradizionale manuale ed anche il ricorso alle nuove opportunità offerte da strumenti multimediali. Passando ora alla serie degli interventi, Gabriele Giannantoni, attuale presidente della Società Filosofica Italiana, ha aperto i lavori del Convegno con un giudizio preoccupato sulle ultime novità della politica scolastica italiana, soprattutto per quanto riguarda l’insegnamento della filosofia. Il progetto di legge di riforma della Secondaria, già approvato dal Senato, ma destinato all’ennesimo affondamento alla Camera, presenta alcuni punti inaccettabili come la disarticolazione regionalistica e territoriale dell’istituzione scolastica, la sparizione del nome stesso di “filosofia” dalla definizione dell’area di “storia e scienze umane”, la mobilità del personale insegnante senza nessuna riconversione professionale. Sul problema della didattica della filosofia a livello universitario sono intervenuti Carlo Sini e Salvatore Veca. Il primo, dopo aver premesso che il modello della moderna università è ancora quello della ricerca disinteressata risalente a von Humboldt, ha sviluppato una requisitoria impietosa sull’insegnamento universitario della filosofia. Anche l’università è stata investita dal degrado tipico della cultura massmediologica e dai relativi conformismi. Un rinnovato insegnamento della filosofia, ha osservato Sini, dovrebbe articolarsi secondo tre linee fondamentali: la filosofia come componente di una cultura di base, la filosofia come oggetto di insegnamento, la filosofia come ricerca pura. Ciò che conta, comunque, non sono le leggi, bensì la disponibilità a fare una autentica “esperienza filosofica”. Veca ha invece tessuto un “elogio della filosofia” come “sapere inutile”, di fronte all’apparente trionfo dei saperi “utili” ovvero capaci di “risolvere problemi” (pratici). La filosofia, posta la “modernità” delle “scienze umane e sociali”, si configura come sapere “arcaico”, la cui funzione resta quella di “costruire identità” (chi siamo?) e di sviluppare la flessibilità per l’accesso alla molteplicità dei “giochi linguistici”, mentre la specificità le è data sotto la forma di “permanenza di un genere”. L’intervento di Ethel Serravalle, membro della Commissione “Brocca”, ha ripercorso l’itinerario politico-culturale, che ha portato alla elaborazione di quello che rimane l’unico documento di una certa consistenza nel panorama avaro e disastrato della politica scolastica di questi anni, la Riforma “Brocca” della scuola secondaria. La scelta culturale fondante di questa riforma consiste nell’individuazione delle tre grandi “aree” culturali, entro le quali collocare l’intero impianto della mediazione didattica: comunicazione ed espressione, scienze umane e storia, scienze della natura. Dall’interno di queste aree, si dipartono i vari ‘indirizzi” specifici, delineati sulla base di valutazioni critiche dell’attuale assetto della cultura e delle società occidentali. In particolare, per quanto riguarda l’indirizzo di “scienze umane e storia”, cui fa riferimento l’insegnamento della filosofia, Serravalle ha sostenuto l’interessante tesi per cui, in una società funzionaltecnologica, fortemente secolarizzata, perché priva dei riferimenti ideali che la tradizione culturale europea ha fin qui garantito, l’insegnamento della filosofia può contribuire, in un clima di dialogo e di tolleranza tra orientamenti differenti, a tener viva la riflessione sulla dimensione dei valori e del senso visto che, come già avviene in altre nazioni europee, la vera preparazione professionale specifica potrebbe essere rimandata a una fase di formazione successiva alla scuola secondaria. Tesi questa ribadita d’altra parte, durante la tavola rotonda conclusiva del convegno, anche da R. Di Nubila, coordinatore del Comitato P.I. della Confindustria. Con una certa sorpresa dei partecipanti, il rappresentante della Confindustria ha insistito sul valore “formativo” della scuola, escludendo come primaria la finalità pratico-professionalizzante del sapere. La filosofia deve dare il suo insostituibile contributo, soprattutto sotto l’aspetto metodologico ed epistemologico, aiutando i giovani a penetrare criticamente la struttura dei saperi che stanno alla base della società industriale. Una analisi specifica dei programmi di filosofia contenuti nel “progetto Brocca” è stata condotta da D. Massaro, che ha individuato le linee di forza di questo progetto, rilevandone le novità: l’introduzione dell’insegnamento della filosofia nei futuri istituti ad indirizzo tecnologico, sia pure in una versione limitata alla sola filosofia moderna; l’impostazione culturale finalizzata alla formazione generale, oltre che al superamento e al controllo critico degli specialismi dominanti nella società “complessa”; la scelta didattica della centralità del testo, all’interno di percorsi prefissati, che non trascurano però né la dimensione storica, né quella problematica. A questo intervento si può affiancare quello di Cesare Quarenghi, che ha fornito alcune anticipazioni circa l’indagine, da lui condotta, sull’insegnamento della filosofia, che aggiorna i dati emersi da un precedente evento, pubblicati nel 1987. Sulla questione dell’aggiornamento degli insegnanti di filosofia, un primo interven54 to specifico è stato quello dell’ispettrice ministeriale Anna Sgherri. Dopo un rapido bilancio di quello che è stato fatto negli anni precedenti, senza apportare nuove indicazioni per il futuro, la proposta finale ha riguardato un fantomatico “autoaggiornamento assistito”, che, in sostanza, esprime l’indisponibilità dell’attuale bilancio statale per operazioni di aggiornamento a largo raggio e l’affidamento, per l’ennesima volta, alla buona volontà del singolo insegnante, sia pure con l’assistenza, certo non sistematica, di alcune iniziative istituzionali, a partire da quelle promosse dai vari IRRSAE. Ad una di queste, organizzata dall’IRRSAE-Lombardia, è stata dedicata la relazione di Gianna Sidoni. In collaborazione con il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano e con alcuni docenti di filosofia dell’Università Cattolica, l’IRRSAE-Lombardia si è fatto promotore di un corso di aggiornamento degli insegnanti di filosofia nelle scuole secondarie, con il coinvolgimento anche di alcuni insegnanti di altre materie. L’iniziativa, sviluppatasi nel corso degli anni 1990-91, si proponeva di sperimentare progetti di innovazione didattica, a partire dalle normali condizioni dell’attività scolastica. L’obiettivo culturale consisteva nella riflessione sull’intreccio tra cultura dell’immagine, entro cui avviene la prima acculturazione dei giovani, e la cultura della scrittura prevalente all’interno delle istituzioni scolastiche. Il momento didattico-metodologico s’intrecciava con quello della ricerca, in vista della produzione di itinerari praticabili all’interno delle scuole, sopratutto nei licei. Un ultimo gruppo di interventi ha riguardato i sussidi “tecnologici” per l’insegnamento della filosofia. Renato Parascandolo, ha presentato il progetto della Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche: videocassette con interviste ai filosofi contemporanei più rappresentativi su temi d’attualità, percorsi storici, concetti fondamentali; il tutto elaborato in vista della realizzazione di un CD-ROM, in cui il materiale possa essere utilizzato in modo multimediale e interattivo. Nel medesimo contesto tecnologico è stata presentata anche l’edizione elettronica dei primi dieci fascicoli di “Informazione Filosofica”, consistente in una base-dati, che rispecchia esattamente il contenuto dei fascicoli, a cui è possibile accedere tramite uno specifico programma di ricerca d’informazioni. Va infine ricordata la parte “sommersa” del convegno, ma forse la più preziosa, costituita da sei “Laboratori” su varie tematiche: la didattica universitaria, l’aggiornamento, l’insegnamento del pensiero filosofico del ’900, l’insegnamento mediante il ricorso ai testi, il rapporto tra la filosofia e gli altri saperi, la didattica filosofica. In questi ambiti più ristretti, i partecipanti hanno potuto confrontare, in modo ravvicinato, le rispettive esperienze didattiche. A.C. DIDATTICA Organizzato dall’ARIFS (Associazione per la Ricerca e l’Insegnamento di Filosofia e Storia) si è tenuto a Firenze nei giorni 19 e 20 Novembre 1993 un Convegno nazionale per l’aggiornamento degli insegnanti sul tema: PLATONE, con il coordinamento scientifico di Carlo Augusto Viano e con la partecipazione di noti studiosi quali Francesco Adorno, Giuseppe Cambiano, Mario Vegetti, Margherita Isnardi Parente, Luc Brisson e Bruno Centrone. L’obiettivo fondamentale del convegno è stato quello di focalizzare alcuni nodi teorici del pensiero platonico alla luce delle più recenti posizioni storiografiche e di confrontarli con le tracce e gli orientamenti dominanti nella manualistica e nella divulgazione didattica. L’intervento di Francesco Adorno si è snodato attorno ad un perno metodologico fondamentale, la necessità di «non spiegare il prima con il dopo», il che significa, nel caso di Platone, di non interpretarlo attraverso il platonismo, ovvero attraverso quelli che sono stati gli sviluppi filosofici successivi. In questo quadro, Adorno ha tratteggiato l’importanza dell’influenza di Socrate, la fecondità dei “semi socratici” nel pensiero di Platone. La dialettica platonica va dunque strettamente ricollegata all’appello fondamentale di Socrate, cioè l’assunzione della domanda radicale del ti ésti entro un approfondimento di analisi di se stesso quale base per ritrovare i termini della risposta, le condizioni teoretiche del giudizio. Su come si deve leggere Platone e che rapporto bisogna istituire tra i dialoghi e le cosiddette dottrine orali si è interrogato Giuseppe Cambiano, che ha analizzato i caratteri specifici del dialogo platonico, forma letteraria già utilizzata dai sofisti e, quindi, scelta consapevole del filosofo per comunicare le proprie elaborazioni attraverso la presentazione di differenti posizioni teoriche. A partire da queste premesse Cambiano ha criticato quelle posizioni che privilegiano le dottrine orali, interpretando ad esempio il dialogo come espediente tattico per nascondere le vere idee esposte da Platone all’interno del ristretto cenacolo dei suoi più fedeli amici. Cambiano ha concluso invitando ad abbandonare ipotesi metafilosofiche poco sostenibili e ad incontrare direttamente nei testi il pensiero di Platone senza ricorrere a presupposizioni prive di una adeguata base documentativa. In questa direzione interpretativa si è inoltrato anche Carlo Augusto Viano, mettendo in luce l’impossibilità di ricondurre la pluralità delle suggestioni filosofiche di Platone entro uno schema di pensiero lineare, compatto e univoco, il cui asse portante è costituito dalla teoria delle idee. Altri sono i nuclei teorici che presentano una loro sistematicità: l’insieme delle dottrine politiche, l’interpretazione della natura e i riferimenti prodotti nei miti. Il mito, secondo Cambiano, assume un ruolo primario come via di accesso alle idee, i cui contorni si intrecciano ambiguamente con i problemi dell’anima e della causalità. Lo stesso ricorso alla forma del dialogo è sintomo di una costellazione teorica complessa e variegata, espressa in miti che si presentano come riparo e salvezza rispetto alle durezze del tempo storico. Anche nei confronti della scienza, ha rilevato Mario Vegetti, il pensiero platonico si presenta sotto le spoglie della ambiguità. Questo è l’effetto teorico di presupposti assai divergenti tra loro: da un lato i linguaggi scientifici devono produrre significati stabili e purificati, garanti della solidità, della universalità e della gerarchia dei saperi; dall’altro, tuttavia, si pone l’esigenza dell’efficacia, della potenza del sapere (come nel caso della medicina). La proliferazione delle forme argomentative dei linguaggi scientifici non si ricompone in unità semantica e teorica e lascia aperto il campo alla molteplicità delle interpretazioni. Margherita Isnardi Parente ha affrontato due punti cruciali del pensiero di Platone: la valenza del suo discorso politico e il suo rapporto tra oralità e scrittura. Premesso che vi è una intenzionalità discorsiva diversa tra la Repubblica ed il Politico (nel primo caso si parla di leggi di uno stato ideale, nel secondo di leggi in una realtà politica più concreta), Platone mostra una continuità di pensiero tra un livello di riferimento teorico e un altro connesso alla prassi politica, continuità che si basa sulla unità del procedimento dialettico. Sarebbe un errore, ha osservato Isnardi Parente, cadere nella contrapposizione tra un’immagine profetica e salvifica di Platone ed una di politico in senso strettamente pragmatico; in ogni caso egli rimane il filosofo, il cui atteggiamento di fondo è critico e riflessivo. Ed è un filosofo che affida il suo pensiero ai grammata, anche se nel caso della politica è ben conscio dell’opportunità di adattare il discorso scritto ai mutamenti della realtà empirica attraverso la mediazione della parola orale. L’intervento di Luc Brisson, uno dei principali animatori della “Società Internazionale dei Platonisti”, ha tracciato un bilancio complessivo degli orientamenti recenti della ricerca su Platone: stilometria, procedimenti letterari, argomentazione, etica e dottrine non scritte, un punto quest’ultimo sul quale Brisson si è maggiormente soffermato, constatando che su questo punto il dibattito in Italia è assai intenso, a differenza della Germania, patria della scuola di Tubinga. Bresson ha contestato in più punti le posizioni di Giovanni Reale, sostenitore della priorità delle dottrine non scritte, osservando che a) occorre molta prudenza storiografica per rileggere Platone attraverso l’hegelismo o, anche, l’heideggerismo; b) la sistemazione unitaria del suo pensiero è opera dell’Accademia ed è ad essa che si rifà Aristotele; c) la prefigurazione di Platone creatore della teologia cristiana risponde più alle convinzioni personali di Reale che ad un effettivo riscontro sui testi. In positivo, Bresson ha proposto la tutela di una lettura pluralista di Platone, fedele alle tensioni interne che attraversano il suo pensiero. Il compito di verificare le interpretazioni 55 platoniche nella manualistica scolastica è stato affidato alla relazione di Bruno Centrone, che ha rilevato come in una fase molto ricca ed in continua evoluzione di studi platonici, sia difficile per i libri di testo di filosofia tener conto dei nuovi contributi “eterodossi” e prevalga la tendenza a ricalcare i giudizi critici più collaudati, anche quando sono seriamente messi in discussione o per lo più superati: è il caso della scarsa importanza attribuita ai dialoghi giovanili, della presentazione piuttosto tradizionale e poco problematica riservata alla dottrina delle idee, di una scarsa analisi critica del ruolo dell’insegnamento esoterico di Platone. La tavola rotonda conclusiva dei lavori è stata diretta da Pietro Rossi ed ha permesso una ulteriore focalizzazione di due temi principali: la centralità del pensiero platonico nella storia della filosofia occidentale e il rapporto di Platone con la polis ateniese. Per quanto riguarda il primo punto, mentre Viano ha insistito sulla varietà dei percorsi interpretativi possibili attraverso le esposizioni filosofiche di Platone, al punto da dover quasi rinunciare a trovarvi saldi riferimenti fondativi, Isnardi Parente ha ricordato con puntiglio una serie di punti strategici della tradizione filosofica occidentale a partire da Platone, come le nozioni di incorporeo, di intelligibile, di bene, di etica, di applicabilità delle forme matematiche al sensibile. Più affine alla posizione di Viano quella di Vegetti, che ha ribadito come la compresenza di molti semi platonici renda impossibile determinare un’unica tradizione da lui originata. Più affine a quella di Isnardi Parente si è rivelata invece la posizione di Brisson, secondo il quale almeno due assunti, la preminenza dell’anima sul corpo e del logos sul mito, sono pilastri fondanti della filosofia occidentale. Per quanto riguarda invece il secondo punto, molti interventi hanno evidenziato che tra Platone e la città vi è un rapporto attivo, ma non di corrispondenza biunivoco, nel senso che l’atteggiamento del filosofo è quello teoretico e, d’altra parte, l’atteggiamento della città è di sostanziale rifiuto e marginalizzazione delle sue posizioni, come già era stato nei confronti di Socrate. Il filosofo come funzionario del bene è sempre portavoce di un ideale di vita teoretica, fonte e matrice di una felicità autonoma dello spirito. Se la ricchezza, la varietà e le differenziazioni del dibattito si possono ricomporre in una formula condivisa da tutti i partecipanti, questa può essere la definizione della figura di Platone proposta da Isnardi Parente: Platone non deve essere interpretato né come capo politico, né come pensatore misticoreligioso, ma come filosofo di cui va recuperata la complessità e l’interezza nella sua imprescindibile specificità. A fine lavori il presidente dell’ARIFS, Giancarlo Conti, ha comunicato che il prossimo convegno avrà come tema “La filosofia analitica e il Circolo di Vienna” con il coordinamento scientifico di Paolo Parrini e si svolgerà a Brescia nel novembre 1994. F.S. STUDIO Immanuel Kant. Miniatura acquarellata di G. Doeppler (1791) 56 STUDIO STUDIO Sulla “ragion pratica” di Kant Opera quanto mai famosa e celebrata, la CRITICA DELLA RAGION PRATICA di Kant è anche opera straordinariamente complessa, di lettura non facile per chi non dispone già di un’adeguata conoscenza della filosofia kantiana. Una chiave di accesso a quest’opera viene offerta da Sergio Landucci nel volume LA ‘CRITICA DELLA RAGION PRATICA’ DI KANT. INTRODUZIONE ALLA LETTURA (La Nuova Italia, Firenze 1993), che inaugura una serie di studi di filosofia, curati da C. Cesa per la collana “La Nuova Italia Scientifica”. Nella stessa collana compare un’antologia a cura di G. Tognini, INTRODUZIONE ALLA MORA LE DI KANT . GUIDA ALLA CRITICA (La Nuova Italia, Firenze 1993), che raccoglie alcuni contributi di studiosi sulla filosofia pratica kantiana. Lo studio di Sergio Landucci non vuol essere né un’introduzione “da manuale” alla morale di Kant, né un commentario che segua, passo per passo, la Critica della ragion pratica, ma una guida ad una rilettura di quest’opera attraverso un’analisi dei temi principali che la contraddistinguono, dall’imperativo categorico alla critica dell’etica della felicità, dall’autonomia della volontà alla fede morale in Dio, in modo da riferirsi liberamente al complesso del testo kantiano. Un primo capitolo è dedicato agli esordi del Kant morale, e dunque soprattutto ad una breve analisi della Ricerca sull’evidenza dei principi della teologia naturale e della morale (1763), che già ci mostra come originarie in Kant l’opposizione fra moralità e ricerca della felicità e l’esclusione della “prudenza” dall’ambito morale, e le Osservazioni sul sentimento del bello e su quello del sublime (1764), che anticipano (in tono minore) alcuni motivi della Fondazione della metafisica dei costumi (1785) e che lasceranno traccia nello scritto di Schiller Grazia e dignità. Nel passare alla disamina della Critica della ragion pratica, Landucci accenna al problema del suo rapporto con la precedente Fondazione della metafisica dei costumi (1785). Quest’ultima, rispetto alla Ragion pratica (del 1788), non sta secondo Lan- ducci nello stesso rapporto dei Prolegomeni con la prima Critica, non già per l’anteriorità della Fondazione, ma perché essa non è affatto un riassunto o un’esposizione più accessibile della seconda Critica e costituisce piuttosto un’opera del tutto autonoma, tale da rappresentare un momento preciso dello sviluppo del pensiero di Kant intorno alla morale. Secondo Landucci la Fondazione del 1785 segna non solo un grande mutamento nel pensiero etico di Kant, ma testimonia anche d’uno stato di crisi rispetto al problema del movente della moralità, che sarà risolto solo nell’opera del 1788, la quale ha peraltro il suo punto d’origine nel quadro della problematica sollevata da Jacobi con le Lettere sulla dottrina di Spinoza. La parte più corposa del libro di Landucci è occupata da una disamina incentrata su alcune delle “voci” principali di cui è intessuto il testo della seconda Critica kantiana. Si prende spunto dalle prime pagine dell’opera per introdurre i concetti di legge morale e di imperativo categorico. La disamina condotta consente al lettore di orientarsi in modo graduale e chiaro nel complesso del testo kantiano e per certi aspetti fornisce una chiave di comprensione dell’intera filosofia di Kant dall’angolazione specifica che vi occupa il problema morale. Landucci non rinuncia a introdurre alcuni elementi critici ed interpretativi di rilievo che vanno oltre gli scopi di una semplice introduzione. Così, per esempio, egli sottolinea come nella Critica della ragion pratica scompaia, rispetto al testo della Fondazione, la distinzione fra le due specie dell’imperativo ipotetico: tutti gli imperativi ipotetici sono ora assimilati alle “regole dell’abilità” (laddove innanzi si distingueva fra queste e i “consigli della prudenza”); al tempo stesso tali regole sono intese semplicemente come criteri conoscitivi, come norme tecniche riguardanti la determinazione dei mezzi idonei per determinati fini, e come tali vengono espunte da Kant dall’ambito della praticità. A questo punto “pratico” non si riferisce più a tutto quanto ha attinenza con l’agire, con la prassi (come era in Aristotele), bensì solo a ciò che riguarda specificamente la volontà in senso morale e ai “motivi” che la determinano: l’unica filosofia pratica diventa così la filo57 sofia morale. Ne ricava Landucci un’osservazione importante relativa all’odierna “riabilitazione”, specialmente in Germania, della filosofia pratica: «Se si parla di riabilitazione, e d’un ritorno, è precisamente contro il discredito in cui la “filosofia pratica” tradizionale era caduta proprio ad opera di Kant». Seguono poi, nello studio di Landucci, una chiarificazione di termini come “ragion pratica”, “facoltà di