SOMMARIO Appello per la ricerca umanistica Siamo convinti, come

SOMMARIO
Appello per la ricerca umanistica
Appello per la filosofia
Siamo convinti, come già Epimenide, che la storia è
profezia del passato. E siamo convinti anche che la
ricerca storiografica abbia indicato senza esitazioni che
sulla persona umana, nella sua natura e nei suoi rapporti,
mai fu fatta tanta luce come nella cultura umanistica.
Al centro di tutte le sue scoperte e di tutte le istanze,
I’Umanesimo afferma che la persona è identica e progressiva in qualsiasi cultura. Di proprio gli umanisti
ritengono che la dignità dell’uomo coincida con la libertà
e che, grazie alla razionalità, egli è divino: è imago Dei.
In tal senso l’Umanesimo è permanenza di radici, di semi e
di costume. È dignità dell’uomo la possibilità di governare
la vita e di incidere nella storia, perché contro le forze della
Fortuna egli oppone la Virtù operosa, ossia creativa. Dignità
dell’uomo è ancora il diritto attivo alla libertà di pensiero, di
coscienza e di domanda contro ogni costrizione.
L’umanista ritiene che dappertutto e in ogni tempo l’uomo abbia le medesime virtù essenziali. Anzi l’umanista
propone l’osmosi di queste virtù, ovvero dei pensieri,
delle istituzioni e delle conquiste di ogni cultura, passata
e contemporanea. Lo dimostrano le concordanze colte
nelle civiltà dell’Egitto, dell’Oriente, dell’Ebraismo, del
Cristianesimo, dell’lslam e di ogni altra esperienza umana conosciuta: l’Umanesimo è per ciò un crogiuolo. Ed è
anche l’idea, espressa anzitutto da Dante, che ciò che non
può l’uomo singolo, lo possa la humanitas, ossia il
coordinamento, ideale e fattivo, delle capacità umane.
Senza questa visione l’umanità sarebbe rimasta sostanzialmente immobile, non sarebbe nata la poesia né la
scienza. E perdendo questa visione la scienza moderna,
nata dall’Umanesimo, non sarebbe più strumento di
conoscenza e di liberazione, ma scientismo, annientamento dello spirito e quindi dell’etica.
È per questo che nella crisi gravissima, e tuttavia feconda,
che l’umanità tutta intera sta attraversando - col rischio di
sostituire ai valori etici e storici l’utile individuale, le
divisioni aggressive e il bisogno pigro di autorità ordinatrici - occorre ripensare l’Umanesimo.
Per Leonardo è valore primario la fatica della mente nella
ricerca del vero. Abbiamo appreso dai maestri di ogni
tempo e di ogni popolo che nelle ore della confusione si
deve ritrovare il fondamento. Perciò facciamo proprio, e
lo estendiamo, un pensiero di Rainer Maria Rilke secondo il quale ad ogni svolta storica l’umanità deve interrogare Michelangelo, che Kant ritiene il primo dei moderni.
Noi proponiamo di interrogare l’Umanesimo e domandiamo ai responsabili del governo civile di ogni nazione,
e specialmente a quanti nell’Umanesimo riconoscono le
proprie radici, di incentivare o di istituire la ricerca
umanistica dovunque e in ogni modo possibile, a cominciare dalla scuola. Ma subito, prima che venga smarrito
del tutto il senso universale della persona umana e prima che
si dissolva la percezione dello spirito e delle sue esigenze.
Nonostante sia da tutti riconosciuta l’indifferibilità di un
confronto razionale delle esperienze culturali del mondo, l’incontro tra le diverse civiltà è stato ed è segnato da
un appiattimento dei costumi e delle forme espressive,
oppure dalla perdita della memoria storica: piuttosto che
le rispettive virtù, ciascuna civiltà scambia con le altre i
difetti, gli aspetti deteriori.
In quel crogiuolo di civiltà che fu il mondo classico, è
sorto un vitale e perpetuo alimento: la riflessione filosofica, un sapere che ha contraddistinto la nostra storia e a
cui dobbiamo i tratti distintivi della nostra civiltà. Tuttavia l’atteggiamento della società contemporanea verso la
filosofia non appare adeguato ai problemi del presente.
Nelle scuole di molti paesi, I’insegnamento della filosofia e della storia del pensiero scientifico è da sempre
ignorato o si riduce sempre più: milioni di giovani
studenti ignorano finanche il significato del termine
filosofia. Noi educhiamo talenti tecnico-pratici e atrofizziamo il genio dell’invenzione filosofica. Ne consegue
che vi sono sempre meno persone che comprendono - o
sono effettivamente in grado di comprendere - la connessione dei fattori che costituiscono la realtà storica. E
invece oggi il mondo ha più che mai bisogno di forze
creative. Per stimolare la creatività abbiamo bisogno di
una educazione al giudizio e perciò di uomini educati alla
filosofia.
Rivolgiamo dunque un appello a tutti i parlamenti e
governi del mondo perché venga confermato e rafforzato, o introdotto a pieno titolo, in tutte le scuole lo studio
della filosofia nel suo corso storico e nella sua connessione con la storia delle indagini scientifiche - dal pensiero
greco al pensiero delle grandi civiltà orientali fino all’oggi - come indispensabile premessa ad un autentico incontro tra i popoli e le culture e per la fondazione di nuove
categorie che superino le contraddizioni attuali e orientino il cammino dell’umanità verso il bene.
In questa straordinaria e sconvolgente ora della storia,
quando il termine «umanità» comincia ad assumere il
significato di «tutti gli uomini», vi è necessità di coscienza civile. Vi è necessità della filosofia.
L’lstituto Italiano per gli Studi Filosofici,
l’lstituto della Enciclopedia Italiana
e la Rai Radiotelevisione Italiana
Dipartimento Scuola Educazione
hanno rivolto questo appello
per la ricerca umanistica e la filosofia
ai governi e ai parlamenti di tutto il mondo.
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SOMMARIO
5
CONFERENZA
39 Gadamer e Platone
5
Ragione finita e verità
40 Gracián e la perfezione
40 Bernard Lonergan: le opere
11 SCHEDA
41 NOTIZIARIO
11 La rinascita dell'estetico
dallo spirito del pensiero postmetafisico
43 CONVEGNI E SEMINARI
15 AUTORI E IDEE
43 Genealogie e fratture della memoria
15 Ricoeur e il raccontarsi del Sé
45 Frege: filosofia e matematica
16 Ermeneutica ed esistenzialismo in Pareyson
46 Congresso hegeliano a Stoccarda
16 In ricordo di Jurij M. Lotman
47 Il senso del divenire
17 Hegel e la religione
49 Interpretare Dante
18 Lo spirito della grecità
49 Epistemologia senza soggetto
19 Storicismo e filosofia dell’esistenza
50 Filosofia come metafilosofia
20 In ricordo di Daniele Boccardi
21 La geometria: storia di una scienza astorica
51 CALENDARIO
21 Storia dei racconti
53 DIDATTICA
23 TENDENZE E DIBATTITI
53 Positivismo
23 Marxismo, capitalismo, o...?
53 Convegni
24 Interiorità e verità in S. Agostino
25 Metafisica e fisica matematica
57 STUDIO
25 Il simbolo e le sue forme
57 Sulla “ragion pratica” di Kant
28 La filosofia politica di Rosmini
58 Compendi di filosofia
29 Stirner e la rivolta
59 Una nuova storia della filosofia
30 L’esperienza delle cose nella società moderna
60 La felicità del pensiero nel Medio-Evo
30 Heidegger, il logos e la parola
31 Primo piano:
Menone e l’ago nel pagliaio:
le banche dati per la filosofia
62 RASSEGNA DELLE RIVISTE
67 NOVITÀ IN LIBRERIA
37 PROSPETTIVE DI RICERCA
37 L’ eredità di Wittgenstein
38 Barthes: ‘Oeuvres complètes’
38 Realismo senza dogmi
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CONFERENZA
Hans-Michael Baumgartner (foto di M. Totaro)
4
CONFERENZA
Nell’ambito del ciclo di conferenze “La filo- ragione, cioè è prima dell’apertura alla smen- può andare all’infinito, perché, diventando
sofia in Germania oggi”, organizzato dal tita medesima. La ragione è argomentativa assoluta, essa pone se stessa. Baumgartner
Goethe-Institut di Milano in collaborazione in quanto è prima di essere argomentazione: ha però a sua volta obiettato che questa
con il Dipartimento di Filosofia dell’Univer- il prius è qui costituito dal fatto della ragione. riflessione, continuamente retrocedente risità degli Studi di Milano, il 23 marzo 1993 Baumgartner ha indicato come centrali, nel- spetto a se stessa, resta estrinseca rispetto
si è tenuta presso l’Ateneo milanese una la propria prospettiva, due temi. Il primo è alla propria essenza; proprio per questo moconferenza di Hans-Michael Baumgart- rappresentato dal motivo, pensato in funzio- tivo essa non raggiunge mai uno stato di
ner, introdotta da Vincenzo Vitiello, con la ne antiidealistica, della finitezza della ragio- assolutezza. In altri termini, secondo Baumpartecipazione di Carlo Sini. Tema della ne, contrapposto alla tesi relativa alla sua gartner, la riflessione in Kant non rappresenconferenza è stata la filosofia trascendentale assolutezza; pretesa, quest’ultima, fondata ta il movimento della cosa, ma quello sulla
nel suo significato, la sua portata, i suoi sull’identità della coscienza con ciò che essa cosa; per questo la cosa non viene mai colta
obiettivi.
percepisce. Il “ritorno a Kant” si qualifica dalla riflessione come totalità e la riflessione
Introducendo il dibattito, Vitiello ha soste- perciò, anzitutto, come riproposizione del non può mai porsi come assoluta, restando il
nuto che i molti tentativi che dalla metà del valore dell’io-penso in quanto modello non prodotto di una ragione finita.
secolo scorso si sono qualificati come “ritor- assoluto di interpretazione della realtà. Il Riguardo al concetto di finitezza della ragiono a Kant” hanno avuto come significato la secondo tema, correlato al primo, riguarda la ne, sulla quale paiono concordare Baumsconfitta della ragione finita. Esemplare il questione della fattualità della ragione. La gartner e Vitiello, Sini ha sostenuto che si
caso di Dilthey dove, a parere di Vitiello, il ragione finita non può fondare se stessa, non perviene a una nozione di finitudine improprogetto di una teleologia della storia rivela può regredire fino ad attingere l’infinità, pria, finché la finitezza della ragione vien
la propria trama hegeliana. Il tentativo di proprio perché naufraga nella propria fattua- fatta discendere dall’affermazione secondo
Heidegger, attuato in Sein und Zeit, di fon- lità. In effetti, con le tre Critiche, ha osserva- cui le conoscenze umane sono finite, cioè
dare la ragione finita kantiana si
limitate. A un’impostazione sifrealizza nel progetto, ancora una
fatta, ha osservato Sini, appartieGoethe-Institut di Milano
volta di stampo hegeliano, sottene la posizione di Apel, che si
in collaborazione con
so al passaggio dalla Daseinarivela appunto tautologica; in lui
Università degli Studi di Milano
nalyse (analisi dell’esserci) alla
la ragione finita è quella che perSeinsgeschichte (storia dell’estiene ai dialoganti, in quanto la
sere). Secondo Vitiello, solo con
ragione dei dialoganti viene deApel, il cui “ritorno a Kant” è
finita come finita. Baumgartner
scevro dalle ipoteche hegeliane
ha ribadito di ritenere la ragione
e aperto, invece, al discorso scien“finita” come “non assoluta”: il
tifico e alla dimensione della coconcetto critico di ragione finita
municazione, la prospettiva
non prevede affatto una concemuta, laddove si segnala un’atzione della ragione medesima,
tenzione alla questione etica. In
concepita come una sorta di deApel il carattere, per Heidegger,
minutio della ragione divina. Di
di Hans Michael Baumgartner
“destinale” del dominio della tecquest’ultima, infatti, non cononica diviene espressione della
sciamo nulla. Anche Vitiello, da
responsabilità dell’individuo nel
parte sua, rifiuta un rapporto comsuo essere storicamente deterparativo tra ragione finita e infiminata; in questo modo il “ritornita, preferendo ricorrere all’imno a Kant” operato da Apel è
magine di un medio che non
effettivamente ritorno alla ragiomedia tra finito e infinito, ma
ne finita. Il rischio solipsistico
tiene sospeso il finito alla sua
viene rimosso alle radici per il
fallibilità. Per Vitiello, la finitezfatto che ci si colloca nella proza della ragione consiste nel fatspettiva, originariamente interto che essa, nel suo “dar ragione”
soggettiva, del linguaggio argomentativo to Baumgartner, Kant non fa altro che tenta- fondativo, pone capo a una posizione che
delle scienze, concepito come immediata- re di decifrare questo “fatto”.
riconosce l’impossibilità di dare una ratio,
mente sociale.
Nella riflessione heideggeriana relativa alla intesa come causa, agli enti. Per questo,
In effetti, Baumgartner considera Apel come questione del fondamento, al Satz vom Grund, paradossalmente, la ragione si qualifica come
costante punto di riferimento, seppure in che dimostra come tale “fondamento” non “fatto trascendentale”, cioè come Faktum, e
modo spesso critico. Il terreno è il medesi- sia esplicabile se non filosoficamente, po- non come Tatsache. A questo Sini ha obietmo, quello della scienza; pur nella sua speci- nendolo sempre come già conosciuto in modo tato che così facendo si rischia di riproporre
ficità, fin dalle origini la filosofia - che non è aprioristico, Baumgartner ha indicato la ra- ciò che Hegel definiva “cattiva infinità”: il
cognitio ex principiis, bensì cognitio princi- dice della propria critica ad Apel; questi, “fatto” della ragione rischia di assumere le
piorum - si dichiara epistéme. La specificità appunto, riassorbirebbe il fondamento in ciò caratteristiche dello sprofondamento infinidella filosofia risiede proprio, a parere di che viene fondato, il trascendentale nell’em- to nell’insignificanza. Accogliendo, contro
Baumgartner, nel suo carattere “trascenden- pirico, mentre Kant avrebbe ammesso la Sini, le indicazioni di Vitiello, di quest’ultitale”. Esso consiste nel continuo ritrarsi del- possibilità che le scienze non siano fondate. mo Baumgartner ha accettato l’esposizione
lo sguardo filosofico, nel suo collocarsi sem- Vitiello ha però espresso il proprio scettici- della nozione di “fatto trascendentale”,
pre un “passo indietro” nei confronti del già smo relativamente al fatto che su questa rilevando come esso possa effettivamente
saputo, nei confronti del sapere costituito. A strada, dopo Hegel, si possa effettivamente porsi come quel regresso, che si determina
partire da questa posizione, Baumgartner giungere a Kant. Egli ha infatti sostenuto che nella dinamica che ha luogo a partire dalla
critica la pratica filosofica di Apel, che si se si vuole rappresentare la riflessione filoso- “possibilità della condizione di possibilimuoverebbe, a suo parere, nell’ambiguità tra fica come un continuo differenziarsi da sé tà”, a patto che in tale nozione fondativa di
il livello della fondazione trascendentale e stessa, sempre un “passo indietro” rispetto a “possibilità” venga compresa anche l’imquello della ricerca empirica. Per Baumgart- se stessa, occorre che la riflessione neghi se possibilità; a patto, cioè, che essa non
ner è possibile alla ragione finita aprirsi alla stessa, proprio come aveva indicato Hegel. venga pensata a partire dalla contrapposismentita solo in quanto essa è, appunto, La riflessione deve cioè riflettersi in sé; non zione fra possibilità e realtà. F.C.
Ragione finita
e verità
5
CONFERENZA
contenuti. In questo risiede un’essenziale conoscenza di sé
della ragione: la ragione umana è autonoma, ma non assoluta. Sebbene sia fonte di conoscenza a-priori, non empirica
e indipendente dal discorso, in linea di principio, riguardo al
sapere contenutistico che si costituisce per il suo tramite, la
ragione è incompiuta, superabile, storica. In quanto ragione
finita essa rinvia il nostro conoscere a una dimensione di
apertura - poiché il sapere soggiace alla determinazione
fondamentale di un’apertura condizionata in senso trascendentale. Sul terreno di condizioni strutturali a-priori, essa
apre anche alla filosofia lo spazio dell’esperienza: l’esperienza del pensiero.
Il testo che segue rappresenta la rielaborazione di Hans-Michael
Baumgartner delle considerazioni da lui svolte nella conferenza
all’Università degli Studi di Milano.
I
II
La questione della verità è fin
dall’inizio una questione centrale della filosofia; essa si
presenta in modo particolare
nella misura in cui la filosofia
viene interrogata riguardo alla
sua possibile verità, ovvero
alla sua specifica verità, e con
ciò viene messa nella necessità di comprendere se stessa.
Idea guida di questa comprensione di sé è naturalmente la questione della ragione,
ovvero delle possibilità e dei confini di quella facoltà
fondamentale dell’uomo che - per dirla in modo tradizionale
- lo caratterizza come animal rationale, come essere che ha
la capacità specifica di pensare, di volere e di agire; in altre
parole lo caratterizza come essere razionale finito.
In quanto essere di questo tipo l’uomo si realizza e si
concepisce come un rapporto che si riferisce a se stesso (si
pensi alla penetrante definizione di Kierkegaard) e che in
quanto tale include una relazione con il mondo e con
l’incondizionato. Posto tra finitezza e infinità, tra determinatezza e indeterminatezza, l’uomo soggiace alla legge
dinamica dell’opposizione limitativa. Questa struttura dell’esistenza umana costituisce l’oggetto genuino della riflessione filosofica, il suo tema centrale. Per questo motivo la
filosofia, in quanto analisi e teoria di questa struttura apriori, è nel suo nucleo critica della ragione finita: cognitio
principiorum, conoscenza dei principi del nostro sapere.
Seguendo il suo oggetto, essa sviluppa gradualmente i
momenti costitutivi della propria struttura e concepisce
infine i concetti più comprensivi della ragione umana, le
idee trascendentali: in ambito teoretico, le idee di totalità
(anima, mondo, Dio), nelle quali viene progettato, in un
modo di volta in volta specifico, un elemento incondizionato e con ciò una dimensione fondamentale della conoscenza
possibile; in ambito pratico, l’idea di umanità, in quanto
elemento incondizionato della libera persona morale. Ottenute tramite un’analisi autoriflessiva del sapere e dell’agire,
le idee teoretiche risultano essere idee necessarie, ma non
oggetti di una conoscenza possibile; al contrario, l’idea
pratica dell’incondizionato viene riconosciuta come evidenza fondamentale del modo in cui l’uomo ha se stesso e
il mondo. Dal collegamento di tutto ciò risulta un concetto
ben determinato del mondo della vita umana e della molteplicità del sapere possibile, subordinata alle sue dimensioni
costitutive, anche della storia. Le idee teoretiche di totalità
sono principi regolativi della ricerca, dell’ampliamento
sistematico e del completamento della nostra conoscenza.
Esse offrono una sistematica dimensionale del sapere possibile, dalla quale segue al tempo stesso che la conoscenza
filosofica non è in grado di raggiungere la compiutezza
definitiva di un sistema di contenuti.
In questo modo, appunto, la filosofia protegge la ragione da
valutazioni sbagliate, da un’errata posizione assoluta del
tipo della ragione = sostanza hegeliana, ma anche, all’estremo opposto, da una ragione del procedimento priva di
I
II
III
La questione della verità
nasce da un interesse originario per un orientamento
fidato della vita: è una questione fondamentale della
vita umana. In quanto attraversa tutti i rapporti vitali, in essa conoscere e agire,
teoria e prassi sono ancora
indistinti. Per questo motivo la questione della verità
anche non coincide con la domanda di Pilato: «che cos’è la
verità?«, che piuttosto presuppone già un atteggiamento
riflessivo e scettico. Al contrario la questione originaria
della verità è la questione circa l’insieme di ciò che possiamo sapere in modo fidato su noi stessi e sul mondo, di ciò
di cui possiamo fidarci. Vero è ciò che vale, ciò che è fidato,
ciò che conta. Proprio per questo si può parlare correttamente tanto di un vero amico, quanto di una asserzione vera e di
un accadimento vero.
Questa comprensione immediata della verità diventa un
problema solo quando diventano problematiche la validità
e la fidatezza stesse, e devono con ciò essere interrogate
riguardo alla condizione della loro possibilità, cioè riguardo
al loro fondamento. Se ci si domanda in che cosa consista il
fatto che qualche cosa sia vero, che valga e che di conseguenza ce ne si possa fidare, allora si approda a quel livello
di riflessione che si sviluppa storicamente e in cui la verità
stessa viene tematizzata e diventa un problema. Si dà
effettivamente qualche cosa di vero? Dove risiede il suo
fondamento e come si può concepirlo e giustificarlo? Nella
conseguenza di questa direzione problematica emergono
tutte quelle differenziazioni che costituiscono i problemi
parziali del problema filosofico della verità. La prima
conseguenza consiste nel fatto che la questione della verità
venga teorizzata. Fidatezza e validità si separano, in quanto
ci si può fidare di qualche cosa nella misura in cui essa vale;
ma non viceversa. La validità è primariamente una determinazione del nostro sapere, un carattere della nostra conoscenza delle cose. Ma con ciò la teoria viene subordinata alla
prassi, la conoscenza all’azione. La seconda conseguenza è
la differenziazione e lo sviluppo dell’orizzonte, all’interno
del quale noi poniamo teoreticamente la questione della
verità: una cosa è porre la questione di ciò che intendiamo
per verità; un’altra è chiedersi in che modo possiamo
decidere tra verità e falsità; un’altra ancora è porre la
questione dei presupposti o della funzione e rilevanza della
6
CONFERENZA
S. Tommaso D’Aquino, affresco di Andrea di Bonaiuto (part.)
7
CONFERENZA
sta a un mutamento storico. Tuttavia questa storicità non
si riferisce alla struttura della verità stessa, ma alla sua
interpretazione. In questa misura è ancora valida la formula strutturale classica veritas est adaequatio rei et
intellectus: la verità è la concordanza di cosa e ragione.
Questa determinazione è formale e dunque è una mera
spiegazione nominale, ma non una formula che garantisca circa la verità della conoscenza umana. Essa potrebbe
anche essere riformulata come segue: se si dà verità, essa
ha la sua figura compiuta nel fatto che una cosa (la realtà
effettuale) viene portata a rappresentazione, tramite la
ragione, nel modo in cui essa è in se stessa. La struttura
della verità contiene così una relazione di due grandezze
diverse: cosa e ragione. Questa relazione è però una
relazione all’interno del linguaggio e della ragione. Se
essa deve essere dotata di senso in quanto relazione, la
cosa di cui si parla come di uno dei membri della
relazione deve essere non solo delimitabile, ma anche,
sotto un certo profilo e almeno in modo rudimentale,
anche già dischiusa. Ma proprio questo significa che alla
struttura della verità appartiene come momento fondamentale il carattere manifesto della realtà effettuale,
ovvero, in termini classici, la verità trascendentale. Nella
sua famosa raccolta di definizioni, De veritate I, 1,
Tommaso d’Aquino lo chiama il momento «in quo
verum fundatur» e introduce per questo la definizione di
Agostino da Soliloquia II: «verum est id quo est»: ciò su
cui si fonda la verità è ciò che è. Potremmo anche dire:
la realtà effettuale è già sempre e necessariamente dischiusa ed è già sempre entrata nell’orizzonte del linguaggio e del conoscere. Essa viene concepita e appresa
linguisticamente.
Una logica trascendentale può mostrare in che modo
questo esser-appreso della realtà effettuale venga elaborato linguisticamente e strutturalmente sul cammino della conoscenza umana. Essa porta a conoscenza il fatto che
il giudizio, portando a rappresentazione e affermando
uno stato di cose, rappresenta la configurazione gnoseologica primaria del compimento della verità. Il luogo
della conoscenza della verità è il giudizio. Alla sua
formazione appartengono momenti strutturali a-priori
dell’esperienza, concetti dell’intelletto in senso kantiano, che possono essere a loro volta formulati attraverso
giudizi, le leggi del nostro intelletto. Ma anche, se il luogo
primario della conoscenza della verità è il giudizio, con
questo non è affatto detto che ogni giudizio sia vero, e non
è detto che ogni giudizio vero sia già provato nella sua
verità. La questione del modo in cui i giudizi possono
essere dimostrati veri conduce in maniera conseguente
alla questione dei criteri della verità. Di tali criteri se ne
danno molti, secondo il tipo di giudizio con cui si ha a che
fare. Come ambiti in cui si suddividono tali criteri si
potrebbero menzionare i seguenti: osservazione, esperienza, derivabilità logica da altri giudizi, connessione
contestuale con altri giudizi (Rescher), inseribilità sistematica in un contesto di coerenza (Puntel), riscattabilità
della pretesa di validità che viene affermata con il giudizio in un discorso argomentativo, il quale deve soggiacere a condizioni tali che il consenso a cui in esso si mira
possa apparire come un consenso fondato (Habermas). In
quanto tutti questi criteri non conducono a una validità
conoscenza della verità. In quanto tutte queste domande
hanno il loro punto di riferimento nella definizione di verità,
il problema filosofico della verità si cristallizza anzitutto
nella questione di fondo di cosa significhi verità: fidato è ciò
che è valido teoreticamente. Valida teoreticamente è quella
conoscenza che porta ad espressione ciò che accade. Se
s’intende l’essere come insieme di ciò che accade e il sapere
come insieme di conoscenze possibili, ciò che intendiamo
come verità si può allora circoscrivere in quanto accordo di
sapere ed essere. A partire da ciò, come terza conseguenza,
il problema della verità si dà alla filosofia come la questione
delle condizioni sotto le quali la verità, cioè l’accordo di
sapere ed essere, è possibile.
Il problema filosofico della verità nasce dall’interesse vitale
dell’uomo per ciò che è fidato. Il nostro orientamento nel
mondo è fidato quando si basa su una conoscenza della
realtà. Una conoscenza della realtà è vera solo quando
essere e sapere concordano. Ma come si può essere sicuri di
questa concordanza? Sotto quali presupposti essere e sapere
possono concordare? Da che cosa si può riconoscere questa
concordanza in casi concreti? E’ questo spettro di problemi
che dà avvio e determina costantemente la storia del chiarimento filosofico della verità.
II
III
IV
La storia del problema della
verità nella prospettiva filosofica è una storia di spostamenti essenziali di orizzonte.
La garanzia della verità della
conoscenza umana, il fondamento dell’identità di essere
e pensiero si sposta da una
realtà dell’essere di carattere
ideale o divino, fondata in un
atto creativo, alla certezza di
sé della soggettività e alla fine scompare. Con ciò anche la
problematica della verità si sposta da una comprensione
logico-ontologica della verità a un problema di analisi
semiotica ed ermeneutica del linguaggio. La questione della
sostanza della verità e delle sue condizioni di possibilità
viene sostituita dalle questioni dei criteri, delle condizioni,
della rilevanza della verità. La verità viene naturalmente
ancora definita dalla concordanza di essere e sapere, essere
e pensiero, realtà e linguaggio, fatto e asserzione, ecc.; ma
questa definizione, per quanto precisamente possa venir
sviluppata, viene intesa solo come chiarimento nominale
della verità, come indicazione di ciò che intendiamo con
verità. Nel migliore dei casi essa è oggetto di acume
riflessivo, ma non più un tema della speculazione filosofica. Il
nuovo luogo della problematica della verità è il linguaggio.
III
IV
V
La conoscenza umana si realizza nel medium del linguaggio. Con la sua storicità e finitezza sono date anche la finitezza e la storicità
della conoscenza umana.
Per questo già la comprensione della verità è sottopo8
CONFERENZA
dentale apre l’accadere della verità a tutte le figure dello
spirito, che guardano al mondo in modo universale e
insieme prospettivistico. Filosofia, scienza, religione e
arte sono modalità dell’accorgersi di sé dello spirito e con
ciò modalità della schiusura del mondo. Alla loro base
stanno le capacità creative dell’uomo di orientarsi nel suo
mondo in quanto essere finito e di dischiudere al suo
esserci possibilità di senso. Queste esperienze hanno certo
bisogno, per essere comunicabili, della forma del giudizio
e soggiacciono nel loro essere riferite a cose e nella loro
aspirazione alla verità, nella misura in cui questo deve essere
affermato in modo universalmente valido, alla possibile
critica della filosofia e della scienza. Tuttavia esse sono, per
i loro contenuti, opere spirituali che hanno un proprio diritto.
In esse si realizza, in modo di volta in volta specifico,
l’opposizione limitativa, che caratterizza la struttura della
ragione tra finitezza e infinità, incondizionatezza e condizionatezza, non-oggettualità e oggettualità.
Il loro rapporto con la filosofia può essere determinato
storicamente e sistematicamente più da vicino: storicamente la religione si trova all’origine della storia della
coscienza dell’umanità. Nel processo dello sviluppo sociale essa si differenzia in arte, filosofia e infine scienza,
le quali si sviluppano progressivamente in figure autonome dello spirito. Le società industriali moderne possono
essere caratterizzate dal fatto che i suddetti prodotti dello
spirito sono diventati sistemi autonomi, con un proprio
significato e una propria storia. Da questo processo di
distacco e di differenziazione deriva non solo il pluralismo dei sistemi della cultura, ma anche la tendenza per
cui ognuno di questi sistemi cerca di subordinare a se
stesso gli altri. Nascono così mutevoli dominanze e si
formano gerarchie, rimozioni e dissolvenze di singoli
sottosistemi dello spirito: rapporti dinamici con problemi
di delimitazione e zone di conflitto. Queste mutano o si
spostano; sono oggetto di discussione storica. Dal punto
di vista sistematico, alla filosofia spetta tuttavia una
preminenza formale: la filosofia è teoria della struttura
della ragione del sapere finito nel medium della riflessione concettuale. In conseguenza della sua autocritica, al
tempo stesso storica e sistematica, essa non può più
intendere se stessa come ragione assoluta, ma solo come
ragione critica, che di per sé è in grado solo di delineare
il contesto di determinazione delle altre figure dello
spirito, ma non i loro contenuti. In rapporto alla scienza,
all’arte e alla religione, la filosofia può concepire se
stessa solo come interlocutore critico in un dialogo, ma
non come tutrice. In questo modo le altre figure dello
spirito sono concorrenti autonomi nell’interpretazione
del senso della vita umana. Come però il luogo della
verità è formalmente il giudizio, così le diverse dimensioni dell’accadere della verità sono riferite formalmente
alla filosofia. In questo riferimento si manifesta la funzione critica e correttiva della filosofia, della ragione critica,
che ha imparato a concepire se stessa come ragione finita
e storica. La filosofia ha bisogno del momento creativo
della scienza, dell’arte e della religione; al tempo stesso,
però, essa è ancora il luogo rappresentativo e il punto di
riferimento dell’accadere finito della verità che in quelle
si rappresenta. (trad. it. di M.M.)
ultima dei giudizi, la conoscenza umana, nel campo del
sapere empirico, resta in linea di principio ipotetica. Non
possiamo qui discutere fino a che punto la conformità logica
a una legge e anche le leggi trascendentali del nostro sapere
empirico, così come la legge fondamentale della ragione
pratica, costituiscano una eccezione rispetto a tale ipoteticità. E’ però indubbio che anche queste conformità a leggi apriori della ragione umana soggiacciono alla storicità del
linguaggio umano. Il nostro sapere contenutistico sul
mondo e su noi stessi non può essere in ogni caso fondato
in quanto vero; una verità assoluta in questo senso ci è
preclusa.
Tuttavia, anche in questo accadere finito della verità si
mostra qualche cosa di reale effettuale, di modo che Tommaso potrebbe dire a buon diritto ancora una volta: ciò che
deriva dai nostri giudizi è il manifestarsi di ciò che è, «Verum
est manifestativum et declarativum esse»; o, come aveva
detto Agostino: «veritas est qua ostenditur id quod est» (De
vera religione, cap. XXXVI). Nell’accadere della verità il
reale diventa manifesto. Questo accadere della verità è
qualcosa di finito, ma è orientato all’idea della verità che
traluce nella menzionata formula strutturale della verità.
Non siamo in grado di giungere alla completa concordanza
di res e intellectus; tuttavia questa concordanza è l’idea che
abbiamo in mente di una verità completa, di un’identità
assoluta di pensiero ed essere. Questa idea è l’idea del sapere
divino, l’ideale trascendentale di una omnitudo realitatis
(Kant), che dobbiamo pensare necessariamente, ma che non
possiamo riscattare gnoseologicamente.
Nella struttura della verità e nell’accadere finito della verità
si mostra così la struttura generale della ragione finita, ben
nota a partire da Kant: la ragione finita è costruita con le
autonome, eppur reciprocamente connesse facoltà della
sensibilità (intuizione), dell’intelletto (concetto) e della
ragione in senso stretto (idee). La sua conoscenza empirica
è inconclusa e aperta, seppure essa pensa necessariamente
l’idea dell’incondizionato. La sua struttura fondamentale è
quella di una opposizione limitativa: ciò che viene da essa
realizzato e prodotto in quanto opera spirituale è determinato dall’opposizione di finitezza e infinità, condizionatezza e
incondizionatezza. Dal punto di vista gnoseologico non
siamo in grado di giungere all’incondizionato; al tempo
stesso però l’incondizionato è un’idea necessaria. Questa
idea conferisce orientamento e senso all’aspirazione alla
conoscenza in tutte le sue forme, così come nella sua
processualità.
IV
V
L’accadere finito della verità
non è limitato all’esperienza
in senso generale, alle scienze e alla filosofia. La verità si
dischiude anche nelle altre
figure della spiritualità riflessiva, nell’arte e nella religione. La verità trova sì il suo
luogo sistematico nel giudizio, ma la sua esperienza non
è affatto delimitata a un accertamento di carattere empirico, concettuale e teoretico.
Nella struttura della verità, proprio il momento trascen9
SCHEDA
Raymond Hains, La foire aux skis (1988)
10
SCHEDA
«Dal concetto di estetica filosofica promana un sapore di tuttavia un pò sconcertante, se pensiamo che questo
vecchio, un po’ come succede al concetto di sistema o di stesso autore si dedica ostinatamente all’“estetica dello
morale». Quando nel 1969 Theodor W. Adorno aprì con stato”, interpretando la politica e i fenomeni attinenti alla
questa frase la sua “Protointroduzione” alla Teoria este- sfera pubblica nei loro tratti simbolici ed estetici. Ma
tica, si fece guidare in questa scoraggiante valutazione questa confusione la si può considerare nell’insieme
da una doppia prospettiva. Da un punto di vista interno come sintomatica dello stato attuale della discussione.
alla teoria, egli ha presente davanti a sé l’estetica filosofica come sistema, così come essa è stata, in modo Pensiero postmetafisico. Chi parla di riabilitazione,
titanico, presentata da Hegel e trascinata, nonostante dà ad intendere che con ciò si annuncia una reintegraziomolteplici inizi antisistematici, ancora per tutto il XX ne di precedenti diritti e il ristabilirsi delle capacità.
secolo. Ma della forza hegeliana del pensiero sistematico Entrambe le cose vengono negate all’estetica ad opera di
è rimasto soltanto uno scetticismo abissale o una filoso- quelle due direrzioni tradizionali dello sviluppo posthefia della Weltanschauung di tipo provinciale-accademi- geliano, in cui la filosofia, come ha descritto Herbert
co. Da un punto di vista esterno alla teoria, Adorno volge Schnädelbach nel suo libro La filosofia in Germania
lo sguardo indietro all’evoluzione dell’arte moderna, 1831-1933, si trasforma in scienza dello spirito, storicizche ha preso sul serio la propria autonomia, e lascia zante o filologizzante, oppure elegge a proprio modello
dietro di sé i tentativi, da allora apparentemente senza lo scientismo. Soltanto in una terza direzione, nella quale
speranza, di comprenderla teoreticamente. Il risultato è la filosofia, per le vie traverse della critica della filosofia
lo stesso su entrambi i piani: l’estetica filosofica smarri- a se stessa, si fonda nuovamente come critica o come
sce il proprio oggetto. Dal
pensiero esistenziale, vieconcetto, malamente unine conservato all’estetica il
versale, di estetica promasuo diritto, o addirittura rafna, dunque, l’espressione
forzato. Questa direzione
dell’antiquato.
va da Kierkegaard, attraMa al disinteresse per
verso Nietzsche, fino a
l’estetica si aggiunge un
Heidegger e alla prima teoaltro motivo. E’ il sospetto
ria critica. E questa direscientifico nei confronti di
zione viene oggi portata
ciò che non è consolidato
avanti in modo estremacon sicurezza, che nel cammente energico. Purtuttapo dell’estetico presenta invia, vengono accolte solledi Josef Früchtl
dubbiamente un fondamencitazioni provenienti anche
tum in re. In questa descridalle altre due tradizioni.
zione di motivi, Adorno
Ciò rende nuovamente
s’incontra con Hans-Georg
comprensibile lo stato difGadamer. Quasi dieci anni
fuso e confusionale delle
prima, questi pubblica il suo
discussioni attualmente in
opus magnum, che già nel
atto. Alla riabilitazione deltitolo traccia la linea decil’estetica filosofica hanno
siva di demarcazione. La
contribuito oggi molte mena cura di Riccardo Ruschi
verità viene contrapposta al
ti diverse, allo stesso modo
metodo, scientificamente esercitato, e viene, invece, messa che nel precedente caso della filosofia pratica. Nel caso
scoperto nell’esperienza dell’arte.
dell’estetica, però, queste menti hanno tutte una cosa in
Trenta, anzi più precisamente, vent’anni dopo, la situa- comune: pensano in modo fondamentale e, rispetto alla
zione si è completamente mutata. L’estetica filosofica filosofia posthegeliana avutasi finora, in modo ancora
risplende con rinnovato fulgore, tanto che per spiriti più decisamente postmetafisico.
audaci potrebbe sembrare che con ciò si annunci, come Nella filosofia posthegeliana, la critica della metafisica si
due secoli fa, una nuova fioritura della filosofia in genere. esercita nel modo più veemente nei confronti della tradiDopo che era stata introdotta con successo, all’inizio zione scientifica. Essa raggiunge il suo punto più alto
degli anni ’70, la “riabilitazione della filosofia pratica”, quando l’analisi linguistica e la teoria della scienza, a
ha fatto seguito l’estetica filosofica con non minore partire dall’inizio del XX secolo, si orientano verso la
successo. Ciò che Jean Paul, all’inizio del XIX secolo, logica matematica come paradigma della razionalità. In
formulava in tono annoiato: «Di nient’altro pullula di più questo quadro d’insieme, le questioni estetiche, così
la nostra epoca quanto di esteti», celebra oggi una felice come quelle etiche, vengono squalificate in quanto “inrinascita.
sensate”. Tale prospettiva muta fondamentalmente nel
Ma al recente congresso di Hannover su “L’attualità momento in cui questo quadro d’insieme si spezza, e si
dell’estetico” 3-5 settembre il tono era ben più allarmato: spezza in modo tanto più completo, quanto più la critica
«Un terrore incombe sulla terra: l’accettazione dell’este- si sviluppa a partire dalla sua propria disciplina, nel
tico». Con questa espressione Karl Hein-Bohrer, meglio duplice senso della parola. Questo succede soprattutto
conosciuto come enfant terrible del dibattito culturale in col tardo Wittgenstein e continua oggi in linea diretta con
Germania, ha lanciato il grido d’allarme, in maniera Richard Rothy. Non più un linguaggio ideale, ma la
La rinascita dell’estetico
dallo spirito del pensiero
postmetafisico
11
SCHEDA
“parzialmente” estetica può essere ingigantita fino a una
posizione “fondamentalmente” estetica. Come verifica
di entrambe le posizioni, potrebbe essere compresa la
questione di come, in un certo modo, l’oggettività, nella
sua generale validità postmetafisica, possa essere fondata sulla soggettività. Tale questione, che con Kant viene
imposta in senso teoretico-conoscitivo alla filosofia, è familiare all’estetica sin dal suo inizio, da Baumgarten in poi, ma
se ne derivi per essa una particolare competenza nel rispondere a questa questione, non è così semplice da dire.
lingua quotidiana diventa pietra di paragone e strumento
terapeutico per problemi filosofici. Sull’estetica analitica
questo cambiamento ha intanto agito in modo molteplice
e stimolante. Lo scientismo, che per Gadamer e Adorno
si firma ancora come avversario d’acciaio, attraverso la
sua autocritica contribuisce così, con qualche ritardo
nella ricezione a livello europeo-continentale, alla rinascita dell’estetica dallo spirito del pensiero postmetafisico ormai non più ostacolato neanche scientificamente.
In quanto postmetafisico, il pensiero attuale si riconosce,
dal punto di vista teoretico-razionale, nell’accentuazione
della pluralità delle forme razionali e dei giochi linguistici, dal punto di vista teoretico-conoscitivo, nel riconoscimento di categorie quali “differenziatezza” o “sensibilità”, dal punto di vista ontologico nel tener fermo al
sensibile di contro al sovrasensibile, all’apparenza mutevole di contro all’essenza profonda e immutabile. Sotto
ognuno di questi tre aspetti la filosofia trova rifugio
nell’estetica. In nessuna disciplina filosofica il fattore
della pluralità, quand’anche inizialmente più per necessità che per virtù, viene così prontamente accettato come
nell’estetica; in quasi nessuna (un’etica aristotelica può
avere qui ampio gioco per avanzare pretese di concorrenza) l’aisthesis, la facoltà percettiva, viene maggiormente
richiesta, e in nessuna la sensibilità viene così benevolmente difesa, addirittura eretta ad oggetto lascivo del
godimento, e affermata l’apparenza, senza riserve, come
oggetto del gioco e la realtà come finzione.
La conseguenza è che quel pensiero che viene preformato
dall’estetica, il “pensiero estetico” (Wolfgang Welsch),
deve essere ritenuto quello propriamente adeguato. Questo pensiero, rappresentato da Michel Foucault, Jacques
Derrida, Jeans-François Lyotard, Paul Feyerabend e Richard Rothy, è estetico non primariamente perché fà dei
fenomeni estetici il proprio oggetto, bensì perché si lascia
plasmare nella forma del suo pensare da fenomeni stessi
dell’estetico. La riabilitazione dell’ “estetica filosofica”, a
tale riguardo, è soltanto un derivato della riabilitazione della
“filosofia estetica”. A questa appartengono già i dialoghi
platonici. Ancora una volta si rivela la dipendenza - riscontrabile, comunque, a partire da Platone - dell’estetica dalla
teoria gnoseologica. Mentre, però, una volta le spettava
dipendentemente un posto modesto, oggi le viene offerto il
posto d’onore. In un ultimo atto di sovranità, la gnoseologia
conferma l’estetica, in quanto disciplina filosofica specialista dell’estetico, nuova sovrana.
Questa incoronazione, tuttavia, si tira dietro un effetto
spiacevole per una filosofia che, in quanto decisamente
postmetafisica o “postmoderna”, vuole rinunciare ad
ogni fondamento. Essa indulge, cioè, ad un nuovo fondamentalismo, anche se a un fondamentalismo di tipo
vano, o per meglio dire elegante, che si compiace di
perdersi in sottigliezze e in ampie metafore. Solo una
entusiastica sopravvalutazione dell’estetico può arrivare
ad affermare che la filosofia, nel suo insieme, debba
ricrearsi esteticamente.
Vi sono certamente ambiti problematici - come quello ad
esempio del “buon vivere”, tradizionalmente coltivato in
senso aristotelico - che non possono essere adeguatamente compresi senza l’ausilio dell’estetica. Ma, solo a
prezzo di una rozza indifferenziazione, questa posizione
Etica antiuniversalistica. La critica protratta della
metafisica è il primo importante fondamento dell’attualità dell’estetico. Essa ha conseguenze immediate per
l’etica. A questo proposito, è soprattutto sul versante del
postmodernismo, cioè di Foucault, che riallacciandosi
alla morale autonoma e individualizzata di Nietzsche
rimette in discussione l’ “estetica dell’esistenza”, l’idea
di una vita plasmata in senso analogo dall’arte. Sul
versante del neoaristotelismo, in forma più attenuata,
vengono rivendicate idee simili da Charles Taylor, Martha Nussbaum e Alasdair MacIntyre. L’etica aristotelica
del “buon vivere” detiene il primato davanti alle etiche
kantiano-universalistiche della giustizia.
Alla riattualizzazione dell’estetica e del pensiero estetico
contribuisce, nell’ambito dell’etica, l’interesse, risvegliato da motivi epocali, per un’etica “ecologica”. Qui il
regresso all’estetica è ovvio, poiché da un lato uno dei
temi di questa etica è sempre stato un rapporto diverso
con la natura, dall’altro, come si può da ultimo notare in
Adorno, essa può compensare delusioni storico-filosofiche e utopiche. Anche nell’ambito speciale dell’estetica
ecologica della natura, viene in primo piano l’aspetto
dell’aisthesis, una teoria della conoscenza sensibile.
Anche in questo ambito, come in quello dell’etica e della
filosofia nel suo insieme, bisogna far attenzione a non
rimestare una torbida “minestra dell’estetizzazione”,
anche se proprio Lyotard, che con ragione ha fatto questa
osservazione al congresso di Hannover, da questo punto
di vista è stato in precedenza zelante giocatore in qualità
di chef de cuisine.
Una considerazione differenziata dovrebbe scaturire dal
fatto che o l’estetica può costituire il fondamento dell’etica - e in questa etica “fondamentalmente estetica” sarebbero da annoverare, con riserva, Nietzsche, Adorno,
Lyotard e Welsch - o l’etica, la moralità kantiana o l’ethos
aristotelico, costituiscono, al contrario, il fondamento
dell’estetica. Muovendo da ciò, si può distinguere tra
un’etica “parzialmente estetica” e un’etica “anti-estetica”. Tra i rappresentanti di quest’ultima dovrebbero, al
presente, essere annoverati, in una singolare coalizione,
Bohrer e Karl-Otto Apel. All’interno dell’etica parzialmente estetica si può ancora ulteriormente distinguere tra
un’etica estetica di tipo “marginale”, “paritetico” e “perfezionistico”. Talune attribuzioni risultano qui certamente controverse; ma nella rubrica dell’etica marginalmente
estetica, che cioè riserva all’estetico solo un posto marginale, si lascia raccogliere la più ampia scelta di autori,
Kant e qualcuno dei suoi seguaci moderni, così come
molti rappresentanti dell’utilitarismo e del neoaristotelismo. Nell’etica pariteticamente estetica sono da annove12
SCHEDA
La modernità postmoderna. Se con l’obbligo di un
pensiero postmetafisico, di un’etica antiuniversalistica e
di una teoria del moderno si possono definire i fondamenti filosofico-teoretici dell’attualità dell’estetico, è necessario lasciarsi ammaestrare dalla sociologia e dalla
critica della cultura quando ci si rivolge alla forma più
recente del moderno, il “moderno postmoderno” (Welsch). All’attualità dell’estetico contribuiscono perciò
motivi completamente diversi. Evidenziamone due.
Da un lato, il diffondersi dell’estetico si offre come
apertura di una via d’uscita dal moderno sistema sociale,
che sta diventando sempre meno trasparente. L’estetizzazione della realtà ha in questa prospettiva, assunta da
Odo Marquard e da Rudiger Bubner, la funzione di
“compensazione”.
La seconda prospettiva pone l’accento, in modo opposto,
sulle nuove forme di vita rese possibili dalle società del
benessere. In una società in cui arte, pubblicità e consumo
trapassano l’uno nell’altro senza sutura alcuna e in modo
seducente, l’edonismo subentra alla morale del lavoro
protestante e lo stato sociale si sviluppa essenzialmemte
nella messa in scena della vita personale in tutti i suoi
ambiti. L’economia trae profitto diretto e indiretto dalla
diffusione sociale dell’estetico: la cultura in senso stretto
è diventata il fattore più significativo dell’economia
politica e la cultura in senso lato, cioè il potenziale
creativo di una società, favorisce il successo nella competizione economica. Anche il consolidamento economico dell’attualità dell’estetico offre, tuttavia, un fondamento vacillante. Se fosse giusta l’osservazione che nelle
ricche nazioni industriali, dopo il crollo del socialismo di
stato nell’Europa dell’Est, incombono ancora, suscitate
dai movimenti di migrazione, lotte di ripartizione, allora
questo è anche un test per verificare se il pensiero estetico
sia qualcosa di più di un’ideologia di viziati figli del
benessere. (trad. it. di L.C.)
rarsi quei giovani autori che, come Martin Seel, assegnano all’estetico un ruolo di pari diritto nel “gioco della
ragione”; infine, nell’etica perfezionisticamente estetica,
che concepisce l’estetico come compimento dell’etico, si
possono annoverare da un lato Gadamer e Nussbaum,
dall’altro Foucault e di nuovo Nietzsche.
Teoria del moderno. Accanto alla critica della metafisica e alla corrispondente etica universalistica, un ulteriore fondamento dell’attualità dell’estetico vien dato dalla
coscienza storica, specificatamente moderna, della filosofia. Questo fondamento viene elaborato esclusivamente sulla base della terza direzione della tradizione posthegeliana, quella “critica”; la coscienza storicizzante delle
scienze dello spirito gli è estranea. Da quando Kant e poi,
con estrema lucidità, Hegel vedono il compito della
filosofia nella capacità di comprendere in pensieri la
propria epoca, la filosofia è tenuta a sviluppare una teoria
del moderno. Il suo imperativo è l’ “autofondazione”. Il
moderno, così come è stato esposto da Jürgen Habermas,
può e vuole non attingere più da altre epoche i propri
criteri orientativi.
Di questo problema, però, non si prende coscienza soltanto e in primo luogo nell’ambito dell’estetica e della
critica dell’arte, nella Querelle des Anciens et des Modernes dell’inizio del XVIII secolo, sicché le espressioni
“moderno” e “modernità” da allora vengono connotate
da un significato estetico; oltre a ciò l’estetica, a partire
da Schiller e dal primo Friedrich Schlegel, fornisce anche
l’ideale normativo, sia pratico-esistenziale che cognitivo, per l’epoca moderna. L’ “estetizzazione del mondo
della vita” e del “discorso”, di cui oggi ci si rallegra o ci
si rammarica, si chiarisce, su questo sfondo, non come
scoperta postmoderna, ma a partire dal processo stesso
della modernità. Attuale è l’estetico in quanto riscoperta
e continuo sviluppo delle proprie origini moderne.
Bibliografia critica
Beck U., Risikogesellschaft. Auf dem Weg
in eine andere Moderne, Frankfurt a/M.
1986.
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M. 1981.
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Kritik der gesellschaftlichen Urteilskraft,
Frankfurt a/M. 1982.
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der Moderne. Zwölf Vorlesungen,
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Henrich D. - Iser W. (Hrsg.), Theorien der
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und Philosophie. Bd. 1: Ästhetische Erfahrung. Bd. 2: Ästhetischer Schein. Bd. 3:
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Seel M., Eine Ästhetik der Natur, Frankfurt
a/M. 1991.
13
AUTORI E IDEE
Paul Ricoeur
14
AUTORI E IDEE
AUTORI E IDEE
Ricoeur e il raccontarsi del Sé
Un argomento ormai classico - la crisi
del soggetto cartesiano - esaminato
con l’intento di pervenire, a partire da
un’analisi fenomenologica del Sé, a
una sua interrogazione ontologica:
questo il tema del volumetto di Paul
Ricoeur, L’ATTESTAZIONE. TRA FENOMENOLOGIA E ONTOLOGIA (trad. it. e introd. a
cura di B. Bonato, Edizioni Biblioteca
dell’Immagine, Pordenone 1993), che
contiene il testo, riveduto e corretto
dall’autore, di una relazione tenuta da
Ricoeur nel 1989 a Pordenone, nel corso di un convegno in suo onore, organizzato dalla Società Filosofica Italiana. Vengono qui velocemente compendiate le ben più approfondite e
complesse analisi, svolte durante un
corso di lezioni nel 1986, pubblicate in
Francia nel 1990 e ora tradotte in italiano con il titolo di SÉ COME UN ALTRO
(trad. it. di D. Iannotta, Jaca Book,
Milano 1993). Sulla riflessione di Ricoeur segnaliamo la monografia dedicata a questo autore da Elena Soetje,
RICOEUR. TRA NARRAZIONE E STORIA (Rosenberg & Sellier, Torino 1993).
Ciò che Paul Ricoeur presenta ne L’attestazione costituisce una sorta di compendio
delle cosiddette “Gifford Lectures”, tenute a
Edimburgo nel 1986, pubblicate in forma
pressoché integrale in Francia nel 1990, e ora
tradotte in italiano con il titolo di Sé come un
altro. Tema centrale della speculazione ricoeuriana è qui la questione del soggetto: più
precisamente, la questione relativa al cogito
cartesiano e alla crisi che esso conosce nella
riflessione, non solo filosofica, contemporanea. Nei dieci saggi che compongono il testo
maggiore, l’analisi di Ricoeur si svolge lungo quattro tappe, e la questione del soggetto
viene sezionata attraverso quattro approcci;
in essi, il soggetto appare, di volta in volta,
come l’autore di un enunciato, il responsabile di un’azione, il titolare di un’identità personale, e il crocevia di relazioni interpersonali che definiscono la dimensione etica.
L’obiettivo dell’analisi è individuato nella
parte finale del testo, che verte sulla possibilità di un’ontologia del Sé; proprio questa,
d’altra parte, emerge con tutta evidenza come
scopo della più sintetica trattazione contenuta ne L’attestazione. La domanda ontologica
appare qui come l’esito necessario dell’analisi fenomenologica, che non acquisisce la
capacità di autofondarsi in quanto l’ipseità,
che in essa si “attesta”, non appare nella sua
compiutezza.
Come nota nella sua ampia “Introduzione”
Beatrice Bonato, curatrice dell’edizione italiana de L’attestazione, nell’idea di un darsi
dell’essere nella forma della dissimilazione
si colloca il punto di contatto fra l’ontologia
heideggeriana e quella ricoeuriana. La questione ontologica, secondo Ricoeur, s’impone infatti come necessaria proprio a causa
dell’estrema mediatezza in cui il Sé si dà, per
i tratti caratteristici che emergono dalla sua
fenomenologia; su questa strada, Ricoeur si
muove consapevolmente, e dichiaratamente, sulle orme della fenomenologia di
Merleau-Ponty.
La filosofia tradizionale del soggetto non
viene dunque rigettata, ma trasformata, in
quanto Ricoeur non rinuncia a porre la questione della verità, ma intende scindere quest’ultima dalla determinazione della certezza. Se il carattere di immediatezza del Sé si
delinea con radicalità tale da legittimare la
tesi di una sua differenza, irriducibile al
mondo degli enti in cui esso si manifesta, il
complesso di relazioni di tale manifestarsi va
contestualizzato, nel caso della posizione
ricoeuriana, riferendosi più alle analisi sviluppate dall’ermeneutica che a quelle condotte dai filosofi analitici.
A proposito delle ascendenze della riflessione ricoeuriana, proprio all’ambito dell’ermeneutica viene dedicato largo spazio da
Elena Soetje, autrice della monografia
Ricoeur. Tra narrazione e storia. Sul fondamento della preferenza di Ricoeur per il testo
scritto nei confronti del dialogo, Soetje sostiene che “idea direttrice” dell’ermeneutica
ricoeuriana sia da considerarsi la riconduzione del discorso allo statuto di testo; poiché la riflessione del pensatore francese si
organizza intorno alla relazione fra linguaggio ed esistenza, la nozione di testo risulta
centrale per definire l’articolazione della struttura esistenziale di questa riflessione. La
posizione di Ricoeur va dunque compresa in
relazione a quella di Gadamer, e si configura
come un’ontologia del testo, il cui carattere
ermeneutico va inteso, anzitutto, dal punto di
15
vista di una conferma dell’ineliminabilità
della mediatezza.
La centralità del “testo” rinvia però a un’altra
decisiva caratteristica della riflessione di
Ricoeur, quella che fa riferimento, sulla base
della relazione di coappartenenza all’essere,
al primato del pensiero poetico narrativo nei
confronti di quello scientifico. In rapporto a
queste tematiche è opportuno richiamare qui
il saggio di Fabio Merlini, L’incerto raccontare del sé. Genealogia e analitica filosofica della temporalità autobiografica (Edizioni Alice, Comano (CH) 1990), che sottolinea come Ricoeur, nelle sue analisi relative
alla dimensione temporale del testo narrativo (relative, cioè, alla circolarità fra tempo e
racconto), sostituisca una “poetica” con una
“teoretica” della temporalità. L’intento consiste nel guadagnare un punto di vista sulla
temporalità, cioè sul testo, non estrinseco ad
essa: stante la dimensione uniplanare del
testo nella prospettiva ricoeuriana, la questione della temporalità, osserva Merlini,
può essere affrontata «solo dal punto di vista
di quelle esperienze che si sono impegnate a
raccontarla», per cui figure come quelle di
Aristotele, Agostino o Heidegger diventano
reali rappresentanti di una filosofia analitica
della temporalità.
Nel suo saggio, eminentemente teoretico,
Merlini segue le indicazioni di Ricoeur: l’
“incerto raccontare del Sé” si configura come
un “raccontarsi” del Sé medesimo. Per questo il testo autobiografico risulta la via d’accesso privilegiata alla questione della temporalità del racconto, che si svolge tra un
principio e una fine, nell’intento, mai dissimulabile da parte del Sé che si racconta, di
mostrare «il disegno lineare di una genesi,
che da un meno conduce a un più».
L’incertezza di questo raccontare del Sé si
radica però nel presupposto, intrinsecamente aporetico, dell’implodere in se stesso del
Sé che si racconta: per quanto il Sé che si
racconta appaia preesistente al racconto, esso
ne è, al contrario, un “effetto”. Sulla base di
questo stallo, Merlini conclude a un’aporia
decostruttiva del soggetto: il venir meno
della garanzia della necessità del processo
narrativo, cioè dell’individualità che si racconta nell’autobiografia, indica non solo la
morte dell’autobiografia, ma, più radicalmente, di ogni identità, di ogni possibilità di
biografia, inquantoscaccodiogni “autos”. F.C.
AUTORI E IDEE
Ermeneutica ed esistenzialismo
in Pareyson
La recente pubblicazione di una raccolta di saggi di Luigi Pareyson, PROSPETTIVE DI FILOSOFIA CONTEMPORANEA
(Mursia, Milano 1993) e di una monografia dedicata a questo autore ad
opera di Francesco Russo, ESISTENZA E
LIBERTÀ. IL PENSIERO DI LUIGI PAREYSON (Armando Editore, Roma 1993) richiamano con forza l’attenzione sui motivi e i
tratti peculiari del pensiero del filosofo recentemente scomparso.
Il volume che con il titolo Prospettive di
filosofia contemporanea riunisce i saggi,
gli articoli e le commemorazioni di Luigi
Pareyson si presenta con una quadruplice
ripartizione in “Filosofia dell’esistenza”,
“Idealismo”, “Esistenzialismo positivo e
spiritualismo cristiano”, “Dibattiti odierni”, a cui fa seguito un’appendice, “La
filosofia italiana alla fine degli anni quaranta”. Gli scritti, non organizzati in ordine
cronologico, coprono un lungo periodo (dal
1941 al 1989) e consentono di cogliere i
temi peculiari della speculazione di Pareyson e di individuarne i rapporti e le relazioni intrattenute con altri autori e con le
tematiche del suo tempo. In questa direzione si muove anche la monografia di Francesco Russo, che parte da una attenta ricognizione della [...] ermeneutica di Luigi
Pareyson, per affrontare «l’insieme della
sua speculazione, distesa tra il personalismo ontologico e l’ontologia della libertà»;
lo studio si presenta, quindi, come una
ricostruzione genetica della speculazione
pareysoniana, a partire da un attento esame
dello sfondo storiografico che soggiace
alla riflessione di questo filosofo.
Nell’analisi della scelta per l’esistenzialismo e della concezione dell’ermeneutica
come struttura costitutiva della conoscenza umana, si delineano con precisione i
motivi dominanti della speculazione pareysoniana e, allo stesso tempo, le coordinate entro cui inquadrarla. Russo ne individua alcuni fondamentali: l’abbandono dell’orizzonte hegeliano, i cui caratteri
Pareyson individuò nell’assolutizzazione
della ragione, nella complementarietà di
finito e infinito e nella condizionalità storica della filosofia, motivo, quest’ultimo,
rielaborato nella direzione di una condizionalità storico-esistenziale della filosofia; la
concezione della coincidenza di auto ed
etero-relazione e dell’ontologicità dell’esistenza; la posizione della distinzione tra
pensiero rivelativo e pensiero espressivo, a
cui conseguirà la critica radicale di ogni
ideologia; la difesa del carattere speculativo
della filosofia e l’unità di teoria e prassi; la
rivelanza filosofica della scelta per il Cristianesimo e la critica al dogmatismo inconsapevole del razionalismo metafisico.
I capitoli centrali della ricerca di Russo sono
dedicati allo studio del personalismo ontologico e dell’ontologia della libertà e alla rico-
struzione della teoria dell’interpretazione.
Emerge così come il concetto pareysoniano
di interpretazione sia legato a una ontologia
dell’inesauribile, per cui da una parte non c’è
interpretazione se non dell’essere, dall’altra,
e allo stesso tempo, l’essere si affida al
processo interpretativo senza risolversi in
esso: in questa prospettiva la posizione di
Pareyson viene specificata ulteriormente a
fronte di quelle di Gadamer e di Ricoeur.
Chiude la monografia un capitolo dedicato
all’ermeneutica dell’esperienza religiosa,
dove vengono delineate e trattate le tematiche proprie dell’ultima speculazione pareysoniana: il mistero del male e l’abissalità
della libertà originaria. C.F.
In ricordo di Jurij M. Lotman
Il 29 ottobre 1993, all’età di 71 anni,
Jurij Michajlovic Lotman si è spento a
Mosca in quel silenzio attivo con cui si
è sempre posto all’interno del dibattito culturale internazionale. Di Lotman,
sebbene fosse notissimo in ambito
internazionale, da noi non si è mai
parlato molto quando era in vita; uomo
schivo e riservato, non amava gli atteggiamenti divistici e plateali. Negli
ultimi anni della sua vita, anche per la
malattia che lo aveva colpito, non fece
sentire spesso la sua voce in quasi
nessuna pubblicazione. Eppure, molti
ebbero a dire che il suo fu un silenzio
“rumoroso”, perché carico di quell’attenzione al mondo e al suo evolversi,
che sempre lo contraddistinse.
Nato a Pietrogrado (oggi S. Pietroburgo ed
ex Leningrado e Stalingrado) il 28 febbraio
1922, Jurij Michajlovic Lotman studiò
all’università della sua città, una delle più
prestigiose di tutto l’ex impero sovietico,
sotto la guida di Mordovcenko, che lo convinse, verso la metà degli anni ’40, a dedicarsi con impegno agli studi di semiologia.
Ricordiamo, a questo proposito, che alla
scuola sovietica di semiologia si deve, in
particolare, la distinzione tra “fonema” e
“suono”, dove il fonema è la rappresentazione vera e propria della lingua e il suono la
manifestazione esterna, esistente solo in riferimento al fonema. Questo portò i semiologi russi, soprattutto Kruszewski, a considerare la lingua una struttura, cioè un insieme organico con leggi e meccanismi propri,
da indagare necessariamente sotto il duplice
aspetto dell’espressione, “il come si dice”, e
del contenuto, “il cosa si dice”.
Cresciuto in questa ortodossia strutturalista,
Lotman abbraccia, in seguito, la semiologia
critica di Michail Bachtin, ponendo sempre
più l’accento sull’aspetto contenutistico del
testo. La scuola americana di Chomsky, che
in seguito rivoluzionerà la semiologia, era ai
suoi inizi quando Lotman, nel 1963, divenne
docente ordinario di letteratura russa all’Uni16
versità di Tartù in Estonia, dove visse per
quasi tutta la sua vita in una specie di segregazione, impostagli dal regime sovietico,
che proibiva gli studi semiologici perché
non si ponevano il problema di una compatibilità con il sistema marxista. Ma nonostante questa situazione Lotman poté continuare
gli studi e fondare la scuola semiologica di
Tartù, che si distinse subito per l’eterogeneità delle posizioni ideologiche e religiose: lo
stesso Lotman, pur essendo iscritto al partito
dal 1942, non risparmiò critiche alla concezione marxista dell’arte, accusata di aver
introdotto il principio dell’influenza dei rapporti sociali sull’arte come unico e dominante fattore di possibile spiegazione.
