Teatro inglese Con la locuzione teatro inglese si intendono tutte le forme di spettacolo drammatico provenienti da uno specifico Stato del continente europeo, l'Inghilterra. In senso allargato vi si includono alcune forme drammatiche britanniche della metà dello scorso millennio, in virtù del fatto che la storia del teatro degli stati britannici ha avuto il suo fulcro proprio in Londra. Forme arcaiche drammatiche Nell'intera Gran Bretagna è possibile rinvenire tracce di drammi arcaici denominati agon (generalmente, conflitto) di genesi popolare e campestre, agiti nel periodo invernale delle feste sia nelle case dei cittadini che nelle sale di ritrovo degli stessi. Privi di testo scritto e dunque basati sul mito pagano della comunità alla quale appartenevano, erano strutturati sulla forma dialogica tra più attori mascherati, che prendevano nomi differenti a seconda del luogo della rappresentazione: in Inghilterra venivano definiti Mummers[1] (termine usato anche in Irlanda), Tipteers o Soul-cakers[2], in Cornovaglia Geese-dancers, Goloshans o Guisers in Scozia.[3] Dei ludi popolari arcaici ben poco è rimasto e raramente vengono rappresentati. La struttura drammatica che li costituiva era comunque abbastanza definita e presenterà alcune similitudini col teatro medievale successivo: di norma un protagonista, il quale incarnava un esempio non di virtù (caratteristica che sarà poi del teatro religioso a partire da quello medievale) ma di caratteristiche positive, si trovava di fronte ad una sfida che poteva culminare con la sua morte e successiva resurrezione per mezzo delle arti magiche di un altro personaggio e alla quale succedeva un festeggiamento collettivo.[4] Teatro medievale Un pageant utilizzato nel Ciclo di Chester Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente ed il successivo imporsi della cultura e civiltà cattolica in Europa, le forme teatrali pagane furono aspramente combattute dalla Chiesa, che le considerava sinonimo di pericolosità per la moralità sociale. Sopravvissero, nell'alto Medioevo, giullarate e spettacoli di intrattenimento di menestrelli e buffoni, ma il materiale al loro riguardo è piuttosto scarso e, in genere, si tratta di fonti storiche di seconda mano. Mankind, protagonista dell'Everyman, lotta con la Morte. Il teatro risorse come fenomeno religioso grazie all'interpretazione delle Sacre scritturein forma drammatica, impersonate da laici all'interno delle chiese e via via spostatesi all'esterno di esse, su sagrati e piazze pubbliche. Grazie ai pageants, carri mobili sui quali avveniva una rappresentazione, lo spettacolo divenne itinerante e nacquero vere e proprie compagnie teatrali, senza alcun riconoscimento professionale o sociale, che portarono i propri repertori di matrice religiosa in giro per le città. Il fenomeno delle rappresentazioni di carattere religioso ebbe vasta diffusione in tutta l' isola britannica tra il XIII ed il XV secolo, per poi essere abolite da Enrico VIII nel 1548 e riprese da Maria Tudor, che le vide di nuovo proibite da Elisabetta I a causa del differente, seppur non fervente, orientamento religioso.[5] Un diagramma illustra la disposizione delle mansiones nel The Castle of Perseverance Le Sacre rappresentazioni ebbero in Inghilterra il loro apice con i mystery plays (anche detti miracle plays) e i morality plays: mentre i primi erano la drammatizzazione delle vite dei santi e delle vicende bibliche più celebri, i secondi portavano in scena la lotta dell'uomo contro le passioni e la lotta contro di esse delle virtù, rappresentate entrambe in scena da attori reali con l'ausilio di una sempre più precisa e spettacolarescenografia. Mentre in Inghilterra prevaleva l'uso di stazioni tra loro separate, ognuna rappresentante un differente luogo scenico, in Scozia si utilizzava il palcoscenico alla francese, costituito da un solo lungopraticabile sullo sfondo del quale erano dipinti o costruiti i vari ambienti in successione.[6] Si calcola che nel periodo di massima diffusione si tennero nell'intera Gran Bretagna rappresentazioni in oltre 125 città[5]: ci sono pervenuti molti testi scritti di esse, alcuni dei quali organizzati in cicli che presero il nome delle città di allestimento: tra i più celebri miracle plays si ricordano il Ciclo di Chester (della metà del Trecento), il Ciclo di York (successivo al 1350), il Ciclo di Wakefield (1425 circa) ed il Ciclo di N-Town (1468)[7]. Dal lato delle moralities, il più celebre rimane l'Everyman del tardo XV secolo mentre il più antico e lungo è il The Castle of Perseverance, sempre dello stesso secolo. Proprio grazie alla sempre maggiore diffusione di queste forme di sacra rappresentazione le compagnie laicali che le allestivano iniziarono a costituirsi come vere e proprie compagnie professioniste, sebbene il loro repertorio fosse limitato ed il loro riconoscimento sociale nullo. Certo è che la scenotecnica ebbe invece notevoli sviluppi. Il