desiderare”, “massime” della volontà, e una definizione del rapporto fra moralità e santità, moralità e felicità, moralità e legalità. Circa il proverbiale formalismo dell’etica di Kant, Landucci ci avverte come il procedimento che è alla base dell’imperativo categorico, e che egli definisce come test dell’universalizzazione delle massime (che consente di controllare se esse possano o no valere come leggi), sia in realtà «un appello ad una fervida immaginazione morale, e cioè tutto il contrario d’un freddo intellettualismo». Vengono poi esaminati il concetto di “motivazione morale” (il “rispetto” come “movente” della moralità), il problema dell’autonomia della volontà e della libertà del volere (e dunque il rapporto, non scevro di qualche margine di equivocità in Kant, fra libertà come autonomia e come atto di scelta), la nozione di “fatto” della ragione (con la cui introduzione si assiste, nella seconda Critica, ad una sorta di “colpo di scena”, rispetto alle premesse poste nella Fondazione, poiché ora Kant afferma che del principio della morale non v’è bisogno di una fondazione filosofica, bensì solo d’una esplicitazione rigorosa), ed infine il riaprirsi della questione della felicità nella forma del problema del bene morale completo, da cui il “diritto” ad una “fede razionale” nell’immortalità e in Dio. Ulteriori analisi Landucci dedica alla struttura della Ragion pratica, alla sua genesi, e alle opere successive relative alla religione, al diritto e alla storia. La riflessione conclusiva verte sulla posizione della Critica della ragion pratica nella storia della filosofia. Al riguardo, sostiene Landucci, l’originalità di Kant consiste «nella combinazione di limitazione del sapere - nella conoscenza di ciò che è - e rivendicazione d’un sapere trascendente - a proposito del dover essere», e dunque in una «combi- STUDIO nazione di platonismo e antiplatonismo». Se di solito si contrappongono l’etica di Aristotele e quella kantiana come «i tipi esemplari, rispettivamente, dell’etica detta classica e dell’etica moderna», nondimeno, avverte Landucci, occorre andare assai cauti sulla modernità dell’etica di Kant, la quale, proprio per il modo in cui egli fonda le nozioni di dovere e di responsabilità e per la preoccupazione di garantire assolutezza all’etica, è ben più metafisica che non quella aristotelica. Ciò che vi è di profondamente moderno nel pensiero morale di Kant è piuttosto il suo impianto di fondo, in cui domina la situazione del singolo solo con se stesso. La scelta di saggi contenuta nell’antologia critica curata da Giorgio Tognini nasce dall’intento di far conoscere gli orientamenti interpretativi che, dagli anni ’50 in poi, hanno contraddistinto la ricerca sulla filosofia morale di Kant, studiandone in particolare il periodo che va dalla prima Critica alla Critica della ragion pratica, passando attraverso la Fondazione della metafisica dei costumi e le Riflessioni inedite. Da questo panorama di studi emerge come non si dia un semplice nesso di linearità fra la scoperta del metodo filosofico “critico” e le principali dottrine etiche kantiane, le quali conoscono, nel periodo che va dal 1781 al 1788, un’evoluzione complessa e una ridefinizione profonda del concetto di libertà (come libertà pratica e libertà trascendentale), un diverso impiego delle nozioni di felicità e di sommo bene, una rinuncia a fondare la morale su ipotesi ad essa esterne. Così, nel saggio di Martial Guérolt, “Canone della ragion pura e Critica della ragion pratica” (1954), viene mostrato come nel “Canone della ragion pura”, che concludeva la Critica della ragion pura, si prospettasse una dottrina completa della filosofia morale che escludeva radicalmente qualcosa come il progetto di una critica della ragion pratica. Dieter Henrich, nel suo saggio “Il concetto di intuizione etica e la dottrina kantiana del fatto della ragione” (1960), si sofferma in particolare sulla “scoperta” della capacità motivante che appartiene direttamente alla comprensione razionale della legge morale, quale viene al termine di un itinerario di riflessione in cui Kant ha cercato, con differenti mezzi, di derivare i caratteri della legge morale a partire dal concetto di libertà. Altri saggi compresi nell’antologia sono quelli di John R. Silber, “La concezione kantiana del sommo bene come immanente e trascendente” (1959); Heinz Heimsoeth, “Libertà e carattere secondo le Riflessioni 5. 611-5. 620” (1967); Klaus Düsing, “Il problema del sommo bene nella filosofia pratica di Kant” (1971); Henry E. Allison, “L’argomento preparatorio di Kant nella terza parte della Fondazione” (1989); S. Landucci, “La metaetica di Kant nella Critica della ragion pratica” (1990). Come fa notare Tognini nella sua Introduzione, Allison puntualizza alcune tesi prospettate da Henrich; Silber mostra l’inizio di un atteggiamento interpretativo nuovo da parte della letteratura critica anglosassone; Düsing focalizza le due diverse fasi del pensiero kantiano intorno alla concezione del sommo bene; Heimsoeth propone un’interpretazione del problema dell’attuazione della legge morale da un punto di vista alternativo a quello indicato da Henrich; Landucci approfondisce sia l’interpretazione della teoria definitiva del fatto della ragione, sia i presupposti della particolare forma di conoscenza costituita dalla consapevolezza della legge. R.L. Compendi di filosofia La nuova edizione della ben nota ENCICLOPEDIA GARZANTI DI FILOSOFIA (Garzanti, Milano 1993), curata da Gianni Vattimo, offre la possibilità di un’agile consultazione, aggiornata e curata nei dettagli, della tradizione filosofica attraverso i suoi autori. Di diversa impostazione, anche se per questo non meno efficace, è l’AT LANTE DI FILOSOFIA (Sperling e Kupfer, Milano 1993), ad opera di Peter Kunzmann, Franz-Peter Burkhard, Franz Wiedmann, che propone una sintesi per concetti della storia della filosofia, accompagnata sistematicamente da tavole esplicative. La nuova edizione dell’Enciclopedia Garzanti di filosofia, sempre curata da Gianni Vattimo, si avvale di due nuovi collaboratori: Maurizio Ferraris e Diego Marconi. Le novità rispetto alla precedente edizione sono diverse: sono aumentate le pagine (circa 250 in più), i collaboratori specialisti (140 complessivamente) e le voci (circa 450 in più). All’interno delle nuove voci troviamo poi ulteriori cambiamenti: categorie filosofiche, concetti e autori risultano in parte arricchiti e integrati, in parte completamente rifatti, in parte all’esordio. Compaiono, ad esempio, per la prima volta voci come “intelligenza artificiale” o “globalizzazione”, che sono entrate a far parte ormai della concettualità filosofica corrente, o voci come “bioetica”, “sociologia della scienza” o “postmoderno”, che appartengono di diritto alla speculazione filosofica attuale. Argomenti, invece, come “ontologia”, “strutturalismo”, “filosofia analitica” o “linguistica” vengono riveduti e aggiornati in funzione degli ultimi sviluppi. Aumentano anche i concetti filosofici veri e propri; troviamo, ad esempio, voci come “altro” o come “modello Popper-Hempel”, che non comparivano nella precedente edizione. Ma è negli autori che troviamo le più grosse novità: compaiono Gianni Vattimo, Emanuele Severino, Umberto Eco e Massimo Cacciari, mentre 58 manca, ad esempio, Mario dal Pra, probabilmente considerato più uno storico della filosofia. Jacques Derrida, Michel Foucault e Wilard Van Orman Quine risultano invece completamente rifatti per essere meglio inseriti nel dibattimento attuale. Compaiono inoltre, per la prima volta, alcuni nomi del dibattito filosofico di questi ultimi anni. Parecchio spazio è dedicato infatti a Richard Rorty o Jean Francois Lyotard per quanto riguarda l’ermeneutica, Hilary Putnam, per la filosofia analitica, John Ronald Searl e Donald Davidson per il pragmatismo. Come appare chiaramente le novità di questa ultima edizione riguardano maggiormente l’ambito della linguistica e dell’epistemologia. La parte storica resta pressappoco fedele a quella dell’edizione precedente, così come la teologia, la psicologia e la pedagogia. Chiudono il volume sei nuove appendici, che trattano argomenti di sfondo alle voci trattate. Tra queste notiamo una cronologia generale degli eventi filosofici, una tabella di notazioni logiche e assiomatiche, una bibliografia di riviste e manuali filosofici. L’idea di racchiudere in poco più di 240 pagine l’intera storia della filosofia nei suoi concetti è lo scopo del nuovo Atlante di filosofia, che offre un compendio brillante e sintetico delle linee essenziali della produzione filosofica. Il percorso scelto dagli autori Peter Kunzmann, FranzPeter Burkhard e Franz Wiedmann, è quello storico-cronologico e la periodizzazione ricalca gli schemi classici: la Grecia antica, il Medioevo, il Rinascimento, l’Illuminismo, l’Idealismo tedesco, il XIX secolo ed il XX secolo. Proprio perché la struttura dell’opera è cronologica, gli autori hanno periodizzato la filosofia in capitoli, in cui l’esposizione analitica degli autori è preceduta da brevi inquadramenti storici, che forniscono le linee essenziali del periodo preso in esame. La novità di questo sommario di storia della filosofia è l’impiego sistematico di schemi e immagini che, utilizzando una sorta di cultura visiva, riassumono ed esemplificano i concetti proposti. Sia per quanto riguarda la periodizzazione, che per quanto riguarda l’esposizione del pensiero dei filosofi maggiori, gli autori provvedono a fornire delle tavole che, utilizzando immagini e disegni, sintetizzano i contenuti presentati. Questo sistema, già utilizzato per autori come Platone o Kant (si pensi all’immagine della linea per il primo o allo schematismo trascendentale per il secondo), che si prestano facilmente a rappresentazioni grafiche, costituisce una piacevole novità per autori estranei a questo tipo di schematizzazione: si pensi, ad esempio, ad una rappresentazione grafica che raffiguri l’emanazione secondo Plotino, la libertà di Dio secondo Schelling o l’eterno ritorno secondo Nietzsche. L’utilizzazione delle tavole come metodo esplicativo ha sicuramente una matrice didattica, che STUDIO funziona come sintesi sia per l’insegnante, che per lo studente. Un’altra particolarità di quest’opera consiste nel rilievo dato alla filosofia orientale, alla quale viene dedicato un intero capitolo che precede l’esposizione della storia della filosofia occidentale, chiaramente predominante nel testo. Per quanto riguarda i contenuti osserviamo che gli autori impostano l’atlante seguendo un filo conduttore di tipo metafisico-ontologico. Viene dato molto spazio, infatti, alle filosofie che appartengono all’area culturale tedesca. In particolare vediamo che le parti antica e medievale vengono trattate in modo puntuale ed efficace. L’esposizione è forse un po’ troppo rapida nella trattazione dell’aspetto matematico della filosofia del ‘600 (Cartesio e Spinoza), mentre lascia più spazio alle problematiche ontologiche. Lo stesso taglio viene dato alla trattazione, puntuale e particolareggiata, dell’idealismo tedesco, nel quale viene inserito di fatto Kant, non inquadrato come criticista, bensì accostato a Fichte, Schelling e Hegel. La parte più ricca è quella relativa al XX secolo, in cui trovano spazio diverse tendenze: dalle problematiche relativistiche (vengono trattati personaggi come Einstein o Heisenberg), alla fenomenologia, all’esistenzialismo, alla filosofia del linguaggio. Non viene dato spazio, invece, né alla psicanalisi, forse non considerata propriamente filosofica, né all’epistemologia contemporanea, rappresentata dal solitario Popper, né all’ermeneutica: Heidegger è collocato a fianco degli esistenzialisti, mentre Gadamer non compare. A. S. Una nuova storia della filosofia Con la pubblicazione del primo volume, a cui seguiranno nei prossimi anni altri cinque volumi, prende ufficialmente avvio l’edizione della STORIA DELLA FILOSOFIA (Laterza, Roma-Bari 1993) curata da Pietro Rossi e Carlo Augusto Viano. L’opera si propone di ripercorrere storicamente la tradizione del pensiero filosofico con l’intento di descriverne gli eventi nella loro autenticità e nel dispiegarsi delle loro relazioni. L’opera è stata presentata il 19 novembre 1993, presso la sede del Gabinetto Vieusseux di Firenze, con la partecipazione, oltre ai curatori, di Francesco Adorno, Paolo Rossi e Mario Vegetti. «Se per “leggi” storiche si intendono delle grandi necessità metafisiche soggiacenti agli eventi allora è giusto, data l’inverificabilità di tali leggi, negarne la validità ed esistenza. Ma se per “leggi” si intendono certe costanti associative per cui determinati eventi appaiono legati costantemente a certi altri eventi, negare l’esistenza di “leg- gi” storiche equivale a negare qualsiasi comprensione e conoscibilità di tutti gli eventi passati, presenti, futuri». Queste parole di Giulio Preti sembrano porsi come il pensiero di fondo che anima questa nuova Storia della filosofia, curata da Pietro Rossi e Carlo Augusto Viano. L’opera, che deve essere accostata di diritto ai tre “monumenti” della storiografia filosofica di questo secolo, la Storia della filosofia di G. De Ruggiero, la Storia della filosofia di N. Abbagnano e la Storia del pensiero filosofico e scientifico di L. Geymonat, si prefigge infatti di presentare la storia della filosofia facendo a meno di una linea filosofica che ne definisca lo sfondo interpretativo. Il proposito di Viano e Rossi, sempre puntuali nel risalire alle fonti storiografiche originali e nel mettere in guardia il lettore da tutte quelle forzature che spesso hanno caratterizzato l’interpretazione dei filosofi, è altresì quello di esporre una storia della filosofia che, pur non essendo un contenitore caotico di contenuti, descriva «un complesso di tradizioni molteplici che si incontrano, si scontrano, si sovrappongono», senza però mai rispondere ad un sistema preordinato. Possiamo parlare, in tal senso, di metodo descrittivo-ralazionale; gli autori intendono infatti presentare una storia della filosofia che non rifletta né una teleologia metafisica di fondo, né una qualsiasi impostazione ideologica: piuttosto si tratta di delineare gli eventi filosofici nel dispiegarsi complesso delle loro relazioni e dei loro rapporti. L’opera, che si avvale del contributo scientifico di sessanta studiosi, è suddivisa complessivamente in sei volumi, ognuno dei quali è provvisto, per ogni autore trattato, di una scheda bio-bibliografica, in cui vengono presentati un breve profilo biografico, le opere con le relative edizioni e i maggiori studi critici. Il primo volume, appena pubblicato, è dedicato al mondo antico, il secondo al Medioevo, il terzo alla filosofia moderna sino al 6oo, il quarto, il quinto e il sesto agli ultimi tre secoli. La struttura dell’opera si svolge attraverso percorsi di pensiero. Nel primo volume, infatti, solo Socrate, Platone, Aristotele e Agostino vengono trattati individualmente. I concetti vengono esposti con una struttura tematica che evita anche i movimenti filosofici già codificati: non si parla, ad esempio, di atomismo, o di ontologia. Troviamo così Empedocle separato da Anassagora: mentre il primo viene associato a Parmenide per la struttura oracolare del pensiero, il secondo viene affrontato parallelamente a Democrito per il tipo di filosofia più aperta al demos. Di particolare rilievo è l’interpretazione che gli autori offrono sia di Platone, che di Aristotele. In Platone la teoria delle idee, che nella maggior parte degli studi apre la trattazione sul filosofo, è qui posta dopo la teoria dell’anima, dell’amore e la concezione politica. In tal modo non si deduce la filosofia platonica dalla teoria dell’essere, ma si ricava, al contrario, l’ontologia di 59 Platone proprio dalla sua filosofia. Analogamente in Aristotele la metafisica viene affrontata soltanto dopo l’esposizione della logica, della teoria dell’anima e del movimento. Ciò conferma peraltro quanto viene espresso da Viano e Rossi nella Prefazione al primo volume: la filosofia non viene mai dedotta da un principio fondativo, viene altresì narrata e le narrazioni si intrecciano via via nelle diverse tematiche. La presentazione della nuova Storia della filosofia di Viano e Rossi al Gabinetto Viesseux di Firenze si è aperta con un caloroso messaggio di Vito Laterza che ha ricordato l’antico sodalizio intellettuale con molti degli animatori di questa impresa editoriale fin dagli anni ’50. Ha poi preso la parola Francesco Adorno, che ha sottolineato come quest’opera metta in atto un modo più autentico e fedele di ricostruire il pensiero, rispetto a un’impostazione storicistica, protesa a imbastire una trama compatta ed evolutiva, intessuta di precorrimenti e superamenti. Ciò spiega l’assenza di categorie artificiose nei filosofi antichi, come quella di presocratici - invenzione della scuola aristotelica - o di ellenistici. Paolo Rossi ha accentuato ulteriormente il giudizio di Adorno, rilevando come molti dei quadri storiografici tradizionali non siano che miti: è il caso di Aristotele, raffigurato alla stregua di un principe costretto a uccidere i fratelli per assurgere al trono di un immaginario regno filosofico. Al contrario, la filosofia viene presentata come oggetto fluttuamte, non rigorosamente delimitato: la storia della filosofia perde il carattere di regina e matrice di tutte le altre storie. Mario Vegetti ha invece analizzato alcune scelte fatte dagli autori, ai quali ha riconosciuto il merito di aver collocato la loro opera entro una visione complessiva “non euforica” della filosofia, per cui essa si è venuta maggiormente modellando attraverso determinazioni negative che simmetriche determinazioni positive. Nel lavoro storiografico di Viano e Rossi si esibisce un netto rifiuto di una concezione della filosofia quale a) surrogato salvifico dell’ideologia; b) specchio della storia; c) culmine e sintesi della cultura. Pur condividendo questo quadro di riferimento, Vegetti ha tuttavia mosso alcuni rilievi: in primo luogo, la netta esclusione del pensiero scientifico (non sono neppure citati scienziati quali Ippocrito, Tolomeo, Euclide); poi, la massiccia presenza di pensiero religioso; infine, la mancanza di un rapporto tra pensiero filosofico e sostrato sociale. A questo punto la parola è passata ai curatori del volume che hanno risposto agli interventi dei relatori. Carlo Augusto Viano ha motivato l’esclusione sia del pensiero scientifico che - ha aggiunto a sua volta - del pensiero giuridico romano. In entrambi i casi la scelta è stata quella di inserire le interferenze di pensiero esterno all’ambito specificamente filosofico solo nel momento in cui esse hanno effettivamente fecondato questo ambito, un fenomeno questo che di fatto si è verificato solo in epoca successiva a quella antica. STUDIO Duns Scoto (manoscritto del sec. XIV) Questa stessa ragione ha d’altra parte portato all’inserimento di parti relative alla cultura religiosa, avendo ebrei e primi cristiani utilizzato strumenti filosofici per sistematizzare e approfondire la loro fede. Nell’intervento conclusivo Pietro Rossi ha spiegato come in una riproposizione di pensatori del passato le presenze e le esclusioni sono determinate dall’immagine complessiva che si ha della filosofia. L’atteggiamento dominante doveva evitare due rischi: la dissoluzione della storia della filosofia in storia politico-culturale e la pretesa di vedere in essa la coscienza generale di un’epoca e la chiave interpretativa del passaggio da un’epoca ad un’altra. L’originalità dell’opera, ha messo in evidenza Rossi, non risiede tanto nelle scelte delle correnti e degli autori presi in esame, ma nelle modalità con le quali vengono trattati. Inoltre, se si opera il confronto tra questo primo volume ed il corrispondente primo volume di altre imprese editoriali, è assai rimarchevole l’aumento del tasso di informazioni presente in esso. Questo non sta a significare un corrispondente aumento del tasso di certezze negli autori dell’opera; al contrario, l’estensione di problemi aperti e irrisolti cresce di pari passo, conformemente alla presa di coscienza che la storia della filosofia non riflette né il progresso della ragione, né lo sviluppo infinito dello spirito, ma descrive, più semplicemente, la faticosa, incerta ed inesausta ricerca intellettuale dell’uomo. A.S./F.S. La felicità del pensiero nel Medio-Evo Di primo acchito, un insigne studioso di filosofia medioevale potrebbe sembrare lontano “per definizione” dall’attualità e dall’urgenza del pensiero, raccolto in un amorosa e pacifica cura del passato risolutamente remoto. Alain de Libera, direttore di studi all’Ecole pratique des hautes études della Sorbona, è certo un eccellente specialista della filosofia medievale, ma anche un filosofo ben ancorato al presente e alle trappole delle ideologie culturali. Il suo ultimo lavoro: LA PHILOSOPHIE MÉDIÉVALE (La filosofia medievale, PUF, Parigi 1993), prosegue una linea ben precisa di riflessione filosofica e storica. Nel 1991, Alain de Libera pubblicò Penser au Moyen Age un lavoro decisamente “nuovo”, che fu capace di suscitare un vero dibattito, di cui quest’ultimo suo lavoro, La philosophie médiévale, può essere considerato, per certi aspetti, il seguito. Questi due lavori di ampio respiro sono stati preceduti da un insieme coerente di pubblicazioni, puntuali e rigorose: Introduction à la mystique rhénane (Introduzione alla mistica renana, 1984), Albert le Grand et la philosophie (Alberto il Grande e la filosofia, 1990), César et le Phénix 60 (Cesare e i Fenici,1991), la traduzione e l’introduzione a Maître Eckhart. Traités et sermons (Mastro Eckhart. Trattati e sermoni, 1993), Averroès et l’averroisme (Averroè e l’averroismo, 1991); quasi un primo, paziente lavoro di scavo e di ricostruzione filologica, volto a preparare un discorso filosofico e una posizione culturale di ben diverso spessore. La riflessione filosofica di de Libera non si può qualificare come “storia delle idee”, bensì come riflessione su quella particolare storia che ha come protagonista il pensiero e la sua legittimità: in altri termini, le procedure, le trasformazioni, gli ideali del pensiero nella storia dei