Fu soprattutto il concetto di cultura ad essere
prevalente nel pensiero di Lotman. Una cultura viva, vissuta; non un puro concetto
astratto, bensì una serie di strutture date dal
cervello: «Fra ambiente e comportamento
dell’uomo si frappone il cervello, che gioca
un ruolo niente affatto passivo. La cultura è
un cervello collettivo che ha la sua struttura
immanente, la sua memoria; fra l’azione
esterna e i prodotti della cultura c’è la sua
interna organizzazione, senza la quale nulla
di nuovo si produrrebbe. La ricerca culturologica è volta a questo “trasformatore” che
traduce la lingua della effettualità in quella
delle persone». Fondamentale per Lotman è
dunque cercare di ritrasformare la lingua
poetica in linguaggio umano, proprio, e solo,
perché l’umano è l’ultimo volto, quello definitivo, di ogni testo inteso come polisemico,
cioè portatore di molteplici messaggi referenti ad un unico fattore: l’uomo nella sua
potenzialità intellettuale.
Per tutta la vita Lotman cercò di affermare
questo principio contro una cultura che andava disgregandosi sotto i suoi occhi in una
miriade di esercizi formali e strutturali di
analisi del testo. In questo tentativo tre sono
le domande fondamentali che Lotman sembra porsi: 1) che cosa vuol dire “avere un
significato”; che cosa c’è oltre il semplice
testo letterario o poetico; quali sono i modi
secondo cui un testo letterario diventa portatore di un pensiero determinato; 2) che cos’è
la comunicazione artistica di contenuti; qual
è l’essenza di un tale atto comunicativo; 3)
qual è la funzione sociale del messaggio; che
cosa significa un testo per chi scrive e per chi
legge. Tutte domande legate all’idea di cultura che, a sua volta, viene considerata un
linguaggio con strutture interne e una capacità di essere mezzo di conservazione e di
trasmissione dell’informazione.
Ma se la cultura produce cultura tramite il
linguaggio informativo, è necessario allora
spaziare attraverso tutti i campi del linguaggio: il teatro, il cinema, la musica, la letteratura, la storia, la religione, la pittura e anche
la politica. Così Lotman cercò di applicare il
suo metodo polisemico a opere come Anna
Karenina di Tolstoj, Eugenio Onegin di Puskin, ai films di Fellini (come Otto e mezzo)
e di Visconti e anche alla pittura di Van Eyck.
In materia politica Lotman fu diffidente
verso le riforme gorbacioviane, sebbene
AUTORI E IDEE
con l’avvento di Gorbaciov, nel 1986, poté
compiere il suo unico viaggio in Italia, nel
1987, a Napoli, per una serie di lezioni
presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. La diffidenza nasceva in lui dalla
sua profonda conoscenza della storia, della
cultura russa e dell’illuminismo francese:
era per lui impossibile che nella storia russa
un rivolgimento democratico si potesse
attuare per gradi. Le spinte nazionalistiche
successive al golpe dell’agosto ’91 lo
preoccupavano e gli apparivano un restringimento culturale privo di fondamenti storici. Per questo, forse, negli ultimi anni, a
parte una breve lettera sull’argomento,
pubblicata sulla rivista “Novyj Mir”, non
scrisse quasi nient’altro, preferendo gli studi, la riflessione e il ricordo della moglie,
deceduta qualche anno prima. L.B.
Bibliografia delle opere in volume
STRUKTURACHU DO ZHESTEBENNO, (Dalla struttura all’azione del testo poetico-struttura poetica) Iskussjvo, Mosca 1970.
ANALIZ POETICESKOGO TEKSTA. STRUJTURA STCHA, (analisi
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1972.
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Janovioc, Einaudi, Torino 1973.
ROMAN V STICHACH PUSKINA “EUGENIJ ONEGIN”, Tartù
1975; trad. it., Il testo e la storia. L’ ‘Eugenij Onegin’
di Puskin, Il Mulino, Bologna 1985.
The structure of the artistic text, trad. ingl. di Ronald
Vroom e Ann Arbor, University of Michigan, Departement of slavic languages and literatures, 1977.
Introduzione alla semiotica del cinema, Officina,
Roma 1979.
ROMAN A.S. PUSKINA
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(Commento al romanzo di
Puskin “Eugenio Onegin”. Sussidio per gli insegnanti) Prosvescnie, Leningradskoe otdelemie, Leningrad 1980.
POSOBIE DLJA UCITELJA,
Testo e contesto. Semiotica dell’arte e della cultura,
a cura di Simonetta Salvestrani, Laterza, Bari 1980.
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Mulino, Bologna 1984.
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Shukman e Ann Arbor, University of Michigan,
1984.
La semiosfera. L’assimetria e il dialogo nelle strutture pensanti, a cura di Simonetta Salvestrani, Marsilio, Venezia 1985.
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Tipologia della cultura, a cura di R. Faccani e M.
Marzaduri, tad. it. di M. Barbato Faccani, Bompiani,
Milano 1987.
V SKOLE POETICESKOGO SLOVA: PUSKIN, LERMONTOV, GOGOL: KNIGA DLJA UCITELJA, (A scuola di linguaggio
poetico: Puskin, Lermotov, Gogol: testi poetici per
insegnanti) Prosvescenie, Moskva 1988.
KUL’TURA I VZRJV, ( Cultura e esplosione) Gnosis,
Progress, Moskva 1993.
Hegel e la religione
Due recenti studi sulla concezione hegeliana della religione, HEGEL. LA RELIGIONE E L’ERMENEUTICA DEL CONCETTO (Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1992),
di Maurizio Pagano, e LA DOTTRINA DELLA
TRINITÀ IN HEGEL (trad. it. di G. Sansonetti, Queriniana, Brescia 1993), di Jörg
Splett, richiamano l’attenzione, da un
punto di vista specificatamente filosofico, il primo, e più propriamente teologico, il secondo, sulla portata, il valore e gli esiti della filosofia della religione di Hegel.
Dichiarandosi in accordo con l’ipotesi interpretativa di E. L. Fackenheim, e prendendo le distanze dalle letture di W. Jaeschke e di M. Theunissen, Maurizio Pagano propone una linea di ricerca tesa a
mostrare che se è impossibile oggi riproporre la sintesi hegeliana, va tuttavia riconosciuto alla filosofia il compito di mantenere «la tensione fra tutti i suoi elementi, di
mantenere cioè la tensione fra il radicamento esistenziale concreto e l’apertura
universale della ragione». Lo studio di Pagano si muove all’interno di una prospettiva che è quella dell’ermeneutica del concetto, consistente, da una parte, nel richiamare l’intreccio di ermeneutica e logica,
presente in Hegel, e dall’altra nel portare
l’attuale orizzonte filosofico in giudizio di
fronte a Hegel e viceversa. Attraverso l’analisi del concetto di religione e delle critiche
mosse alla filosofia della religione di Hegel
da parte di Schelling e del teologo cattolico
F. A. Staudenmaier, Pagano mette in evidenza come Hegel prenda le mosse dal
conflitto che lacera la coscienza moderna.
I poli del conflitto sono individuati da Hegel
nel diritto assoluto del soggetto, di cui ha
preso coscienza l’epoca moderna, e nelle
ragioni dell’oggetto, cioè nel contenuto
infinito presente nella religione. Di fronte a
ciò Hegel non rimuove la complessità: tiene
insieme le ragioni del soggetto e dell’oggetto. Emerge, così, l’impostazione della sua
ermeneutica: da una parte si profila un “principio di globalità”, consistente nel non lasciar cader ciò che è autentico e reale, bensì
leggerlo nella luce del concetto. Dall’altra, e
insieme, si delinea un “principio recettivo”,
secondo il quale la salvezza si dà nel condurre la realtà nella luce del concetto, nella
misura in cui la realtà stessa viene rispettata
nella sua configurazione concreta.
L’esame della deduzione empirica e della
deduzione speculativa nel corso del 1824 e
dell’esposizione speculativa della religione nel corso del 1827 conducono Pagano a
sottolineare come l’intenzione fondamentale di Hegel consista nel congiungere rigorosamente il momento universale con quello interpretativo. Il rapporto tra questi due
momenti può essere proficuamente discusso, e qui la proposta di Pagano si confronta
con alcuni momenti del dibattito contemporaneo, sotto l’aspetto del rapporto tra
17
concetto e rappresentazione. La plausibile
prossimità del momento della rappresentazione e di quello del concetto, pur nella
sottolineatura della loro discontinuità, conduce ad affermare una identità di identità e
non identità tra filosofia e religione. In
particolare il rapporto tra momento universale e momento interpretativo si rende possibile nel rinvenimento del carattere relazionale dell’unità concettuale: «la filosofia
[...] offre certo alla rappresentazione un’unità, ma questa unità non è l’uno astratto che
sta per sé, ma un uno relazionale, un “uno
di due”, che non è senza relazione al contenuto che unifica». In questa direzione va
sottolineata anche la natura relazionale dello
stesso assoluto hegeliano, in quanto l’unità
che esso pone include sempre un ineludibile riferimento alla dimensione empirica.
In una prospettiva del tutto difforme si
situa, invece, il lavoro di Jörg Splett, il cui
scopo fondamentale è quello di completare
il programma delineato da J. Hessen nell’opera Trinitätslehre. Zugleich eine Einfuhrung in sein System (La dottrina della
Trinità. Con un’introduzione al suo sistema, 1922). Hessen riteneva, in generale,
che la filosofia intellettualista di Hegel non
rendesse giustizia né alla religione, né alla
realtà in quanto totalità, perché quest’ultima non è concepibile semplicemente come
pensiero. Situandosi in questa direzione di
ricerca, Splett ritiene che sia necessario
approfondire lo studio sulla dialettica, indagando gli influssi della religione sulla
dialettica stessa. Occorre, inoltre, esaminare il rapporto Dio-Figlio-Spirito e, in particolare, quello Figlio-mondo sulla base di una
analisi che colga «la specificità della distinzione e della identità dialettiche». L’autore
prende pertanto in esame la concezione della
Trinità nell’intera produzione hegeliana delineando, nella parte conclusiva del suo lavoro, “il guadagno e il pericolo” di cui è portatore al riguardo il pensiero di Hegel. La
Trinità, precisa Splett, diviene per il filosofo
di Stoccarda «l’immagine di quella identità
dell’identità e della non-identità, la cui conoscenza rende tutto comprensibile, il cui richiamo “riconcilia” il mondo»: il problema
è, pertanto, se per Hegel si dia una Trinità.
In un serrato dialogo con i maggiori critici
e interpreti del pensiero hegeliano e con
molti teologi contemporanei, la Trinità
hegeliana viene letta come una “biunità” o
come una unità che si dispiega «in un
modalismo per il quale il numero dei momenti è infine equivalente». L’unità paolina della scritturale tripersonalità di Dio,
conclude Splett, è del tutto sconosciuta
alla Trinità hegeliana, nella quale «l’altro
è soppresso nel Sé invece di restare riconosciuto nel vero rapporto reciproco»: ciò
conduce l’autore a interrogarsi circa l’esistenza di Dio all’interno della stessa concezione hegeliana. Chiude il volume una
appendice su “Hegel e il Mistero” che
pone la questione se e in che misura la
dialettica hegeliana possa pensare il mistero in quanto mistero. C.F.
AUTORI E IDEE
Testa dell’Afrodite di Cnido, detta “testa Kaufmann” (Parigi, Museo del Louvre)
Lo spirito della grecità
Secondo Carlo Diano il mondo greco è
pervaso da uno spirito duplice che lo
attraversa in tutte le sue manifestazioni, dal mito al “logos”: la forma,
cioè la tendenza alla razionalità e alla
perfezione, riscontrabile in Achille
come in Platone, e l’evento, cioè lo
spirito della contingenza e del cambiamento, presente tanto negli Stoici
come in Ulisse. È questa la tesi di
Diano nel suo FORMA ED EVENTO (Marsilio, Venezia 1993), oggi ripubblicato
dopo quarant’anni dalla prima edizione. A questa interpretazione può essere accostata quella di Bernard Williams, che nel suo SHAME AND NECESSITY
(University of California Press, Berkley 1993), individua nel mondo greco
una intensa tragicità senza scopo.
Alla classica distinzione mito-filosofia
Carlo Diano sostituisce quella di forma
ed evento, categorie che attraversano la
Grecia del mythos e del logos, legati in
questo modo da una continuità di fondo.
Forma ed evento rappresentano due mondi
nettamente distinti che oppongono la cultura della necessità dei concetti e della
razionalità a quella della contingenza dei
fatti e della differenza. Diano apre piccoli
squarci nella cultura greca, non distinguendo il mondo del mito da quello della
filosofia, ma individuando invece quello
spirito del contingente e del tragico che
pervade la cultura greca a partire dal personaggio di Ulisse fino alla filosofia degli
Stoici, opposto a quello del necessario e
dell’epico, riscontrabile in Achille come
in Platone o Aristotele. La cesura che determina lo spirito greco non si manifesta
pertanto come separazione storica tra due
culture, ma come continuo rimando della
forma all’evento. Per questo l’interpretazione di Diano non è cronologica: partire
dal logos o dal mythos, che qui perdono la
loro identità, è irrilevante ai fini dell’analisi, che non presenta un’impostazione storica e scavalca la temporalità.
Diano analizza il sillogismo aristotelico in
opposizione a quello stoico: se il primo
rappresenta la necessità dei concetti, la
forza della verità logica, il secondo si
manifesta nella particolarità e nella contingenza del fatto, al di là dell’universalità: Aristotele contro Zenone; il Motore
immobile contro il dio che diviene e si dà
nelle cose. A fianco di Aristotele Diano
colloca la metafisica, che in Platone e
Parmenide ha trovato il suo apogeo: l’eternità e la necessità dell’essere si caratterizzano come forma sempre identica a se
stessa, al di là dello spazio e del tempo in
una perfetta intelligibilità. In contrasto alla
luminosità della forma, Diano individua la
contingenza dell’evento nella filosofia ellenistica: nel dio che diviene e si manifesta
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nello spazio e nel tempo, nel dio-logos che
“è” spazio e tempo. L’evento si concretizza quindi nel divenire del fatto in continuo
ripiegarsi su se stesso, nella contingenza
dell’esistenza che si rivela soltanto nell’hic et nunc.
Come osserva Remo Bodei nell’introduzione al volume di Diano, l’evento «è
sempre puntuale e individualizzato: costituisce un vissuto e non un pensato». L’epifania dell’evento si contrappone così all’oggettività della forma, a sua volta pensata e non vissuta, paradigma ordinato
nella sua luminosità. Lo stesso spirito,
secondo Diano, attraversa anche il mondo
del mythos e si concretizza nelle figure di
Achille e Ulisse: se l’eroe dell’Iliade, infatti, è l’eroe della forma, quello dell’Odissea è l’eroe dell’evento. Achille è l’eroe
che contempla la sua immagine sempre
identica a se stesso: in Achille «l’essere e
l’esser visto coincidono» in un’identità
perfetta. Ulisse è invece l’eroe dell’azione, della furbizia e dell’inganno; è l’eroe
dai mille volti e dalle mille trasformazioni.
Achille è sempre visto nella sua giovinezza, che al di là dello spazio e del tempo
trascende la contingenza dei fatti per raggiungere l’idealità delle forme. Ulisse invecchia e rivela la sua esistenza attraverso
il divenire affaccendato nel tempo; come il
dio-logos degli stoici, Ulisse si stacca dal
destino della necessità, si pone in perpetuo
divenire nell’assenza di fondamento, nel
AUTORI E IDEE
“caso” che è non-senso: la logica dell’evento non ha “logica” e per questo è
fondamentalmente tragica. Achille invece
non diviene: è la perfezione che si materializza nell’eroe, è la forma che nella sua
necessità anticipa l’ontologia classica; per
questo la forma non è tragica, bensì epica,
trasparente e immediata.
Forma ed evento, ovvero epico e tragico,
costituiscono così i due generi che pervadono l’antichità classica, non segnata quindi da un’evoluzione determinista o comunque da una legalità. L’avvicendarsi di
forma ed evento costituisce a sua volta un
fatto contingente. Bene allora dice Bodei
nell’introduzione: «in principio era l’evento», assegnando una priorità logica all’evento e alla particolarità; in fondo le due
categorie sono tali proprio perché si manifestano nell’individualità degli eventi culturali e perché non seguono una logica,
che di fatto si perde nella contingenza dei
fatti. Non è possibile pensare ad un rapporto “formale” e simmetrico tra forma ed
evento, solo ad un rimando reciproco che
si scopre nella sua tragicità.
In questa priorità dell’evento sulla forma,
del tragico sull’epico, l’interpretazione che
Diano fa del mondo antico può essere
accostata a quella di Bernard Williams,
che nel suo Shame and Necessity individua nel mondo greco una intensa tragicità
senza scopo. Secondo Williams la cultura
greca, e in particolare il mito e la tragedia,
manifestano una profonda frammentazione dell’integrità del mondo, una mancanza
di senso e di sistematicità, che ricordano la
tragicità dell’evento di Diano. Williams
studia le idee etiche dei greci, come quelle
di responsabilità e di giustizia, che, fondate solo su se stesse, mancano di una qualsiasi teleologia. Secondo Williams, Platone e Aristotele hanno cercato di imporre
la logica della necessità e della giustificazione razionale, non riuscendo però nel
loro scopo. Per questo nella Grecia classica la logica del tragico, profondamente
nichilista, vince su quella della razionalità
metafisica: seguendo la terminologia di
Diano, il mondo dell’evento continua a
prevalere su quello della forma. Ma non
solo: Williams accosta la tragicità dei greci alla mancanza di sistematicità dei nostri
giorni. Il profondo nichilismo, già radicato nella Grecia classica, si manifesta ancora oggi nel mondo contemporaneo, incapace di darsi un fine o uno scopo. La
ricerca del paradigma ordinato e strutturato di un’oggettività pensabile resta allora
un’esigenza dell’uomo, che nel corso dei
secoli ha sempre cercato di razionalizzare
e giustificare gli eventi di per sé tragici
senza riuscire mai, però, a legittimarli definitivamente. La forma, che in Diano ha
comunque una propria autonomia, diventa
in Williams quell’ideale regolativo che,
dallo spazio del nichilismo, viene richiamato all’infinito. A.S.
Storicismo
e filosofia dell’esistenza
Una chiara valenza “critica” definisce
il percorso dello storicismo che Giuseppe Cantillo traccia nel suo recente
studio: L’ECCEDENZA DEL PASSATO. PER UNO
STORICISMO ESISTENZIALE (Morano editore, Napoli 1993), in cui viene proposta
una linea di contiguità sostanziale tra
gli itinerari dello storicismo e quelli
dell’esistenzialismo.
Risultato di una complessa attività di ricerca,
i saggi che compongono lo studio di Giuseppe Cantillo prendono in esame alcune tra le
voci più rappresentative del pensiero storicista e dell’esistenzialismo tedesco italiano,
nella definizione di un quadro analitico che
metta in evidenza la portata dirompente dello Storicismo nella temperie culturale fin du
siècle, tanto da rappresentare la radice teorica dei successivi sviluppi dell’ Existenzphilosophie. Droysen, Dilthey e Troeltsch
sono infatti, osserva Cantillo, rappresentanti
di una nuova sensibilità filosofica novecentesca che riconosce i limiti del pensiero
matematizzante positivista e neo-kantiano,
rivendicando per il sapere umano un nuovo
ambito di definizione, non più esclusivamente scientifico (nel senso delle Naturwissenschaften), ma anche storico (secondo
il significato delle Geistes-wissenschaften).
Due direttive, dunque, emergono dall’interpretazione di Cantillo; l’una riguarda le possibilità teoriche dischiuse dalle nuove metodologie dell’Historismus, l’altra sottolinea
la necessità di recuperare il senso integrale
dell’Io: non solo la sua produttività teoretica,
ma anche il suo agire pratico e storicamente
determinato. Dell’universalità e centralità
della natura storica dell’Io sono informate, e
non è un caso, tanto la speculazione di Droysen, quanto quella di Dilthey e Troeltsch. In
effetti, la necessità di riconsiderare il valore
meta-empirico dell’agire umano e il bisogno
di definire l’assolutezza della dimensione
etica - che rappresenta la natura più intima
dell’individuo e che determina il dispiegarsi
dell’esistenza storica - diventano in Droysen altrettanti punti-cardine intorno a cui si
costituiscono i momenti salienti della sua
speculazione. Interlocutore spesso polemico di personalità di spicco nel panorama
scientifico a lui contemporaneo (Klemm,
Boechk e lo stesso Hegel), Droysen esprime
innanzitutto l’esigenza di porre nuove basi
metodologiche su cui fondare una filosofia
della storia, capace di leggere il passato con
intelligenza, di trarre dall’esperienza vissuta gli
insegnamenti per il presente e per il futuro,
nella concezione di un tempo storico come
interno all’Io e flusso ininterrotto, un tempo che
non ha un’unica direzione, ma che anzi, “simmelianamente”, sa anche guardare all’indietro.
Con l’ausilio prezioso di uno scritto di Droysen, tradotto per la prima volta in italiano,
Der Mensch und die Menscheit (L’uomo e
l’umanità), originaria sezione conclusiva
delle Vorlesungen über die Historik del 1857,
19
Cantillo mette in luce la profonda novità
della concezione storiografica di questo autore, di cui viene evidenziato il richiamo da
un lato alla centralità dello Erleben, dall’altro all’attualità infinita della Kulturgeschichte.
Ma se la dimensione culturale dell’uomo,
che Droysen pone prepotentemente in primo
piano, deve assumere un valore fondamentale nell’analisi storica, è la speculazione di
Troeltsch che si avvicina di più a questo
intento. Nel definire “storicamente” l’esperienza religiosa, nel farne oggetto di conoscenza filosofica, Troeltsch dà vita a un’opera destinata a porsi come paradigma della
riflessione storicista sui “valori”. Sovente in
contrasto con le affermazioni rickertiane intorno alla Geltungsphilosophie, nell’intento
di riconciliare “Sistema-di-valori” e “Vitastorica”, Troeltsch resta infatti, secondo Cantillo, molto vicino al «soggetto concreto,
vivente, al diltheyano “Io che pensa, vuole e
sente” (...). La vita storica, piuttosto che la
forma storico-individualizzante del conoscere, diventa ora sempre più chiaramente il
centro della riflessione troeltschiana, che
proprio perciò porta sempre più in primo
piano la problematica dello sviluppo storico
e della continuità della storia».
Proprio a partire dalla significativa posizione troeltschiana, che assegna al soggetto
empirico un ruolo operante nella storia, Cantillo cerca ora di rintracciare una linea comune nella riflessione storicista e nella esperienza dell’esistenzialismo. In particolare
nelle considerazioni su Piovani, Cantillo
sottolinea la continuità esistente tra Historismus e filosofia dell’esistenza: margine di
congruenza che si determina proprio nella
messa in rilievo dell’importanza dell’individuo nella storia, del peso della volontà empirica nel sistema intemporale dei valori. «La
filosofia dell’individualità - osserva Cantillo
- incontra così la storia come l’orizzonte più
proprio dell’individualità e riconosce la storicità come il suo costitutivo modo di essere.
Accettando di esistere, l’individuo non può
non accettare le conseguenze di questo originario atto di libertà e di responsabilità».
D’altro canto la filosofia dell’esistenza, aggiunge Cantillo, nel suo voler recuperare il
significato fondamentale della “decisione”
nella vita dell’uomo, è necessariamente portata a ridefinire anche i limiti di una concezione storicista che invece ponga l’accento
soprattutto sulla necessità del “Sistema-deivalori” e sulla indipendenza dell’accadere
storico dalle individualità concrete.
A questo riguardo, fa notare Cantillo, già
all’interno dello Historismus esistono due
tendenze di pensiero contrapposte; la storia
dello storicismo nell’Ottocento e nel Novecento, come appunto suggerisce Piovani, «è
fondamentalmente storia del contrasto fra
due concezioni storicistiche (...): l’una sostanzialmente rivolta a restaurare nella Storia teologizzata una filosofia assoluta ed
universalistica, l’altra sostanzialmente rivolta
a far tesoro della lezione della ricerca storica
al servizio ideale [di una] filosofia pluralizzata ed antimonistica». M.P.R.
AUTORI E IDEE
In ricordo di Daniele Boccardi
Il 14 febbraio 1993 è prematuramente
scomparso Daniele Boccardi, giovane promettente studioso di Filosofia
del diritto, allievo di Marcello Pera. La
recente pubblicazione dell’ultimo lavoro di Boccardi, PER UNA FILOSOFIA DELLA SCIENZA SPERIMENTALE. LA CONTROVERSIA PASTEUR - POUCHET (Edizioni ETS,
1993), offre la possibilità di cogliere
una traccia significativa del pensiero
di questo autore attraverso la Prefazione di Marcello Pera, da cui appunto
è tratto il brano che segue.
La cronologia degli eventi al centro del
lavoro di Daniele Boccardi può essere
contenuta in pochi dati. Alla fine del 1858
F. A. Pouchet invia all’Accademia delle
scienze di Parigi una “Nota su alcuni protoorganismi vegetali e animali, nati spontaneamente nell’aria artificiale e nel gas
ossigeno”. Il 3 gennaio 1859 (è l’anno
stesso della prima edizione dell’Origine
della specie di Darwin, l’opera che più di
altre ha bisogno, se non di una teoria della
generazione spontanea, almeno di una teoria dell’origine della vita) si apre la discussione; il 17 gennaio Pouchet presenta
le sue “Note sulle obiezioni relative ai
protoorganismi riscontrati nell’ossigeno e
nell’aria artificiale”, e nel marzo viene
bandito il premio Alhumbert con il tema di
«provare, con delle esperienze ben fatte, a
gettare una luce nuova sulla questione
delle generazioni dette spontanee». In quello stesso anno, Pouchet dà alle stampe la
sua enorme (settecento pagine) Hétérogenie ou traité de la génération spontanée
basé sur des nouvelles expériences, cui
seguono cinque note fondamentali di L.
Pasteur (6 febbraio, 7 maggio, 3 settembre, 5 novembre 1860 e 7 gennaio 1861),
finché, il 3 giugno 1861 egli presenta la
sua celebre Mémoire sur les corpuscules
organisés qui existent dans l’atmosphère.
Examen de la doctrine des gènérations
spontanée. Il 24 novembre 1862, dopo che
ormai, per una serie di vicende, nella Commissione erano rimasti solo i suoi avversari, Pouchet si ritira dal premio che viene
assegnato, all’unanimità, a Pasteur il 22
dicembre 1862. Quando nel 1864 Pouchet
darà alle stampe le Nouvelles expériences
de génération spontanée et la resistance
vitale, tutto ormai sarà concluso.
A giudicare da tanta rapidità, è come se ci
si trovasse di fronte ad una lunga ed estenuante partita risolta improvvisamente in
poche mosse con uno scacco matto.
Eppure, proprio perché non intende descrivere “come andarono realmente le
cose” o prescrivere “come avrebbero dovuto andare” o “perché avrebbero dovuto
andare in un certo modo”, questo lavoro è
utile per gli storici, stimolante per i filosofi, e provocatorio per tutti coloro che intendono atteggiarsi in modo consapevole
nei confronti della scienza e della tecnica,
ne condividano o no la scelta con cui esso
si conclude.
Boccardi chiama la sua opera «un’occasione per l’epistemologia». In realtà, si
tratta di un incontro fra la filosofia e la
storia o, più precisamente, fra un filosofo
e un episodio di storia della scienza, fatto
con due scopi: uno teorico, di capire la
peculiarità dell’impresa scientifica e uno,
che direi antiprometeico, di «dissociare il
riconoscimento della peculiarità dalla scelta di rifiutare quella impresa e i suoi progressi». Non ci si dovrà perciò stupire se in
un lavoro dedicato ad una pagina scientifica tra le più ammirate si dà credito alla tesi
centrale del penetrante romanzo di R.M.
Pirsig, Lo Zen e l’arte della manutenzione
della motocicletta, in materia di rapporto
rovesciato fra individuo e tecnologia, e si
celebrano le intuizioni di Bacone in fatto
di peculiarità della ricerca scientifica per
finire con la condanna radicale della tecnica ad opera di M. Heidegger. Non si tratta,
in entrambi i casi, di suggestioni o emozioni sentite, ma di un pensiero meditato e
compiuto, e anche di uno stile di vita.
Quanto alla peculiarità della scienza, la
novità del risultato di Boccardi proviene
dalla novità della domanda iniziale. Con le
sue parole, essa suona: «che cosa si deve
incontrare perché si possa dire che siamo
di fronte ad un caso di...», dove la sospensione può essere rimpiazzata dai principali
concetti su cui continua ad affaticarsi la
filosofia della scienza: razionalità, progresso, accettazione, falsificazione, esperimento cruciale, ipotesi ad hoc, ecc. La
peculiarità della scienza così concepita è
quella stessa scoperta da Bacone, in cui
Boccardi, non senza qualche enfasi, vede
«già presenti tutti gli elementi che caratterizzano, in modo specifico, i mezzi e i fini
di questa disciplina». Da questo punto di
vista, Boccardi rmprovera alla “nuova filosofia della scienza” due “distrazioni”:
quella di essersi concentrata su il soggetto,
piuttosto che sui singoli ricercatori, e su la
teoria, piuttosto che sulle specifiche operazioni che i ricercatori fanno. Con la
conseguenza che l’aspetto tipico, proprio,
della scienza ha finito col diluirsi. Invece,
ciò che è proprio della scienza è il fare, il
manipolare, l’agire e il dominare, insomma il baconiano “commercio con la natura”: un insieme di interventi mirati e di
trasformazioni provocate. Si tratta allora,
per gli scienziati che svolgono questa attività, di fornire “istruzioni” per ottenere
“risultati”. E’ su ciò che si basa il valore
cognitivo della scienza ed è da ciò che può
partire la nostra presa di posizione sul suo
valore pratico.
Individuata nel fare la peculiarità della
scienza, Boccardi si pone ora la questione
morale (anche se egli preferisce non chiamarla così) dell’uso dello strumento di
questo fare, cioè della tecnica. Secondo il
suo modo di vedere, oggi, quando l’esplosione tecnologica investe sempre nuovi
settori della vita,accade che «un numero
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sempre più grande di individui è sempre
più spesso a contatto con sempre più macchine, sempre più difficili da capire e comode da usare». Di fronte a questa situazione che sente alienata, Boccardi accetta
la diagnosi di Heidegger, che l’uomo autentico o «l’Esserci che si mantiene nella
chiacchiera, in quanto essere-nel-mondo,
è del tutto tagliato fuori dal rapporto originario e genuino del proprio essere col
mondo»: a conferma che tanto fascino
dell’heideggerismo, specie tra i giovani di
questa dolente generazione, si nutre di uno
stato d’animo di disagio e insoddisfazione
che poco si cura se i rimedi heideggeriani
e dei loro predicatori “post moderni” contro la supposta inautenticità della vita odierna possano avere esiti più costosi e anche
più crudeli del male denunciato, o se questo
male sia davvero così irreparabile e nuovo.
Del resto, per Boccardi, rimedio non c’è.
Non solo egli rifiuta la tesi di H. Marcuse,
ancora intrisa di speranza, di una rivolta
dei «reietti e degli stranieri, degli sfruttati
e dei perseguitati» contro il tentativo di
«imporre la Ragione su una intera società», ma è d’accordo con la posizione di
R.M. Pirsig, assai più disperante, che «non
c’è nessun “cattivo” che ci vuol costringere a vivere vite senza senso, è solo che la
struttura, il sistema, lo esige, e nessuno è
disposto ad assumersi l’arduo compito di
cambiare la struttura solo perché non ha
senso». D’altro canto, Boccardi avverte il
male della struttura come radicale, originale, insuperabile. Così, nonostante la dichiarazione in contrario dell’intelligenza,
quell’arduo compito diventa impossibile
anche per il cuore più generoso.
Il 14 febbraio 1993, Daniele Boccardi ha
guardato negli occhi il mostro spietato
della Stuttura e ha scoperto che davvero
non aveva senso per lui. Se n’è accorto con
mente lucida, sguardo fisso, volontà ferma.
E allora ha deciso di mettere il mostro alla
prova, dandogli un’ultima, crudele “istruzione” per un ultimo, fatale “esperimento”.
C’è vuoto freddo in chi ha lasciato, e rammarico e sgomento per non essere riusciti
persuasivi abbastanza nel mostrargli che
altra struttura meno spietata può esistere e
altro commercio con l’umanità, improbo e
dolente come l’esercizio del vivere ma
meritevole di essere tentato, può stabilirsi.
Ma non può esserci per nessuno sentimento
di colpa. Perché nell’esperimento c’è posto
solo per la ragione, tanto più in quell’esperimento della vita in cui, come Boccardi
aveva scritto in uno dei suoi versi che
trafiggono l’anima: «Dio si approfitta di un
cieco/ e lo veste di colori stonati./ Ma il
cieco sa il gioco di Dio,/ non conosce i
colori/ e lo lascia giocare». Allora Daniele
Boccardi si è rifiutato al gioco. Che sia
così: «Mi butto/ nel cuore/ di un fiore».
AUTORI E IDEE
La geometria:
storia di una scienza astorica
In Francia, alcuni “ maestri” del pensiero come Jean-Toussaint Desanti e
Gilles-Gaston Granger si sono spesso
pronunciati per una riflessione centrata sui rapporti di parentela fra filosofia
e scienza, in particolare nell’ambito
delle scienze matematiche e della logica. Da segnalare in questo contesto
il volume di autori vari: LE LABYRINTHE DU
CONTINU (Il labirinto del continuo, Springer, Parigi 1993), a cura di Jean-Michel
Salanskis e di Hourya Sinaceur, in cui
viene affrontata l’esperienza fenomenologica dell’infinito, a partire, in primo luogo, dal concetto di continuo. Si
affianca a questo tipo di teorizzazione
anche l’ultimo studio di Michel Serres,
LES ORIGINES DE LA GÉOMETRIE (Le origini
della geometria, Flammarion, Parigi
1992), che si situa decisamente al confine tra ricerca storica, riflessione filosofica e epistemologia.
Cronologicamente il momento che vede la
formalizzazione di una scienza che studia
le proprietà delle figure e le relazioni tra gli
spazi è databile attorno al V secolo a.C. in
Grecia. Michel Serres invita tuttavia a
considerare l’origine come «l’era che precede la geometria»; la scienza delle “forme
pure”, dell’astrazione razionale, è figlia di
un sapere pratico ed empirico, né può essere diversamente, dal momento che «prima
di essere razionali, eravamo intelligenti».
La testimonianza dell’utilizzo di un criterio di misurazione delle superfici ci viene
da Erodoto, che la riferisce all’attività di
riscossione delle imposte sul suolo da parte
dei funzionari del faraone; ma ancor prima
i Babilonesi disponevano di un insieme
abbastanza esteso e articolato di conoscenze geometriche.
La geometria è dunque, in origine, «misurazione della terra», una pratica che i Greci
ereditano dalle culture egizie e babilonesi e
che portano ad un livello di astrazione
scientifica. L’attribuzione di un valore universale a questo sapere pratico è infatti la
scoperta decisiva della civiltà greca: il quadrato, la sfera, il triangolo diventano forme
pure, ideali, soggette a regole razionali ed
eterne; Serres non esita a parlare di miracolo per definire questa trasformazione della
geometria in scienza delle forme pure, che
inaugura un mondo di regole universali ed
un tempo assoluto, astorico. Questo è lo
statuto epistemologico della geometria che
i Greci ci hanno lasciato in eredità. Nella
mirabile ricostruzione delle origini della
geometria, Serres mette in relazione i due
differenti momenti, ugualmente originari,
della scienza della misura: il momento sensibile, contingente e politico, proprio di
una disciplina destinata a regolare i rapporti e a stabilire i criteri della configurazione,
e dello svolgimento, delle cose umane, e il
momento intellettuale, teorico e fondatore
di una razionalità universale, mettendo altresì in evidenza il ruolo della scienza geometrica nella definizione delle “proporzioni” che fondano la correttezza del giudizio
razionale e morale.
Alle interpretazioni di Serres fanno riscontro, in area francese, alcuni altri recenti
interventi sulla questione del rapporto tra
filosofia e scienze “esatte”, che hanno in
comune la ricerca di un linguaggio preciso,
ma semplice, per rilanciare la discussione
filosofico-scientifica al di là dei “circoli” di
specialisti.
Uno dei temi che da Parmenide a Einstein
ha più appassionato filosofi e scienziati è
sicuramente l’infinito. Le labyrinthe du
continu riunisce, in tal senso, interventi di
autori vari, che sotto la direzione di JeanMichel Salanskis e di Hourya Sinaceur,
s’interrogano sull’esperienza fenomenologica dell’infinito, a partire, in primo luogo,
dal concetto di continuo. Come pensare il
continuo? In che modo le cose si manifestano nella loro persistenza su una superficie
di esperienza in cui tutto cambia? L’esercizio fenomenologico, sottolinea uno degli
autori della raccolta, Jean-Toussaint Desanti, è innanzitutto dare significato al
fatto che la nostra esistenza, per quanto
fragile, si sviluppa come “continua”: qualcosa che non cessa di essere, pur variando.
Di Hourya Sinaceur, che dirige con Michel Blay la collana “Mathésis”, dobbiamo
qui anche segnalare, accanto al suo lavoro
più imponente, Corps et modèles. Essai sur
l’histoire de l’algèbre réelle (Corpi e modelli. Saggio sulla storia dell’algebra reale,
Seuil, Parigi 1993), l’opera di pubblicazione, che egli va compiendo, di tutta una serie
di testi fondamentali della storia della logica, come Les lois de la pensée (Le leggi del
pensiero) di Boole, o gli articoli di Leibniz
sul calcolo infinitesimale. Rientra in questo contesto anche la sua recente traduzione dell’opera di Bernardo Bolzano, Les
paradoxes de l’infini (Il paradosso dell’infinito, Seuil, Parigi 1993). F.M.Z./E.N.
Storia dei racconti
Con la pubblicazione di due studi di
grande risonanza, L’HISTOIRE DES CONTES
(La storia dei racconti, Fayard, Paris
1993) e LA FILLE EN GARÇON (La fanciulla
travestita da uomo, Garae-Hésiode,
Tolosa 1993), una giovane studiosa,
Catherine Velay-Vallantin, ha recentemente fatto parlare di sé in Francia
per le sue originali ricerche sulla storia
dei racconti e si sta attualmente preparando ad affrontare oggetti di ricerca altrettanto originali: le lanterne
magiche, il mimo, la pantomina.
Ciò che da parte della stampa e degli
studiosi francesi ha suscitato più interesse, ma anche riserve, è stata l’ipotesi
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di fondo dello studio di Catherine Velay-Vallantin. Diversamente dalle varie scuole che studiano le strutture di
produzione e di trasmissione dei racconti, interessate per lo più a reperire o
teorizzare entità rigide, sovratemporali
(vuoi della psiche profonda, vuoi della
costituzione antropologica sovranazionale), Velay-Vallantin rivendica il carattere storico e contingente dei racconti. Lungi dal costituire delle varianti, i
racconti vivono di vita propria, intessuti
in una storia d’infinite variazioni e varianti, di cui protagonista non è il racconto,
ma il narratore, il cantastorie. L’adattabilità dei racconti non risiede nella duttilità
con cui essi rivestono forme quasi-universali, ma nella plasticità con cui paiono
essere sempre gli stessi, pur cambiando
continuamente e radicalmente.
Come è stato riconosciuto da più parti, lo
studio attento delle procedure di trasmissione (fogli sparsi, colportage, rapporto testo/immagine) rende particolarmente convincente l’ipotesi dell’autrice, che da un’attenzione capillare per le
differenti edizioni di un racconto, trae
un gusto erudito per il viaggio, seguendo
così nel tempo le metamorfosi di un
racconto, che solo di primo acchito appare già visto, già sentito. Da questo
punto di vista Velay-Vallantin rivendica
l’arbitrarietà della separazione fra orale
e scritto: il viaggio da lei compiuto è un
viaggio ermeneutico, capace di dimostrare come l’interpretazione non comprenda solamente i testi, ma in qualche
modo li “crei”. Un esempio può essere il
fatto che alcuni racconti orali, considerati fonti primarie, sono in realtà delle
manipolazioni, trasformazioni di racconti scritti. Talvolta l’orale precede lo scritto e inventa così una tradizione da tramandare: Barbablù è certo una favola
che Perrault ha tratto dalla tradizione
orale. Ma è vero anche che da lui, attraverso i libri di colportage, si è sviluppata
un’altra tradizione, spacciata per antica,
in realtà già ampiamente lavorata dagli
interpreti.
L’interesse per le frontiere labili fra scritto e orale, libro edito e libro plagiato, ha
spinto Velay-Vallantin - da noi intervistata a questo proposito - a occuparsi
della pantomima, della gestualità del circo, che hanno una loro tradizione mimica, imparentata con quella cultura dell’immagine rappresentata dalle lanterne
magiche; una prospettiva di ricerca questa, che peraltro, almeno all’inizio, le ha
procurato non pochi ostacoli in ambiente accademico. Va osservato inoltre che
Velay-Vallantin si dimostra estranea a
ogni tipo di utilizzazione nazionalistica
dei racconti: il suo sguardo rimane capace di vaste vedute, europee e non solamente. Un vero spirito da viaggiatore,
che non trova che tutto il mondo è paese,
bensì che ogni paese è un mondo familiare e insieme lontano. F.M.Z.
TENDENZE E DIBATTITI
Manhattan fotografata da Weehawken, New Jersey (foto di A. Feininger, particolare)
22
TENDENZE E DIBATTITI
TENDENZE E DIBATTITI
Marxismo, capitalismo, o...?
Dissacratore dell’ortodossia comunista negli anni ’70, nella sua nuova
opera, SPECTRES DE MARX (Spettri di Marx,
Editions Galilée, Parigi 1993), Jacques
Derrida invoca il fantasma di Marx
come rimedio ai mali che affliggono la
società contemporanea. A questa ipotesi fa riscontro una recente pubblicazione di Emanuele Severino, IL DECLINO
DEL CAPITALISMO (Rizzoli, Milano 1993),
in cui si tenta una conclusione dello
scontro tra capitalismo e marxismo,
consumati entrambi da una logica di
fondo contradditoria. Come terza forza sembra farsi avanti la tecnica, vincitrice dell’antica sfida e ultima manifestazione del divenire dell’essere occidentale.
Punto di riferimento polemico, bersaglio
dichiarato di Jacques Derrida in questo
suo ultimo lavoro è Francis Fukuyama,
che in The End of History (La fine della
storia e l’ultimo uomo, trad. it., Rizzoli,
Milano 1992) celebra l’istituzione della
democrazia liberale e del capitalismo come
traguardi ultimi della storia. Spectres de
Marx, che rielabora i contenuti di una serie
di conferenze tenute a Riverside (California), ci riserva un Derrida dai toni inediti,
tant’è che lui stesso definisce quest’opera
«un libro di protesta», una denuncia del
«discorso dominante», quello appunto che
recita il de profundis del marxismo. Un’accorta e minuziosa lettura dei testi di Marx,
condotta secondo l’ormai collaudato “metodo” decostruttivo, fa qui tutt’uno con la
presa di posizione nei confronti del mondo
contemporaneo. Derrida definisce il testo
di Fukuyama un “gadget mediatico”, un
“neo-vangelo”, andato a ruba «nei supermercati ideologici di un Occidente angosciato», fungendo quasi da ansiolitico.
Fukuyama diventa così l’emblema di quell’atteggiamento oggi diffuso che da un lato
esulta per la scomparsa delle società improntate al modello marxista e dall’altro
«canta l’avvento dell’ideale di democrazia
liberale e del mercato capitalista nell’euforia della fine della storia».
Non marxista quando tutti lo erano, per
quanto intempestivo, Derrida non sembra
affatto oggi intenzionato a “convertirsi” o a
ricredersi. D’altra parte lo stesso Marx parlava di un fantasma: «uno spettro si aggira
per l’Europa - si legge nel Manifesto - lo
spettro del comunismo». Ma che cosa rende urgente per Derrida il recupero di questo
fantasma?
Mettendo il dito sulle “piaghe” del nuovo
ordine mondiale, più che esultare per la
fine delle ideologie e glorificare lo stato
attuale, Derrida ammonisce di “gridare”
tutto questo. Una proposta peraltro già accolta da circa duecento intellettuali, tra cui
anche Derrida, Lyotard, Blanchot, che nel
luglio 1993 hanno sottoscritto un appello
alla fondazione di un Parlamento Internazionale degli scrittori, riunitosi poi in ottobre a Strasburgo. La costatazione di un’umanità sofferente, sostiene Derrida, non solo
mostra quanto siamo lontani dall’aver realizzato una democrazia liberale come traguardo finale del governo umano, ma soprattutto rivela che bisogna ripensarne gli
assiomi e le istituzioni democratiche minacciate. Per far questo, suggerisce Derrida, occorre essere “fedeli” a Marx: «Ci
sono pochi testi nella tradizione filosofica,
forse nessun altro, la cui lezione appaia
oggi più urgente». Con questo non si tratta
di assolvere la teoria marxista per condannare le sue applicazioni storiche; ciò che
negli anni ’70 Derrida rifiutava del marxismo, la sua piega totalitaria, continua a
essere da lui considerato un aspetto strutturale dell’ideologia e non un semplice incidente di percorso. Si tratta piuttosto di
distinguere innanzitutto gli “spettri” che
inchiodano il marxismo alla sua «pretesa
totalità sistemica, metafisica o ontologica», riscontrabile sia nella teoria della dialettica materialistica che negli apparati nati
sotto la sua stella. Si tratta, in altri termini,
di recuperare quello spirito di critica radicale del marxismo.
Restare fedeli a Marx significa allora mettere in atto una critica sociale che oggi
coinvolge la democrazia parlamentare, i
concetti di uomo e cittadino, le leggi del
capitale. Derrida auspica che questa fedeltà possa esprimersi attraverso una “nuova
Internazionale”, diversa da quella socialista, un’alleanza senza istituzione, senza
partito, senza ideologia, sorretta da un «legame di affinità, di sofferenza e di speran23
za» tra coloro che intendono ispirarsi a
Marx in modo nuovo «per una critica dei
concetti di Stato e di Nazione». Infatti
l’irragionevolezza delle autorità internazionali che sono al servizio degli stati più
potenti, la legge del mercato, la disparità
dello sviluppo tecnico-scientifico, economico e militare non fanno che aumentare la
disuguaglianza effettiva.
L’ “analisi chimica”, che mira a separare lo
spirito del marxismo, a cui è opportuno
rimanere fedeli, dagli altri spiriti orientati
in senso totalitario, non è altro che una
decostruzione del pensiero di Marx. Ma
“decostruire”, osserva Derrida, si rivela
proprio quell’operazione che l’invocato
spettro di Marx insegna a compiere, se per
“critica radicale” intendiamo la ricerca in
profondità non della radice, ma di ciò che è
irriducibile a una “origine”, a un “fondamento” e che si presenta come traccia,
disseminazione, simulacro, fantasma. L’atto decostruttivo, la “critica radicale”, rivela
così l’insufficienza di un’ontologia della
presenza e dell’assenza nel pensare l’evento, che è appunto ciò che Derrida si propone
attraverso la rilettura di Marx. Lo spettro
diventa allora il paradigma per pensare l’
“evenire dell’evento”: quel che accade,
accade nel modo di quel che è là senza esser
là, come il fantasma, e come oggi la virtualizzazione dello spazio e del tempo, ci
mostrano inequivocabilmente. La necessità di «pensare a un altro spazio per la
democrazia a venire e dunque per la giustizia» s’impone allora a partire dall’inadeguatezza del vecchio paradigma ontologico che ha dato luogo all’attuale concezione
della democrazia e della giustizia.
Di diverso avviso sembra invece Emanuele Severino, che ne Il declino del capitalismo sostituisce alla classica immagine dello scontro tra capitalismo e comunismo
quella di un marxismo ormai definitivamente consumato e di un capitalismo prossimo alla fine, vittime di una contraddizione logica che ruota intorno ad una terza
forza, la tecnica, considerata il destino necessario di entrambi.
Secondo Severino il marxismo è definitivamente morto grazie ad una serie di contraddizioni che hanno determinato il dissolversi della sua logica di fondo. In primo
luogo il venir meno della possibilità di una
TENDENZE E DIBATTITI
verità immutabile e necessaria: la pretesa
di un dogmatico assolutismo ha costituito il
limite interno del marxismo stesso, poiché
ogni immutabile, sostiene Severino, è destinato a tramontare in quanto testimone di
una pretesa di eternità e necessità che stride
con il presupposto ontologico occidentale
del divenire dell’essere. Il marxismo, inoltre, nato come dottrina fondata sui valori di
uguaglianza sociale, ha dovuto via via rinunciare alla propria etica per potersi difendere dal capitalismo: l’apparato tecnologico, che è diventato lo strumento necessario per fronteggiare economicamente il
capitalismo dell’Ovest, ha tradito i valori
di partenza e con essi l’essenza stessa del
marxismo. Infine il marxismo non ha capito come la contraddizione vera e propria
del capitalismo sia strutturale e non ideologica: avendo confuso capitalismo e tecnocrazia, ha perso la possibilità di competere,
sul piano logico, con il capitalismo.
Ma se il marxismo è giunto al proprio
epilogo a causa della sua struttura essenzialmente contraddittoria, anche il capitalismo sembra essere prossimo al tramonto a
causa di una contraddizione logica. Seguendo la definizione aristotelica per cui
«il fine di un’azione non è qualcosa di
esterno ad essa, bensì ne costituisce l’essenza», Severino identifica l’essenza del
capitalismo nella logica del profitto, riconoscendo in quest’ultima la causa di una
contraddizione fondamentale: lo sviluppo
industriale si sta dirigendo verso l’annientamento delle risorse naturali che costituiscono la base della produzione economica.
Di fronte alla minaccia della distruzione
della Terra, e quindi della sua auto-distruzione, il capitalismo, osserva Severino, o
prosegue, fatalmente, nella medesima direzione, o rinuncia al fine che gli è proprio,
il profitto, per darsene un altro, cioè la
salvezza della Terra, chiedendo aiuto alla
tecnica. In entrambi i casi il capitalismo
rinuncerebbe tuttavia alla propria essenza e
si avvierebbe, in ogni caso, al suo epilogo.
La tecnica diviene così il “farmaco”, per
usare un termine caro a Derrida, del capitalismo; farmaco inteso sia come rimedio, in
quanto lo salva dalla rovina della Terra, sia
come veleno, in quanto lo conduce, in ogni
caso, al suo tramonto. Capitalismo e tecnocrazia, sottolinea Severino, accomunati da
Marx, e in fondo dallo stesso Derrida, in
una medesima logica contraddittoria, sono
caratterizzati da strutture che entrano necessariamente in collisione. La tecnica, in
quanto possibilità indefinita di realizzare
scopi, ha come fine ultimo l’eliminazione
della scarsità e la realizzazione della massima efficienza e benessere. Di contro il
capitalismo necessita di una situazione di
scarsità per poter imporre la propria ricchezza ed il proprio capitale in vista del
profitto. Così la tecnica si rivela in ultima
analisi il fattore che ha concorso al tramonto del marxismo e che oggi minaccia il
capitalismo dall’interno della sua struttura.
Severino giustifica il ruolo distruttivo e la
consistenza della tecnica riconoscendo in
essa l’ultima espressione della volontà di
potenza dell’uomo occidentale: la tecnica,
definita da Severino come la capacità di
realizzare qualcosa di “essente” dal “nulla”
e quindi come la massima espressione del
divenire dell’essere, diviene in tal senso la
manifestazione estrema della “follia” dell’Occidente. Con ciò Severino esclude il
presupposto che regge l’interpretazione di
Derrida; se per Derrida, infatti, è ancora
possibile evocare quegli “spettri” del marxismo che, sfuggendo ai concetti assorbiti
dall’ideologia, ci richiamano ancora un
senso di giustizia sociale, lo stesso non è
possibile per Severino, che ci propone l’immagine di marxismo e capitalismo come
sistemi essenzialmente contraddittori e
destinati all’esaurimento completo in virtù
della tecnica. A.M./A.S.
Interiorità e verità
in S. Agostino
Un intenso dibattito su alcuni temi fondamentali della concezione filosofica di
S. Agostino è quello che emerge nel
volume INTERIORITÀ E INTENZIONALITÀ (Institutum Patristicum “Augustinianum”,
Roma 1993), che raccoglie gli atti del IV
Seminario internazionale del Centro
Studi Agostiniani di Perugia, a cura di
Luigi Alici, Remo Piccolomini, Antonio
Pieretti. Un’interessante integrazione
di questo ambito di riflessioni è offerta
dallo studio di Orlando Todisco, PAROLA
E VERITÀ (Anicia, Roma 1993).
Nel volume Interiorità e intenzionalità
viene seguito il cammino esistenziale e
religioso della concezione filosofica agostiniana alla luce di nuove riflessioni su
alcune tematiche fondamentali. Il percorso riflessivo segnato dai vari contributi al
volume si snoda attraverso i temi centrali
della teoria di S. Agostino e stabilisce i
nessi significativi che l’interiorità rivela
nella sua apertura esistenziale.
L. F.Tuninetti e G. Fidelibus pongono
l’accento sulla relazione esistente tra l’interiorità e Dio, sottolineando le similitudini che legano, al di là delle differenze, la
prospettiva agostiniana con la concezione
religiosa tomistica. M. Fabris mostra invece come Maine De Birain abbia recepito l’appello agostiniano a calarsi nell’interiorità dell’anima umana attraverso la separazione dal mondo esterno, per cogliere
la verità interiore. Infatti, l’interiorità rappresenta per S. Agostino la vera dimensione dell’uomo, poiché questi, solo ripiegandosi in sé, può trovare la verità. Tuttavia l’interiorità è anche “tensione verso”,
che ne impedisce la chiusura rigida in se
stessa, ponendola in continuo movimento
“itinerante”, illuminato dalla rivelazione
divina. Così l’uomo, pur trovandosi nella
24
condizione di ineludibile finitezza, possiede, secondo A. Pieretti, una sua “dignità”, determinata dalla possibilità di distacco dalle cose materiali e dall’apertura alla
dimensione spirituale dell’eterno.
Il tema dell’amore per Dio si ritrova nella
riflessione di B. Studer collegato con l’altro pilastro fondamentale della tematica
religiosa agostiniana, che è quello della
speranza concepita come attesa paziente
di una buona realtà futura. L’uomo supera
la sua nullità esistenziale attraverso una
speranza immensa che proviene direttamente da Dio, il quale, sceso nelle profondità interiori dell’anima umana, fornisce
significato all’esistenza dell’uomo. D’altro canto Lettieri mette invece in evidenza
come solamente il valore immane della
grazia possa consentire all’uomo il contatto spirituale con Dio. L’uomo è quindi
viator, alla continua ricerca della verità,
mosso da un infinito amore per Dio e
proiettato verso l’imperscrutabile direzione della “grazia”.
L’amore per Dio si manifesta anche attraverso l’amore per il prossimo, in quanto
partecipe della stessa natura divina. L’interiorità si apre agli altri e comunica attraverso il segno linguistico, lasciando che il
significato autentico dell’interpretazione
venga ricercato da colui che ascolta attraverso la discesa nella profonda caverna
interiore della sua memoria, del suo tempo
intimo. K. Flasch esamina il rapporto tra
l’interiorità e il tempo, dove il tempo agostiniano si definisce come il movimento
espansivo ed estensivo dell’anima umana
che rivela il proprio carattere di prodotto
della creazione divina. In questa prospettiva, osserva G. Santi, si può verificare l’incontro con l’ermeneutica di Gadamer che,
sebbene sia svincolata da una fondazione
ontologica della verità, mira a valutare l’importanza dell’ascolto, della comprensione
della parola e quindi dell’interpretazione
possibile, compiuta dall’ascoltatore. Diviene così fondamentale il rapporto tra
segno linguistico e il significato interiore,
il legame della parola con il contenuto
mentale. Secondo E. Esposito il linguaggio rivela una dimensione significativa
dell’essere, poiché è abitato dall’essere,
come propone la riflessione heideggeriana.
Questa prospettiva apre interessanti direzioni di ricerca riguardo al valore determinante dell’interpretazione in funzione del
significato della comunicazione umana: in
quest’ottica può acquistare grande importanza “ ripensare S. Agostino”.
Il tema del rapporto tra interiorità e segno
linguistico, sottolineato qui in particolare
da G. Balido, R.A. Markus e da G. Santi,
acquisisce un rilievo specifico nello studio
di Orlando Todisco, Parola e Verità, in
cui viene analizzato il valore che la filosofia del linguaggio assume nella prospettiva teorica di S. Agostino alla luce del
rapporto tra parola e verità. S. Agostino
rifiuta la concezione “rappresentativa” del
linguaggio, mostrando come le parole non
TENDENZE E DIBATTITI
rappresentino le cose, ma siano segni che
rinviano oltre se stessi. Pertanto la verità
non deve essere ricercata nella parola “esteriore”, ma in quella “interiore” che ognuno
ascolta dentro di sé in un profondo silenzio
mistico. Solo la parola “interiore” può
conferire significato a quella “esteriore”,
poiché la verità risiede nell’intimo dell’uomo nel quale si è rivelata la luce divina
che dissipa le false ombre. L’essenza divina non è segno perché non rinvia ad altro
all’infuori di se stessa, essendo il significato di tutta la realtà, essendo luce nel cui
riverbero tutte le cose del mondo ricevono
senso.
Todisco mostra come la concezione agostiniana della realtà, intesa come mondo
dei segni che rimandano ad altri segni
attraverso un continuo rinvio di significati, riveli la possibilità di una ininterrotta
interpretazione di ciò che viene detto. Nella
comunicazione con gli altri, compiuta sempre con lo sfondo della presenza divina,
avviene un perenne scambio di segni, passibili delle più varie interpretazioni in base
a quella “parola interiore” che ognuno
sente nel profondo abisso temporale della
propria interiorità. Se ciò che conta non
sono le cose materiali ma i segni linguistici, che rinviano ai significati interiori, l’uomo non può far altro che interpretare e la
filosofia del linguaggio diviene essenzialmente interpretazione e quindi “ermeneutica”. M.Mi.
Metafisica e fisica matematica
In un momento in cui la filosofia dialoga preferibilmente con l’ermeneutica o con le scienze umane, delegando
agli epistemologi i rapporti con la
scienza, il proposito dell’opera di Gilles Chatelet, LES ENJEUX DU MOBILE (La
posta in gioco di ciò che si muove,
Seuil, Parigi 1993) è avvincente quanto insolito: mostrare che l’esigenza
della metafisica è ancora attuale, ridestare la filosofia della natura dal
sonno in cui è piombata dopo l’idealismo tedesco. Di taglio diverso è il
testo di Michel Blay, LES RAISON DE
L’ INFINI. DU MONDE CLOS A L’ UNIVERS MATHEMATIQUE (Le ragioni dell’infinito. Dal
mondo chiuso all’universo matematico, Gallimard, Parigi 1993), che si
presenta nei termini di una rivisitazione a fini didattici di uno dei più
affascinanti capitoli della storia della
scienza, quello che riguarda la costituzione della fisica matematica.
Come esempio di un dialogo oggi dimenticato tra scienza e filosofia Gilles Chatelet chiama in causa Shelling, quando nelle
sue Idee per una filosofia della natura, con
l’affermazione «dell’identità assoluta dello spirito in noi e della natura fuori di noi»,
sopprime la separazione di oggetto e soggetto, la scissione tra natura e comprensione. Il rifiuto del dualismo di pensiero e
natura s’impone per Chatelet a una filosofia che voglia pensare adeguatamente la
fisica matematica.
Docente di fisica teorica e direttore di
ricerca al Collège international de philosophie, Chatelet si stupisce che l’armonia
tra filosofia, fisica e matematica, che anche Kant aveva colto, sia andata perduta.
Nel tentativo di renderla nuovamente percepibile, Chatelet fornisce esempi circa i
contributi che la filosofia ha dato per il
perfezionamento della matematica o della
fisica, mostrando una propositività assente nell’epistemologia, laddove essa si limita a fornire una modellizzazione teorica
del fare scientifico. Les enjeux du mobile
si presenta come una vera e propria opera
di riabilitazione della metafisica, del vecchio “mondo intellegibile”, inteso però
come spazio di virtualità e dell’attività di
pensiero ad esso relativa, la “contemplazione”. Questa è emblematicamente concepita come “gesto intellettuale”; e proprio la nozione di gesto si rivela il comune
denominatore delle ricerche condotte dall’autore in metafisica, fisica e matematica.
Il proposito di Chatelet è infatti quello di
ritrovare l’intuizione centrale di una teoria, coglierne il gesto inaugurale, quindi di
ripercorrere a ritroso quel movimento che
ha consentito di compiere un salto nel
sapere fisico o matematico. È sul terreno
della metafisica, quel che gli antichi chiamavano “mondo intellegibile”, che si “apprende” a esercitare il gesto intellettuale.
Il mondo virtuale più classico e accessibile
è per Chatelet quello della geometria: lo
spazio geometrico è il mondo astratto iniziale in cui matematici e fisici hanno colto
i rispettivi oggetti. Tanto la fisica che la
matematica hanno bisogno di questo spazio virtuale “metafisico” per esplorare le
realtà che costituiscono i rispettivi campi
d’indagine; esso si rivela supporto fondamentale all’esercizio dell’intuizione, operazione costitutiva della ricerca fisica e
matematica. Ma Chatelet non trascura neanche le trasformazioni che questo mondo
virtuale subisce attraverso i “gesti” matematici e fisici ed esamina i guadagni teorici determinati dai principali cambiamenti
di prospettiva in campo scientifico: nel
XVIII secolo con la comparsa della nozione di “forza”, nel XIX con l’elettrogeometria, nel XX con la relatività. Mostra infine
che questo mondo intellegibile ha oggi la
dignità di un oggetto reale e una consistenza tanto più solida quanto più la fisica e la
matematica si sono evolute verso un grado
di maggiore complessità, ovvero verso una
gestualità più ricercata.
Questa metafisica “a fior di pelle”, necessaria per pensare la fisico-matematica deve
rinunciare, secondo Chatelet, alla distinzione tra contenuto (fisico) e linguaggio
(matematico). Sulla scia di Merleau-Ponty potremmo ribattezzarla una metafisica
25
del gesto; oppure, considerando la simpatia di Chatelet per Deleuze e Guattari, una
metafisica della “piega” e del movimento
che le corrisponde, il “dispiegamento”.
Una guida di lettura alle opere fondamentali della fisica matematica: i Discorsi di
Galileo, i Principia di Newton, l’Horologium di Huygens, con le relative dimostrazioni commentate passo per passo, è quella offerta da Michel Blay in
Les raison de l’infini.
Sebbene l’approccio non sia nuovo, il testo ha il pregio della chiarezza e della
precisione. Esso mostra come il progetto
di costituzione della fisica matematica,
abbozzato da Galileo in termini di geometria euclidea, viene messo a punto da Lagrange nel suo Meccanica analitica del
1788, dove il modello matematico proposto non è più di tipo geometrico. L’universo non è più scritto in «triangoli, quadrati,
cerchi», ma in caratteri algebrici. L’invenzione del calcolo infinitesimale e gli sviluppi dell’analisi hanno così consentito
alla famosa formula galileiana, «l’universo è scritto in termini matematici» di acquisire un senso pieno.
Blay esamina le condizioni di questo cambiamento: nel XVII secolo, la questione
dell’infinito in matematica trovava resistenze religiose, in quanto la nozione d’infinito era riservata solo a Dio. Sarà Fontanelle, nel suo Elements de la geometrie à
l’infini (1727), a spianare la strada a Lagrange, distinguendo tra infinito geometrico e infinito metafisico. A.M.
Il simbolo e le sue forme
Se la modernità e l’epoca della tecnica hanno determinato una sorta di
demitizzazione della cultura e di perdita del significato di una dimensione
simbolica, appare senz’altro urgente
una risimbolizzazione della realtà che
necessariamente deve passare attraverso un confronto fattivo con la tradizione, soprattutto quella romantica, e con una ridiscussione del rapporto tra segno e simbolo, uno degli
esiti più rilevanti della riflessione contemporanea. L’annuario “Estetica
1992”, a cura di Stefano Zecchi, che
compare con il titolo monografico:
FORME DEL SIMBOLO (Il Mulino, Bologna
1993), intende affrontare questi problemi attraverso una serie di interventi di autori vari.