suoi protagonisti e la rappresentazione del pensiero nell’autoriflessione e autogiustificazione dei medesimi. Questo pensiero che è poi un pensare, non è un blocco uguale a se stesso nel corso dei secoli: al contrario è scandito da irrimediabili discontinuità e fratture. “Penser au Moyen Age” significa allora per de Libera, interrogarsi su come gli intellettuali pensavano nel Medio-Evo, e al tempo stesso, pensare, senza pregiudizi, al Medio-Evo, su cui incombe tutta una tradizione interpretativa, pesantemente determinata dall’ideologia etnocentrista e da una storiografia sospetta. Per molto tempo, infatti, a partire dallo stesso Petrarca, il Medio-Evo, un periodo di dieci secoli riassunto in un aggettivo, è stato identificato a un momento barbaro e buio della cultura: cattivo gusto, logicismo alambiccato, dispute noiosissime, stravolgimento delle fonti e in particolare delle autentiche fonti del pensiero: quelle greche contaminate dai filosofi arabi nonché barbari. Ma de Libera non è preoccupato solo per i pregiudizi ancora vigenti sul Medio-Evo; ancor più lo preoccupa un certo “ritorno” della filosofia medioevale nell’editoria e nei dibattiti. Tre fattori hanno incentivato una certa ripresa della filolosofia medievale: la ridefinizione del lavoro filologico nella filosofia, che negli anni ’60-’70 ha visto gli studi medievali impegnarsi in un notevole lavoro di edizione e una più raffinata pratica ermeneutica sulle fonti; la coscienza del carattere plurivoco del Medio-Evo, nutritosi di più fonti, passato dispute nient’affatto obsolete o astratte. Così, grazie ai progressi della logica contemporanea, molti studiosi hanno potuto rivalutare le dispute teologiche scorgendone uno spessore filosofico fin’ora trascurato; di conseguenza, sono stati evidenziati più centri d’interessi nel pensiero medievale, spesso ridotto alla querelle sugli universali o alla problematica della doppia verità. Inoltre, la critica del quadro etnocentrico ha permesso di studiare in modo non pregiudiziale le contrade e i viaggi del pensiero medievale fra Oriente e Occidente. L’ultimo libro di de Libera è un manuale di filosofia medievale di grande valore: sono identificati quattro insieme geoculturali, Oriente e Occidente cristiani, Islam orientale e occidentale, che costituiscono anche STUDIO le tappe o meglio le contrade di un cammino, quello percorso dal pensiero antico, i cui bagagli (fonti, ideali ecc) si sono transferiti nel corso dei mille anni del pensiero medievale. La translatio studiorum è il viaggio di un’eredità composita, delle sue tappe e delle sue pause, durante la quale il pensiero greco è entrato nel mondo latino. A partire dall’espulsione dei filosofi della scuola d’Atene da parte di Giustiniano (529 d.C.), la scienza e la saggezza greche partono per un lungo viaggio: dapprima accolte in Siria, poi a Bagdad, fino a Cordova e a Toledo; ma non si tratta di un’esilio. Al contrario, l’oriente si “appropria” dell’Antichità, rinnovandone lo studio: una messe di traduttori viene messa al servizio dei testi del passato, tanto che i testi che circoleranno più tardi sotto il nome di Aristotele dipendono dalla cultura araba. Si pensi solamente al testo Liber de causis, che gli occidentali hanno creduto a lungo di Aristotele e in cui viene esposta una concezione del cosmo che sarà fondamentale per le discussioni teologico-filosofiche. Ebbene, questo libro è un’adattazione di Proclo compiuta da un anonimo al tempo di Al-Kindi a Bagdad (IX sec): è, in altri termini, un montaggio di fonti. Un altro punto importante del lavoro di de Libera concerne proprio la figura dell’intellettuale medievale, analizzata non da un punto di vista sociologico (Le Goff), bensì prettamente filosofico, interessato allo studio dell’esperienza del pensiero. Molti aspetti interessanti vengono alla luce, fra cui l’ipotesi che decisivo sia il periodo fra il XIII e il XIV secolo, in cui viene rivendicato un ideale di felicità filosofica, debitrice al contempo dell’ideale contemplativo di Aristotele e della fiducia philosophantium di Averroé. Questo ideale, nato nelle università, trova un più fecondo terreno in ambienti non-filosofici: presso beghine, religiose, poeti, eretici; in altri termini, attecchisce in chi eredita l’ideale filosofico, ma non è filosofo di professione. Molte pagine interessanti sono dedicate a due fra le figure più prestigiose di questa “deprofessionalizzazione”: Dante e Mastro Eckhart, promotori in Europa, e soprattutto, nell’Europa volgarizzata, di un ideale nuovo di vita: la felicità mentale di Dante, la Gelanssenheit (rilassatezza) di Eckhart, “coronamento sereno dell’aristotelismo medievale”. F.M.Z. Alberto Magno. Affresco di Tommaso da Modena (part.) 61 RASSEGNA DELLE RIVISTE RASSEGNA DELLE RIVISTE a cura di Silvia Cecchi DIALEKTIK n. 3, 1993 Meiner, Hamburg Grenzen der Naturerkenntnis, di P. Janich. Naturbegriffe-Alltagssprache, Wissenschaft, Philosophie. Eine enzyklopädische Perspektive, di M. Stöckler: muovendo da una spiegazione del termine “natura”, vengono illustrati storicamente alcuni concetti e concezioni della natura, importanti nell’attuale dibattito. Vengono inoltre esaminate alcune questioni di etica della natura. Entdecken, di I. Hacking: esposizione di alcuni concetti dell’epistemologia di Hacking. Der Einzelne und die Wissenschaften, di M. Otte. Technik und Natur. Eine Geschichte beziehungsreicher Gegensätze, di W. Krohn: l’articolo analizza il rapporto tra tecnologia e natura, richiamando l’attenzione sul fatto che una contrapposizione tra questi due aspetti non si adatta alla storia del pensiero filosofico e sottolineando come sia necessario un ripensamento più articolato. Das Buch der Natur in der Schrift der Kultur. Empirie und die Herstellung der Phänomene, di H. J. Sandkühler: il rapporto tra filosofia e scienza nel nostro secolo è stato caratterizzato dal fatto che la scienza traduce i “fatti” in segni e simboli che sono il risultato di un’interpretazione. L’articolo propone una riflessione in proposito. DEUTSCHE ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHIE bro di T. Borsche (Fink, München 1990). Vol. 41, n. 5, 1993 Akademie Verlag, Berlin Zur Geschichte der mittelalterlichen Philosophie, di M. Kaufmann: recenti pubblicazioni sulla storia della filosofia medievale. Hegels Lehre von Der Wahrheit, di H. Schnädelbach: prolusione tenuta presso l’Università di Berlino il 26/5/93. Zur Kyoto-Schule, di H. Waldenfels: recenti pubblicazioni sulla scuola di Kyoto e sulla figura di Kitaro Nishida. Moralisches Leben als Selbstaufklärung, di F. Tallár. Viene presentata in questo numero una sezione sul tema: “Nietzsche e la filosofia pratica”, in relazione all ripresa di interesse per la filosofia pratica e politica nella riflessione contemporanea. Mitleid und Gnade: Nietzsche’s Stoizismus, di M. C. Nussbaum. Zwischen Zerostörung und Auslöschung, di J. L. Nancy. Nietzsches Moralistik, di H. Fink-Eitel. REVUE PHILOSOPHIQUE DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER n. 1, gennaio-marzo 1993 PUF, Paris Tema della rivista: “Rousseau e Ribot”. Émile et Robinson, di S. Berteloot: la presenza, nell’Emilio, di suggestioni provenienti dal romanzo Robinson Crusoe. Ist das Tier, das versprechen darf, ein Zoon politikon?, di U. Marti. Imagination créatrice et connaissance selon Théodule Ribot, di M. Meletti Bertolini: l’immaginazione creatrice nell’Essai sur l’imagination créatrice (1900). Von Lämmern und Raubvögeln, di H. Hesse, osservazioni sulla Genealogia della Morale. Une nouvelle édition de Maine de Biran, di M. Adam: sulla recente riedizione delle opere di Maine de Biran. La philosophie de l’histoire de la philosophie de Martial Gueroult, di J. Bernhardt. PHILOSOPHISCHE RUNDSCHAU Vol. 40, n. 3, 1993 Mohr Verlag, Tübingen ARCHIVES DE PHILOSOPHIE Einmaliges und Gesetzmässiges. Naturwissenschaftliche Evolutionsforschung auf dem Wege zur Geschichtswissenschaft?, di U. Röseberg: partendo dalla riflessione neokantiana sulla divisione tra scienze nomotetiche e scienze idiografiche, l’articolo intende riflettere sul rapporto tra scienze naturali e storia. Natur, naturwissenschaftliche Kultur und Werte, di J. Erpenbeck: riflessione sul termine “natura” attraverso la tesi della Wertfreiheit di Weber e la tesi delle “due culture” di Snow. Jacques Derridas Recht auf (Zugehörtigkeit zur) Philosophie, di H. D. Gondek: nuovi studi su Derrida come empirista e filosofo trascendentale; il rapporto con Husserrl, Heidegger, Gadamer, Levinas. Das Ende der Metaphysik und die Optik des Kunstlers. Neuere Litetatur zu Friedrich Nietzsche, di G. Figal. Was etwas ist. Fragen nach der Wahrheit des Bedeutung bei Platon Augustinus, Nikolaus von Kues und Nietzsche, di T. Buchheim: recensione dell’omonimo li62 Vol. 56, n. 2, aprile-giugno 1993 Beauchesne, Paris Plotin, Descartes et la notion de causa sui, di J. M. Narbonne: il concetto di Causa sui ha un’origine molto antica nella filosofia occidentale; lo troviamo nelle speculazioni sull’autocausalità della filosofia ellenistica e soprattutto in Plotino, vero padre del concetto di causa sui. Al di là delle diversità dei sistemi, l’articolo intende mostrare quali difficoltà si aprano davanti a Plotino e a Cartesio in rapporto a questa nozione. RASSEGNA DELLE RIVISTE Les compas cartésiens, di M. Serfati: il pensiero matematico giovanile di Cartesio a partire dai compassi cartesiani. Métaphysique et politique, le singe de Dieu, l’homme, di J. Benoist: razionalismo e politica in Cartesio. Nietzsche et l’égalité des droits. De l’usage juridique d’un concept religeux chrétien, di Y. Ledure: per Nietzsche una delle conquiste fondamentali della democrazia, l’eguaglianza nel diritto, riprende l’idea cristiana dell’eguaglianza dell’uomo davanti a Dio. Ma tale utilizzo di un concetto teologico in campo giuridico è improponibile e provoca la necessità, per il pensatore tedesco, di un ripensamento del concetto stesso di democrazia. La question du statut ontologique du monde dans la métaphysique lavellienne, di J. École. conciliare questa visione con una dottrina particolarmente severa e rigida come quella del nominalismo. Ma se il nominalismo è da un lato congeniale a Goodman per costruire un sistema filosofico, dall’altro si dimostra insufficiente quando il filosofo si occupa di arte o di problematiche scientifiche. A rebours: conceptions et “reconception”, di J. P. Cometti: viene qui negata l’ipotesi di una frattura tra un Goodman aperto alle riflessioni sull’arte e un Goodman maggiormente al centro dell’attuale dibattito filosofico. Vol. 46, n. 2-3, 1993 Universa, Wetteren Tema della rivista: “Nelson Goodman”. E’ questo il primo di una serie di fascicoli che la rivista intende dedicare ai filosofi contemporanei. Status and System, di N. Goodman. Un, deux ou trois Goodman?, di J. Morizot: sulla pluralità degli interessi di Goodman, con particolare riguardo per dei suoi studi estetici. Ritual change, di I. Scheffler. Stratégies nominalistes, di C. Panaccio: sul ruolo di Goodman nell’ambito del nominalismo, di cui è considerato un difensore; analisi dei contributi di Goodman a questa teoria. Recolocating aesthetics, di C. Z. Elgin: sul rapporto tra arte e scienza. Sur la pluralitè des mondes, di R. Nadeau: più di altri, Goodman ha insistito sull’importanza di adottare una prospettiva pluralista al fondo della quale non sta tanto una preoccupazione di ordine ontologico, ma di ordine epistemologico. Il problema è Defensible anarchy?, di H. H. Harriot: argomentazioni in chiave negativa e in chiave positiva del pensiero anarchico. LES ÉTUDES PHILOSOPHIQUES aprile-giugno 1993 PUF, Paris Tema della rivista: “Hegel e Marx”. L’établissement de la notion de renversement chez le jeune Marx, di P. Goutefangea: la nozione hegeliana di rovesciamento è una categoria attraverso cui si esprime il fondamento della filosofia di Marx. L’articolo analizza come tale nozione prenda corpo nel giovane Marx. Hegel et l’histoire de la philosophie: la critique de Fichte dans l’écrit sur la “différence”, di M. J. Königson-Mondain: sull’importanza di Fichte nella genesi del pensiero hegeliano. In particolare viene esaminato il dominio della morale nella Differenza. L’état bureaucratique. Hegel et Marx, di M. Maesschalck: la critica di Marx alla contraddizione storica dello stato moderno teorizzato da Hegel e realizzato nello stato prussiano. Alexandre Kojève lecteur de Heidegger di D. Pirotte: l’interpretazione di Kojève della Fenomenologia è profondamente influenzata dal pensiero di Heidegger di Essere e Tempo. Goodman’s new riddle is pre-humian, di I. Hacking: una riflessione sull’induzione alla luce degli esiti del dibattito aperto dal contributo di Goodman. Goodman, Scheffler, M.me Bovary et quelques anges, di R. Pouivet. Thomas Aquinas’ double metaphysics of simplicity and infinity, di E. C. Sweeney: le nozioni di infinità e semplicità sono usate in Tommaso in due sensi opposti e sono dedotti da diverse prospettive metafisiche. What-being: Chuang Tzu versus Aristotle di Chenyang Li: la metafisica del filosofo cinese Chuang Tzu rappresenta un’alternativa plausibile alla filosofia di aristotele. Jean Hyppolite et Hegel, di B. Bourgeois: l’approccio, l’interpretazione e la lettura di Hegel da parte di Hyppolite. REVUE INTERNATIONALE DE PHILOSOPHIE Hegel, il suo rapporto con Kant e il contributo di Hegel e dell’idealismo hegeliano al pensiero contemporaneo. INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL QUARTERLY Vol. XXXIII, n. 3, settembre 1993 Fordham University, New York. Hegel, idealism and R. Pippin, di K. R. Westphal; Pippin on Hegel’s critique of Kant, di S. Sedgwick; Hegel’s original insight, di R. B. Pippin: interventi al simposio, tenutosi a Chicago nell’aprile 1993, su 63 MAN AND WORLD Vol. 26, n. 4, ottobre 1993 Dordrecht, Boston, London Kluwer Academic Publishers Truth, meaning and functional understanding: a post-sartrean meditation, di D. Barbiero: l’articolo analizza un testo sartriano pubblicato nel 1989, Verità ed esistenza, dove, accanto a considerazioni epistemologiche, viene analizzata la teoria del significato. The economy of exteriority in Derrida’s speech and Phenomena, di J. Protevi. Wild being, the prepredicative and expression: how Merleau-Ponty uses phenomenology to develop an ontology, di E. M. Godway. Transcendence East and West, di D. Loy: alcuni concetti della riflessione indiana, cinese e giapponese, i loro reciproci contrasti, la nozione di trascendenza ed il rapporto con la riflessione occidentale. Studyind Zen as studying philosophy, di J. Murungi: la verità della filosofia e la verità dello Zen. Constituting the political subject, using Foucault, di B. Seitz: il legame tra verità e potere in Foucault. JOURNAL OF THE HISTORY OF PHILOSOPHY Vol. XXXI, n. 3, luglio 1993 Washington University, St. Louis The truth evaluability of stoic Phantasiai: ‘Adversus Mathematicos’ VII, 242-246, di C. Shields. RASSEGNA DELLE RIVISTE Consciousness and self-knowledge in Aquina’s critique of Averroe’s psychology, di D. L. Black: si vuole qui prendere le difese del filosofo arabo Averroè, più volte criticato da Tommaso a proposito dell’unicità dell’intelletto umano. L’articolo analizza le principali obiezioni di S. Tommaso, rilevandone le eventuali aporie, ed esamina l’interrelazione che il filosofo arabo istituisce tra intelletto ed immaginazione, indispensabile per l’esercizio del pensiero. Clarke’s extended soul, di E. Vailati: un’analisi degli scritti più significativi di Clarke tra il 1704 ed il 1716 a proposito del problema dell’indivisibilità dell’anima e la controversia con Leibniz e Collins. Christian Wolff’s criticisms of Spinoza, di J. C. Morrison: Wolff ed il Pietsmo in rapporto al principio di ragion sufficiente elaborato da Spinoza. Kantian moral motivation and the feeling of respect, di R. Mccarty: in controtendenza rispetto a ipotesi di recente formulate dalla critica, viene sottolineata l’importanza del sentimento morale nella motivazione morale in Kant. Karl Jaspers and scientific philosophy, di J. O. Bennett. SEGNI E COMPRENSIONE Anno VII, n. 20, settembre-dicembre 1993 Capone Editore, Lecce Lettura retrospettiva: verso la nozione di un retro-lector, di, A. T. Tamburri: in base alla nozione di retor-lector molti scritti non-canonici possono essere letti ed interpretati attraverso una lettura retrospettiva, indipendente o concomitante con quella cronologica riguardante opere coeve dello stesso autore, al fine di raggiungere una ampia comprensione delle intenzioni formalistiche e contestuali del testo. Heidegger, prospettiva ermeneutica e storia della filosofia, di T. Rockmore. Il pathos della filosofia politica europea nel “dopo marxismo”, di W. L. McBride: nel termine “dopo marxismo” si cela anche la possibilità di un ritorno a Marx nella cultura europea e americana; alcune riflessioni su questa prospettiva e su recenti prese di posizione di politologi marxisti e non. Sotto il segno della sfinge. Il luogo dell’enigmatico in Hofmannsthal e in Else Lasker-Schüler, di M. Buono. “Bild” e “Abbildung” nel Tractatus di Wittgenstein, di F. Ferrante: i temi dell’im- magine e della raffigurazione rappresentano un esempio calzante dell’interdipendenza nel Tractatus tra logica, ontologia e semiotica. Un cristiano utopista: Matin Bucero, di G. Martano: un profilo del monaco domenicano Martin Butzer (1491-1551), suggestionato dalla lettura di Erasmo e Lutero, nel quinto centenario della nascita. Ardimenti pericolosi di un pensiero illimitato. Rileggere Nietzsche, di P. Miccoli: ancora una riflessione su Nietzsche a partire dalla recente pubblicazione della Volontà di potenza. Sei personaggi ed un autore di cinema. Stefano Quantestorie di Maurizio Nichetti, di M. Maisetti. Segni di Peirce in Italia, di C. Caputo: recensione di Peirce in Italia, a cura di M. A. Bonfantini e A. Martone (Napoli, 1993) volume che raccoglie gli atti di un omonimo convegno internazionale tenutosi a Napoli (5-7 dicembre 1990). Ermeneutica e filosofia del terzo mondo, di A. Papa: recensione di Filosofia e liberazione. La sfida del pensiero del terzo mondo, a cura di G. Cantillo e D. Jervolino (Capone Editore, Lecce 1992). Utopia e rivoluzione moderna, di E. M. Fabrizio: recensione di A. Colombo, G. Schiavone: L’utopia nella storia: la rivoluzione inglese (Dedalo, Bari 1992) siero che, lontano da Kant, auspica un ritorno all’ontologia. Liberté et détermination: un humanisme extra-religeux, di S. A. Salvaggio: presupposti per una discussione più approfondita sulle idee proto-sociologiche del Marx adolescente. Il carteggio Gilson-Maritain: metafisica e testimonianza, di M. L. Facco: dallo scambio epistolare tra i due filosofi emergono non solo i legami di reciproca stima, ma anche i presupposti delle loro forme speculative. Lineamenti per una filosofia dell’intersoggettività, di R. Rossi: continuazione di un articolo apparso nel n. 60. Kant as precursor of liberationist hermeneutics, di A. Ramos: l’articolo discute le tesi principali di Kant sul rapporto tra filosofia trascendentale e teologia. Bibliografia degli scritti di Maria Teresa Antonelli, di S. Zanoni. IL CANNOCCHIALE n. 1, gennaio-aprile 1993, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli Enseñanza y comunicaciòn en el Teeteto de Platòn, di F. Pascual. Cicularis Ratio. Zur Methode in Jean Bodins ‘Universae Naturae Theatrum’ (1596), di R. Häfner. FiLOSOFIA OGGI Anno XVI, n. 62-64, aprile-dicembre 1993 Edizioni dell’Arcipelago, Genova Pourquoi la vérité “catholique” plutôt que la vérité “chrétienne” de l’homme, di P. Rostenne: premessa al volume dell’autore dal titolo: Homo religiosus (Bière, Bordeaux 1993). Benedetto Croce, di V. Stella: un profilo biografico e filosofico del pensatore napoletano. Premesse vichiane per una metafisica dell’azione, di G. M. Pozzo: nello storicismo vichiano possono essere individuate le premesse dottrinali dell’umanesimo storicistico. Les identités polyvalentes et Sergueï Paradzanov, di B. L. Zekiyan. Herder e l’estetica ontologica, di F. De Faveri: la polemica antikantiana che caratterizza la riflessione estetica di Herder ha determinato un oblio del suo pen64 Scienza e riflessione in Kant, di A. M. Jacolbelli Isoldi: sullo sviluppo della teorizzazione kantiana del giudizio, in particolare del rapporto tra giudizio determinante e giudizio riflettente. “Concetto psicologico” e periodizzamento: il romanticismo in alcune note teoretiche minori di Benedetto Croce, di V. Stella. Le nozioni di “limite” e “confine” nella filosofia trascendentale di Kant. Problemi e prospettive di ricerca negli studi recenti, di A. Gentile: rassegna di alcuni studi recenti dedicati alla nozione kantiana di “limite” e “confine”, come apertura a nuove prospettive di ricerca sulla filosofia trascendentale. Poesia e conoscenza, di L. A. Manfreda: lettura tenuta dall’autore in occasione del Seminario annuale della forma, dedicato a “Pensiero e Poesia” (La Forma, 21/12/91). Nostalgia della bellezza: forma ed essenza nell’ultima arte romanica (S. Bernardo e S. Tommaso), di F. Sigismondi. RASSEGNA DELLE RIVISTE FILOSOFIA Anno XLIV, n. 2, maggio-agosto 1993 Mursia, Milano Pascal e Spinoza: etica religiosa ed eticità della metafisica, di A. Deregibus: l’articolo intende analizzare alcuni momenti di contatto tra Spinoza e Pascal. Se è infatti indubbio che Pascal non abbia conosciuto la riflessione spinoziana, non si può con certezza affermare il contrario. Sono anzi numerose le affinità, pratiche e teoriche, che è possibile ritrovare: l’ascendenza critica della ricerca filosofica e scientifica di Cartesio, la metodologia razionalistica e geometrica, il pensiero ricercante, il realismo pratico. Ironia e allegria, di G. Gallino: una riflessione sull’estetica romantica. Circostanze. Michel Serres e la questione del tempo, di A. Delcò. La filosofia della medicina di Viktor von Weizsäcker, di B. Antonielli: la revisione dei tradizionali modelli della medicina e della fisiologia classica, insufficienti, secondo Weizsäcker, a spiegare il fenomeno della percezione. SCHERIA Anno II, n. 4, gennaio-aprile 1993 Valentino Editore, Casamicciola Come la filosofia “informa il mondo”, di H. S. Harris: una riflessione sulla Prefazione alla Filosofia del Diritto di Hegel, in cui la filosofia viene paragonata alla “nottola di Minerva” che inizia il suo volo al crepuscolo. Una nuova maniera di ragionare in fisica teorica, di A. Drago. La comprensione dello sguardo. Appunti sul Decalogo di Kieslowski, di B. Di Marino. Delacroix e il “linguaggio del colore” nella pittura romantica europea, di A. De Paz. Rilievi dedicati alle ninfe Nitrodi, di L. Forti. Logica formale e problematica trascendentale, di C. Imbert: una revisione della separazione, posta da Kant, di questi due ambiti. RIVISTA INTERNAZIONALE DI FILOSOFIA DEL DIRITTO Vol. LXX, n. 2, aprile-giugno 1993 Giuffrè Editore, Milano Legal argumentation as rational discourse, di R. Alexy. Una fondazione naturalistica dell’anarchismo. Pëtr Kropotkin, di M. La Torre: confronto tra la tradizione oggettivistica e naturalistica dell’anarchismo, rappresentata dal russo Kropotkin, e quella soggettivistica e volontaristica a cui appartiene Malatesta. La teoria contemporanea de la justicia, de Rawls a MacIntyre, di C. I. Massini Correas. La legge nascosta. Il paradosso di Kafka, di F. Sciacca: autorità e forza sono concetti costantemente presenti in Kafka e che si identificano ora con il padre, ora con la legge, ora con la giustizia, generando nello scrittore un senso di prigionia. Croce e la giuridicità delle associazioni criminose, di B. Troncarelli: la teoria crociana della pluralità degli ordinamenti giuridici. RIVISTA DI FILOSOFIA Vol. LXXXIV, n. 3, dicembre 1993 Il Mulino, Bologna Questo numero della rivista è dedicato alla figura di Piero Martinetti, guida e ispiratore della rivista dal 1927 al 1943, anno della morte. L’occasione del cinquantenario della scomparsa offre l’occasione per una celebrazione del filosofo che trae spunto anche dal convegno organizzato a Torino (22 marzo 1993) dall’Accademia delle Scienze di Torino, dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e dall’Università di Torino. Gli articoli che vengono qui presentati sono una rielaborazione delle relazioni presentate in quell’occasione, a cui sono stati aggiunti una serie di documenti biografici ed epistolari inediti o poco conosciuti; appare inoltre una bibliografia completa degli scritti di e su Martinetti. “Martinettismo” torinese, di N. Bobbio: pur non essendo stato professore all’Università di Torino, Martinetti ebbe un ruolo fondamentale per l’educezione intellettuale e morale di almeno tre studenti di questa Università negli anni ’30: Geymonat, Del Noce e lo stesso Bobbio. La cultura filosofica nella Torino di fine Ottocento, di G. De Liguori. Martinetti e i suoi “autori” tedeschi, di S. Poggi: come molte altri pensatori italiani dell’Ottocento, anche Martinetti deve essere interpretato alla luce del confronto, da lui messo in atto, con la filosofia tedesca dell’Ottocento, in particolare con i filosofi dell’età d’oro dell’idealiasmo tedesco, Kant, Hegel e poi, a ritroso od in contrapposizione, Spinoza, Leibniz e Schopenhauer. Tuttavia anche la riflessio- 65 ne tedesca della seconda metà del secolo appare particolarmrnte rilevante per la formazione martinettiana, soprattutto se si considera il “ritorno a Kant” operato dal neocriticismo, sia quello proposto dalla Scuola di Marburgo, sia quello proposto dalla cosiddetta “Scuola sud-occidentale”. La prima e più impegnativa opera di Martinetti, Introduzione alla metafisica, può essere intesa solo alla luce di questo retroterra culturale. L’interpretazione martinettiana di Kant e di Hegel, di M. Ferrari: accanto a Hegel e Kant, nell’Introduzione alla metafisica Martinetti risente della cultura filosofica e scientifica sviluppatasi in Germania in concomitanza con la fioritura della psicologia scientifica. Martinetti e la filosofia indiana, di D. Pastine: l’influsso della cultura filosofica e filologica tedesca sugli interessi per i sistemi filosofici indiani di Martinetti. Storia, mito e simbolo nell’interpretazione del Cristianesimo, di A. Vigorelli: una riflessione su Gesù Cristo ed il Cristianesimo, opera della tarda maturità di Martinetti (1934), a lungo ignorata dalla cultura italiana. Martinetti e la teologia protestante, di M. Miegge: la prospettiva e l’incontroscontro di Martinetti con la cultura teologica protestante, da lui ben conosciuta, in Ragione e Fede (1942) e Gesù Cristo ed il Cristianesimo. AQUINAS Anno XXXVI, n. 2, maggio-agosto 1993 Facoltà di Filosofia Università Lateranense, Roma Archeologia del postmoderno: M. Foucault, di P. Pellecchia: l’articolo ricostruisce il senso dell’archeologia per Foucault. A conception of theoretical biology, di G. Blandino. Leibniz, San Tommaso e la Scolastica, di G. Zingari: l’attenzione di Leibniz per la Scolastica e per San Tommaso non è assolutamente un aspetto secondario della sua filosofia, ma ne costituisce piuttosto uno degli assi portanti, in quanto l’originalità della riflessione leibniziana consiste proprio nella discussione e nel confronto delle questioni della Scolastica con la nuova prospettiva filosofica aperta da Cartesio. Ciencia, dialectica y sofistica. Actualidad del pensamiento aristotelico-tomista en la critica epistemologica, di F. Mihura Seeber. RASSEGNA DELLE RIVISTE Ontosemantica en el umbral de la metafisica (II), di L. V. Burgoa. La metafora della danza in Rilke e Valery, di C. Sandrin. Dall’ideologia alla speranza. Per un umanesimo plenario, di S. M. Palumbieri. Il tema della lingua nelle opere giovanili di Benjamin, di S. Tedesco: il saggio Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo del 1916, testo fondamentale per Ursprung des deutschen Trauerspiels. RIVISTA DI ESTETICA Il problema estetico tra rappresentazione e comprensione: per un’estetica wittgensteiniana, di L. Distaso: l’evoluzione del pensiero di Wittgenstein come avvio ad una riflessione ermeneutica ed estetica. Anno XXXII, n. 40-41 Rosemberg & Sellier, Torino Tema della rivista: “Luigi Pareyson, estetica e ontologia della libertà”. Pareyson dall’estetica all’ontologia, di G. Vattimo: l’articolo intende mostrare come la riflessione estetica di Pareyson non sia un filone marginale del suo pensiero, ma acquisti invece un ruolo centrale sia per quanto riguarda l’ermeneutica e le sue implicazioni ontologiche, sia per l’ “ontologia dell’inesauribile”, ultimo approdo della sua filosofia. Le sporcizie della forma, di U. Eco: una riflessione su una breve pagina dell’Estetica del 1954 (Sottoparagrafo 10, paragrafo 3, capitolo III). Un’estetica dell’eccesso, di M. Perniola: la riflessione dell’ultimo Pareyson. Diderot, Coquelin, Salvini e la nascita di Stanislavskij, di C. Vicentini: in un paragrafo dell’Estetica. Teoria della formatività dal titolo “Interpretazione come conoscenza di forme da parte di persone” troviamo alcune riflessioni essenziali per la comprensione della recitazione teatrale contemporanea. Complessità, interpretazione e pensiero tragico di S. Givone. FENOMENOLOGIA E SOCIETA’ Anno XVI, n. 1, 1993 Edizioni Piemme, Milano La semantizzazione dell’essere nel giovane Heidegger, di U. Regina. Soggettività umana e linguaggio nell’antropologia filosofica e nella filosofia ermeneutica, di F. Bosio: la centralità del linguaggio e della dimensione linguistica nel dibattito contemporaneo apre un possibile incontro tra filosofia ermeneutica e antropologia filosofica. “Scelte tragiche”: fondamenti teorici e implicazioni pratiche della dimensione etica dell’economia politica, di A. Villani: a partire dalla pubblicazione di Teoria della giustizia di Rawls è possibile instaurare un importante dibattito sul rapporto tra etica ed economia. “Il problema kantiano” in antropologia di M. G. Lombardo: la dimensione noumenica kantiana e gli interrogativi che essa pone all’antropologia. Esperienza e metafisica dell’arte. L’estetica di Luigi Pareyson, di G. Carchia: l’Estetica di Pareyson, opera complessa ed eclettica, rappresenta un superamento dell’estetica crociana anche per la drammaticità che la caratterizza e che riflette la drammaticità dell’agire umano ad essa sotteso. Heidegger e il marxismo, di A. Bertin: pur non avendo attuato un confronto diretto con Marx ed il marxismo, la riflessione politica di Heidegger e quella sulla tecnica risentono del ruolo determinante del marxismo. Un’estetica senza opere, di M. Ferraris. Politica e potere: Habermas lettore di Hannah Arendt, di P. Costa. Ivan e Alesa discutono di formatività, di R. Salizzoni: il rapporto tra la teoria della formatività ed il dialogo con Dostoevskij sul problema del male in Dmitrij confuta Ivan (1991). Luigi Pareyson: la realizzazione della libertà, di L. Bagetto: il concetto di “possibilità” in Pareyson. Dmitrij S. Merezkovskij. Fino alla fine del mondo, di N. Caprioglio. Reificazione e teoria dell’agire comunicativo, di E. Donaggio: una riflessione su Teoria dell’agire comunicativo di Habermas. Compiti politici per le persone oneste, di E. Mascitelli: recensione di A. Heller: Oltre la giustizia (Il Mulino, Bologna, 1990). Metafisica ed interpretazione tra stupore e orrore, di L. Bottani: stupore ed orrore tra Vico e Dilthey. 66 PROSPETTIVA PERSONA (Anno II, apri- le-giugno 1993, Demian, Teramo) presenta una serie di articoli dedicati a Simone Weil, in occasione del cinquantesimo anniversario della morte. Lo scopo è quello di rileggere le pagine della pensatrice alla luce dei possibili collegamenti con il neopersonalismo. FILOSOFIA E TEOLOGIA (Anno VII, n. 2, 1993, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli) è dedicata al tema: “Crisi e critica della teodicea”, e presenta un articolo di S. Sorrentino, La ragione filosofica e il problema della teodicea. Libertà di Dio ed esperienza religiosa. Inoltre troviamo L’abbraccio di Ananke. Causa errante ed istinto di morte nel Timeo, di G. Scalera MacClintock e L’attenzione creatrice ed il vuoto in Simone Weil: Un’analisi dei Quaderni di Marsiglia, di A. Putino. THEOLOGIE UND PHILOSOPHIE (Vol. 68, n. 3, 1993, Freiburg, Basel, Wien, Herder Verlag) presenta un articolo di G. Frank, Philipp Melanchthons Idee von der Unsterblichkeit der menschlichen Seele. CULTURA E LIBRI (n. 87, luglio-agosto 1993, Dante Alighieri, Roma) è dedicata al tema: “Il pragmatismo: Europa e America nell’era postmoderna”, e presenta, tra gli altri, articoli su Peirce e Putnam. Sottolineando come il pragmatismo sia stato troppo a lungo ignorato, se non screditato, dagli intellettuali europei e che solo di recente se ne sia colto pienamente il valore, anche attraverso una completa traduzione degli scritti dei maggiori esponenti di questa corrente filosofica, il volume monografico vuole soprattutto evidenziare l’attualità di questa riflessione. Infatti molteplici sono le affinità tra il pragmatismo americano e la prassi ideologica nell’Europa di oggi; in particolare, tratto comune è la tendenza a cogliere un fondamento unitario per le scienze dell’esperienza, l’atteggiamento antimetafisico, e il rifiuto totale dell’idealismo assoluto. In sostanza ne emerge una linea di continuità tra il pragmatismo americano ed il “pensiero debole”. PER LA FILOSOFIA (Anno X, n. 28, maggio-agosto 1993, Massimo, Milano) presenta un articolo di G. Penati, Unità dinamica del sapere e trascendenza dell’assoluto. Compare inoltre Etica e politica in A. Del Noce, di M. Cangiotti e Tendenze interdisciplinari nel pensiero di Enzo Paci, di E. Muzzolon. AESTHETICA (n. 38, agosto 1993, Centro Internazionale Studi di Estetica, Palermo) presenta un volume a carattere bibliografico sul tema: “Sublime antico e moderno”, in cui viene fornito un elenco, selettivo ma sufficientemente esauriente, degli studi critici su questa tematica. NOVITÀ IN LIBRERIA AA.VV Natur als Vorbild. Was können wir von der Natur zur Lösung unserer Probleme lernen? Schulz-Kirchner, novembre 1993 pp. 224, DM 32 AA. VV. Plato’s dialogues. New Studies and Interpretations Rowman & Littlefield novembre 1993 pp. 288, $ 24 Enfatizzando l’interdipendenza delle idee filosofiche, degli elementi drammatici e letterari e del contesto storico e culturale, questa raccolta di saggi di filosofi, filologi e storici, esemplifica sia il pluralismo che le valutazioni condivise dagli studi più recenti sui dialoghi di Platone e sulla sua filosofia. Adorno Archiv (a cura di) Frankfurter Adorno Blätter II Ed. Text + Kritik, novembre 1993 pp. 153, DM 34 Il volume documenta la lezione “Der Begriff der Philosophie”, una delle prime lezioni tenute da Adorno dopo l’esilio. Il volume contiene tra l’altro anche delle ricerche sulla filosofia del linguaggio di Adorno e sulla sua “concezione illuminata dell’arte”. Aleksandrowicz, Dariusz ’Und werdet die Wahrheit erkennen’. Von Hegels Wahrheitslehre zur Philosophie des real existierenden Sozialismus Böhlau, novembre 1993 pp. 128, DM 39 Alt, Karin Weltflucht und Weltbejahung. Zur Frage des Dualismus bei Plutarch, Numenios, Plotin Steiner, settembre-ottobre 1993 pp. 277, DM 98 Althaus, Horst Vita di Hegel Gli anni eroici della filosofia Laterza, dicembre 1993 pp. 580 Un volume che si inserisce nella tradizione germanica delle biografie filosofiche, caratterizzate soprattutto dallo stretto rapporto tra contesto storico, vita del filosofo e sviluppo del suo pensiero. Anne, Chantal L’Amour dans la pensée de Soren Kierkegaard: pseudonymie et polyonymie L’Harmattan, settembre 1993 pp. 143, F 90 L’autrice rivela qui i limiti della logica dell’amore con i quali si è trovato confrontato Kierkegaard, sia nei rapporti tra gli uomini e le donne sia nella dinamica della comunicazione. NOVITÀ IN LIBRERIA Ansaldi, Saverio La Tentative schellingienne: un système de la liberté est-il possible? L’Harmattan, novembre 1993 pp. 174, F 110 La filosofia della libertà di F. Schelling diventa il luogo privilegiato dove agiscono e vengono generate le diverse tensioni speculative del pensiero contemporaneo; dall’ontologia di Heidegger all’immagine ripetitiva di Deleuze, dalla dialettica negativa di Adorno all’agire comunicazionale di Habermas. Apel, K.-O. - Kettner, M. (a cura di) Mythos Wertfreiheit? Neue Beiträge zur Objektivität in den Human und Kulturwissenschaften Campus, novembre 1993 pp. 240, DM 39 L’obiettività scientifica e le valutazioni si escludono a vicenda. Questa tesi appartiene all’eredità lasciata da Max Weber alle scienze che si occupano del comportamento sociale. I paradigmi post-empirici e gli impulsi della teoria critica hanno però ampliato le conoscenze rispetto al ruolo ricoperto dai rapporti di valore. Anselmo Proslogion: allocution sur l’existence de Dieu trad. dal latino di B. Pautrat Flammarion, ottobre 1993 pp. 160, F 31 In questo testo, uno dei più famosi del Medioevo, l’arcivescovo di Canterbury propone un nuovo metodo per dimostrare l’esistenza di Dio, la prova che verrà chiamata metafisica, finché Kant non la chiamerà ontologica. Apel, K.-O. - Kettner, M. (a cura di) Zur Anwendung der Diskursethik in Politik, Recht und Wissenschaft Suhrkamp, novembre 1993 pp. 373, DM 27,80 Aristotele Werke in deutscher Übersetzung a cura di H. Flashar trad. e commento di W. Detel Akademie-Vlg., agosto-set. 1993 DM 168. Ansén, Reiner Defigurationen. Versuch über Derrida Königshausen & Neumann settembre-ottobre 1993 pp. 168, DM 34 Questo studio offre una ricostruzione differenziata e precisa delle problematiche e dei procedimenti della decostruzione di Derrida. Antoniol, Lucie Lire Ryle aujourd’hui: au sources de la philosophie analytique Pref. di T.S. Champlin De Boeck-Wesmael, settembre 1993 pp. 133, F 125 Un’interpretazione originale dell’opera La notion d’esprit, pubblicata nel 1949 dal filosofo e logico britannico Gilbert Ryle (1900-1976). Quest’ultimo, discepolo di Wittgenstein, considerava la filosofia come un’attività tesa ad eliminare le ambiguità del linguaggio comune. 67 Aul, Joachim Die Problemstellung von Kants theoretischer Philosophie Junghans, agosto-settembre 1993 pp. 176, DM 48 Bahm, Archie J. Axiology - Science of Values Rodopi, settembre-ottobre 1993 pp. 134, Fior. Ol. 40 Questo libro espone i principi basilari dell’ axiologia, uno dei maggiori campi dell’indagine filosofica. Questi principi possono esssere scoperti e dimostrati da metodi scientifici. Prendendo in considerazione l’indagine scientifica, il libro porta chiarezza su che cosa sono i valori e come vengono conosciuti. L’autore sostiene che l’axiologia fornisce la base all’etica, come scienza della oughtness. Bailly, Jean-Christophe Adieu: essai sur la mort des dieux Ed. de l’Aube, ottobre 1993 pp. 143, F 82 E’ stato detto che viviamo i tempi della morte degli dei. Ma siamo veramente in grado di non fare più conto su di essi o continuano invece ad aggirarsi intorno a noi come dei morti non sepolti? Una riflessione che riguarda sia la nostra attualità che la nostra letteratura. Baltes, Peter Lebenstechnik. Eine kritische Theorie des Alltags Wissenschaftliche Buchgess. agosto-settembre 1993 pp. 190, DM 22,80 Lo scopo comune all’umanità, di trovare una buona vita e di realizzarla, è raggiungibile, solo se ci sono principi vincolanti ed una struttura di pensiero comune, che valgano per il singolo, per la comunità e per gli Stati. Aristotele De l’âme trad. dal greco di R. Bodéüs Flammarion, ottobre 1993 pp. 288, F 43 Una nuova traduzione di questo grande testo di Aristotele che si inserisce nel progetto di una filosofia della natura il cui oggetto è costituito da tutto ciò che è animato. Balzer, Noel The Human Being as a Logical Thinker Rodopi, settembre-ottobre 1993 pp. 146, Fior. Ol. 45 Lo scopo di questo libro è di spiegare la razionalità umana. I principi fondamentali del pensiero umano vengono enunciati secondo i Principi di Balzer e ne viene illustrata l’operatività nella vita di ogni giorno. Aubenque, Pierre Toredesillas, Alonso (a cura di) Aristote politique: études sur la ‘Politique’ d’Aristote PUF, novembre 1993 pp. 576, F 498 La Politica di Aristotele è di particolare interesse per noi moderni per la limitazione volontaria del suo orizzonte alla dimensione propriamente umana. Gli studi riuniti in questo volume ne testimoniano l’attualità , poiché fanno luce, al di là del corpus aristotelico, sulla riflessione contemporanea riguardante la politica. Barberis, Mauro Introduzione allo studio della filosofia del diritto Il Mulino, novembre 1993 pp. 248, L. 20.000 Le vicende della filosofia del diritto dalla sua apparizione nella Germania di fine Settecento sino all’attuale dibattito, passando per le relazioni allacciate con materie analoghe o omologhe, quali la jurisprudence o la teoria generale del diritto. NOVITÀ IN LIBRERIA Baumanns, P. (a cura di) Realität und Begriff. Festschrift für Jakob Barion Königshausen & Neumann agosto-settembre 1993 pp. 408, DM 86 Becker, Werner Die beiden Grundtypen der Moral Palm und Enke, novembre 1993 pp. 30, DM 18 Belaval, Yvon Etudes leibniziennes: de Leibniz à Hegel Gallimard, ottobre 1993 pp. 406, 52 In questo volume sarà possibile trovare la presa in esame di alcune nozioni fondamentali della lingua tedesca, del fondamento del diritto, dell’epistemologia. Verrà anche considerata l’eredità di Leibniz nel XVIII secolo in Francia, in particolare in Voltaire e Diderot e soprattutto, più tardi, in Germania, in Hegel, sul problema dell’essenza. Benedetto, Croce La mia filosofia a cura di G. Galasso Adelphi, novembre 1993 pp. 250, L. 18.000 L’essenza di Croce raccolta da Croce stesso. Come il filosofo vedeva se stesso e come sapeva illuminare le innervature del suo pensiero. Un’immagine globale della sua opera che trasmette il senso di una cinquantennale riflessione filosofica e storica. Benelli, Gian Carlo Arte, memoria, utopia Antropologia dell’arte e fenomenologia della verità Bonacci, dicembre 1993 pp. 255, L. 25.000 Partendo da una posizione critica nei confronti del Razionalismo e dello Storicismo, vengono affrontati con ottica neoplatonica tre problemi: l’arte come realtà da comprendersi nel momento della sua produzione; la verità come un indicibile che si può soltanto testimoniare; l’utopia come motore della storia. Beppler, Henning Moralische Pflichten und Welthunger. Eine Kritik an Garrett Hardins Lifeboat-Ethik Breitenbach, sett.-ottobre 1993 pp. 141, DM 26 Bertram, Georg W. Verschriebene Rahmung. Das Werk der Kunst an Lukács’ Heidelberger Schriften und eine lebensphilosophische Spur Passagen-Vlg., novembre 1993 pp. 256, ÖS 385 Besnier, Jean-Michel Histoire de la philosophie moderne et contemporaine: figures et oeuvres Grasset, ottobre 1993 pp. 684, F 195 Manuale di consultazione che presenta di volta in volta, in una ventina di pagine, l’insieme di un sistema filosofico. Membro della rivista Esprit, l’autore è titolare della cattedra di Storia delle Idee alla Ecole Centrale. sotto il titolo di Parité de la vie et de la mort. Un esempio significativo della circolazione clandestina delle idee filosofiche nel XVIII secolo. Blondel, Maurice L’Action: essai d’une critique de la vie et d’une science de la pratique, 1893 PUF, novembre 1993 pp. 528, F 92 Attuare la scienza della pratica non significa solamente sviluppare, di fronte al pensiero ponderato, tutto il contenuto della coscienza spontanea, ma è molto di più: è indicare il mezzo per rintegrare nell’operazione voluta tutto quello che si trova al principio dell’azione volontaria. Besnier, Jean-Michel L’Humanisme dechiré Descartes & Cie, novembre 1993 pp. 125, F 89 Disilluso e tragico, paradossale e impaziente, l’umanesimo che ci è concesso d’ora in avanti deve scendere a patti con il pessimismo e con l’indebolimento della nostra volontà di aver un avvenire. Lo può fare senza rischiare di rinnegarsi o di cedere ai miraggi di una saggezza slegata dai tempi in cui viviamo? Boccardi, Daniele Per una filosofia della scienza sperimentale ETS, dicembre 1993 pp. 133 Brandt, R. (a cura di) Autographen, Dokumente und Berichte. Zu Edition, Amtsgeschäfte und Werk Immanuel Kants Meiner, novembre 1993 DM 78 Bialas, Wolfgang Von der Theologie der Befreiung zur Phulosophie der Freiheit. Hegel und die Religion Univ.