Nel suo saggio “Simbolo e allegoria nel
primo romanticismo tedesco” Ernst Behler mette in luce come il primo romanticismo tedesco attui una svolta, non soltanto
da un punto di vista strettamente terminologico, rispetto alla posizione del classicismo tedesco e della filosofia idealistica:
simbolo ed allegoria, fino ad allora non
TENDENZE E DIBATTITI
Léon Spilliaert, Vertige, l’escalier magique (1908, particolare)
26
TENDENZE E DIBATTITI
distinti con precisione, assumono significati ben differenti e diverso è anche il loro
rapporto con la poesia. Il primo a separare
nettamente il simbolo dall’allegoria è Goethe che sottolinea la capacità del simbolo
di rappresentare in forma intuitiva ed allusiva l’universale, “l’idea” in un’immagine, un fenomeno, mentre l’allegoria viene
relegata al ruolo di mera metafora, legata
all’ambito del concettuale e quindi poco
adatta ad esprimere l’essenza del poetico.
Ma è soprattutto con Schelling che il nuovo concetto di simbolo assume una valenza filosofica, inscrivendosi anche all’interno di una nuova teoria della creazione
artistica: «la rappresentazione dell’assoluto che comporta l’assoluta indifferenza
dell’universale e del particolare nel particolare» è possibile solo nel simbolo; in
esso l’universale non è il particolare, né il
particolare è l’universale, perché entrambi
sono «assolutamente uno», come compiutamente avviene nella mitologia greca.
Un rilevante spostamento rispetto a Schelling è quello operato da Novalis, il quale
rinuncia alla funzione di rappresentazione
dell’assoluto propria dell’arte e fa della
poesia stessa una realtà assoluta. In questo
senso la posizione di Novalis appare più in
linea con quella espressa dai fratelli Schlegel ed altri teorici della poesia che assumono una posizione più moderata nei confronti della designazione “simbolo” e meno
ostile verso l’allegoria.
Partendo invece dal presupposto che la
modernità è caratterizzata da una “demitologizzazione”, nel suo intervento (“L’arte
del XX secolo e il simbolo”) Jean Claude
Pinson si chiede in quale misura essa
influenzi l’arte del nostro secolo. La dimensione simbolica dell’arte, nonostante
la “desimbolizzazione” operata dalle estetiche del nostro secolo, risulta in realtà ben
presente nella produzione artistica della
modernità, come dimostra emblematicamente l’esperienza del monocromo di
Malevic. Qui l’assoluto, quell’assoluto che
la speculazione estetica romantica poneva
nel simbolo, si dà in absentia; Malevic
rifiuta ogni legame e senso di appartenenza ai simboli remoti o latenti e concepisce
la sua arte come sradicamento, la cui simbolicità è data proprio dal rinvio ad un’assenza non rappresentabile che si offre come
un’intuizione dell’infinito, privo di qualsiasi legame con la terra. Forse meno attento all’assoluto ed al divino, ma altrettanto aperto ad una risimbolizzazione dell’arte, il surrealismo sviluppa da un lato
un’iconografia tesa a demistificare e desacralizzare i simboli tradizionali, dall’altro
sviluppa un’ontologia della bellezza, significativamente proprio in Breton, come
apertura all’essere, al di là della solita
esistenza ed in una dimensione più analogica che logica, che assume i caratteri di
un’emozione dinnanzi alla sacralità.
Un’analisi critica dei presupposti teorici
sottesi alla considerazione del simbolo
come altro dal segno, è quella sviluppata
da Carlo Sini con il saggio: “Il pensiero e
il simbolo”, che prende spunto dalla riflessione di Wittgenstein sulla logica della
rappresentazione. Il problema posto da
Wittgenstein è infatti quello di come una
cosa possa significarne un’altra. Egli sottolinea l’insignificanza del contenuto materiale dei simboli e più in generale dei
segni: il simbolo, come il segno, si limita
a rendere trasparente e nominare il “nucleo logico” di un’immagine sensibile dal
punto di vista del pensiero; pertanto non ha
senso distinguere segno e simbolo come
categorie ontologicamente diverse, perché il pensiero non può che raffigurarsi il
mondo logicamente, cioè nel segno e come
segno. Il significato si dà solo nell’espressione, e proprio per questo ogni attività
dell’uomo è simbolica: significato del
mondo e sua espressione sempre aperti.
Jacques Taminiaux prende invece in esame nel suo intervento (“Il simbolo nell’ontologia fondamentale di Heidegger”) la
dimensione del simbolico limitatamente
al progetto dell’ontologia fondamentale di
Heidegger; il metodo d’approccio qui adottato è quello fenomenologico: il simbolo
ricade da un lato nella dimensione dell’Erscheinung che, a differenza del fenomeno
primordiale, non ha la caratteristica dell’automanifestazione, bensì una funzione
referenziale, l’indicare una cosa per mezzo di un’altra; dall’altro lato proprio il
rinvio del simbolico a ciò che non può
essere visibile lo relega sul piano del discorso semantico che non è né vero, né
falso. Ma è soprattutto dall’esame del 17
di Essere e Tempo (“Rimando e segno”),
osserva Taminiaux, che tale riduzione della portata del simbolo si attua emblematicamente; a livello della Cura e della riappropriazione del suo più proprio poter essere, il Dasein giunge intuitivamente e
istantaneamente alla visione della sua
più autentica possibilità, al di là dei segni che popolano il suo essere-nel-mondo quotidiano.
Dal fatto che l’unità delle arti sembra dipendere dalla comune filiazione dalla memoria (le Muse sono figlie di Mnemosine),
prende spunto la riflessione di José Jiménez (“Il rischio dell’immagine”), che sottolinea come tale unità trovi radice nella
capacità rappresentativa delle arti, il loro
essere immagine. E’ in Wittgenstein, sostiene Jiménez, che l’idea di una rappresentatività, del linguaggio in particolare,
acquista una rilevanza filosofica centrale:
il linguaggio si costruisce come immagine
del mondo. Tuttavia, sottolinea Jiménez,
che la tesi dell’iconicità del pensiero e del
linguaggio non implica un’immagine come
semplice copia di essenze, ma rimanda
alla dimensione antropologica e convenzionale di ogni immagine in rapporto ad un
determinato contesto culturale. Ed è in
quest’ottica che è possibile giustificare
l’unità delle arti come «materializzazione
della capacità proiettiva dell’essere umano», la cui unità simbolica emerge attra27
verso un «uso estetico delle immagini».
L’intervento di Burghart Schmidt (“La
polemica sul simbolo nella logica dell’arte”) affronta la tematica del simbolo a
partire da due posizioni estreme: da un lato
la posizione di Goethe che, muovendo
dall’arte, vede il simbolo come presenza
piena di ciò che è significato nella rappresentazione; dall’altro quella di Peirce che,
in rapporto ad una più generale dimensione segnica della rappresentazione, vede il
simbolo come ciò che rappresenta qualcosa per mezzo di qualcos’altro. All’interno
di questo dualismo tra presenza-luminosità del significato in Goethe, assenza-convenzionalità del significato in Peirce, si
pone secondo Schmidt l’esperienza estetica del simbolismo del XX secolo. Se nello
stile simbolista il nesso significante è frutto di una convenzione, quest’ultima viene
fissata solo dall’artista ed è priva di quel
senso comunicativo riconosciuto, proposto da Peirce.
Attraverso un’analisi delle figure più significative della letteratura contemporanea, Aldo Trione (“Udire l’oscurità”) sottolinea la centralità in essa dell’elemento
della poiesis, che colloca nella forma la
cifra caratteristica della poesia della modernità: il contenuto non è più causa, ma
effetto della forma, come, secondo, Velery,
accade emblematicamente in Mallarmé.
Lo spazio della poiesis è uno spazio simbolico dominato dalla forma pura che annulla il mondo, diventato un puro Nulla,
ma che rivela nuove affinità e nuovi rapporti. In questa prospettiva del fare poetico, osserva Trione, dire le cose significa
farle poeticamente, aprendo un’utopia del
fare, dell’arte come promessa di un «risarcimento immaginario di quella catastrofe
che è la storia del mondo».
Con il suo intervento dal titolo: “Emozione, immagine, simbolo”, James Hillmann,
attraverso un immaginario colloquio, mette in luce infine il complesso rapporto
esistente tra immagine, rappresentazione
ed immaginazione, sottolineando come le
immagini ci coinvolgano come portatrici
di una testimonianza della nostra natura e
come tale simbolicità costituisca l’essenza
della creatività dell’anima.
Completa la serie degli interventi una parte monografica dedicata a Richard Wagner, figura emblematica della contraddittorietà e complessità delle forme del
simbolo. S.C.
TENDENZE E DIBATTITI
La filosofia politica di Rosmini
Inquadrare il pensiero politico di Rosmini nel contesto storico-culturale del
suo tempo, al fine di rendere le concezioni di questo autore più facilmente
comprensibili, è quanto si propone il
volume FILOSOFIA E POLITICA (Morcelliana, Brescia 1993), a cura di Giorgio
Campanini e Francesco Traniello, in
cui vengono presentati gli atti di un
convegno dedicato a questo autore,
promosso dal Comune di Rovereto.
Alla questione del rapporto che lega la
scienza politica rosminiana ad altri
ambiti del sapere è rivolto invece sia lo
studio di Evandro Botto, ETICA SOCIALE E
FILOSOFIA POLITICA IN ROSMINI (Vita e pensiero, Milano 1992), che quello di Franco De Faveri, ESSERE E BELLEZZA (Morcelliana, Brescia 1993).
Le problematiche politiche sollevate da Rosmini nella sua opera si confrontano continuamente con le linee teoriche della sua
epoca nel clima della Restaurazione, mostrando legami, in particolare, col pensiero
di Tocqueville e di altri rappresentanti della
cultura francese. L’evento cardine della storia con il quale la riflessione rosminiana si
misura è la Rivoluzione francese. Rosmini
non solo valuta il significato di rottura che
questo evento ha rappresentato nei confronti
della struttura signorile e della forma civile
della società, ma soprattutto mostra come
esso abbia scardinato il connubio Chiesa e
Stato, rivelando l’anelito verso una religione
liberata da compromessi mondani e politici.
Per lo più, le riflessioni presenti nel volume
Filosofia e politica sono volte a cogliere i
significati centrali della concezione della
società e dello Stato di Rosmini per una
fondazione di una scienza politica, svincolata da determinazioni quantitative e connessa
con altri rami del sapere, in particolare con
l’antropologia filosofica, che costituisce il
perno della teoria politica rosminiana. Un
tema fondamentale di quest’indagine concerne la funzione che la società deve esercitare: concepita come la manifestazione visibile e concreta di una società invisibile e
quindi religiosa, essa deve regolamentare i
diritti dei cittadini senza pretendere di garantire la felicità umana che rimane nell’arbitrio
unico del singolo.
Nelle analisi politiche di Rosmini si possono
peraltro intravedere tematiche specificatamente moderne: la critica al dispotismo di
uno Stato che in nome di assoluti mandati
abusa del potere, rivelandosi intrusivo nei
confronti del diritto inalienabile del singolo
alla libertà; la critica alle teorie socialiste e
comuniste che si basano su un errato ideale
di “perfettibilità” nella loro assurda pretesa
di stabilire in astratto ciò che è bene per
l’uomo, svalutando i limiti della realtà concreta e non tenendo conto della natura umana
nella sua duplice caratterizzazione di negati-
Antonio Rosmini (litografia di Seghesio)
28
vità e di positività e basandosi su miti utopici
e irrealizzabili di redenzione sociale. In quest’ottica la proposta politica di Rosmini
mostra di basarsi sull’esame delle reali condizioni della società che possono consentire o
meno l’applicabilità di una forma di governo.
Assai interessante risulta essere a questo
proposito il confronto critico di Rosmini con
Popper. Sebbene i punti di partenza e le
motivazioni teoriche dei due filosofi siano
diverse, tuttavia conducono ad un medesimo
risultato: la critica ad una concezione politica che si ponga come esaustiva, che non
consideri i suoi limiti, che invada le altre
sfere dell’esistenza umana come quella religiosa, che sia omnicomprensiva, totalizzante e distruttiva degli spazi del singolo. E se
Popper si attiene ad un pensiero scientifico
critico, ad un sapere che non si trasformi in
potere, Rosmini considera invece fondamentale la separazione dello Stato dalla Chiesa
per lasciare che ogni uomo viva attraverso il
cerchio unico della propria individualità
l’esperienza sacra della fede.
Il tema del nesso indissolubile che lega la
scienza politica rosminiana ad altri ambiti
del sapere viene preso in considerazione da
Evandro Botto in Etica sociale e filosofia
politica in Rosmini. Tra i diversi ambiti di
sapere, risulta in particolare determinante
l’antropologia metafisico-personalistica. Per
Rosmini la filosofia della politica può svolgere compiutamente la sua funzione solo se
trascende la sua sfera di competenza valorizzando il nucleo individuale della persona
umana, il cui vero bene costituisce il fine
ultimo della società civile. In tal senso Botto
prende in esame la critica di Rosmini alle
concezioni politiche del passato, che si basano su una prospettiva limitata dell’antropologia, come nel caso del Sensismo che appiattiva le caratteristiche della persona riducendole alle sole componenti sensibili. Per Rosmini, invece, la persona è quella componente che
unifica le molteplici dimensioni proprie della
sua natura (sensibili, razionali, spirituali).
Questa concezione della persona, osserva
Botto, è tipica di Rosmini e lo collega alla
filosofia personalistica, poiché anch’egli mira
a cogliere l’integrità della persona umana
contro ogni possibile dispersione e frammentazione. L’analisi di Botto è essenzialmente rivolta a dimostrare come nella teoria
rosminiana la filosofia della politica, per
evitare di incorrere nella mancata considerazione dell’individuo, non possa fare a meno
di saldarsi all’etica sociale.
Anche la dimensione estetica di Rosmini è
strettamente collegata con la concezione
metafisica, come emerge dall’analisi di Franco De Faveri Essere e bellezza, in cui viene
analizzata la concezione ontologica della
bellezza in Rosmini alla luce nelle coordinate teoriche della cultura europea del suo
tempo. Dopo aver esaminato in modo approfondito la problematica gnoseologica rosminiana, volta a cercare una mediazione tra il
realismo dogmatico del filone aristotelicotomistico e l’occasionalismo di Malebranche, proponendo un realismo critico, De
TENDENZE E DIBATTITI
Karl Marx, Ludwig Feuerbach
Faveri si addentra nell’indagine della complessa questione della fondazione ontologica della teoria del bello di Rosmini. Privilegiando il valore di unità della molteplicità
come significato preminente della bellezza,
la prospettiva estetica rosminiana, fa notare
De Faveri, va a inquadrarsi in una corrente di
pensiero che richiama costantemente il principio dell’unità come raccordo del molteplice e rivelatore della bellezza.
La teoria rosminiana manifesta tuttavia la
sua originalità in base al legame che istituisce tra l’ideale oggettivo presente nella mente umana e la bellezza reale. Infatti la bellezza può essere colta solo attraverso il suo
rapporto ontologico con la verità metafisica,
con l’oggetto ideale della mente, con l’essenza divina. Nella callologia rosminiana,
tra i diversi tipi di bellezza risulta preminente
la bellezza divina e soprannaturale che nella
sua assolutezza sussume sotto di sé la bellezza macrocosmica e la bellezza umana, che a
sua volta si suddivide in bellezza corporea,
psichica e microcosmica.
La bellezza ha per Rosmini un duplice aspetto, essendo formale e materiale, intellegibile
e concreta, ideale e reale e può trovare solo
nell’unione tra questi due aspetti quel sentimento morale che è segno, che è emblema
della divinità. La bellezza rosminiana è armonia, ordine, perfezione, unità, lontana dalla
infinità dispersiva del sublime; è integrità,
totalità, oggettività, luminosità e plauso naturale e sovrannaturale. M.Mi.
Stirner e la rivolta
Un convegno della fine del 1992, i cui
atti sono stati recentemente pubblicati
con il titolo: INDIVIDUO E INSURREZIONE,
STIRNER E LE CULTURE DELLA RIVOLTA (a cura
di Elio Xerri e Vincenzo Talerico, Il Picchio, Bologna 1993) e due monografie,
una di Giorgio Penzo, MAX STIRNER. LA
RIVOLTA ESISTENZIALE (Marietti, Genova
1992, 3ª ed. riveduta e aggiornata), l’altra di Enrico Ferri, L’ANTIGIURIDISMO DI MAX
STIRNER (Giuffrè, Milano 1992) rivelano
un rinnovato interesse per la figura e
l’opera di Max Stirner.
Un primo problema, nell’affrontare il pensiero di Max Stirner, pseudonimo di Johann
Caspar Schmidt, consiste nel collocarne la
riflessione sul piano filosofico piuttosto che
su quello ideologico, come puntualizza Giorgio Penzo in apertura della terza edizione
della sua monografia, Max Stirner. La rivolta esistenziale. Alla considerazione filosofica della riflessione stirneriana ha senza dubbio contribuito la polemica di Stirner con
Marx ed Engels, dalla quale l’opera di Stirner - del quale, più di ogni altro pensatore, si
può forse dire sia stato l’autore di un solo
libro, L’Unico e la sua proprietà (trad. it. di
C. Berto, a cura e con introduzione di G.
Penzo, Mursia, Milano 1990) - esce con le
sembianze di una manifestazione di anarchismo selvaggio su base individualistica, dove
29
l’egoismo stirneriano (che viene anche apparentato a quello di Bentham) rimarrebbe,
dal punto di vista filosofico, sul piano del
dilettantismo.
D’altra parte, l’irriducibilità del concetto
stirneriano di rivolta a quello marxiano di
rivoluzione non necessariamente comporta
la riduzione dell’opera di Stirner al livello
della letteratura, o della propaganda d’agitazione. Secondo Penzo, la centralità del concetto di rivolta introdurrebbe invece alla
dimensione più propria della riflessione di
questo autore, quella ontologico-esistenziale, dissimulata e sistematicamente celata da
Stirner medesimo. Differenziando il proprio
detto dal suo senso profondo, che rimane
indicibile, l’opposizione di Stirner al cristianesimo, similmente a quanto accade in
Nietzsche iuxta l’interpretazione heideggeriana, non deve essere interpretata come una
posizione antireligiosa, bensì, osserva Penzo,
come una tesi ontologica indirizzata contro il
pensiero metafisico occidentale.
Analogamente, nell’interpretazione di Enrico Ferri, l’antigiuridismo di Stirner indica
la chiave d’accesso, ancorché apparentemente settoriale, al complesso della riflessione stirneriana, e in quanto critica al fondamento medesimo dell’idea di diritto, al concetto cioè della doverosità giuridica, rappresenta «una variante e un’estensione del rifiuto di ogni doverosità etica, tanto che essa si
fondi su valori trascendenti, quanto immanenti: su Dio (teologia) o sull’uomo (antro-
TENDENZE E DIBATTITI
pologia)». È d’altra parte noto, a questo
proposito, il ruolo che il disprezzato Stirner
ebbe nel distacco di Marx dall’antropologismo feuerbachiano.
La riflessione stirneriana si configura dunque come una critica radicale della metafisica occidentale e delle categorie da essa formulate, quella del politico in primo luogo.
Proprio la valenza politica e ideologica della
nozione stirneriana di rivolta ha costituito il
tema del convegno “Individuo e insurrezione”, promosso dalla Libera Associazione di
Studi Anarchici e tenutosi alla Casa del
Popolo di Firenze il 12-13 dicembre 1992, di
cui vengono ora pubblicati gli atti nel volume omonimo. L’opera collettanea contiene
saggi, fra gli altri, di Giorgio Penzo, Roberto Escobar, Ferruccio Andolfi, Enrico
Ferri, Antimo Negri, Alfredo Maria Bonanno, Fabio Bazzani, nonché il resoconto
dei dibattiti svoltisi nelle due giornate del
convegno. La figura di Stirner risulta qui
colta nella completa molteplicità dei suoi
aspetti: quella esistenziale, quella politicoideologica, quella di critico della cultura.
Vengono inoltre approfonditi da un lato il
rapporto fra Stirner e i suoi contemporanei,
dall’altro le eredità, tanto sul piano storicofilosofico, quanto su quello politico, della
riflessione stirneriana. Colta nella globalità
dei suoi aspetti, la figura di Stirner emerge
dagli interventi al convegno di Firenze nel
suo carattere di “cesura” del paradigma della
ragione moderna, nella complessità delle
sue articolazioni. F.C.
L’esperienza delle cose
nella società moderna
Nel volume di autori vari ESPERIENZA DEL(a cura di A. Borsari, Marietti,
Genova 1992) la questione di fondo è
rappresentata dall’esperienza umana
delle cose nella società postmoderna
rispetto alle società del passato. In particolare viene posta l’attenzione sul fatto che nella società attuale non solo il
soggetto ha perso il suo significato più
autentico, ma le cose stesse non sono
che “feticci”, venendo meno il loro valore fondamentale di comunicazione
con gli uomini, da cui traspare il tipo di
struttura sociale vigente in una data
cultura.
LE COSE
La società attuale con la sua economia di
mercato di tipo capitalistico è dominata dal
consumismo e dal forte senso della proprietà, che privano le cose del loro potenziale
valore simbolico. Le cose occupano, affollano lo scenario della vita moderna, acquisendo un carattere universale, oggettivo, valido
per tutti che le rende oggetti neutri, privi di
proiezioni simboliche individuali, chiamati
a designare lo status sociale, i valori, la
personalità di chi li possiede. Questa universalizzazione si traduce in una notevole sem-
plificazione, che limita la capacità dell’individuo di interpretare la realtà poiché ora ogni
individuo viene qualificato dagli oggetti di
sua appartenenza, che pure hanno perduto i
significati che avevano nelle società passate come oggetti carichi di significazioni
affettive e individuali, dotati di valore unico e non passibili di un’interscambiabilità
che li defrauda della possibilità di rappresentare la cornice esistenziale e individuale
dell’uomo.
Tra gli interventi presenti nel volume, Alfonso M. Jacono e Franco La Cecla sottolineano l’equazione cosa-merce in base alla
quale l’utilità pratica sostituisce il valore
simbolico delle cose. In particolare Jacono
mostra il legame tra le cose e il feticcio
mentre Wanda Tommasi evidenzia il rapporto delle cose con l’idolo. Le cose intese
sia come feticci che come idoli vengono
assolutizzate senza rimandare ad altro da sé,
in quanto vengono desiderate per se stesse,
investite di significati totali. In tale contesto,
osserva Luisa Leonini, le cose diventano il
supporto sostitutivo rispetto al mancato raggiungimento di un’identità personale, esprimendo una pienezza che si rivela indicativa
di un vuoto interiore.
Nell’attuale società, sostiene Tommasi, le
cose, non essendo più simboli, rinviano indefinitivamente ad un’altra catena di segni,
entrando in un circolo vizioso che impedisce
il riferimento a qualcos’altro da sé. Nelle
cose attuali, come rileva Ezio Manzini, è
presente una componente “immateriale” che
evoca una miriade di immagini “prefabbricate” prive di senso “terrestre”.
Andrea Borsari si sofferma invece sul legame tra le cose e la memoria in rapporto al
tentativo ossessivo dell’uomo di collezionare oggetti antichi per placare il proprio senso
di vuoto interiore, che non solo non scompare, ma viene esaltato dall’eccessiva moltitudine delle cose possedute nell’alternanza
sinistra di “presenza” e “assenza”, risultato
di una mancata elaborazione del “lutto”,
della “perdita”. In tal senso Giorgio Franck
fa notare come l’uomo, immerso in un mondo di cose semplicemente presenti, prive di
spessore simbolico, ambigue, si vive, si avverte come “cosa” tra le cose, costretto a
subire la drammatica situazione di un’esistenza che si svolge sotto l’emblema di un
destino “non decifrabile”.
Per Chiara Zamboni le cose rimandano ai
sentimenti, significano gli “affetti” solo se
l’uomo è in grado di stabilire un rapporto
autentico con esse, non chiudendosi nel centro rigido di una soggettività avulsa dal mondo esterno e nello stesso tempo non proiettandosi in un mondo oggettivo separato dal
soggetto, come ci ha insegnato Heidegger.
Secondo Stefano Zecchi sono gli oggetti
d’arte che hanno il potere di “salvare” l’uomo dall’utilitarismo, una volta che la Bellezza venga rispettata nel suo valore insostituibile. Gli oggetti d’arte sono unici, individuali e irripetibili, osserva Birgitta Nedelmann,
testimoni di una soggettività che non si lascia
irretire dalle maglie intricate di una “stiliz30
zazione” generale, basata sulla “riproducibilità”. Le cose che ci circondano possiedono tanti vettori di significato che possono essere rispettati solo se viene lasciata
intatta nell’uomo la possibilità di interpretare, di decifrare un mondo che non deve
avere un significato assoluto, dato una volta per tutte. M.Mi.
Heidegger, il logos e la parola
L’uomo, la parola, l’ascolto dell’Altro:
sono queste le coordinate fra le quali si
muovono due testi per molti versi tra
loro differenti, quello di Gino Zaccaria,
L’ETICA ORIGINARIA. HÖLDERLIN, HEIDEGGER E
IL LINGUAGGIO (Egea, Milano 1993) e quello di Graziano Ripanti, PAROLA E ASCOLTO
(Morcelliana, Brescia 1993). Li accomuna il riferimento a Heidegger, quale
filosofo il cui pensiero ha affrontato la
questione del linguaggio e della dimensione di alterità che esso implica.
Verso l’etica, al di là dell’etica: questo il
programma che guida la ricerca di Gino
Zaccaria ne L’etica originaria. Ma qual’è la
concezione di etica verso cui ci si intende
dirigere? Più agevole, forse, è intendersi su
quella che si vuole oltrepassare: l’etica metafisica, che pone l’uomo come presupposto
dato, stabile nella sua inconcussa soggettività, che si rapporta al mondo, concepito come
l’insieme degli enti oggetto, attraverso le sue
facoltà. Un’etica siffatta “pensa per valori” e
fa corrispondere a un’ontologia che non pone
la questione dell’essere un’assiologia che
non fa questione del fondamento del valore,
del luogo dove accade l’abitare dell’uomo,
che è ciò cui l’ “etica”, in senso originario,
rimanda. Si tratta dunque, per Zaccaria, di
recuperare l’etica in quanto domanda sull’ethos dell’uomo, uno spazio la cui essenza
originaria Zaccaria vede circoscritta da tre
“figure”, quella del linguaggio, quella del
metodo, quella della verità.
Per intendere rettamente ciascuna di queste
figure di pensiero occorre rifarsi, secondo
Zaccaria, alle teorizzazioni heideggeriane.
Avvicinandosi al luogo originario dell’ethos,
si fa avanti come decisiva la questione del
linguaggio, in quanto nodo in cui l’essenza
dell’uomo si manifesta nel suo carattere poietico: è questo ciò che emerge dal dialogo
fra Heidegger e Hölderlin, delle cui poesie
Zaccaria fornisce alcuni saggi di traduzione,
nell’intento di ripetere, con la lettura di
Hölderlin, l’essenza del gesto heideggeriano
di “tener fede e render grazie” al carattere
poietico-poetico del linguaggio. Spazio di
apertura (Lichtung), quest’ultimo, in cui l’uomo attinge al proprio essere, in quanto collocato nel proprio ethos originario. In questo
senso, la questione etica si fa questione linguistica, e da qui poetica; per questo la poesia
di Hölderlin, nella lettura di Heidegger, è
“destinale”, in quanto congiunge essere e
TENDENZE E DIBATTITI
pensare, pensare e dire (poeticamente) e
abitare. In questo senso, sostiene Zaccaria,
Hölderlin è “il poeta del poeta”; non perché
egli rifletta sul proprio poiein, ma perché
egli “poeta” (cioè “dice poeticamente”)
l’essenza destinale del linguaggio, in quanto poesia. Nell’accadere del poetico, l’uomo si ritrova nell’Aperto, che è il suo luogo
più proprio, e viene condotto in avanti,
spinto da un appello che gli proviene dalla
lontananza: la Grazia (Charis, Huld) che lo
apre al richiamo dell’Altro, del Divino.
Proprio a misurare questo rapporto è chiamato l’uomo nell’opera di Graziano Ripanti, Parola e ascolto, che tematizza la
questione dell’Altro, inserendo, sul filone
del confronto con Heidegger, tematiche di
ascendenza ebraica, potentemente risonanti
nel pensiero di Rosenzweig, Ricoeur e
Levinas. L’ermeneutica di Gadamer solo
in subordine viene qui richiamata al suo
fondamento ontologico, l’essere (di cui si
sottolinea, comunque, la dimensione di radicale alterità), e ne viene invece evidenziato il
carattere dialogico; la parola diventa dunque
Parola dell’Altro, e l’apertura all’Altro configura la relazione dell’ascolto.
Muovendo dagli ultimi sviluppi della riflessione heideggeriana, dalla “nostalgia
dell’essere” che nutre il “pensiero rammemorante”, Ripanti intende esplicitamente
trascendere la posizione di Heidegger, ponendo capo a un “pensiero della rivelazione”. A questo scopo, secondo Ripanti, occorre abbandonare il concetto heideggeriano di essere, la centralità del quale impedisce a Dio la possibilità di farsi dire o farsi
pensare, cioè di rivelarsi: Dio - e questa
costituisce, per Ripanti, suprema “barbarie
intellettuale” - è qui collocato sullo stesso
piano del divino, cioè degli dei. La sortita
dal pensiero dell’essere porta la questione
nella dimensione linguistica; Dio, liberato
dall’essere (progetto cui mettono mano,
come riconosce Ripanti, tanto Heidegger,
quanto Levinas nel tentativo di opporre,
rispettivamente, la filosofia alla teologia, e
l’ontologia all’etica), ha qui il suo luogo
epifanico. Si configura così un’ermeneutica che, nella predominanza metafisica del
testo biblico, ovvero della Parola di Dio,
grazie all’assoluta emergenza e radicale
alterità di quest’ultima, spezza il cerchio
magico del “circolo ermeneutico” e si determina perciò come un’ermeneutica dell’ascolto.
Nell’ascolto del mondo, degli enti dati (che
rimangono fissati nella loro oggettività solo
dallo sguardo teoretico, che impone il primato della “visione”), si verifica, secondo
Ripanti, una doppia trascendenza: «essa
giunge da un altrove del mondo compiuto
della visione, ed è rottura e oltrepassamento del dato». Per questo l’ascolto dell’Altro, la subordinazione alla Parola, si rivelano come «la dimensione originaria, epistemologicamente autentica, del pensare ermeneutico». F.C.
Primo piano:
filosofia e computer
Menone e l’ago nel pagliaio:
le banche dati per la filosofia
Quindici anni fa François Lyotard azzardava una previsione: «L’Enciclopedia
del domani sono le banche di dati. Esse
eccedono la capacità di ogni utilizzatore. Rappresentano la “natura” per
l’umanità postmoderna». Le tre osservazioni avevano valori diversi. La prima
era azzeccata: il domani del 1979 è
l’oggi, quando “trovare un ago nel pagliaio” non è più un problema, visto che
lo facciamo cercare dal computer a una
velocità prossima a quella della luce ,
dentro quegli ordinati covoni elettronici che sono le banche dati. L’enciclopedia si è smaterializzata, tanto che l’eccesso di accessibilità ai dati porta oggi
al problema dei crimini informatici,
mentre le grandi potenzialità di registrazione comportano il rischio opposto della perdita totale dei dati. L’ultima delle tre affermazioni di Lyotard era
banale: non le banche dati, ma l’enciclopedia umana, creatasi nell’epoca moderna grazie alla stampa, ha rappresentato la realizzazione anche fisica di un
secondo ambiente naturale per l’uomo. Il sapere e la sua memoria hanno
rappresentato l’ambiente in cui l’uomo
“moderno” ha svolto le sue attività e
trascorso la propria esistenza perlomeno a partire dal Rinascimento. Ciò
che è più interessante, tuttavia, è che
la seconda osservazione di Lyotard
mancava il bersaglio: la differenza tra
l’enciclopedia e le banche dati non
risiede nel fatto che queste ultime “eccedono la capacità di ogni utilizzatore” - perché ciò è ovviamente vero
anche per l’enciclopedia - ma nel fatto
che contrariamente alla semplice enciclopedia le banche dati mettono ogni
volta a disposizione dell’utente tutto
e solo ciò di cui egli ha bisogno. L’enciclopedia cartacea è un registro, le
banche dati sono una memoria interattiva che può essere interrogata, rimodellata, adattata alle proprie esigenze e rappresenta il ritorno, in versione artificiale, di quella cultura del
dialogo rimpianta da Platone e che
oggi definiremmo “a misura d’uomo”.
31
Spiegare lo sviluppo della conoscenza
umana è sempre stato un bel grattacapo per
i filosofi. Come si passa dall’ignoranza alla
conoscenza? In un passo del Menone (80de) Platone presenta la questione nei termini del famoso dilemma: «in quale modo,
Socrate, andrai cercando quello che assolutamente ignori? E quale delle cose che
ignori farai oggetto di ricerca? E se per un
caso l’imbrocchi, come farai ad accorgerti
che è proprio quella che cercavi, se non la
conoscevi?». Il problema è che «l’uomo
non può cercare né quello che sa, né quello
che non sa: quel che sa perché conoscendolo non ha bisogno di cercarlo; quel che non
sa perché neppure sa che cosa cerca (81a)».
All’apparenza il dilemma di Menone sembra solo un sofisma, ma basta adottare la
traduzione inglese di Jowett (where can
you find a starting-point in the region of the
unknown?) perché esso si trasformi in una
delle questioni centrali dell’epistemologia:
l’uomo può uscire dal suo stato di ignoranza? La conoscenza può crescere? E in caso
affermativo, secondo quale logica?
La teoria dell’anamnesi ed il dualismo
ontologico costituiscono la risposta platonica a questi quesiti; ma all’inizio del
secondo libro della Metafisica Aristotele
propone un’alternativa più “secolare”.
«Anche se i filosofi, singolarmente presi,
non hanno dato alcun contributo o hanno
contribuito solo in piccola parte alla conoscenza della verità, tutti quanti messi insieme, hanno conseguito risultati di una
certa importanza» (II,[…], 1, 993b, 1-5).
Platone accetta l’impostazione monistica
e a-temporale implicita nel dilemma di
Menone, mentre Aristotele articola l’unità
della mente nella nozione di comunità
scientifica, caratterizzando la ricerca come
percorso diacronico e costruttivo. Si esce
dall’ignoranza per tentativi. Si accumula il
sapere secondo un processo storico. L’individuo non si trova perduto nel bel mezzo
della sua insipienza, ma partendo dalle sue
poche certezze si fa forte della tradizione e
forse lentamente, ma fermamente, colonizza le regioni dell’ignoto. Se avete letto
le prime pagine de Il Pozzo e il Pendolo il racconto di Edgar Alan Poe in cui il
protagonista, dopo aver preso coscienza di
essere disteso sul pavimento di un misterioso luogo completamente buio, cerca
faticosamente di tracciarne il perimetro avete presente l’equivalente “aristotelico”
del mito della caverna.
A partire dal V secolo a.C. la cultura occidentale è rimasta in bilico tra il modello
platonico e quello aristotelico. Come uscire dal circolo vizioso dell’ignoranza iniziale e della conoscenza che ci rende coscienti
di non sapere ? Nel 1455 Guttenberg e Fust
pubblicano la Bibbia Mazarina. Di colpo
l’invenzione della stampa fa pendere la
bilancia a favore di Aristotele. Oggi viviamo in un mondo in cui la perdita di informazioni è un incubo, ma per secoli essa è
stata una fatalità cui l’uomo era rassegnato.
Poche copie di un testo potevano scompa-
TENDENZE E DIBATTITI
rire facilmente, come avvenne. Vecchi
manoscritti erano raschiati perché potessero essere riutilizzati. La scarsità dei supporti fisici determinava la selezione dei
lavori che le generazioni future avrebbero
ereditato (pensate a che cosa fareste se in
tutta la vostra vita aveste a disposizione un
solo floppy disk). L’invenzione della stampa rivoluziona tutto questo. Improvvisamente l’accumulazione e la conservazione
del sapere divennero allo stesso tempo più
facili e più sicure. L’occidente smise di
selezionare le conoscenze del passato per
iniziare ad ammassare dati ad una velocità
che avrebbe fatto impallidire Menone. I
libri stampati trasformarono la conoscenza
in un territorio che cominciò a richiedere
mappe precise per essere attraversato. Presto apparve chiaro che solo delle guide
esperte avrebbero trovato i percorsi giusti
al’interno del dominio del sapere. Essere
uno studioso divenne una professione.
Nacquero le grandi biblioteche europee,
che iniziarono a espandersi a dismisura,
proprio grazie a quella metodologia della
cooperazione modulare e strutturata che
Aristotele prefigurava come fondamentale
per interpretare il percorso del sapere. Ad
un certo punto l’enciclopedia umana fu lì,
con i suoi problemi fisici e la sua pressione
psicologica.
Tutto ciò spiega perché all’alba dell’epoca
moderna la mnemotecnica assunse un ruolo determinante, trasformandosi da semplice aiuto per l’arte retorica a strumento di
orientamento, in quanto logica della registrazione, dell’ordinamento e del rinvenimento. Nel 1666 Leibniz scrisse il suo De
arte combinatoria; ma sarebbero dovuti
passare tre secoli prima che le sue idee
seminali trovassero un’applicazione tecnologica. Di fatto, trenta anni dopo gli
uomini disperavano ormai di poter venire a
capo dell’accumulo del sapere. Nel 1699
Thomas Baker scriveva: «il sapere è divenuto ormai così voluminoso che ha iniziato
ad affondare sotto il suo stesso peso; i libri
si ammucchiano ogni giorno in numero
sempre maggiore e sono ammassati l’uno
sull’altro; il loro numero infinito distrae le
nostre menti e scoraggia ogni nostro sforzo». Il processo aristotelico aveva finito
per trasformare il mondo delle idee in una
realtà concreta. Platone era vendicato. Nel
1751 Diderot e D’Alambert pensarono
fosse ormai tempo che si desse una descrizione adeguata e completa di questo universo, disponibile per tutti. Era il primo di
una lunga serie di tentativi.
La vendetta di Platone fu presto seguita dal
ritorno del paradosso di Menone. Secoli di
continuo accumulo avevano ormai dimostrato che l’uomo era in grado di uscire dal
suo stato di ingoranza. La conoscenza poteva essere accresciuta progressivamente.
Ma ora il mondo dell’enciclopedia umana
era divenuto altrettanto misterioso e scarsamente penetrabile quanto quello naturale. La conoscenza, come la storia e la cultura, sono una questione umana, ma gli
uomini possono perdersi all’interno della
loro stessa memoria. Se l’universo della
conoscenza non è il prodotto di una sola
mente, ma il risultato degli sforzi cognitivi
di milioni di vite, come può un solo individuo riappropriarsi del conosciuto? Agli
inizi del Settecento Menone poteva di nuovo chiedere: «in quale modo, Socrate, troverai ciò che sai essere già presente nell’enciclopedia umana? Dove cercherai il sentiero che ti guiderà attraverso la regione del
conosciuto?». L’umanità era passata dal
circolo vizioso dell’uovo o la gallina al
processo infinito dell’ago nel pagliaio.
Lo sviluppo del sapere è rimasto sotto lo
scacco del nuovo paradosso di Menone
fino al secondo dopoguerra, quando grazie all’informatica la cultura occidentale ha dato una risposta scientifica e procedurale alla crescita della memoria (si
veda “Informazione Filosofica”, n. 1314, 1993). Questa risposta sono le “banche dati” (databank).
Tecnicamente, un databank si compone di
dati informativi relativi ad un certo argomento e di un “sistema per la gestione di
base di dati” che li organizza (DBMS, Data
Base Management System, o più brevemente database). I database rappresentano
l’intelligenza del sistema. Quando le informazioni sono strutturate, esse lo sono generalmente secondo un modello “gerarchico” (struttura ad albero), “reticolare” (ogni
dato è accessibile attraversando percorsi
diversi), “relazionale” (l’accesso e la struttura dei dati è stabilita da relazioni predefinite tra tabelle, è questo il genere di database più diffuso) oppure “orientato all’oggetto” (OOP, object-oriented programmed).
Le prime applicazioni di OOP risalgono
agli anni sessanta; ma l’approccio ha ricevuto grande attenzione solo negli ultimi
anni. Il rinnovato interesse per l’OOP è
filosoficamente significativo. Invece di
separare le procedure dai dati, ponendo le
prime al centro e considerando gli ultimi
come gli ingredienti nei confronti della
ricetta, la metodologia object-oriented parte dall’analisi dei dati per arrivare ai processi in cui essi possono essere coinvolti.
Dati e algoritmi (come l’addizione) sono
uniti in una struttura definita oggetto. Gli
oggetti rappresentano poi i nodi che si
scambiano i messaggi di procedura. Procedure stabilite per classi di oggetti possono
essere ereditate dalle loro sottoclassi. In
questo ambito gli ingegneri parlano ad
esempio di ELH, entity life cycle, il ciclo di
vita di un insieme di dati - come quello
attraversato dalle informazioni che mettete
nella vostra dichiarazione dei redditi -, di
eredità delle proprietà dei dati e così via. E’
la rivalutazione della nozione di sostanza
nei confronti di quella di funzione.
Torniamo al nostro database. Elementi di
un insieme di dati, ad esempio i manoscritti
tratti dalla bibliografia dell’Iter Italicum,
rappresentano i records; ogni record è caratterizzato da un numero finito di attributi
(fields), nel nostro caso le varie informa32
zioni relative alla natura fisica del manoscritto, al suo autore, al suo incipit, alla sua
datazione e così via. Un field è l’unità
informativa più piccola gestita dal database, ed equivale a quello che in linguistica è
il morfema. La funzione base del software
è quella di permettere la registrazione (record) che può essere preclusa all’utente
finale, la ricerca (query), il recupero (retrieval) e l’analisi dei dati nella maniera più
semplice per l’operatore/utente (trasparenza user-friendly) e nel modo più adeguato
alla natura delle informazioni trattate (per
una chiara introduzione al tema il lettore
può ora consultare Itzcovich [1993] e Sprugnoli [1987]).
Le banche dati oggi disponibili sono innumerevoli, tanto che strumenti di navigazione elettronica come i gophers, o software di
interrogazione come Veronica, trattano altre banche dati come oggetti di ricerca
(tornerò sull’argomento nel quinto articolo
di questa serie, quando parlerò della “comunità elettronica”). In generale il singolo
operatore che desideri creare e gestire la
propria banca dati deve distinguere tra i
database, come dBaseIII - il cui principale
fine è soprattutto quello di gestire informazioni e testi (ad esempio una bibliografia) e i fogli elettronici (spreadsheet) come
Excell o Lotus 1-2-3, il cui fine è quello di
gestire valori quantitativi per calcolare frequenze, somme, percentuali, tracciare diagrammi etc. Gli storici quantitativi, ad esempio, fanno grande uso di quest’ultimo genere di software (per una semplice applicazione di una spreadsheet si veda il diagramma a colonne, concernente la diffusione dei manoscritti di Sesto Empirico nel
Rinascimento ed il crollo di produzione
successivo alla pubblicazione della traduzione di Henri Estienne nel 1562, in Floridi
[1994]; si tratta di un’ovvio caso di spiegazione post hoc ergo propter hoc).
Quando i dati non sono strutturati, o lo sono
solo in forma minima, come avviene nei
testi liberi (free text), allora ci troviamo di
fronte a software finalizzati al ritrovamento dell’informazione, programmi noti anche come IRS (Information Retrieval Systems), TRS (Text Retrieval Systems), TM
(Textbases Managers) o più semplicemente textbase. Il più semplice esempio di
textbase è fornito da un file e dalla funzione
search presente in tutti i più diffusi word
processing package, si pensi alle varie versioni di Microsoft Word o Wordperfect. Un
textbase permette di sfogliare il testo (browse), la ricerca di stringhe di simboli alfanumerici - magari abbreviate con caratteri
jolly o wild cards quali “*” oppure “?”, o
combinate con operatori Booleani “and”
oppure “or” - e a volte fornisce una lista dei
termini che possono essere ricercati, come
accade nel software del Philosopher’s Index (si veda la scheda in questo stesso
numero).
Se si prescinde dalla logica organizzativa,
che è spesso del tutto “trasparente” (cioè
invisibile) per l’utente, le banche dati pos-
TENDENZE E DIBATTITI
sono essere analizzate secondo due parametri: accessibilità, e funzione. Quasi tutte
le banche dati utili al filosofo sono accessibili sia in versione network (rete) che in
versione CD-rom. Raramente si tratta di
servizi gratuiti, ma in genere i costi sono
sopportati dall’istituzione cui l’utente può
fare riferimento. La distinzione network/
CD (compact disk) nasconde poi un importante fattore culturale. Le case editrici tradizionali (da Brill alla Oxford University
Press, alla Zanichelli) non amano molto il
prodotto “in rete”. Preferiscono stampare
centinaia di copie di CD-rom, magari da
aggiornare periodicamente, per un’apparentemente ovvia questione finanziaria: più
prodotti, maggior profitto. In realtà si tratta
di una mentalità obsoleta, che risente del
tradizionale mercato librario, oltre che della dinamica dello sviluppo tecnologico. La
gestione del sapere sta infatti abbandonando progressivamente la logica degli oggetti
per user a favore della logica per time del
servizio in rete attraverso il quale si vendono ore di consultabilità. Proprio in questi
mesi, ad esempio, il “Sole-24 Ore” ha presentato il suo servizio Big on Line, la banca
dati rappresentata da tutte le edizioni della
testata a partire dal 1984. Basta un computer, un modem e una rete telefonica digitale
(quella che fa bip quando componete il
numero di telefono) per collegarsi (e poi
due milioni di lire per assicurarsi dodici ore
di accesso in un anno). Nonostante il prezzo sia proibitivo per le tasche dei filosofi,
l’idea di fondo rimane interessante. Chi
produce informazioni le vende all’utente
direttamente, assumendosi tutti i costi di
installazione e manutenzione dell’hardware, addestramento del personale, aggiornamento della banca dati e consulenza. Dialog ha seguito la stessa strada per il suo
Philosopher’s Index, oltre a quella del CDrom. Tutto ciò vale anche per le banche dati
testuali. Chi vuole studiare il testo elettronico della Divina Commedia può comprare
il CD-rom edito da Editel per 150 mila lire,
andare nella biblioteca più vicina incrociando le dita, oppure collegarsi con un
modem alla posta elettronica e di qui al
Dartmouth Dante Database (indirizzo internet: baker.dartmouth.edu, una volta all’interno del database inviare il comando
“connect dante”) e consultare gratuitamente sia il testo che sessanta commentatori
medievali e moderni, senza alzarsi dalla
scrivania. E’ ovvio che in futuro la fonte di
produzione dell’informazione finirà per
saltare la mediazione delle case editrici per
mettersi in contatto direttamente con l’agenzia che gestisce un network, a meno che chi
ha sempre stampato libri, ed ora anche CDrom, non decida di passare allo sfruttamento in rete delle stesse informazioni, magari
accordandosi proprio con una società di
servizi informatici per una loro venditagestione in appalto. Che le cose si stiano
muovendo in questa direzione lo dimostra
anche il fatto che sempre più case editrici,
a partire da quelle universitarie americane
Pol Bury, 16 Balls, 16 Cubes in 8 Rows (1966)
33
TENDENZE E DIBATTITI
come la Chicago University Press o la
Harvard University Press, forniscono ora il
proprio catalogo di libri e relativa vendita
per corrispondenza via internet (il network
internazionale). Il risultato sarà che in futuro gli editori rivestiranno sempre più spesso il ruolo di managers dell’informazione.
Gestiranno unità di tempo-accesso, non
supporti fisici magnetizzati, soprattutto
quando i dati sono sottoposti ad un continuo mutamento diacronico. Si può aggiungere che anche il mercato televisivo si sta
orientando in questa direzione, sebbene ci
sia una differenza: siccome è molto più
difficile rendere il piccolo schermo interattivo, il presente stato della ricerca tecnologica lascia presagire che i prodotti per la
televisione registrati su supporto individuale (analogico o digitale), come i videotape o i videodischi, avranno un ciclo economico più lungo delle banche dati o testuali per computer prodotte in versione
individuale.
Per quanto riguarda la funzione delle banche dati, due aspetti risultano di particolare
interesse. Anzitutto si può distinguere tra
banche dati “specializzate” per la ricerca
umanistica, come Francis Philosophie, il
Philosopher’s Index, l’Humanities Citation Index o l’Iter Electronicum (si veda la
scheda che segue), e banche dati “generali”, come i cataloghi elettronici delle biblioteche (da quello della Library of Congress, accessibile via internet da casa, a
quello della British Library, contenente
otto milioni e mezzo di schede bibliografiche aggiornate fino al 1975, di cui esiste
anche una versione in CD-rom), i dizionari
(per un dizionario di informatica si può
consultare il gopher wombat.doc.ic.ac.uk)
o le enciclopedie. All’interno delle banche
dati finalizzate si può quindi distinguere tra
banche dati “bibliografiche”, come quelle
appena citate, e banche dati “testuali”, come
la Patrologia Latina o il Thesaurus Linguae Graecae (di queste ultime mi occuperò successivamente in questa rivista). Viviamo tuttavia in una fase della digitalizzazione del nostro sapere in cui la facilità di
rinvenimento delle informazioni, da un lato,
e l’apprezzamento dei dati quantitativi dall’altro hanno iniziato ad offuscare la precedente distinzione. Per spiegare il fenomeno
farò un paio di esempi.
Supponiamo di voler scoprire se un tardo
filosofo scolastico come John Sergeant
abbia influenzato il lessico inglese. La seconda versione dell’ Oxford English Dictionary in 20 volumi, con mezzo milione di
definizioni e quasi due milioni e mezzo di
citazioni che illustrano i vari usi linguistici,
è consultabile su CD-rom (edito dalla
Oxford UP, 1992). In pochi minuti scopriamo che John Sergeant è citato soprattutto
per il suo uso tecnico del plurale di knowledges. Non è un uso del tutto originale. Il
temine piaceva anche a Francis Bacon.
Controlliamo la lista dei dizionari compilata da Giorgio Tonelli e notiamo che nessun
dizionario inglese del settecento o dell’ot-
tocento riporta knowledges, ma che tutti
(ad esclusione di A general Dictionary of
the English Language, compilato da Thomas Sheridan, London 1780) riportano la
definizione di knowledge data da Locke:
«the perception of the connection and agreement, or disagreement and repugnancy,
of our ideas». In effetti sulla base di questa
definizione non si vede come potrebbe
venire in mente di formulare il plurale del
sostantivo. Sergeant e Bacone usavano
knowledges per tradurre cognitiones oppure scientiae; mentre Locke aveva a disposizione gli equivalenti anglicizzati. Passiamo al testo elettronico di Locke (ci fu
una polemica assai aspra tra lui e Sergeant) e non troviamo nessuna occorrenza
di knowledges. A questo punto nasce il
sospetto che Locke stesso abbia contribuito ad eliminare il plurale del sostantivo. Con un po’ di pazienza si può trovare conferma dell’ipotesi nell’edizione
curata da Hamilton di The Works of Thomas Reid. Secondo Hamilton «Knowledges era una parola usata comunemente
sia da Bacone che dai nostri filosofi
inglesi fino a Locke e non dovrebbe
essere abbandonata» (si veda Floridi
[1994b]). Il risultato è che una banca
dati generale come un dizionario è stata
usata come banca dati specializzata per
risolvere un problema di tipo storico,
riguardante il lessico epistemico inglese. L’informatica, in questo caso, non ha
solamente facilitato il lavoro; lo ha reso
possibile.
Secondo esempio. La banca dati del quotation index fornisce informazioni su milioni
di citazioni prese da centinaia di riviste
specializzate, a partire dal 1981, con aggiornamento settimanale (la lista è ottenibile via posta elettronica). Nel suo uso
primario la banca dati serve a scoprire dove
e quando una certa opera di un certo autore
è stata citata. Posso tuttavia basarmi sul
numero di citazioni per scoprire in una lista
di cento filosofi quale filosofo può rappresentare un settore di ricerca maturo e quale
no. Karl Marx è il più citato (più di diecimila riferimenti, seguono al secondo e al terzo
posto Aristotele e Platone). Ed il più trascurato? Difficile dirlo; ma certo Nicola Cusano, con sole 15 citazioni, rappresenta per la
cultura anglofona un potenziale settore di
ricerca ancora tutto da sviluppare (la banca
dati è americana e risente dell’orientamento linguistico nella scelta delle riviste). Per
una controprova posso controllare il catalogo elettronico della biblioteca dell’Università di Cambridge, che registra testi successivi al 1977. Così scopro che delle 35
opere connesse in qualche modo al nome di
Cusano solo 11 sono in lingua inglese, tra
traduzioni e monografie, una è francese e
tutte le altre sono in tedesco, pur trovandoci
in Inghilterra. L’ipotesi sembra confermata: gli studi su Cusano sono veramente un
settore trascurato dalla cultura filosofica di
lingua inglese. In questo caso le banche
dati generali non hanno solo velocizzato
34
l’accesso all’informazione, liberando le idee
dal peso dei dati, esse hanno reso possibile
l’acquisizione di nuova conoscenza.
I due esempi precedenti aprono un panorama nuovo. Se volete sapere che cosa scrivono i filosofi di Princeton potete fare una
richiesta per citazioni degli autori appartenenti a quell’università. Si può controllare
lo sviluppo di un tema nel corso degli anni
(qual’è stata l’evoluzione culturale seguita
dal “Gettier-problem”?), sapere quale testo
di un autore classico ha ricevuto meno
attenzione, capire quale filosofo deve ancora essere tradotto in una certa lingua, pur
essendo famoso in un’altra, o quando un
tema ha cominciato ad essere di moda. Non
ci si deve limitare alla sola filosofia. Quanto impiega un testo ad essere assorbito
dalla comunità scientifica cui appartiene?
E come si misura l’estensione della sua
influenza? Ogni generazione scrive i suoi
manuali, come si passa da uno all’altro?
Come accade che un autore passi dall’essere citato nella bibliografia all’essere citato
nell’indice degli argomenti? Che cosa pubblicano certe riviste e quali sono le riviste
del settore più comunemente citate? Le
banche dati a nostra disposizione oggi sono
ancora organizzate secondo la loro funzione “speciale” o “generale”. Non sono pensate per essere gli strumenti di una “ideometria”, che applichi l’uso dell’analisi quantitativa alla storia delle idee, perciò hanno
appena iniziato a darci qualche risposta in
questa direzione. Usarle per indagini di
tipo quantitativo è un po’ come usare gli
elenchi del telefono di Frosinone e provincia per scoprire dove vivono i professionisti, individuare quale zona della città è in
espansione sulla base del numero di nuovi
collegamenti, delineare le zone ad alta densità di popolazione e così via. La strumentazione tecnica e concettuale tuttavia è già
disponibile. Per questo oggi più che mai
sarebbe poco lungimirante sostenere che le
banche dati testuali siano mediamente più
istruttive di quelle bibliografiche, per quantità di Kbyte (kilobyte, cioè 1024 bytes) di
memoria utilizzata. Il filosofo è un notevole consumatore di informazioni, soprattutto in qualità di bibliotecario di se stesso; ma
si tratta di elaborazione dell’informazione
a scarso valore aggiunto, come nel caso del
rinvenimento di una determinata traduzione o la stesura di una bibliografia. Se si
paragona questo aspetto al lavoro principale del filosofo, cioè la comprensione di testi
e la riflessione su problemi astratti, può
sembrare che un Kbyte di banca dati bibliografica “dica assai meno” dell’equivalente
quantità di memoria testuale (si pensi ad un
brano della Critica della ragion pura). Ma
abbiamo appena visto che i dati bibliografici in senso ampio (citazioni, istituzioni di
appartenenza, livelli di consultazione, numero di copie pubblicate, vendita presso il
pubblico in rapporto alla vendita alle biblioteche, numero dei remainder, ecc.)
permettono un’analisi quantitativa, l’individuazione di costanti, di leggi, di similitu-
TENDENZE E DIBATTITI
dini e trame, di incroci e fratture, di articolazioni macroscopiche che la visione microscopica interna, “da dentro il mare delle
informazioni” non lascerebbe scoprire. La
loro analisi richiama terminologie di tipo
estensionale e perciò non solo insiemistiche (descrizione statica del discreto), ma
anche geografiche (descrizione statica del
continuo) - come nelle mappe del sapere, si
pensi al linguaggio topologico di Foucault
- ed economiche (descrizione dinamica e
procedurale del prodotto e del suo mercato), si pensi ad espressioni come creazione
e scambio di conoscenze, tasso di crescita
o curva esponenziale delle informazioni,
transazione o volume di dati come le usa
Fritz Machlup. L’ideometria può essere
un fecondo settore degli studi umanistici.
Per svilupparsi ha solo bisogno di essere
munita delle banche dati adatte. L.F.
Bibliografia
Baker T., Reflections upon Learning, wherein is
shown the insufficiency thereof in its several Particulars. In order to evince the Usefulness and
Necessity of Revelation, London 1699.
Chili G., Pensare per oggetti ovvero la riscossa del
dato, in “Informatica Oggi & Unix”, novembre
1993, pp. 26-28.
Fabbi F., “La TV interattiva secondo Time Warner”, in “Bit”, novembre 1993, pp. 128-130.
Floridi L., “The Diffusion of Sextus Empiricus’
Works in the Renaissance”, in “Journal of the
History of Ideas”, 1994a (in corso di stampa).
Floridi L., “Objective Knowledge”: the Disappearance and Revaluation of “Knowledges” from John
Sergeant to Karl Popper, in “Nouvelles de la Republique des Lettres”, 1994b (in corso di stampa).
Foucault M., L’archeologia del sapere, Rizzoli,
Milano 1971 (ed. or. fr. 1969).
Hamilton W. (a cura di), The Works of Thomas
Reid, Maclachlan, Edinburgh 1846, pp. 763-4.
Itzcovich O., L’uso del calcolatore in storiografia,
Angeli, Milano 1993.
Jowett B., The Dialogues of Plato. Vol. I, Meno,
Clarendon, Oxford 1953. Per una traduzione più
letterale si veda W. R. L. Lamb, Meno, Harvard
U.P., Cambridge Mass. 1957 (Loeb Classical Library, vol. II).
Lyotard J. F., La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano 1981 (ed. or. fr. 1979), cit. da p. 94.
Machlup F., Knowledge: its Creation, Distribution
and Economic Significance, Princeton U.P., Princeton N. J. 1980-4.
Machlup F. e Leeson K. (a cura di), Information
through the Printed World, Praeger, New York
1978.
Machlup F. e Mansfield U., The Study of Information, Interdisciplinary Messages, John Wiley and
Sons, New York 1983.
Pittari M., La televisione nel video, in “LAN &
Telecomunicazioni”, ottobre 1993, pp. 76-79.
Platone, Menone, Laterza, Roma-Bari 1966.
Sprugnoli R., Le basi di dati, Editori Riuniti, Roma
1987.
Tonelli G., A Short-title List of Subject Dictionaries of the sixteenth, seventeenth and eighteenth
centuries as aids to the History of Ideas, The
Warburg Institute, London 1971.
Le banche dati in filosofia
Non è possibile fornire un elenco esaustivo di tutte le
banche dati che un filosofo potrebbe trovare utili per
la sua ricerca. Le indicazioni che seguono riguardano solamente alcuni di quegli strumenti che hanno
una rilevanza immediata per la ricerca filosofica.
Philosopher’s Index: è la versione elettronica
dei volumi editi dal Philosophy Documentation
Center dell’Università di Bowling Green. I dati
riguardano gli articoli di riviste di filosofia soprattutto di lingua inglese a partire dal 1940 (per una
sua descrizione si veda la scheda di Diego Marconi al termine della nuova edizione dell’Enciclopedia Garzanti di Filosofia, Garzanti, Milano 1993).
C’è da aggiungere che il PI è ottenibile anche su
CD-rom e che per coloro che non hanno accesso a
DIALOG è possibile connettersi via network al PI
mediante CompuServe (il servizio tuttavia è più
costoso). L’aggiornamento è quadrimestrale.
Francis Philosophie: banca dati prodotta dal
Centre National de la Recherche Scientifique,
Institut de l’Information scientifique et technique,
sciences humaines at sociales (CNRS/INIST). E’
un online service (Telesystems - Questel) contiene circa 80000 citazioni, di cui circa la metà con
abstract, riguardanti la letteratura mondiale filosofica, dalla storia della filosofia alla logica.
Corrisponde al Bulletin signaletique, sciences
humaines: section philosophique, ed ha una copertura internazionale a partire dal 1972. L’aggiornamento è quadrimestrale, per un totale di
circa 5000 nuove voci ogni anno.
Religion Indexes: banca dati per gli studi religio-
si e teologici, contiene riferimenti estratti da oltre
480 riviste e 425 monografie. La versione CDrom copre argomenti che vanno dalla storia delle
religioni agli studi biblici a partire dal 1975 e
viene aggiornata annualmente.
Citation Index: questo servizio è fornito dall’In-
stitute for Scientific Information. Si compone di
tre banche dati, Science Citation Index, Social
Science Citation Index e Arts and Humanities
Citation Index. Insieme, i tre indici coprono indicazioni bibliografiche estratte da articoli provenienti da circa 7000 riviste. Si può lavorare solo su
una delle tre banche dati alla volta. All’interno,
alcuni semplici menu lasciano all’utente la scelta
dell’autore, del titolo del saggio, della rivista,
dell’istituto di appartenenza, della lingua, dell’annata, del periodo di tempo ecc. su cui fare la
ricerca. Se si lavora sul servizio on line, una volta
ottenute le informazioni richieste, esse possono
essere inviate sotto forma di file al proprio indirizzo elettronico e quindi essere scaricate sul proprio
computer. La banca dati è sempre disponibile, ad
esclusione di tre ore settimanali durante le quali
avviene l’aggiornamento. Solo gli utenti registrati
hanno libero accesso al database. In Inghilterra il
servizio è gestito da BIDS (Bath Information &
Data Services).
Iter Electronicum: versione su CD-rom dell’Iter
Italicum di Paul Oskar Kristeller. Prodotto da
Brill a cura di Luciano Floridi, sarà disponibile
alla fine del 1994.
Prosopography of Italian Renaissance University Teachers and Students: progetto in
corso di sviluppo presso l’Università di Londra
riguardante i dati biografici dei docenti universitari nel periodo rinascimentale. Per informazioni
rivolgersi a Peter Denley, Department of History,
Queen Mary and Westfield College, University of
London, Mile End Road, London E1 4NS, Email:
[email protected].
Banca Dati delle attività di ricerca del C.N.R.
(DBCNR): banca dati interdisciplinare (in cui
figura il settore disciplinare “Scienze storiche,
filosofiche e filologiche”), che organizza l’insieme dei progetti di ricerca finanziati dal Consiglio
35
Nazionale delle Ricerche (C.N.R.), consentendo
un rapido accesso alle informazioni di primo livello su circa 10 000 progetti di ricerca, singolarmente descritti e relativi a progetti degli Organi
C.N.R. e progetti finalizzati, nonché sulla struttura organizzativa e le competenze disponibili di
270 Organi di ricerca. La banca dati DBCNR è
composta dalle seguenti basi di dati: “Brevetti”
(Brevetti e marchi, 1987-91), “Indirizzi” (indirizzi di Istituti e Centri, 1992), “Istituti” (struttura di
Istituti e Centri, 1990), “Progetti” (progetti finalizzati e di ricerca di Istituti e Centri, 1989-90 e
1992), “Ricercatori” (elenco dei ricercatori in
Matematica e Fisica degli Enti Pubblici italiani,
1991), “Risultati” (pubblicazioni e attività scientifiche e tecnologiche di Istituti e Centri, 198890). Le informazioni contenute nella banca dati
DBCNR sono disponibili su CD-rom, in volume a
stampa e on-line tramite accesso attraverso il
Centro di Calcolo del Servizio Informatico Area
Milanese (SIAM).
Enciclopedia Multimediale delle Scienze
Filosofiche (EMSF). Prodotto dalla Rai DSE, dal-
l’Istituto per gli Studi Filosofici, dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, il progetto della versione
ipermediale e ipertestuale su CD rom dell’Enciclopedia raccoglie i testi di circa 700 interviste-lezioni
in tre lingue, consultabili secondo diverse modalità
(titoli delle interviste, nomi dei filosofi intervistati,
piano dell’opera, indice analitico dei concetti) e
corredati di abstracts. Tra le varie parti che compongono il CD rom figurano un lessico dei concetti
fondamentali di oltre 200 parole, suddivisi in gruppi tra loro in connessione secondo parentele di
significato, disciplina, correnti di pensiero ecc.;
una storia del pensiero filosofico dai presocratici ai
nostri giorni; una raccolta antologica dei testi più
significativi della storia del pensiero, accompagnati da una breve presentazione del filosofo; un atlante della filosofia, che mostra la collocazione dei
filosofi nelle diverse epoche storiche, nelle principali correnti di pensiero, nelle diverse discipline;
una scheda bio-bibliografica, accompagnata dalla
fotografia con firma autografa, per ogni filosofo
intervistato. Il CD rom è inoltre strumento di connessione tra le varie versioni dell’Enciclopedia
Multimediale (collane di videocassette, programmi televisivi, radiofonici e via satellite, libri, dispense, software per computer ecc.): questa biblioteca di testi voci, immagini e video costituisce
quella parte del CD rom dedicata alle visite guidate.
Il CD rom sarà realizzato sia in versione Macintosh
che Windows.
Edizione Elettronica di Informazione Filosofica
(EEIF): l'Edizione Elettronica di "Informazione
Filosofica" si propone di offrire, in una diversa
versione, il materiale filosofico finora raccolto ed
elaborato nei primi dieci numeri della rivista (equivalente ad un libro di 3.000 pagine, con 500
articoli, 6.000 opere citate, 600 realazioni e conferenze segnalate, 2.000 articoli di riviste italiane
e estere recensiti e 2.500 novità librarie italiane ed
estere schedate). In particolare, questa edizione
permette di accedere a tutte queste informazioni e
dati attraverso modalità di ricerca decisamente
più articolate e approfondite di qualsiasi altro
mezzo tradizionale di consultazione. Il materiale
che costituisce questa edizione elettronica è organizzato in una sorta di "rivista elettronica" (denominata Infobase) con tanto di sommario, indice
analitico e lessico, sulla quale però è possibile
effettuare ricerche di parole attraverso raffinati
operatori sintattici. Inoltre questa "rivista elettronica" può essere personalizzata dall'utente con
l'aggiunta di note a margine, sottolineature e segnalibro, che vengono memorizzate separatamente
e restano a disposizione, senza intaccare la base
dei dati. L'Edizione Elettronica di "Informazione
Filosofica" è attualmente disponibile su dischetto
per i sistemi Ms Dos e Windows, e dal primo
trimestre del 1994 anche per Macintosh.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Ludwig Wittgenstein
Rush Rhees, Ludwig Wittgenstein, Georg Henrik von Wright, G.E.M. Anscombe
La casa in cui morì Wittgenstein, in Storey’s End 76, Cambridge
36
PROSPETTIVE DI RICERCA
PROSPETTIVE DI RICERCA
L’ eredità di Wittgenstein
L’opera di Ludwig Wittgenstein è al
centro di una imponente iniziativa
editoriale: è stata infatti annunciata in
Germania, durante l’edizione ’93 della
“Buchmesse” francofortese, una nuova edizione critica delle opere del filosofo: LUDWIG WITTGENSTEIN . WIENER
AUSGABE (a cura di M. Nedo, SpringerVerlag, Wien-NewYork 1993). Diverranno in tal modo finalmente accessibili le migliaia di pagine manoscritte
lasciate dal filosofo alla sua morte,
pagine sulle quali, sino ad ora, è stata
esercitata da parte degli eredi letterari
una stretta censura.
Desta interesse e suscita vaste aspettative nel mondo intellettuale l’annuncio di
una edizione critica delle opere di Ludwig Wittgenstein. Essa risponde infatti
all’esigenza, più volte rivendicata dagli
studiosi, di una consultazione dell’opera
del filosofo che vada al di là delle edizioni parziali, e spesso filologicamente poco
corrette, pubblicate dagli eredi testamentari. Garantisce ora dell’accuratezza del
lavoro il nome di Michael Nedo, filologo
che già nel 1979 aveva coordinato e diretto,
insieme al linguista Hans Jürgen Heringer, il lavoro del gruppo di Tubinga intorno
al lascito wittgensteiniano.
Le difficoltà che da sempre gli eredi
letterari - Rush Rhees, Elisabeth
Ascombe e Georg Henrik von Wright
- hanno sollevato nei confronti di chi
volesse avere accesso al Nachlass, fanno sì che la grande iniziativa editoriale,
che nella veste definitiva dovrebbe contare una cinquantina di volumi, possa
per il momento assicurare solamente la
pubblicazione dei quindici volumi relativi agli anni 1929-1935. Si tratta della
produzione di Wittgenstein corrispondente agli scritti Annotazioni filosofiche
e Grammatica filosofica, già compresi
nella Werkausgabe (Francoforte 1989),
rispettivamente nel volume secondo e
quarto. A partire dalla prossima primavera dovrebbero pertanto essere resi disponibili annualmente da due a cinque
volumi dell’opera critica, i cui criteri
guida sono stati esposti dal curatore,
Nedo, in un volume introduttivo che ripercorre al contempo la travagliata vicenda del lascito. Per il restante materiale si renderà poi nuovamente necessario
il consenso degli eredi, i quali tuttavia
hanno già una volta concretamente manifestato la loro fiducia nei confronti del
curatore.
Risulta chiaro dalla lettura del volume
introduttivo quanto sia mutato rispetto
alle precedenti edizioni l’approccio al
Nachlass. Mentre infatti gli eredi letterari avevano operato, non senza dubbi e
incertezze, una selezione del materiale
loro disponibile, pubblicando solo una
minima parte delle migliaia di pagine
manoscritte in stadi diversi di elaborazione e stesura, la nuova edizione ha
inteso seguire un criterio maggiormente
aderente al metodo di lavoro del filosofo. E’ noto infatti che Wittgenstein ha
pubblicato in vita solo una minima parte
delle sue riflessioni filosofiche, cui si
dedicava nella sua tormentata genialità
con il massimo rigore e con una forza di
concentrazione tale da esaurire le energie intellettuali degli allievi presenti alle
sue lezioni universitarie. Lezioni che del
resto - come ricordava Norman Malcom in L. Wittgenstein - A memoir (1958,
trad. it. 1974) - «si svolgevano soprattutto
in forma di conversazioni», in assenza di
una qualsiasi traccia scritta e condotte sempre al limite della tensione intellettuale.
Nel consentire oggi al pubblico una visione quanto più completa possibile del
materiale esistente, è stato necessario al
tempo stesso tener conto del fatto che ci
si trovava di fronte al divenire di un
pensiero, sviluppatosi attraverso le numerose rielaborazioni cui l’autore sottoponeva le proprie riflessioni, passando
da semplici annotazioni su taccuini alla
compilazione di manoscritti - e quindi di
dattiloscritti - più volte scomposti, ripresi e annotati. Ampliare la pubblicazione degli scritti, significa allora rendere conto delle successive stratificazioni del testo e del fatto che l’autore
stesso non riteneva definitiva nessuna di
tali stesure. L’approccio ermeneutico
mira perciò ad una ricostruzione del lavoro filosofico, seguendo da presso il
sorgere e il modificarsi di un pensiero
37
che ha rifiutato la costrizione di una
forma definitiva per mettere in gioco
continuamente se stesso. Al rischio di
una probabile disintegrazione del senso,
in cui purtroppo incorre una tale edizione, come hanno sempre temuto gli esecutori testamentari, si è voluto ovviare
con la compilazione di sei volumi di
indice, grazie ai quali diviene possibile
mantenere una visione d’insieme, nel
collegamento fra i rimandi tematici da
un testo all’altro.
Nel frattempo in Francia, a ulteriore conferma dell’attenzione intorno a questo
autore, viene pubblicato il Tractatus logico-philosophicus in una nuova edizione a cura di Gilles-Gaston Granger
(Gallimard, Parigi 1993). A ciò si affianca la traduzione di due opere fondamentali della letteratura critica, già presenti
in edizione italiana: la monografia di
David Pears, La Pensée - Wittgenstein
(trad. fr. di C. Chauviré, Flammarion,
Parigi 1993; ed. orig. Londra 1971), che
testimonia l’intenso travaglio intellettuale che portò Wittgenstein dalla teoria
del linguaggio come “raffigurazione logica del mondo” alla ricerca incessante
dei diversi modi in cui i significati si
originano nella pluralità dei “giochi linguistici”, e l’importante biografia ad
opera di Ray Monk, Wittgenstein - Le
devoir du génie (trad. fr. di A. Gerschenfeld, Odile Jacob, Parigi 1993; ed. orig.
1990 trad. it. 1991), che presenta, unitamente al racc onto della vita d i
Wittgenstein, un percorso guida attraverso le opere del filosofo.
In Italia, a seguito della proiezione della
versione cinematografica della vita di
Wittgenstein, è stata pubblicata la sceneggiatura del film: Wittgenstein. La sceneggiatura di Terry Eagleton. Il film di
Derek Jarman (Ubulibri, Milano 1993),
che dimostra come la versione filmica sia il
frutto del fecondo innesto della creatività
di Derek Jarman sulla sceneggiatura originale di Terry Eagleton. N.C.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Barthes: ‘Oeuvres complètes’
E’ uscito in Francia il primo volume, a
cura di Eric Marty, delle OEUVRES COMPLÈTES (Seuil, Parigi 1993) di Roland
Barthes, scomparso nel 1980. Questo
volume comprende le opere dal 1942
al 1965; ne sono previsti altri due,
complessivamente. Le polemiche suscitate da questa edizione testimoniano tuttavia della difficoltà di identificare con precisione l’eredità di pensiero lasciata da Barthes. A questo proposito è da segnalare la pubblicazione
di interventi su questo autore: BARTHES
APRÈS BARTHES : UNE ACTUALITÉ EN QUESTION, (Barthes dopo Barthes: un’attualità in questione, a cura di C. Coqui
e R. Salado, PUP, Pau 1993).
Le polemiche seguite alla pubblicazione del
primo volume delle opere complete di Roland Barthes possono riassumersi nel seguente paradosso: Barthes occupa certo un
posto importante nella cultura francese, ma
quale? Dove si situa la sua recente eredità?
Come, in altri termini, si dovrebbero collocare
in libreria le opere di Barthes? In quale sezione?
Scienze umane? Filosofia? Narrativa?
Secondo alcuni quest’edizione non era necessaria; nuoce anzi all’eredità di Barthes. In
primo luogo, esiste già una scelta delle opere
di Barthes a cura di François Wahl; questa
di Eric Marty (che si occupa fra l’altro di
una nuova edizione del Diario di Gide ne
“La Pléiade”), aggiunge qualche testo introvabile o non ancora pubblicato, ma non è
critica. Resta un ibrido fra commemorazione
e pseudo-scientificità. Marty si difende, invocando il problema del tempo: Barthes è
stato un “maestro”, ma è ancora troppo “contemporaneo” per un’edizione critica; ci vuole il tempo della “memoria”, una serena
valutazione del peso specifico del suo insegnamento. Non solo dunque un problema di
“classicità”, ma anche d’interpretazione:
come “appropriarsi” di Barthes? Non stupisca allora il titolo di “Nôtre Roland Barthes”
con cui è stato reso pubblico un ricordo
affettuoso e grato verso l’intelligenza serena
e sorprendente di Barthes, che pure tocca un
problema fondamentale nell’attuale cultura
francese: a chi “appartiene” Barthes? Chi, a
dieci anni dalla morte, lo comprende meglio
di quanto lui si comprendesse? Chi e come
riprende e adatta, adegua, rilancia le sue
intuizioni, le sue analisi, le sue idee? Dire:
nôtre (il nostro), segnala la difficoltà per
ogni “maestro” recentemente scomparso di
passare dalla celebrazione al “monumento”,
dal lutto alla costruzione di un’eredità. La
fedeltà, più volte invocata, secondo cui questa edizione tradirebbe lo spirito frammentario della scrittura di Barthes, è un argomento
pericoloso, perché non chiarisce se si voglia
essere “fedeli” all’autore, oppure alla propria “immagine” dell’autore.
Così si sono succeduti articoli, incontri, pubblicazioni, micro-colloqui, tra cui il dibattito
pubblico fra Eric Marty e P. Roger alla
Fnac di Parigi e un numero monografico di
“Magazine Littéraire” (ottobre 1993), che
contiene un articolo del 1984 di Umberto
Eco, in cui si afferma: «Barthes ci ha insegnato l’avventura d’un uomo di fronte al
testo». Lungi dal propinare modelli o schemi
astratti, Barthes è stato un maestro che ha
incarnato un certo modo di pensare, un certo
uso dell’intelligenza volto a cogliere l’esperienza sub specie semiotica. Eco ricorda
quando Barthes sosteneva che, passeggiando per strada, dove altri vedono fatti e avvenimenti, lui scorgeva segni in atto. Eco insiste, inoltre, difendendo Barthes da certe “appropriazioni” ingiustificate: le sue idee sul
testo, non si prestano affatto a una prospettiva deconstruzionista, alla “celebrazione” dell’inafferrabile, alla deriva del senso: più vicino a Agostino che alla Kabbala, osserva
Eco, Barthes pensava al piacere del testo
connesso al controllo reciproco dei segni e
dei contesti. F.M.Z.
Realismo senza dogmi
Il realismo è stato spesso considerato
una questione vecchia, priva di senso,
combattuta e superata. Con il volume:
REALISMO SENZA DOGMI (Guerini e Associati, Milano 1993), Fabio Minazzi si è
recentemente impegnato in una nuova lettura di questa corrente di pensiero, in particolare del realismo galileiano. A riaprire la questione filosofica
del realismo interviene anche John
Banville, che avanza una riconsiderazione critica di questo fenomeno, riproponendo la figura di Keplero come
“poeta della matematica” in un suo
recente studio: KEPLERO (trad. it., di L.
Noulian, Guanda, Parma 1993).
Non si può negare l’importanza che il ‘600
ha avuto per la scienza e la filosofia moderna. Una vera e propria rivoluzione di vedute, metodi di indagine e di interpretazione
della realtà, destinati a non restare indifferenti né per gli scienziati e per i teologi di
allora, né per i contemporanei, che ancora
oggi si ritrovano a fare i conti con una
visione del mondo “ex novo”. Muovendo
da un aperto confronto di differenti prospettive in dialogo, in Realismo senza dogmi Fabio Minazzi si esercita in un’analisi
quanto più obiettiva delle teorie sostenute
nel lontano 1600 da Galileo Galilei, la cui
grande innovazione, osserva Minazzi, è
l’aver separato scienza e fede, dichiarando
l’autonomia della prima. Scienza e fede
hanno differenti finalità (salvezza per la
fede e conoscenza per la scienza) e diverse
modalità di fondazione e di accettazione:
nella fede vale l’autorità delle scritture;
nella scienza si opera per sensate esperienze e necessarie dimostrazioni. Si legge in
alcune pagine scritte da Galilei: «Le proposizioni de fide ci dicono come si vadia al
38
cielo; quelle scientifiche attestano invece
come vadia il cielo».
Per capire le legittime reazioni nei confronti di questa concezione da parte della Chiesa e di un sistema filosofico aristotelico
ancorati ad una unica verità: quella metafisica, occorre collocarsi nel clima culturale
del ‘600. A questo proposito vale la pena
qui segnalare tra gli studi recenti che hanno
riportato documenti sui processi per eresia
intentati contro Galilei la ricerca di Antonino Poppi: Cremonini, Galilei e gli inquisitori del santo a Padova (Centro Studi
Antoniani, Padova 1993), in cui vengono
presentati, a titolo storico informativo, contenuti e motivi dei processi inquisitoriali
contro Galileo Galilei, scoperti nell’Archivio di Stato di Venezia. Tra le altre cose, si
racconta che «il 21 aprile del 1604, un certo
signor Silvestro Pagnoni (amanuense di
Galilei) denunciò all’Inquisizione padovana Galileo Galilei per formulare con sicurezza assoluta giudizi sulla vita dei suoi
clienti in base ai segni zodiacali». Ma è
l’adesione di Galilei al sistema eliocentrico
copernicano - «Io non posso senza... gran
ripugnanza al mio intelletto, sentir attribuire per gran nobiltà e perfezione ai corpi...
dell’Universo questo essere impassibile,
immutabile, inalterabile... » - che determina il crollo di una certa visione comoda e
sicura della filosofia aristotelica, convinta
nell’esistenza di un mondo celeste immutabile e incorruttibile.
Galilei, non riteneva dannosa la tradizione
aristotelica in sé, ma nel suo ergersi a dogma
incontrollabile. Minazzi giustifica questo
aspetto della teoria di Galilei: «Solo uno
studio scientifico, secondo Galileo, permette di elaborare un’effettiva spiegazione del
moto, che eviti sia l’errore di limitarsi alla
descrizione estrinseca dei fenomeni, sia quello di sconfinare in pretese spiegazioni metafisiche, fantasiose e incontrollabili». Di fatto, proprio per evitare questi due errori opposti, Galilei ricorre all’ausilio della matematica, che gli consente di intrecciare le dimostrazioni alle sensate esperienze.
Vicinissimo a Galilei per studi e contributi di
pensiero è Keplero, di cui John Banville
ridisegna lo spirito teorico matematico in
una recente monografia dedicata a questo
autore. Anche Keplero, come Galilei, è indagatore del cielo e anche per lui «l’Astronomia insegna solo che fin dove si scoprono le
stelle, anche le più piccole, lo spazio è finito,
sicché l’infinito è inaccessibile all’osservazione». La scienza dunque, si deve dedicare
all’indagine della realtà naturale, perché solo
su di essa ci si può pronunciare.
Per quanto superate siano le tesi di un “realismo senza dogmi”, tali reinterpretazioni
critiche di Galilei e Keplero permettono di
proseguire con spirito aperto in una riflessione
filosofica che giunge fini ai nostri giorni e che è
capace di servirsi del passato, pur superandolo:
occorre riconoscere che le vere rivoluzioni
scientifiche-filosofiche sono possibili proprio grazie a quei paradigmi, che, se messi in
discussione, danno vita al “nuovo”. D.M.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Gadamer e Platone
La breve antologia di testi di Platone raccolti nel volume: TEORIA DELLE
IDEE (trad. it. a cura di S. Fadda, Il
Melangolo, Genova 1993), introdotto e commentato da Hans-Georg
Gadamer, costituisce un significativo esempio dell’approccio ermeneutico gadameriano alla dottrina platonica delle idee, nella convinzione
dell’imprescindibilità del ruolo mediatore dell’interprete nella lettura
di un testo, filosofico e non.
In questa raccolta di testi Hans-Georg
Gadamer presenta e commenta passi del
Fedone, del Parmenide e della Lettera settima di Platone, con l’intento di mettere in
luce il nucleo centrale della teoria delle
idee, che si manifesta nel rapporto tra la
dimostrazione dell’immortalità dell’anima
e l’elaborazione della dialettica.
La distinzione delle idee dai fenomeni,
affermata nel Fedone e sviluppata nella
Repubblica, costituisce il fondamento della discriminazione tra sofistica e filosofia;
secondo Gadamer essa non va interpretata,
come si è fatto fino al XIX secolo sulla
scorta della lettura neoplatonica, come una
“teoria dei due mondi”; né, all’opposto,
come ha fatto il neokantismo di Marburgo
(presentando un Platone precursore del criticismo kantiano), come una fondazione
gnoseologica del sapere delle scienze empiriche, bensì come “momento integrativo” della dialettica. La distinzione delle
idee dai fenomeni va pensata in Platone,
sostiene Gadamer, a partire dalla loro inscindibilità. La dialettica della partecipazione esposta nel Parmenide non rappresenta perciò una crisi della teoria delle idee,
ma l’altro lato di essa, a essa consustanziale, nonché il punto d’innesto delle tematiche riguardanti le cosiddette “dottrine non
scritte” di Platone, relative ai numeri ideali.
Scartando anche qui le opposte teorie interpretative, secondo le quali per un verso la
presentazione della dialettica nel Parmenide rappresenterebbe un mero artificio retorico, per l’altro occorrerebbe “prendere sul
serio”, come fece il neoplatonismo, una
caratterizzazione dell’essere molto vicina
alla configurazione della “teologia negativa”, Gadamer vede in questo dialogo l’esplicarsi della dimensione riflessiva del pensiero. Secondo Gadamer, riconoscendo il
fatto che le determinazioni di essere e non
essere, identità e differenza, appartenendo
necessariamente a ogni ente, non consistono in determinazioni di genere, Platone
tematizza l’attività essenziale del concetto,
che distingue per separare, e separa per
sintetizzare. La teoria delle idee esposta nel
Fedone e nella Repubblica non viene dunque, nella dialettica diairetica del Parmenide, né abbandonata, né profondamente rimaneggiata, bensì fondata; la teoria diventa pratica euristica, e la contemplazione si
trasforma in ostensione e concreta esem-
Hans-Georg Gadamer (foto di M. Totaro)
39
PROSPETTIVE DI RICERCA
plificazione dell’articolarsi dell’essere. Proprio insistendo su questo aspetto “pratico”
della dottrina platonica, che con ciò prende
congedo da una visione sapienziale della
conoscenza, si qualifica invece una pratica
ermeneutica.
Nella Lettera settima, secondo Gadamer, è
presente la chiave d’accesso alla dimensione più propria della riflessione platonica, e
in particolare della dottrina delle idee. L’intera opera dialogica platonica, sostiene
Gadamer, rappresenta un’apologia di Socrate, nonché la risposta, sul piano metafisico, alla questione, politica ed etica, relativa alla possibilità dell’esistenza del giusto, Socrate, in un mondo ingiusto. La veste
dialogica corrisponde, dal punto di vista
teoretico, a una presa di posizione di Platone che lo colloca fra i seguaci (o il capostipite) del fallibilismo logico. Solo in questa
prospettiva la dottrina delle idee entra nel
cono di luce che la fa emergere nel suo
carattere più proprio, quello di prassi ermeneutica: neppure la prova dell’immortalità
dell’anima presentata nel Fedone, che costituisce la chiave di volta per argomentare
l’esistenza del mondo delle idee, a parere di
Gadamer ha forza di per se stessa, «al di
fuori dell’esempio vissuto del morire sereno e tranquillo che Socrate ci offre». F.C.
Gracián e la perfezione
Benché l’opera di Baltasar Gracián sia
quasi totalmente disponibile in lingua
italiana, la sua fortuna critica è decisamente inferiore a quella riscontrabile
in altri paesi europei. Anche per questo è opportuno segnalare, a cura di
Giuseppe Patella, la pubblicazione di
un’antologia di testi gracianiani, con
un’ampia bibliografia ragionata:
GRACIÁN O DELLA PERFEZIONE (Edizioni
Studium, Roma 1993).
Figlia di un secolo tutto proteso alla ricerca
dell’essenza, dell’artificio, la riflessione di
Baltasar Gracián, gesuita spagnolo, risulta rappresentativa della cultura barocca,
anelante da un lato all’assoluto, all’infinito, dall’altro pervasa dalla coscienza dei
propri limiti, dalla finitezza in cui la sensibilità costringe la vita umana. Fortissimo
qui è il senso della caducità della vita
medesima, nei confronti della quale occorre comportarsi con un’accortezza non disgiunta dalla consapevolezza della sua vanità. Se la mancanza di abilità porta necessariamente una natura retta al fallimento,
nondimeno Gracián ritiene che l’abilità da
sola non basti; prudenza e accortezza sono
doti di per sé vuote, se non servono da
strumento per orientare una natura proba.
Figlio del suo secolo, Gracián lo è anche
quando rileva, senza alcun tono di condanna moralistica, che «le cose non si considerano per quel che sono, ma per quel che
appaiono»; per questo «valere e saper mostrare che si vale significa valere due volte:
ciò che non si vede è come se non ci fosse».
D’altra parte, le accuse di formalismo, nonché di amoralità, spesso mosse a Graciàn,
si scontrano con le sue esplicite affermazioni, secondo le quali «la virtù è l’unica
cosa che conta davvero, tutto il resto è
nulla. La capacità e la grandezza si devono
misurare alla stregua della virtù e non della
fortuna; la virtù sola basta a se stessa».
Gracián interpreta il proprio secolo come
luogo irto di insidie e tranelli per l’uomo
retto; egli non raccomanda affatto l’isolamento dal mondo, bensì, al contrario,
un’approfondita conoscenza della malizia
che lo governa, osservazione e comprensione delle strategie che portano al successo, a partire da uno sguardo che si colloca
al di là di questo mondo, e che è al contempo fine e luogo di residenza più proprio
dell’uomo giusto.
Nell’Introduzione storica e critica e nella
presentazione, in chiusura del volume, di
alcune linee fondamentali dell’eredità del
filosofo, Giuseppe Patella scandaglia le
molteplici sfaccettature e connessioni della riflessione gracianiana, rilevando come
per Gracián l’uomo ideale sia colui che sa
esercitare, con accortezza e prudenza, l’elezione (elección), la scelta, che definisce
l’uomo in quanto tale. Esiste infatti, secondo Gracián, una contrapposizione fra due
determinazioni, l’ “uomo” e la “persona”:
il primo (hombre) rappresenta lo “stato
naturale” della vita umana, ma proprio per
questo esso è nulla, dal punto di vista della
“vera umanità”, che consiste invece nell’acquisizione della dimensione propria
della “persona”. Questa è frutto non della
natura, bensì dell’artificio: «donde no media el artificio, toda se pervierte la naturaleza». In ciò, osserva Patella, si esprime
compiutamente lo spirito barocco, intimamente pervaso dall’idea della necessità per
l’uomo di un agire che, inesorabilmente e,
talvolta, anche a dispetto di lui stesso, trasforma l’esistente “naturalmente” dato.
La vita dell’essere umano consiste dunque
in un viaggio o, meglio, in un pellegrinaggio, che lo porta dalla condizione di uomo
a quella di persona, caratterizzata dal saper
esercitare con prudenza e accortezza l’atto
elettivo; un atto che è, insieme, formativo e
autoformativo, in quanto rivolto da un lato
alla trasformazione del mondo circostante,
dall’altro rivolto a se stesso, alla purificazione del proprio agire dalle inclinazioni
sensibili. La condizione del “pellegrino”
gracianiano, se ha un fondamento teoretico
diverso e opposto rispetto a quello del
“viandante” di Nietzsche, risulta connotata da una tonalità esistenziale non molto
distante da esso: l’accettazione dell’esistenza del mondo nella sua effettività si
coniuga, infatti, con la convinzione dell’ineliminabilità dell’eccedenza della vita
umana, in quanto tale, rispetto a esso.
La prudenza gracianiana si nutre della capacità di osservazione delle molteplici va40
rietà delle circostanze di cui l’umana esistenza fa prova; la sua connessione con il
juicio conferisce al “metodo” gracianiano
le caratteristiche di quello della scienza
moderna (che nasce nel medesimo volgere
di anni), alla quale appartengono, come
ideale di conoscenza, l’interrogazione e la
riconduzione delle infinite varietà dell’esperienza alla chiarezza e al rigore della riflessione. La “prudenza” gracianiana, sottolinea Patella, esclude tanto l’attivismo soggettivista, tipico dell’età contemporanea,
quanto il quietismo e il ritrarsi della spiritualità nella dimensione ascetica. Tutta tesa,
grazie alla mediazione dell’intenzionalità
cosciente, alla perfezione è dunque la vita
dell’uomo; ciò esclude, come ricorda ancora Patella, una considerazione “naturalistica” della perfezione in quanto data all’uomo,
a favore invece della assai più realistica idea
di una sua indefinita perfettibilità. F.C.
Bernard Lonergan: le opere
É stato pubblicato il quinto volume
delle opere di Bernard Lonergan con il
titolo: COMPRENDERE E ESSERE (a cura di
N. Spaccapelo e S. Muratore, Città
Nuova, Roma 1993). Si tratta del primo volume di un piano di edizione
italiana, che nella sua completezza
abbraccia ben 22 volumi, di cui solo
quattro sono noti al pubblico italiano
per precedente traduzione. Il volume
è stato presentato ufficialmente il 29
ottobre 1993 a Roma, presso l’Aula
Magna di Palazzo Frascara.
Le 400 pagine del primo volume delle
opere di Bernard Lonergan raccolgono
riflessioni e interrogativi sollevati dal filosofo nel lontano 1958, in una serie di seminari da lui tenuti presso l’Università “St.
Magi” di Halifas in Canada. Tra i temi
trattati spiccano scritti di carattere prevalentemente filosofico, ma con riferimenti
alla psicologia del profondo, alla logica,
alla matematica e, perfino all’economia.
Nello scorrere i titoli colpisce la profondità
e l’originalità dello studioso cattolico nell’ambito del pensiero filosofico contemporaneo. Natalino Spaccapelo e Saturnino
Muratore hanno tradotto con fedeltà i quesiti discussi tra il maestro e i suoi allievi; ma
questa posizione non ha loro vietato alcune
varianti, motivate per altro dalle differenze
culturali italiane e europee e dalle differenze editoriali e redazionali. L’elemento più
significativo in questo processo di “mutazione” riguarda il diverso modo in cui i
traduttori hanno riportato la lista delle opere di Lonergan. E stata rispettata invece
l’integralità dei contenuti e del valore filosofico del testo, che comunicano gli assi
portanti del pensiero e della personalità di
Lonergan.
Il filosofo teologo, come testimonia la sua
PROSPETTIVE DI RICERCA
PROSPETTIVE DI RICERCA
opera, si è sforzato (con buon esito) di
rinnovare le modalità di approccio di quella parte di cultura cattolica spesso chiusa
“nel suo habitat”, aprendosi ad un dialogo
con la cultura laica e ponendosi in confronto con i saperi contemporanei. In questo Lonergan ha il merito di aver creato
uno dei più solidi movimenti di pensiero
della riflessione cristiana contemporanea,
rivelandosi tra i pensatori più all’avanguardia del XX secolo.
In Comprendere e Essere l’autore sviluppa e approfondisce la “conoscenza” intesa
come ricerca dell’ignoto. Nell’affascinante itinerario conoscitivo, il soggetto è la
voce attiva che entra nei meandri dell’oggetto sconosciuto. Lonergan invita a passare dall’ontologia, che si riferisce al logos, all’ontico, ovvero al giudizio sull’essere, che si riferisce a ciò che uno è nella
sua globalità. La portata dell’avventura
conoscitiva, sostiene Lonergan, acquista
valenze diverse a seconda del modo con
cui il soggetto si pone di fronte a se stesso
e ad essa. «La ricerca della conoscenza è
ricerca di un ignoto; essa non è solo una
ricerca conscia, ma anche una ricerca intelligente, razionale, deliberata. Ognuno
poi deve giudicare, deve arrivare alla propria conclusione e decidere se sa qualcosa
in base alla propria esperienza personale.
Se egli non trova alcuna ragionevolezza in
se stesso, non dobbiamo, ovviamente, preoccuparci troppo di ciò che egli ha da dire.
C’è una quantità di trappole con questo
conoscere se stessi. Se una persona non è
conoscente, allora si sta praticamente escludendo da sola dalle discussioni e dalla
ricerca comune».
Trapela dalle affermazioni di Lonergan il
valore indiscutibile della persona, unica
vera responsabile del proprio mondo interiore, alla quale è dato vivere in contatto
con un mondo esteriore (in quanto altro da
sé), che rimane “ignoto” fintanto che si è
“ignoti” di fronte a se stessi. Lonergan
crede in una conoscenza che avvicina l’uomo alla perfezione, che lo arricchisce, ponendo le basi per superare la frammentazione del sapere e del vivere. Tutta la
conoscenza (nel senso più ampio del termine) è lo strumento più efficace per dar
vita ad un’esistenza feconda, con la quale la cultura dell’amore e della tolleranza supera quella del divisionismo e dell’arroganza.
A distanza ormai di dieci anni dalla morte
di Lonergan e di quaranta dall’inizio del
suo insegnamento alla Pontificia Università Gregoriana, emerge sempre più netta
la statura imponente di questo studioso e il
grande significato che può assumere oggi
la sua opera, definita non senza ragione
«un organon, per una nuova epoca della
storia». D.M.
41
NOTIZIARIO
NOTIZIARIO
Il campo di indagine classico della
gnoseologia è ormai condiviso da
molteplici scienze particolari, dalla
spicologia sperimentale alla neurofisiologia, e molte di esse trovano
sempre più proficuo ricorrere alle
riproduzioni al calcolatore per verificare le proprie ipotesi teoriche.
D’altro canto, anche le scienze dell’informazione hanno al loro attivo
tutta una serie di ricerche di carattere
più generale che si propongono la
realizzazione di macchine intelligenti
e, di conseguenza, la formalizzazione dei processi essenziali, tipici del
ragionamento intelligente: tra i quali
ad esempio il riconoscimento degli
stimoli esterni. Questa comunanza
di interessi tra gnoseologia e scienza
dell’informazione è alla base di
un’iniziativa dell’Istituto Mitteleuropeo di Cultura di Bolzano, ormai
giunta alla sesta edizione, promossa
dall’Associazione Italiana di Intelligenza Artificiale e dal Comitato
Europeo di Coordinamento per l’Intelligenza Artificiale: le SCUOLE
ESTIVE INTERNAZIONALI DI
FILOSOFIA E INTELLIGENZA ARTIFICIALE, che da cinque anni orga-
nizzano incontri con studiosi provenienti da tutto il mondo. I partecipanti alle Scuole sono per la maggior
parte ricercatori e docenti e, dal 1991,
sono a loro disposizione diverse borse di studio per la partecipazione alle
lezioni. Nelle passate edizioni si sono
alternati studiosi di indubbia fama:
Jean Petitot ha partecipato alla terza
edizione su “Fenomenologia e filosofia analitica” e “Architetture cognitive”; John Searle alla prima su
“Prospettive filosofiche dell’intelligenza artificiale”; Hubert Dreyfus
alla quarta su “Ontologia formale” e
“Simbolo e riferimento”. Alla quinta edizione su “Filosofia del linguaggio” e “Ragionamento temporale”
hanno partecipato, tra gli altri, Andrea Bonomi, J. van Benthem e E.
Sandewall. L’edizione del 1993, tenutasi dal 5 al 9 luglio, ha proposto
due cicli di lezioni, raccolti sotto un
unico titolo: “Che cosa è una forma”, ai quali hanno partecipato J.
Petitot, I. Grattan-Guinnes, G. Simmons e A. Zimmer. Una selezione
dei lavori svolti nelle prime tre edizioni è stata pubblicata nel volume
Topics in Philosophy and Artificial
Intelligence, a cura di L. Albertazzi
e R. Poli (Bolzano 1991). Dall’edi-
41
zione del 1991 è stato tratto il volume Formal Ontology, curato da R.
Poli e P. Simons (di prossima pubblicazione presso Kluwer). M.P.
Vengono pubblicate in un solo volume le opere più celebri di
KIERKEGAARD, fra cui Aut-aut e La
malattia mortale (Laffont, Parigi
1993). Il curatore, Régis Boyer, apre
il volume con un importante saggio
introduttivo, ricordando gli autori
scandinavi che hanno influito su
Kierkegaard e che sono stati influenzati da lui. Questa nuova edizione
rappresenta una tappa importante nella storia, spesso assai confusa e non
sempre edificante, della pubblicazione in Francia delle opere di
Kierkegaard. L’edizione di
Kierkegaard a cura di Régis Boyer
riprende la traduzione francese di
Paul-Henri Tisseau delle Oeuvres
complètes (Orante, Parigi 19661986). La storia di questa edizione è
singolare: in primo luogo, è la storia
di un solo individuo, Paul-Henri Tisseau - sposato con una donna danese,
docente in Romania, poi lettore all’Università di Lund, in seguito docente di latino a Nantes - che ha
voluto sacrificare tempo, denaro, risorse e addirittura la propria vista alla
traduzione delle opere complete di
Kierkegaard. Non riuscendo a trovare un editore, a partire dal 1934 Tisseau si organizza per tradurre, pubblicare, e diffondere da solo l’opera. Ma
durante la guerra la sua casa e tutti i
manoscritti delle traduzioni vengono
distrutti. Bisogna rincominciare tutto
da capo: uno ad uno escono i testi
tradotti, tutti con la semplice dicitura:
“Trd. Paul-Henri Tisseau, Bazogesen-Pareds”. Solamente pochi mesi
prima di morire, Tisseau riceve l’offerta di un aiuto economico e nel
1966 prende avvio ufficialmente l’edizione completa delle opere.
Questa storia coraggiosa e tenace è
accompagnata da un’altra poco edificante: nella confusione più generale, alcuni editori smembrano l’opera
di Kierkegaard, incollano, cambiano a piacimento i titoli. Così compare in libreria un testo di Kierkegaard
dal titolo: Erotisme, frutto di un operazione editoriale di assemblaggio
di proposizioni sulle donne, tratte da
fonti diverse. E ancora: La malattia
mortale si trova ora edita con il tito-
NOTIZIARIO
lo: La Maladie à la mort, ora come
Le traité du désespoir.
Ricordare questa vicenda non è solo
riportare un fatto di cronaca, bensì
sottolineare come Kierkegaard sia
stato mal letto e mal interpretato in
Francia: alla lettura esistenzialista ha
fatto seguito la semplice lettura da
parte di tutti coloro che hanno voluto
vedere in Kierkegaard non solo una
critica alla filosofia sistematica, ma
anche una critica al pensiero, non
cogliendo lo spessore filosofico di
questo autore. La nuova edizione di
Kierkegaard a cura di Boyer sembra
invece essere segno di un interesse
più competente (un’edizione completa è in preparazione anche ne La Pléiade), anche se non sono mancati sui
giornali gli scontati elogi di
Kierkegaard come scrittore tout court,
il cui interesse principale, pare, è assorbito da questioni riguardanti vicende della vita privata. F.M.Z.
A 10 anni dalla morte di RAYMOND
ARON le edizioni Flammarion di
Parigi pubblicano una sua biografia
curata dal sociologo Nicolas Bavarez. Non è un’opera agiografica, piuttosto una rivisitazione critica dell’uomo e del suo pensiero, un’occasione
per ricordare l’opera di un’intellettuale poliedrico che ha vissuto il suo
tempo con un impegno totale e, per
molti versi, solitario. Solitaria infatti
fu la battaglia contro il comunismo,
assimilato, già prima della seconda
guerra mondiale, al nazismo. Il suo
grande merito è quello di averci insegnato a trattare la storia da tutte le
possibili angolazioni: dal punto di
vista del giornalista a quello dello
studioso; unico imperativo, la ricerca
continua della verità e la lucidità di
vedute. Compagno di Sartre all’Ecole Normale, fu spesso suo avversario
nella realtà quotidiana, volendo sempre conservare intatto quello spirito
di indipendenza che gli permise di
leggere nelle vicende storiche senza
per questo restarne coinvolto.
Tra i problemi storici e politici del
suo tempo che maggiormente lo appassionarono, un posto d’onore spetta al dibattito sull’unità d’Europa. Fin
dalla fine della guerra, infatti, fu uno
dei più accesi sostenitori della necessità di una riconciliazione franco-tedesca, come polo gravitazionale dell’unità europea. Quando si trattò, però,
di passare dal pensiero ai fatti, si
schierò contro quel Jean Monnet che
proponeva la creazione di una forza
militare europea. Secondo Aron non
si poteva creare una forza europea,
senza aver previsto prima un’ autorità
politica, economica, finanziaria e
morale europea. Era, di fatto, necessario costruire, prima di qualsiasi forza militare, un’entità e una coscienza
europea. L.B.
Una piccola casa editrice francese,
IVREA, accorda uno spazio partico-
lare alla filosofia, pubblicata con parsimonia e discernimento in un insieme di testi che va dagli studi storici ai
classici della strategia, dai romanzi di
Boulgakov ai pamphlets su/contro
l’attualità, o ancora, da Karl Marx
(Oeuvres philosophiques) a Groucho
Marx (Correspondance). Questo paesaggio contrastato, attraversato dalla filosofia di Hegel (Ecrits politiques, 1974) e da quella di Spinoza
(Ethique, 1993), non è l’effetto di un
sincretismo, ma di una certa “filosofia” dell’uso dei testi filosofici all’interno del loro paesaggio culturale; le
opere filosofiche sono accompagnate
da studi positivi e da testi letterari
(come Ma vie di Alfieri, 1989), che
le chiarificano tanto quanto ne sono
chiarificati.
Questa struttura editoriale, che è tutt’uno con quella della casa editrice,
ha essa stessa una storia, talvolta
movimentata: dalla creazione delle
edizioni Champ libre nel 1970, in
pieno fermento politico, ad opera di
Gérard Lebovici, all’assassinio di
questi nel 1984; dalla ripresa della
casa editrice da parte della moglie
con il nome di Editions Gèrard Lebovici (1984-1991), alla creazione delle
Editions Ivrea nel 1992, sotto la direzione del figlio di Lebovici. Mentre
gli anni ’70 erano dominati dagli interrogativi politici, negli anni successivi fu maggiormente accolta la letteratura (Melville e Fenoglio) e l’essenziale dell’opera di George Orwell.
Ispirata all’inizio dal movimento dell’I.S. (Internazionale Situazionista) e
dal pensiero critico di Guy Debord, la
casa editrice privilegiò la critica sociale, grazie alla riedizione di classici
del pensiero politico-filosofico e dell’anarchismo e anche alla pubblicazione di studi storici sui movimenti di
protesta. Furono così pubblicati Marx
(1979) e i critici del marxismo (Karl
Korsch, 1970, Gustav Landauer,
1974; Lucio Colletti, 1976), e ancora
Hegel, Dietzgen (1973) e l’opera filosofica di August von Cieszkowski
(1973). Il progetto più impressionante di questo periodo, senza pari in
Europa, resta l’edizione delle Oeuvres complètes di Bakounin ( in 8
volumi, 1973-82) da parte di Arthur
Lehning. Come eco di questo orientamento, furono pubblicati anche autori significativi del periodo rivoluzionario (Anacharsis Cloots, 1979; Saint-Just, 1984) nonché dei grandi classici della strategia politica (Clausewittz, Jomini, Picq, Napier). Troviamo
anche dei testi decisivi dell’avanguardia estetica di inizio secolo, russa
(Chlovski, 1973, Taraboukine, 1972,
Malevitch,1975), tedesca o viennese
( Almanach Dada, 1980, Karl Kraus,
3 volumi, Adolf Loos, 1979), francese e belga (Ribemond-Dessaignes,
1974-78, Pansaers, 1986) e portoghese (Pessoa, 1973). Questa costellazione fa spazio anche anche ai trattati
della dissimulazione del gesuita Gracián e di Castiglione, disegnando così
un luogo atipico in cui Jean de la
Croix risponde a Spinoza. Menzioniamo infine la pubblicazione delle
Conférences psychanalytiques à
l’usage des malades di Georg Groddeck (3 volumi) che conferisce all’insieme una fisionomia originale, in cui
les opere teoriche contribuiscono segretamente a mettere “sotto tensio-
ne” i testi letterari e storici, i quali
suggeriscono discretamente al lettore
ampliamenti della filosofia. La critica del marxismo dogmatico (per la
riedizione di Marx, l’edizione di Souvarine e di Papaiaonnou) s’accompagna progressivamente ad una apertura alle opere classiche, presentate sotto un aspetto però originale; ecco
allora le Poésies di Nietzsche e Le
voyage de Petersbourg à Moscou di
Raditchev, presentato da F. Venturi
(1988). Per la filosofia strictu sensu
la recente riscoperta di una traduzione esemplare di Spinoza, tanto leggibile quanto rigorosa, adottata da Brunchvig e da Deleuze, sarà seguita prossimamente dai Ricordi di Guicciardini, presentati da Alain Pons. La rentrée autunnale è stata inaugurata dall’edizione di W. Fraenger, Le Royaume millénaire, uno studio molto interessante su Jérome Bosch, che ha
avuto una vasta eco sui giornali e alla
radio, e da un altro romanzo di Fenoglio, per sottolineare il rifiuto della
separazione ordinaria fra teoria e letteratura; le Edizioni Ivrea desiderano
preservare questa originalità rivolgendosi a nuovi domini, come il campo italiano, filosofico e letterario, così
come la scelta del nuovo nome, Ivrea,
luogo di nascita dell’attuale responsabile, lascia intendere. D.T.
E‘ stato pubblicato dalla Cambridge
University Press il carteggio del 1960
tra CHARLES DARWIN e noti biologi e botanici dell’epoca. Le 450 lettere raccolte nel volume testimoniano
le reazioni del mondo scientifico alla
pubblicazione, dell’anno precedente,
de L’origine della specie. Darwin affronta con i suoi interlocutori il tema
dell’assenza di una qualsiasi progettualità finalistica o comunque di un
sistema deterministico nello sviluppo della specie; le lettere rivelano le
reazioni dello scienziato alle critiche e alle lusinghe apportate dai lettori alla teoria evoluzionistica che,
escludendo la possibilità di un qualsiasi disegno divino, suscita tra il
pubblico un notevole scalpore. Se
nelle prime lettere, comunque, notiamo un Darwin timoroso e in crisi
per le critiche ricevute, in quelle
seguenti rileviamo nell’autore una
progressiva indifferenza verso i pareri negativi e senz’altro una maggiore sicurezza nella propria teoria.
Il carteggio rivela come le implicazioni “nichiliste” dell’evoluzionismo
non siano mai affrontate direttamente dallo scienziato: l’ordine intellettuale e la sicurezza degli studi fatti
consentono a Darwin di non vacillare su questioni metafisiche che poco
avevano a che fare con l’intento
scientifico da lui perseguito. A.S.
Il rapporto scienza-filosofia costituisce l’ossatura della biografia dedicata da Abraham Pais a NIELS BOHR
con il titolo: Il danese tranquillo (Bollati Boringhieri, Torino 1993). La
biografia si occupa in particolare del
periodo intorno al 1927, anno in cui si
tennero due congressi, a Como e a
42
Bruxelles, in cui il fisico danese, esponendo la teoria dei quanti, pose una
grossa ipoteca sulla fisica classica.
Se, infatti, nella fisica newtoniana il
presupposto è l’indipendenza di soggetto e oggetto, di mente e realtà, con
la teoria di Bohr, sostenuta poi anche
da Heisenberg, si mette in discussione la consistenza ontologica della
materia a livello subatomico: lo stato
della materia non esiste in sé, viene
generato dall’atto di osservazione. La
biografia mette bene in luce l’ampio
respiro delle implicazioni filosofiche
della teoria dei quanti: negare l’inseità della materia implica i caratteri del
soggettivismo, dell’idealismo e dell’antirealismo: condizioni inaccettabili per una scienza di tipo positivista
e per lo stesso Einstein, citato spesso
e volentieri da Pais come grande antagonista di Bohr. A.S.
É stata pubblicata la prima edizione
del DIZIONARIO DELLE RELIGIONI
ORIENTALI (Garzanti, Milano 1993).
Scorrendo le 496 pagine del volume
curato da A. Vallardi, il lettore può
entrare in contatto con la complessità
e la ricchezza delle tradizioni dei popoli dell’oriente. Nomi, figure, tabelle servono all’immaginazione per
affiancare l’intelletto nel penetrare
culture complesse ed estranee alla
razionalità occidentale. Ampio spazio viene dedicato agli assi portanti
del pensiero religioso e delle culture
indiana e cinese, dal buddhismo all’induismo, al confucianesimo, al taoismo.
I temi proposti sono ad ampio raggio
e forniscono indicazioni precise sullo shintoismo, sullo zoroastrismo,
sul giainismo, così come sulle scuole, i movimenti, i maestri delle religioni orientali. Il lettore più appassionato ha così modo di immergersi
nei più svariati simboli, approfondendone i significati, intraprendendo così un viaggio verso la conquista
dell’equilibrio, della serenità, della
gioia, mete autentiche della religiosità orientale. D.M.
Un nuovo strumento in grado di
soddisfare ampie esigenze di informazione e di approfondimento,
il DI ZIONA RIO TEO LOGICO
ENCICLOPEDICO (Piemme, Milano
1993) è oggi a disposizione degli studiosi, finora costretti a ricorrere a più
strumenti per avere una sintesi tematica della materia. L’opera si distingue infatti, rispetto ai tradizionali dizionari di teologia, per la vasta gamma di argomenti e di discipline considerate. In 1200 pagine sono contenute 1100 voci che trattano non solo
di dogmatica e teologia speculativa,
ma anche di esegesi biblica, storia,
spiritualità, teologia, morale, religioni. Il dizionario affronta temi remoti e questioni attualissime (come
ad esempio la “bioingegneria genetica”), si pronuncia (anche) in termini storici evolutivi sulla riflessione
teologica e si dispensa con una minibibliografia che dà ampio spazio alla
letteratura italiana. D.M.
CONVEGNI E SEMINARI
CONVEGNI E SEMINARI
Genealogie e fratture
della memoria
Presso la sede dell’Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici di Napoli, dal 28
giugno al 2 luglio 1993 Remo Bodei ha
tenuto un seminario sul tema: “OBLIO E
MEMORIA NELLA FORMAZIONE DELL ’IDENTITÀ
COLLETTIVA”, dove è stato analizzato il
complesso e stratificato intreccio di
dimenticanza e ricordo che caratterizza l’identità dei popoli e degli individui
nel corso della storia.
La memoria collettiva di una comunità si
forma mediante stratificazioni che, nel tempo, producono negli individui che la compongono un più o meno forte senso di
appartenenza, il quale si manifesta nell’attaccamento a tradizioni in cui si è sedimentata l’idea stessa della comunità di cui si è
parte. Tuttavia, ha esordito Remo Bodei,
all’interno della memoria super-individuale si presentano delle discontinuità o dei
“vuoti” che intaccano la compattezza dell’identità, fagocitando a volte nell’oblio
intere civiltà o linguaggi. Allo stesso modo,
quando l’identità collettiva si forma mediante aggregazione di tradizioni diverse,
la lunga opera di sovrapposizione culturale non appare indolore, poiché vi è sempre
qualcosa che viene perduto e costituisce il
prezzo pagato dalla comunità per un’identità più ampia, il rovescio inquietante delle
filosofie della storia che hanno disegnato
trionfali coscienze unitarie, rispecchiantisi nelle Istituzioni di un popolo o di una
civiltà. Così, ha osservato Bodei, quando
un regime cade o muta radicalmente la
forma di governo di un Paese, gli uomini
sembrano non ricordare il passato prossimo, e recuperano un passato lontano, rimuovendo la “colpa” recente attraverso la
riesumazione di remote tradizioni. Tale
rimozione collettiva rivela il carattere instabile e oscillante della memoria di un
popolo; quando alcuni eventi ne toccano
l’identità profonda, allora può intervenire,
a modificarla per sottrazione, l’oblio, che
non è un semplice vuoto, ma il risultato di
un conflitto all’interno della stessa memoria storica. Vi è dunque una volontà di
dimenticare pari alla volontà di ricordare, e la lotta tra le due mette in crisi il
concetto continuistico di passato tipico
dello storicismo.
Accanto a questa lotta, fa notare Bodei, vi
è oggi, nel mondo, una tendenza all’uniformità e alla globalità culturale, mediante
l’unificazione delle abitudini e la mummificazione di alcuni - scomodi - passati locali; mediante la simultanea coordinazione
degli eventi planetari grazie alle reti telematiche, e la conseguente liberazione dalla
dipendenza dal contesto geografico. La tendenza opposta, la frammentazione esasperata, ci riporta ad una drammatica richiesta
di identità su basi “biologiche”: là dove
l’oblio ha operato come forma sostitutiva
della memoria e si è disgregata l’identità
stabile, vi può essere la negazione di ciò
che era stato collettivamente ritenuto valido, e l’invenzione di una identità poco
verificabile con metodi rigorosamente
storici, o mai esistita nel passato. Ciò
accade, ha sottolineato Bodei, nelle fasi
di transizione, quando vengono meno i
criteri di selezione della memoria tradizionale, e se ne alterano quei “quadri
sociali” che Maurice Holbwachs aveva
posto alla base della stessa identità individuale, per dimostrare l’inesistenza di
una dimensione esclusivamente privata
del ricordo - e finanche del sogno.
Bodei ha proseguito la sua analisi evidenziando gli aspetti narrativi, che costituiscono l’identità attraverso la rielaborazione
mnestica, e la continua interpretazione del
passato. La memoria si presenta qui come
palinsesto sempre riscritto alla luce di un
medesimo trauma e impone di distinguere,
già con Aristotele, tra semplice ricordo
come registrazione passiva del fatto, ed
attiva reminiscenza, la quale è spesso costretta a rimuovere la cortina dell’oblio che
nasconde ciò che deve essere ricordato, che
resiste alla rete anamnestica dei rimandi. Il
revisionismo storiografico avviato in Germania dopo il 1989 è un esempio di attiva
e volontaria ricostruzione dell’identità collettiva tedesca, che considera l’esperienza
fascista come “reazione” al bolscevismo
(1917) e dunque scaturigine di una sorta di
“guerra civile europea”, conclusasi con la
caduta del muro di Berlino. L’esempio
tedesco, ha fatto rilevare Bodei, mostra
quanto sia difficile trovare il giusto equilibrio - che Nietzsche aveva già profilato
43
nella Seconda Inattuale - tra l’accanimento
terapeutico verso “pesanti” memorie ed
un’estrema leggerezza dell’oblio, in campo culturale e politico, poiché non si può
ricordare solo ciò che interessa al nostro
presente, né tantomeno, storicisticamente
e avalutativamente, ricordare “tutto”, tacendo i conflitti ed evitando di guardare
dall’esterno la propria identità storica.
La strada impervia che Bodei auspica è
quella verso un’identità collettiva sempre più allargata, capace di estendere il
senso di appartenenza al “Noi” con una
memoria condivisibile da molti. Contro
tale tendenza ha sempre operato nella
storia la manipolazione politica della
memoria e dell’oblio, la deturpazione di
ciò che resta o la sua deformazione in
termini sociali o religiosi.
Bodei ha mostrato anche il livello antropologico della memoria storica, retroattiva
rispetto all’idea dei morti di una comunità,
ricordare i quali comporta la santificazione
del luogo dove sono sepolti come patria e
come proprietà da difendere a costo della
vita. Il valore simbolico della memoria, ha
osservato Bodei, è quello di una vittoria
sulla morte; esempi di una simile memoria
sono offerti dalle varie strategie che gli
uomini escogitano per ricordare senza soffrire, dalla necessità della memoria che l’
“essere” dell’uomo si compia in differita,
tramite il ricordo.
Per Heidegger, ha poi osservato Bodei, siamo vittime dell’oblio dell’Essere: non siamo
più capaci, come i presocratici, di guardare e
di farci guardare dall’occhio dell’Essere come
totalità indeterminata, avendolo scisso in
soggetto e oggetto, la cui immagine e il cui
ricordo sono legate all’esattezza ed alla separatezza del concepire. Il problema, ha obiettato Bodei, è che non esistono criteri condivisibili di selezione di ciò che viene ricordato
o dimenticato, e che non si può allargare
indefinitamente lo scenario collettivo di
memorie, tra loro, incompatibili. Ciò si evidenzia particolarmente nella memoria dei
reduci e degli emigrati, che compiono trasferimenti di identità nei luoghi dove si insediano, costretti ad un tempo, per vivere, a ricordare le origini e a dimenticarle, testimoni
della scissione esistente, già nella formamemoria, tra ricordo e oblio.
L’Europa oggi offre un esempio dramma-
CONVEGNI E SEMINARI
Gottlob Frege
44
CONVEGNI E SEMINARI
tico di memoria divisa, poiché possiede
una smisurata, ma non unitaria, memoria
storica: vi sono vistose crisi dell’idea di
comunità europea e di quella di sovranità
nazionale, a favore di sovranità locali, alle
quali è impossibile accettare una coesistenza pacifica. Gli stati europei hanno tuttora
potere, ma soffrono di un vuoto di sovranità che comporta un processo di differenziazione etnica - soprattutto nei Balcani - che
non passa attraverso i modelli integrativi
dell’Europa occidentale. La situazione attuale ci ammonisce sulla precarietà di una
identità europea solo “ad uso esterno”, ossia funzionante solo quando l’Europa, penisola dell’Asia, è territorialmente minacciata, e sull’idea antica di un’Europa unita
nella difesa della libertà e del cristianesimo contro un’Asia dispotica e pagana.
Secondo Valéry, la civiltà europea ha
mostrato, nel corso dei secoli, di poter
creare una civiltà planetaria al prezzo di
introiettare disomogeneamente ogni alterità, dividendo la propria spugnosa memoria, e valorizzandone le stratificazioni, le
diversità, il pluralismo. Ciò non ha impedito l’esaltazione del nazionalismo come
valore ultimo. E.deC.
Frege: filosofia e matematica
L’opera di Frege è alla base dello sviluppo della logica contemporanea, ma
la sua ricerca era da lui intesa come
mezzo per un fine più ampio, una fondazione filosofica solida di tutta la
matematica. A partire da questo presupposto Imre Toth ha svolto una serie di seminari sul tema: “LA FILOSOFIA
MATEMATICA DI FREGE E LA MATEMATICA AL
TEMPO DI FREGE”, presso l’Istituto Italia-
no per gli Studi Filosofici di Napoli.
Imre Toth ha esordito osservando come la
posizione programmatica di Gottlob Frege, solitamente conosciuta come logicismo, non costituisca una novità in filosofia: l’aspirazione a una fondazione assiomatica della matematica è reperibile almeno a partire da Leibniz. Anche nella ricerca
propriamente matematica tra la seconda
metà dell’Ottocento e gli inizi del XX secolo si diffonde, in maniera non altrettanto
rigorosa ai suoi inizi, la consapevolezza di
un’esigenza di formalizzazione e fondazione dei concetti matematici. Ma sebbene
il programma logicista sia fallito, ciò non
sminuisce l’importanza di un tentativo che
aveva i caratteri della necessità, nel senso
che le condizioni storico-teoretiche dell’epoca imponevano una ricerca di questo
tipo. Di fatto, pur riconoscendo questo fallimento, Frege non smise di considerare
valida la filosofia di fondo del logicismo, i
cui principi, ha rilevato Toth, furono da lui
sempre sostenuti e riaffermati sino agli
ultimi scritti. Ciò ha fatto sì che la filosofia
della matematica di Frege sia stata meno
considerata, soprattutto in relazione al sapere matematico coevo.
Intorno agli anni 1820, più o meno contemporaneamente, ma del tutto indipendentemente, Gauss, Lobacevskij e Bolyai fondarono quella che poi venne chiamata geometria non euclidea. Tale geometria, in cui
l’unità di misura non è arbitraria, ma una
costante naturale, possiede caratteri fortemente controintuitivi: una figura non può
essere ingrandita o rimpicciolita (non esiste similitudine), un piano può essere ricoperto non da quadrati, ma da pentagoni, e
così via. L’opposizione a questi risultati
mostruosi portò ad una controversia molto
accesa, che si protrasse sino al primo dopoguerra mondiale. L’opposizione di Frege
alla geometria non euclidea, ha osservato
Toth, rappresenta un caso particolarmente
interessante per la coerenza della sua posizione e per il suo ruolo entro il dibattito sui
fondamenti della matematica. Se tuttavia
Frege non ha mai dato un’esposizione sistematica esplicita della propria filosofia
della matematica, è perché non riteneva di
formulare una particolare filosofia della
matematica, ma la filosofia eterna della
matematica, i cui principi egli intendeva
solo stabilire rigorosamente e chiaramente
per mezzo della logica. Furono, secondo
Frege, i matematici dell’epoca a infrangerne le regole immutabili, non rispettandone i principi che sono anche alla base
della sua filosofia.
Un principio spesso ripetuto da Frege e
costantemente messo in discussione dai
matematici è quello dell’unicità dell’essere e della verità. Toth ha rilevato come
Frege analizzi dapprima, nei Grundlagen
der Arithmetik, l’aritmetica e l’analisi. Secondo Frege tutti i numeri, come ad esempio l’insieme N dei naturali, poi l’insieme
Q dei razionali (che i Greci chiamavano
logoi, rapporti), quindi l’insieme R dei
reali, che includono gli “irrazionali” (alogoi o arretoi) come √2 o π, e infine l’insieme C dei complessi (gli “immaginari”),
tutti questi numeri sono oggetti esistenti
eternamente e indipendentemente dal soggetto conoscente, e costituiscono un mondo chiuso. Il principio di unicità dell’essere
implica che tutti i numeri facciano parte di
un unico mondo soggetto ad un’unica legge, così come la verità è unica, valida per
tutti i mondi e tutti gli oggetti. E la coscienza, sia che si occupi degli enti matematici o
di qualsiasi altro dominio, non crea: l’oggetto esiste prima della conoscenza di esso.
Frege, ha notato Toth, si pone così in netto
contrasto con le dottrine di matematici come
Cantor, Dedekind, Weierstrass, Hankel o
Heine. Ad esempio, se la verità è una e
immutabile, non è accettabile per Frege il
punto di vista di Dedekind, che pretendeva
di “creare” enti matematici, riprendendo
l’antica teoria di Eudosso. Ugualmente,
per Frege, non può essere accettato il fatto
che un numero possa essere definito una
volta da una proposizione e un’altra volta
45
da una proposizione diversa, come proponeva Hankel, la cui dottrina fu battezzata
da Frege, con tono dispregiativo, “formalismo”. Da una posizione come quella di
Hankel può derivare, secondo Frege, la
definizione di enti in apparenza “matematici”, ma in realtà destituiti di qualsiasi
significato matematico. Gli esempi addotti
da Frege dovevano mostrare che non basta
definire, attraverso un sistema di assiomi e
di regole di sostituzione, un dominio, perché questo abbia anche una verità matematica. Tuttavia, ha fatto notare Toth, tutti gli
esempi addotti da Frege sono falsi. L’esempio più ripetuto, il sistema di due equazioni
X+1=2 e X+2=1, suona intuitivamente assurdo, eppure è matematicamente assolutamente legittimo, ed inoltre è anche storicamente attestato, in quanto si trova nel IX
libro degli Elementi di Euclide, e definisce
la prima teoria deduttiva del pari e dispari.
In generale Frege non accettò mai l’idea
centrale del formalismo di Hankel (e di
Hilbert), per cui è un sistema assiomatico a
definire un ente, la cui verità non è dunque
preesistente alla definizione stessa.
Un altro ampio fronte di polemiche, ha
continuato Toth, fu aperto da Frege sul
versante delle geometrie non euclidee, specialmente dopo la pubblicazione, nel 1899,
dell’opera di Hilbert Die Grundlagen der
Geometrie, che sgombrava definitivamente il campo da equivoci, non confrontando
più le nuove geometrie con quella euclidea,
in qualche modo sempre presupposta e
quindi intuitivamente considerata “vera”.
Ad esempio Hilbert mostrava, al di là di
ogni dubbio, come una “retta” della geometria iperbolica fosse “retta” esattamente
allo stesso titolo di quella euclidea. Ma in
questo modo il principio di non contraddizione non è più valido, in quanto si possono
dare differenti (e compossibili) significati
della parola retta. In effetti, ha osservato
Toth, la svolta non euclidea consiste proprio nel non presupporre che una geometria
sia quella vera, rispetto alla quale le altre
sarebbero al più variazioni metaforiche. In
questo modo però si opera una ridefinizione del concetto di verità matematica inaccettabile agli occhi di Frege. Va però sottolineato, ha aggiunto Toth, che il principio
con cui Hilbert definisce una retta, usando
solo proprietà topologiche e non facendo
riferimento alla misura, è lo stesso adottato
da Euclide, sicché risulta come Frege leggesse gli Elementi con gli occhiali della
tradizione medioevale, vedendo in essi una
nozione di verità che essi non contengono.
Frege fu il più coerente e lucido esponente
del movimento logicista nell’avversare le
geometrie non euclidee, tenendo una posizione di estrema coerenza ed intransigenza
sia in filosofia, sia in matematica, sia in
politica. Poiché si rendeva conto come la
concezione geometrica da lui criticata aprisse la strada ad una filosofia della matematica fondata sulla libertà, Frege, ha ribadito
Toth, perseguì sempre il programma di
dimostrarne l’inaccettabilità teorica e la
CONVEGNI E SEMINARI
pericolosità pratica, mantenendosi fedele
ad una concezione filosofica globale che
prese la forma, in politica, di una concezione rigidamente reazionaria, antisemita,
anticattolica, antifrancese e filonazista. Strenuo nemico della libertà e paladino della
necessità, egli mostrava così, con grande
acutezza, il valore teoretico, filosofico e
politico delle nuove geometrie, portatrici
di un messaggio di libertà del soggetto che
la sua filosofia non poteva accettare e che
non fu mai accolto. L.V.