-Verl., novembre 1993 pp. 172, DM 39 Bielefeldt, Heiner Wiedergewinnung des Politischen. Eine Einführung in Hannah Arendts politisches Denken Königshausen & Neumann agosto-settembre 1993 pp. 110, DM 24,80 Hannah Arendt, ricorrendo all’antica polis cerca di affermare a livello teorico la dignità del “politico” e di metterla al sicuro rispetto al funzionalismo che pervade ormai tutta la moderna società basata sul lavoro. Il proposito di H. Arendt viene dimostrato nell’analisi delle sue opere principali. Brandt, R. - Orlik, F. (a cura di) Philosophisches Denken Politisches Denken Olms, novembre 1993 pp. 270, DM 54 Il volume contiene gli atti del Hermann-Cohen-Kolloquium, tenutosi a Marburg nel 1992. Braun, E. (a cura di) Die Zukunft der Vernunft aus der Perspektive einer nicht metaphysischen Philosophie Königshausen & Neumann agosto-settembre 1993 pp. 320, DM 68 L’unità della ragione, oggigiorno sospettata di metafisica sulla base della storia, messa in discussione nel dibattito sul “Post-moderno” come qualcosa da congedare, sembra ormai che debba essere liquidata e sostituita da una forma di ragione pluralistica. I contributi a questo volume hanno lo scopo di porsi la domanda sul futuro della ragione. Blackburn, Simon Essays in Quasi-realism Oxford UP, settembre-ottobre 1993 pp. 288, £ 17 Questo volume è una collezione dei saggi pioneristici dell’autore sul “quasi realismo”, una posizione filosofica da lui introdotta per la prima volta nel 1980 e che è diventata un’opzione significativa e molto discussa dalla metafisica e dall’etica. Bloch, Olivier (a cura di) Parité de la vie et de la mort: la Réponse du médecin Gaultier Universitas-Voltaire Foundation novembre 1993 pp. 307, F 280 Vengono presentate le quattro versioni di un trattato materialista pubblicato nel 1714 dal medico A. Gaultier con il titolo Réponse en forme de dissertation à un théologien, che circolò poi sotto forma di due manoscritti per ricomparire poi nel 1771 Breil, Reinhold Grundzüge einer Philosophie der Natur. Eine transzendentalphilosophische Untersuchung zur Wissenschaftstheorie und Technikphilosophie Königshausen & Neumann novembre 1993 68 Breton, Stanislas Matière et dispersion J. Millon, ottobre 1993 pp. 192, F 120 Una riflessione sul “Trattato delle due materie” delle Enneadi di Plotino. In questo trattato è contenuto un pensiero che si può ritenere rivoluzionario nella misura in cui esso pone al centro dello spirito una materia intellegibile, necessaria tanto al pensiero quanto ad una libertà causa sui. Brody, T.A. The Philosophy Behind Physics Springer, settembre-ottobre 1993 pp. 350, DM 98 Brody ha sviluppato una teoria dei “cicli epistemici attivi” per spiegare come giungiamo alla conoscenza delle cose. Questa teoria rende giustizia alla ricchezza ed alla complessità della ricerca scientifica, in contrasto rispetto ai resoconti superficiali e scarni frequenti tra i filosofi della scienza che non hanno nessuna reale esperienza della ricerca scientifica. Brunnhuber, Stefan Der dialogische Aufbau der Wirklichkeit. Gemeinsame Elemente im Philosophiebegriff von Martin Buber, Martin Heidegger und Sigmund Freud Roderer, sett.-ottobre 1993 pp. 140, DM 42 Buber, Martin Il principio dialogico e altri saggi San Paolo, novembre 1993 pp. 337, L. 40.000 I testi fondamentali della filosofia dialogica di Buber, una filosofia tra le più radicali e rigorose del nostro secolo. Bürger, Peter Die Tränen des Odysseus Roder, settembre 1993 DM 79 Esiste una terza soluzione vicino alla tradizione razionalista illuminista e la sua messa in discussione post-strutturalista? Esiste un rapporto con la teoria che non perpetui la concezione di teoria tradizionale e non pretenda di oltrepassarla? Le lacrime di Odisseo forniscono la risposta a queste domande: attraverso i mezzi dell’immaginazione. Nel momento in cui le teorie vengono raccontate, queste assumono uno status diverso. Buridan, Jean Sophismes trad. di Joël Blard Vrin, novembre 1993 pp. 301, F 198 J. Buridan, nato verso il 1300, morto dopo il 1358, insegnò alla Faculté d’Arts di Parigi dove si rese famoso per la sottigliezza delle sue analisi logiche. Il suo proposito era di chiarire le ambiguità contenute nelle frasi, NOVITÀ IN LIBRERIA di differenziare il significato di un termine a seconda del posto che occupa nella proposizione e di fare della critica del linguaggio uno studio preliminare ad ogni indagine filosofica. Burr, John R. World Philosophy A Contemporary Bibliography Greenwood, sett.-ottobre 1993 pp. 416, £ 71.95 Questa bibliografia fornisce l’elenco dei più importanti scritti filosofici pubblicati a livello mondiale tra il 1976 e il 1992. Il volume comprende un totale di quasi 4000 voci di libri e monografie, la maggior parte dei quali corredati da brevi annotazioni e descrizioni. Burri, A. - Freudiger, J. (a cura di) Realtivismus und Kontextualismus Realitivism and Contextualism. Festschrift für Henri Lauener Editions Rodopi, sett-ottobre 1993 pp. 312, FL 100 Busch, Elmar Viele Subjekte, eine Person. Das Gehirn im Blickwinkel der Ereignisphilosophie A.N. Whiteheads Königshausen & Neumann settembre-ottobre 1993 pp. 200, DM 48 Bushuven, Siegfried Ausdruck und Objekt. Wilhelm Wundts Theorie der Sprache und seine philosophische Konzeption ursprünglicher Erfahrung Waxmann, agosto-settembre 1993 pp. 235, DM 49 Callaway, H. G. Context for Meaning and Analysis. A Critical Study of Language Ed. Rodopi, novembre 1993 pp. 200, FL 60 Questo libro è un studio critico della tradizione analitica all’interno della filosofia del linguaggio, da Frege e Russel fino a Quine e Davidson. Vengono in particolar modo illustrati degli aspetti centrali per i concetti di significato ed analisi. Camizzi Montecchi, Annamaria Croce e Gentile. Moralità e eticità Angeli, novembre 1993 pp. 208, L. 28.000 Il bonomio filosofico Croce-gentile che dominò la cultura italiana del primo ventennio di questo secolo si spezzò clamorosamente con l’avvento del Fascismo. Il saggio vuole mettere in evidenza, oltre le radici filosofiche del dissidio, le regioni della lunga collaborazione tra i due filosofi e la necessità che il loro sodalizio si sciogliesse proprio in quel momento della vita nazionale. Cancik, H. - Cancik-Lindemaier H. (a cura di) Nietzsches vierte Unvollendete ’Wir Philologen’. Entwürfe und Vorarbeiten Metzler, novembre 1993 pp. 280, DM 98 L’opera teatrale Wir Philologen merita il massimo della considerazione dal punto di vista storico e testuale, in quanto testo chiave del passaggio di Nietzsche dalla filologia alla filosofia. Fino a questa edizione, le opere complete di Nietzsche presentavano questo testo in maniera inadeguata. Forte di una doppia esperienza in campo filosofico e letterario, l’autore ha voluto chiarire i rapporti esistenti tra queste due dimensioni del linguaggio. Inscrivendosi nella corrente fenomenologica, Clemens rinterroga i principi filosofici insiti nel linguaggio per metterne in evidenza i tratti costitutivi. Coreth, Emerich et al. (a cura di) Philosophie des 20. Jahrhunderts Kohlhammer, agosto-settembre 1993 pp. 244, DM 26 Si tratta della seconda edizione, riveduta e corretta di un libro di testo di storia della filosofia. Challemel-Lacour, Paul Etudes et réflexions d’un pessimiste, 1862; Un Bouddhiste contemporain en Allemagne, Arthur Schopenhauer Fayard, ottobre 1993 F 180 Challemel-Lacour appartiene ad una generazione di filosofi formatisi negli istituti universitari voluti da Victor Cousin. Bandito dalla Francia nel 1851, insegna all’estero e, al suo ritorno, sette anni più tardi, intrapprende la carriera politica. Nel suo libro presenta grandi scrittori: Shakespeare, Byron, Pascal e soprattutto Schopenhauer. Couloubaritsis, Lambros Wunenburger, Jean-Jacques (a cura di) La Couleur Ousia, novembre 1993 pp. 382, F 160 Raccoglie una parte dei testi presentati durante un convegno tenutosi a Digione e a Bruxelles. La diversità del simbolismo del colore non può essere interpretata secondo dei sistemi di riferimento univoci, poiché la simbologia che si ricollega al colore è diversa da una cultura all’altra. In compenso il suo utilizzo è universale e caratterizza una delle esperienze più importanti dell’uomo. Charlesworth, Max Bioethics in a Liberal Society Cambridge UP, sett.-ottobre 1993 £ 27.95 Charlesworth sostiene che, visto che non può esserci un consenso pubblico su una serie di valori fondamentali, le società liberali accettano una varietà di prese di posizioni religiose e non religiose, politiche e morali. Egli ritiene che debba esistere anche una pluralità di prese di posizione etiche. Craemer-Ruegenberg, I. Speer, A. (a cura di) Scientia und ars im Hoch und Spätmittelalter de Gruyter, novembre 1993 pp. 1065, DM 580 Nell’alto e tardo medioevo ebbe luogo una modificazione del concetto di educazione e di scienza che è testimoniato dalla trasformazione, significativa dal punto di vista storico e concettuale, da ars a scientia. Quello che prima era un modo di conoscenza unitario, un Wissen, si trasformò in una molteplicità di diverse scienze. Chignola, Sandro Società e costituzione Teologia e politica nel sistema di Bonald Angeli, ottobre 1993 pp. 256, L. 38.000 Louis de Bonald (1754-1840), notabile e filosofo, è l’autore del progetto di definire un complessivo système de la societé, una prima, significativa approssimazione al tentativo di composizione “metodologica” tra analisi storica e scienza sociali. Il volume cerca di ricostruire il processo di definizione degli assetti logici del système e di verificare come l’approdo bonaldiano alla nozione di “costituzione naturale” definisca un esito originale nel panorama controrivoluzionario francese. Craig, Edward Was wir wissen können: pragmatische Untersuchungen zum Wissensbegriff Suhrkamp, sett.-ottobre 1993 pp. 148, DM 16,80 Il volume raccoglie le lezioni su Wittgenstein tenute all’Università di Bayreuth. D’Aosta, Anselmo Proslogion In difesa dello stolto Gaunilone di Marmoutiers e Risposta di S. Anselmo Scuola, dicembre 1993 pp. 143, L. 15.000 Significato e contenuti fondamentali dell’opera, collocata nell’ambito culturale di Anselmo d’Aosta. La fama dello scritto, dovuta principalmente alla dimostrazione dell’esistenza di Dio, ha sollevato discussioni tra i filosofi di tutti i tempi. Clemens, Eric La Fiction et l’apparaître Albin Michel, novembre 1993 F 150 69 Dahlstrom, Daniel O. Das logische Vorurteil Passagen-Vlg., novembre 1993 pp. 368, ÖS 490 Damast, Thomas Jaen-Paul Sartre und das Problem des Idealismus. Eine Untersuchung zur Einleitung in ‘L’être et le néant’ Akademie-Vlg., novembre 1993 pp. 270, DM 124 De Chamfort, Nicolas Massime e pensieri introd. di Albert Camus Rizzoli, ottobre 1993 pp. 728, L. 15.000 Questa tormentata raccolta di “Massime” illustra con inarrivato acume il volto più oscuro e nevrotico del XVIII secolo; alle dense formule di Chamfort dobbiamo il privilegio di un’osservazione assolutamente indipendente sui fatti che condussero alla Rivoluzione, analizzati alla luce di una sensibilità così vigile da far apparire sovraumane le sue intuizioni. Si spiega insomma il fascino che l’autore ebbe a esercitare nel tempo sui suoi pochi lettori: fra tutti Chateaubriand, Stendhal, Schopenhauer e Nietzsche. De Luca, Stefano Constant Laterza, dicembre 1993 pp. 200, L. 22.000 Personaggio multiforme, teorico politico, storico e filosofo delle religioni, letterato di successo, pubblicista e oratore brillante, Constant rappresenta una delle più interessanti figure del periodo che va dalla Rivoluzione del 1789 a quella del 1830. De Sanctis, Francesco Schopenhauer e Leopardi Ibis, novembre 1993 pp. 96, L. 12.000 La filosofia di Schopenhauer e la poesia di Leopardi sono espressioni emblematiche della cultura romantica dell’Ottocento e il significato che esprimono oltrepassa i limiti temporali per rappresentare quello che è il disagio stesso della modernità, l’angoscia profonda dell’uomo. Il libro, pubblicato nel 1858 nella “Rivista contemporanea” e ripreso nei Saggi critici, mette in luce le analogie che legano questi due autori. Deleuze, Gilles Critique et clinique Minuit, ottobre 1993 pp. 187, F 85 Analizza come un’altra lingua si crea nella lingua in maniera tale che il linguaggio nel suo complesso tenda verso il suo limite oppure verso ciò che è al di fuori del linguaggio stesso. Prende inoltre in considerazione come la psicosi e la realtà del delirio NOVITÀ IN LIBRERIA si inseriscono in questo percorso; come ciò che sta al di fuori del linguaggio è fatto di percezioni visive e uditive non esprimibili attraverso la lingua, ma che solo il linguaggio rende possibili. Eckensberger, L.H. Gähde U. (a cura di) Ethische Norm und empirische Hypothese Suhrkamp, settembre-ottobre 1993 pp. 384, DM 27,80 Derrida, Jacques La Dissémination Seuil, settembre 1993 pp.460, F 54 Terza opera filosofica, dopo La Pharmacie de Platon e La Double séance, questo saggio studia in particolare il lavoro della differenza semantica come differenza seminale. Eisenhardt, P. - Kurth, D. (a cura di) Emergenz und Dynamik. Naturphilosophische Grundlagen einer Nichtstandard-Topologie Junghans, agosto-settembre 1993 pp97, DM 30 Döring, Kl. - Ebert, Th. (a cura di) Dialektiker und Stoiker. Zur Logik der Stoa und iher Vorläufer Steiner, settembre-ottobre 1993 pp. 350, DM 148 Dreier, Wilhelm Umkehr zur Zukunft. Sozialethische Wegzeichen in ein postkolonialistisches Zeitalter Breitenbach, agosto-settembre 1993 pp. 255, DM 41 Dumont, Jean-Paul (a cura di) Eléments d’histoire de la philosophie antique Nathan, ottobre 1993 pp. 773, F 198 Quest’opera si propone di offrire agli studenti delle scuole e delle università un accesso diretto ai testi e di garantire ad un pubblico più vasto la possibilità di basare l’approfondimento delle proprie conoscenze direttamente su fonti, che spesso rimangono poco accessibili. Duso, Giuseppe (a cura di) Il contratto sociale nella filosofia politica moderna Angeli, novembre 1993 pp. 416, L. 38.000 Studio dedicato alla logica che la costruzione contrattualistica ha nel giusnaturalismo moderno. La ricerca tende a determinare il significato specifico che i concetti vengono ad assumere in ragione delle reciproche relazioni che hanno nel contesto teorico più ampio della moderna scienza politica. Eagleton, Terry Che cos’è l’ideologia Saggiatore, ottobre 1993 pp. 320, L. 32.000 Il volume affronta una delle questioni centrali del nostro tempo: la contraddizione tra la fine delle certezze ideologiche e il sopravvivere, comunque, dell’ideologia. Epitteto Entretiens: livres I à IV trad. di J. Souilhé e Armand Jagu Gallimard, novembre 1993 pp. 364, F 78 Epitteto è, insieme a Seneca e Marco Aurelio, una delle grandi figure dello stoicismo dei primi due secoli della nostra era. Gli appunti di queste conversazioni e lezioni sono noti come il Manuale di Epitteto. Fallot, Jean Cette mort qui n’est pas une Presses universitaires de Lille novembre 1993 pp. 216, F 120 Riflessioni sullo stato di morte apparente, sotto l’aspetto metafisico e ideologico: i necrologi nell’Antichità, la morte falsa nel Medio Evo, la morte imperfetta secondo l’Enciclopedia, la morte clinica o relativa alla nostra epoca. Elepfandt, A. - Wolters G. (a cura di) Denkmaschinen? Interdisziplinäre Perspektiven zum Thema Gehirn und Geist Universitätsvlg Konstanz novembre 1993 pp. 240, DM 58 Fastenrath, Heinz Kurswissen Religionskritik. Ein Abriß atheistischer Grundpositionen: Feuerbach, Marx, Nietzsche, Sartre Klett, settembre-ottobre 1993 pp. 175, DM 26,80 Eming, Knut Die Flucht ins Denken. Die Anfänge der platonischen Ideenphilosophie Meiner, sett.-ottobre 1993 pp. 158, DM 64 Con l’interpretazione analitica di Platone, la filosofia delle idee è di nuovo il fulcro di una critica logico-ontologica. Il punto di vista platonico viene presentato e chiarificato sulla base di modelli logici moderni. Fetz, R. L. - Rath, M. Schulz, P. (a cura di) Studien zur Philosophie von Edith Stein K. Alber, novembre 1993 pp. 360, DM 96 Si tratta degli atti del InternationalesEdith-Stein-Symposion tenutosi a Eichstatt nel 1991. Emondts, Stefan Menschwerden in Beziehung. Eine religionsphilosophische Untersuchung der medizinischen Anthropologie Viktor von Weizsäckers Intr. C.F. v. Weizsäacker frommann-holzboog agosto-settembre 1993 pp. 600, DM 88 Flasch, Kurt Was ist Zeit? Augustinus von Hippo. Das XI. Buch der ‘Confessiones’. Historisch-philosophische Studie. Klostermann, novembre 1993 pp. 460, DM 68 Questo volume, che comprende il testo dell’undicesimo libro delle Confessioni, la traduzione in tedesco ed un commento, non ha un’impostazione filosofico-storica, ma analizza la teoria del tempo di Agostino nellla sua qualità di campo di indagine per la storia del pensiero. Epicuro Lettre sur le bonheur: lettre a Ménécee trad. di X. Bordes Mille et une nuits, ottobre 1993 pp. 32, F 10 Prima di condannare i principi del piacere che governerebbero il mondo, bisogna leggere Epicuro. Forschner, Maximilian Über das Glück des Menschen. Aristoteles, Epikur, Stoa, Thomas von Aquin, Kant Wiss. Buchgess., agosto 1993 pp. 156, DM 34 Tramite le teorie filosofiche classiche della felicità che vengono qui presentate, l’autore vuole riaprire la discussione filosofica sugli obiettivi dell’essere umano. Epicuro Massime Epicure ou le Bonheur sans retour Acte sud: Labor: Aire novembre 1993 pp. 51, F 33 Le Massime, il fulcro del pensiero di Epicuro, pubblicate qui separatamente rispetto al resto dell’opera del filosofo e in una traduzione del XVIII secolo, vengono accompagnate da un commento, la cui ambizione è di eliminare il malinteso intorno al sistema filosofico epicureo, troppo spesso ridotto ad un semplice modo di vivere edonista. Freise, Kristin Die Abtreibungsproblematik im Spannungsfeld zwischen Moral, Recht und Politik Breitenbach, sett-ottobre 1993 pp. 191, DM 35 70 Fresco, M.F. (a cura di) Farns Hemsterhuis (1721-1790). Quellen, Philosophie und Rezeption Lit, settembre-ottobre 1993 pp. 450, DM 58,80 Frewer, A. - Rödel C. (a cura di) Person und Ethik. Historische und systematische Aspekte zwischen medizinischer Anthropologie und Ethik Palm & Enke, sett.-ottobre 1993 pp. 140, DM 28 Contiene i resoconti del 1˚ Convegno di studio dell’Etica nella medicina, tenutosi a Erlangen nel 1992. Frossard, André L’Homme en questions Stock, ottobre 1993 F 98 Seguendo la stessa formula di Dieu en questions, che lasciava molto spazio all’obiezione, questo libro parla dei problemi che vengono presentati alla nostra coscienza sia dalla vita quotidiana sia dalla situazione a livello mondiale: dal dramma somalo alle pretese di purificazione etnica... Si tratta di argomenti della morale, della ragione e dell’esperienza. Gadamer, Hans-Georg Gesammelte Werke Vol. 8: Ästhetik und Poetik I. Kunst als Aussage J.C.B. Mohr, novembre 1993 pp. 470, DM 68 Gardeya, Peter Platone Philebos. Interpretation und Bibliographie Königshausen & Neumann agosto-settembre 1993 pp. 42, DM 24 Gargani, Aldo, G. Der Text der Zeit. Denkkonstruktionen einer Autobiographie. Trad. dall’italiano Campus, novembre 1993 pp. 130, DM 38 Gargani mostra un mondo di costellazioni esistenziali inquietanti, all’interno del quale le allusioni alle formulazioni delle domande - così come vengono considerate da Heidegger, Wittgenstein, Lyotard e George Steiner divengono delle pietre miliari che permettono una mediazione tra esperienze personali e filosofia. Gebauer, G. (a cura di) Die Aktualität der Sportphilosophie The Relevance of the Philosophy of Sport Academia-Verlag, novembre 1993 pp. 296, DM 58 Contiene gli atti dell’assemblea annuale della Philosophic Society for Study of Sport tenutasi a Berlino nell’ottobre del ’92, dal titolo The Relevance of the Philosophy of Sport. NOVITÀ IN LIBRERIA Georgopoulis, N. (a cura di) Tragedy and Philosophy Macmillan Press, sett-ottobre 1993 pp. 288, £ 40 Attraverso diversi saggi, viene sviluppato un tema centrale: il rapporto tra la filosofia e la tragedia. Vengono fornite interpretazioni originali della tragedia ed approcci nuovi a punti di vista tradizionali ed innovative concezioni filosofiche. Grau, Gerd-Günther Kritik des absoluten Anspruchs. Nietzsche - Kierkegaard - Kant Königshausen & Neumann agosto-settembre 1993 pp. 140, DM 29,80 L’autore, partendo dalla filosofia di F. Nietzsche e dalla sua globale critica della conoscenza, analizza e critica le possibili forme di pretesa di assolutezza nella filosofia. Gil, Thomas Ethik Metzler, novembre 1993 pp. 130, DM 24,80 Nella sua introduzione cronologica all’etica filosofica, Gil ricostruisce i più importanti modelli argomentativi etici. Greisch, Jean Comprendre et interpréter: le paradigme herméneutique de la raison Beauchesne, novembre 1993 pp. 432, F 190 Si tratta di uno studio sull’ermeneutica, dal XIX secolo ai giorni nostri. Givsan, H. - Schmied-Kowarzik (a cura di) Reflexionen zur geschichtlichen Praxis. Helmut Fleischer zum 65. Geburtstag Königshausen & Neumann agosto-settembre 1993 pp. 346, DM 48 Con questo volume, contributi di diversi autori tendono a commemorare il lavoro in campo filosofico di Helmut Fleischer. Gli autori, ognuno dal proprio punto di vista, offrono un approccio ai temi di filosofia della storia, di etica, di prasseologia o di antropologia in genere, che sono in rapporto con l’opera di Helmut Fleischer. Grondin, Jean L’Horizont herméneutique de la pensée contemporaine Vrin, novembre 1993 pp. 288, F 190 L’ermeneutica, interrogata dai problemi del relativismo e del linguaggio, potrebbe anche liberarci dal dominio che essi hanno su di noi. E’ con questo spirito che le ricerche raccolte in questo volume si propongono di verificare il futuro del versante ermeneutico della fenomenologia. Good, Paul Heraklit in Kunst und Philosophie. Drei Beispiele Rimbaud, agosto-settembre 1993 pp. 96, DM 35 Gräfrath, Bernd Ketzer, Dilettanten und Genies. Grenzgänger der Philosophie Junius, agosto-settembre 1993 pp. 400. DM 58 Un viaggio di esplorazione pieno di sorprese tra i pensatori contro corrente e di confine appartenenti alla “corporazione dei pensatori”. Qui la filosofia è come dovrebbe essere: individualista, divertente, irriverente, libera dalle costrizioni accademiche. Granarolo, Philippe L’Individu éternel: l’expérience nietzschénne de l’éternité Vrin, ottobre 1993 pp. 176, F 147 L’esperienza paradossale della visione del ritorno eterno. Grassi, Lodovico Jacques Maritain Giunti, dicembre 1993 pp. 240, L. 20.000 Habib, Claude Mouchard, Claude (a cura di) La Démocratie à l’oeuvre: autour de Claude Lefort Esprit, novembre 1993 pp. 70 Häfner, Ansgar Sehnsucht - Affekt und Antrieb. Begriff, Struktur und praktische Bedeutung K. Alber, novembre 1993 pp. 290, DM 76 Haken, H, et altri (a cura di) The Machine as Metaphor and Tool Springer, settembre-ottobre 1993 pp. 200, DM 48 Fino a che punto esistono dei limiti all’applicazione di modelli meccanicistici per la descrizione e la comprensione dei fenomeni vitali? Questo volume tratta della funzione stimolante e problematica delle macchine in numerose discipline delle scienze naturali. Hausmanninger, Thomas (a cura di) Christliche Sozialethik zwischen Moderne und Postmoderne Schöningh, novembre 1993 pp. 240, DM 38 Questo volume offre, da una parte, un compendio che presenta i nuovi principi e le nuove tendenze dell’etica sociale cristiana, arricchendo quindi la discussione sui fondamenti di quest’etica; dall’altra parte viene fornito un fondamento discorsivo al bisogno di ricerca di vie d’uscita dalla crisi dell’epoca moderna. Guarini, Ruggero Il pensiero quotidiano Piccolo sillabario filosofico per tutti Rizzoli, ottobre 1993 pp. 290, L. 15.000 Il libro è diviso in voci, come una piccola enciclopedia filosofica. L’ambizione dell’autore è insieme umile e sfrenata: farsi capire da tutti senza incoraggiare troppo la poltroneria mentale dei lettori della domenica. Hegel, Georg Wilhelm Freidrich Vorlesungen über die Philosophie der Religion. Parte 1˚: Einleitung. Der Begriff der Religion A cura di W. Jaeschke Meiner, settembre-ottobre 1993 pp. 365, DM 38 Guerraggio, A. - Nastasi, P. Gentile e i matematici italiani Lettere 1907-1943 Bollati Boringhieri, novembre 1993 pp. 260, L. 25.000 Matematica, cultura e potere nell’Italia postunitaria. Hegel, Georg Wilhelm Friederich Phénomenologie de l’esprit trad. di Jarçzyk e Labarrière Gallimard, novembre 1993 pp. 928, F 295 Uno degli scritti maggiori della storia della filosofia, che rileva già in maniera eminente la piena maturità di Hegel. Gusdorf, Georges Le Romantisme 2 voll. Payot, ottobre 1993 pp. 1600, F 280 Il romanticismo di G. Gusdorf è una rivoluzione culturale la cui attualità permanente mette in discussione la situazione dell’uomo nell’universo, il suo rapporto con Dio, con il mondo, con la storia e con se stesso. La verità religiosa, la verità scientifica e la verità umana modificano il loro significato ed il loro valore. G. Gusdorf, filosofo e storico delle idee, è l’autore di una grande collana, Les Sciences humaines et la pensée occidentale. Questi due volumi comprendono i quattro tomi di questa collana, che l’autore ha dedicato al romanticismo. Heidelberger, Michael Die innere Seite der Natur. Gustav Theodor Fechners wissenschaftlich-philosophische Weltauffassung Klostermann, novembre 1993 pp. 458, DM 118 Questo testo tratta sia della filosofia della scienza e della natura di Fechner, sia delle conclusioni che egli ne trasse ed applicò al suo lavoro nel campo delle scienze naturali. 