Congresso hegeliano
a Stoccarda
E’ stato dedicato al tema “VERNUNFT(Concetti di
ragione nella modernità) il congresso hegeliano internazionale svoltosi a Stoccarda dal 10 al 13 giugno
1993. A differenza del precedente
congresso, che ha avuto per tema la
questione della metafisica, in quest’ultimo, sotto il titolo di “concetti
di ragione”, è stato trattato il tema
della possibilità della ragione nel
mondo contemporaneo.
BEGRIFFE IN DER MODERNE”
In accordo con il plurale del titolo del
convegno, gli interventi hanno mostrato la
tendenza unitaria per cui nella filosofia
post-kantiana e post-idealistica, con il congedo da un concetto fondamentalistico e
unitario di ragione, non viene messa in
questione la possibilità della ragione, ma la
discussione sulla questione della ragione
(che genera l’esigenza dell’incondizionatezza) viene posta sul terreno della razionalità nelle condizioni dell’esperienza umana. Sebbene una tale liberalizzazione della
tematica produce caratterizzazioni della
ragione, che rappresentano di volta in volta
concetti propri di ragione, frutto di tentativi
teoretici diversi, dove la ragione è sempre
posta, relativamente a comportamenti e
atteggiamenti umani, al di qua di un concetto normativo in quanto fondamento critico, i contributi presentati al convegno
hanno tuttavia tentato di tematizzare aspetti normativi della ragione.
Nella sua relazione Michael Theunissen
ha sostenuto la tesi che la “cosa della ragione” esige la decisione elementare di assumere in generale una «ragione normativamente pregna di contenuti [...] libera da
scopi [...] unificante», che vada oltre un
tipo di razionalità per la quale è sufficiente
il concetto di intelletto. Comune ai diversi
approcci presenti al convegno è stata invece proprio la rinuncia a questa decisione
preliminare di un “genuino concetto di
ragione”, sotto il quale possa venire ordinato l’ambito della razionalità. Se si segue
la tesi di Theunissen, resta in dubbio se a
quegli approcci possa riuscire di cogliere
l’aspetto normativo della ragione. Rüdi-
ger Bittner ha osservato in proposito che
un’aspirazione normativa della ragione non
può essere ricavata dalla descrizione dell’esperienza. Se si parte infatti dalla descrizione dell’esperienza, il legame tra l’aspirazione normativa della ragione e una qualsiasi indicazione concreta di comportamento appare arbitrario.
In opposizione a questa accentuazione dello iato tra ragione ed esperienza, Harry G.
Frankfurt ha sviluppato un concetto di
“amore incondizionato”, inteso come alternativa alla ragione pratica di Kant, in
cui gli aspetti dell’autonomia e della necessità della ragione vengono ricondotti strettamente a una concreta situazione esperienziale. Comune a un comportamento
amoroso e a un comportamento obbligato è
che la necessità di agire in un determinato
modo è al tempo stesso espressione di
libertà e autonomia. In questo caso, osserva
Frankfurt, agire autonomamente significa,
diversamente da quanto avviene in Kant,
agire nel senso di un amore che si rivolge a
qualche cosa senza essere condizionato da
un interesse affettivo o da una mira nei
confronti di ciò che è amato. Questo amore
non condizionato è legato, secondo
Frankfurt, alla “natura essenziale” di una
persona ed è espressione della sua identità.
In questo progetto di autonomia in quanto
autenticità resta tuttavia problematico il
fatto che l’autenticità non contenga in sé
alcun momento critico. Il concetto di amore di Frankfurt presuppone che ci sia una
motivazione (ruling passion of love), pur
prescindendo da interessi particolari. Così
resta in dubbio se la necessità di un’azione
compiuta per amore possa significare qualcosa d’altro da un dispiegamento della natura, non influenzata da condizioni esterne
a essa; il concetto di amore di Frankfurt
rappresenterebbe pertanto un concetto fattuale e non normativo di necessità.
Altri interventi hanno invece sottolineato il
fatto che la ragione non va vista in opposizione alle passioni, ma essa stessa ha bisogno di una relazione con i sentimenti, anche se poi non è risultato chiaro come in
questi casi si debba intendere l’aspetto normativo della ragione. Marta C. Nußbaum,
ad esempio, ha confrontato la scepsi pirroniana e il decostruttivismo di Derrida e di
Fish, e contro entrambi ha fatto valere il
fatto che la mancanza di criteri trascendentali per rispondere a domande etiche ha sì
come conseguenza la possibilità di convinzioni in conflitto tra loro, ma non l’indifferenza delle convinzioni. Una risposta positiva a questo tipo di scepsi, ha osservato
Nußbaum, non può essere ottenuta, tematizzando questioni etiche dal punto di vista
di una persona in una situazione esistenziale concreta e prendendo in considerazione
il contenuto informativo degli affetti che
così si presentano (paura, amore ecc.).
Questo punto di vista mette tra parentesi la
questione se esista una connessione tra la
richiesta di convinzioni indubitabili e la
rilevanza di ragioni concrete e relativizza46
bili per una decisione etica. Che l’assenza
di principi assoluti non implichi l’indifferenza delle convinzioni, non significa che
le ragioni relative rendano capaci di una
decisione etica.
Il problema del diritto con cui un’azione
può essere considerata razionale è stato
invece al centro dell’intervento di Onora
O’Neill, che ha preso le mosse dalla constatazione che “ragionevole” è solo ciò che
non viene fatto arbitrariamente e in forza di
una autorità. Analizzando quattro modelli
di ragione pratica (obiettivo-teleologica,
soggettivo-teleologica o strumentale, normativa e critica), O’Neill ha affrontato il
problema di un’azione ragionevole che sia
in grado di soddisfare questi criteri. Il primo modello ha il vantaggio di conferire
autorità a uno scopo obiettivo che deve
essere posto dalla ragione stessa. All’obiezione che tuttavia ogni determinazione di
uno scopo obiettivo soggiace al sospetto di
essere una posizione arbitraria, risponde il
secondo modello, nella misura in cui intende la ragione solo come strumento per
ottenere uno scopo soggettivo, e non solleva dunque l’esigenza che la ragione stessa
ponga degli scopi (che sia pratica). Secondo il terzo modello un’azione è ragionevole
se è guidata da norme che hanno carattere
obbligante, in quanto costituiscono l’identità di una comunità o di una persona. Come
nel caso di uno scopo obiettivo, l’idea di
norme obbliganti fallisce per quanto riguarda la possibilità di analizzare i fondamenti secondo i quali viene conferita autorità a determinati contenuti: non appena si
diventa consapevoli del fatto che le norme
hanno valore all’interno di un punto di
vista determinato e che esso viene considerato dall’esterno, esse non sono già più di
necessità obbliganti. Il concetto di ragione
che O’Neill predilige è quello critico, secondo cui l’aspirazione di un’azione alla
razionalità non implica che questa azione
sia assolutamente necessaria, ma solo che
venga esercitata sulla base di riflessioni
che possono essere comunicate e effettuate
da ognuno. E poiché la razionalità consiste
qui solo nella razionalità del processo decisionale dell’agire, essa può assumere al
proprio interno il momento della distanza
critica rispetto alle azioni che devono valere come razionali, senza annullarne il loro
status razionale.
A differenza di quanto avviene con il concetto obiettivo-teleologico di ragione, nel
modello critico i criteri sulla cui base viene
esercitata la critica non sono essi stessi
principi contenutisticamente determinanti.
Resta perciò dubbio se si possa attribuire
un’autorità alla ragione critica, come fa
O’Neill, o se nel caso di una ragione non
normativa contenutisticamente l’aspetto
autoritativo non coincida con l’aspetto della non-arbitrarietà. Il carattere obbligante
di un’azione si sviluppa dalla razionalità
riconoscibile del processo decisionale e
non può essere trasposto al contenuto determinato di un’azione (in modo che l’azio-
CONVEGNI E SEMINARI
ne venga esercitata in forza di una autorità),
poiché l’accordo circa la correttezza dell’azione non può comunque aver fine, se
non si ricorre a un principio normativo e
pregno di contenuti.
Ram Adhar Mall, nel suo intervento sulla
relativizzazione interculturale della ragione, ha a sua volta difeso in modo coerente
la causa di un concetto di ragione non
contenutistico. Tanto l’idea che la ragione
sia normativamente pregna di contenuti,
quanto il tentativo di determinare la ragione attraverso dei contenuti, rovesciano,
secondo Mall, la pretesa di universalità
della ragione in una totalizzazione di punti
di vista particolari. Poiché la ragione non è
determinata prima del suo uso, non è possibile risalire oltre la pluralità delle impronte culturali, che tuttavia, in quanto
modi dell’uso della ragione, si possono
riferire reciprocamente e si “sovrappongono”. A questo intervento può essere avvicinata l’interpretazione, proposta da Angelika Nuzzo, dell’universalità della ragione
nel contesto di un’analisi della teoria hegeliana del pensiero. La ragione viene qui
intesa come quella forma di pensiero che
non è un modo determinato del pensiero,
ma la condizione di ogni pensiero determinato. Non si può così parlare di un «punto
di vista della ragione», bensì solo di manifestazioni della ragione, che sono «punti di
vista nella ragione».
L’interpretazione dell’unità della ragione
in Kant offerta da Paul Guyer delinea un
concetto di ragione in cui viene integrata la
problematica del rapporto del momento
normativo della ragione con l’ambito degli
scopi materiali. La pretesa della ragione
non viene determinata né nella distanza da
scopi empirici, né solo in relazione a contenuti empirici, ma viene orientata in base
a una connessione sistematica di scopi concreti. Con ciò la proporzionalità tra virtù, in
quanto azione secondo posizioni formali di
scopo, e felicità, in quanto realizzazione di
un insieme massimale di scopi concreti
compatibili, non appare mediata da un principio esterno, ma diventa la conseguenza
della realizzazione compiuta della ragione
(da pensarsi solo come ideale). In Guyer il
dominio proprio della ragione sembra diventare quello dell’esperienza, sempre che
questo non implichi o una limitazione della
ragione a razionalità (Rationalität) o un’assolutizzazione dell’esperienza.
Al presupposto della non pre-razionalità
dell’esperienza Michael Theunissen ha
opposto la decisione preliminare di una
“ragione genuina”, portando il suo discorso sulla questione della portata della ragione. Dal punto di vista storico, ha rilevato
Theunissen, le «carenze della ragione illuministica depotenziata a intelletto» vengono ipercompensate nella filosofia idealistica dell’identità di Hegel attraverso l’attribuzione alla ragione di una funzione unificatrice, che estende la sua potenza all’
“altro della ragione”. Da quando l’infinito
superamento dei limiti della ragione è dive-
nuto un problema obsoleto, ciò che occorre
chiarire è il modo in cui deve essere determinato il confine della potenza della ragione, che implica il riconoscimento di qualcosa che rispetto alla ragione è precedente,
privo di ragione. Schelling piega la ragione
a una potenza che la precede, al fine di
superare il carattere destinale di una ragione priva di limiti. In opposizione a questa
intenzione schellinghiana di una critica della
mitologia, il riconoscimento da parte di
Nietzsche di un “altro della ragione” va
inteso come mero spostamento della coazione destinale nella realtà immemorabile.
Seguendo la critica schellinghiana si potrebbe dire, secondo Theunissen, «che il
post-moderno, avviato da Nietzsche, fissa
l’errore che la modernità fa rispetto a se
stessa, il tradimento mitico del suo potenziale di libertà». Il superamento del carattere destinale tanto della ragione, quanto della
contro-ragione o non-ragione, può avvenire
solo, sostiene Theunissen, ponendo l’altro
della ragione, in cui essa trova i propri confini, non come essere dispotico, ma solo
come risultato dell’astrazione della ragione come un “mero esistente”, che rappresenta
una base non-razionale della ragione. La
proposta di Theunissen implica dunque un
alleggerimento della ragione da un compito
unificante, per via del fatto che i suoi confini
non vengono posti attraverso un altro autonomo, ma in dipendenza da essa. U.S.
Il senso del divenire
Il 17 giugno 1993, presso il Centro
Culturale “La Casa Zoiosa” di Milano,
si è tenuta una conferenza di Emanuele Severino sul tema: “IL SENSO DEL
DIVENIRE”, che ha concluso il ciclo di
conferenze di argomento filosofico
sulla questione del limite, organizzato
dal Centro per l’anno ’92-’93. Riprendendo tematiche già espresse, Severino ha condotto il proprio discorso fino
alla determinazione del divenire come
impossibilità e di ogni forma di volontà come violenza.
In senso propriamente etimologico, ha rilevato Emanuele Severino, il divenire si definisce già come un passaggio da un termine a
quo ad un termine ad quem, ovvero come un
oltrepassamento di un limite. Il confronto
con la tradizione ci presenta una distinzione
in limiti che si possono oltrepassare e limiti
che, invece, non si devono oltrepassare. La
prima considerazione sollevata da Severino
è che, se un limite si può “realmente” e
“veramente” oltrepassare, perché mai non
dovremmo farlo? La risposta della tradizione Severino la scova a partire dai frammenti
di Anassimandro, quando questi parla del
«pagare il fio dell’ingiustizia», ovvero della
punizione riservata ai colpevoli. Il “non si
deve”, quindi, non sarebbe altro che un ma47
scheramento del “non si può”, nel senso che,
nonostante una vittoria temporanea (il fatto
che il limite sia stato oltrepassato), presto o
tardi arriverà la punizione, che smentirà l’illusione della vittoria.
A questo punto Severino concentra la propria attenzione proprio su questa deduzione necessaria della punizione come conseguenza di determinate azioni. Riprendendo
il concetto di “scienza misuratrice” dal
Protagora di Platone, ci accorgiamo, osserva Severino, che di “scienza”, di episteme, come capacità di svelare in modo stabile e incontrovertibile il senso ultimo del
mondo, oggi non se ne può più parlare. In
altri termini, nella nostra epoca, caduta la
possibilità di raggiungere una verità definitiva e assoluta, vengono a cadere i nessi
necessari tra le cose, e quindi anche la
necessarietà che ad una determinata azione
segua una determinata punizione. Ciò che
dunque si riesce ad ottenere, quando oltrepassiamo un limite che, ci viene detto, non
si deve oltrepassare, è qualcosa che “realmente e veramente” otteniamo. Ad esempio distruggere il divino, in qualunque forma esso ci si presenti, è cosa non solo lecita,
ma anche non violenta. La violenza è l’oltrepassamento di un limite che non si deve
oltrepassare; ma la voce del “non si deve”
non è altro che la voce delle volontà perdenti, poiché il “non si deve” perde fondamento laddove tramonta la verità definitiva. Ma come parlare di violenza, se violento non può essere oltrepassare ciò che si
lascia vincere? La violenza è dunque volontà che vuole l’impossibile, che vuole
abbattere l’imbattibile.
Proprio intorno al tema dell’impossibile si
è concentrata la seconda parte della conferenza di Severino, riprendendo la questione dell’identità o meno dei due termini, a
quo e ad quem, del divenire. Se ci chiedessimo se la legna è la cenere, risponderemmo ovviamente di no, così come tutta la
tradizione dell’occidente ha fatto. Lo stesso Platone, nel Teeteto, afferma che nemmeno in sogno, nemmeno nella follia un
uomo può pensare di essere altro da sé,
eppure diciamo che le cose divengono,
diciamo che la legna è divenuta cenere.
Divenire è dunque identificarsi con ciò che
si diviene; la legna si identifica con la
cenere, ovvero è l’essere altro da sé. É proprio qui, ha affermato Severino, che troviamo l’impossibile: impossibile è che qualcosa sia il proprio altro, che divenga. Ma cosa
fa ogni volontà, che sia distruttrice o salvatrice? Ogni volontà richiede che qualcosa si
trasformi, basandosi sulla credenza che le
cose possano diventare altro da sé. Qualsiasi
volontà vuole dunque l’impossibile; qualsiasi volontà è dunque violenza.
Per risolvere i problemi del nostro tempo, ha
aggiunto Severino, non è sufficiente contrapporre buone volontà a volontà cattive.
Cristo stesso predicava violenza, perché voleva trasformare il mondo, e la violenza delle
religioni è più pericolosa delle violenze esplicite, proprio perché si maschera. G.B.
CONVEGNI E SEMINARI
Dante, Divina Comedia (Inferno, Canto VIII), di Federigo da Montefeltro
48
CONVEGNI E SEMINARI
Interpretare Dante
A Tours, nel quadro delle iniziative del
Centre d’Etudes Superieures de la Renaissance, Bruno Pinchard, in collaborazione con Stéphane Toussaint, ha
organizzato dal 30 giugno al 5 luglio
1993 un congresso internazionale dal
titolo: “L’EMPIRE DE DANTE. LES LECTURES
HUMANISTES DE DANTE”. La participazione di studiosi differenti per età, disciplina e nazionalità, è stata pensata
come occasione per rilanciare la discussione sulla presenza di Dante nella critica letteraria e nella storia delle
idee; in questo modo, filologi, letterati, filosofi e storici, hanno cercato di
mettere a punto la ricezione e la creazione del “mito” di Dante nel pensiero
occidentale.
Dopo la conferenza inaugurale di Maria
Corti , dedicata alla rilettura di Dante sulla
base della scoperta di nuove fonti testuali e,
in particolare, consacrata all’esegesi del
mito di Ulisse, sono stati messi a fuoco i
“nuovi risultati dell’interpretazione dantesca”, grazie anche ai contributi di giovani
studiosi, fra cui Thomas Ricklin (Friburgo) e Bianca Garavelli (Milano). L’americano Robert Hollander (Princeton) ha
poi fatto il punto sull’epistola a Cangrande.
La parte centrale del congresso, la più densa, ha affrontato la “ricezione umanista di
Dante”, entrando così nel vivo della questione ermeneutica. Alcuni, fra cui Marthe
Dozon (Nancy III) e Claude Cazale-Berard (Paris X - Nanterre) hanno centrato le
loro analisi sulla ri-lettura (e ri-scrittura) di
Dante. Dozon ha parlato di Boccaccio “lettore” di Dante nelle Esposizioni sopra la
Commedia, un’opera incompiuta, una serie di annotazioni, in cui appare evidente
come Boccaccio abbia rivisitato Dante secondo le sue preoccupazioni morali, dimidiato fra la difesa della teologia e di una
certa eticità e la concomitante difesa della
poesia dei Classici, non cristiani. Centrale
diviene la sua apologia della verità allegorica delle fabulae e la ricerca, nel mito, di
una compresenza di sacro e di poetico.
Cazale-Berard ha insistito, invece, sulla riscrittura di Boccaccio dell’Amor gentile,
in cui questi sostituirebbe alla griglia teologica di Dante una fenomenologia letteraria
della passione. Qui Boccaccio abbandona
l’imitatio per abbracciare a piene mani la
narratio e per individuare, così, la propria
specificità letteraria: nella difesa dell’amore si annida anche e soprattutto la difesa
della letteratura e l’elevazione della letteratura “mezzana” in volgare.
Un altro approccio interpretativo fecondo è
stato quello, per così dire, biografico: l’interpretazione dantesca è stata vista sia attraverso i numerosi “commentari” sia grazie alle “biografie” più o meno immaginarie. Lucia Gualdo Rosa (Napoli) ha analizzato le Vite di Dante e di Petrarca di
Leonardo Bruni, attardandosi in partico-
lare sull’opposizione otium-negotium relativa al binomio Dante-Petrarca. Deborah Parker (Villa Tatti, Firenze) ha ricostruito la “geografia” dei “commenti” alla
Commedia nel Rinascimento, mostrandone la complessità e la variabilità a seconda
dei pregiudizi storici e letterari del momento. Michelangelo Picone (Zurigo) ha
analizzato la presenza dantesca in Petrarca e le differenze letterarie e esistenziali
dei rispettivi “programmi di vita”. A partire da un’analisi nutrita dei testi, in particolare dei Rerum vulgarium fragmenta di
Petrarca, Picone osserva che se in Dante la
“biografia” ha un senso, se cioè la conversione alla salvezza è possibile, per Petrarca questa svolta non si compie mai: il suo
itinerario, grazie all’amore per Laura, è
una “erranza” e non, come per Dante, una
“peregrinazione”.
Estremamente interessante è stato inoltre
l’intervento di Frank La Brasca, che si è
occupato di leggere attraverso i commenti
di Dante, la logica e la storia delle querelles
teologiche del XV-XVI secolo. Attraverso
le differenti interpretazioni di Dante da
parte di Landino, Bembo, Vellutello, Serravalle, la Brasca restituisce la complessità di differenti modelli d’interpretazione a
seconda che si privilegi un’attitudine testuale-letterale (Vellutello) o un opzione
pregiudiziale come quella di Landino, che
interpreta Dante sull’onda del neoplatonismo. Da un punto di vista più prettamente
storico, Richard Cooper (Oxford) ha interrogato la presenza di Dante sotto Francesco I e Jean Balsamo (Chambéry) l’utilizzazione di Dante nelle guerre di religione in Francia.
Sull’interpretazione di Dante in ambiente
ficiniano si sono espressi Cesare Vasoli
(Firenze), che si è occupato del rapporto fra
Ficino e Dante, concentrandosi in particolare sulla traduzione in volgare della Monarchia, e Stéphane Toussaint (CNRS),
che ha rivendicato la specificità della ricezione di Dante nell’ambiente dei matematici e degli architetti legati alla “nuova
cultura” non accademica di Manetti, Buonaccorsi, Brunelleschi, Palmieri.
Gli interventi più “eccentrici”, nel senso di
più estranei a un’ottica storico-letteraria,
sono stati quelli di Bruno Pinchard e di
Georges Didi-Huberman. Pinchard ha esposto succintamente i risultati di un suo personale studio sul rapporto tra Dante e Rabelais, trovando un punto di contatto tra i
due nell’idea di “rivoluzione linguistica”,
poiché entrambi costringono la lingua a
una torsione poetica connessa a una “logica
del comico”. Guardando in filigrana i due
scrittori, ciascuno a suo modo “comico”, è
possibile rintracciarvi il medesimo primato della lingua come primato dello “stile” e
del “tema” sulla “tesi” e sul “contenuto”.
Rivoluzionario, eccedente e estraniante si
rivela il primato logico del comico, grazie
a cui viene significato un pensiero che «non
è un modo dell’essere, ma che detta il tono
all’ontologia». Attraverso questo inusuale
49
incontro Dante-Rabelais, Pinchard individua dunque una particolare storia dell’individuazione del soggetto, alternativa a quella storico-accademica della filosofia. DidiHuberman ha invece ricostruito e decostruito l’invenzione del “mito” dell’amicizia
fra Dante e Giotto nella visione di Vasari:
questo mito sarebbe servito a giustificare
una certa visione dell’arte e della storia
dell’arte, in particolare del ritratto “dal
vivo”, in cui sarebbe stato “rimosso”, messo
a lato, il carattere funerario, votivo, rituale
del ritratto in nome di un programma artistico-cognitivo centrato sull’ideale dell’imitazione naturalisitica e del disegno.
Alcuni studiosi si sono infine dedicati a
esaminare la figura di Dante in epoche
post-umanistiche: Pierre Caye (CNRS) ha
ricostruito il divorzio del nesso virtù-amore, presente in Dante, nei pensatori politici
posteriori, fra cui Machiavelli e Campanella. Nicolò Mineo (Catania) ha invece
analizzato la figura storico-letteraria di
Dante nella poetica delle Grazie di Ugo
Foscolo. Jean-François Marquet (Paris
IV), infine, ha concluso il convegno ricostruendo l’interpretazione di Dante in
Fichte, Schelling e Hegel. F.M.Z.
Epistemologia senza soggetto
Con il passaggio alla postmodernità, il
soggetto viene radicalmente decostruito o neutralizzato, e quella che in
precedenza rappresentava la conquista più alta, l’autoaffermazione dell’individualità, del singolo, viene ora
denunciata come ideologia, come imposizione di un ordine fittizio, privo di
legittimazione reale e di inconcusse
evidenze. In un ciclo di lezioni su “L’EPI STEMOLOGIA SENZA SOGGETTO ”, tenutosi
presso l’Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici di Napoli dal 14 al 19 giugno
1993, Carlo Vinti ha preso le mosse da
questa Destruktion, in particolare da
quella operata dal sistematico riduzionismo neopositivistico, dove il soggetto, viene cancellato dall’impresa
conoscitiva, ora tutta orientata sul
“dato” immediato del reale naturale.
Partendo da questa cancellazione, Carlo
Vinti ha esaminato quattro autori, Popper,
Bachelard, Morin, Polanyi, in cui è presente quel complesso intrecciarsi di istanze
“forti” (l’ideale razional-positivistico), e
“relativistiche” (la problematicità ermeneutico-storicistica), che caratterizza l’epistemologia postneopositivistica e che conduce ad un ritorno del soggetto sulla scena
teoretica.
La concezione di Popper, ha osservato
Vinti, scuote la pretesa di un accesso puro
e univoco alla realtà oggettiva, affermando
la primarietà e l’eccedenza della teoria
rispetto ai dati empirici. Di per sé il dato
CONVEGNI E SEMINARI
empirico non dà luogo ad asserti scientificamente consistenti (critica all’induttivismo); occorre, invece, che essi vadano a
inquadrarsi in una precedente ipotesi teorica, che conferisca loro significato, ordine,
chiarezza. Gli stessi “asserti di base”, i fatti
empirici, sono frutto di convenzione da
parte dei ricercatori. Nella prospettiva popperiana, ha fatto notare Vinti, questo significa accentuare il momento valutativo, le
scelte che sorreggono l’impresa scientifica, e che inevitabilmente assumono una
connotazione etica, sottraendo il ricercatore alla pericolosa illusione si perseguire
l’assoluta oggettività.
Vinti ha poi rilevato i punti di contatto tra
Popper e Bachelard, entrambi accomunati
dal tentativo di contemperare oggettività
della conoscenza e storicità del suo farsi
rigore e autonomia del metodo scientifico e
imprescindibilità dei condizionamenti individuali e sociali. Secondo Vinti, i noti
concetti bachelardiani di “ostacolo” e “rottura” epistemologici, sebbene siano tesi ad
esaltare la potenza e la purezza del ragionamento scientifico in opposizione al senso
comune, evidenziano tuttavia la tensione,
la profonda interazione tra sfera immaginativo-soggettiva e oggettività. Lo stesso
Bachelard, d’altro canto, nell’intento di
isolare fenomenologicamente i tratti nonrazionali, non-discorsivi del pensiero, ha
condotto una serie di ricerche di “psicanalisi della conoscenza oggettiva”, da cui
emerge la sottostruttura intuitiva, analogico-metaforica, che sorregge la creazione
poetica e orienta precategorialmente anche
quella scientifica.
L’ineludibilità del soggetto, ha rilevato
Vinti, diventa addirittura strutturale nello
schema sistemico di Morin: nel nuovo
“paradigma” della complessità, vige una
relazione di circolarità, piuttosto che di
opposizione, tra soggetto e oggetto. Tra
osservatore ed osservato, sistema ed ambiente, teorie e referente, s’intuisce una
mutua determinazione, mai riducibile, poiché ogni ulteriore osservazione è sempre
una modificazione dell’osservato. L’atto
conoscitivo è per Morin complesso e contestuale; in esso v’è sempre co-implicazione di livelli eterogenei, ed il soggetto è
sempre parte di ciò che si conosce. Al
paradigma gerarchico e riduzionista, ha
fatto notare Vinti, si sostituisce quello complementaristico e sistemico, che mentre
scardina la costituzione trascendentale della soggettività, riconduce il soggetto alla
dialettica concreta dell’agire conoscitivo,
in quanto azione, relazione, scambio, coinvolgimento.
Con Polanyi, infine, si compie, secondo
Vinti, un ulteriore passo verso il recupero
dell’elemento individuale, del contributo
personale, creativo, che il ricercatore offre
alla scienza. Nella formulazione di teorie
permane sempre un qualcosa di implicito,
di inespresso, dovuto all’eccedenza del
potere della mente rispetto all’asserzione
positiva, al “fatto” descritto. L’oggettiva-
zione, la fase distale, è solo un lato della
conoscenza, che è invece fattualmente sempre accompagnata da un complesso intreccio di fattori storici, contestuali, intuitivi
(fase prossimale).
Il riferimento all’individualità del ricercatore, ha concluso Vinti, è certamente un
segno emblematico della distanza antipodale dell’epistemologia odierna rispetto alle
posizioni neopositivistiche, da cui la separa un’opera di progressiva “umanizzazione” dell’impresa scientifica. Quel che certo
accomuna gli autori citati è il tentativo di
sottrarre la scienza all’identificazione col
nichilismo, con l’ “oblio dell’essere” e,
reciprocamente, di sciogliere il nesso umanesimo-terrore. Il progressivo recupero
della soggettività in epistemologia ha per
Vinti un significato fondamentalmente etico, reintroducendo nell’anonimia della “comunità scientifica” il senso della decisione, della responsabilità, della storia, troppo
spesso rimosse in nome di una comoda
neutralità del sapere. M.R.
Filosofia come metafilosofia
Muovendo dal presupposto che la filosofia sia l’esercizio del pensiero del
filosofo di fronte ai problemi della vita
vissuta, Sergio Moravia ha svolto dal 7
al 10 giugno 1993, presso l’Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, un seminario dal titolo: “FILOSOFIA, METAFILOSOFIA, POST-FILOSOFIA ”, in cui
la parola filosofica è stata praticata al
di là di ogni legame con i testi, rifiutando il concetto di filosofia come lettura,
commento, ripetizione, e riconquistando in questo modo l’intensità della
parola diretta.
La filosofia, secondo Sergio Moravia, è il
partire da sé del filosofo, ed in quanto tale è
pensiero indisciplinato, pensiero della pluralità, che esclude da sé ogni forma di universalità. Il pensiero è legato alla vita ed ai suoi
fenomeni, ai quali non si può rispondere
secondo le categorie generali. Nell’uso delle
categorie trapela sempre un metodo che unifica, semplificandolo, il complesso delle cose.
Di fatto, ha osservato Moravia, non si tratta
più di porre la domanda su “che cosa è il
mondo”, ma bisogna piuttosto domandarsi
“cosa mi interessa nel mondo”. Il mondo non
è fatto di cose oggettivabili, ma di segni,
esperienze; esso è sempre parte di un vissuto.
Mantenendo lo stile della parola diretta e in
quanto tale produttiva, Moravia ha affrontato il problema mente-corpo, questione rilanciata in anni recenti in sede scientifica e
intellettuale, soprattutto nell’ambito della
cultura anglo-americana, dove il problema è
stato trattato più in senso filosofico che fisiologico, con un approccio dunque di natura
epistemologica e psico-antropologica. I fisiologisti considerano le neuroscienze come
50
le uniche deputate ad affrontare un discorso
sulla mente, identificando la mente con il
corpo, anche se poi in questa relazione l’identità non è biunivoca, il corpo cioè non si
identifica con la mente. I mentalisti, da parte
loro, attribuiscono alla mente possibilità
oggettivabili, rapportandola al corpo secondo una certa forma di dualismo cartesiano.
Per Moravia bisogna invece ripensare la
domanda stessa su “cosa è la mente”; non si
tratta cioè di porre domande sul rapporto
mente-corpo, ma sull’agire delle soggettività nel mondo, sulle loro relazioni, sulle loro
modalità di rapporto. Il mentale non è una
cosa, ma un linguaggio, uno dei tanti linguaggi che hanno diritto di esprimersi, e con
il quale cerchiamo di differenziarci dagli
altri corpi nel mondo, con il quale cerchiamo
di dire l’ambivalenza, l’indicibilità della vita,
la dimensione soggettiva del nostro esistere,
dei nostri sentimenti.
La posizione di Moravia esprime una filosofia che non ha più pretese di verità in quanto
offerta di un fondamento valido universalmente, o di un metodo a cui le scienze
possano riferirsi. La filosofia non ha una
collocazione precisa nella quale possa essere
definita: essa è atopica; trasgredisce ogni
confine e non può essere dotata di caratteri
oggettivati come qualsiasi altra disciplina.
La filosofia, secondo Moravia, è un’attività
legata alla parzialità plurima e contestuale
dei filosofi.
Questa proposta di Moravia di uscire dalla
filosofia, guardando ad essa dall’esterno,
potrebbe definirsi metafilosofica. Metafilosofia come possibilità di esercitare uno sguardo ermeneutico sul gioco molteplice delle
altre posizioni, è anche in tal senso esercizio
del sospetto, capacità di essere dentro e fuori
le cose contemporaneamente, segnalando
quella dimensione di inquietudine connessa
alla relazione tra prossimità e distanza, tra
dicibile e indicibile, tra ragione e caos. Proprio nello sforzo di trovare parole per l’indicibile, per ciò che sfugge al linguaggio codificato dei saperi, la filosofia assume, secondo Moravia, la propria valenza etica. La
filosofia interviene proprio là dove si annida
l’incommensurabilità tra la vita e l’universalità astratta del sapere scientifico; essa è etica
nella misura in cui si occupa di problemi non
assiologici, relativi a valori e contesti. In
quanto tale essa è sempre in situazione; non
è mai neutrale e si riferisce sempre alla
perturbabilità degli uomini.
La filosofia come etica, ha concluso Moravia, affronta il problema dell’alterità, problema che ci pone di fronte alla riflessione
sulla vita come agire nel mondo, in un
mondo comune dove emergono categorie
nel senso di direzioni etiche, che Moravia
propone riferendosi soprattutto a Levinas,
a Jonas ed in generale alla cultura ebraica
del ‘900. La pazienza, l’umiltà, l’attenzione con cui negoziare con il mondo stesso,
rivalutando in questa tradizione i motivi in
cui predomina una forma di passività come
rispetto dell’alterità, dei ritmi del mondo,
come attesa ricca di speranza. A.C.
CALENDARIO
Nell’ambito delle attività culturali del
Centro Italiano di Ricerche Fenomenologiche, il giorno 8 gennaio 1994,
in occasione della pubblicazione del
libro di Paul Ricoeur, Sé come un
altro (Jaca Book, Milano 1993), Francesca Brezzi, Daniella Iannotta, Domenico Iervolino, Tomonobu Imamichi e Marcello Sanchez Sorondo
hanno parlato su: L’ermeneutica del
Sé. Il giorno 26 febbraio 1994, in
occasione della presentazione del libro di Marco Ivaldo, Libertà e ragione. L’etica di Fichte (Mursia, Milano
1992), Franco Bianco, Armando Rigobello, Angela Ales Bello e Marco
Ivaldo intervengono su: Fatto morale e metodica trascendentale.
● Informazioni: Centro Italiano di
Ricerche Fenomenologiche, via dei
Serpenti 100, 00100 Roma.
Venerdì 25 febbraio 1994, presso il
Centro Culturale Polivalente di Cattolica, Armando Torno apre la XVI
edizione del ciclo di incontri “Cosa
fanno oggi i filosofi?”. Le conversazioni, realizzate in collaborazione con
l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli e con la rivista “Nuova
civiltà delle macchine” si svolgeranno quest’anno intorno al tema: Metafisica. Questo il programma degli
incontri: 25 febbraio, A. Torno: “Metafisica, via divina”; 4 marzo, L.
De Crescenzo: “Che tempo fa nella
metafisica?”; 11 marzo, E. Berti: “Per
una metafisica problematica e dialettica”; 18 marzo, D. Losurdo: “Metafisica, Antimetafisica e Storia”; 25
marzo, C. Bernardini: “Il non fisico
della fisica”; 8 aprile, R. Bodei: “Il
mondo nascosto”; 15 aprile, A. Masullo: “Un sapere equivoco”; 20 aprile, U. Eco: “Brevi cenni sull’essere”;
29 aprile, F. Volpi: “La ‘Metafisica’ di
Aristotele oggi: suggerimenti filosofici per l’età post-metafisica”. Il 6 maggio conclude la serie degli incontri una
rappresentazione scenica di Platone,
Apologia di Socrate, a cura di C. Rivolta con la presentazione di G. Reale.
● Informazioni: Centro Culturale
Polivalente, piazza della Repubblica
31, 47033 Cattolica, tel. 0541/967802.
In occasione della pubblicazione del
libro di Edith Stein, La ricerca della
verità. Dalla fenomenologia alla filosofia cristiana (a cura di A. Ales
Bello, Città Nuova, Roma 1993), il
22 gennaio 1994 ha avuto luogo un
incontro sul tema: Fenomenologia
e Metafisica. Il dibattito, organizzato dalla Società Internazionale Tommaso d’Acquino, dall’Associazione
Docenti di Filosofia e dal Centro Italiano di Ricerche Fenomenologiche,
si è tenuto presso l’Università “San
Tommaso” e vi hanno preso parte:
Carla Bettinelli, Abelardo Lobato,
Battista Mondin e Xavier Tilliette.
● Informazioni: Università “San
Tommaso”, Largo Angelicum 1,
00100 Roma.
CALENDARIO
● Informazioni: Centro di Studi del
pensiero filosofico del ‘500 e del ‘600,
C.N.R., via Albricci 9, 20122 Milano, tel. 02/8052538.
Nell’ambito delle attività culturali
della Fondazione Collegio San Carlo
di Modena, da gennaio a marzo 1994
si svolge un Seminario di studio su
Hans Blumenberg. Mito, metafora, modernità, con il seguente pro-
Il giorno 13 aprile 1994, presso l’Università degli Studi di Milano (Aula
“Crociera alta”), si terrà una tavola
rotonda, coordinata da M. A. Del Torre, sul tema Libertà dell’individuo
rotonda con la partecipazione di G.
Fiori, B. Manghi, A. Marchetti, L.
Ronconi, A. Devaux, G. Forni, G.
Gaeta, U. Perone e N. Bosco.
● Informazioni: Centro Studi
T.S.T., piazza San Carlo 161, 10123
Torino, tel. 011/5169405.
elegittimità del potere tra liberalismo e democrazia: attualità di
John Stuart Mill Partecipano G. La-
naro, G. Giorello, V. Lora, P. Zanelli.
● Informazioni: Prof.ssa M. A. Del
Torre, Dipartimento di Filosofia,
Università degli Studi, Via Festa del
Perdono 7, Milano.
Organizzato dal Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova, in
collaborazione con l’Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici di Napoli, dal
7 all’11 febbraio 1994 si svolge all’Università di Genova un Seminario
di Studio dal titolo: Leopardi filosofo-poeta, in occasione della presentazione del libro di A. Caracciolo,
Leopardi e il nichilismo (Bompiani,
Milano 1994). Sono previsti gli interventi di S. Givone: “Leopardi: il nichilismo e il nulla” (10 febbraio); C.
Galimberti: “Profilo storico della questione” (7 febbraio); “Lo Zibaldone:
motivi e fasi del pensiero leopardiano” (8 febbraio); “Lo Zibaldone: formulazione e rappresentazione del
pensiero” (9 febbraio); “Il pensiero
nella poesia dei Canti” (10 febbraio);
“Il pensiero nella poesia delle Operette Morali” (11 febbraio).
● Informazioni: Università di Genova, Dipartimento di Filosofia, via
Balbi 4, 16100 Genova.
Organizzato dalla Facoltà di Filosofia dell’Ateneo Romano della Santa
Croce, dal 24 al 25 febbraio 1994 si
tiene il III Convegno di Studio su: La
verità scientifica. La scienza attuale di fronte all’intelligibilità del
reale. Questo il calendario degli in-
terventi: 24 febbraio: V. Cappelletti,
“Pensiero, natura, essere”; F. T. Arecchi, “Come la scienza legge il mondo:
ruolo dei modelli e delle metafore”;
M. Baldini, “Verità ed errore nelle
riflessioni degli scienziati e degli epistemologi”. 25 febbraio: R. Martìnez, “Congetture, certezza e verità: la
natura fallibile della scienza”; M.
Artigas, “Scienza e verità parziale”;
J. Zycinski, “Realismo scientifico e
metafisica”.
● Informazioni: Rev. Prof. R. Martìnez, Ateneo Romano della Santa
Croce, piazza Sant’Apollinare 49,
00100 Roma, tel. 06/68803752.
In relazione ai problemi della scienza il Centro di Studi del pensiero
filosofico del ‘500 e del ‘600, in
collaborazione con il Dipartimento
di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, organizza dal 1 febbraio
al 3 novembre 1994 un Seminario su
Organizzato dal Dipartimento di Ermeneutica Filosofica dell’Università
di Torino, in collaborazione con il
Centre Culturel Francais e l’Association pour l’Etude de la Pensée de
Simone Weil di Parigi, in occasione
della messa in scena di Venezia salva
di Simone Weil (regia di Luca Ronconi), dal 27 al 28 gennaio 1994,
presso il Teatro Carignano di Torino,
ha avuto luogo un Convegno di studi
dal titolo: Le passioni di Simone
Weil. Politica, cultura, religione.
Questi gli interventi: 27 gennaio: U.
Perrone, saluto e presentazione; A.
Devaux, “Simone Weil ou la passion
de la verité”; G. Gaeta, “Simone Weil,
una lettura politica”; P. C. Bori, “Ogni
religione è l’unica vera”; discussione
conclusiva e messa in scena di Venezia salva. 28 gennaio: G. Forni, “Simone Weil e il cristianesimo”; tavola
Teorie e problemi di percezione
visiva nell’età moderna. Questo il
calendario delle lezioni: 1 febbraio,
W. Bernardi: “Teorie e modelli di
visibilità nelle scienze naturali e nelle
scienze della vita del XVII secolo”;
29 marzo, R. Rey: “La théorie de la
vision chez Lecat”; 28 aprile, A. Henning: “Vom Starstich zur Kataraktextraktion (1750). Fakten und symbolysche Paradigmen”; 31 maggio, H. M.
F. Koelbing: “Teorie della visione e
conoscenza dell’occhio all’inizio dell’epoca moderna (XVI e XVII secc.)”;
4 ottobre, G. Brykman: “Le privilège
épistémologique de la vue chez Berkeley”; 3 novembre, R. G. Mazzolini: “Anatomia e fisiologia dell’occhio (1650-1840).
51
gramma: 19 gennaio, V. Vitiello: “Per
una definizione topologica del moderno: Blumenberg, l’ermeneutica e
il superamento della storia”; 16 febbraio, B. Maj: “Motivi metaforici,
logico-politici e storici nella metaforologia di Hand Blumenberg”; 2 marzo, M. Cometa: “Mitologie dell’oblio.
Hans Blumenberg e il dibattito sul
mito”; 23 marzo, B. Accarino: “Visibilità e modernità. Hans Blumenberg
tra antropologia e filosofia della storia”. A conclusione dei lavori si terrà
il 16 maggio 1994 una giornata di
studio con interventi di R. Bodei, G.
Carchia, F. Rigotti, P. A. Rovatti.
Prosegue intanto il ciclo di lezioni:
La prova dello straniero, con il
seguente calendario: 11 febbraio, F.
Jarauta: “Abitare la frontiera”; 25 febbraio, S. Tabboni: “Lo straniero e la
modernità”; 18 marzo, E. Pozzi: “Il
traditore come straniero interno”; 13
aprile, A. Pizzorno: “Usi cognitivi e
normativi della metafora dello stranniero”; 22 aprile, G. Vattimo: “L’altro tra ermeneutica ed epistemologia”; 6 maggio, M. Douglas: “Immigrati e stranieri”.
Prosegue anche il ciclo di lezioni: In
cammino verso Dio. La metafora
del viaggio nell’esperienza religiosa , con il seguente calendario: 10
febbraio, F. Cardini: “Immagini e dimensioni del pellegrinaggio medievale”; 17 febbraio, A. M. Chiavacci
Leonardi: “Il nuovo Ulisse. Il viaggio
nella ‘Divina Commedia’ “; 24 febbraio, E. Macola: “Il percorso soggettivo nell’esperienza mistica. Da Juan
de la Cruz a Teresa de Avila”; 24
marzo, G. Celati: “Dopo la siccità.
Sul viaggio mistico di Rilke”; 14
aprile, S. Dianich: “La chiesa popolo in cammino. Dalle ‘Scritture’ al
Vaticano II”.
● Informazioni: Fondazione Collegio San Carlo, via San Carlo 5,
Modena, tel. 059/222315.
La Fondazione Ugo Spirito organizza dal dicembre 1993 al dicembre
1994 un ciclo di seminari dal titolo:
Ugo Spirito nella cultura italiana
del Novecento, in preparazione a un
convegno internazionale sul pensiero
di Ugo Spirito in occasione del centenario della sua nascita (1996). Questo
il calendario dei primi tre incontri: 7
dicembre, V. Mathieu: “Ugo Spirito e
Augusto Guzzo; 19 gennaio, G. Dessì: “Ugo Spirito e Augusto Del Noce”;
17 febbraio, C. Gily Reda: “Ugo Spirito e Remo Cantoni”. Gli incontri
proseguiranno con il seguente ordine: H. A. Cavallera: “Ugo Spirito e
Giovanni Gentile”; M. Ciliberto:
“Ugo Spirito e Cesare Luporini”; V.
CALENDARIO
Sainati: “Ugo Spirito e Armando
Carlini”; F. Perfetti: “Ugo Spirito e
Giuseppe Bottai”; A. Russo: “Ugo
Spirito e Agostino Gemelli”; G. Sasso: “Ugo Spirito e Guido Calogero”;
G. Longo: “Ugo Spirito e Camillo
Pellizzi”.
● Informazioni: Fondazione Ugo
Spirito, via Genova 24, 00184 Roma,
tel. 06/4743779.
La Scuola Normale Superiore e l’Università degli Studi di Pisa, d’intesa
con l’Amministrazione provinciale,
organizzano da gennaio a maggio
1994 un ciclo di seminari dal titolo:
Friedrich Nietzsche centocinquant’anni dalla nascita. Questo il
programma delle lezioni: 27 gennaio,
D. M. Fazio: “Fortune e sfortune di
Nietzsche in Italia”; 10 febbraio, A.
Orsucci: “Nietzsche, Spencer e l’etnologia”; 17 febbraio, D. M. Hoffmann: “Le problematiche relative al
Nachlass: il caso di Friedrich
Nietzsche”; 24 febbraio, R. Venuti:
“Nietzsche e Schiller: alcune considerazioni sulla nascita della tragedia”; 3 marzo, F. Volpi: “Dall’abisso
di Nietzsche”: Heidegger e la volontà
di potenza”; 10 marzo, P. D’Iorio - F.
Fronterotta: “La nascita della filosofia dallo spirito scientifico: Nietzsche
e i filosofi preplatonici”; 24 marzo,
U. Marti: “L’epoca democratica e
«l’uomo superiore»”; 14 aprile, G.
Campioni: “Nietzsche e la cultura
francese della décadence”; 21 aprile, L. Alfieri: “Il pensiero politico
giovanile: un Nietzsche diverso?”;
28 aprile, K. Pestalozzi: “La ricezione della Nascita della tragedia nella
letteratura tedesca di fine secolo”; 5
maggio, M.-L. Haase: “L’edizione
critica di Così parlò Zarathustra”;
12 maggio, F. Orlando: “La «corruzione dell’istinto»: musica e significato in Wagner”.
● Informazioni: tel. 050 911471.
L’Istituto Universitario Suor Orsola
Benincasa di Napoli organizza presso la propria sede, da novembre 1993
a marzo 1994, un Corso di aggiornamento e perfezionamento in discipline Storico-Filosofiche sul tema: La
filosofia contemporanea. Storia
della Storiografia Filosofica. Il Cor-
so prevede il seguente svolgimento:
29 novembre, V. Mathieu - F. M. De
Sanctis: “Inaugurazione del Corso”;
30 novembre, V. Verra: “La dialettica nella cultura filosofica contemporanea”; 6 dicembre, L. D’Alessandro: “Forme giuridiche e genealogia
della verità in Michel Foucault”; 11
gennaio, F. Volpi: “La filosfia pratica
contemporanea”; 18 gennaio, C. Sini:
“Il problema della pratica filosofica”;
25 gennaio, A. G. Gargani: “La revisione critica della tradizione metafisica nel neo-pragmatismo di Richard
Rorty”; 1 febbraio, M. Ferraris: “Le
metamorfosi dell’ermeneutica”; 8
febbraio, A. Trione: “L’estetica contemporanea come problema”; 10 febbraio, D. A. Conci: “Realtà e oggettività nel pensiero cognitivo contemporaneo”; 16 febbraio, V. Vitiello:
“Filosofia e topologia”; 24 febbraio,
E. Berti: “La presenza della tradizione classica nel dibattito filosofico
contemporaneo”; 2 marzo, G. Limone: “Figure del simbolo e figure della simbolica”; 8 marzo, E. Agazzi:
“Scienza e metafisica”; 14 marzo, R.
Bodei: “La post-storia”; 15 marzo,
S. Maffettone: “L’ontologia nel dibattito etico contemporaneo”; 21
marzo, F. Moiso: “Storiografia e ermeneutica filosofica”; 23 marzo, S.
Veca: “Paradigmi e versioni del
mondo: da Nelson Goodman a
Hilary Putnam”.
● Informazioni: Dott. C. De Rita,
Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, Via Suor Orsola 10, Napoli,
tel. 081 400070/412908.
L’Istituto di Filosofia dell’Università
degli Studi di Perugia ha organizzato
un convegno per il 24-26 marzo 1994
sul tema: Il dibattito su Parmenide.
Aspetti della filosofia greca tra V
e IV secolo a.C.. Sono previste rela-
zioni di T. Calvo Martìnez (“Melisso”), G. Casertano, N.-L. Cordero
(“Parmenide parmenidizzato”), C.
Eggers Lan (“Stadio di Zenone”), I.
Ghirassi Colombo (“theos/thea”), R.
Laurenti (“La componente geometria
della teologia di Empedocle”), M.
Migliori, G. Mignini, L. Rossetti (“Parodia gorgiana del parmenidismo”),
M. Vegetti (“Figura del sophos arcaico”). In occasione del convegno, tra il
14 e il 23 marzo, N.-L. Cordero terrà a
Perugia un seminario su Parmenide.
Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici
Via Monte di Dio 14, Napoli
21-25 febbraio
Sten Ebbesen
21-25 marzo
Reiner Wiehl
Medieval Logic
La filosofia della natura
nel XX secolo.
La cosmologia filosofica
di A. N. Whitehead
Tha native tradition. “Nominales”,
“Poretani” and others - When the
native tradition met a new Aristotle.
La metafisica su nuove strade - Storia
della natura ed evento naturale.
21-25 febbraio
Aldo Masullo
Il fantasma della comunità
e lo scandalo del politico
5-8 aprile
Karl Otto Apel
La “comunità” o il modello antropologico del “primitivismo” (da Tönnies a Freud) - Il neo-comunitarismo
e la maturità etica della teoria politica
liberale.
Formalpragmatik
oder transzendentalpragmatik.
Eine auseinandersetzung
mit Jürgen Habermas
Empirisch universale oder transzendentale Sprachpragmatik?
21-25 febbraio
Hans-Georg Gadamer
6-8 aprile
Giovanni De Crescenzo
Estetica e ermeneutica
Estetica e arte - La Critica del giudizio di Kant - Le Lezioni di estetica di
Hegel - Il passaggio dall’estetica all’ermeneutica - Ermeneutica e filosofia pratica.
Individuo, critica e tradizione
in Karl Popper
11-15 aprile
Biagio de Giovanni
Filosofia del diritto
e filosofia dello Stato in Hegel
7-11 marzo
Franco Volpi
Heidegger e Hegel
Hegel e la Rivoluzione Francese Hegel e l’individuo moderno.
Didattica ed ermeneutica: la lettura
heideggeriana di Hegel fino a Essere
e Tempo.
11-15 aprile
Valerio Verra
Hegel interprete
dell’idealismo tedesco
14-18 marzo
Osvaldo Guariglia
Analisi delle fonti - Kant - Jacobi Fichte - Schelling.
Universalismo y particularismo
en la ética contemporanea
Aristotelismo y kantismo en la tradicion ética - Sentido y alcance del
sentido formal de universalizacìon.
18-22 aprile
Teng Shouyao
14-18 marzo
Armando Savignano
General Survey of Chinese Traditional Philosophy - Diverse Schools of
Chinese Philosophy.
Chinese traditional philosophies
Ortega y Gasset:
la ragion vitale e storica
18-22 aprile
Vincenzo Placella
Ortega e la filosofia tedesca. La scuola di Marburgo - Ortega e Husserl.
Un’ipotesi per Vico
Percorsi del De Antiquissima - La
polemica col “Giornale de’ Letterati
d’Italia” e il successivo sviluppo del
metodo vichiano.
21-25 marzo
Muhsin S. Mahdi
Alfarabi
and the classical tradition
Trasmission and Innovation - Alfarabi’s Philosophy of Plato - Alfarabi’s
Philosophy of Aristotle.
52
● Informazioni: Dipartimento di Filosofia, Università di Macerata, Via
Garibaldi 10, Macerata, tel. 0733
258305; oppure Istituto di Filosofia,
Università di Perugia, P.zza Rimini,
Perugia, tel 075 5854921.
L’Istituto di Filosofia dell’Università
degli Studi di Perugia, in collaborazione con il Centro di Studi Agostiniani, ha organizzato per i giorni 22 e
23 marzo 1994 il VI Seminario di
Studio dal titolo: Il mistero del male
e la libertà possibile: lettura delle
Confessiones e del De Trinitate di
Agostino. Questo il programma de-
gli interventi: 22 marzo, N. Cipriani:
“L’autonomia della volontà umana
nell’atto di fede; le ragioni di una
teoria prima accolta e poi respinta da
S. Agostino”; I. Sciuto: “La volontà
del male tra libertà e arbitrio”; M.
Bettetini: “Libertà e male nel XII
libro delle Confessioni”; V. Grossi:
“Libero arbitrio, libertà e antropologia nelle Confessioni”; G. Balido:
“Realtà divina e virtualità antropologica nel De Trinitate; V. Pacioni:
“Auctoritas e ratio, via alla vera libertà”; P. A. Ferrisi: “Male, misticismo e sessualità nel pensiero di S.
Agostino”. 23 marzo, J. O. Reta: “Esigenze della libertà e del male nelle
Confessioni; M. Cristiani: “Manicheismo e responsabilità personale”.
Nei giorni 27-28 aprile 1994 avrà
invece luogo un incontro su Lectio
Augustini: il De Doctrina Christiana. Questi gli interventi: 27 aprile: L.
Alici, “Lettura del I Libro”; U. Pizzani, “Lettura del II Libro”; 28 aprile: P.
Grech, “Lettura del III Libro”; L. F.
Pizzolato: “Lettura del IV Libro”.
● Informazioni: Prof. Luigi Alici,
Istituto di Filosofia, Università degli
Studi di Perugia, Via Aquilone 8,
06123 Perugia, tel 075/5854715.
L’Istituto di Filosofia dell’Accademia Ceca delle Scienze ha organizzato un convegno, che si svolgerà dal 5
al 15 aprile 1994 a Praga, dal titolo:
Democrazia: Identità e Differenza. Gli argomenti trattati saranno: 1)
La politica dell’identità; 2) Il soggetto dei diritti; 3) I problemi del Liberalismo; 4) L’Estetica dell’esistenza; 5)
Autonomia e autenticità; 6) Soggettività e intersoggettività; 7) Nuove forme di individualizzazione; 8) Politica, Ragione e Estetica; 9) Il Sé nel
processo di civilizzazione; 10) Il Sé
postmoderno; 11) Ritradizionalizzazione, Anomia e Società civile; 12)
Diritti di gruppo e Identità; 13) Democrazia e cultura politica; 14) Carisma e Democrazia; 15) Teorie femministe del Sé; 16) L’individuo, gli
affetti e le passioni; 17) Liberalismo,
Republicanismo, Democrazia radicale, Comunitarismo; 18) Nazione,
Comunità e cittadinanza del mondo,
19) La globalizzazione del Localismo; 20) Varietà di Universalismo.
● Informazioni: Prof. A. Ferrara,
Università degli Studi di Roma “La
Sapienza”, via Salaria 113, 00198
Roma, tel. 06 8549638.
DIDATTICA
DIDATTICA
a cura di Riccardo Lazzari
Positivismo
Il volume di Ferdinando Vidoni, IL POSI(Morano, Napoli 1993), ha il
merito di proporre una ricostruzione
puntuale del pensiero positivistico dai
suoi albori in Francia, agli inizi del
secolo scorso, fino al neopositivismo
del ‘900 e alle discussioni che ne sono
seguite nell’ambito della “nuova filosofia della scienza”. Ne risulta un utile
e ricco strumento di approfondimento
del pensiero positivistico, che può favorire un’immagine nuova e più critica di questa corrente filosofica rispetto a quella spesso tramandata dai
manuali e dalle storie della filosofia.
TIVISMO
La ricostruzione di Ferdinando Vidoni si
apre con una disamina degli inizi del positivismo in Francia in relazione al progetto
di riforma della società e di sapere positivo
in Saint-Simon e agli sviluppi di queste
tematiche da parte del suo “discepolo dissidente” Auguste Comte. Viene poi ricostruito il percorso del positivismo inglese
nelle sue diverse versioni, legate all’utilitarismo e alla metodologia scientifica di J.
Stuart Mill, alla teoria dell’evoluzione biologica di Darwin, all’evoluzionismo di H.
Spencer, per poi passare ad una ricostruzione del “clima positivistico” del tardo
Ottocento: sono messi a fuoco, in questa
ricostruzione, il movimento positivistico
francese (Littré, Bernard, Taine, Renan), lo
sviluppo delle scienze sociali da parte di
Durkheim, le linee di intersezione delle
tematiche positivistiche in Germania (il
materialismo, la “fisiologia fisica”, il monismo, la psicologia fisiologica, l’empiriocriticismo), il positivismo in Italia (legato non solo al pensiero di Ardigò, ma
anche all’opera di medici, psichiatri, antropologi). La presenza del positivismo in
tutti i campi viene documentata da Vidoni
con grande obbiettività ed attenzione alle
molteplici versioni di un pensiero filosofico che è stato a lungo svalutato per il ritorno
di tendenze antitetiche nella nostra cultura
novecentesca. Un capitolo specifico è dedicato al rapporto fra positivismo e letteratura, incentrato sui temi del realismo nella
letteratura francese, sulla concezione dell’arte in Taine, sul naturalismo di Zola,
sulla diffusione delle poetiche realisticonaturalistiche francesi e sul verismo italiano. Il capitolo quinto è dedicato ad una
disamina della crisi del positivismo fra
Otto e Novecento, alla nascita, con il circolo di Vienna, della corrente nota come
neopositivismo e agli sviluppi di quest’ultimo intorno al dibattito sui “protocolli”,
sul fisicalismo e sull’unità della scienza;
segue, nel medesimo capitolo, un’analisi
dei problemi relativi alla “liberalizzazione” dell’empirismo, al “falsificazionismo”
di Popper, alla “posizione acquisita” di
studiosi come Nagel e Hempel; per ultima
viene delineata la critica alla concezione
neopositivistica e alla pretesa di discriminare fra enunciati teorici e osservativi da
parte dei “nuovi filosofi della scienza” (fra
cui Kuhn, Lakatos, Feyerabend), che ha dato
luogo ad un orientamento definibile, approssimativamente, come “postpositivismo”.
Nelle “Osservazioni conclusive” Vidoni fa
il punto intorno a quegli aspetti che in
genere sono assunti come caratterizzanti
delle varie concezioni positivistiche (il valore della scienza, l’accento riposto sui
fatti, il rifiuto della metafisica, l’ottimismo
e la concezione del progresso, il rapporto
fra quest’ultimo e il richiamo all’ordine
sociale) e mostra come essi non siano omologabili a soluzioni univoche o semplificate, ma risultino variare nelle riflessioni
specifiche dei diversi pensatori. R.L.
Convegni
Si è tenuto a Treviso dal 25 al 27
novembre 1993 il convegno annuale
della Società Filosofica Italiana sul
tema: LA DIDATTICA DELLA FILOSOFIA NELL’ UNIVERSITÀ E NELLA SCUOLA SECONDARIA
SUPERIORE . Oltre trecento insegnanti
italiani, in grande maggioranza operanti nella scuola secondaria, ma con
una significativa presenza anche di
docenti universitari, hanno dibattuto
un argomento che, pur non avendo
un’immediata rilevanza teorica, investe però la concreta mediazione del
sapere filosofico, soprattutto nella
scuola, e non solo in essa.
53
E’ evidente che il momento della mediazione presuppone un sapere dai lineamenti
certi e consolidati. La lunga storia della
filosofia, come si sa, non è garanzia di una
identità stabile, proprio perchè essa si è
sempre proposta come un sapere entro cui
si fa questione anche di se stessa. E in
tempi in cui, su molti versanti, il sapere
filosofico viene spogliato delle sue connotazioni tradizionali fino a proclamarne la
“decostruzione”, è arduo discutere di trasmissione e insegnamento di qualcosa che
rimane fluido e sfuggente. Il tema del
convegno non poteva quindi riguardare
solo la “tecnica” didattica - che pure è di
grande interesse e utilità - ma investiva
anche lo statuto di un sapere che attraversa
una perenne “crisi di identità”.
Le conclusioni più significative e stimolanti a cui si è giunti al convegno si possono
così schematizzare: a) il sapere filosofico,
secondo una diagnosi che ha trovato ampi
consensi, sarebbe caratterizzato, nonostante tutto, da una decisa rivalutazione, perché, dopo le tendenze “utilitaristiche” e
l’accentuazione di tipo “professionalistico” prevalenti negli anni ’60 e ’70 nelle
teorizzazioni e nelle politiche scolastiche,
ora si stanno imponendo di nuovo, nella
svolta sociale e culturale che si sta vivendo,
almeno in Italia, le questioni fondanti del
senso e delle finalità, che sono sempre stati
al centro della riflessione filosofica; b) la
“didattica” o il momento della mediazione
di un determinato sapere non possono essere considerati componenti “esterne” a quel
sapere, perchè esse investono la sua capacità di incidere nel contesto storico entro
cui tale sapere viene elaborato - senza per
questo cadere nelle degenerazioni del “didatticismo” e del “pedagogismo”, in cui il
momento metodologico prende il sopravvento su quello dei contenuti; c) in questa
prospettiva, forte è stato il consenso riscosso dai nuovi “programmi Brocca” - curati,
per il settore filosofico, da una sottocommissione presieduta da Enrico Berti - consenso motivato anche dall’indicazione, in
essi contenuta, di estendere l’insegnamento della filosofia agli ultimi due anni degli
altri indirizzi della scuola secondaria; d) a
livello liceale si avverte una esigenza fortissima di innovazione didattica, a lungo
frustrata da una politica scolastica assen-
DIDATTICA
teista e inerte, mentre a livello universitario, per autodenuncia degli stessi docenti
presenti, si procede con le stantie pratiche
della lezione ex cathedra, senza neanche
tentare di aprirsi a metodi differenti di
didattica ormai consolidati, come ad esempio quelli delle università tedesche; e) nella
didattica liceale della filosofia, la linea di
tendenza, che è sembrata prevalere e riscuotere il consenso maggiore, riguarda la
rivalutazione e la centralità del “testo” filosofico, non più inteso come mero supporto
documentario alle tesi manualistiche, bensì come momento centrale e costitutivo
dell’atto didattico - senza rifiutare, in questo modo, l’apporto del tradizionale manuale ed anche il ricorso alle nuove opportunità offerte da strumenti multimediali.
Passando ora alla serie degli interventi,
Gabriele Giannantoni, attuale presidente
della Società Filosofica Italiana, ha aperto
i lavori del Convegno con un giudizio preoccupato sulle ultime novità della politica
scolastica italiana, soprattutto per quanto
riguarda l’insegnamento della filosofia. Il
progetto di legge di riforma della Secondaria, già approvato dal Senato, ma destinato
all’ennesimo affondamento alla Camera,
presenta alcuni punti inaccettabili come la
disarticolazione regionalistica e territoriale dell’istituzione scolastica, la sparizione
del nome stesso di “filosofia” dalla definizione dell’area di “storia e scienze umane”,
la mobilità del personale insegnante senza
nessuna riconversione professionale.
Sul problema della didattica della filosofia
a livello universitario sono intervenuti
Carlo Sini e Salvatore Veca. Il primo,
dopo aver premesso che il modello della
moderna università è ancora quello della
ricerca disinteressata risalente a von Humboldt, ha sviluppato una requisitoria impietosa sull’insegnamento universitario
della filosofia. Anche l’università è stata
investita dal degrado tipico della cultura
massmediologica e dai relativi conformismi. Un rinnovato insegnamento della filosofia, ha osservato Sini, dovrebbe articolarsi secondo tre linee fondamentali: la
filosofia come componente di una cultura
di base, la filosofia come oggetto di insegnamento, la filosofia come ricerca pura.