71 Heinrich, Richard Wittgesteins Grenze. Essay Deuticke, agosto-settembre 1993 pp. 144, ÖS 198 In questo saggio, R. Heinrich collega le prospettive della filosofia con quelle dell’estetica letteraria e della critica d’arte, per illustrare - tramite l’esempio di L. Wittgenstein - il cambiamento del concetto di critica nel momento della tensione tra il razionalismo ed il sorgere dell’epoca moderna. Held, Kl. - Henningfeld, J. (a cura di) Kategorien der Existenz. Festschrift für Wolfgang Janke Königshausen & Neumann settembre-ottobre 1993 pp. 480, pp. 98 Il volume ha per tema il cambiamento dall’analisi delle categorie tradizionali a quella orientata in senso esistenziale. L’analisi viene svolta in una prospettiva sia storica che obiettiva. Hellerich, Gert Wider die Moderne. Die Postmoderne und Abweichungen Die Blaue Eule, agosto-sett. 1993 pp. 170, DM 48 Hermanni, Friederich Die letzte Entlastung. Vollendung und Scheitern des abendländischen Theodizeeprojektes in Schellings Philosophie Passagen-Vlg., novembre 1993 pp. 304, ÖS 420 Hirsch, Eli Dividing Reality Oxford UP, settembre-ottobre 1993 pp. 304, £ 32.50 Questa monografia identifica ed esplora un dilemma filosofico che l’autore chiama “il problema della divisione”. Si tratta del problema di fornire una spiegazione al perché la lingua divida la realtà in un modo piuttosto che in un altro o a quale sia la base razionale delle lingue che contiene certi tipi di parole. Hobbes, Thomas Oeuvres Vol I: De la liberté et de la nécessité; Réponse à ’La Capture de Léviathan’: controverse avec Bramhall Vrin, novembre 1993 pp. 294, F 198 Nella prima parte, redatta nel 1646, Hobbes esamina le conseguenze etiche delle sue posizioni filosofiche, opposte all’idea del libero arbitrio, e rifiuta il libro pubblicato da Bramhall l’anno precedente, La cattura del Leviatano. Il secondo testo, apparso nel 1682, costituisce l’ultimo episodio della controversia. NOVITÀ IN LIBRERIA Hong, Seong-Ha Phänomenologie der Erinnerung Königshausen & Neumann agosto-settembre 1993 pp. 256, DM 64 Il lavoro si occupa della fenomenologia del ricordo di Husserl in una prospettiva di sviluppo storico. Hornung, E. - Schabert, T. (a cura di) Strukturen des Chaos W. Fink, agosto-settembre 1993 pp. 200, DM 48 Nei contributi a questo volume, che spaziano dalle concezioni degli inferi per gli antichi Egizi alla fisica moderna e che includono anche la mistica e lo gnosticismo, viene sempre evidenziato il doppio aspetto del caos: esso uccide e ridà vita, distrugge e nutre, annienta e rigenera. Horst, Althaus Vita e opere di Hegel Laterza, dicembre 1993 pp. 650, L. 58.000 Una biografia filosofica caratterizzata dallo stretto rapporto tra contesto storico, vita del filosofo e sviluppo del suo pensiero. Attraverso varie fonti vengono ricostruiti i continui spostamenti di Hegel e i contatti con gli intellettuali dell’epoca: Kant, Fichte, Goethe. Hubeny, Alexandre L’Action dans l’oeuvre de Hannah Arendt: du politique à l’éthique Larousse, novembre 1993 pp. 159, F 95 Un’analisi attraverso la politica e l’etica, l’individuo e la collettività, la libertà, la memoria e l’esperienza e che propone una riflessione sulla dimensione politica dell’esistenza umana. Huber, Wolfgang Die tägliche Gewalt. Gegen den Ausverkauf der Menschenwürde Herder, agosto-settembre 1993 pp. 192, DM 32 Il famoso studioso di etica Wolfgang Huber si confronta con le cause della violenza. Egli mostra soprattutto che cosa possiamo fare per contrastare la crescente freddezza, che sta alla base della violenza. Hubig, C. Technik- und Wissenschaftsethik. Ein Leitfaden Springer, settembre-ottobre 1993 pp. 250, DM 58 In questo libro vengono discussi i principi di un’etica della tecnica e della scienza e vengono trattati i problemi di una sua trasposizione nella pratica. La responsabilità individuale del tecnico o dello scienziato ed i criteri di valutazione per i necessari modi di agire richiedono anche premesse istituzionali per l’assunzione di responsabilità. Huppenbauer, Markus Mythos und Subjektivität. Aspekte neutestamentalicher Entmythologisierung im Anschluß an Rudolf Bultmann und Georg Picht J.C.B. Mohr, agosto-settembre 1993 pp 240, DM 150 L’apertura nei confronti del mito e l’accettazione del mito greco negli anni 80 cercava di rendere giustizia all’essenza del mito. E’ comunque possibile, nella situazione di un Illuminismo ormai compiuto, non sottoporre il mito ai propri meccanismi di pensiero moderni? Kant, Immanuel Saggio sulle malattie della mente Ibis, novembre 1993 pp. 64, L. 10.000 La grande attenzione che Kant ebbe sempre per il dibattito scientifico del suo tempo, appare con chiarezza da questo breve Saggio, pubblicato nel 1764, in cui analizza le manifestazioni e le cause della malattia psichica. Kekes, John The Morality of Pluralism Princenton UP, agosto-sett. 1993 pp. 240, $ 18 Sostenendo che una buona vita deve essere ragionevole e negando che si debba conformare ad un unico vero modello, Kekes sviluppa e giustifica un resoconto pluralistico di vite e valori buoni ed enuclea le implicazioni politiche, morali e personali. Irrgang, Bernhard Lehrbuch der evolutionären Erkenntnistheorie. Evolution, Selbstorganisation, Kognition UTB, novembre 1993 pp. 250, DM 32,80 Kellinghusen, Elisabeth Wir graben den Tunnel von Babel. Kritik der Totalität eine subversive Vertiefung der Gedankengänge Franz Kafkas Passagen Verl., agosto-sett. 1993 pp. 192, ÖS 280 Jünger, Hans-Dieter Mnemosyne und die Musen. Vom Sein des Erinnerns bei Hölderlin Königshausen & Neumann agosto-settembre 1993 pp. 350, DM 68 Questo studio fenomenologico svela - in diretto dialogo con la tarda produzione poetica di Hölderlin ed i suoi antenati greci - la sostanza del ricordo poetico come un’esperienza diretta della verità dell’essere nel suo significato costitutivo per la filosofia e la poesia. Kernal, Salim et al.(a cura di) Explanation and Value in the Arts Cambridge UP, sett.-ottobre 1993 pp. 236, £ 35 Una raccolta di studi di storici dell’arte, teorici della letteratura e filosofi su argomenti centrali per la spiegazione di opere letterarie e pittoriche. Il testo considera questi argomenti come fonte di interesse per le belle arti e prende in considerazione il ruolo dell’ideologia. Kann, Christoph Die Eigenschaften der Termini. Eine Untersuchung zur ‘Perutilis Logica’ Alberts von Sachsen E.J. Brill, settembre-ottobre 1993 pp. 208, FL 85 Kettering, E. (a cura di) Verantwortlich Mensch sein. Ein philosophisches Symposion zu Ehren von Richard Wisser v. Hase und Koehler, novembre 1993 pp. 168, DM 25 Raccoglie gli atti del simposio in onore di Richard Wisser. Kant, Emmanuel Fondements de la métaphysique des moeurs trad.di V. Delbos LGF, ottobre 1993 pp. 252, F 30 I commenti presentano questo testo chiave della filosofia di Kant, mostrandone le implicazioni ed i significati. Kierkegaard, Soren Stadi sul cammino della vita a cura di Ludovica Koch Rizzoli, novembre 1993 pp. 750, L. 80.000 Il testo di Kierhegaard, capolavoro sconosciuto in Italia, venne scritto tra il 1843 e il 1845, in una specie di follia creativa, durante la quale compose anche Aut aut, Timore e tremore, Il concetto di angoscia. Il libro è una imitazione e una parodia sinistra del Simposio di Platone. Kant, Emmanuel Leçons sur la théorie philosophique de la religion LGF, ottobre 1993 pp. 343, F 50 Quando Kant tiene queste lezioni, il suo pensiero è in una fase di maturazione completa e si assiste quasi “in diretta” all’evoluzione delle sue idee rispetto alle tesi difese da Kant ne La critica della ragion pura. Un ampio capitolo è dedicato all’analisi di questo testo ed al significato profondo delle idee di Kant sulla religione. Contiene anche un glossario delle espressioni latine e greche. Kimmich, Dorothee Epikureische Aufklärungen. Philosophische und poetische Konzepte der Selbstsorge Wiss. Buchges., agosto-sett. 1993 pp. 400, DM 89 72 Klibanski, Raymond Pears, David (a cura di) La philosophie en Europe Gallimard, ottobre 1993 pp. 814, F 68 In quest’opera sarà possibile trovare degli inventari, suddivisi per paesi, delle tendenze e delle problematiche filosofiche ed un compendio del dialogo tra pensatori e intellettuali al di là delle frontiere nazionali e culturali europee. Klibansky, R. - Regen Fr. Die Handschriften der philosophischen Werke des Apuileius. Ein Beitrag zur Überlieferungsgeschichte Vandenhoecke & Ruprecht settembre-ottobre 1993 pp. 232, DM 95 Köhnke, Klaus Christian Entstehung und Aufstieg des Neukantismus. Die deutsche Universitätsphilosophie zwischen Idealismus und Positivismus Suhrkamp, settembre 1993 pp. 624, DM 34,80 Kolmer, P. - Korten, H. (a cura di) Grenzebestimmungen der Vernunft. Philosophische Beiträge zur Rationalitätsdebatte K. Alber, novembre 1993 pp. 460, DM 96 Il libro, dedicato a Hans Michael Baumgarten in occasione del sessantesimo anniversario della sua nascita, offre un vivo ritratto delle definizioni contemporanee del concetto di ragione. Kross, Matthias Klarheit als Selbstzweck. Wittgenstein über Philosophie, Religion, Ethik und Gewißheit Akademie-Verlag, ottobre 1993 pp. 276, DM 68 Kubes-Hofmann, Ursula Das unbewußte Erbe. Weiblische Geschichtslosigkeit zwischen Aufklärung und Frühromantik. Mit einem Nachwort zu Hannah Arendt Wiener Frauenvlg agosto-settembre 1993 pp. 240, ÖS 288 Kuhlmann, Hartmut Schellings früher Idealismus. Ein kritischer Versuch Metzler, novembre 1993 pp. 344, DM 58 Lachelier, Jules Fondaments de l’induction Presse-Pocket, settembre 1993 F 44 Jules Lachier si situa all’inizio della storia della filosofia francese contemporanea. Questa edizione permette di rileggere i suoi sag- NOVITÀ IN LIBRERIA gi più importanti, corredati da una prospettiva critica. Lampert, Laurence Nietzsche and Modern Times. A Study of Bacon, Descartes and Nietzsche Yale UP, agosto-settembre 1993 pp. 480, $ 40 Se si riconoscono Bacone e Cartesio come legislatori dell’epoca moderna in un senso specificatamente nietzschiano, si può anche considerare Nietzsche in un modo diverso: come il primo pensatore che ha capito l’epoca moderna e l’ha trascesa in una visione del mondo post-moderna. Largeault, Jean Intuition et intuitionisme Vrin, novembre 1993 pp. 238, F 198 Quale dei due modi di arrivare alla verità, attraverso la percezione diretta e attraverso la deduzione, deve controllare l’altro? Il disaccordo tra gli intuizionisti e i deduttivisti si manifesta nella metodologia delle scienze matematiche. Il volume, che contiene anche la traduzione di due testi di L.E.J. Brouwer (188811966), dimostra come egli abbia dato un’espressione sistematica ed unitaria ai principi intuizionisti. Largeault, Jean La Logique PUF, novembre 1993 pp. 128, F 40 La logica è diventata una disciplina complessa, che si ramifica un una molteplicità di campi e di metodi. Il volume prende in considerazione la teoria dei modelli, della dimostrazione, della decisione, la complessità algoritmica ed altri argomenti. Lask, Emil Die Logik der Philosophie und die Kategorienlehre. Eine Studie über den Herrschaftsbereich der logischen Form Mohr, settembre-ottobre 1993 pp.312, DM 59 In questa terza edizione, con una postfazione di F. Kaulbach, una delle più importanti opere tra Neokantismo e Heidegger, viene ripresentata in edizione commentata. Lateigne, Josette La Question du jugement L’Harmattan, settembre 1993 pp. 255, F 144 L’opera è suddivisa in quattro capitoli: “La teoria kantiana dei giudizi analitici e dei giudizi sintetici”, “Lo studio compar ato di Kant e Wittgenstein”; “La critica wittgensteiniana”; “Giudicare per pensare in modo vero, secondo Jacques Poulain”. Lavelle, Louis La Conscience de soi C. de Bartillat, ottobre 1993 pp. 311, F 80 Lavelle è uno dei grandi maestri del pensiero cristiano del nostro secolo. In questo capolavoro di erudizione filosofica, scritto verso il 1824, Leopardi evidenzia alcuni aspetti scottanti riguardanti l’attualità italiana di quegli anni: la mancanza di coesione nazionale, il cinismo generalizzato, la messa in dubbio dell’esistenza stessa dell’Italia. Lecourt, Dominique A quoi sert donc la philosophie? PUF, novembre 1993 pp. 304, F 174 Non esistono domande che non riguardino per qualche aspetto il pensiero nel suo complesso e che non sollecitino l’interrogazione filosofica. E’ possibile riscoprirlo oggigiorno anche a proposito delle domande scottanti sollevate, per esempio, dalle nuove teorie fisiche, dagli scenari cosmologici, dalla messa in opera del genio genetico. Lessing, U. - Mutzenbecher, A. (a cura di) J. König - H. Plessner: Briefwechsel 1923-1933 K. Alber, novembre 1993 pp. 280, DM 68 Il volume comprende anche un saggio epistolare di König su Plessner, Die Einheit der Sinne. Libera, Alain de La Philosophie médiévale PUF, novembre 1993 pp. 512, F 149 Il volume inquadra all’interno del loro contesto di origine le dottrine ed i sistemi filosofici del Medio Evo, avvicinandosi al pensiero bizantino, arabo-musulmano, ebreo e latino. Leibniz, Gottfried Wilhelm Thomasius Jakob Correspondances: 1663-1672 a cura di Richard Bodéüs Vrin, novembre 1993 pp. 366, F 174 J. Thomasius, professore all’università di Lipsia, è stato il primo maestro di Leibniz. Questa corrispondenza, presentata qui per la prima volta in maniera esaustiva, rivela le principali preoccupazioni del giovane filosofo e consente di apprezzare il punto di partenza delle sue riflessioni, in particolar modo di quelle riguardanti la fisica. Linares, Filadelfo Einblicke in Hugo Grotius’ Werk ’Vom Recht des Krieges und des Friedens’ Olms, novembre 1993 pp. 81, DM 48 Longuenesse, Béatrice Kant et le pouvoir de juger PUF, novembre 1993 pp. 512, F 380 Si tratta di una lettura dell’Analitica trascendentale (il secondo libro della Critica della ragion pura): dall’analisi delle forme logiche del giudizio all’elucidazione del loro rapporto con le sintesi percettive. Lenain, Thierry Pour une critique de la raison ludique: essai sur la problématique nietzschéenne Vrin, novembre 1993 pp. 196, F 160 Dall’epoca moderna a quella postmoderna, il progetto ludico, inteso da Nietzsche come un’esperienza di emancipazione radicale rispetto ai principi esteriori, ha costituito la componente principale della cultura delle avanguardie. Ma qual’è la sua attualità oggi? Losev, Aleksej F. Dialektik des Mythos Meiiner, settembre-ottobre 1993 pp. 200, DM 48 Lenk, Hans Interpretationskonstrukte. Zur Kritik der interpretatorischen Vernunft Suhrkamp, novembre 1993 pp. 620, DM 98 Il costruzionismo interpretativo fu agli inizi concepito come principio metodologico e venne poi sviluppato. Può essere però anche visto come un approccio interpretativo kantiano trascendentale sulla scia della teoria della conoscenza tradizionale, quasi una teoria della conoscenza di un essere culturale e simbolico, l’essere umano. Losurdo, Domenico Autocensure et compromis dans la pensée politique de Kant Presses universitaires de Lille novembre 1993 pp. 210, F 130 Le ambiguità e le “duplicità” della teoria politica di Kant permettono di mantenere l’immagine di un pensatore essenzialmente preoccupato di difendere l’ordine stabilito? Non si tratta piuttosto di un segno di autocensura e di una ricerca di compromesso con le forze al potere, imposti a tutti i pensatori progressisti dal contesto tedesco dell’epoca? Leopardi, Giacomo Discours sur l’état des meours des Italiens trad. di Michel Orcel Allia, novembre 1993 pp. 100, F 80 Lucrezio De rerum natura - De la nature trad. di J. Kany-Turpin Aubier, ottobre 1993 pp. 551, F 160 73 Questo poema, diviso in sei canti, si ispira al materialismo di Epicuro ed è l’unica opera di Lucrezio conosciuta. Luhmann, Niklas Das Recht der Gesellschaft Suhrkamp, novembre 1993 pp. 640, DM 58 Nei singoli capitoli di questo volume vengono trattati in prevalenza temi classici della teoria e della sociologia del diritto. Per esempio il problema delle forme di validità del diritto, il senso della giustiza e le forme argomentative giuridiche, la funzione dei tribunali all’interno del sistema giuridico ed in particolar modo in rapporto all’entrata in vigore del diritto dal punto di vista legislativo e contrattuale. Lukasiewicz, Jan Über den Satz des Widerspruchs bei Aristoteles Trad. dal polacco Olms, novembre 1993 pp. 252, DM 98 Macann, Christopher Martin Heidegger Routledge, novembre 1993 pp. 1472, £ 350 Questa raccolta di interventi su Mertin Heidegger include articoli classici ed altri redatti in occasione della pubblicazione di questo volume. Magnus - Magnus - Stewart Nietzsche’s Case. Philosophy as/and Literature Routledge, agosto-settembre 1993 pp. 350, £ 13 Questo studio della filosofia e della letteratura mette a confronto testi di Nietzsche con il Nuovo Testamento, con testi di Sidney, Spenser, Milton, Shakespeare, Browning, Coleridge, Wordsworth, Blake e Lawrence nonché con testi di filosofia classica e di critica da Platone a Derrida. Maier, H. - Rusconi G.R. Schöllgen, G. - Vajda M. Wiehel, R. Wiederkehr der Geschichte? Vadenhoeck & Ruprecht novembre 1993 pp. 105, DM 40 Maine de Biran Oeuvre Correspondace philosophique Maine de Birane - Ampère Vrin, ottobre 1993 Mainusch, H. (a cura di) Einheit und Wissenschaft pp. 200, DM 28 Gli autori investigano intorno alla questione se, la diffusa accettazione dell’esistenza di “due culture”, cioè della divisione tra le scienze della natura e dello spirito non sia solo sbagliata, ma possa anche essere pericolosa. NOVITÀ IN LIBRERIA Mann, Heinrich Nietzsche Saggiatore, ottobre 1993 pp. 96, L. 12.000 Scritto nel 1938, questo testo esegue una difesa del pensiero di Nietzsche da un lato utilitaristicamente usato dalla propaganda nazista, dall’altro attaccato dagli intellettuali progressisti. Mann interpreta l’itinerario del filosofo alla luce del rapporto con Wagner e insistendo sulla critica alla cultura tedesca. Maor, Eli All’infinito e oltre Storia culturale del concetto di infinito Mursia, dicembre 1993 pp. 304, L. 48.000 Il ruolo del concetto di infinito in matematica e geometria, l’impatto culturale sulle arti e sulle scienze. La profonda impressione che da sempre l’infinito ha esercitato sulla mente umana. Martinus, Angelicus Über di Verpflichtungen De obligationibus A cura di Franz Schupp Meiner, settembre-ottobre 1993 pp. 170, DM 86 I trattati logici medioevali De obligationibus gettarono le basi per la formazione del metodo dell’argomentazione ipotetica, la forma basilare e centrale per il pensiero scientifico dell’epoca moderna. Mengue, Philippe Gilles Deleuze Belfond, novembre 1993 pp. 350, F 140 Il volume contiene un saggio di presentazione e il riassunto, l’analisi ed il commento delle opere di Deleuze, prese in considerazione una per una da parte dell’autore. Methling, Alexander Das Realitätsproblem im Denken Schopenhauers. Eine Untersuchung zur Struktur seines Systems Shaker, settembre-ottobre 1993 pp. 196, DM 119 Meyer, Theo Nietzsche und die Kunst UTB, novembre 1993 pp. 487, DM 36,80 Nella prima parte Meyer illustra gli aspetti fondamentali della concezione dell’arte di Nietzsche: il rapporto tra vita dionisiaca, estetica della creazione e perspettivismo, la posizione reciproca delle arti e delle forme di poesia, il rapporto tra Nietzsche e Wagner, il