Ciò che conta, comunque, non sono le
leggi, bensì la disponibilità a fare una
autentica “esperienza filosofica”. Veca ha
invece tessuto un “elogio della filosofia”
come “sapere inutile”, di fronte all’apparente trionfo dei saperi “utili” ovvero capaci di “risolvere problemi” (pratici). La
filosofia, posta la “modernità” delle “scienze umane e sociali”, si configura come
sapere “arcaico”, la cui funzione resta quella di “costruire identità” (chi siamo?) e di
sviluppare la flessibilità per l’accesso alla
molteplicità dei “giochi linguistici”, mentre la specificità le è data sotto la forma di
“permanenza di un genere”.
L’intervento di Ethel Serravalle, membro della Commissione “Brocca”, ha ripercorso l’itinerario politico-culturale, che
ha portato alla elaborazione di quello che
rimane l’unico documento di una certa
consistenza nel panorama avaro e disastrato della politica scolastica di questi
anni, la Riforma “Brocca” della scuola
secondaria. La scelta culturale fondante di
questa riforma consiste nell’individuazione delle tre grandi “aree” culturali, entro le
quali collocare l’intero impianto della
mediazione didattica: comunicazione ed
espressione, scienze umane e storia, scienze della natura. Dall’interno di queste aree,
si dipartono i vari ‘indirizzi” specifici,
delineati sulla base di valutazioni critiche
dell’attuale assetto della cultura e delle
società occidentali. In particolare, per quanto riguarda l’indirizzo di “scienze umane e
storia”, cui fa riferimento l’insegnamento
della filosofia, Serravalle ha sostenuto l’interessante tesi per cui, in una società funzionaltecnologica, fortemente secolarizzata, perché priva dei riferimenti ideali che
la tradizione culturale europea ha fin qui
garantito, l’insegnamento della filosofia
può contribuire, in un clima di dialogo e di
tolleranza tra orientamenti differenti, a tener viva la riflessione sulla dimensione dei
valori e del senso visto che, come già avviene in altre nazioni europee, la vera preparazione professionale specifica potrebbe essere rimandata a una fase di formazione
successiva alla scuola secondaria. Tesi
questa ribadita d’altra parte, durante la tavola rotonda conclusiva del convegno, anche da R. Di Nubila, coordinatore del
Comitato P.I. della Confindustria. Con una
certa sorpresa dei partecipanti, il rappresentante della Confindustria ha insistito sul
valore “formativo” della scuola, escludendo come primaria la finalità pratico-professionalizzante del sapere. La filosofia deve
dare il suo insostituibile contributo, soprattutto sotto l’aspetto metodologico ed epistemologico, aiutando i giovani a penetrare
criticamente la struttura dei saperi che stanno alla base della società industriale.
Una analisi specifica dei programmi di
filosofia contenuti nel “progetto Brocca” è
stata condotta da D. Massaro, che ha individuato le linee di forza di questo progetto,
rilevandone le novità: l’introduzione dell’insegnamento della filosofia nei futuri
istituti ad indirizzo tecnologico, sia pure in
una versione limitata alla sola filosofia
moderna; l’impostazione culturale finalizzata alla formazione generale, oltre che
al superamento e al controllo critico degli
specialismi dominanti nella società “complessa”; la scelta didattica della centralità
del testo, all’interno di percorsi prefissati,
che non trascurano però né la dimensione
storica, né quella problematica. A questo
intervento si può affiancare quello di Cesare Quarenghi, che ha fornito alcune
anticipazioni circa l’indagine, da lui condotta, sull’insegnamento della filosofia,
che aggiorna i dati emersi da un precedente evento, pubblicati nel 1987.
Sulla questione dell’aggiornamento degli
insegnanti di filosofia, un primo interven54
to specifico è stato quello dell’ispettrice
ministeriale Anna Sgherri. Dopo un rapido bilancio di quello che è stato fatto negli
anni precedenti, senza apportare nuove
indicazioni per il futuro, la proposta finale
ha riguardato un fantomatico “autoaggiornamento assistito”, che, in sostanza, esprime l’indisponibilità dell’attuale bilancio
statale per operazioni di aggiornamento a
largo raggio e l’affidamento, per l’ennesima volta, alla buona volontà del singolo
insegnante, sia pure con l’assistenza, certo
non sistematica, di alcune iniziative istituzionali, a partire da quelle promosse dai
vari IRRSAE. Ad una di queste, organizzata dall’IRRSAE-Lombardia, è stata dedicata la relazione di Gianna Sidoni. In
collaborazione con il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano e con alcuni docenti di filosofia dell’Università Cattolica, l’IRRSAE-Lombardia si è fatto promotore di un corso di
aggiornamento degli insegnanti di filosofia nelle scuole secondarie, con il coinvolgimento anche di alcuni insegnanti di
altre materie. L’iniziativa, sviluppatasi nel
corso degli anni 1990-91, si proponeva di
sperimentare progetti di innovazione didattica, a partire dalle normali condizioni
dell’attività scolastica. L’obiettivo culturale consisteva nella riflessione sull’intreccio tra cultura dell’immagine, entro cui
avviene la prima acculturazione dei giovani, e la cultura della scrittura prevalente
all’interno delle istituzioni scolastiche. Il
momento didattico-metodologico s’intrecciava con quello della ricerca, in vista della
produzione di itinerari praticabili all’interno delle scuole, sopratutto nei licei.
Un ultimo gruppo di interventi ha riguardato i sussidi “tecnologici” per l’insegnamento della filosofia. Renato Parascandolo, ha presentato il progetto della Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche: videocassette con interviste ai filosofi contemporanei più rappresentativi
su temi d’attualità, percorsi storici, concetti fondamentali; il tutto elaborato in
vista della realizzazione di un CD-ROM,
in cui il materiale possa essere utilizzato in
modo multimediale e interattivo. Nel medesimo contesto tecnologico è stata presentata anche l’edizione elettronica dei
primi dieci fascicoli di “Informazione Filosofica”, consistente in una base-dati, che
rispecchia esattamente il contenuto dei
fascicoli, a cui è possibile accedere tramite
uno specifico programma di ricerca d’informazioni.
Va infine ricordata la parte “sommersa” del
convegno, ma forse la più preziosa, costituita da sei “Laboratori” su varie tematiche:
la didattica universitaria, l’aggiornamento,
l’insegnamento del pensiero filosofico del
’900, l’insegnamento mediante il ricorso ai
testi, il rapporto tra la filosofia e gli altri
saperi, la didattica filosofica. In questi
ambiti più ristretti, i partecipanti hanno
potuto confrontare, in modo ravvicinato, le
rispettive esperienze didattiche. A.C.
DIDATTICA
Organizzato dall’ARIFS (Associazione
per la Ricerca e l’Insegnamento di Filosofia e Storia) si è tenuto a Firenze nei
giorni 19 e 20 Novembre 1993 un Convegno nazionale per l’aggiornamento
degli insegnanti sul tema: PLATONE, con
il coordinamento scientifico di Carlo
Augusto Viano e con la partecipazione di noti studiosi quali Francesco
Adorno, Giuseppe Cambiano, Mario
Vegetti, Margherita Isnardi Parente,
Luc Brisson e Bruno Centrone.
L’obiettivo fondamentale del convegno è
stato quello di focalizzare alcuni nodi teorici
del pensiero platonico alla luce delle più
recenti posizioni storiografiche e di confrontarli con le tracce e gli orientamenti dominanti nella manualistica e nella divulgazione
didattica. L’intervento di Francesco Adorno si è snodato attorno ad un perno metodologico fondamentale, la necessità di «non
spiegare il prima con il dopo», il che significa, nel caso di Platone, di non interpretarlo
attraverso il platonismo, ovvero attraverso
quelli che sono stati gli sviluppi filosofici
successivi. In questo quadro, Adorno ha
tratteggiato l’importanza dell’influenza di
Socrate, la fecondità dei “semi socratici” nel
pensiero di Platone. La dialettica platonica
va dunque strettamente ricollegata all’appello fondamentale di Socrate, cioè l’assunzione della domanda radicale del ti ésti entro
un approfondimento di analisi di se stesso
quale base per ritrovare i termini della risposta, le condizioni teoretiche del giudizio.
Su come si deve leggere Platone e che rapporto bisogna istituire tra i dialoghi e le
cosiddette dottrine orali si è interrogato Giuseppe Cambiano, che ha analizzato i caratteri specifici del dialogo platonico, forma
letteraria già utilizzata dai sofisti e, quindi,
scelta consapevole del filosofo per comunicare le proprie elaborazioni attraverso la
presentazione di differenti posizioni teoriche. A partire da queste premesse Cambiano
ha criticato quelle posizioni che privilegiano
le dottrine orali, interpretando ad esempio il
dialogo come espediente tattico per nascondere le vere idee esposte da Platone all’interno del ristretto cenacolo dei suoi più fedeli
amici. Cambiano ha concluso invitando ad
abbandonare ipotesi metafilosofiche poco
sostenibili e ad incontrare direttamente nei
testi il pensiero di Platone senza ricorrere a
presupposizioni prive di una adeguata base
documentativa. In questa direzione interpretativa si è inoltrato anche Carlo Augusto
Viano, mettendo in luce l’impossibilità di
ricondurre la pluralità delle suggestioni filosofiche di Platone entro uno schema di pensiero lineare, compatto e univoco, il cui asse
portante è costituito dalla teoria delle idee.
Altri sono i nuclei teorici che presentano una
loro sistematicità: l’insieme delle dottrine
politiche, l’interpretazione della natura e i
riferimenti prodotti nei miti. Il mito, secondo
Cambiano, assume un ruolo primario come
via di accesso alle idee, i cui contorni si
intrecciano ambiguamente con i problemi
dell’anima e della causalità. Lo stesso ricorso alla forma del dialogo è sintomo di una
costellazione teorica complessa e variegata,
espressa in miti che si presentano come riparo e
salvezza rispetto alle durezze del tempo storico.
Anche nei confronti della scienza, ha rilevato Mario Vegetti, il pensiero platonico si
presenta sotto le spoglie della ambiguità.
Questo è l’effetto teorico di presupposti assai divergenti tra loro: da un lato i linguaggi
scientifici devono produrre significati stabili
e purificati, garanti della solidità, della universalità e della gerarchia dei saperi; dall’altro, tuttavia, si pone l’esigenza dell’efficacia, della potenza del sapere (come nel caso
della medicina). La proliferazione delle forme argomentative dei linguaggi scientifici
non si ricompone in unità semantica e teorica
e lascia aperto il campo alla molteplicità
delle interpretazioni.
Margherita Isnardi Parente ha affrontato
due punti cruciali del pensiero di Platone: la
valenza del suo discorso politico e il suo
rapporto tra oralità e scrittura. Premesso che
vi è una intenzionalità discorsiva diversa tra
la Repubblica ed il Politico (nel primo caso
si parla di leggi di uno stato ideale, nel
secondo di leggi in una realtà politica più
concreta), Platone mostra una continuità di
pensiero tra un livello di riferimento teorico
e un altro connesso alla prassi politica, continuità che si basa sulla unità del procedimento dialettico. Sarebbe un errore, ha osservato Isnardi Parente, cadere nella contrapposizione tra un’immagine profetica e
salvifica di Platone ed una di politico in
senso strettamente pragmatico; in ogni caso
egli rimane il filosofo, il cui atteggiamento di
fondo è critico e riflessivo. Ed è un filosofo
che affida il suo pensiero ai grammata, anche se nel caso della politica è ben conscio
dell’opportunità di adattare il discorso scritto ai mutamenti della realtà empirica attraverso la mediazione della parola orale.
L’intervento di Luc Brisson, uno dei principali animatori della “Società Internazionale
dei Platonisti”, ha tracciato un bilancio complessivo degli orientamenti recenti della ricerca su Platone: stilometria, procedimenti
letterari, argomentazione, etica e dottrine
non scritte, un punto quest’ultimo sul quale
Brisson si è maggiormente soffermato, constatando che su questo punto il dibattito in
Italia è assai intenso, a differenza della Germania, patria della scuola di Tubinga. Bresson ha contestato in più punti le posizioni di
Giovanni Reale, sostenitore della priorità
delle dottrine non scritte, osservando che a)
occorre molta prudenza storiografica per
rileggere Platone attraverso l’hegelismo o, anche, l’heideggerismo; b) la sistemazione unitaria del suo pensiero è opera dell’Accademia ed
è ad essa che si rifà Aristotele; c) la prefigurazione di Platone creatore della teologia cristiana
risponde più alle convinzioni personali di Reale
che ad un effettivo riscontro sui testi. In positivo,
Bresson ha proposto la tutela di una lettura
pluralista di Platone, fedele alle tensioni interne
che attraversano il suo pensiero.
Il compito di verificare le interpretazioni
55
platoniche nella manualistica scolastica è
stato affidato alla relazione di Bruno Centrone, che ha rilevato come in una fase molto
ricca ed in continua evoluzione di studi platonici, sia difficile per i libri di testo di
filosofia tener conto dei nuovi contributi
“eterodossi” e prevalga la tendenza a ricalcare i giudizi critici più collaudati, anche quando sono seriamente messi in discussione o
per lo più superati: è il caso della scarsa
importanza attribuita ai dialoghi giovanili,
della presentazione piuttosto tradizionale e
poco problematica riservata alla dottrina delle
idee, di una scarsa analisi critica del ruolo
dell’insegnamento esoterico di Platone.
La tavola rotonda conclusiva dei lavori è
stata diretta da Pietro Rossi ed ha permesso
una ulteriore focalizzazione di due temi principali: la centralità del pensiero platonico
nella storia della filosofia occidentale e il
rapporto di Platone con la polis ateniese. Per
quanto riguarda il primo punto, mentre Viano ha insistito sulla varietà dei percorsi interpretativi possibili attraverso le esposizioni
filosofiche di Platone, al punto da dover
quasi rinunciare a trovarvi saldi riferimenti
fondativi, Isnardi Parente ha ricordato con
puntiglio una serie di punti strategici della
tradizione filosofica occidentale a partire da
Platone, come le nozioni di incorporeo, di
intelligibile, di bene, di etica, di applicabilità
delle forme matematiche al sensibile. Più
affine alla posizione di Viano quella di Vegetti, che ha ribadito come la compresenza
di molti semi platonici renda impossibile
determinare un’unica tradizione da lui originata. Più affine a quella di Isnardi Parente si
è rivelata invece la posizione di Brisson,
secondo il quale almeno due assunti, la preminenza dell’anima sul corpo e del logos sul
mito, sono pilastri fondanti della filosofia
occidentale. Per quanto riguarda invece il
secondo punto, molti interventi hanno evidenziato che tra Platone e la città vi è un
rapporto attivo, ma non di corrispondenza
biunivoco, nel senso che l’atteggiamento del
filosofo è quello teoretico e, d’altra parte,
l’atteggiamento della città è di sostanziale
rifiuto e marginalizzazione delle sue posizioni, come già era stato nei confronti di
Socrate. Il filosofo come funzionario del
bene è sempre portavoce di un ideale di vita
teoretica, fonte e matrice di una felicità autonoma dello spirito.
Se la ricchezza, la varietà e le differenziazioni del dibattito si possono ricomporre in una
formula condivisa da tutti i partecipanti,
questa può essere la definizione della figura
di Platone proposta da Isnardi Parente: Platone non deve essere interpretato né come
capo politico, né come pensatore misticoreligioso, ma come filosofo di cui va recuperata la complessità e l’interezza nella sua
imprescindibile specificità. A fine lavori il
presidente dell’ARIFS, Giancarlo Conti,
ha comunicato che il prossimo convegno
avrà come tema “La filosofia analitica e il
Circolo di Vienna” con il coordinamento
scientifico di Paolo Parrini e si svolgerà a
Brescia nel novembre 1994. F.S.
STUDIO
Immanuel Kant. Miniatura acquarellata di G. Doeppler (1791)
56
STUDIO
STUDIO
Sulla “ragion pratica” di Kant
Opera quanto mai famosa e celebrata, la CRITICA DELLA RAGION PRATICA di
Kant è anche opera straordinariamente complessa, di lettura non facile per
chi non dispone già di un’adeguata
conoscenza della filosofia kantiana.
Una chiave di accesso a quest’opera
viene offerta da Sergio Landucci nel
volume LA ‘CRITICA DELLA RAGION PRATICA’
DI KANT. INTRODUZIONE ALLA LETTURA (La
Nuova Italia, Firenze 1993), che inaugura una serie di studi di filosofia,
curati da C. Cesa per la collana “La
Nuova Italia Scientifica”. Nella stessa
collana compare un’antologia a cura
di G. Tognini, INTRODUZIONE ALLA MORA LE DI KANT . GUIDA ALLA CRITICA (La Nuova
Italia, Firenze 1993), che raccoglie alcuni contributi di studiosi sulla filosofia pratica kantiana.
Lo studio di Sergio Landucci non vuol
essere né un’introduzione “da manuale”
alla morale di Kant, né un commentario
che segua, passo per passo, la Critica della
ragion pratica, ma una guida ad una rilettura di quest’opera attraverso un’analisi
dei temi principali che la contraddistinguono, dall’imperativo categorico alla critica
dell’etica della felicità, dall’autonomia della
volontà alla fede morale in Dio, in modo da
riferirsi liberamente al complesso del testo
kantiano. Un primo capitolo è dedicato agli
esordi del Kant morale, e dunque soprattutto ad una breve analisi della Ricerca sull’evidenza dei principi della teologia naturale e della morale (1763), che già ci mostra come originarie in Kant l’opposizione
fra moralità e ricerca della felicità e l’esclusione della “prudenza” dall’ambito morale, e le Osservazioni sul sentimento del
bello e su quello del sublime (1764), che
anticipano (in tono minore) alcuni motivi
della Fondazione della metafisica dei costumi (1785) e che lasceranno traccia nello
scritto di Schiller Grazia e dignità.
Nel passare alla disamina della Critica
della ragion pratica, Landucci accenna al
problema del suo rapporto con la precedente Fondazione della metafisica dei costumi
(1785). Quest’ultima, rispetto alla Ragion
pratica (del 1788), non sta secondo Lan-
ducci nello stesso rapporto dei Prolegomeni con la prima Critica, non già per l’anteriorità della Fondazione, ma perché essa
non è affatto un riassunto o un’esposizione
più accessibile della seconda Critica e costituisce piuttosto un’opera del tutto autonoma, tale da rappresentare un momento
preciso dello sviluppo del pensiero di Kant
intorno alla morale. Secondo Landucci la
Fondazione del 1785 segna non solo un
grande mutamento nel pensiero etico di
Kant, ma testimonia anche d’uno stato di
crisi rispetto al problema del movente della
moralità, che sarà risolto solo nell’opera
del 1788, la quale ha peraltro il suo punto
d’origine nel quadro della problematica
sollevata da Jacobi con le Lettere sulla
dottrina di Spinoza.
La parte più corposa del libro di Landucci
è occupata da una disamina incentrata su
alcune delle “voci” principali di cui è intessuto il testo della seconda Critica kantiana.
Si prende spunto dalle prime pagine dell’opera per introdurre i concetti di legge
morale e di imperativo categorico. La disamina condotta consente al lettore di orientarsi in modo graduale e chiaro nel complesso del testo kantiano e per certi aspetti
fornisce una chiave di comprensione dell’intera filosofia di Kant dall’angolazione
specifica che vi occupa il problema morale.
Landucci non rinuncia a introdurre alcuni
elementi critici ed interpretativi di rilievo
che vanno oltre gli scopi di una semplice
introduzione. Così, per esempio, egli sottolinea come nella Critica della ragion pratica scompaia, rispetto al testo della Fondazione, la distinzione fra le due specie
dell’imperativo ipotetico: tutti gli imperativi ipotetici sono ora assimilati alle “regole dell’abilità” (laddove innanzi si distingueva fra queste e i “consigli della prudenza”); al tempo stesso tali regole sono intese
semplicemente come criteri conoscitivi,
come norme tecniche riguardanti la determinazione dei mezzi idonei per determinati fini, e come tali vengono espunte da Kant
dall’ambito della praticità. A questo punto
“pratico” non si riferisce più a tutto quanto
ha attinenza con l’agire, con la prassi (come
era in Aristotele), bensì solo a ciò che
riguarda specificamente la volontà in senso
morale e ai “motivi” che la determinano:
l’unica filosofia pratica diventa così la filo57
sofia morale. Ne ricava Landucci un’osservazione importante relativa all’odierna “riabilitazione”, specialmente in Germania,
della filosofia pratica: «Se si parla di riabilitazione, e d’un ritorno, è precisamente
contro il discredito in cui la “filosofia pratica” tradizionale era caduta proprio ad
opera di Kant».
Seguono poi, nello studio di Landucci, una
chiarificazione di termini come “ragion
pratica”, “facoltà di desiderare”, “massime” della volontà, e una definizione del
rapporto fra moralità e santità, moralità e
felicità, moralità e legalità. Circa il proverbiale formalismo dell’etica di Kant, Landucci ci avverte come il procedimento che
è alla base dell’imperativo categorico, e
che egli definisce come test dell’universalizzazione delle massime (che consente di
controllare se esse possano o no valere
come leggi), sia in realtà «un appello ad una
fervida immaginazione morale, e cioè tutto
il contrario d’un freddo intellettualismo».
Vengono poi esaminati il concetto di “motivazione morale” (il “rispetto” come “movente” della moralità), il problema dell’autonomia della volontà e della libertà del
volere (e dunque il rapporto, non scevro di
qualche margine di equivocità in Kant, fra
libertà come autonomia e come atto di
scelta), la nozione di “fatto” della ragione
(con la cui introduzione si assiste, nella
seconda Critica, ad una sorta di “colpo di
scena”, rispetto alle premesse poste nella
Fondazione, poiché ora Kant afferma che
del principio della morale non v’è bisogno
di una fondazione filosofica, bensì solo
d’una esplicitazione rigorosa), ed infine il
riaprirsi della questione della felicità nella
forma del problema del bene morale completo, da cui il “diritto” ad una “fede razionale” nell’immortalità e in Dio.
Ulteriori analisi Landucci dedica alla struttura della Ragion pratica, alla sua genesi, e
alle opere successive relative alla religione, al diritto e alla storia. La riflessione
conclusiva verte sulla posizione della Critica della ragion pratica nella storia della
filosofia. Al riguardo, sostiene Landucci,
l’originalità di Kant consiste «nella combinazione di limitazione del sapere - nella
conoscenza di ciò che è - e rivendicazione
d’un sapere trascendente - a proposito del
dover essere», e dunque in una «combi-
STUDIO
nazione di platonismo e antiplatonismo».
Se di solito si contrappongono l’etica di
Aristotele e quella kantiana come «i tipi
esemplari, rispettivamente, dell’etica detta classica e dell’etica moderna», nondimeno, avverte Landucci, occorre andare
assai cauti sulla modernità dell’etica di
Kant, la quale, proprio per il modo in cui
egli fonda le nozioni di dovere e di responsabilità e per la preoccupazione di garantire assolutezza all’etica, è ben più metafisica che non quella aristotelica. Ciò che vi è
di profondamente moderno nel pensiero
morale di Kant è piuttosto il suo impianto
di fondo, in cui domina la situazione del
singolo solo con se stesso.
La scelta di saggi contenuta nell’antologia
critica curata da Giorgio Tognini nasce
dall’intento di far conoscere gli orientamenti interpretativi che, dagli anni ’50 in
poi, hanno contraddistinto la ricerca sulla
filosofia morale di Kant, studiandone in
particolare il periodo che va dalla prima
Critica alla Critica della ragion pratica,
passando attraverso la Fondazione della
metafisica dei costumi e le Riflessioni inedite. Da questo panorama di studi emerge
come non si dia un semplice nesso di
linearità fra la scoperta del metodo filosofico “critico” e le principali dottrine etiche
kantiane, le quali conoscono, nel periodo
che va dal 1781 al 1788, un’evoluzione
complessa e una ridefinizione profonda
del concetto di libertà (come libertà pratica e libertà trascendentale), un diverso
impiego delle nozioni di felicità e di sommo bene, una rinuncia a fondare la morale
su ipotesi ad essa esterne. Così, nel saggio
di Martial Guérolt, “Canone della ragion
pura e Critica della ragion pratica” (1954),
viene mostrato come nel “Canone della
ragion pura”, che concludeva la Critica
della ragion pura, si prospettasse una dottrina completa della filosofia morale che
escludeva radicalmente qualcosa come il
progetto di una critica della ragion pratica.
Dieter Henrich, nel suo saggio “Il concetto di intuizione etica e la dottrina kantiana
del fatto della ragione” (1960), si sofferma
in particolare sulla “scoperta” della capacità motivante che appartiene direttamente alla comprensione razionale della legge
morale, quale viene al termine di un itinerario di riflessione in cui Kant ha cercato, con
differenti mezzi, di derivare i caratteri della
legge morale a partire dal concetto di libertà.
Altri saggi compresi nell’antologia sono
quelli di John R. Silber, “La concezione
kantiana del sommo bene come immanente
e trascendente” (1959); Heinz Heimsoeth,
“Libertà e carattere secondo le Riflessioni
5. 611-5. 620” (1967); Klaus Düsing, “Il
problema del sommo bene nella filosofia
pratica di Kant” (1971); Henry E. Allison,
“L’argomento preparatorio di Kant nella
terza parte della Fondazione” (1989); S.
Landucci, “La metaetica di Kant nella
Critica della ragion pratica” (1990). Come
fa notare Tognini nella sua Introduzione,
Allison puntualizza alcune tesi prospettate
da Henrich; Silber mostra l’inizio di un
atteggiamento interpretativo nuovo da parte della letteratura critica anglosassone;
Düsing focalizza le due diverse fasi del
pensiero kantiano intorno alla concezione
del sommo bene; Heimsoeth propone un’interpretazione del problema dell’attuazione
della legge morale da un punto di vista
alternativo a quello indicato da Henrich;
Landucci approfondisce sia l’interpretazione della teoria definitiva del fatto della
ragione, sia i presupposti della particolare
forma di conoscenza costituita dalla consapevolezza della legge. R.L.
Compendi di filosofia
La nuova edizione della ben nota
ENCICLOPEDIA GARZANTI DI FILOSOFIA (Garzanti, Milano 1993), curata da Gianni Vattimo, offre la possibilità di
un’agile consultazione, aggiornata
e curata nei dettagli, della tradizione filosofica attraverso i suoi autori.
Di diversa impostazione, anche se
per questo non meno efficace, è l’AT LANTE DI FILOSOFIA (Sperling e Kupfer,
Milano 1993), ad opera di Peter Kunzmann, Franz-Peter Burkhard, Franz
Wiedmann, che propone una sintesi
per concetti della storia della filosofia,
accompagnata sistematicamente da
tavole esplicative.
La nuova edizione dell’Enciclopedia Garzanti di filosofia, sempre curata da Gianni
Vattimo, si avvale di due nuovi collaboratori: Maurizio Ferraris e Diego Marconi. Le novità rispetto alla precedente edizione sono diverse: sono aumentate le pagine (circa 250 in più), i collaboratori
specialisti (140 complessivamente) e le
voci (circa 450 in più). All’interno delle
nuove voci troviamo poi ulteriori cambiamenti: categorie filosofiche, concetti e
autori risultano in parte arricchiti e integrati, in parte completamente rifatti, in
parte all’esordio. Compaiono, ad esempio, per la prima volta voci come “intelligenza artificiale” o “globalizzazione”, che
sono entrate a far parte ormai della concettualità filosofica corrente, o voci come
“bioetica”, “sociologia della scienza” o
“postmoderno”, che appartengono di diritto alla speculazione filosofica attuale.
Argomenti, invece, come “ontologia”,
“strutturalismo”, “filosofia analitica” o
“linguistica” vengono riveduti e aggiornati in funzione degli ultimi sviluppi.
Aumentano anche i concetti filosofici veri
e propri; troviamo, ad esempio, voci come
“altro” o come “modello Popper-Hempel”, che non comparivano nella precedente edizione. Ma è negli autori che troviamo le più grosse novità: compaiono
Gianni Vattimo, Emanuele Severino,
Umberto Eco e Massimo Cacciari, mentre
58
manca, ad esempio, Mario dal Pra, probabilmente considerato più uno storico della
filosofia. Jacques Derrida, Michel Foucault
e Wilard Van Orman Quine risultano invece completamente rifatti per essere meglio
inseriti nel dibattimento attuale. Compaiono inoltre, per la prima volta, alcuni
nomi del dibattito filosofico di questi ultimi anni. Parecchio spazio è dedicato infatti a Richard Rorty o Jean Francois Lyotard
per quanto riguarda l’ermeneutica, Hilary
Putnam, per la filosofia analitica, John
Ronald Searl e Donald Davidson per il
pragmatismo.
Come appare chiaramente le novità di questa ultima edizione riguardano maggiormente l’ambito della linguistica e dell’epistemologia. La parte storica resta pressappoco fedele a quella dell’edizione precedente, così come la teologia, la psicologia
e la pedagogia. Chiudono il volume sei
nuove appendici, che trattano argomenti
di sfondo alle voci trattate. Tra queste
notiamo una cronologia generale degli
eventi filosofici, una tabella di notazioni
logiche e assiomatiche, una bibliografia di
riviste e manuali filosofici.
L’idea di racchiudere in poco più di 240
pagine l’intera storia della filosofia nei
suoi concetti è lo scopo del nuovo Atlante
di filosofia, che offre un compendio brillante e sintetico delle linee essenziali della
produzione filosofica. Il percorso scelto
dagli autori Peter Kunzmann, FranzPeter Burkhard e Franz Wiedmann, è
quello storico-cronologico e la periodizzazione ricalca gli schemi classici: la Grecia antica, il Medioevo, il Rinascimento,
l’Illuminismo, l’Idealismo tedesco, il XIX
secolo ed il XX secolo. Proprio perché la
struttura dell’opera è cronologica, gli autori hanno periodizzato la filosofia in capitoli, in cui l’esposizione analitica degli
autori è preceduta da brevi inquadramenti
storici, che forniscono le linee essenziali
del periodo preso in esame.
La novità di questo sommario di storia
della filosofia è l’impiego sistematico di
schemi e immagini che, utilizzando una
sorta di cultura visiva, riassumono ed esemplificano i concetti proposti. Sia per quanto riguarda la periodizzazione, che per
quanto riguarda l’esposizione del pensiero
dei filosofi maggiori, gli autori provvedono a fornire delle tavole che, utilizzando
immagini e disegni, sintetizzano i contenuti presentati. Questo sistema, già utilizzato per autori come Platone o Kant (si
pensi all’immagine della linea per il primo
o allo schematismo trascendentale per il
secondo), che si prestano facilmente a rappresentazioni grafiche, costituisce una piacevole novità per autori estranei a questo
tipo di schematizzazione: si pensi, ad esempio, ad una rappresentazione grafica che
raffiguri l’emanazione secondo Plotino, la
libertà di Dio secondo Schelling o l’eterno
ritorno secondo Nietzsche. L’utilizzazione delle tavole come metodo esplicativo
ha sicuramente una matrice didattica, che
STUDIO
funziona come sintesi sia per l’insegnante,
che per lo studente.
Un’altra particolarità di quest’opera consiste nel rilievo dato alla filosofia orientale,
alla quale viene dedicato un intero capitolo
che precede l’esposizione della storia della
filosofia occidentale, chiaramente predominante nel testo. Per quanto riguarda i
contenuti osserviamo che gli autori impostano l’atlante seguendo un filo conduttore
di tipo metafisico-ontologico. Viene dato
molto spazio, infatti, alle filosofie che appartengono all’area culturale tedesca. In
particolare vediamo che le parti antica e
medievale vengono trattate in modo puntuale ed efficace. L’esposizione è forse un
po’ troppo rapida nella trattazione dell’aspetto matematico della filosofia del ‘600
(Cartesio e Spinoza), mentre lascia più
spazio alle problematiche ontologiche. Lo
stesso taglio viene dato alla trattazione,
puntuale e particolareggiata, dell’idealismo tedesco, nel quale viene inserito di
fatto Kant, non inquadrato come criticista,
bensì accostato a Fichte, Schelling e Hegel.
La parte più ricca è quella relativa al XX
secolo, in cui trovano spazio diverse tendenze: dalle problematiche relativistiche
(vengono trattati personaggi come Einstein
o Heisenberg), alla fenomenologia, all’esistenzialismo, alla filosofia del linguaggio.
Non viene dato spazio, invece, né alla psicanalisi, forse non considerata propriamente
filosofica, né all’epistemologia contemporanea, rappresentata dal solitario Popper,
né all’ermeneutica: Heidegger è collocato
a fianco degli esistenzialisti, mentre Gadamer non compare. A. S.
Una nuova storia della filosofia
Con la pubblicazione del primo volume, a cui seguiranno nei prossimi anni
altri cinque volumi, prende ufficialmente avvio l’edizione della STORIA DELLA FILOSOFIA (Laterza, Roma-Bari 1993)
curata da Pietro Rossi e Carlo Augusto
Viano. L’opera si propone di ripercorrere storicamente la tradizione del
pensiero filosofico con l’intento di descriverne gli eventi nella loro autenticità e nel dispiegarsi delle loro relazioni. L’opera è stata presentata il 19
novembre 1993, presso la sede del
Gabinetto Vieusseux di Firenze, con
la partecipazione, oltre ai curatori, di
Francesco Adorno, Paolo Rossi e
Mario Vegetti.
«Se per “leggi” storiche si intendono delle
grandi necessità metafisiche soggiacenti
agli eventi allora è giusto, data l’inverificabilità di tali leggi, negarne la validità ed
esistenza. Ma se per “leggi” si intendono
certe costanti associative per cui determinati eventi appaiono legati costantemente a
certi altri eventi, negare l’esistenza di “leg-
gi” storiche equivale a negare qualsiasi
comprensione e conoscibilità di tutti gli
eventi passati, presenti, futuri». Queste
parole di Giulio Preti sembrano porsi come
il pensiero di fondo che anima questa nuova Storia della filosofia, curata da Pietro
Rossi e Carlo Augusto Viano. L’opera,
che deve essere accostata di diritto ai tre
“monumenti” della storiografia filosofica
di questo secolo, la Storia della filosofia di
G. De Ruggiero, la Storia della filosofia di
N. Abbagnano e la Storia del pensiero
filosofico e scientifico di L. Geymonat, si
prefigge infatti di presentare la storia della
filosofia facendo a meno di una linea filosofica che ne definisca lo sfondo interpretativo. Il proposito di Viano e Rossi, sempre puntuali nel risalire alle fonti storiografiche originali e nel mettere in guardia il
lettore da tutte quelle forzature che spesso
hanno caratterizzato l’interpretazione dei
filosofi, è altresì quello di esporre una storia della filosofia che, pur non essendo un
contenitore caotico di contenuti, descriva
«un complesso di tradizioni molteplici che
si incontrano, si scontrano, si sovrappongono», senza però mai rispondere ad un
sistema preordinato. Possiamo parlare, in
tal senso, di metodo descrittivo-ralazionale; gli autori intendono infatti presentare
una storia della filosofia che non rifletta né
una teleologia metafisica di fondo, né una
qualsiasi impostazione ideologica: piuttosto si tratta di delineare gli eventi filosofici
nel dispiegarsi complesso delle loro relazioni e dei loro rapporti.
L’opera, che si avvale del contributo scientifico di sessanta studiosi, è suddivisa complessivamente in sei volumi, ognuno dei
quali è provvisto, per ogni autore trattato, di
una scheda bio-bibliografica, in cui vengono
presentati un breve profilo biografico, le
opere con le relative edizioni e i maggiori
studi critici. Il primo volume, appena pubblicato, è dedicato al mondo antico, il secondo
al Medioevo, il terzo alla filosofia moderna
sino al 6oo, il quarto, il quinto e il sesto agli
ultimi tre secoli. La struttura dell’opera si
svolge attraverso percorsi di pensiero. Nel
primo volume, infatti, solo Socrate, Platone,
Aristotele e Agostino vengono trattati individualmente. I concetti vengono esposti con
una struttura tematica che evita anche i movimenti filosofici già codificati: non si parla,
ad esempio, di atomismo, o di ontologia.
Troviamo così Empedocle separato da Anassagora: mentre il primo viene associato a
Parmenide per la struttura oracolare del
pensiero, il secondo viene affrontato parallelamente a Democrito per il tipo di filosofia
più aperta al demos.
Di particolare rilievo è l’interpretazione che
gli autori offrono sia di Platone, che di
Aristotele. In Platone la teoria delle idee,
che nella maggior parte degli studi apre la
trattazione sul filosofo, è qui posta dopo la
teoria dell’anima, dell’amore e la concezione politica. In tal modo non si deduce la
filosofia platonica dalla teoria dell’essere,
ma si ricava, al contrario, l’ontologia di
59
Platone proprio dalla sua filosofia. Analogamente in Aristotele la metafisica viene affrontata soltanto dopo l’esposizione della
logica, della teoria dell’anima e del movimento. Ciò conferma peraltro quanto viene
espresso da Viano e Rossi nella Prefazione al
primo volume: la filosofia non viene mai
dedotta da un principio fondativo, viene
altresì narrata e le narrazioni si intrecciano
via via nelle diverse tematiche.
La presentazione della nuova Storia della
filosofia di Viano e Rossi al Gabinetto Viesseux di Firenze si è aperta con un caloroso
messaggio di Vito Laterza che ha ricordato
l’antico sodalizio intellettuale con molti degli animatori di questa impresa editoriale fin
dagli anni ’50. Ha poi preso la parola Francesco Adorno, che ha sottolineato come
quest’opera metta in atto un modo più autentico e fedele di ricostruire il pensiero, rispetto
a un’impostazione storicistica, protesa a
imbastire una trama compatta ed evolutiva,
intessuta di precorrimenti e superamenti.
Ciò spiega l’assenza di categorie artificiose
nei filosofi antichi, come quella di presocratici - invenzione della scuola aristotelica - o
di ellenistici. Paolo Rossi ha accentuato
ulteriormente il giudizio di Adorno, rilevando come molti dei quadri storiografici tradizionali non siano che miti: è il caso di
Aristotele, raffigurato alla stregua di un
principe costretto a uccidere i fratelli per
assurgere al trono di un immaginario regno
filosofico. Al contrario, la filosofia viene
presentata come oggetto fluttuamte, non rigorosamente delimitato: la storia della filosofia perde il carattere di regina e matrice di
tutte le altre storie.
Mario Vegetti ha invece analizzato alcune
scelte fatte dagli autori, ai quali ha riconosciuto il merito di aver collocato la loro opera
entro una visione complessiva “non euforica” della filosofia, per cui essa si è venuta
maggiormente modellando attraverso determinazioni negative che simmetriche determinazioni positive. Nel lavoro storiografico
di Viano e Rossi si esibisce un netto rifiuto di
una concezione della filosofia quale a) surrogato salvifico dell’ideologia; b) specchio
della storia; c) culmine e sintesi della cultura.
Pur condividendo questo quadro di riferimento, Vegetti ha tuttavia mosso alcuni rilievi: in primo luogo, la netta esclusione del
pensiero scientifico (non sono neppure citati
scienziati quali Ippocrito, Tolomeo, Euclide);
poi, la massiccia presenza di pensiero religioso; infine, la mancanza di un rapporto tra
pensiero filosofico e sostrato sociale.
A questo punto la parola è passata ai curatori
del volume che hanno risposto agli interventi
dei relatori. Carlo Augusto Viano ha motivato l’esclusione sia del pensiero scientifico
che - ha aggiunto a sua volta - del pensiero
giuridico romano. In entrambi i casi la scelta
è stata quella di inserire le interferenze di
pensiero esterno all’ambito specificamente
filosofico solo nel momento in cui esse hanno effettivamente fecondato questo ambito,
un fenomeno questo che di fatto si è verificato solo in epoca successiva a quella antica.
STUDIO
Duns Scoto (manoscritto del sec. XIV)
Questa stessa ragione ha d’altra parte portato
all’inserimento di parti relative alla cultura
religiosa, avendo ebrei e primi cristiani utilizzato strumenti filosofici per sistematizzare e approfondire la loro fede.
Nell’intervento conclusivo Pietro Rossi ha
spiegato come in una riproposizione di pensatori del passato le presenze e le esclusioni
sono determinate dall’immagine complessiva che si ha della filosofia. L’atteggiamento
dominante doveva evitare due rischi: la dissoluzione della storia della filosofia in storia
politico-culturale e la pretesa di vedere in
essa la coscienza generale di un’epoca e la
chiave interpretativa del passaggio da un’epoca ad un’altra. L’originalità dell’opera, ha
messo in evidenza Rossi, non risiede tanto
nelle scelte delle correnti e degli autori presi
in esame, ma nelle modalità con le quali
vengono trattati. Inoltre, se si opera il confronto tra questo primo volume ed il corrispondente primo volume di altre imprese
editoriali, è assai rimarchevole l’aumento
del tasso di informazioni presente in esso.
Questo non sta a significare un corrispondente aumento del tasso di certezze negli
autori dell’opera; al contrario, l’estensione
di problemi aperti e irrisolti cresce di pari
passo, conformemente alla presa di coscienza che la storia della filosofia non riflette né
il progresso della ragione, né lo sviluppo
infinito dello spirito, ma descrive, più semplicemente, la faticosa, incerta ed inesausta
ricerca intellettuale dell’uomo. A.S./F.S.
La felicità del pensiero
nel Medio-Evo
Di primo acchito, un insigne studioso
di filosofia medioevale potrebbe sembrare lontano “per definizione” dall’attualità e dall’urgenza del pensiero, raccolto in un amorosa e pacifica
cura del passato risolutamente remoto. Alain de Libera, direttore di studi
all’Ecole pratique des hautes études
della Sorbona, è certo un eccellente
specialista della filosofia medievale,
ma anche un filosofo ben ancorato al
presente e alle trappole delle ideologie culturali. Il suo ultimo lavoro: LA
PHILOSOPHIE MÉDIÉVALE (La filosofia medievale, PUF, Parigi 1993), prosegue
una linea ben precisa di riflessione
filosofica e storica.
Nel 1991, Alain de Libera pubblicò Penser au Moyen Age un lavoro decisamente
“nuovo”, che fu capace di suscitare un
vero dibattito, di cui quest’ultimo suo lavoro, La philosophie médiévale, può essere considerato, per certi aspetti, il seguito.
Questi due lavori di ampio respiro sono
stati preceduti da un insieme coerente di
pubblicazioni, puntuali e rigorose: Introduction à la mystique rhénane (Introduzione alla mistica renana, 1984), Albert le
Grand et la philosophie (Alberto il Grande
e la filosofia, 1990), César et le Phénix
60
(Cesare e i Fenici,1991), la traduzione e
l’introduzione a Maître Eckhart. Traités et
sermons (Mastro Eckhart. Trattati e sermoni, 1993), Averroès et l’averroisme
(Averroè e l’averroismo, 1991); quasi un
primo, paziente lavoro di scavo e di ricostruzione filologica, volto a preparare un
discorso filosofico e una posizione culturale di ben diverso spessore.
La riflessione filosofica di de Libera non si
può qualificare come “storia delle idee”,
bensì come riflessione su quella particolare storia che ha come protagonista il pensiero e la sua legittimità: in altri termini, le
procedure, le trasformazioni, gli ideali del
pensiero nella storia dei suoi protagonisti
e la rappresentazione del pensiero nell’autoriflessione e autogiustificazione dei medesimi. Questo pensiero che è poi un pensare, non è un blocco uguale a se stesso nel
corso dei secoli: al contrario è scandito da
irrimediabili discontinuità e fratture. “Penser au Moyen Age” significa allora per de
Libera, interrogarsi su come gli intellettuali pensavano nel Medio-Evo, e al tempo
stesso, pensare, senza pregiudizi, al Medio-Evo, su cui incombe tutta una tradizione interpretativa, pesantemente determinata dall’ideologia etnocentrista e da una
storiografia sospetta. Per molto tempo,
infatti, a partire dallo stesso Petrarca, il
Medio-Evo, un periodo di dieci secoli riassunto in un aggettivo, è stato identificato a
un momento barbaro e buio della cultura:
cattivo gusto, logicismo alambiccato, dispute noiosissime, stravolgimento delle
fonti e in particolare delle autentiche fonti
del pensiero: quelle greche contaminate
dai filosofi arabi nonché barbari.
Ma de Libera non è preoccupato solo per i
pregiudizi ancora vigenti sul Medio-Evo;
ancor più lo preoccupa un certo “ritorno”
della filosofia medioevale nell’editoria e
nei dibattiti. Tre fattori hanno incentivato
una certa ripresa della filolosofia medievale: la ridefinizione del lavoro filologico
nella filosofia, che negli anni ’60-’70 ha
visto gli studi medievali impegnarsi in un
notevole lavoro di edizione e una più raffinata pratica ermeneutica sulle fonti; la
coscienza del carattere plurivoco del Medio-Evo, nutritosi di più fonti, passato dispute nient’affatto obsolete o astratte. Così,
grazie ai progressi della logica contemporanea, molti studiosi hanno potuto rivalutare le dispute teologiche scorgendone uno
spessore filosofico fin’ora trascurato; di
conseguenza, sono stati evidenziati più
centri d’interessi nel pensiero medievale,
spesso ridotto alla querelle sugli universali o alla problematica della doppia verità.
Inoltre, la critica del quadro etnocentrico
ha permesso di studiare in modo non pregiudiziale le contrade e i viaggi del pensiero medievale fra Oriente e Occidente.
L’ultimo libro di de Libera è un manuale di
filosofia medievale di grande valore: sono
identificati quattro insieme geoculturali,
Oriente e Occidente cristiani, Islam orientale e occidentale, che costituiscono anche
STUDIO
le tappe o meglio le contrade di un cammino, quello percorso dal pensiero antico, i
cui bagagli (fonti, ideali ecc) si sono transferiti nel corso dei mille anni del pensiero
medievale. La translatio studiorum è il
viaggio di un’eredità composita, delle sue
tappe e delle sue pause, durante la quale il
pensiero greco è entrato nel mondo latino.
A partire dall’espulsione dei filosofi della
scuola d’Atene da parte di Giustiniano
(529 d.C.), la scienza e la saggezza greche
partono per un lungo viaggio: dapprima
accolte in Siria, poi a Bagdad, fino a Cordova e a Toledo; ma non si tratta di un’esilio. Al contrario, l’oriente si “appropria”
dell’Antichità, rinnovandone lo studio: una
messe di traduttori viene messa al servizio
dei testi del passato, tanto che i testi che
circoleranno più tardi sotto il nome di
Aristotele dipendono dalla cultura araba.
Si pensi solamente al testo Liber de causis,
che gli occidentali hanno creduto a lungo
di Aristotele e in cui viene esposta una
concezione del cosmo che sarà fondamentale per le discussioni teologico-filosofiche. Ebbene, questo libro è un’adattazione
di Proclo compiuta da un anonimo al tempo di Al-Kindi a Bagdad (IX sec): è, in altri
termini, un montaggio di fonti.
Un altro punto importante del lavoro di de
Libera concerne proprio la figura dell’intellettuale medievale, analizzata non da un
punto di vista sociologico (Le Goff), bensì
prettamente filosofico, interessato allo studio dell’esperienza del pensiero. Molti
aspetti interessanti vengono alla luce, fra
cui l’ipotesi che decisivo sia il periodo fra
il XIII e il XIV secolo, in cui viene rivendicato un ideale di felicità filosofica, debitrice al contempo dell’ideale contemplativo di Aristotele e della fiducia philosophantium di Averroé. Questo ideale, nato nelle
università, trova un più fecondo terreno in
ambienti non-filosofici: presso beghine,
religiose, poeti, eretici; in altri termini,
attecchisce in chi eredita l’ideale filosofico, ma non è filosofo di professione. Molte
pagine interessanti sono dedicate a due fra
le figure più prestigiose di questa “deprofessionalizzazione”: Dante e Mastro
Eckhart, promotori in Europa, e soprattutto, nell’Europa volgarizzata, di un ideale nuovo di vita: la felicità mentale di
Dante, la Gelanssenheit (rilassatezza) di
Eckhart, “coronamento sereno dell’aristotelismo medievale”. F.M.Z.
Alberto Magno. Affresco di Tommaso da Modena (part.)
61
RASSEGNA DELLE RIVISTE
RASSEGNA DELLE RIVISTE
a cura di Silvia Cecchi
DIALEKTIK
n. 3, 1993
Meiner, Hamburg
Grenzen der Naturerkenntnis, di P. Janich.
Naturbegriffe-Alltagssprache, Wissenschaft, Philosophie. Eine enzyklopädische
Perspektive, di M. Stöckler: muovendo da
una spiegazione del termine “natura”, vengono illustrati storicamente alcuni concetti
e concezioni della natura, importanti nell’attuale dibattito. Vengono inoltre esaminate alcune questioni di etica della natura.
Entdecken, di I. Hacking: esposizione di
alcuni concetti dell’epistemologia di
Hacking.
Der Einzelne und die Wissenschaften, di
M. Otte.
Technik und Natur. Eine Geschichte beziehungsreicher Gegensätze, di W. Krohn:
l’articolo analizza il rapporto tra tecnologia
e natura, richiamando l’attenzione sul fatto
che una contrapposizione tra questi due aspetti
non si adatta alla storia del pensiero filosofico e sottolineando come sia necessario un
ripensamento più articolato.
Das Buch der Natur in der Schrift der
Kultur. Empirie und die Herstellung der
Phänomene, di H. J. Sandkühler: il rapporto tra filosofia e scienza nel nostro secolo è
stato caratterizzato dal fatto che la scienza
traduce i “fatti” in segni e simboli che sono
il risultato di un’interpretazione. L’articolo
propone una riflessione in proposito.
DEUTSCHE ZEITSCHRIFT
FÜR PHILOSOPHIE
bro di T. Borsche (Fink, München 1990).
Vol. 41, n. 5, 1993
Akademie Verlag, Berlin
Zur Geschichte der mittelalterlichen Philosophie, di M. Kaufmann: recenti pubblicazioni sulla storia della filosofia medievale.
Hegels Lehre von Der Wahrheit, di H.
Schnädelbach: prolusione tenuta presso
l’Università di Berlino il 26/5/93.
Zur Kyoto-Schule, di H. Waldenfels: recenti pubblicazioni sulla scuola di Kyoto e
sulla figura di Kitaro Nishida.
Moralisches Leben als Selbstaufklärung,
di F. Tallár.
Viene presentata in questo numero una
sezione sul tema: “Nietzsche e la filosofia
pratica”, in relazione all ripresa di interesse
per la filosofia pratica e politica nella riflessione contemporanea.
Mitleid und Gnade: Nietzsche’s Stoizismus,
di M. C. Nussbaum.
Zwischen Zerostörung und Auslöschung,
di J. L. Nancy.
Nietzsches Moralistik, di H. Fink-Eitel.
REVUE PHILOSOPHIQUE
DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER
n. 1, gennaio-marzo 1993
PUF, Paris
Tema della rivista: “Rousseau e Ribot”.
Émile et Robinson, di S. Berteloot: la presenza, nell’Emilio, di suggestioni provenienti dal romanzo Robinson Crusoe.
Ist das Tier, das versprechen darf, ein Zoon
politikon?, di U. Marti.
Imagination créatrice et connaissance selon Théodule Ribot, di M. Meletti Bertolini: l’immaginazione creatrice nell’Essai
sur l’imagination créatrice (1900).
Von Lämmern und Raubvögeln, di H. Hesse, osservazioni sulla Genealogia della
Morale.
Une nouvelle édition de Maine de Biran, di
M. Adam: sulla recente riedizione delle
opere di Maine de Biran.
La philosophie de l’histoire de la philosophie de Martial Gueroult, di J. Bernhardt.
PHILOSOPHISCHE RUNDSCHAU
Vol. 40, n. 3, 1993
Mohr Verlag, Tübingen
ARCHIVES DE PHILOSOPHIE
Einmaliges und Gesetzmässiges. Naturwissenschaftliche Evolutionsforschung auf
dem Wege zur Geschichtswissenschaft?, di
U. Röseberg: partendo dalla riflessione neokantiana sulla divisione tra scienze nomotetiche e scienze idiografiche, l’articolo
intende riflettere sul rapporto tra scienze
naturali e storia.
Natur, naturwissenschaftliche Kultur und
Werte, di J. Erpenbeck: riflessione sul termine “natura” attraverso la tesi della Wertfreiheit di Weber e la tesi delle “due
culture” di Snow.
Jacques Derridas Recht auf (Zugehörtigkeit zur) Philosophie, di H. D. Gondek:
nuovi studi su Derrida come empirista e
filosofo trascendentale; il rapporto con
Husserrl, Heidegger, Gadamer, Levinas.
Das Ende der Metaphysik und die Optik
des Kunstlers. Neuere Litetatur zu Friedrich Nietzsche, di G. Figal.
Was etwas ist. Fragen nach der Wahrheit
des Bedeutung bei Platon Augustinus,
Nikolaus von Kues und Nietzsche, di T.
Buchheim: recensione dell’omonimo li62
Vol. 56, n. 2, aprile-giugno 1993
Beauchesne, Paris
Plotin, Descartes et la notion de causa sui,
di J. M. Narbonne: il concetto di Causa sui
ha un’origine molto antica nella filosofia
occidentale; lo troviamo nelle speculazioni
sull’autocausalità della filosofia ellenistica
e soprattutto in Plotino, vero padre del
concetto di causa sui. Al di là delle diversità dei sistemi, l’articolo intende mostrare
quali difficoltà si aprano davanti a Plotino
e a Cartesio in rapporto a questa nozione.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Les compas cartésiens, di M. Serfati: il
pensiero matematico giovanile di Cartesio
a partire dai compassi cartesiani.
Métaphysique et politique, le singe de Dieu,
l’homme, di J. Benoist: razionalismo e politica in Cartesio.
Nietzsche et l’égalité des droits. De l’usage
juridique d’un concept religeux chrétien,
di Y. Ledure: per Nietzsche una delle conquiste fondamentali della democrazia,
l’eguaglianza nel diritto, riprende l’idea
cristiana dell’eguaglianza dell’uomo davanti a Dio. Ma tale utilizzo di un concetto
teologico in campo giuridico è improponibile e provoca la necessità, per il pensatore
tedesco, di un ripensamento del concetto
stesso di democrazia.
La question du statut ontologique du
monde dans la métaphysique lavellienne, di J. École.
conciliare questa visione con una dottrina
particolarmente severa e rigida come quella
del nominalismo. Ma se il nominalismo è da
un lato congeniale a Goodman per costruire
un sistema filosofico, dall’altro si dimostra
insufficiente quando il filosofo si occupa di
arte o di problematiche scientifiche.
A rebours: conceptions et “reconception”,
di J. P. Cometti: viene qui negata l’ipotesi
di una frattura tra un Goodman aperto alle
riflessioni sull’arte e un Goodman maggiormente al centro dell’attuale dibattito
filosofico.
Vol. 46, n. 2-3, 1993
Universa, Wetteren
Tema della rivista: “Nelson Goodman”. E’
questo il primo di una serie di fascicoli che
la rivista intende dedicare ai filosofi contemporanei.
Status and System, di N. Goodman.
Un, deux ou trois Goodman?, di J. Morizot:
sulla pluralità degli interessi di Goodman,
con particolare riguardo per dei suoi studi
estetici.
Ritual change, di I. Scheffler.
Stratégies nominalistes, di C. Panaccio: sul
ruolo di Goodman nell’ambito del nominalismo, di cui è considerato un difensore;
analisi dei contributi di Goodman a questa
teoria.
Recolocating aesthetics, di C. Z. Elgin: sul
rapporto tra arte e scienza.
Sur la pluralitè des mondes, di R. Nadeau:
più di altri, Goodman ha insistito sull’importanza di adottare una prospettiva pluralista al fondo della quale non sta tanto una
preoccupazione di ordine ontologico, ma
di ordine epistemologico. Il problema è
Defensible anarchy?, di H. H. Harriot:
argomentazioni in chiave negativa e in
chiave positiva del pensiero anarchico.
LES ÉTUDES PHILOSOPHIQUES
aprile-giugno 1993
PUF, Paris
Tema della rivista: “Hegel e Marx”.
L’établissement de la notion de renversement chez le jeune Marx, di P. Goutefangea: la nozione hegeliana di rovesciamento
è una categoria attraverso cui si esprime il
fondamento della filosofia di Marx. L’articolo analizza come tale nozione prenda
corpo nel giovane Marx.
Hegel et l’histoire de la philosophie: la
critique de Fichte dans l’écrit sur la “différence”, di M. J. Königson-Mondain: sull’importanza di Fichte nella genesi del
pensiero hegeliano. In particolare viene
esaminato il dominio della morale nella
Differenza.
L’état bureaucratique. Hegel et Marx, di
M. Maesschalck: la critica di Marx alla
contraddizione storica dello stato moderno
teorizzato da Hegel e realizzato nello stato
prussiano.
Alexandre Kojève lecteur de Heidegger di
D. Pirotte: l’interpretazione di Kojève della Fenomenologia è profondamente influenzata dal pensiero di Heidegger di Essere e
Tempo.
Goodman’s new riddle is pre-humian, di I.
Hacking: una riflessione sull’induzione alla
luce degli esiti del dibattito aperto dal contributo di Goodman.
Goodman, Scheffler, M.me Bovary et quelques anges, di R. Pouivet.
Thomas Aquinas’ double metaphysics of
simplicity and infinity, di E. C. Sweeney: le
nozioni di infinità e semplicità sono usate
in Tommaso in due sensi opposti e sono
dedotti da diverse prospettive metafisiche.
What-being: Chuang Tzu versus Aristotle
di Chenyang Li: la metafisica del filosofo
cinese Chuang Tzu rappresenta un’alternativa plausibile alla filosofia di aristotele.
Jean Hyppolite et Hegel, di B. Bourgeois:
l’approccio, l’interpretazione e la lettura di
Hegel da parte di Hyppolite.
REVUE INTERNATIONALE
DE PHILOSOPHIE
Hegel, il suo rapporto con Kant e il contributo di Hegel e dell’idealismo hegeliano al
pensiero contemporaneo.
INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL
QUARTERLY
Vol. XXXIII, n. 3, settembre 1993
Fordham University, New York.
Hegel, idealism and R. Pippin, di K. R.
Westphal; Pippin on Hegel’s critique of
Kant, di S. Sedgwick; Hegel’s original
insight, di R. B. Pippin: interventi al simposio, tenutosi a Chicago nell’aprile 1993, su
63
MAN AND WORLD
Vol. 26, n. 4, ottobre 1993
Dordrecht, Boston, London
Kluwer Academic Publishers
Truth, meaning and functional understanding: a post-sartrean meditation, di D.
Barbiero: l’articolo analizza un testo sartriano pubblicato nel 1989, Verità ed esistenza, dove, accanto a considerazioni epistemologiche, viene analizzata la teoria del
significato.
The economy of exteriority in Derrida’s
speech and Phenomena, di J. Protevi.
Wild being, the prepredicative and expression: how Merleau-Ponty uses phenomenology to develop an ontology, di E. M.
Godway.
Transcendence East and West, di D. Loy:
alcuni concetti della riflessione indiana,
cinese e giapponese, i loro reciproci contrasti, la nozione di trascendenza ed il rapporto con la riflessione occidentale.
Studyind Zen as studying philosophy, di J.
Murungi: la verità della filosofia e la verità
dello Zen.
Constituting the political subject, using
Foucault, di B. Seitz: il legame tra verità e
potere in Foucault.
JOURNAL OF THE HISTORY
OF PHILOSOPHY
Vol. XXXI, n. 3, luglio 1993
Washington University, St. Louis
The truth evaluability of stoic Phantasiai:
‘Adversus Mathematicos’ VII, 242-246, di
C. Shields.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Consciousness and self-knowledge in Aquina’s critique of Averroe’s psychology, di
D. L. Black: si vuole qui prendere le difese
del filosofo arabo Averroè, più volte criticato da Tommaso a proposito dell’unicità
dell’intelletto umano. L’articolo analizza
le principali obiezioni di S. Tommaso, rilevandone le eventuali aporie, ed esamina
l’interrelazione che il filosofo arabo istituisce tra intelletto ed immaginazione, indispensabile per l’esercizio del pensiero.
Clarke’s extended soul, di E. Vailati:
un’analisi degli scritti più significativi di
Clarke tra il 1704 ed il 1716 a proposito del
problema dell’indivisibilità dell’anima e la
controversia con Leibniz e Collins.
Christian Wolff’s criticisms of Spinoza, di
J. C. Morrison: Wolff ed il Pietsmo in
rapporto al principio di ragion sufficiente
elaborato da Spinoza.
Kantian moral motivation and the feeling
of respect, di R. Mccarty: in controtendenza rispetto a ipotesi di recente formulate
dalla critica, viene sottolineata l’importanza del sentimento morale nella motivazione morale in Kant.
Karl Jaspers and scientific philosophy, di
J. O. Bennett.
SEGNI E COMPRENSIONE
Anno VII, n. 20, settembre-dicembre 1993
Capone Editore, Lecce
Lettura retrospettiva: verso la nozione di
un retro-lector, di, A. T. Tamburri: in base
alla nozione di retor-lector molti scritti
non-canonici possono essere letti ed interpretati attraverso una lettura retrospettiva,
indipendente o concomitante con quella
cronologica riguardante opere coeve dello
stesso autore, al fine di raggiungere una
ampia comprensione delle intenzioni formalistiche e contestuali del testo.
Heidegger, prospettiva ermeneutica e storia della filosofia, di T. Rockmore.
Il pathos della filosofia politica europea
nel “dopo marxismo”, di W. L. McBride: nel termine “dopo marxismo” si cela
anche la possibilità di un ritorno a Marx
nella cultura europea e americana; alcune riflessioni su questa prospettiva e su
recenti prese di posizione di politologi
marxisti e non.
Sotto il segno della sfinge. Il luogo dell’enigmatico in Hofmannsthal e in Else
Lasker-Schüler, di M. Buono.
“Bild” e “Abbildung” nel Tractatus di
Wittgenstein, di F. Ferrante: i temi dell’im-
magine e della raffigurazione rappresentano un esempio calzante dell’interdipendenza nel Tractatus tra logica, ontologia e
semiotica.
Un cristiano utopista: Matin Bucero, di G.
Martano: un profilo del monaco domenicano Martin Butzer (1491-1551), suggestionato dalla lettura di Erasmo e Lutero, nel
quinto centenario della nascita.
Ardimenti pericolosi di un pensiero illimitato. Rileggere Nietzsche, di P. Miccoli:
ancora una riflessione su Nietzsche a partire dalla recente pubblicazione della Volontà di potenza.
Sei personaggi ed un autore di cinema.
Stefano Quantestorie di Maurizio Nichetti,
di M. Maisetti.
Segni di Peirce in Italia, di C. Caputo:
recensione di Peirce in Italia, a cura di M.
A. Bonfantini e A. Martone (Napoli, 1993)
volume che raccoglie gli atti di un omonimo convegno internazionale tenutosi a
Napoli (5-7 dicembre 1990).
Ermeneutica e filosofia del terzo mondo, di
A. Papa: recensione di Filosofia e liberazione. La sfida del pensiero del terzo mondo, a cura di G. Cantillo e D. Jervolino
(Capone Editore, Lecce 1992).
Utopia e rivoluzione moderna, di E. M.
Fabrizio: recensione di A. Colombo, G.
Schiavone: L’utopia nella storia: la rivoluzione inglese (Dedalo, Bari 1992)
siero che, lontano da Kant, auspica un
ritorno all’ontologia.
Liberté et détermination: un humanisme
extra-religeux, di S. A. Salvaggio: presupposti per una discussione più approfondita
sulle idee proto-sociologiche del Marx adolescente.
Il carteggio Gilson-Maritain: metafisica e
testimonianza, di M. L. Facco: dallo scambio epistolare tra i due filosofi emergono
non solo i legami di reciproca stima, ma
anche i presupposti delle loro forme speculative.
Lineamenti per una filosofia dell’intersoggettività, di R. Rossi: continuazione di un
articolo apparso nel n. 60.
Kant as precursor of liberationist hermeneutics, di A. Ramos: l’articolo discute le
tesi principali di Kant sul rapporto tra filosofia trascendentale e teologia.
Bibliografia degli scritti di Maria Teresa
Antonelli, di S. Zanoni.
IL CANNOCCHIALE
n. 1, gennaio-aprile 1993,
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli
Enseñanza y comunicaciòn en el Teeteto de
Platòn, di F. Pascual.
Cicularis Ratio. Zur Methode in Jean Bodins ‘Universae Naturae Theatrum’ (1596),
di R. Häfner.
FiLOSOFIA OGGI
Anno XVI, n. 62-64, aprile-dicembre 1993
Edizioni dell’Arcipelago, Genova
Pourquoi la vérité “catholique” plutôt
que la vérité “chrétienne” de l’homme, di
P. Rostenne: premessa al volume dell’autore dal titolo: Homo religiosus (Bière,
Bordeaux 1993).
Benedetto Croce, di V. Stella: un profilo
biografico e filosofico del pensatore napoletano.
Premesse vichiane per una metafisica dell’azione, di G. M. Pozzo: nello storicismo
vichiano possono essere individuate le premesse dottrinali dell’umanesimo storicistico.
Les identités polyvalentes et Sergueï Paradzanov, di B. L. Zekiyan.
Herder e l’estetica ontologica, di F. De
Faveri: la polemica antikantiana che caratterizza la riflessione estetica di Herder ha determinato un oblio del suo pen64
Scienza e riflessione in Kant, di A. M.
Jacolbelli Isoldi: sullo sviluppo della teorizzazione kantiana del giudizio, in particolare del rapporto tra giudizio determinante e giudizio riflettente.
“Concetto psicologico” e periodizzamento: il romanticismo in alcune note teoretiche minori di Benedetto Croce, di V. Stella.
Le nozioni di “limite” e “confine” nella
filosofia trascendentale di Kant. Problemi
e prospettive di ricerca negli studi recenti,
di A. Gentile: rassegna di alcuni studi recenti dedicati alla nozione kantiana di “limite” e “confine”, come apertura a nuove
prospettive di ricerca sulla filosofia trascendentale.
Poesia e conoscenza, di L. A. Manfreda:
lettura tenuta dall’autore in occasione del
Seminario annuale della forma, dedicato a
“Pensiero e Poesia” (La Forma, 21/12/91).
Nostalgia della bellezza: forma ed essenza
nell’ultima arte romanica (S. Bernardo e S.
Tommaso), di F. Sigismondi.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
FILOSOFIA
Anno XLIV, n. 2, maggio-agosto 1993
Mursia, Milano
Pascal e Spinoza: etica religiosa ed eticità
della metafisica, di A. Deregibus: l’articolo
intende analizzare alcuni momenti di contatto tra Spinoza e Pascal. Se è infatti indubbio
che Pascal non abbia conosciuto la riflessione spinoziana, non si può con certezza affermare il contrario. Sono anzi numerose le
affinità, pratiche e teoriche, che è possibile
ritrovare: l’ascendenza critica della ricerca
filosofica e scientifica di Cartesio, la metodologia razionalistica e geometrica, il pensiero ricercante, il realismo pratico.
Ironia e allegria, di G. Gallino: una riflessione sull’estetica romantica.
Circostanze. Michel Serres e la questione
del tempo, di A. Delcò.
La filosofia della medicina di Viktor von
Weizsäcker, di B. Antonielli: la revisione
dei tradizionali modelli della medicina e
della fisiologia classica, insufficienti, secondo Weizsäcker, a spiegare il fenomeno
della percezione.
SCHERIA
Anno II, n. 4, gennaio-aprile 1993
Valentino Editore, Casamicciola
Come la filosofia “informa il mondo”, di
H. S. Harris: una riflessione sulla Prefazione alla Filosofia del Diritto di Hegel, in
cui la filosofia viene paragonata alla “nottola di Minerva” che inizia il suo volo al
crepuscolo.
Una nuova maniera di ragionare in fisica
teorica, di A. Drago.
La comprensione dello sguardo. Appunti sul
Decalogo di Kieslowski, di B. Di Marino.
Delacroix e il “linguaggio del colore” nella
pittura romantica europea, di A. De Paz.
Rilievi dedicati alle ninfe Nitrodi, di L. Forti.
Logica formale e problematica trascendentale, di C. Imbert: una revisione della separazione, posta da Kant, di questi due ambiti.
RIVISTA INTERNAZIONALE
DI FILOSOFIA DEL DIRITTO
Vol. LXX, n. 2, aprile-giugno 1993
Giuffrè Editore, Milano
Legal argumentation as rational discourse, di R. Alexy.
Una fondazione naturalistica dell’anarchismo. Pëtr Kropotkin, di M. La Torre:
confronto tra la tradizione oggettivistica e
naturalistica dell’anarchismo, rappresentata dal russo Kropotkin, e quella soggettivistica e volontaristica a cui appartiene
Malatesta.
La teoria contemporanea de la justicia, de
Rawls a MacIntyre, di C. I. Massini Correas.
La legge nascosta. Il paradosso di Kafka,
di F. Sciacca: autorità e forza sono concetti
costantemente presenti in Kafka e che si
identificano ora con il padre, ora con la
legge, ora con la giustizia, generando nello
scrittore un senso di prigionia.
Croce e la giuridicità delle associazioni
criminose, di B. Troncarelli: la teoria
crociana della pluralità degli ordinamenti
giuridici.
RIVISTA DI FILOSOFIA
Vol. LXXXIV, n. 3, dicembre 1993
Il Mulino, Bologna
Questo numero della rivista è dedicato alla
figura di Piero Martinetti, guida e ispiratore della rivista dal 1927 al 1943, anno della
morte. L’occasione del cinquantenario della scomparsa offre l’occasione per una celebrazione del filosofo che trae spunto anche dal convegno organizzato a Torino (22
marzo 1993) dall’Accademia delle Scienze di Torino, dall’Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici e dall’Università di Torino. Gli articoli che vengono qui presentati
sono una rielaborazione delle relazioni presentate in quell’occasione, a cui sono stati
aggiunti una serie di documenti biografici
ed epistolari inediti o poco conosciuti; appare inoltre una bibliografia completa degli scritti di e su Martinetti.
“Martinettismo” torinese, di N. Bobbio:
pur non essendo stato professore all’Università di Torino, Martinetti ebbe un ruolo
fondamentale per l’educezione intellettuale e morale di almeno tre studenti di questa
Università negli anni ’30: Geymonat, Del
Noce e lo stesso Bobbio.
La cultura filosofica nella Torino di fine
Ottocento, di G. De Liguori.
Martinetti e i suoi “autori” tedeschi, di S.
Poggi: come molte altri pensatori italiani
dell’Ottocento, anche Martinetti deve essere interpretato alla luce del confronto, da
lui messo in atto, con la filosofia tedesca
dell’Ottocento, in particolare con i filosofi
dell’età d’oro dell’idealiasmo tedesco,
Kant, Hegel e poi, a ritroso od in contrapposizione, Spinoza, Leibniz e
Schopenhauer. Tuttavia anche la riflessio-
65
ne tedesca della seconda metà del secolo
appare particolarmrnte rilevante per la formazione martinettiana, soprattutto se si
considera il “ritorno a Kant” operato dal
neocriticismo, sia quello proposto dalla
Scuola di Marburgo, sia quello proposto
dalla cosiddetta “Scuola sud-occidentale”.
La prima e più impegnativa opera di Martinetti, Introduzione alla metafisica, può
essere intesa solo alla luce di questo retroterra culturale.
L’interpretazione martinettiana di Kant e
di Hegel, di M. Ferrari: accanto a Hegel e
Kant, nell’Introduzione alla metafisica
Martinetti risente della cultura filosofica e
scientifica sviluppatasi in Germania in concomitanza con la fioritura della psicologia
scientifica.
Martinetti e la filosofia indiana, di D. Pastine: l’influsso della cultura filosofica e
filologica tedesca sugli interessi per i sistemi filosofici indiani di Martinetti.
Storia, mito e simbolo nell’interpretazione
del Cristianesimo, di A. Vigorelli: una riflessione su Gesù Cristo ed il Cristianesimo,
opera della tarda maturità di Martinetti (1934),
a lungo ignorata dalla cultura italiana.
Martinetti e la teologia protestante, di
M. Miegge: la prospettiva e l’incontroscontro di Martinetti con la cultura teologica protestante, da lui ben conosciuta, in Ragione e Fede (1942) e Gesù
Cristo ed il Cristianesimo.
AQUINAS
Anno XXXVI, n. 2, maggio-agosto 1993
Facoltà di Filosofia
Università Lateranense, Roma
Archeologia del postmoderno: M. Foucault,
di P. Pellecchia: l’articolo ricostruisce il
senso dell’archeologia per Foucault.
A conception of theoretical biology, di G.
Blandino.
Leibniz, San Tommaso e la Scolastica, di
G. Zingari: l’attenzione di Leibniz per la
Scolastica e per San Tommaso non è assolutamente un aspetto secondario della sua
filosofia, ma ne costituisce piuttosto uno
degli assi portanti, in quanto l’originalità
della riflessione leibniziana consiste proprio nella discussione e nel confronto delle
questioni della Scolastica con la nuova
prospettiva filosofica aperta da Cartesio.
Ciencia, dialectica y sofistica. Actualidad del pensamiento aristotelico-tomista en la critica epistemologica, di F.
Mihura Seeber.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Ontosemantica en el umbral de la metafisica (II), di L. V. Burgoa.
La metafora della danza in Rilke e Valery,
di C. Sandrin.
Dall’ideologia alla speranza. Per un umanesimo plenario, di S. M. Palumbieri.
Il tema della lingua nelle opere giovanili di
Benjamin, di S. Tedesco: il saggio Sulla
lingua in generale e sulla lingua dell’uomo
del 1916, testo fondamentale per Ursprung
des deutschen Trauerspiels.
RIVISTA DI ESTETICA
Il problema estetico tra rappresentazione e
comprensione: per un’estetica wittgensteiniana, di L. Distaso: l’evoluzione del pensiero di Wittgenstein come avvio ad una
riflessione ermeneutica ed estetica.
Anno XXXII, n. 40-41
Rosemberg & Sellier, Torino
Tema della rivista: “Luigi Pareyson, estetica e ontologia della libertà”.
Pareyson dall’estetica all’ontologia, di G.
Vattimo: l’articolo intende mostrare come
la riflessione estetica di Pareyson non sia
un filone marginale del suo pensiero, ma
acquisti invece un ruolo centrale sia per
quanto riguarda l’ermeneutica e le sue implicazioni ontologiche, sia per l’ “ontologia dell’inesauribile”, ultimo approdo della sua filosofia.
Le sporcizie della forma, di U. Eco: una
riflessione su una breve pagina dell’Estetica del 1954 (Sottoparagrafo 10, paragrafo
3, capitolo III).
Un’estetica dell’eccesso, di M. Perniola: la
riflessione dell’ultimo Pareyson.
Diderot, Coquelin, Salvini e la nascita di
Stanislavskij, di C. Vicentini: in un paragrafo dell’Estetica. Teoria della formatività dal titolo “Interpretazione come conoscenza di forme da parte di persone” troviamo alcune riflessioni essenziali per la comprensione della recitazione teatrale contemporanea.
Complessità, interpretazione e pensiero
tragico di S. Givone.
FENOMENOLOGIA E SOCIETA’
Anno XVI, n. 1, 1993
Edizioni Piemme, Milano
La semantizzazione dell’essere nel giovane Heidegger, di U. Regina.
Soggettività umana e linguaggio nell’antropologia filosofica e nella filosofia ermeneutica, di F. Bosio: la centralità del linguaggio e della dimensione linguistica nel
dibattito contemporaneo apre un possibile
incontro tra filosofia ermeneutica e antropologia filosofica.
“Scelte tragiche”: fondamenti teorici e
implicazioni pratiche della dimensione etica dell’economia politica, di A. Villani: a
partire dalla pubblicazione di Teoria della
giustizia di Rawls è possibile instaurare un
importante dibattito sul rapporto tra etica
ed economia.
“Il problema kantiano” in antropologia di
M. G. Lombardo: la dimensione noumenica kantiana e gli interrogativi che essa pone
all’antropologia.
Esperienza e metafisica dell’arte. L’estetica di Luigi Pareyson, di G. Carchia: l’Estetica di Pareyson, opera complessa ed eclettica, rappresenta un superamento dell’estetica crociana anche per la drammaticità che
la caratterizza e che riflette la drammaticità
dell’agire umano ad essa sotteso.
Heidegger e il marxismo, di A. Bertin: pur
non avendo attuato un confronto diretto
con Marx ed il marxismo, la riflessione
politica di Heidegger e quella sulla tecnica
risentono del ruolo determinante del marxismo.
Un’estetica senza opere, di M. Ferraris.
Politica e potere: Habermas lettore di
Hannah Arendt, di P. Costa.
Ivan e Alesa discutono di formatività, di R.
Salizzoni: il rapporto tra la teoria della
formatività ed il dialogo con Dostoevskij
sul problema del male in Dmitrij confuta
Ivan (1991).
Luigi Pareyson: la realizzazione della libertà, di L. Bagetto: il concetto di “possibilità” in Pareyson.
Dmitrij S. Merezkovskij. Fino alla fine del
mondo, di N. Caprioglio.
Reificazione e teoria dell’agire comunicativo, di E. Donaggio: una riflessione su
Teoria dell’agire comunicativo di
Habermas.
Compiti politici per le persone oneste, di E.
Mascitelli: recensione di A. Heller: Oltre
la giustizia (Il Mulino, Bologna, 1990).
Metafisica ed interpretazione tra stupore e
orrore, di L. Bottani: stupore ed orrore tra
Vico e Dilthey.
66
PROSPETTIVA PERSONA (Anno II, apri-
le-giugno 1993, Demian, Teramo) presenta una serie di articoli dedicati a Simone
Weil, in occasione del cinquantesimo anniversario della morte. Lo scopo è quello di
rileggere le pagine della pensatrice alla
luce dei possibili collegamenti con il neopersonalismo.
FILOSOFIA E TEOLOGIA (Anno VII, n. 2,
1993, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli) è dedicata al tema: “Crisi e critica della
teodicea”, e presenta un articolo di S. Sorrentino, La ragione filosofica e il problema
della teodicea. Libertà di Dio ed esperienza religiosa. Inoltre troviamo L’abbraccio
di Ananke. Causa errante ed istinto di
morte nel Timeo, di G. Scalera MacClintock e L’attenzione creatrice ed il vuoto in
Simone Weil: Un’analisi dei Quaderni di
Marsiglia, di A. Putino.
THEOLOGIE UND PHILOSOPHIE (Vol.
68, n. 3, 1993, Freiburg, Basel, Wien, Herder Verlag) presenta un articolo di G. Frank,
Philipp Melanchthons Idee von der Unsterblichkeit der menschlichen Seele.
CULTURA E LIBRI (n. 87, luglio-agosto
1993, Dante Alighieri, Roma) è dedicata al
tema: “Il pragmatismo: Europa e America
nell’era postmoderna”, e presenta, tra gli
altri, articoli su Peirce e Putnam. Sottolineando come il pragmatismo sia stato troppo
a lungo ignorato, se non screditato, dagli
intellettuali europei e che solo di recente se
ne sia colto pienamente il valore, anche
attraverso una completa traduzione degli
scritti dei maggiori esponenti di questa
corrente filosofica, il volume monografico
vuole soprattutto evidenziare l’attualità di
questa riflessione. Infatti molteplici sono
le affinità tra il pragmatismo americano e la
prassi ideologica nell’Europa di oggi; in
particolare, tratto comune è la tendenza a
cogliere un fondamento unitario per le scienze dell’esperienza, l’atteggiamento antimetafisico, e il rifiuto totale dell’idealismo
assoluto. In sostanza ne emerge una linea di
continuità tra il pragmatismo americano ed
il “pensiero debole”.
PER LA FILOSOFIA (Anno X, n. 28, maggio-agosto 1993, Massimo, Milano) presenta un articolo di G. Penati, Unità dinamica del sapere e trascendenza dell’assoluto. Compare inoltre Etica e politica in A.
Del Noce, di M. Cangiotti e Tendenze interdisciplinari nel pensiero di Enzo Paci,
di E. Muzzolon.
AESTHETICA (n. 38, agosto 1993, Centro
Internazionale Studi di Estetica, Palermo)
presenta un volume a carattere bibliografico sul tema: “Sublime antico e moderno”,
in cui viene fornito un elenco, selettivo ma
sufficientemente esauriente, degli studi critici su questa tematica.
NOVITÀ IN LIBRERIA
AA.VV
Natur als Vorbild.
Was können wir von der Natur
zur Lösung unserer
Probleme lernen?
Schulz-Kirchner, novembre 1993
pp. 224, DM 32
AA. VV.
Plato’s dialogues.
New Studies and Interpretations
Rowman & Littlefield
novembre 1993
pp. 288, $ 24
Enfatizzando l’interdipendenza delle idee filosofiche, degli elementi
drammatici e letterari e del contesto
storico e culturale, questa raccolta di
saggi di filosofi, filologi e storici,
esemplifica sia il pluralismo che le
valutazioni condivise dagli studi più
recenti sui dialoghi di Platone e sulla
sua filosofia.
Adorno Archiv (a cura di)
Frankfurter Adorno Blätter II
Ed. Text + Kritik, novembre 1993
pp. 153, DM 34
Il volume documenta la lezione “Der
Begriff der Philosophie”, una delle
prime lezioni tenute da Adorno dopo
l’esilio. Il volume contiene tra l’altro
anche delle ricerche sulla filosofia
del linguaggio di Adorno e sulla sua
“concezione illuminata dell’arte”.
Aleksandrowicz, Dariusz
’Und werdet die Wahrheit erkennen’.
Von Hegels Wahrheitslehre
zur Philosophie des real
existierenden Sozialismus
Böhlau, novembre 1993
pp. 128, DM 39
Alt, Karin
Weltflucht und Weltbejahung.
Zur Frage des Dualismus
bei Plutarch, Numenios, Plotin
Steiner, settembre-ottobre 1993
pp. 277, DM 98
Althaus, Horst
Vita di Hegel
Gli anni eroici della filosofia
Laterza, dicembre 1993
pp. 580
Un volume che si inserisce nella tradizione germanica delle biografie filosofiche, caratterizzate soprattutto
dallo stretto rapporto tra contesto storico, vita del filosofo e sviluppo del
suo pensiero.
Anne, Chantal
L’Amour dans la pensée
de Soren Kierkegaard:
pseudonymie et polyonymie
L’Harmattan, settembre 1993
pp. 143, F 90
L’autrice rivela qui i limiti della logica dell’amore con i quali si è trovato
confrontato Kierkegaard, sia nei rapporti tra gli uomini e le donne sia nella
dinamica della comunicazione.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Ansaldi, Saverio
La Tentative schellingienne:
un système de la liberté
est-il possible?
L’Harmattan, novembre 1993
pp. 174, F 110
La filosofia della libertà di F. Schelling diventa il luogo privilegiato dove
agiscono e vengono generate le diverse tensioni speculative del pensiero contemporaneo; dall’ontologia di
Heidegger all’immagine ripetitiva di
Deleuze, dalla dialettica negativa di
Adorno all’agire comunicazionale di
Habermas.
Apel, K.-O. - Kettner, M.
(a cura di)
Mythos Wertfreiheit? Neue Beiträge
zur Objektivität in den Human
und Kulturwissenschaften
Campus, novembre 1993
pp. 240, DM 39
L’obiettività scientifica e le valutazioni si escludono a vicenda. Questa
tesi appartiene all’eredità lasciata da
Max Weber alle scienze che si occupano del comportamento sociale. I
paradigmi post-empirici e gli impulsi
della teoria critica hanno però ampliato le conoscenze rispetto al ruolo
ricoperto dai rapporti di valore.
Anselmo
Proslogion: allocution
sur l’existence de Dieu
trad. dal latino di B. Pautrat
Flammarion, ottobre 1993
pp. 160, F 31
In questo testo, uno dei più famosi del
Medioevo, l’arcivescovo di Canterbury propone un nuovo metodo per
dimostrare l’esistenza di Dio, la prova che verrà chiamata metafisica, finché Kant non la chiamerà ontologica.
Apel, K.-O. - Kettner, M.
(a cura di)
Zur Anwendung der Diskursethik
in Politik, Recht und Wissenschaft
Suhrkamp, novembre 1993
pp. 373, DM 27,80
Aristotele
Werke in deutscher Übersetzung
a cura di H. Flashar
trad. e commento di W. Detel
Akademie-Vlg., agosto-set. 1993
DM 168.
Ansén, Reiner
Defigurationen. Versuch
über Derrida
Königshausen & Neumann
settembre-ottobre 1993
pp. 168, DM 34
Questo studio offre una ricostruzione
differenziata e precisa delle problematiche e dei procedimenti della decostruzione di Derrida.
Antoniol, Lucie
Lire Ryle aujourd’hui:
au sources de la philosophie
analytique
Pref. di T.S. Champlin
De Boeck-Wesmael, settembre 1993
pp. 133, F 125
Un’interpretazione originale dell’opera La notion d’esprit, pubblicata nel
1949 dal filosofo e logico britannico
Gilbert Ryle (1900-1976). Quest’ultimo, discepolo di Wittgenstein, considerava la filosofia come un’attività
tesa ad eliminare le ambiguità del
linguaggio comune.
67
Aul, Joachim
Die Problemstellung von Kants
theoretischer Philosophie
Junghans, agosto-settembre 1993
pp. 176, DM 48
Bahm, Archie J.
Axiology - Science of Values
Rodopi, settembre-ottobre 1993
pp. 134, Fior. Ol. 40
Questo libro espone i principi basilari
dell’ axiologia, uno dei maggiori campi dell’indagine filosofica. Questi
principi possono esssere scoperti e
dimostrati da metodi scientifici. Prendendo in considerazione l’indagine
scientifica, il libro porta chiarezza su
che cosa sono i valori e come vengono conosciuti. L’autore sostiene che
l’axiologia fornisce la base all’etica,
come scienza della oughtness.
Bailly, Jean-Christophe
Adieu: essai sur la mort des dieux
Ed. de l’Aube, ottobre 1993
pp. 143, F 82
E’ stato detto che viviamo i tempi
della morte degli dei. Ma siamo veramente in grado di non fare più conto
su di essi o continuano invece ad
aggirarsi intorno a noi come dei morti
non sepolti? Una riflessione che riguarda sia la nostra attualità che la
nostra letteratura.
Baltes, Peter
Lebenstechnik. Eine kritische
Theorie des Alltags
Wissenschaftliche Buchgess.
agosto-settembre 1993
pp. 190, DM 22,80
Lo scopo comune all’umanità, di trovare una buona vita e di realizzarla, è
raggiungibile, solo se ci sono principi
vincolanti ed una struttura di pensiero
comune, che valgano per il singolo,
per la comunità e per gli Stati.
Aristotele
De l’âme
trad. dal greco di R. Bodéüs
Flammarion, ottobre 1993
pp. 288, F 43
Una nuova traduzione di questo grande testo di Aristotele che si inserisce
nel progetto di una filosofia della
natura il cui oggetto è costituito da
tutto ciò che è animato.
Balzer, Noel
The Human Being
as a Logical Thinker
Rodopi, settembre-ottobre 1993
pp. 146, Fior. Ol. 45
Lo scopo di questo libro è di spiegare
la razionalità umana. I principi fondamentali del pensiero umano vengono enunciati secondo i Principi di
Balzer e ne viene illustrata l’operatività nella vita di ogni giorno.
Aubenque, Pierre
Toredesillas, Alonso (a cura di)
Aristote politique: études
sur la ‘Politique’ d’Aristote
PUF, novembre 1993
pp. 576, F 498
La Politica di Aristotele è di particolare interesse per noi moderni per la
limitazione volontaria del suo orizzonte alla dimensione propriamente
umana. Gli studi riuniti in questo volume ne testimoniano l’attualità , poiché
fanno luce, al di là del corpus aristotelico, sulla riflessione contemporanea
riguardante la politica.
Barberis, Mauro
Introduzione allo studio
della filosofia del diritto
Il Mulino, novembre 1993
pp. 248, L. 20.000
Le vicende della filosofia del diritto
dalla sua apparizione nella Germania
di fine Settecento sino all’attuale dibattito, passando per le relazioni allacciate con materie analoghe o omologhe, quali la jurisprudence o la teoria generale del diritto.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Baumanns, P. (a cura di)
Realität und Begriff.
Festschrift für Jakob Barion
Königshausen & Neumann
agosto-settembre 1993
pp. 408, DM 86
Becker, Werner
Die beiden Grundtypen der Moral
Palm und Enke, novembre 1993
pp. 30, DM 18
Belaval, Yvon
Etudes leibniziennes:
de Leibniz à Hegel
Gallimard, ottobre 1993
pp. 406, 52
In questo volume sarà possibile trovare la presa in esame di alcune nozioni fondamentali della lingua tedesca, del fondamento del diritto, dell’epistemologia. Verrà anche considerata l’eredità di Leibniz nel XVIII
secolo in Francia, in particolare in
Voltaire e Diderot e soprattutto, più
tardi, in Germania, in Hegel, sul problema dell’essenza.
Benedetto, Croce
La mia filosofia
a cura di G. Galasso
Adelphi, novembre 1993
pp. 250, L. 18.000
L’essenza di Croce raccolta da Croce
stesso. Come il filosofo vedeva se
stesso e come sapeva illuminare le
innervature del suo pensiero. Un’immagine globale della sua opera che
trasmette il senso di una cinquantennale riflessione filosofica e storica.
Benelli, Gian Carlo
Arte, memoria, utopia
Antropologia dell’arte
e fenomenologia della verità
Bonacci, dicembre 1993
pp. 255, L. 25.000
Partendo da una posizione critica nei
confronti del Razionalismo e dello
Storicismo, vengono affrontati con
ottica neoplatonica tre problemi: l’arte come realtà da comprendersi nel
momento della sua produzione; la
verità come un indicibile che si può
soltanto testimoniare; l’utopia come
motore della storia.
Beppler, Henning
Moralische Pflichten
und Welthunger. Eine Kritik
an Garrett Hardins Lifeboat-Ethik
Breitenbach, sett.-ottobre 1993
pp. 141, DM 26
Bertram, Georg W.
Verschriebene Rahmung.
Das Werk der Kunst an Lukács’
Heidelberger Schriften
und eine lebensphilosophische Spur
Passagen-Vlg., novembre 1993
pp. 256, ÖS 385
Besnier, Jean-Michel
Histoire de la philosophie
moderne et contemporaine:
figures et oeuvres
Grasset, ottobre 1993
pp. 684, F 195
Manuale di consultazione che presenta di volta in volta, in una ventina
di pagine, l’insieme di un sistema
filosofico. Membro della rivista
Esprit, l’autore è titolare della cattedra di Storia delle Idee alla Ecole
Centrale.
sotto il titolo di Parité de la vie et de
la mort. Un esempio significativo
della circolazione clandestina delle
idee filosofiche nel XVIII secolo.
Blondel, Maurice
L’Action: essai d’une critique
de la vie et d’une science
de la pratique, 1893
PUF, novembre 1993
pp. 528, F 92
Attuare la scienza della pratica non
significa solamente sviluppare, di fronte al pensiero ponderato, tutto il contenuto della coscienza spontanea, ma è
molto di più: è indicare il mezzo per
rintegrare nell’operazione voluta tutto
quello che si trova al principio dell’azione volontaria.
Besnier, Jean-Michel
L’Humanisme dechiré
Descartes & Cie, novembre 1993
pp. 125, F 89
Disilluso e tragico, paradossale e impaziente, l’umanesimo che ci è concesso d’ora in avanti deve scendere a
patti con il pessimismo e con l’indebolimento della nostra volontà di aver
un avvenire. Lo può fare senza rischiare di rinnegarsi o di cedere ai
miraggi di una saggezza slegata dai
tempi in cui viviamo?
Boccardi, Daniele
Per una filosofia
della scienza sperimentale
ETS, dicembre 1993
pp. 133
Brandt, R. (a cura di)
Autographen, Dokumente
und Berichte. Zu Edition,
Amtsgeschäfte und Werk
Immanuel Kants
Meiner, novembre 1993
DM 78
Bialas, Wolfgang
Von der Theologie der Befreiung
zur Phulosophie der Freiheit.
Hegel und die Religion
Univ.-Verl., novembre 1993
pp. 172, DM 39
Bielefeldt, Heiner
Wiedergewinnung des Politischen.
Eine Einführung in Hannah Arendts
politisches Denken
Königshausen & Neumann
agosto-settembre 1993
pp. 110, DM 24,80
Hannah Arendt, ricorrendo all’antica
polis cerca di affermare a livello teorico la dignità del “politico” e di metterla al sicuro rispetto al funzionalismo
che pervade ormai tutta la moderna
società basata sul lavoro. Il proposito
di H. Arendt viene dimostrato nell’analisi delle sue opere principali.
Brandt, R. - Orlik, F. (a cura di)
Philosophisches Denken
Politisches Denken
Olms, novembre 1993
pp. 270, DM 54
Il volume contiene gli atti del Hermann-Cohen-Kolloquium, tenutosi a
Marburg nel 1992.
Braun, E. (a cura di)
Die Zukunft der Vernunft
aus der Perspektive
einer nicht metaphysischen
Philosophie
Königshausen & Neumann
agosto-settembre 1993
pp. 320, DM 68
L’unità della ragione, oggigiorno sospettata di metafisica sulla base della
storia, messa in discussione nel dibattito sul “Post-moderno” come qualcosa da congedare, sembra ormai che
debba essere liquidata e sostituita da
una forma di ragione pluralistica. I
contributi a questo volume hanno lo
scopo di porsi la domanda sul futuro
della ragione.
Blackburn, Simon
Essays in Quasi-realism
Oxford UP, settembre-ottobre 1993
pp. 288, £ 17
Questo volume è una collezione dei
saggi pioneristici dell’autore sul “quasi realismo”, una posizione filosofica
da lui introdotta per la prima volta nel
1980 e che è diventata un’opzione
significativa e molto discussa dalla
metafisica e dall’etica.
Bloch, Olivier (a cura di)
Parité de la vie et de la mort:
la Réponse du médecin Gaultier
Universitas-Voltaire Foundation
novembre 1993
pp. 307, F 280
Vengono presentate le quattro versioni di un trattato materialista pubblicato nel 1714 dal medico A. Gaultier con il titolo Réponse en forme de
dissertation à un théologien, che circolò poi sotto forma di due manoscritti per ricomparire poi nel 1771
Breil, Reinhold
Grundzüge einer Philosophie
der Natur.
Eine transzendentalphilosophische
Untersuchung
zur Wissenschaftstheorie
und Technikphilosophie
Königshausen & Neumann
novembre 1993
68
Breton, Stanislas
Matière et dispersion
J. Millon, ottobre 1993
pp. 192, F 120
Una riflessione sul “Trattato delle
due materie” delle Enneadi di Plotino. In questo trattato è contenuto un
pensiero che si può ritenere rivoluzionario nella misura in cui esso pone
al centro dello spirito una materia
intellegibile, necessaria tanto al pensiero quanto ad una libertà causa sui.
Brody, T.A.
The Philosophy Behind Physics
Springer, settembre-ottobre 1993
pp. 350, DM 98
Brody ha sviluppato una teoria dei
“cicli epistemici attivi” per spiegare
come giungiamo alla conoscenza delle
cose. Questa teoria rende giustizia
alla ricchezza ed alla complessità della
ricerca scientifica, in contrasto rispetto
ai resoconti superficiali e scarni frequenti tra i filosofi della scienza che
non hanno nessuna reale esperienza
della ricerca scientifica.
Brunnhuber, Stefan
Der dialogische Aufbau
der Wirklichkeit. Gemeinsame
Elemente im Philosophiebegriff
von Martin Buber, Martin Heidegger
und Sigmund Freud
Roderer, sett.-ottobre 1993
pp. 140, DM 42
Buber, Martin
Il principio dialogico
e altri saggi
San Paolo, novembre 1993
pp. 337, L. 40.000
I testi fondamentali della filosofia
dialogica di Buber, una filosofia tra le
più radicali e rigorose del nostro secolo.
Bürger, Peter
Die Tränen des Odysseus
Roder, settembre 1993
DM 79
Esiste una terza soluzione vicino alla
tradizione razionalista illuminista e
la sua messa in discussione post-strutturalista? Esiste un rapporto con la
teoria che non perpetui la concezione
di teoria tradizionale e non pretenda
di oltrepassarla? Le lacrime di Odisseo forniscono la risposta a queste
domande: attraverso i mezzi dell’immaginazione. Nel momento in cui le
teorie vengono raccontate, queste assumono uno status diverso.
Buridan, Jean
Sophismes
trad. di Joël Blard
Vrin, novembre 1993
pp. 301, F 198
J. Buridan, nato verso il 1300, morto
dopo il 1358, insegnò alla Faculté
d’Arts di Parigi dove si rese famoso
per la sottigliezza delle sue analisi
logiche. Il suo proposito era di chiarire le ambiguità contenute nelle frasi,
NOVITÀ IN LIBRERIA
di differenziare il significato di un
termine a seconda del posto che occupa nella proposizione e di fare della
critica del linguaggio uno studio preliminare ad ogni indagine filosofica.
Burr, John R.
World Philosophy
A Contemporary Bibliography
Greenwood, sett.-ottobre 1993
pp. 416, £ 71.95
Questa bibliografia fornisce l’elenco
dei più importanti scritti filosofici
pubblicati a livello mondiale tra il
1976 e il 1992. Il volume comprende
un totale di quasi 4000 voci di libri e
monografie, la maggior parte dei quali
corredati da brevi annotazioni e descrizioni.
Burri, A. - Freudiger, J.
(a cura di)
Realtivismus und Kontextualismus
Realitivism and Contextualism.
Festschrift für Henri Lauener
Editions Rodopi, sett-ottobre 1993
pp. 312, FL 100
Busch, Elmar
Viele Subjekte, eine Person.
Das Gehirn im Blickwinkel
der Ereignisphilosophie
A.N. Whiteheads
Königshausen & Neumann
settembre-ottobre 1993
pp. 200, DM 48
Bushuven, Siegfried
Ausdruck und Objekt.
Wilhelm Wundts Theorie
der Sprache
und seine philosophische Konzeption
ursprünglicher Erfahrung
Waxmann, agosto-settembre 1993
pp. 235, DM 49
Callaway, H. G.
Context for Meaning and Analysis.
A Critical Study of Language
Ed. Rodopi, novembre 1993
pp. 200, FL 60
Questo libro è un studio critico della
tradizione analitica all’interno della
filosofia del linguaggio, da Frege e
Russel fino a Quine e Davidson. Vengono in particolar modo illustrati degli aspetti centrali per i concetti di
significato ed analisi.
Camizzi Montecchi, Annamaria
Croce e Gentile.
Moralità e eticità
Angeli, novembre 1993
pp. 208, L. 28.000
Il bonomio filosofico Croce-gentile
che dominò la cultura italiana del
primo ventennio di questo secolo si
spezzò clamorosamente con l’avvento del Fascismo. Il saggio vuole mettere in evidenza, oltre le radici filosofiche del dissidio, le regioni della
lunga collaborazione tra i due filosofi
e la necessità che il loro sodalizio si
sciogliesse proprio in quel momento
della vita nazionale.
Cancik, H. - Cancik-Lindemaier H.
(a cura di)
Nietzsches vierte Unvollendete
’Wir Philologen’.
Entwürfe und Vorarbeiten
Metzler, novembre 1993
pp. 280, DM 98
L’opera teatrale Wir Philologen
merita il massimo della considerazione dal punto di vista storico e
testuale, in quanto testo chiave del
passaggio di Nietzsche dalla filologia alla filosofia. Fino a questa
edizione, le opere complete di
Nietzsche presentavano questo testo in maniera inadeguata.
Forte di una doppia esperienza in
campo filosofico e letterario, l’autore
ha voluto chiarire i rapporti esistenti
tra queste due dimensioni del linguaggio. Inscrivendosi nella corrente
fenomenologica, Clemens rinterroga
i principi filosofici insiti nel linguaggio per metterne in evidenza i tratti
costitutivi.
Coreth, Emerich et al. (a cura di)
Philosophie des 20. Jahrhunderts
Kohlhammer, agosto-settembre 1993
pp. 244, DM 26
Si tratta della seconda edizione, riveduta e corretta di un libro di testo di
storia della filosofia.
Challemel-Lacour, Paul
Etudes et réflexions
d’un pessimiste, 1862;
Un Bouddhiste contemporain
en Allemagne, Arthur Schopenhauer
Fayard, ottobre 1993
F 180
Challemel-Lacour appartiene ad una
generazione di filosofi formatisi negli istituti universitari voluti da Victor
Cousin. Bandito dalla Francia nel
1851, insegna all’estero e, al suo
ritorno, sette anni più tardi, intrapprende la carriera politica. Nel suo
libro presenta grandi scrittori: Shakespeare, Byron, Pascal e soprattutto
Schopenhauer.
Couloubaritsis, Lambros
Wunenburger, Jean-Jacques
(a cura di)
La Couleur
Ousia, novembre 1993
pp. 382, F 160
Raccoglie una parte dei testi presentati durante un convegno tenutosi a
Digione e a Bruxelles. La diversità
del simbolismo del colore non può
essere interpretata secondo dei sistemi di riferimento univoci, poiché la
simbologia che si ricollega al colore è
diversa da una cultura all’altra. In
compenso il suo utilizzo è universale
e caratterizza una delle esperienze
più importanti dell’uomo.
Charlesworth, Max
Bioethics in a Liberal Society
Cambridge UP, sett.-ottobre 1993
£ 27.95
Charlesworth sostiene che, visto
che non può esserci un consenso
pubblico su una serie di valori fondamentali, le società liberali accettano una varietà di prese di posizioni religiose e non religiose, politiche e morali. Egli ritiene che
debba esistere anche una pluralità
di prese di posizione etiche.
Craemer-Ruegenberg, I.
Speer, A. (a cura di)
Scientia und ars im Hoch
und Spätmittelalter
de Gruyter, novembre 1993
pp. 1065, DM 580
Nell’alto e tardo medioevo ebbe luogo una modificazione del concetto di
educazione e di scienza che è testimoniato dalla trasformazione, significativa dal punto di vista storico e
concettuale, da ars a scientia. Quello
che prima era un modo di conoscenza
unitario, un Wissen, si trasformò in
una molteplicità di diverse scienze.
Chignola, Sandro
Società e costituzione
Teologia e politica nel sistema
di Bonald
Angeli, ottobre 1993
pp. 256, L. 38.000
Louis de Bonald (1754-1840), notabile e filosofo, è l’autore del progetto di definire un complessivo
système de la societé, una prima,
significativa approssimazione al
tentativo di composizione “metodologica” tra analisi storica e scienza sociali. Il volume cerca di ricostruire il processo di definizione
degli assetti logici del système e di
verificare come l’approdo bonaldiano alla nozione di “costituzione
naturale” definisca un esito originale nel panorama controrivoluzionario francese.
Craig, Edward
Was wir wissen können:
pragmatische Untersuchungen
zum Wissensbegriff
Suhrkamp, sett.-ottobre 1993
pp. 148, DM 16,80
Il volume raccoglie le lezioni su Wittgenstein tenute all’Università di
Bayreuth.
D’Aosta, Anselmo
Proslogion
In difesa dello stolto Gaunilone
di Marmoutiers e Risposta
di S. Anselmo
Scuola, dicembre 1993
pp. 143, L. 15.000
Significato e contenuti fondamentali
dell’opera, collocata nell’ambito culturale di Anselmo d’Aosta. La fama
dello scritto, dovuta principalmente
alla dimostrazione dell’esistenza di
Dio, ha sollevato discussioni tra i
filosofi di tutti i tempi.
Clemens, Eric
La Fiction et l’apparaître
Albin Michel, novembre 1993
F 150
69
Dahlstrom, Daniel O.
Das logische Vorurteil
Passagen-Vlg., novembre 1993
pp. 368, ÖS 490
Damast, Thomas
Jaen-Paul Sartre und das Problem
des Idealismus. Eine Untersuchung
zur Einleitung
in ‘L’être et le néant’
Akademie-Vlg., novembre 1993
pp. 270, DM 124
De Chamfort, Nicolas
Massime e pensieri
introd. di Albert Camus
Rizzoli, ottobre 1993
pp. 728, L. 15.000
Questa tormentata raccolta di “Massime” illustra con inarrivato acume
il volto più oscuro e nevrotico del
XVIII secolo; alle dense formule di
Chamfort dobbiamo il privilegio di
un’osservazione assolutamente indipendente sui fatti che condussero
alla Rivoluzione, analizzati alla luce
di una sensibilità così vigile da far
apparire sovraumane le sue intuizioni. Si spiega insomma il fascino che
l’autore ebbe a esercitare nel tempo
sui suoi pochi lettori: fra tutti Chateaubriand, Stendhal, Schopenhauer e
Nietzsche.
De Luca, Stefano
Constant
Laterza, dicembre 1993
pp. 200, L. 22.000
Personaggio multiforme, teorico
politico, storico e filosofo delle
religioni, letterato di successo, pubblicista e oratore brillante, Constant rappresenta una delle più interessanti figure del periodo che va
dalla Rivoluzione del 1789 a quella del 1830.
De Sanctis, Francesco
Schopenhauer e Leopardi
Ibis, novembre 1993
pp. 96, L. 12.000
La filosofia di Schopenhauer e la
poesia di Leopardi sono espressioni emblematiche della cultura romantica dell’Ottocento e il significato che esprimono oltrepassa i limiti temporali per rappresentare
quello che è il disagio stesso della
modernità, l’angoscia profonda
dell’uomo. Il libro, pubblicato nel
1858 nella “Rivista contemporanea” e ripreso nei Saggi critici,
mette in luce le analogie che legano questi due autori.
Deleuze, Gilles
Critique et clinique
Minuit, ottobre 1993
pp. 187, F 85
Analizza come un’altra lingua si crea
nella lingua in maniera tale che il
linguaggio nel suo complesso tenda
verso il suo limite oppure verso ciò
che è al di fuori del linguaggio stesso. Prende inoltre in considerazione
come la psicosi e la realtà del delirio
NOVITÀ IN LIBRERIA
si inseriscono in questo percorso;
come ciò che sta al di fuori del linguaggio è fatto di percezioni visive e
uditive non esprimibili attraverso la
lingua, ma che solo il linguaggio
rende possibili.
Eckensberger, L.H.
Gähde U. (a cura di)
Ethische Norm und empirische
Hypothese
Suhrkamp, settembre-ottobre 1993
pp. 384, DM 27,80
Derrida, Jacques
La Dissémination
Seuil, settembre 1993
pp.460, F 54
Terza opera filosofica, dopo La Pharmacie de Platon e La Double séance,
questo saggio studia in particolare il
lavoro della differenza semantica
come differenza seminale.
Eisenhardt, P. - Kurth, D.
(a cura di)
Emergenz und Dynamik.
Naturphilosophische Grundlagen
einer Nichtstandard-Topologie
Junghans, agosto-settembre 1993
pp97, DM 30
Döring, Kl. - Ebert, Th.
(a cura di)
Dialektiker und Stoiker.
Zur Logik der Stoa
und iher Vorläufer
Steiner, settembre-ottobre 1993
pp. 350, DM 148
Dreier, Wilhelm
Umkehr zur Zukunft.
Sozialethische Wegzeichen
in ein postkolonialistisches
Zeitalter
Breitenbach, agosto-settembre 1993
pp. 255, DM 41
Dumont, Jean-Paul (a cura di)
Eléments d’histoire
de la philosophie antique
Nathan, ottobre 1993
pp. 773, F 198
Quest’opera si propone di offrire agli
studenti delle scuole e delle università un accesso diretto ai testi e di garantire ad un pubblico più vasto la
possibilità di basare l’approfondimento delle proprie conoscenze direttamente su fonti, che spesso rimangono
poco accessibili.
Duso, Giuseppe (a cura di)
Il contratto sociale
nella filosofia politica moderna
Angeli, novembre 1993
pp. 416, L. 38.000
Studio dedicato alla logica che la
costruzione contrattualistica ha nel
giusnaturalismo moderno. La ricerca tende a determinare il significato specifico che i concetti vengono ad assumere in ragione delle
reciproche relazioni che hanno nel
contesto teorico più ampio della
moderna scienza politica.
Eagleton, Terry
Che cos’è l’ideologia
Saggiatore, ottobre 1993
pp. 320, L. 32.000
Il volume affronta una delle questioni
centrali del nostro tempo: la contraddizione tra la fine delle certezze ideologiche e il sopravvivere, comunque, dell’ideologia.
Epitteto
Entretiens: livres I à IV
trad. di J. Souilhé e Armand Jagu
Gallimard, novembre 1993
pp. 364, F 78
Epitteto è, insieme a Seneca e Marco
Aurelio, una delle grandi figure dello
stoicismo dei primi due secoli della
nostra era. Gli appunti di queste conversazioni e lezioni sono noti come il
Manuale di Epitteto.
Fallot, Jean
Cette mort qui n’est pas une
Presses universitaires de Lille
novembre 1993
pp. 216, F 120
Riflessioni sullo stato di morte apparente, sotto l’aspetto metafisico e ideologico: i necrologi nell’Antichità, la
morte falsa nel Medio Evo, la morte
imperfetta secondo l’Enciclopedia, la
morte clinica o relativa alla nostra epoca.
Elepfandt, A. - Wolters G.
(a cura di)
Denkmaschinen? Interdisziplinäre
Perspektiven zum Thema
Gehirn und Geist
Universitätsvlg Konstanz
novembre 1993
pp. 240, DM 58
Fastenrath, Heinz
Kurswissen Religionskritik.
Ein Abriß atheistischer
Grundpositionen: Feuerbach, Marx,
Nietzsche, Sartre
Klett, settembre-ottobre 1993
pp. 175, DM 26,80
Eming, Knut
Die Flucht ins Denken.
Die Anfänge der platonischen
Ideenphilosophie
Meiner, sett.-ottobre 1993
pp. 158, DM 64
Con l’interpretazione analitica di Platone, la filosofia delle idee è di nuovo
il fulcro di una critica logico-ontologica. Il punto di vista platonico viene
presentato e chiarificato sulla base di
modelli logici moderni.
Fetz, R. L. - Rath, M.
Schulz, P. (a cura di)
Studien zur Philosophie
von Edith Stein
K. Alber, novembre 1993
pp. 360, DM 96
Si tratta degli atti del InternationalesEdith-Stein-Symposion tenutosi a Eichstatt nel 1991.
Emondts, Stefan
Menschwerden in Beziehung.
Eine religionsphilosophische
Untersuchung der medizinischen
Anthropologie
Viktor von Weizsäckers
Intr. C.F. v. Weizsäacker
frommann-holzboog
agosto-settembre 1993
pp. 600, DM 88
Flasch, Kurt
Was ist Zeit? Augustinus von Hippo.
Das XI. Buch der ‘Confessiones’.
Historisch-philosophische Studie.
Klostermann, novembre 1993
pp. 460, DM 68
Questo volume, che comprende il testo dell’undicesimo libro delle Confessioni, la traduzione in tedesco ed
un commento, non ha un’impostazione filosofico-storica, ma analizza la
teoria del tempo di Agostino nellla
sua qualità di campo di indagine per
la storia del pensiero.
Epicuro
Lettre sur le bonheur:
lettre a Ménécee
trad. di X. Bordes
Mille et une nuits, ottobre 1993
pp. 32, F 10
Prima di condannare i principi del
piacere che governerebbero il mondo, bisogna leggere Epicuro.
Forschner, Maximilian
Über das Glück des Menschen.
Aristoteles, Epikur, Stoa,
Thomas von Aquin, Kant
Wiss. Buchgess., agosto 1993
pp. 156, DM 34
Tramite le teorie filosofiche classiche della felicità che vengono qui
presentate, l’autore vuole riaprire la
discussione filosofica sugli obiettivi
dell’essere umano.
Epicuro
Massime
Epicure ou le Bonheur sans retour
Acte sud: Labor: Aire
novembre 1993
pp. 51, F 33
Le Massime, il fulcro del pensiero di
Epicuro, pubblicate qui separatamente
rispetto al resto dell’opera del filosofo e in una traduzione del XVIII secolo, vengono accompagnate da un commento, la cui ambizione è di eliminare il malinteso intorno al sistema filosofico epicureo, troppo spesso ridotto ad un semplice modo di vivere
edonista.
Freise, Kristin
Die Abtreibungsproblematik
im Spannungsfeld zwischen Moral,
Recht und Politik
Breitenbach, sett-ottobre 1993
pp. 191, DM 35
70
Fresco, M.F. (a cura di)
Farns Hemsterhuis (1721-1790).
Quellen, Philosophie und Rezeption
Lit, settembre-ottobre 1993
pp. 450, DM 58,80
Frewer, A. - Rödel C. (a cura di)
Person und Ethik.
Historische
und systematische Aspekte
zwischen medizinischer
Anthropologie und Ethik
Palm & Enke, sett.-ottobre 1993
pp. 140, DM 28
Contiene i resoconti del 1˚ Convegno
di studio dell’Etica nella medicina,
tenutosi a Erlangen nel 1992.
Frossard, André
L’Homme en questions
Stock, ottobre 1993
F 98
Seguendo la stessa formula di Dieu
en questions, che lasciava molto spazio all’obiezione, questo libro parla
dei problemi che vengono presentati
alla nostra coscienza sia dalla vita
quotidiana sia dalla situazione a livello mondiale: dal dramma somalo alle
pretese di purificazione etnica... Si
tratta di argomenti della morale, della
ragione e dell’esperienza.
Gadamer, Hans-Georg
Gesammelte Werke
Vol. 8: Ästhetik und Poetik I.
Kunst als Aussage
J.C.B. Mohr, novembre 1993
pp. 470, DM 68
Gardeya, Peter
Platone Philebos.
Interpretation und Bibliographie
Königshausen & Neumann
agosto-settembre 1993
pp. 42, DM 24
Gargani, Aldo, G.
Der Text der Zeit.
Denkkonstruktionen
einer Autobiographie.
Trad. dall’italiano
Campus, novembre 1993
pp. 130, DM 38
Gargani mostra un mondo di costellazioni esistenziali inquietanti, all’interno del quale le allusioni alle formulazioni delle domande - così come vengono considerate da Heidegger, Wittgenstein, Lyotard e George Steiner divengono delle pietre miliari che permettono una mediazione tra esperienze personali e filosofia.
Gebauer, G. (a cura di)
Die Aktualität der Sportphilosophie
The Relevance of the Philosophy
of Sport
Academia-Verlag, novembre 1993
pp. 296, DM 58
Contiene gli atti dell’assemblea annuale della Philosophic Society for
Study of Sport tenutasi a Berlino nell’ottobre del ’92, dal titolo The Relevance of the Philosophy of Sport.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Georgopoulis, N. (a cura di)
Tragedy and Philosophy
Macmillan Press, sett-ottobre 1993
pp. 288, £ 40
Attraverso diversi saggi, viene sviluppato un tema centrale: il rapporto
tra la filosofia e la tragedia. Vengono
fornite interpretazioni originali della
tragedia ed approcci nuovi a punti di
vista tradizionali ed innovative concezioni filosofiche.
Grau, Gerd-Günther
Kritik des absoluten Anspruchs.
Nietzsche - Kierkegaard - Kant
Königshausen & Neumann
agosto-settembre 1993
pp. 140, DM 29,80
L’autore, partendo dalla filosofia di
F. Nietzsche e dalla sua globale critica della conoscenza, analizza e critica le possibili forme di pretesa di
assolutezza nella filosofia.
Gil, Thomas
Ethik
Metzler, novembre 1993
pp. 130, DM 24,80
Nella sua introduzione cronologica all’etica filosofica, Gil ricostruisce i più importanti modelli argomentativi etici.
Greisch, Jean
Comprendre et interpréter:
le paradigme herméneutique
de la raison
Beauchesne, novembre 1993
pp. 432, F 190
Si tratta di uno studio sull’ermeneutica, dal XIX secolo ai giorni nostri.
Givsan, H. - Schmied-Kowarzik
(a cura di)
Reflexionen zur geschichtlichen
Praxis. Helmut Fleischer
zum 65. Geburtstag
Königshausen & Neumann
agosto-settembre 1993
pp. 346, DM 48
Con questo volume, contributi di
diversi autori tendono a commemorare il lavoro in campo filosofico di Helmut Fleischer. Gli autori,
ognuno dal proprio punto di vista,
offrono un approccio ai temi di
filosofia della storia, di etica, di
prasseologia o di antropologia in
genere, che sono in rapporto con
l’opera di Helmut Fleischer.
Grondin, Jean
L’Horizont herméneutique
de la pensée contemporaine
Vrin, novembre 1993
pp. 288, F 190
L’ermeneutica, interrogata dai problemi del relativismo e del linguaggio, potrebbe anche liberarci dal dominio che essi hanno su di noi. E’ con
questo spirito che le ricerche raccolte
in questo volume si propongono di
verificare il futuro del versante ermeneutico della fenomenologia.
Good, Paul
Heraklit in Kunst und Philosophie.
Drei Beispiele
Rimbaud, agosto-settembre 1993
pp. 96, DM 35
Gräfrath, Bernd
Ketzer, Dilettanten und Genies.
Grenzgänger der Philosophie
Junius, agosto-settembre 1993
pp. 400. DM 58
Un viaggio di esplorazione pieno di
sorprese tra i pensatori contro corrente e di confine appartenenti alla “corporazione dei pensatori”. Qui la filosofia è come dovrebbe essere: individualista, divertente, irriverente, libera dalle costrizioni accademiche.
Granarolo, Philippe
L’Individu éternel:
l’expérience nietzschénne
de l’éternité
Vrin, ottobre 1993
pp. 176, F 147
L’esperienza paradossale della visione del ritorno eterno.
Grassi, Lodovico
Jacques Maritain
Giunti, dicembre 1993
pp. 240, L. 20.000
Habib, Claude
Mouchard, Claude
(a cura di)
La Démocratie à l’oeuvre:
autour de Claude Lefort
Esprit, novembre 1993
pp. 70
Häfner, Ansgar
Sehnsucht - Affekt und Antrieb.
Begriff, Struktur und praktische
Bedeutung
K. Alber, novembre 1993
pp. 290, DM 76
Haken, H, et altri (a cura di)
The Machine as Metaphor and Tool
Springer, settembre-ottobre 1993
pp. 200, DM 48
Fino a che punto esistono dei limiti
all’applicazione di modelli meccanicistici per la descrizione e la comprensione dei fenomeni vitali? Questo volume tratta della funzione stimolante e problematica delle macchine in numerose discipline delle
scienze naturali.
Hausmanninger, Thomas
(a cura di)
Christliche Sozialethik
zwischen Moderne und Postmoderne
Schöningh, novembre 1993
pp. 240, DM 38
Questo volume offre, da una parte, un
compendio che presenta i nuovi principi e le nuove tendenze dell’etica
sociale cristiana, arricchendo quindi
la discussione sui fondamenti di quest’etica; dall’altra parte viene fornito
un fondamento discorsivo al bisogno
di ricerca di vie d’uscita dalla crisi
dell’epoca moderna.
Guarini, Ruggero
Il pensiero quotidiano
Piccolo sillabario filosofico
per tutti
Rizzoli, ottobre 1993
pp. 290, L. 15.000
Il libro è diviso in voci, come una
piccola enciclopedia filosofica. L’ambizione dell’autore è insieme umile e
sfrenata: farsi capire da tutti senza
incoraggiare troppo la poltroneria
mentale dei lettori della domenica.
Hegel, Georg Wilhelm Freidrich
Vorlesungen über die Philosophie
der Religion.
Parte 1˚: Einleitung.
Der Begriff der Religion
A cura di W. Jaeschke
Meiner, settembre-ottobre 1993
pp. 365, DM 38
Guerraggio, A. - Nastasi, P.
Gentile e i matematici italiani
Lettere 1907-1943
Bollati Boringhieri, novembre 1993
pp. 260, L. 25.000
Matematica, cultura e potere nell’Italia postunitaria.
Hegel, Georg Wilhelm Friederich
Phénomenologie de l’esprit
trad. di Jarçzyk e Labarrière
Gallimard, novembre 1993
pp. 928, F 295
Uno degli scritti maggiori della storia
della filosofia, che rileva già in maniera eminente la piena maturità di
Hegel.
Gusdorf, Georges
Le Romantisme
2 voll.
Payot, ottobre 1993
pp. 1600, F 280
Il romanticismo di G. Gusdorf è una
rivoluzione culturale la cui attualità
permanente mette in discussione la
situazione dell’uomo nell’universo, il
suo rapporto con Dio, con il mondo,
con la storia e con se stesso. La verità
religiosa, la verità scientifica e la verità umana modificano il loro significato ed il loro valore. G. Gusdorf, filosofo e storico delle idee, è l’autore di una
grande collana, Les Sciences humaines et la pensée occidentale. Questi
due volumi comprendono i quattro
tomi di questa collana, che l’autore ha
dedicato al romanticismo.
Heidelberger, Michael
Die innere Seite der Natur.
Gustav Theodor Fechners
wissenschaftlich-philosophische
Weltauffassung
Klostermann, novembre 1993
pp. 458, DM 118
Questo testo tratta sia della filosofia
della scienza e della natura di Fechner, sia delle conclusioni che egli ne
trasse ed applicò al suo lavoro nel
campo delle scienze naturali.
71
Heinrich, Richard
Wittgesteins Grenze. Essay
Deuticke, agosto-settembre 1993
pp. 144, ÖS 198
In questo saggio, R. Heinrich collega
le prospettive della filosofia con quelle dell’estetica letteraria e della critica
d’arte, per illustrare - tramite l’esempio di L. Wittgenstein - il cambiamento del concetto di critica nel momento
della tensione tra il razionalismo ed il
sorgere dell’epoca moderna.
Held, Kl. - Henningfeld, J.
(a cura di)
Kategorien der Existenz.
Festschrift für Wolfgang Janke
Königshausen & Neumann
settembre-ottobre 1993
pp. 480, pp. 98
Il volume ha per tema il cambiamento
dall’analisi delle categorie tradizionali a quella orientata in senso esistenziale. L’analisi viene svolta in una prospettiva sia storica che obiettiva.
Hellerich, Gert
Wider die Moderne.
Die Postmoderne und Abweichungen
Die Blaue Eule, agosto-sett. 1993
pp. 170, DM 48
Hermanni, Friederich
Die letzte Entlastung.
Vollendung und Scheitern
des abendländischen
Theodizeeprojektes in Schellings
Philosophie
Passagen-Vlg., novembre 1993
pp. 304, ÖS 420
Hirsch, Eli
Dividing Reality
Oxford UP, settembre-ottobre 1993
pp. 304, £ 32.50
Questa monografia identifica ed
esplora un dilemma filosofico che
l’autore chiama “il problema della
divisione”. Si tratta del problema di
fornire una spiegazione al perché la
lingua divida la realtà in un modo
piuttosto che in un altro o a quale sia
la base razionale delle lingue che contiene certi tipi di parole.
Hobbes, Thomas
Oeuvres
Vol I: De la liberté
et de la nécessité; Réponse à
’La Capture de Léviathan’:
controverse avec Bramhall
Vrin, novembre 1993
pp. 294, F 198
Nella prima parte, redatta nel 1646,
Hobbes esamina le conseguenze etiche delle sue posizioni filosofiche,
opposte all’idea del libero arbitrio, e
rifiuta il libro pubblicato da Bramhall
l’anno precedente, La cattura del
Leviatano. Il secondo testo, apparso
nel 1682, costituisce l’ultimo episodio della controversia.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Hong, Seong-Ha
Phänomenologie der Erinnerung
Königshausen & Neumann
agosto-settembre 1993
pp. 256, DM 64
Il lavoro si occupa della fenomenologia del ricordo di Husserl in una prospettiva di sviluppo storico.
Hornung, E. - Schabert, T.
(a cura di)
Strukturen des Chaos
W. Fink, agosto-settembre 1993
pp. 200, DM 48
Nei contributi a questo volume, che
spaziano dalle concezioni degli inferi
per gli antichi Egizi alla fisica moderna e che includono anche la mistica e
lo gnosticismo, viene sempre evidenziato il doppio aspetto del caos: esso
uccide e ridà vita, distrugge e nutre,
annienta e rigenera.
Horst, Althaus
Vita e opere di Hegel
Laterza, dicembre 1993
pp. 650, L. 58.000
Una biografia filosofica caratterizzata dallo stretto rapporto tra contesto
storico, vita del filosofo e sviluppo
del suo pensiero. Attraverso varie fonti
vengono ricostruiti i continui spostamenti di Hegel e i contatti con gli
intellettuali dell’epoca: Kant, Fichte,
Goethe.
Hubeny, Alexandre
L’Action dans l’oeuvre
de Hannah Arendt:
du politique à l’éthique
Larousse, novembre 1993
pp. 159, F 95
Un’analisi attraverso la politica e l’etica, l’individuo e la collettività, la libertà, la memoria e l’esperienza e che
propone una riflessione sulla dimensione politica dell’esistenza umana.
Huber, Wolfgang
Die tägliche Gewalt.
Gegen den Ausverkauf
der Menschenwürde
Herder, agosto-settembre 1993
pp. 192, DM 32
Il famoso studioso di etica Wolfgang
Huber si confronta con le cause della
violenza. Egli mostra soprattutto che
cosa possiamo fare per contrastare la
crescente freddezza, che sta alla base
della violenza.
Hubig, C.
Technik- und Wissenschaftsethik.
Ein Leitfaden
Springer, settembre-ottobre 1993
pp. 250, DM 58
In questo libro vengono discussi i
principi di un’etica della tecnica e
della scienza e vengono trattati i problemi di una sua trasposizione nella
pratica. La responsabilità individuale
del tecnico o dello scienziato ed i
criteri di valutazione per i necessari
modi di agire richiedono anche premesse istituzionali per l’assunzione
di responsabilità.
Huppenbauer, Markus
Mythos und Subjektivität.
Aspekte neutestamentalicher
Entmythologisierung im Anschluß
an Rudolf Bultmann und Georg Picht
J.C.B. Mohr, agosto-settembre 1993
pp 240, DM 150
L’apertura nei confronti del mito e
l’accettazione del mito greco negli
anni 80 cercava di rendere giustizia
all’essenza del mito. E’ comunque
possibile, nella situazione di un Illuminismo ormai compiuto, non sottoporre il mito ai propri meccanismi di
pensiero moderni?
Kant, Immanuel
Saggio sulle malattie della mente
Ibis, novembre 1993
pp. 64, L. 10.000
La grande attenzione che Kant ebbe
sempre per il dibattito scientifico del
suo tempo, appare con chiarezza da
questo breve Saggio, pubblicato nel
1764, in cui analizza le manifestazioni e le cause della malattia psichica.
Kekes, John
The Morality of Pluralism
Princenton UP, agosto-sett. 1993
pp. 240, $ 18
Sostenendo che una buona vita deve
essere ragionevole e negando che si
debba conformare ad un unico vero
modello, Kekes sviluppa e giustifica
un resoconto pluralistico di vite e
valori buoni ed enuclea le implicazioni politiche, morali e personali.
Irrgang, Bernhard
Lehrbuch der evolutionären
Erkenntnistheorie. Evolution,
Selbstorganisation, Kognition
UTB, novembre 1993
pp. 250, DM 32,80
Kellinghusen, Elisabeth
Wir graben den Tunnel von Babel.
Kritik der Totalität eine subversive Vertiefung
der Gedankengänge Franz Kafkas
Passagen Verl., agosto-sett. 1993
pp. 192, ÖS 280
Jünger, Hans-Dieter
Mnemosyne und die Musen.
Vom Sein des Erinnerns
bei Hölderlin
Königshausen & Neumann
agosto-settembre 1993
pp. 350, DM 68
Questo studio fenomenologico svela
- in diretto dialogo con la tarda produzione poetica di Hölderlin ed i suoi
antenati greci - la sostanza del ricordo
poetico come un’esperienza diretta
della verità dell’essere nel suo significato costitutivo per la filosofia e la
poesia.
Kernal, Salim et al.(a cura di)
Explanation and Value
in the Arts
Cambridge UP, sett.-ottobre 1993
pp. 236, £ 35
Una raccolta di studi di storici dell’arte, teorici della letteratura e filosofi su argomenti centrali per la spiegazione di opere letterarie e pittoriche. Il testo considera questi argomenti come fonte di interesse per le
belle arti e prende in considerazione
il ruolo dell’ideologia.
Kann, Christoph
Die Eigenschaften der Termini.
Eine Untersuchung
zur ‘Perutilis Logica’
Alberts von Sachsen
E.J. Brill, settembre-ottobre 1993
pp. 208, FL 85
Kettering, E. (a cura di)
Verantwortlich Mensch sein.
Ein philosophisches Symposion
zu Ehren von Richard Wisser
v. Hase und Koehler, novembre 1993
pp. 168, DM 25
Raccoglie gli atti del simposio in onore
di Richard Wisser.