processo artistico di Nietzsche. Nella seconda parte viene evidenziato l’influsso di Nietzsche a partire dalla letteratura del Naturalismo passando attraverso i classici dell’epoca moderna e fino ai contemporanei. Millon-Delsol, Chantal L’Esprit européen Mamme, novembre 1993 pp. 256, F 95 In questo saggio, Chantal MillonDelsol, professore di filosofia politica e direttore del Centro di Studi Europei dell’Università di Marne-laVallée, cerca di mettere in evidenza la cultura europea, cioè la maniera specifica in cui la cultura dà un senso al mondo, alla vita e a se stessa. Missa, Jean-Noël L’Esprit-cerveau: la philosphie de l’esprit à la lumière des neurosciences Vrin, novembre 1993 pp. 266, F 198 Si tratta di un’indagine filosofica attraverso le filosofie ed i campi di ricerca più interessanti delle neuroscienze contemporanee. J.N. Missa, indagando sulla percezione e il riconoscimento visivo, la visione cieca, il cervello diviso, l’intenzionalità, il darvinismo neurale e su altri argomenti, mette in evidenza l’apporto delle neuro-scienze alla filosofia dello spirito. emergere un rapporto di ordine essenziale e di ordine costruttivo fra metafora, significato e conoscenza scientifica. Uno studio di come diverse tradizioni etiche trattano il problema fondamentale morale degli affari internazionali. Mourel, Pierre (a cura di) Démocrite et l’atomisme ancien: les textes et les thèmes fondamentaux de la philosophie et de la science Press-Pocket, settembre 1993 F 33 Benché si sappia poco della vita di Democrito di Abdera, il contemporaneo di Socrate, la sua influenza sulla filosofia del XIX secolo è comunque stata considerevole. Nida-Rümelin, Julian Kritik des Konsequentialismus Oldenburg, novembre 1993 pp. 197, DM 78 Il consequenzialismo è una concezione razionale che consiglia: “scegli le azioni i cui effetti sono ottimali”. Müller, Wolfgang, E. Albert Schweitzers Kulturphilosophie im Horizont säkularer Ethik de Gruyter, agosto-settembre 1993 pp. 331, DM 148 Raccoglie delle analisi sull’importanza dell’etica del profondo rispetto della vita di Albert Schweitzer. Müller-Seyfarth (a cura di) ’Die modernen Pessimisten als décadents’. Von Nietzsche zu Horstmann. Texte zur Rezetionsgeschichte von Philipp Mainländers Philosophie der Erlösung Königshausen & Neumann settembre-ottobre 1993 pp. 148, DM 39,80 Mistrorigo, Luigi Carl Schmitt Dal “decisionismo” al ”nomos della terra” Ed. Studium, dicembre 1993 L. 27.000 In questo libro vengono analizzate le principali tematiche e provocazioni schmittiane; dalla critica al “romanticismo politico” alla teologia politica; dal concetto di “politico” alla sfida dell’eccezione quale presupposto del suo “decisionismo”. Munz, Peter Philosophical Darwinism. On the Origin of Knowledge by Means of Natural Selection Routledge, agosto-settembre 1993 pp. 272, £ 35 Il volume esamina la conoscenza alla luce della biologia ed in particolare della teoria della selezione naturale di Darwin. Munz sostiene che l’acquisizione della conoscenza è un diritto ininterrotto, dalla protozoa fino alle teorie scientifiche più avanzate. Mittmann, Jörg-Peter Das Prinzip der Selbstgewißheit. Fichte und die Entwicklung der nachkantischen Grundsatzphilosophie Athenäum Hain Hanstein novembre 1993 pp. 218, DM 64 Monk, Ray Ludwig Wittgenstein: le devoir du génie O. Jacob, ottobre 1993 F 220 Questo volume presenta una biografia e uno studio dell’opera del noto logico austriaco naturalizzato britannico, nato a Vienna nel 1889 e morto a Cambridge nel 1951: il suo percorso personale, i suoi rapporti tesi con l’ambiente filosofico inglese, in particolare con Bertrand Russell, il suo scetticismo e il suo pessimismo. Montuschi, Eleonora Le metafore scientifiche Angeli, novembre 1993 pp. 144, L. 24.000 Diverse teorie ed analisi della metafora scientifica, presentate, confrontate e commentate, con lo scopo di far 74 Niessen, Stefan Traum und Realität: ihre neuzeitliche Trennung Königshausen & Neumann settembre-ottobre 1993 pp. 324, DM 68 Questo libro analizza la storia delle interpretazioni dei sogni e delle teorie sui sogni da Omero a Kant e colloca la svolta cartesiana riguardante la concezione del sogno nel contesto generale della storia della coscienza. Nietzsche, Friederich Oeuvres Laffont, novembre 1993 pp. 3105, F 318 Una critica radicale delle basi kantiane della conoscenza e del razionalismo scientista. Novalis Opera filosofica Einaudi, dicembre 1993 pp. 869, L. 85.000 Nozick, Robert The Nature of Rationality Princenton UP, agosto-sett. 1993 pp. 232, $ 25 In questo volume Nozick continua la sua ricerca sui rapporti tra la filosofia e l’esperienza “comune”. Nello stile accessibile e vivo che ormai i suoi lettori si aspettano da lui, Nozick offre un’ardita teoria della razionalità, quella tradizionalmente tesa a fissare il “carattere speciale” dell’umanità. Musso, Paolo Rom Harré e il problema del realismo scientifico Angeli, novembre 1993 pp. 208, L. 28.000 Sono qui affrontati tutti i principali temi dell’epistemologia contemporanea, dal problema del realismo a quello del metodo, dal dibattito tra verificazionismo e falsificazionismo a quello tra razionalismo e irrazionalismo, dal ruolo della logica alle rivoluzioni scientifiche, fino al funzionamento degli esperimenti cruciali e ai problemi posti dai più recenti sviluppi della scienza dei sistemi complessi. Nuzzo, A. (a cura di) La logica e la metafisica di Hegel Nis, dicembre 1993 pp. 168, L. 27.000 Nardi, Terry et al. (a cura di) Traditions of International Ethics Cambridge UP, sett-ottobre 1993 pp. 342, £ 16.95 Oehler, Klaus Charles Sanders Peirce C.H. Beck, novembre 1993 pp. 180, DM 24 O’Donohue, John Person als Vermittlung. Die Dialektik von Individualität und Allgemeinheit in Hegels ’Phänomenologie des Geistes’. Eine philosophisch-theologische Interpretation Matthias-Grünewald-Vlg. agosto-settembre 1993 pp. 490, DM 56 NOVITÀ IN LIBRERIA Oehler presenta un’introduzione completa a Peirce, che riesce però ad approfondire sia le circostanze della sua vita, che i suoi rapporti con Kant, la sua teoria della conoscenza, il suo concetto di realtà, la sua teoria del segno, l’estetica, l’etica e la filosofia della religione, come pure i suoi accenni relativi alla cosmologia evoluzionistica. Ollmann, Bertell Dialectical Investigations Routledge, agosto-settembre 1993 pp. 208, £ 13 Un’introduzione di base alla dialettica ed una stimolante esposizione della sua applicazione ad una vasta gamma di fenomeni sociali e storici. In questo volume l’autore presenta sei casi di metodo dialettico in azione. Opocher, Enrico Lezioni di filosofia del diritto Cedam. ottobre 1993 pp. 320, L. 38.000 Seconda edizione: La filosofia del diritto, Momenti essenziali nella storia della coscienza giuridica dell’Occidente, Tre riflessioni sul diritto come valore. Palous, Radim Das Weltzeitalter. Eine Hypothese über das Ende der Europäischen Epoche und über den Anfang des Weltzeitalters Academia-Vlg, agosto-sett. 1993 pp. 128, DM 29,50 Panikkar, Raimon Saggezza stile di vita Giunti, dicembre 1993 pp. 192, L. 20.000 Secondo l’autore di questo saggio ai confini tra etica, religione e filosofia morale, è il nostro modello culturale a impedire il raggiungimento di quella completezza conoscitiva che costituisce la saggezza. Nell’ambito individuale la saggezza riuscirà a trovare la propria “dimora” laddove sapranno formarsi una piena presa di coscienza e una serena accettazione della propria vita. Parrochia, Daniel Philosophie des réseaux PUF, ottobre 1993 pp. 304, F 198 In che direzione va la società moderna? Si troverà in una situazione simile ad una rete intricata, oppure dovrà fronteggiare una qualche rilevante catastrofe? Oppure ci aspetta un controllo progressivo di questo universo fluido della comunicazione, nel quale siamo entrati, nel bene e nel male? Un filosofo si interroga. Pasqua, Hervé Introduction à la lecture de ‘Etre et temps’ de Martin Heidegger Age d’homme, ottobre 1993 pp. 184, F 120 Si è dovuto aspettare fino al 1985 per poter avere una traduzione integrale , realizzata da E. Martineau, di Sein und Zeit, pubblicato per la prima volta nel 1927. Questo studio ha lo scopo di facilitare l’accesso a questo testo, ritenuto difficile. Papajorgis, Kostis Der Rausch. Ein philosophicher Aperitif Trad. dal greco moderno Klett-Cotta, novembre 1993 pp. 175, DM 38 Papi, Fulvio Capire la filosofia Ibis, novembre 1993 pp. 128, L. 18.000 Capire la filosofia è un problema che nasce in una piega del complicato mondo del “se stessi” quando un desiderio di pensiero, non importa come, si fa strada tra gli itinerari dell’esperienza e i luoghi del senso comune. Ma poi? Poi bisogna saper ascoltare il tessuto filosofico dei testi, imparare le loro lingue, saper ripetere i loro percorsi fedeli al loro significato. Patella, Giuseppe Graciàn o della perfezione Ed. Studium, dicembre 1993 L. 24.000 Questo lavoro si presenta come una riflessione sul pensiero del gesuita spagnolo, proponendosi da un lato come una ipotesi interpretativa, che cerca di cogliere il significato essenziale di tale pensiero all’interno delle complesse coordinate della cultura del Barocco, e dall’altro come un 75 tentativo di chiarificazione storiografica in un’ampia considerazione degli aspetti etico-politici, estetico-filosofici di tale riflessione. Perko, Gudrun Aufschlüsse der Einbildungskraft. Auswirkungen und Wirkungsweisen der Phantasie Centaurus, agosto-settembre 1993 pp. 112, DM 24 Perry, John ’The Problem of the Essential Indexical’ and Other Essays Oxford UP, agosto-settembre 1993 pp. 352, £ 32 Questa raccolta di saggi presenta diversi aspetti dell’opinione dell’autore sulla filosofia del linguaggio e la filosofia della mente. Egli discute i problemi legati ai self-locating beliefs, quelle convinzioni che si esprimono con gli indexicals ed i dimostrativi come “io” e “questo”. Pettit, Philip (a cura di) Consequentialism Dartmouth, sett.-ottobre 1993 pp. 500, £ 60 Quest’opera si occupa dei tutti gli aspetti del consequenzialismo; include infatti: l’utilitarismo, l’alienazione, le richieste della moralità, il consequenzialismo restrittivo, le azioni alternative, una guida oggettivista ai valori soggettivi, un’opera recente sui limiti dell’obbligo ed altro. NOVITÀ IN LIBRERIA Philenko, Alexis Lecture de la ‘Phénomelogie’ de Hegel: Préface, Introduction Vrin, novembre 1993 pp. 258, F 198 Nel volume è possibile trovare il riassunto dei testi che sono serviti da supporto alle lezioni consacrate a Hegel e tenute alla Facoltà di Lettere dell’Università di Rouen nel 199192. Secondo A. Philenko, lo spessore speculativo di Hegel era l’espressione di un pensiero coerente e chiaro che i commentatori hanno complicato inutilmente. Phillips, D.Z. Wittgenstein and Religion Macmillan, sett.-ottobre 1993 pp. 240, £ 15 Le esplorazioni delle nozioni centrali della tarda filosofia di Wittgenstein sono destinate ad influire sul dissidio tra fede ed ateismo, linguaggio e rituale, male e teodicee, sulla comprensione dell’esperienza religiosa, sui miracoli e la possibilità di una filosofia cristiana. Phillips, Derek L. Looking Backward. A Critical Appraisal of Communitarian Thought Princenton UP, agosto-sett. 1993 pp. 280, $ 35 Phillips, prendendo in considerazione l’importanza della comunità per la nostra vita politica e morale attuale, fornisce la prima critica esauriente delle affermazioni storiche, spesso nostalgiche, che percorrono le versioni dominanti della filosofia comunitaria. Picht, Georg Geschichte und Gegenwart. Vorlesungen und Schriften Introd. di E. Schulin Klett-Cotta, novembre 1993 pp. 142, DM 68 Pieper, Hans-Joachim ’Anschaung’ als operativer Begriff Eine Untersuchung zur Grundlegung der transzendentalen Phänomenologie Edmund Husserls Meiner, settembre-ottobre 1993 pp. 308, DM 86 Con un intervento critico immanente questo libro rende trasparente la struttura dei tentativi di impostazione di Husserl. Vengono così alla luce le premesse implicite nel metodo e le sue contraddizioni immanenti. Pinchard, Bruno - Ricci, Saverio (a cura di) Rationalisme analogique et humanisme théologique: la culture de Thomas de Vio, Il Gaetano Actes/colloque de Naples 1er-3 nov. 1990 Vivarium, novembre 1993 pp. 393, F 264 Il testo raccoglie degli studi in lingua italiana, francese e spagnola (presentati nel corso del convegno, tenutosi a Napoli dal 1˚ al 3 novembre ’93) su Tommaso Cajétan, il commentatore domenicano dell’opera di Tommaso d’Aquino. Durante il suo soggiorno a Padova nel 1491, Tommaso Cajétan si inserisce nei dibattiti tra averroisti, scotisti e tomisti. Nel 1498, a Pavia, redige l’Analogia dei nomi e raggiunge il punto più alto della sua riflessione sui fondamenti della metafisica. Una delle opere fondamentali dell’importante filosofo razionalista. Poulain, Jacques La Neutralisation du jugement ou la Critique pragmatique de la raison politique L’Harmattan, settembre 1993 pp. 268, F 140 La critica pragmatica sviluppata da K.O. Apel e J. Habermas intende rigenerare la vita etica e politica, regolandola attraverso la potenza critica del consenso. Per l’autore, questa etica neutralizza ogni giudizio personale, mentre solo l’esercizio del giudizio politico può restituire alla vita politica la sua forza di emancipazione. Platone Protagora Tr. di M. Trédeé e P. Demont LGF, settembre 1993 F 30 Protagora viene pregato da Socrate di dare una definizione della sofistica. Segue in dialogo sulla politica, la virtù e la poesia. Al testo di Platone sono state aggiunte le proposte di Protagora riportate dalla tradizione. I commenti e le note sono adatatte agli studenti del liceo e a quelli del primo ciclo. Prigogine, I. - Stengers, I. Das Paradox der Zeit. Zeit, Chaos und Quanten Piper, settembre-ottobre 1993 pp. 320, DM 48 Recentemente dalle scienze naturali ci sono venute nuove, entusiasmanti teorie che ci aiuteranno a comprendere meglio il tempo. Prigogine e Stengers mostrano come è nato il paradosso del tempo, quali conseguenze ha avuto e come l’instabilità ed il caos contribuiranno a risolvere il paradosso del tempo. Platone Le sophiste trad. di N. L. Cordero Flammarion, ottobre 1993 pp. 320, F 40 Oltre alla critica della sofistica, il primo tema del dialogo, viene dibattuto il problema dell’essere e non essere, che si conclude con la distruzione dell’assioma di Parmenide. Prodi, Enrico Quale metodo per la scienza? Angeli, novembre 1993 pp. 664, L. 75.000 Alle svariate proposte alternative, volte a determinare criteri per la scelta razionale del metodo scientifico, si contrappone la più classica meta-metodologia assiologica che fa dipendere la giustificazione del metodo dalla sua relazione con lo scopo della scienza. Plumpe, Gerhard Ästhetische Kommunikation der Moderne. Vol. 2: Von Nietzsche bis zur Gegenwart Westdt. Vlg., sett-ottobre 1993 pp. 270, DM 52 Il secondo volume approfondisce la scientifizzazione e la politicizzazione della teoria dell’arte nel contesto storico dell’avanguardia e tematizza il ritorno della grande filosofia estetica nel nostro secolo, che riprende i leitmotiv della filosofia dell’arte romantica. Quéré, Louis La théorie de l’action: le sujet pratique en débat Ed. du CNRS, ottobre 1993 pp. 342, F 190 Come è possibile rendere conto delle azioni umane? Questa domanda, che era già centrale per la filosofia greca, continua ad alimentare i dibattiti contemporanei nel settore delle scienze umane e sociali. Plutarco Le contraddizioni degli stoici Rizzoli, ottobre 1993 pp. 454, L. 16.000 Questo scritto, nato per confutare e distruggere il pensiero degli Stoici, è diventato una delle poche fonti del pensiero dei filosofi di questa scuola. Infatti, per dimostrare gli errori degli Stoici, Plutarco espone le loro posizioni e cita passi delle loro opere. La presente edizione si distingue per l’ampio commento di Marcello Zanatta cui si devono pure l’introduzione e la traduzione. Rademacher, Claudia Versöhnung oder Verständigung. Kritik der Habermasschen Adorno-Revision zu Klampen, agosto-settembre 1993 pp. 120, DM 28 Ränsch-Trill, Barbara Harlekin. Zur Ästhetik der lachenden Vernunft Olms, novembre 1993 pp. 228, DM 39,80 Popper, Karl R. Objektive Erkenntnis. Ein evolutionärer Entwurf Hoffmann & Campe, agosto 1993 pp. 432, DM 28 76 Raters-Mohr, Marie-Luise Intensität und Widerstand. John Deweys ‘Art as Experience’ als philosophisches System, als politischer Appell und als Theorie der Kunst Bouvier, agosto-settembre 1993 pp. 260, DM 48 Reale, Giovanni Zu einer neuen Interpretation Platons. Eine Auslegung der Metaphysik der großen Dialog im Lichte der ‘ungeschriebenen Lehren’ trad. dall’italiano Schöningh, settembre-ottobre 1993 pp. 640, DM 128 Rehberg, K.-S. (a cura di) Arnold Gehlen Gesammtausgabe Vol. III: Der Mesch, seine Natur und seine Stellung in der Welt Klostermann, novembre 1993 pp. 960, DM 148 Questa edizione critica include l’opera completa, edita nel 1940. Reiter, Peter Der Seele Grund. Meister Eckhart und die Tradition der Seelenlehre Königshausen & Neumann settembre-ottobre 1993 pp. 564, DM 98 Questo lavoro riunisce in sé una visione d’insieme sviluppata dal punto di vista argomentativo e acuta da quello speculativo ed una collocazione filosofico-storica sicura e meticolosamente ancorata al testo. Rella, Franco Miti e figure del moderno Feltrinelli, ottobre 1993 pp. 176, L. 13.000 Nella dissoluzione dei miti e delle ideologie che poggiavano sui presupposti della razionalità classica, il moderno appare come disgregazione, “evanescenza dei limiti del mondo”. E così lo percepirono anche i filosofi, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Rella ci offre un affascinante percorso attraverso la costellazione dei nuovi miti e delle nuove enigmatiche figure emerse negli ultimi centocinquant’anni della civiltà europea. Renaut, Alain Sartre: le dernier philosophe Grasset, ottobre 1993 pp. 252, F 120 L’Etre et le néant fu pubblicato nel dicembre del 1933. A cinquantanni di distanza da questa pubblicazione, l’impossibilità di concepire un progetto della stessa portata costiuisce il migliore approccio negativo alla nostra situazione filosofica. Nel volume ci si interroga sulla condizione filosofica alla fine del XX secolo. NOVITÀ IN LIBRERIA Rescher, Nicholas Warum sind wir nicht klüger? Der evolutionäre Nutzen von Dummheit und Klugheit Hirzel, novembre 1993 pp. 96, DM 29 L’essere umano rimane ancora legato al punto di partenza dell’evoluzione biologica dello spirito e della natura: il fatto che la nostra scienza e la nostra matematica siano applicabili alla realtà, che noi siamo così stupidi (o così intelligenti) come siamo, ha la sua origine nella naturalezza sociale e biologica dell’essere umano. Reusswig, Fritz Natur und Geist. Grundlinien einer ökologischen Sittlichkeit nach Hegel Campus, novembre 1993 pp. 256, DM 68 Al centro dell’argomentazione è collocato il concetto della soggettività, che viene interpretata come una constellazione formata da natura, individuo e società. Reusswig enuclea i principi di una teoria delle istituzioni riflessive e di una integrità ecologica nelle opere di Hegel. Ricken, Friedo Geschichte der Philosophie. Von der Antike bis zur Gegenwart Kohlhammer, novembre 1993 pp. 1166, DM 120 Ricoeur, Paul Il male Una sfida alla filosofia e alla teologia Morcelliana, dicembre 1993 L. 10.000 In pagine intessute di finezza ermeneutica e rigore teoretico, Ricoeur disegna da un lato una fenomenologia del male: la sofferenza, la pena, il peccato, l’intreccio di male subìto e male commesso. D’altro lato ricostruisce il formarsi dell’onto-teologia e delle sue diverse teodicee. Rivenc, François Recherches sur l’universalisme logique: Russel et Carnap Payot, ottobre 1993 pp. 312, F 195 Studio delle rivoluzioni concettuali della logica tra il 1900 e il 1950, attraverso le ricerche di Russel e Carnap, che vengono presentate in maniera chiara e rigorosa e collocate nel loro contesto storico. F. Rivenc non si nasconde dietro agli autori che studia, ma prende posizione sugli argomenti presentati. Rodotà, Stefano (a cura di) Questioni di bioetica Laterza, novembre 1993 pp. 440 Scienziati, giuristi e filosofi di tutto il mondo, direttamente impegnati nella ricerca, dialogano sulle implicazioni sociali ed etiche nei campi dell’ingegneria genetica e della biomedica. Rohbeck, Johannes Technologische Urteilskraft. Zu einer Ethik technischen Handels Suhrkamp, nocvembre 1993 pp. 312, DM 22,80 Ruben, David-Hillen (a cura di) Explanation Oxford UP, agosto-sett.1993 pp. 328, £ 10 Una raccolta dei più importanti scritti sulla natura della spiegazione. Il volume copre un ampio spettro di argomenti, dalla filosofia della scienza fino all’argomento filosofico centrale della teoria della conoscenza. Rohrhirsch, Ferdinand Letzbegründung und Traszendentalpragmatik. Die Kommunikationsgemeinschaft in der Kritik Bouvier, agosto-settembre 1993 pp. 200, DM 54 Con la dimostrazione di una ragione che si assoggetta a se stessa all’infinito, il ricorso di Apel alla società della comunicazione ideale diventa superfluo. La storicità della ragione viene valutata in modo nuovo, nella sua importanza per i concetti di fondazione. Runzo, Joseph (a cura di) Is God Real? Macmillan, agosto-settembre 1993 pp. 288, £ 40 Questa raccolta di saggi affronta il dibattito contemporaneo sul realismo teologico. Esiste una realtà trascendente e divina indipendente dal pensiero umano? Il libro presenta un dialogo tra realisti e non realisti, attraverso saggi di importanti sostenitori di entrambe le fazioni. Rorty, Richard Scritti filosofici Vol. II a cura di Aldo G. Gargani Laterza, ottobre 1993 pp. 300 Il linguaggio, i rapporti tra filosofia e letteratura, i temi etico-politici: il contributo di un eminente studioso ai temi più attuali del pensiero filosofico. Rusterholz, P. - Svilar, M. (a cura di) Welt der Zeichen Welt der Wirklichkeit Haupt, agosto-settembre 1993 pp. 150, DM 49 Relazioni del congresso di Münchenwil e della serie di lezioni del Collegio Generale dell’Università di Berna tenutesi nel semestre estivo dell’anno 1992. Rosen, Stanley The Question of Being. A Reversal of Heidegger Yale UP, agosto-settembre 1993 pp. 368, $ 38 Stanley Rosen propone una nuova interpretazione della metafisica, che si oppone alle dottrine tradizionali attaccate da Heidegger, da una parte, e dai filosofi contemporanei influenzati da Heidegger dall’altra. Ruß, Hans G. Der neue Mystizismus. Östliche Mystik und moderne Naturwissenschaft im New AgeDenken Königshausen & Neumann settembre-ottobre 1993 pp. 96, DM 24,80 Sänger, Monika Kurswissen praktische Philosophie Ethik. Grundpositionen der normativen Ethik Klett, settembre-ottobre 1993 pp. 179, DM 26,80 Rosset, Clément Logique du pire: élements pour une philosophie tragique PUF, novembre 1993 pp. 192, F 55 In questa nuova edizione del volume di Rosset, viene descritta nella maniera più precisa possibile - ed ecco il perché dell’espressione logique du pire (“logica del peggio”) - ciò che può essere l’estasi filosofica di fronte allo spettacolo di avvenimenti tragici o dettati dal destino. Savater, Fernando Invito all’etica Sellerio, novembre 1993 pp. 156, L. 22.000 La scoperta della responsabilità e dell’identità, la scoperta del soggetto, oltre e contro il Fato e il Cosmo degli antichi. Un’indagine sui fondamenti della certezza morale e del razionalismo dell’azione umana. Roviello, Anne-Marie Weymbergh, Maurice (a cura di) Hannah Arendt et la modernité Vrin, settembre 1993 pp. 173, F 120 Il pensiero di H. Arendt, sempre in tensione tra il ritiro legato allo stupore filosofico e l’impegno appassionato del giudizio, ci ricorda la dignità ontologica del politico, il luogo fondamentale della questione del senso, secondo il filosofo. Savigny, Eike von Die Philosophie der normalen Sprache. Eine kritische Einführung in die ‘Ordinary Language Philosophy’ Suhrkamp, novembre 1993 pp. 424, DM 29,80 Savigny, Eike von Wittgensteins ‘Philosophische Untersuchungen’. Ein Kommentar für Leser Vol. I: brani 1-315 Klostermann, novembre 1993 pp. 410, DM 78 Si tratta della seconda versione, completamente rivista ed ampliata. Schefe, P. - Boden M.A.