Kant, Emmanuel
Fondements de la métaphysique
des moeurs
trad.di V. Delbos
LGF, ottobre 1993
pp. 252, F 30
I commenti presentano questo testo chiave della filosofia di Kant,
mostrandone le implicazioni ed i
significati.
Kierkegaard, Soren
Stadi sul cammino della vita
a cura di Ludovica Koch
Rizzoli, novembre 1993
pp. 750, L. 80.000
Il testo di Kierhegaard, capolavoro
sconosciuto in Italia, venne scritto tra
il 1843 e il 1845, in una specie di
follia creativa, durante la quale compose anche Aut aut, Timore e tremore, Il concetto di angoscia. Il libro è
una imitazione e una parodia sinistra
del Simposio di Platone.
Kant, Emmanuel
Leçons sur la théorie philosophique
de la religion
LGF, ottobre 1993
pp. 343, F 50
Quando Kant tiene queste lezioni, il
suo pensiero è in una fase di maturazione completa e si assiste quasi “in
diretta” all’evoluzione delle sue idee
rispetto alle tesi difese da Kant ne La
critica della ragion pura. Un ampio
capitolo è dedicato all’analisi di questo testo ed al significato profondo
delle idee di Kant sulla religione.
Contiene anche un glossario delle
espressioni latine e greche.
Kimmich, Dorothee
Epikureische Aufklärungen.
Philosophische und poetische
Konzepte der Selbstsorge
Wiss. Buchges., agosto-sett. 1993
pp. 400, DM 89
72
Klibanski, Raymond
Pears, David
(a cura di)
La philosophie en Europe
Gallimard, ottobre 1993
pp. 814, F 68
In quest’opera sarà possibile trovare degli inventari, suddivisi per paesi, delle
tendenze e delle problematiche filosofiche ed un compendio del dialogo tra
pensatori e intellettuali al di là delle frontiere nazionali e culturali europee.
Klibansky, R. - Regen Fr.
Die Handschriften
der philosophischen Werke
des Apuileius. Ein Beitrag
zur Überlieferungsgeschichte
Vandenhoecke & Ruprecht
settembre-ottobre 1993
pp. 232, DM 95
Köhnke, Klaus Christian
Entstehung und Aufstieg
des Neukantismus. Die deutsche
Universitätsphilosophie zwischen
Idealismus und Positivismus
Suhrkamp, settembre 1993
pp. 624, DM 34,80
Kolmer, P. - Korten, H.
(a cura di)
Grenzebestimmungen der Vernunft.
Philosophische Beiträge zur
Rationalitätsdebatte
K. Alber, novembre 1993
pp. 460, DM 96
Il libro, dedicato a Hans Michael Baumgarten in occasione del sessantesimo anniversario della sua nascita, offre un vivo ritratto delle definizioni
contemporanee del concetto di ragione.
Kross, Matthias
Klarheit als Selbstzweck.
Wittgenstein über Philosophie,
Religion, Ethik und Gewißheit
Akademie-Verlag, ottobre 1993
pp. 276, DM 68
Kubes-Hofmann, Ursula
Das unbewußte Erbe.
Weiblische Geschichtslosigkeit
zwischen Aufklärung
und Frühromantik. Mit
einem Nachwort zu Hannah Arendt
Wiener Frauenvlg
agosto-settembre 1993
pp. 240, ÖS 288
Kuhlmann, Hartmut
Schellings früher Idealismus.
Ein kritischer Versuch
Metzler, novembre 1993
pp. 344, DM 58
Lachelier, Jules
Fondaments de l’induction
Presse-Pocket, settembre 1993
F 44
Jules Lachier si situa all’inizio
della storia della filosofia francese contemporanea. Questa edizione permette di rileggere i suoi sag-
NOVITÀ IN LIBRERIA
gi più importanti, corredati da una
prospettiva critica.
Lampert, Laurence
Nietzsche and Modern Times.
A Study of Bacon, Descartes
and Nietzsche
Yale UP, agosto-settembre 1993
pp. 480, $ 40
Se si riconoscono Bacone e Cartesio
come legislatori dell’epoca moderna
in un senso specificatamente nietzschiano, si può anche considerare
Nietzsche in un modo diverso: come
il primo pensatore che ha capito l’epoca moderna e l’ha trascesa in una
visione del mondo post-moderna.
Largeault, Jean
Intuition et intuitionisme
Vrin, novembre 1993
pp. 238, F 198
Quale dei due modi di arrivare alla
verità, attraverso la percezione diretta e attraverso la deduzione, deve
controllare l’altro? Il disaccordo tra
gli intuizionisti e i deduttivisti si manifesta nella metodologia delle scienze matematiche. Il volume, che contiene anche la traduzione di due
testi di L.E.J. Brouwer (188811966), dimostra come egli abbia
dato un’espressione sistematica ed
unitaria ai principi intuizionisti.
Largeault, Jean
La Logique
PUF, novembre 1993
pp. 128, F 40
La logica è diventata una disciplina
complessa, che si ramifica un una
molteplicità di campi e di metodi. Il
volume prende in considerazione la
teoria dei modelli, della dimostrazione, della decisione, la complessità
algoritmica ed altri argomenti.
Lask, Emil
Die Logik der Philosophie
und die Kategorienlehre.
Eine Studie über den
Herrschaftsbereich
der logischen Form
Mohr, settembre-ottobre 1993
pp.312, DM 59
In questa terza edizione, con una postfazione di F. Kaulbach, una delle
più importanti opere tra Neokantismo e Heidegger, viene ripresentata
in edizione commentata.
Lateigne, Josette
La Question du jugement
L’Harmattan, settembre 1993
pp. 255, F 144
L’opera è suddivisa in quattro capitoli: “La teoria kantiana dei
giudizi analitici e dei giudizi
sintetici”, “Lo studio compar ato di Kant e Wittgenstein”; “La
critica wittgensteiniana”; “Giudicare per pensare in modo vero,
secondo Jacques Poulain”.
Lavelle, Louis
La Conscience de soi
C. de Bartillat, ottobre 1993
pp. 311, F 80
Lavelle è uno dei grandi maestri del
pensiero cristiano del nostro secolo.
In questo capolavoro di erudizione
filosofica, scritto verso il 1824, Leopardi evidenzia alcuni aspetti scottanti riguardanti l’attualità italiana di
quegli anni: la mancanza di coesione
nazionale, il cinismo generalizzato,
la messa in dubbio dell’esistenza stessa dell’Italia.
Lecourt, Dominique
A quoi sert donc la philosophie?
PUF, novembre 1993
pp. 304, F 174
Non esistono domande che non riguardino per qualche aspetto il pensiero nel suo complesso e che non
sollecitino l’interrogazione filosofica. E’ possibile riscoprirlo oggigiorno anche a proposito delle domande
scottanti sollevate, per esempio, dalle
nuove teorie fisiche, dagli scenari
cosmologici, dalla messa in opera del
genio genetico.
Lessing, U. - Mutzenbecher, A.
(a cura di)
J. König - H. Plessner:
Briefwechsel 1923-1933
K. Alber, novembre 1993
pp. 280, DM 68
Il volume comprende anche un saggio epistolare di König su Plessner,
Die Einheit der Sinne.
Libera, Alain de
La Philosophie médiévale
PUF, novembre 1993
pp. 512, F 149
Il volume inquadra all’interno del loro
contesto di origine le dottrine ed i
sistemi filosofici del Medio Evo, avvicinandosi al pensiero bizantino, arabo-musulmano, ebreo e latino.
Leibniz, Gottfried Wilhelm
Thomasius Jakob
Correspondances: 1663-1672
a cura di Richard Bodéüs
Vrin, novembre 1993
pp. 366, F 174
J. Thomasius, professore all’università di Lipsia, è stato il primo maestro
di Leibniz. Questa corrispondenza,
presentata qui per la prima volta in
maniera esaustiva, rivela le principali
preoccupazioni del giovane filosofo e
consente di apprezzare il punto di partenza delle sue riflessioni, in particolar
modo di quelle riguardanti la fisica.
Linares, Filadelfo
Einblicke in Hugo Grotius’ Werk
’Vom Recht des Krieges
und des Friedens’
Olms, novembre 1993
pp. 81, DM 48
Longuenesse, Béatrice
Kant et le pouvoir de juger
PUF, novembre 1993
pp. 512, F 380
Si tratta di una lettura dell’Analitica
trascendentale (il secondo libro della
Critica della ragion pura): dall’analisi delle forme logiche del giudizio
all’elucidazione del loro rapporto con
le sintesi percettive.
Lenain, Thierry
Pour une critique de la raison
ludique: essai sur
la problématique nietzschéenne
Vrin, novembre 1993
pp. 196, F 160
Dall’epoca moderna a quella postmoderna, il progetto ludico, inteso da
Nietzsche come un’esperienza di
emancipazione radicale rispetto ai
principi esteriori, ha costituito la componente principale della cultura delle
avanguardie. Ma qual’è la sua attualità oggi?
Losev, Aleksej F.
Dialektik des Mythos
Meiiner, settembre-ottobre 1993
pp. 200, DM 48
Lenk, Hans
Interpretationskonstrukte.
Zur Kritik der interpretatorischen
Vernunft
Suhrkamp, novembre 1993
pp. 620, DM 98
Il costruzionismo interpretativo fu agli
inizi concepito come principio metodologico e venne poi sviluppato.
Può essere però anche visto come un
approccio interpretativo kantiano trascendentale sulla scia della teoria
della conoscenza tradizionale, quasi
una teoria della conoscenza di un
essere culturale e simbolico, l’essere
umano.
Losurdo, Domenico
Autocensure et compromis dans
la pensée politique de Kant
Presses universitaires de Lille
novembre 1993
pp. 210, F 130
Le ambiguità e le “duplicità” della
teoria politica di Kant permettono di
mantenere l’immagine di un pensatore essenzialmente preoccupato di difendere l’ordine stabilito? Non si tratta piuttosto di un segno di autocensura e di una ricerca di compromesso
con le forze al potere, imposti a tutti i
pensatori progressisti dal contesto
tedesco dell’epoca?
Leopardi, Giacomo
Discours sur l’état des meours
des Italiens
trad. di Michel Orcel
Allia, novembre 1993
pp. 100, F 80
Lucrezio
De rerum natura - De la nature
trad. di J. Kany-Turpin
Aubier, ottobre 1993
pp. 551, F 160
73
Questo poema, diviso in sei canti, si
ispira al materialismo di Epicuro ed è
l’unica opera di Lucrezio conosciuta.
Luhmann, Niklas
Das Recht der Gesellschaft
Suhrkamp, novembre 1993
pp. 640, DM 58
Nei singoli capitoli di questo volume
vengono trattati in prevalenza temi
classici della teoria e della sociologia
del diritto. Per esempio il problema
delle forme di validità del diritto, il
senso della giustiza e le forme argomentative giuridiche, la funzione dei
tribunali all’interno del sistema giuridico ed in particolar modo in rapporto
all’entrata in vigore del diritto dal punto di vista legislativo e contrattuale.
Lukasiewicz, Jan
Über den Satz des Widerspruchs
bei Aristoteles
Trad. dal polacco
Olms, novembre 1993
pp. 252, DM 98
Macann, Christopher
Martin Heidegger
Routledge, novembre 1993
pp. 1472, £ 350
Questa raccolta di interventi su Mertin Heidegger include articoli classici
ed altri redatti in occasione della pubblicazione di questo volume.
Magnus - Magnus - Stewart
Nietzsche’s Case. Philosophy
as/and Literature
Routledge, agosto-settembre 1993
pp. 350, £ 13
Questo studio della filosofia e della
letteratura mette a confronto testi di
Nietzsche con il Nuovo Testamento,
con testi di Sidney, Spenser, Milton,
Shakespeare, Browning, Coleridge,
Wordsworth, Blake e Lawrence nonché con testi di filosofia classica e di
critica da Platone a Derrida.
Maier, H. - Rusconi G.R.
Schöllgen, G. - Vajda M.
Wiehel, R.
Wiederkehr der Geschichte?
Vadenhoeck & Ruprecht
novembre 1993
pp. 105, DM 40
Maine de Biran
Oeuvre
Correspondace philosophique
Maine de Birane - Ampère
Vrin, ottobre 1993
Mainusch, H. (a cura di)
Einheit und Wissenschaft
pp. 200, DM 28
Gli autori investigano intorno alla
questione se, la diffusa accettazione dell’esistenza di “due culture”, cioè della divisione tra le
scienze della natura e dello spirito non sia solo sbagliata, ma possa anche essere pericolosa.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Mann, Heinrich
Nietzsche
Saggiatore, ottobre 1993
pp. 96, L. 12.000
Scritto nel 1938, questo testo esegue
una difesa del pensiero di Nietzsche
da un lato utilitaristicamente usato
dalla propaganda nazista, dall’altro
attaccato dagli intellettuali progressisti. Mann interpreta l’itinerario del
filosofo alla luce del rapporto con
Wagner e insistendo sulla critica alla
cultura tedesca.
Maor, Eli
All’infinito e oltre
Storia culturale del concetto
di infinito
Mursia, dicembre 1993
pp. 304, L. 48.000
Il ruolo del concetto di infinito in
matematica e geometria, l’impatto
culturale sulle arti e sulle scienze.
La profonda impressione che da
sempre l’infinito ha esercitato sulla mente umana.
Martinus, Angelicus
Über di Verpflichtungen
De obligationibus
A cura di Franz Schupp
Meiner, settembre-ottobre 1993
pp. 170, DM 86
I trattati logici medioevali De obligationibus gettarono le basi per la formazione del metodo dell’argomentazione ipotetica, la forma basilare e
centrale per il pensiero scientifico
dell’epoca moderna.
Mengue, Philippe
Gilles Deleuze
Belfond, novembre 1993
pp. 350, F 140
Il volume contiene un saggio di presentazione e il riassunto, l’analisi ed
il commento delle opere di Deleuze,
prese in considerazione una per una
da parte dell’autore.
Methling, Alexander
Das Realitätsproblem
im Denken Schopenhauers.
Eine Untersuchung zur Struktur
seines Systems
Shaker, settembre-ottobre 1993
pp. 196, DM 119
Meyer, Theo
Nietzsche und die Kunst
UTB, novembre 1993
pp. 487, DM 36,80
Nella prima parte Meyer illustra gli
aspetti fondamentali della concezione
dell’arte di Nietzsche: il rapporto tra
vita dionisiaca, estetica della creazione e perspettivismo, la posizione reciproca delle arti e delle forme di poesia,
il rapporto tra Nietzsche e Wagner, il
processo artistico di Nietzsche. Nella
seconda parte viene evidenziato l’influsso di Nietzsche a partire dalla letteratura del Naturalismo passando attraverso i classici dell’epoca moderna
e fino ai contemporanei.
Millon-Delsol, Chantal
L’Esprit européen
Mamme, novembre 1993
pp. 256, F 95
In questo saggio, Chantal MillonDelsol, professore di filosofia politica e direttore del Centro di Studi
Europei dell’Università di Marne-laVallée, cerca di mettere in evidenza
la cultura europea, cioè la maniera
specifica in cui la cultura dà un senso
al mondo, alla vita e a se stessa.
Missa, Jean-Noël
L’Esprit-cerveau: la philosphie
de l’esprit à la lumière
des neurosciences
Vrin, novembre 1993
pp. 266, F 198
Si tratta di un’indagine filosofica attraverso le filosofie ed i campi di
ricerca più interessanti delle neuroscienze contemporanee. J.N. Missa,
indagando sulla percezione e il riconoscimento visivo, la visione cieca, il
cervello diviso, l’intenzionalità, il
darvinismo neurale e su altri argomenti, mette in evidenza l’apporto
delle neuro-scienze alla filosofia dello spirito.
emergere un rapporto di ordine essenziale e di ordine costruttivo fra
metafora, significato e conoscenza
scientifica.
Uno studio di come diverse tradizioni etiche trattano il problema
fondamentale morale degli affari
internazionali.
Mourel, Pierre (a cura di)
Démocrite et l’atomisme ancien:
les textes et les thèmes
fondamentaux de la philosophie
et de la science
Press-Pocket, settembre 1993
F 33
Benché si sappia poco della vita di
Democrito di Abdera, il contemporaneo di Socrate, la sua influenza sulla
filosofia del XIX secolo è comunque
stata considerevole.
Nida-Rümelin, Julian
Kritik des Konsequentialismus
Oldenburg, novembre 1993
pp. 197, DM 78
Il consequenzialismo è una concezione razionale che consiglia: “scegli le
azioni i cui effetti sono ottimali”.
Müller, Wolfgang, E.
Albert Schweitzers
Kulturphilosophie im Horizont
säkularer Ethik
de Gruyter, agosto-settembre 1993
pp. 331, DM 148
Raccoglie delle analisi sull’importanza dell’etica del profondo rispetto
della vita di Albert Schweitzer.
Müller-Seyfarth (a cura di)
’Die modernen Pessimisten
als décadents’. Von Nietzsche
zu Horstmann.
Texte zur Rezetionsgeschichte
von Philipp Mainländers Philosophie
der Erlösung
Königshausen & Neumann
settembre-ottobre 1993
pp. 148, DM 39,80
Mistrorigo, Luigi
Carl Schmitt
Dal “decisionismo” al
”nomos della terra”
Ed. Studium, dicembre 1993
L. 27.000
In questo libro vengono analizzate le
principali tematiche e provocazioni
schmittiane; dalla critica al “romanticismo politico” alla teologia politica;
dal concetto di “politico” alla sfida
dell’eccezione quale presupposto del
suo “decisionismo”.
Munz, Peter
Philosophical Darwinism.
On the Origin of Knowledge
by Means of Natural Selection
Routledge, agosto-settembre 1993
pp. 272, £ 35
Il volume esamina la conoscenza alla
luce della biologia ed in particolare
della teoria della selezione naturale di
Darwin. Munz sostiene che l’acquisizione della conoscenza è un diritto
ininterrotto, dalla protozoa fino alle
teorie scientifiche più avanzate.
Mittmann, Jörg-Peter
Das Prinzip der Selbstgewißheit.
Fichte und die Entwicklung
der nachkantischen
Grundsatzphilosophie
Athenäum Hain Hanstein
novembre 1993
pp. 218, DM 64
Monk, Ray
Ludwig Wittgenstein:
le devoir du génie
O. Jacob, ottobre 1993
F 220
Questo volume presenta una biografia e uno studio dell’opera del noto
logico austriaco naturalizzato britannico, nato a Vienna nel 1889 e morto
a Cambridge nel 1951: il suo percorso personale, i suoi rapporti tesi con
l’ambiente filosofico inglese, in particolare con Bertrand Russell, il suo
scetticismo e il suo pessimismo.
Montuschi, Eleonora
Le metafore scientifiche
Angeli, novembre 1993
pp. 144, L. 24.000
Diverse teorie ed analisi della metafora scientifica, presentate, confrontate e commentate, con lo scopo di far
74
Niessen, Stefan
Traum und Realität:
ihre neuzeitliche Trennung
Königshausen & Neumann
settembre-ottobre 1993
pp. 324, DM 68
Questo libro analizza la storia delle
interpretazioni dei sogni e delle teorie
sui sogni da Omero a Kant e colloca
la svolta cartesiana riguardante la
concezione del sogno nel contesto
generale della storia della coscienza.
Nietzsche, Friederich
Oeuvres
Laffont, novembre 1993
pp. 3105, F 318
Una critica radicale delle basi kantiane della conoscenza e del razionalismo scientista.
Novalis
Opera filosofica
Einaudi, dicembre 1993
pp. 869, L. 85.000
Nozick, Robert
The Nature of Rationality
Princenton UP, agosto-sett. 1993
pp. 232, $ 25
In questo volume Nozick continua la
sua ricerca sui rapporti tra la filosofia
e l’esperienza “comune”. Nello stile
accessibile e vivo che ormai i suoi
lettori si aspettano da lui, Nozick offre un’ardita teoria della razionalità,
quella tradizionalmente tesa a fissare
il “carattere speciale” dell’umanità.
Musso, Paolo
Rom Harré e il problema
del realismo scientifico
Angeli, novembre 1993
pp. 208, L. 28.000
Sono qui affrontati tutti i principali
temi dell’epistemologia contemporanea, dal problema del realismo a quello
del metodo, dal dibattito tra verificazionismo e falsificazionismo a quello
tra razionalismo e irrazionalismo, dal
ruolo della logica alle rivoluzioni
scientifiche, fino al funzionamento
degli esperimenti cruciali e ai problemi posti dai più recenti sviluppi della
scienza dei sistemi complessi.
Nuzzo, A. (a cura di)
La logica e la metafisica di Hegel
Nis, dicembre 1993
pp. 168, L. 27.000
Nardi, Terry et al. (a cura di)
Traditions of International Ethics
Cambridge UP, sett-ottobre 1993
pp. 342, £ 16.95
Oehler, Klaus
Charles Sanders Peirce
C.H. Beck, novembre 1993
pp. 180, DM 24
O’Donohue, John
Person als Vermittlung.
Die Dialektik von Individualität
und Allgemeinheit in Hegels
’Phänomenologie des Geistes’.
Eine philosophisch-theologische
Interpretation
Matthias-Grünewald-Vlg.
agosto-settembre 1993
pp. 490, DM 56
NOVITÀ IN LIBRERIA
Oehler presenta un’introduzione
completa a Peirce, che riesce però
ad approfondire sia le circostanze
della sua vita, che i suoi rapporti
con Kant, la sua teoria della conoscenza, il suo concetto di realtà, la
sua teoria del segno, l’estetica, l’etica e la filosofia della religione,
come pure i suoi accenni relativi
alla cosmologia evoluzionistica.
Ollmann, Bertell
Dialectical Investigations
Routledge, agosto-settembre 1993
pp. 208, £ 13
Un’introduzione di base alla dialettica
ed una stimolante esposizione della
sua applicazione ad una vasta gamma
di fenomeni sociali e storici. In questo
volume l’autore presenta sei casi di
metodo dialettico in azione.
Opocher, Enrico
Lezioni di filosofia del diritto
Cedam. ottobre 1993
pp. 320, L. 38.000
Seconda edizione: La filosofia del diritto, Momenti essenziali nella storia
della coscienza giuridica dell’Occidente, Tre riflessioni sul diritto come
valore.
Palous, Radim
Das Weltzeitalter.
Eine Hypothese über das Ende
der Europäischen Epoche und über
den Anfang des Weltzeitalters
Academia-Vlg, agosto-sett. 1993
pp. 128, DM 29,50
Panikkar, Raimon
Saggezza stile di vita
Giunti, dicembre 1993
pp. 192, L. 20.000
Secondo l’autore di questo saggio ai
confini tra etica, religione e filosofia
morale, è il nostro modello culturale
a impedire il raggiungimento di quella completezza conoscitiva che costituisce la saggezza. Nell’ambito individuale la saggezza riuscirà a trovare
la propria “dimora” laddove sapranno formarsi una piena presa di coscienza e una serena accettazione della
propria vita.
Parrochia, Daniel
Philosophie des réseaux
PUF, ottobre 1993
pp. 304, F 198
In che direzione va la società moderna? Si troverà in una situazione simile ad una rete intricata, oppure dovrà
fronteggiare una qualche rilevante
catastrofe? Oppure ci aspetta un controllo progressivo di questo universo fluido della comunicazione, nel
quale siamo entrati, nel bene e nel
male? Un filosofo si interroga.
Pasqua, Hervé
Introduction à la lecture
de ‘Etre et temps’
de Martin Heidegger
Age d’homme, ottobre 1993
pp. 184, F 120
Si è dovuto aspettare fino al 1985 per
poter avere una traduzione integrale ,
realizzata da E. Martineau, di Sein
und Zeit, pubblicato per la prima volta nel 1927. Questo studio ha lo scopo
di facilitare l’accesso a questo testo,
ritenuto difficile.
Papajorgis, Kostis
Der Rausch. Ein philosophicher
Aperitif
Trad. dal greco moderno
Klett-Cotta, novembre 1993
pp. 175, DM 38
Papi, Fulvio
Capire la filosofia
Ibis, novembre 1993
pp. 128, L. 18.000
Capire la filosofia è un problema che
nasce in una piega del complicato
mondo del “se stessi” quando un desiderio di pensiero, non importa come,
si fa strada tra gli itinerari dell’esperienza e i luoghi del senso comune.
Ma poi? Poi bisogna saper ascoltare il
tessuto filosofico dei testi, imparare
le loro lingue, saper ripetere i loro
percorsi fedeli al loro significato.
Patella, Giuseppe
Graciàn o della perfezione
Ed. Studium, dicembre 1993
L. 24.000
Questo lavoro si presenta come una
riflessione sul pensiero del gesuita
spagnolo, proponendosi da un lato
come una ipotesi interpretativa, che
cerca di cogliere il significato essenziale di tale pensiero all’interno delle
complesse coordinate della cultura
del Barocco, e dall’altro come un
75
tentativo di chiarificazione storiografica in un’ampia considerazione degli aspetti etico-politici, estetico-filosofici di tale riflessione.
Perko, Gudrun
Aufschlüsse der Einbildungskraft.
Auswirkungen und Wirkungsweisen
der Phantasie
Centaurus, agosto-settembre 1993
pp. 112, DM 24
Perry, John
’The Problem of the Essential
Indexical’ and Other Essays
Oxford UP, agosto-settembre 1993
pp. 352, £ 32
Questa raccolta di saggi presenta diversi aspetti dell’opinione dell’autore sulla filosofia del linguaggio e la
filosofia della mente. Egli discute i
problemi legati ai self-locating beliefs, quelle convinzioni che si esprimono con gli indexicals ed i dimostrativi
come “io” e “questo”.
Pettit, Philip (a cura di)
Consequentialism
Dartmouth, sett.-ottobre 1993
pp. 500, £ 60
Quest’opera si occupa dei tutti gli
aspetti del consequenzialismo; include infatti: l’utilitarismo, l’alienazione, le richieste della moralità, il consequenzialismo restrittivo, le azioni
alternative, una guida oggettivista ai
valori soggettivi, un’opera recente sui
limiti dell’obbligo ed altro.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Philenko, Alexis
Lecture de la ‘Phénomelogie’
de Hegel: Préface, Introduction
Vrin, novembre 1993
pp. 258, F 198
Nel volume è possibile trovare il riassunto dei testi che sono serviti da
supporto alle lezioni consacrate a
Hegel e tenute alla Facoltà di Lettere
dell’Università di Rouen nel 199192. Secondo A. Philenko, lo spessore
speculativo di Hegel era l’espressione di un pensiero coerente e chiaro
che i commentatori hanno complicato inutilmente.
Phillips, D.Z.
Wittgenstein and Religion
Macmillan, sett.-ottobre 1993
pp. 240, £ 15
Le esplorazioni delle nozioni centrali
della tarda filosofia di Wittgenstein
sono destinate ad influire sul dissidio
tra fede ed ateismo, linguaggio e rituale, male e teodicee, sulla comprensione dell’esperienza religiosa, sui
miracoli e la possibilità di una filosofia cristiana.
Phillips, Derek L.
Looking Backward.
A Critical Appraisal
of Communitarian Thought
Princenton UP, agosto-sett. 1993
pp. 280, $ 35
Phillips, prendendo in considerazione l’importanza della comunità per
la nostra vita politica e morale attuale, fornisce la prima critica esauriente delle affermazioni storiche, spesso nostalgiche, che percorrono le versioni dominanti della filosofia comunitaria.
Picht, Georg
Geschichte und Gegenwart.
Vorlesungen und Schriften
Introd. di E. Schulin
Klett-Cotta, novembre 1993
pp. 142, DM 68
Pieper, Hans-Joachim
’Anschaung’ als operativer Begriff
Eine Untersuchung zur Grundlegung
der transzendentalen Phänomenologie
Edmund Husserls
Meiner, settembre-ottobre 1993
pp. 308, DM 86
Con un intervento critico immanente
questo libro rende trasparente la struttura dei tentativi di impostazione di
Husserl. Vengono così alla luce le
premesse implicite nel metodo e le
sue contraddizioni immanenti.
Pinchard, Bruno - Ricci, Saverio
(a cura di)
Rationalisme analogique
et humanisme théologique:
la culture de Thomas de Vio,
Il Gaetano Actes/colloque de Naples
1er-3 nov. 1990
Vivarium, novembre 1993
pp. 393, F 264
Il testo raccoglie degli studi in lingua
italiana, francese e spagnola (presentati nel corso del convegno, tenutosi a
Napoli dal 1˚ al 3 novembre ’93) su
Tommaso Cajétan, il commentatore
domenicano dell’opera di Tommaso
d’Aquino. Durante il suo soggiorno a
Padova nel 1491, Tommaso Cajétan
si inserisce nei dibattiti tra averroisti,
scotisti e tomisti. Nel 1498, a Pavia,
redige l’Analogia dei nomi e raggiunge il punto più alto della sua riflessione sui fondamenti della metafisica.
Una delle opere fondamentali dell’importante filosofo razionalista.
Poulain, Jacques
La Neutralisation du jugement
ou la Critique pragmatique
de la raison politique
L’Harmattan, settembre 1993
pp. 268, F 140
La critica pragmatica sviluppata da
K.O. Apel e J. Habermas intende rigenerare la vita etica e politica, regolandola attraverso la potenza critica
del consenso. Per l’autore, questa etica neutralizza ogni giudizio personale, mentre solo l’esercizio del giudizio
politico può restituire alla vita politica
la sua forza di emancipazione.
Platone
Protagora
Tr. di M. Trédeé e P. Demont
LGF, settembre 1993
F 30
Protagora viene pregato da Socrate di
dare una definizione della sofistica.
Segue in dialogo sulla politica, la
virtù e la poesia. Al testo di Platone
sono state aggiunte le proposte di
Protagora riportate dalla tradizione.
I commenti e le note sono adatatte
agli studenti del liceo e a quelli del
primo ciclo.
Prigogine, I. - Stengers, I.
Das Paradox der Zeit.
Zeit, Chaos und Quanten
Piper, settembre-ottobre 1993
pp. 320, DM 48
Recentemente dalle scienze naturali
ci sono venute nuove, entusiasmanti
teorie che ci aiuteranno a comprendere meglio il tempo. Prigogine e Stengers mostrano come è nato il paradosso del tempo, quali conseguenze ha
avuto e come l’instabilità ed il caos
contribuiranno a risolvere il paradosso del tempo.
Platone
Le sophiste
trad. di N. L. Cordero
Flammarion, ottobre 1993
pp. 320, F 40
Oltre alla critica della sofistica, il
primo tema del dialogo, viene dibattuto il problema dell’essere e non
essere, che si conclude con la distruzione dell’assioma di Parmenide.
Prodi, Enrico
Quale metodo per la scienza?
Angeli, novembre 1993
pp. 664, L. 75.000
Alle svariate proposte alternative,
volte a determinare criteri per la scelta razionale del metodo scientifico, si
contrappone la più classica meta-metodologia assiologica che fa dipendere
la giustificazione del metodo dalla sua
relazione con lo scopo della scienza.
Plumpe, Gerhard
Ästhetische Kommunikation
der Moderne.
Vol. 2: Von Nietzsche
bis zur Gegenwart
Westdt. Vlg., sett-ottobre 1993
pp. 270, DM 52
Il secondo volume approfondisce la
scientifizzazione e la politicizzazione della teoria dell’arte nel contesto
storico dell’avanguardia e tematizza
il ritorno della grande filosofia estetica nel nostro secolo, che riprende i
leitmotiv della filosofia dell’arte romantica.
Quéré, Louis
La théorie de l’action:
le sujet pratique en débat
Ed. du CNRS, ottobre 1993
pp. 342, F 190
Come è possibile rendere conto delle
azioni umane? Questa domanda, che
era già centrale per la filosofia greca,
continua ad alimentare i dibattiti contemporanei nel settore delle scienze
umane e sociali.
Plutarco
Le contraddizioni degli stoici
Rizzoli, ottobre 1993
pp. 454, L. 16.000
Questo scritto, nato per confutare e
distruggere il pensiero degli Stoici, è
diventato una delle poche fonti del
pensiero dei filosofi di questa scuola.
Infatti, per dimostrare gli errori degli
Stoici, Plutarco espone le loro posizioni e cita passi delle loro opere. La
presente edizione si distingue per
l’ampio commento di Marcello Zanatta cui si devono pure l’introduzione e la traduzione.
Rademacher, Claudia
Versöhnung oder Verständigung.
Kritik der Habermasschen
Adorno-Revision
zu Klampen, agosto-settembre 1993
pp. 120, DM 28
Ränsch-Trill, Barbara
Harlekin. Zur Ästhetik
der lachenden Vernunft
Olms, novembre 1993
pp. 228, DM 39,80
Popper, Karl R.
Objektive Erkenntnis.
Ein evolutionärer Entwurf
Hoffmann & Campe, agosto 1993
pp. 432, DM 28
76
Raters-Mohr, Marie-Luise
Intensität und Widerstand.
John Deweys ‘Art as Experience’
als philosophisches System,
als politischer Appell
und als Theorie der Kunst
Bouvier, agosto-settembre 1993
pp. 260, DM 48
Reale, Giovanni
Zu einer neuen Interpretation
Platons. Eine Auslegung
der Metaphysik der großen Dialog
im Lichte
der ‘ungeschriebenen Lehren’
trad. dall’italiano
Schöningh, settembre-ottobre 1993
pp. 640, DM 128
Rehberg, K.-S. (a cura di)
Arnold Gehlen Gesammtausgabe
Vol. III: Der Mesch, seine Natur
und seine Stellung in der Welt
Klostermann, novembre 1993
pp. 960, DM 148
Questa edizione critica include l’opera completa, edita nel 1940.
Reiter, Peter
Der Seele Grund. Meister Eckhart
und die Tradition der Seelenlehre
Königshausen & Neumann
settembre-ottobre 1993
pp. 564, DM 98
Questo lavoro riunisce in sé una visione d’insieme sviluppata dal punto
di vista argomentativo e acuta da quello speculativo ed una collocazione
filosofico-storica sicura e meticolosamente ancorata al testo.
Rella, Franco
Miti e figure del moderno
Feltrinelli, ottobre 1993
pp. 176, L. 13.000
Nella dissoluzione dei miti e delle
ideologie che poggiavano sui presupposti della razionalità classica, il moderno appare come disgregazione,
“evanescenza dei limiti del mondo”.
E così lo percepirono anche i filosofi,
a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Rella ci offre un affascinante
percorso attraverso la costellazione
dei nuovi miti e delle nuove enigmatiche figure emerse negli ultimi centocinquant’anni della civiltà europea.
Renaut, Alain
Sartre: le dernier philosophe
Grasset, ottobre 1993
pp. 252, F 120
L’Etre et le néant fu pubblicato nel
dicembre del 1933. A cinquantanni di
distanza da questa pubblicazione,
l’impossibilità di concepire un progetto della stessa portata costiuisce il
migliore approccio negativo alla nostra situazione filosofica. Nel volume
ci si interroga sulla condizione filosofica alla fine del XX secolo.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Rescher, Nicholas
Warum sind wir nicht klüger?
Der evolutionäre Nutzen
von Dummheit und Klugheit
Hirzel, novembre 1993
pp. 96, DM 29
L’essere umano rimane ancora legato
al punto di partenza dell’evoluzione
biologica dello spirito e della natura:
il fatto che la nostra scienza e la nostra
matematica siano applicabili alla realtà, che noi siamo così stupidi (o così
intelligenti) come siamo, ha la sua
origine nella naturalezza sociale e
biologica dell’essere umano.
Reusswig, Fritz
Natur und Geist. Grundlinien
einer ökologischen Sittlichkeit
nach Hegel
Campus, novembre 1993
pp. 256, DM 68
Al centro dell’argomentazione è collocato il concetto della soggettività,
che viene interpretata come una constellazione formata da natura, individuo e società. Reusswig enuclea i
principi di una teoria delle istituzioni
riflessive e di una integrità ecologica
nelle opere di Hegel.
Ricken, Friedo
Geschichte der Philosophie.
Von der Antike bis zur Gegenwart
Kohlhammer, novembre 1993
pp. 1166, DM 120
Ricoeur, Paul
Il male
Una sfida alla filosofia
e alla teologia
Morcelliana, dicembre 1993
L. 10.000
In pagine intessute di finezza ermeneutica e rigore teoretico, Ricoeur
disegna da un lato una fenomenologia del male: la sofferenza, la pena, il
peccato, l’intreccio di male subìto e
male commesso. D’altro lato ricostruisce il formarsi dell’onto-teologia e delle sue diverse teodicee.
Rivenc, François
Recherches sur l’universalisme
logique: Russel et Carnap
Payot, ottobre 1993
pp. 312, F 195
Studio delle rivoluzioni concettuali
della logica tra il 1900 e il 1950,
attraverso le ricerche di Russel e Carnap, che vengono presentate in maniera chiara e rigorosa e collocate nel
loro contesto storico. F. Rivenc non si
nasconde dietro agli autori che studia, ma prende posizione sugli argomenti presentati.
Rodotà, Stefano (a cura di)
Questioni di bioetica
Laterza, novembre 1993
pp. 440
Scienziati, giuristi e filosofi di tutto il
mondo, direttamente impegnati nella
ricerca, dialogano sulle implicazioni
sociali ed etiche nei campi dell’ingegneria genetica e della biomedica.
Rohbeck, Johannes
Technologische Urteilskraft.
Zu einer Ethik technischen Handels
Suhrkamp, nocvembre 1993
pp. 312, DM 22,80
Ruben, David-Hillen (a cura di)
Explanation
Oxford UP, agosto-sett.1993
pp. 328, £ 10
Una raccolta dei più importanti scritti
sulla natura della spiegazione. Il volume copre un ampio spettro di argomenti, dalla filosofia della scienza
fino all’argomento filosofico centrale della teoria della conoscenza.
Rohrhirsch, Ferdinand
Letzbegründung
und Traszendentalpragmatik.
Die Kommunikationsgemeinschaft
in der Kritik
Bouvier, agosto-settembre 1993
pp. 200, DM 54
Con la dimostrazione di una ragione che si assoggetta a se stessa
all’infinito, il ricorso di Apel alla
società della comunicazione ideale diventa superfluo. La storicità
della ragione viene valutata in
modo nuovo, nella sua importanza
per i concetti di fondazione.
Runzo, Joseph (a cura di)
Is God Real?
Macmillan, agosto-settembre 1993
pp. 288, £ 40
Questa raccolta di saggi affronta il
dibattito contemporaneo sul realismo
teologico. Esiste una realtà trascendente e divina indipendente dal pensiero umano? Il libro presenta un dialogo tra realisti e non realisti, attraverso saggi di importanti sostenitori
di entrambe le fazioni.
Rorty, Richard
Scritti filosofici
Vol. II
a cura di Aldo G. Gargani
Laterza, ottobre 1993
pp. 300
Il linguaggio, i rapporti tra filosofia e
letteratura, i temi etico-politici: il contributo di un eminente studioso ai temi
più attuali del pensiero filosofico.
Rusterholz, P. - Svilar, M.
(a cura di)
Welt der Zeichen Welt der Wirklichkeit
Haupt, agosto-settembre 1993
pp. 150, DM 49
Relazioni del congresso di Münchenwil e della serie di lezioni del
Collegio Generale dell’Università di
Berna tenutesi nel semestre estivo
dell’anno 1992.
Rosen, Stanley
The Question of Being.
A Reversal of Heidegger
Yale UP, agosto-settembre 1993
pp. 368, $ 38
Stanley Rosen propone una nuova
interpretazione della metafisica, che
si oppone alle dottrine tradizionali
attaccate da Heidegger, da una parte,
e dai filosofi contemporanei influenzati da Heidegger dall’altra.
Ruß, Hans G.
Der neue Mystizismus.
Östliche Mystik und moderne
Naturwissenschaft im New AgeDenken
Königshausen & Neumann
settembre-ottobre 1993
pp. 96, DM 24,80
Sänger, Monika
Kurswissen praktische Philosophie
Ethik. Grundpositionen
der normativen Ethik
Klett, settembre-ottobre 1993
pp. 179, DM 26,80
Rosset, Clément
Logique du pire: élements
pour une philosophie tragique
PUF, novembre 1993
pp. 192, F 55
In questa nuova edizione del volume
di Rosset, viene descritta nella maniera più precisa possibile - ed ecco il
perché dell’espressione logique du
pire (“logica del peggio”) - ciò che
può essere l’estasi filosofica di fronte
allo spettacolo di avvenimenti tragici
o dettati dal destino.
Savater, Fernando
Invito all’etica
Sellerio, novembre 1993
pp. 156, L. 22.000
La scoperta della responsabilità e
dell’identità, la scoperta del soggetto,
oltre e contro il Fato e il Cosmo degli
antichi. Un’indagine sui fondamenti
della certezza morale e del razionalismo dell’azione umana.
Roviello, Anne-Marie
Weymbergh, Maurice (a cura di)
Hannah Arendt et la modernité
Vrin, settembre 1993
pp. 173, F 120
Il pensiero di H. Arendt, sempre in
tensione tra il ritiro legato allo stupore filosofico e l’impegno appassionato del giudizio, ci ricorda la dignità
ontologica del politico, il luogo fondamentale della questione del senso,
secondo il filosofo.
Savigny, Eike von
Die Philosophie der normalen
Sprache. Eine kritische Einführung
in die ‘Ordinary
Language Philosophy’
Suhrkamp, novembre 1993
pp. 424, DM 29,80
Savigny, Eike von
Wittgensteins ‘Philosophische
Untersuchungen’. Ein Kommentar
für Leser
Vol. I: brani 1-315
Klostermann, novembre 1993
pp. 410, DM 78
Si tratta della seconda versione, completamente rivista ed ampliata.
Schefe, P. - Boden M.A.(a cura di)
Informatik und Philosophie
Bl-Wiss.-Vlg., novembre 1993
pp. 336, DM 38
Schluck-Volkmann, Karl-Heinz
Nicolò Cusano
La filosofia nel trapasso
dal Medioevo all’Età Moderna
Morcelliana, dicembre 1993
L. 35.000
Questa monografia è un’introduzione alla filosofia cusaniana. Con un
argomentare serrato e analizzando le
opere maggiori del Cusano, l’autore
inizia il lettore ai concetti cardine del
pensiero cusaniano: l’aenigmatica
scientia, le dottrine della mens, della
contractio...
Schmidt, B. - Raulet, G.
(a cura di)
Kritische Theorie des Ornaments
Böhlau, novembre 1993
pp. 200, ÖS 380
Lo scopo della teoria critica dell’ornamento è di chiarire le premesse
teoriche, ideologiche e filosofiche del
concetto di ornamento all’interno
della storia dell’arte moderna.
Schmidt, Hermann Josef
Nietzsche absconditus
oder Spurlesen bei Nietzsche
Vol II: Jugend. Interniert
in der Gelehrtenschule:
Pforta 1858 bis 1864
oder Wie man entwickelt,
was man kann, längst war
und weiterhin gilt, wie man
ausweicht und doch neue
Wege erprobt
Parte I: 1858-1861
IBDK, novembre 1993
pp. 633, DM 84
Anche questa parte delle monografie
singole sulle opere giovanili di Nietzsche dimostra quanto siano importanti per una comprensione più adeguata delle opere filosofiche dell’autore.
Schöeps, J.H. - Bagel-Bohlan, A.
Heitmann M. - Lohmeier D.
(a cura di)
’Philo des 19. Jahhunderts’.
Studien zu Salomon
Ludwig Steinheim
Olms, novembre 1993
pp. 303, DM 58
Schöpf, A. et al. (a cura di)
Moral und Gesellschaft
H. Röll, novembre 1993
pp. 148, DM 24
77
NOVITÀ IN LIBRERIA
Il volume pone la domanda sulle possibilità di fondare una morale che
comprenda la pluralità di dati di fatto
e di condizioni della società industriale moderna.
Schulte Günther
Der blinde Fleck in Luhmanns
Systemtheorie
Campus, novembre 1993
pp. 240, DM 48
L’autore rivela come la teoria dei
sistemi sia una grande metastruttura
narrativa, un’ideazione mitica di un
mondo che attraverso l’osservazione
si rende inosservabile. Nella sua critica Schulte si rifà alla biologia cognitiva di Maturana e alla logica di
Spencer Brown.
Seneca, Lucio Anneo
La brevità della vita
Rizzoli, novembre 1993
pp. 102, L. 12.000
Il senso della fuga del tempo e della
caducità delle cose percorre tutta
l’opera; Seneca sa che la vita è un
terreno di lotta minato dall’ansia e
dalla realtà dello scacco. A questa
realtà egli oppone il fronte di una
problematica saggezza, che invita a
liberare lo spazio breve dell’esistenza dalla futili tendenze.
Seppmann, Werner
Subjekt und System. Zur Kritik
des Strukturmarxismus
zu Klampen, agosto-settembre 1993
pp. 190, DM 38
Sernin, André
Auguste Comte prophète
du XIXe siècle: sa vie, son oeuvre
et son actualité
Albatros, ottobre 1993
pp. 465, F 150
Attraverso questa presentazione della vita e dell’opera di A. Comte, l’autore intende rendere giustizia a questo pensatore universalista, nemico
dei fanatismi, nella speranza che ciò
di vivo che resta della sua dottrina
contribuisca a colmare il vuoto lasciato dal crollo delle ideologie dominanti.
Serres, Michel
Die fünf Sinne. Eine Philosophie
der Gemenge und Mischungen
Suhrkamp, novembre 1993
pp. 420, DM 68
Questo libro si occupa di come potrebbe svilupparsi una problematica
già approfondita dalla filosofia ai suoi
inizi in Grecia: sitratta della domanda
sul rapporto tra il soggetto che pensa,
giudica e parla e ciò che gli viene
fornito in maniera diretta tramite la
percezione attraverso i suoi cinque
sensi.
Mai come oggi è necessario un profondo ripensamento sul sistema capitalistico, considerandolo sprattutto,
in quanto immerso in un continuum,
correlato cioè con politica, tecnologia, democrazia, ecologia, etica, Chiesa, pensiero filosofico, e non come
un’entità a sé stante destinata a un’esistenza eterna. Severino in queste pagine traccia un bilancio e fornisce
un’interpretazione sullo stato attuale
del capitalismo, perché sia venuto a
costituirsi quale lo vediamo e quale
possa essere il suo destino.
Shäfner, L. - Ströker, E.
(a cura di)
Naturauffassungen in Philosophie,
Wissenschaft, Technik
Vol. I: Antike und Mittelalter
K. Alber, novembre 1993
pp. 258, DM 68
Shimony, Abner
The Search for a Naturalistic
World View
Vol. 1: Scientific Method
and Epistemology
Vol. 2: Natural Science
and Methaphysics
Cambridge UP, sett-ottobre 1993
pp. 650, £ 30
Le opere di Shimony hanno avuto
un’influenza sia sulla filosofia sia sulle
comunità dei fisici. Questa raccolta
in due volumi dei suoi saggi, scritti
nell’arco di quarant’anni, esplora le
interrelazioni tra scienza e filosofia.
Skirbekk, Gunnar
Rationalité et modernité
L’Harmattan, novembre 1993
pp. 158, F 90
Essere moderni significa saper usare
la propria ragione. L’apologia della
soggettività moderna e la denuncia
post-moderna della sua volontà di
potenza sono due atteggiamenti filosofici che l’autore considera sorpassati. Egli, confidando nel potere della
razionalità, non esita ad estendere la
critica sociale al problema ecologico.
Stelzner, W. (a cura di)
Philosophie und Logik
de Gruyter, novembre 1993
pp. 422, DM 118
Il volume contiene gli atti dei FregeKolloquien, tenutisi a Jena dal 1989
al 1991. Si tratta di una serie di lavori
che analizzano il contesto scientifico
di Gottlob Frege, il fondatore della
logica moderna e l’iniziatore della
filosofia analitica, e prendono in considerazione le problematiche della
logica filosofica contemporanea.
Sober, Elliott
Philosophy of Biology
Westview, agosto-settembre 1993
pp. 224, £ 15
Una guida ad alcuni degli sviluppi
che si sono avuti nella filosofia della
biologia. Vengono analizzati argomenti come la teoria evolutiva, il
creazionismo, la teleologia, la natura rispetto all’educazione e la sociobiologia.
Störig, Hans-Joachim
Kleine Weltgeschichte
der Philosophie
Kohlhammer, novembre 1993
pp. 752, DM 49,80
Si tratta della sedicesima edizione,
riveduta, di questa storia della filosofia.
Spruit, Leen
Species intellegibilis
From Perception to Knowledge.
Vol. 1: Classical Roots
and Medieval Discussion
E. J. Brill, sett-ottobre 1993
pp. 250, FL 135
Questo studio esamina la storia di un
problema fondamentale della psicologia cognitiva aristotelica, cioè della
natura e della funzione dei meccanismi che forniscono alla mente umana
i dati concernenti la realtà fisica. Il
volume traccia la storia della psicologia cognitiva dai tempi classici fino al
XV secolo.
Silvestrini, Gabriella
Alle radici del pensiero
di Rousseau
Angeli, novembre 1993
pp. 224, L. 32.000
Il volume traccia un quadro delle istituzioni comunali di Ginevra e studia
i dibattiti che hanno accompagnato i
conflitti tra cittadini e governanti nella prima metà del Settecento, al fine
di ricostruire il contesto linguistico,
storico e politico che, seguendo le
indicazioni della recente storiografia,
appare imprescindibile per una migliore comprensione del pensiero
politico di Rousseau.
Stapp, H.P.
Mind, Matter
and Quantum Mechanics
Springer, settembre-ottobre 1993
pp. 260, DM 58
Henry Stapp è uno degli esponenti
più conosciuti del settore problematico e pieno di implicazioni della teoria
dei quanti. Questa raccolta di ristampe di saggi e di nuovi saggi sulla
teoria dei quanti e sulla mente interesseranno un vasto pubblico di scienziati, filosofi e non addetti ai lavori
interessati ad argomenti scientifici.
Simmons, Keith
Universality and the Liar.
An Essay on Truth
and the Diagonal
Argument
Cambridge UP, sett-ottobre 1993
£ 30
Questo saggio è su uno dei paradossi
più sorprendenti, il famoso paradosso del Liar (“il bugiardo”). Keith Simmons discute le soluzioni proposte
dai filosofi medioevali e offre le sue
soluzioni (la soluzione della singolarità) e, nel processo, valuta gli altri
tentativi contemporanei di risolvere
il paradosso.
Stark, Werner
Nachforschungen zu Briefen
und Handschriften Immanuel Kants
Akademie-Vlg., sett-ottobre 1993
pp. 376, DM 124
Steiger, Robert
Die kopflose Gesellschaft
oder ein Bericht
zur Lage der Nation
Die Blaue Eule
agosto-settembre 1993
pp. 160, DM 34
Severino, Emanuele
Il declino del capitalismo
Rizzoli, novembre 1993
pp. 280, L. 30.000
78
Strube, Claudius
Zur Vorgeschichte
der hermeneutischen
Phänomenologie
Königshausen & Neumann
settembre-ottobre 1993
pp. 142, DM 34
Sturlese, Loris
Die deutsche Philosophie
im Mittelalter. Von Bonifatius
bis Albert dem Großen
trad. dall’italiano
Beck, novembre 1993
pp. 460, DM 128
Szlezák, Thomas Alexander
Platon lesen
Frommann-Holzboog
agosto-settembre 1993
pp. 180, DM 34
Taylor, Charles
Radici dell’Io
Feltrinelli, ottobre 1993
pp. 656, L. 100.000
Obiettivo del libro è quello di spogliare l’immagine moderna dell’Io
dall’artificialità che spesso le deriva
da un approccio privo di spessore
storico, per restituirle tutta la pregnanza culturale e morale che ad essa
è propria, facendone il punto d’incontro delle infinite dimensioni di cui
è intessuta la vicenda umana.
Thiel, Detlef
Platons Hypomnemata.
Die Genese des Platonismus
aus dem Gedächtnis der Schrift
K. Alber, novembre 1993
pp. 272, DM 68
Tommaso d’Aquino
Prologen zu den Aristoteles
Kommentaren
a cura di F. Cheneval e R. Imbach
Klostermann, novembre 1993
pp. 116, DM 28
Nell’ultimo periodo della sua vita,
NOVITÀ IN LIBRERIA
Tommaso d’Aquino ha commentato dettagliatamente dodici opere di
Aristotele. Questo lavoro non testimonia solamente il suo interesse
per la filosofia, ma gli assicura
anche un posto all’interno della
storia delle interpretazioni dei testi
di Aristotele.
Touraine, Alain
Critica della modernità
Saggiatore, ottobre 1993
pp. 448, L. 50.000
Touraine cerca in questo libro le condizioni per una democrazia che non
sia più solo formale. La modernità
dev’essere il risultato delle complementarietà e opposizioni tra l’attività
della ragione, la liberazione del soggetto e il radicamento nel proprio
corpo e nella propria cultura del soggetto stesso.
Tugendhat, Ernst
Vorlesungen über Ethik
Suhrkamp, novembre 1993
pp. 400, DM 58
Come deve essere considerata la
morale quando tutte le instanze fondamentali religiose e tradizionali vengono a cadere? Considerando che il
programma di Tugendhat, “non devi
strumentalizzare nessuno”, non può
essere motivato in maniera assoluta,
ma solo reso plausibile, viene concesso ampio spazio alla presentazione di altri concetti ed alla loro messa
in discussione.
Ucciani, Louis
De l’ironie socratique
à la dérision cynique: élements
pour une critique par
les formes exclues
Belles lettres, ottobre 1993
pp. 270, F 240
”Socrate ironizza con Càllicle. Antistene e Diogene deridono Platone.
Ognuno ride dell’altro. Ed è sorprendente che ciò che suscita il riso non
nasca dal raccontarsi delle frottole,
ma da ciò che vi è di più serio. La
filosofia, in una delle sue origini, è
comica.”
metodo con il quale viene avviata una
riflessione sulla storia, riscoperta poi
dalla nostra epoca. Per Vico la verità
non va cercata se non nell’azione.
Ueberweg, F.
Grundriß der Geschichte
der Philosophie.
Die Philosophie des 17.
Jahrhunderts
Vol. II: Frankreich
und Niederlande
Schwabe, novembre 1993
pp. 110, DM 276
Si tratta della edizione completamente rielaborata della storia della filosofia curata da F. Ueberweg.
Vincent, Bernard (a cura di)
Thomas Paine ou la République
sans frontières
Presses universitaires de Nancy
ottobre 1993
pp. 200, F 100
Analizza la dimensione cosmopolita
della Rivoluzione francese attraverso
una problematica fondamentale: il
legame storico tra nazione e libertà,
tra progresso nazionale e sviluppo
della speranza democratica.
Vailati, Giovanni
Pojero, Giuseppe Amato
Epistolario (1898-1908)
Angeli, novembre 1993
pp. 224, L. 30.000
In questo carteggio, che viene offerto
al pubblico insieme con altre 72 lettere finora inedite di Vailati ad Amato
Pojero, si trovano utili riscontri sulla
filosofia di questo pensatore cremasco, che i firmatari del manifesto del
Circolo di Vienna non esitarono a
collocare accanto a Russel, Wittgenstein e Peano.
Vollmer, Gerhard
Wissenschaftstheorie im Einsatz.
Beiträge zu einer selbstkritischen
Wissenschaftsphilosophie
Hirzel, sett-ottobre 1993
pp. 226, DM 38
Weber, Christa
Systemtheoretische Ansätze
in der Geisteswissenschaft.
Mit besonderer Berücksichtung
von Johann Wolfgang von Goethe
und Rudolf Steiner
Interk. Kommunikation
agosto-settembre 1993
pp. 75, DM 32
Venturini, Nello
Chiesa e Stato in Antonio Rosmini
Nuova Coletti, novembre 1993
pp. 312, L. 39.000
Weinbruch, Ulrich
Das bewußte Erleben.
Ein systematischer Entwurf
Königshausen & Neumann
agosto-settembre 1993
pp. 144, DM 36
L’autore cerca di far luce sul processo
costitutivo della realizzazione umana.
Questo realizzarsi è una somma di
momenti, che si alimentano a vicenda,
senza essere riconducibili gli uni agli
altri. La chiara disamina dei momenti,
presi sia singolarmente sia nei loro
rapporti, svela la falsità dell’alternativa tra sensibilità e ragione.
Vergely, Bertrand (a cura di)
La Philosophie
Larousse, novembre 1993
pp. 768, F 150
Vico, Giambattista
De l’antique sagesse de l’Italie
trad. di J. Michelet (1835)
Flammarion, ottobre 1993
pp. 192, F 35
Non si tratta solamente di un’opera
patriottica sull’Italia, ma anche di un
Weingarten, Michael
Organismen - Objekte oder Subjekte
der Evolution?
Wissenschaft. Buchges.
settembre-ottobre 1993
pp. 321, DM 54
Weissman, David
Truth’s Debt to Value
Yale UP, settembre-ottobre 1993
pp. 288, £ 25
Il testo prende in considerazione diverse scuole di pensiero sulla natura
della verità. Wiessman sostiene che
la verità esiste nella corrispondenza
tra esposizione e fatto: ciò che può
essere detto sul nostro mondo può
essere misurato nei confronti di una
realtà che ha un carattere ed un’esistenza indipendentemente da ogni
caratteristica che noi le ascriviamo.
Weiß, Johannes
Vernunft und Vernichtung.
Zur Philosophie und Soziologie
der Moderne
Westdt. Vlg., agosto-sett. 1993
pp. 300, DM 49
Con la crescente autocritica della ragione, in particolare di quella scientifica, nell’accertarsi delle proprie possibilità e dei propri limiti, diventa
sempre più assurda l’idea che una
globale scientifizzazione di tutti gli
ambiti dell’esperienza e della vita
possa inevitabilmente portare con sé
il mondo della verità, della libertà e
dell’uguaglianza.
Wilke, G. (a cura di)
Horizonte. Wie weit reicht
unsere Erkenntnis heute?
Hirzel/Wiss. Verlagsges.
settembre-ottobre 1993
pp. 316, DM 48
Raccoglie gli atti del convegno tenutosi ad Aquisgrana dal 19 al 21 settembre 1992, organizzato dalla “Gesellschaft Deutscher Naturforscher
und Ärzte”.
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Ritagliare e spedire
in busta chiusa a:
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Informazione e Cultura,
Viale Montenero,68
20135 Milano
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Suggerimenti
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…………………………………………………………………………………
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79
NOVITÀ IN LIBRERIA
Willems, Klaas
Sprache, Sprachreflexion
und Erkenntniskritik. Versuche
einer transzendentalphänomenologischen Klärung
der Bedeutungsfrage
Narr, novembre 1993
pp. 490, DM 96
Questo studio si rivolge sia ai linguisti (soprattutto ai semantisti) che sono
interessati ai fondamenti della loro
disciplina, sia ai filosofi a cui preme
che vengano illustrati ed approfonditi
i legami tra filosofia e linguistica.
Wils, J.-P.(a cura di)
Orientierung durch Ethik.
Eine Zwischenbilanz.
Schöningh, settembre-ottobre 1993
pp. 240, DM 38
Con questo libro, famosi etici di diversa provenienza fanno un bilancio
provvisorio, interrogano l’etica sulla
sua capacità di fornire un orientamento. Contributi di: Karl-Otto Apel,
Vitorio Hösle, Dietmar Kamper, Julian Nida-Rümelin, Dietmar Mieth,
Konrad Ott, Wilhelm Schmidt, Klaus
Steigleder, Reiner Rimmer.
Wingert, Lutz
Gemeinsinn und Moral.
Elemente einer intersubjektivischen
Moralkonzeption
Suhrkamp, agosto-settembre 1993
pp. 340, DM 58
Con che cosa ha a che vedere la morale? Che cosa significa assumere un
punto di vista morale? Come e fino a
che punto possono essere giustificati
dei giudizi morali che provengono da
un punto di vista di questo tipo? Le
risposte di Lutz Wingert a queste domande costituiscono gli elementi di
una concezione intersoggettiva della
morale.
Wittgenstein, Ludwig
Letzte Schriften über
die Philosophie der Psychologie
(1949-1951). Das Innnere
und das Äußere
Suhrkamp, novembre 1993
pp. 140, DM 34
Yandell, Keith E. (a cura di)
The Epistemology
of Religious Experience
Cambridge Up, agosto-sett. 1993
pp. 432, £ 35
Affronta una domanda basilare per la
filosofia della religione. L’esperienza religiosa può fornire la prova della
fede? Se sì, come? Secondo l’autore
l’esperienza religiosa non è ineffabile; egli sostiene che una forte esperienza numinosa fornisce qualche prova dell’esistenza di Dio.
Witzany, Günther
Natur der Sprache
Sprache der Natur.
Sprachpragmatische Philosophie
der Biologie
Königshausen & Neumann
agosto-settembre 1993
pp. 250, DM 58
L’autore parte dal presupposto che la
natura animata sia strutturata ed organizzata dal punto di vista linguistico e
comunicativo. Tutti gli esseri viventi,
ed anche l’uomo, sarebbero quindi
membri della natura, una comunità
comunicativa universale, in cui, per
poter sopravvivere, devono essere rispettate determinate regole di comunicazione.
Yaqub, Aladdin M.
The Liar speaks the Truth.
A Defense of the Revision
Theory of Truth
Oxford UP, novembre 1993
pp. 176, £ 22.50
Il concetto di verità è sempre stato
oggetto di molta attenzione da parte
della letteratura filosofica, ma non
ha comunque trovato delle spiegazioni adeguate. Questo studio esplora un concetto “smitizzante” o “minimalista” della verità che può giustificare la sfida proposta da paradossi semantici quale quello del Liar
(“il bugiardo”).
Wollgast, Siegfried
Philosophie in Deutschland
zwischen Reformation
und Aufklärung (1550-1650)
Akademie-Vlg., novembre 1993
pp. 1040, DM 128
Zea, L.
Filosofia Latino americana
Pacini Fazzi, novembre 1993
pp. 121, L. 20.000
Una filosofia specifica latino americana in quanto qualsiasi filosofia non
può che partire da situazioni umane
determinate e contingenti. La pratica
filosofica in quanto tale, mentre spiega le differenze, le riporta a nuclei
problematici che riguardano l’intera
condizione umana.
Woolhouse, Roger
Descartes, Spinoza, Leibniz.
The Concept of Substance
in Seventeenth Century Metaphysics
Routledge, settembre-ottobre 1993
pp. 224, £ 13
Woolhouse fornisce una trattazione
sistematica delle fondamentali opinioni in materia di metafisica di questi importanti filosofi tra loro correlati ed esamina le aree di accordo e
disaccordo.
Zierhofer, W. - Steiner, D.
(a cura di)
Vernunft angesichts
der Umweltzerstörung
Westdt. Vlg., agosto-sett. 1993
pp. 280, DM 49
La cultura razionalista occidentale è
in procinto di privarsi delle proprie
basi vitali. Che cosa può significare
allora la ragione, di fronte alla distruzione ambientale? Verso cosa si deve
orientare la valutazione della convivenza ragionevole degli uomini tra di
loro e con la natura nella società,
dominata a livello mondiale da grandi sistemi anonimi come l’economia,
la politica e la scienza?
Zimmer, Jörg
Die Kritik der Erinnerung.
Metaphysik, Ontologie
und geschichtliche Erkenntnis
in der Philosophie Ernst Blochs
Dinter, agosto-settembre 1993
pp. 198, DM 39,80
Zimmerli, W.Ch. - Sandbothe, M.
(a cura di)
Klassiker der modernen
Zeitphilosophie
Wiss. Buchges., agosto-sett. 1993
pp. 320, DM 59
Un manuale, che guida il lettore alle
diverse tradizioni della moderna filosofia del tempo.
Zimmerli, Walter Ch.
Einmischungen. Die sanfte Macht
der Philosophie
Wiss. Buchges., sett-ottobre 1993
pp. 160, DM 19,80
La storia contemporanea nel ritratto
fornitoci da un filosofo critico.
a cura di A.M.; trad. it. di L.T.
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ome e cognome ………………………………………………………………
ndirizzo ………………………………………………………………………
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elefono ………………………………………………………………………
omputer usato
❏ IBM-Compatibile
❏ Macintosh
❏ Ms-Dos ❏ Windows
❏ System 6.x ❏ System 7.x
❏ Cd-Rom ❏ Monitor a colori ❏ Floppy 3.5” HD
uono di prenotazione
❏ Desidero prenotare fin d’ora n°… copie su floppy disk da 3,5” per Ms-Dos/Windows
❏ Desidero prenotare fin d’ora n°… copie su floppy disk da 3,5” per Macintosh
al prezzo scontato di £ 120.000 (iva esclusa)*
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80
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