(a cura di) Informatik und Philosophie Bl-Wiss.-Vlg., novembre 1993 pp. 336, DM 38 Schluck-Volkmann, Karl-Heinz Nicolò Cusano La filosofia nel trapasso dal Medioevo all’Età Moderna Morcelliana, dicembre 1993 L. 35.000 Questa monografia è un’introduzione alla filosofia cusaniana. Con un argomentare serrato e analizzando le opere maggiori del Cusano, l’autore inizia il lettore ai concetti cardine del pensiero cusaniano: l’aenigmatica scientia, le dottrine della mens, della contractio... Schmidt, B. - Raulet, G. (a cura di) Kritische Theorie des Ornaments Böhlau, novembre 1993 pp. 200, ÖS 380 Lo scopo della teoria critica dell’ornamento è di chiarire le premesse teoriche, ideologiche e filosofiche del concetto di ornamento all’interno della storia dell’arte moderna. Schmidt, Hermann Josef Nietzsche absconditus oder Spurlesen bei Nietzsche Vol II: Jugend. Interniert in der Gelehrtenschule: Pforta 1858 bis 1864 oder Wie man entwickelt, was man kann, längst war und weiterhin gilt, wie man ausweicht und doch neue Wege erprobt Parte I: 1858-1861 IBDK, novembre 1993 pp. 633, DM 84 Anche questa parte delle monografie singole sulle opere giovanili di Nietzsche dimostra quanto siano importanti per una comprensione più adeguata delle opere filosofiche dell’autore. Schöeps, J.H. - Bagel-Bohlan, A. Heitmann M. - Lohmeier D. (a cura di) ’Philo des 19. Jahhunderts’. Studien zu Salomon Ludwig Steinheim Olms, novembre 1993 pp. 303, DM 58 Schöpf, A. et al. (a cura di) Moral und Gesellschaft H. Röll, novembre 1993 pp. 148, DM 24 77 NOVITÀ IN LIBRERIA Il volume pone la domanda sulle possibilità di fondare una morale che comprenda la pluralità di dati di fatto e di condizioni della società industriale moderna. Schulte Günther Der blinde Fleck in Luhmanns Systemtheorie Campus, novembre 1993 pp. 240, DM 48 L’autore rivela come la teoria dei sistemi sia una grande metastruttura narrativa, un’ideazione mitica di un mondo che attraverso l’osservazione si rende inosservabile. Nella sua critica Schulte si rifà alla biologia cognitiva di Maturana e alla logica di Spencer Brown. Seneca, Lucio Anneo La brevità della vita Rizzoli, novembre 1993 pp. 102, L. 12.000 Il senso della fuga del tempo e della caducità delle cose percorre tutta l’opera; Seneca sa che la vita è un terreno di lotta minato dall’ansia e dalla realtà dello scacco. A questa realtà egli oppone il fronte di una problematica saggezza, che invita a liberare lo spazio breve dell’esistenza dalla futili tendenze. Seppmann, Werner Subjekt und System. Zur Kritik des Strukturmarxismus zu Klampen, agosto-settembre 1993 pp. 190, DM 38 Sernin, André Auguste Comte prophète du XIXe siècle: sa vie, son oeuvre et son actualité Albatros, ottobre 1993 pp. 465, F 150 Attraverso questa presentazione della vita e dell’opera di A. Comte, l’autore intende rendere giustizia a questo pensatore universalista, nemico dei fanatismi, nella speranza che ciò di vivo che resta della sua dottrina contribuisca a colmare il vuoto lasciato dal crollo delle ideologie dominanti. Serres, Michel Die fünf Sinne. Eine Philosophie der Gemenge und Mischungen Suhrkamp, novembre 1993 pp. 420, DM 68 Questo libro si occupa di come potrebbe svilupparsi una problematica già approfondita dalla filosofia ai suoi inizi in Grecia: sitratta della domanda sul rapporto tra il soggetto che pensa, giudica e parla e ciò che gli viene fornito in maniera diretta tramite la percezione attraverso i suoi cinque sensi. Mai come oggi è necessario un profondo ripensamento sul sistema capitalistico, considerandolo sprattutto, in quanto immerso in un continuum, correlato cioè con politica, tecnologia, democrazia, ecologia, etica, Chiesa, pensiero filosofico, e non come un’entità a sé stante destinata a un’esistenza eterna. Severino in queste pagine traccia un bilancio e fornisce un’interpretazione sullo stato attuale del capitalismo, perché sia venuto a costituirsi quale lo vediamo e quale possa essere il suo destino. Shäfner, L. - Ströker, E. (a cura di) Naturauffassungen in Philosophie, Wissenschaft, Technik Vol. I: Antike und Mittelalter K. Alber, novembre 1993 pp. 258, DM 68 Shimony, Abner The Search for a Naturalistic World View Vol. 1: Scientific Method and Epistemology Vol. 2: Natural Science and Methaphysics Cambridge UP, sett-ottobre 1993 pp. 650, £ 30 Le opere di Shimony hanno avuto un’influenza sia sulla filosofia sia sulle comunità dei fisici. Questa raccolta in due volumi dei suoi saggi, scritti nell’arco di quarant’anni, esplora le interrelazioni tra scienza e filosofia. Skirbekk, Gunnar Rationalité et modernité L’Harmattan, novembre 1993 pp. 158, F 90 Essere moderni significa saper usare la propria ragione. L’apologia della soggettività moderna e la denuncia post-moderna della sua volontà di potenza sono due atteggiamenti filosofici che l’autore considera sorpassati. Egli, confidando nel potere della razionalità, non esita ad estendere la critica sociale al problema ecologico. Stelzner, W. (a cura di) Philosophie und Logik de Gruyter, novembre 1993 pp. 422, DM 118 Il volume contiene gli atti dei FregeKolloquien, tenutisi a Jena dal 1989 al 1991. Si tratta di una serie di lavori che analizzano il contesto scientifico di Gottlob Frege, il fondatore della logica moderna e l’iniziatore della filosofia analitica, e prendono in considerazione le problematiche della logica filosofica contemporanea. Sober, Elliott Philosophy of Biology Westview, agosto-settembre 1993 pp. 224, £ 15 Una guida ad alcuni degli sviluppi che si sono avuti nella filosofia della biologia. Vengono analizzati argomenti come la teoria evolutiva, il creazionismo, la teleologia, la natura rispetto all’educazione e la sociobiologia. Störig, Hans-Joachim Kleine Weltgeschichte der Philosophie Kohlhammer, novembre 1993 pp. 752, DM 49,80 Si tratta della sedicesima edizione, riveduta, di questa storia della filosofia. Spruit, Leen Species intellegibilis From Perception to Knowledge. Vol. 1: Classical Roots and Medieval Discussion E. J. Brill, sett-ottobre 1993 pp. 250, FL 135 Questo studio esamina la storia di un problema fondamentale della psicologia cognitiva aristotelica, cioè della natura e della funzione dei meccanismi che forniscono alla mente umana i dati concernenti la realtà fisica. Il volume traccia la storia della psicologia cognitiva dai tempi classici fino al XV secolo. Silvestrini, Gabriella Alle radici del pensiero di Rousseau Angeli, novembre 1993 pp. 224, L. 32.000 Il volume traccia un quadro delle istituzioni comunali di Ginevra e studia i dibattiti che hanno accompagnato i conflitti tra cittadini e governanti nella prima metà del Settecento, al fine di ricostruire il contesto linguistico, storico e politico che, seguendo le indicazioni della recente storiografia, appare imprescindibile per una migliore comprensione del pensiero politico di Rousseau. Stapp, H.P. Mind, Matter and Quantum Mechanics Springer, settembre-ottobre 1993 pp. 260, DM 58 Henry Stapp è uno degli esponenti più conosciuti del settore problematico e pieno di implicazioni della teoria dei quanti. Questa raccolta di ristampe di saggi e di nuovi saggi sulla teoria dei quanti e sulla mente interesseranno un vasto pubblico di scienziati, filosofi e non addetti ai lavori interessati ad argomenti scientifici. Simmons, Keith Universality and the Liar. An Essay on Truth and the Diagonal Argument Cambridge UP, sett-ottobre 1993 £ 30 Questo saggio è su uno dei paradossi più sorprendenti, il famoso paradosso del Liar (“il bugiardo”). Keith Simmons discute le soluzioni proposte dai filosofi medioevali e offre le sue soluzioni (la soluzione della singolarità) e, nel processo, valuta gli altri tentativi contemporanei di risolvere il paradosso. Stark, Werner Nachforschungen zu Briefen und Handschriften Immanuel Kants Akademie-Vlg., sett-ottobre 1993 pp. 376, DM 124 Steiger, Robert Die kopflose Gesellschaft oder ein Bericht zur Lage der Nation Die Blaue Eule agosto-settembre 1993 pp. 160, DM 34 Severino, Emanuele Il declino del capitalismo Rizzoli, novembre 1993 pp. 280, L. 30.000 78 Strube, Claudius Zur Vorgeschichte der hermeneutischen Phänomenologie Königshausen & Neumann settembre-ottobre 1993 pp. 142, DM 34 Sturlese, Loris Die deutsche Philosophie im Mittelalter. Von Bonifatius bis Albert dem Großen trad. dall’italiano Beck, novembre 1993 pp. 460, DM 128 Szlezák, Thomas Alexander Platon lesen Frommann-Holzboog agosto-settembre 1993 pp. 180, DM 34 Taylor, Charles Radici dell’Io Feltrinelli, ottobre 1993 pp. 656, L. 100.000 Obiettivo del libro è quello di spogliare l’immagine moderna dell’Io dall’artificialità che spesso le deriva da un approccio privo di spessore storico, per restituirle tutta la pregnanza culturale e morale che ad essa è propria, facendone il punto d’incontro delle infinite dimensioni di cui è intessuta la vicenda umana. Thiel, Detlef Platons Hypomnemata. Die Genese des Platonismus aus dem Gedächtnis der Schrift K. Alber, novembre 1993 pp. 272, DM 68 Tommaso d’Aquino Prologen zu den Aristoteles Kommentaren a cura di F. Cheneval e R. Imbach Klostermann, novembre 1993 pp. 116, DM 28 Nell’ultimo periodo della sua vita, NOVITÀ IN LIBRERIA Tommaso d’Aquino ha commentato dettagliatamente dodici opere di Aristotele. Questo lavoro non testimonia solamente il suo interesse per la filosofia, ma gli assicura anche un posto all’interno della storia delle interpretazioni dei testi di Aristotele. Touraine, Alain Critica della modernità Saggiatore, ottobre 1993 pp. 448, L. 50.000 Touraine cerca in questo libro le condizioni per una democrazia che non sia più solo formale. La modernità dev’essere il risultato delle complementarietà e opposizioni tra l’attività della ragione, la liberazione del soggetto e il radicamento nel proprio corpo e nella propria cultura del soggetto stesso. Tugendhat, Ernst Vorlesungen über Ethik Suhrkamp, novembre 1993 pp. 400, DM 58 Come deve essere considerata la morale quando tutte le instanze fondamentali religiose e tradizionali vengono a cadere? Considerando che il programma di Tugendhat, “non devi strumentalizzare nessuno”, non può essere motivato in maniera assoluta, ma solo reso plausibile, viene concesso ampio spazio alla presentazione di altri concetti ed alla loro messa in discussione. Ucciani, Louis De l’ironie socratique à la dérision cynique: élements pour une critique par les formes exclues Belles lettres, ottobre 1993 pp. 270, F 240 ”Socrate ironizza con Càllicle. Antistene e Diogene deridono Platone. Ognuno ride dell’altro. Ed è sorprendente che ciò che suscita il riso non nasca dal raccontarsi delle frottole, ma da ciò che vi è di più serio. La filosofia, in una delle sue origini, è comica.” metodo con il quale viene avviata una riflessione sulla storia, riscoperta poi dalla nostra epoca. Per Vico la verità non va cercata se non nell’azione. Ueberweg, F. Grundriß der Geschichte der Philosophie. Die Philosophie des 17. Jahrhunderts Vol. II: Frankreich und Niederlande Schwabe, novembre 1993 pp. 110, DM 276 Si tratta della edizione completamente rielaborata della storia della filosofia curata da F. Ueberweg. Vincent, Bernard (a cura di) Thomas Paine ou la République sans frontières Presses universitaires de Nancy ottobre 1993 pp. 200, F 100 Analizza la dimensione cosmopolita della Rivoluzione francese attraverso una problematica fondamentale: il legame storico tra nazione e libertà, tra progresso nazionale e sviluppo della speranza democratica. Vailati, Giovanni Pojero, Giuseppe Amato Epistolario (1898-1908) Angeli, novembre 1993 pp. 224, L. 30.000 In questo carteggio, che viene offerto al pubblico insieme con altre 72 lettere finora inedite di Vailati ad Amato Pojero, si trovano utili riscontri sulla filosofia di questo pensatore cremasco, che i firmatari del manifesto del Circolo di Vienna non esitarono a collocare accanto a Russel, Wittgenstein e Peano. Vollmer, Gerhard Wissenschaftstheorie im Einsatz. Beiträge zu einer selbstkritischen Wissenschaftsphilosophie Hirzel, sett-ottobre 1993 pp. 226, DM 38 Weber, Christa Systemtheoretische Ansätze in der Geisteswissenschaft. Mit besonderer Berücksichtung von Johann Wolfgang von Goethe und Rudolf Steiner Interk. Kommunikation agosto-settembre 1993 pp. 75, DM 32 Venturini, Nello Chiesa e Stato in Antonio Rosmini Nuova Coletti, novembre 1993 pp. 312, L. 39.000 Weinbruch, Ulrich Das bewußte Erleben. Ein systematischer Entwurf Königshausen & Neumann agosto-settembre 1993 pp. 144, DM 36 L’autore cerca di far luce sul processo costitutivo della realizzazione umana. Questo realizzarsi è una somma di momenti, che si alimentano a vicenda, senza essere riconducibili gli uni agli altri. La chiara disamina dei momenti, presi sia singolarmente sia nei loro rapporti, svela la falsità dell’alternativa tra sensibilità e ragione. Vergely, Bertrand (a cura di) La Philosophie Larousse, novembre 1993 pp. 768, F 150 Vico, Giambattista De l’antique sagesse de l’Italie trad. di J. Michelet (1835) Flammarion, ottobre 1993 pp. 192, F 35 Non si tratta solamente di un’opera patriottica sull’Italia, ma anche di un Weingarten, Michael Organismen - Objekte oder Subjekte der Evolution? Wissenschaft. Buchges. settembre-ottobre 1993 pp. 321, DM 54 Weissman, David Truth’s Debt to Value Yale UP, settembre-ottobre 1993 pp. 288, £ 25 Il testo prende in considerazione diverse scuole di pensiero sulla natura della verità. Wiessman sostiene che la verità esiste nella corrispondenza tra esposizione e fatto: ciò che può essere detto sul nostro mondo può essere misurato nei confronti di una realtà che ha un carattere ed un’esistenza indipendentemente da ogni caratteristica che noi le ascriviamo. Weiß, Johannes Vernunft und Vernichtung. Zur Philosophie und Soziologie der Moderne Westdt. Vlg., agosto-sett. 1993 pp. 300, DM 49 Con la crescente autocritica della ragione, in particolare di quella scientifica, nell’accertarsi delle proprie possibilità e dei propri limiti, diventa sempre più assurda l’idea che una globale scientifizzazione di tutti gli ambiti dell’esperienza e della vita possa inevitabilmente portare con sé il mondo della verità, della libertà e dell’uguaglianza. Wilke, G. (a cura di) Horizonte. Wie weit reicht unsere Erkenntnis heute? Hirzel/Wiss. Verlagsges. settembre-ottobre 1993 pp. 316, DM 48 Raccoglie gli atti del convegno tenutosi ad Aquisgrana dal 19 al 21 settembre 1992, organizzato dalla “Gesellschaft Deutscher Naturforscher und Ärzte”. ✂ Osservazioni ………………………………………………………………… Ritagliare e spedire in busta chiusa a: ………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………… Coop. Edinform, Informazione e Cultura, Viale Montenero,68 20135 Milano ………………………………………………………………………………… Suggerimenti ……………………………………………………………… ………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………… 79 NOVITÀ IN LIBRERIA Willems, Klaas Sprache, Sprachreflexion und Erkenntniskritik. Versuche einer transzendentalphänomenologischen Klärung der Bedeutungsfrage Narr, novembre 1993 pp. 490, DM 96 Questo studio si rivolge sia ai linguisti (soprattutto ai semantisti) che sono interessati ai fondamenti della loro disciplina, sia ai filosofi a cui preme che vengano illustrati ed approfonditi i legami tra filosofia e linguistica. Wils, J.-P.(a cura di) Orientierung durch Ethik. Eine Zwischenbilanz. Schöningh, settembre-ottobre 1993 pp. 240, DM 38 Con questo libro, famosi etici di diversa provenienza fanno un bilancio provvisorio, interrogano l’etica sulla sua capacità di fornire un orientamento. Contributi di: Karl-Otto Apel, Vitorio Hösle, Dietmar Kamper, Julian Nida-Rümelin, Dietmar Mieth, Konrad Ott, Wilhelm Schmidt, Klaus Steigleder, Reiner Rimmer. Wingert, Lutz Gemeinsinn und Moral. Elemente einer intersubjektivischen Moralkonzeption Suhrkamp, agosto-settembre 1993 pp. 340, DM 58 Con che cosa ha a che vedere la morale? Che cosa significa assumere un punto di vista morale? Come e fino a che punto possono essere giustificati dei giudizi morali che provengono da un punto di vista di questo tipo? Le risposte di Lutz Wingert a queste domande costituiscono gli elementi di una concezione intersoggettiva della morale. Wittgenstein, Ludwig Letzte Schriften über die Philosophie der Psychologie (1949-1951). Das Innnere und das Äußere Suhrkamp, novembre 1993 pp. 140, DM 34 Yandell, Keith E. (a cura di) The Epistemology of Religious Experience Cambridge Up, agosto-sett. 1993 pp. 432, £ 35 Affronta una domanda basilare per la filosofia della religione. L’esperienza religiosa può fornire la prova della fede? Se sì, come? Secondo l’autore l’esperienza religiosa non è ineffabile; egli sostiene che una forte esperienza numinosa fornisce qualche prova dell’esistenza di Dio. Witzany, Günther Natur der Sprache Sprache der Natur. Sprachpragmatische Philosophie der Biologie Königshausen & Neumann agosto-settembre 1993 pp. 250, DM 58 L’autore parte dal presupposto che la natura animata sia strutturata ed organizzata dal punto di vista linguistico e comunicativo. Tutti gli esseri viventi, ed anche l’uomo, sarebbero quindi membri della natura, una comunità comunicativa universale, in cui, per poter sopravvivere, devono essere rispettate determinate regole di comunicazione. Yaqub, Aladdin M. The Liar speaks the Truth. A Defense of the Revision Theory of Truth Oxford UP, novembre 1993 pp. 176, £ 22.50 Il concetto di verità è sempre stato oggetto di molta attenzione da parte della letteratura filosofica, ma non ha comunque trovato delle spiegazioni adeguate. Questo studio esplora un concetto “smitizzante” o “minimalista” della verità che può giustificare la sfida proposta da paradossi semantici quale quello del Liar (“il bugiardo”). Wollgast, Siegfried Philosophie in Deutschland zwischen Reformation und Aufklärung (1550-1650) Akademie-Vlg., novembre 1993 pp. 1040, DM 128 Zea, L. Filosofia Latino americana Pacini Fazzi, novembre 1993 pp. 121, L. 20.000 Una filosofia specifica latino americana in quanto qualsiasi filosofia non può che partire da situazioni umane determinate e contingenti. La pratica filosofica in quanto tale, mentre spiega le differenze, le riporta a nuclei problematici che riguardano l’intera condizione umana. Woolhouse, Roger Descartes, Spinoza, Leibniz. The Concept of Substance in Seventeenth Century Metaphysics Routledge, settembre-ottobre 1993 pp. 224, £ 13 Woolhouse fornisce una trattazione sistematica delle fondamentali opinioni in materia di metafisica di questi importanti filosofi tra loro correlati ed esamina le aree di accordo e disaccordo. Zierhofer, W. - Steiner, D. (a cura di) Vernunft angesichts der Umweltzerstörung Westdt. Vlg., agosto-sett. 1993 pp. 280, DM 49 La cultura razionalista occidentale è in procinto di privarsi delle proprie basi vitali. Che cosa può significare allora la ragione, di fronte alla distruzione ambientale? Verso cosa si deve orientare la valutazione della convivenza ragionevole degli uomini tra di loro e con la natura nella società, dominata a livello mondiale da grandi sistemi anonimi come l’economia, la politica e la scienza? Zimmer, Jörg Die Kritik der Erinnerung. Metaphysik, Ontologie und geschichtliche Erkenntnis in der Philosophie Ernst Blochs Dinter, agosto-settembre 1993 pp. 198, DM 39,80 Zimmerli, W.Ch. - Sandbothe, M. (a cura di) Klassiker der modernen Zeitphilosophie Wiss. Buchges., agosto-sett. 1993 pp. 320, DM 59 Un manuale, che guida il lettore alle diverse tradizioni della moderna filosofia del tempo. Zimmerli, Walter Ch. Einmischungen. Die sanfte Macht der Philosophie Wiss. Buchges., sett-ottobre 1993 pp. 160, DM 19,80 La storia contemporanea nel ritratto fornitoci da un filosofo critico. a cura di A.M.; trad. it. di L.T. ✂ ome e cognome ……………………………………………………………… ndirizzo ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… elefono ……………………………………………………………………… omputer usato ❏ IBM-Compatibile ❏ Macintosh ❏ Ms-Dos ❏ Windows ❏ System 6.x ❏ System 7.x ❏ Cd-Rom ❏ Monitor a colori ❏ Floppy 3.5” HD uono di prenotazione ❏ Desidero prenotare fin d’ora n°… copie su floppy disk da 3,5” per Ms-Dos/Windows ❏ Desidero prenotare fin d’ora n°… copie su floppy disk da 3,5” per Macintosh al prezzo scontato di £ 120.000 (iva esclusa)* *le modalità di pagamento verranno indicate in seguito 80 Ritagliare e spedire in busta chiusa a: Coop. Edinform, Informazione e Cultura, Viale Montenero,68 20135 Milano