teatro pagano e popolare, demonizzato dalla Chiesa, sopravvisse in minima parte nei Mummer's plays di origine arcaica, e negli spettacoli dei giullari e trovatori, il cui luogo d'esibizione deputato erano le corti dei signori inglesi, dalla cui struttura deriverà poi la forma architettonica particolare del teatro elisabettiano. Rinascimento Ben Jonson Nel periodo che va dalla fine del XV secolo alla metà di quello successivo, coincidente con lo sviluppo del Rinascimento inglese, ebbero vasta risonanza gli interludi, forme drammatiche di intrattenimento agite nelle corti dei nobili e derivanti dallemoralities, ma di argomento non religioso: al contrario delle moralità classiche, il ruolo del protagonista era del signore che ospitava lo spettacolo e che lo vedeva non alla ricerca della salvezza eterna dell'anima, bensì della felicità terrena, discostandosi così enormemente dalle finalità del teatro religioso.[8] Non di rado negli interludi era contenuta una propaganda politica: poiché prendevano spunto dalla contemporaneità, accadeva che l'autore prendesse posizione nei confronti di un accadimento come nel King John di John Bale, nel quale l'autore dichiarava la tesi dell'omicidio di Giovanni Senzaterra da parte dell'arcivescovo di Canterbury. Nella drammaturgia degli interludi vi è inoltre la possibilità di scorgervi elementi di derivazione classica, soprattutto degli autori latini e della novellistica italiana, che rimarrà un punto di riferimento anche per la produzione drammatica successiva. La presentazione scenica degli interludi era caratterizzata dal dialogo di più attori con un accompagnamento musicale composto sovente da piffero e tamburino[6]. Degli interludi possediamo circa 80 frammenti di copioni che coprono un arco temporale che va dal 1466 al 1576.[9] Tra i maggiori autori del genere vanno ricordati innanzitutto John Heywood, John Rastell, Henry Medwall, John Redford, Nicholas Udall. Proprio Udall viene ricordato come l'autore della prima commedia inlingua inglese: si trattava del Ralph Roister Doister del 1535, una versione modificata del Miles Gloriosus di Plauto[10]. Il primo interludio pervenutoci completo viene invece genericamente identificato nel Fulgens and Lucrece di Henry Medwall, composto negli ultimi anni del Quattrocento[8]. Gli interludi, per il loro carattere politicizzato e colto, erano indirizzati ad un pubblico ben preciso: sullo stesso stile, ma di argomento comico e leggero, si inserivano le farse, rappresentate nelle piazze per il popolo.[11] Di derivazione medievale fu il masque[12], genere teatrale nato in principio da un carnascialesco corteo di maschere che, accompagnate da musica, allietavano le serate dei nobili e trasformato poi in una vera e propria opera teatrale anni dopo da Ben Jonson, che vi costruì impianti drammaturgici tali da renderlo celebre autore di tali spettacoli. Il teatro elisabettiano Un teatro elisabettiano Il teatro elisabettiano fu uno dei momenti di maggiore intensità del teatro inglese. Sotto questo nome si suole identificare la produzione teatrale collocata tradizionalmente fra il 1558 e il 1625, durante i regni dei sovrani britannici Elisabetta I d'Inghilterra e Giacomo I d'Inghilterra. Il termine, nella sua accezione di teatro rinascimentale inglese, si estende ai fenomeni teatrali fioriti nel periodo che va dalla riforma anglicana alla chiusura dei teatri nel 1642, a causa del sopraggiungere dellaGuerra Civile, comprendendo quindi anche buona parte del regno di Carlo I. La produzione del periodo successivo al 1603(anno della morte della regina) è talvolta definita in modo distinto come il teatro dell'età giacobita (jacobean) e presenta caratteri differenti dal precedente, di cui è l'evoluzione. Il teatro di tutto il periodo viene tradizionalmente associato a due grandi figure: la regina Elisabetta, da cui trae il nome, e il drammaturgo William Shakespeare, massimo esponente di questo periodo e considerato tuttora uno dei maggiori autori teatrali a livello mondiale. Sotto il regno di Elisabetta l'Inghilterra vide, nonostante gli attacchi dei puritani che non gradivano l'arte teatrale poiché vi scorgevano i tratti di attività ludiche che potessero allontanare i fedeli dal credo, una fioritura impressionante delle attività connesse allo spettacolo: l'associazionismo portò alla nascita di numerose compagnie configurate come un organismo moderno con tanto di autore, attore e scenografi, che prendevano sovente il nome del nobile finanziatore ricevendone quindi una protezione più o meno ufficiale. Nacque la figura dell'impresario teatrale, quando il teatro si configurò come una vera e propria attività commerciale: sorsero, nonostante le difficoltà del caso, strutture teatrali debitrici nella forma e logistica delle vecchie sale dei nobili dove si svolgevano spettacoli di puro intrattenimento. L'architettura teatrale Esterno della ricostruzione delGlobe Theatre a Londra Il palcoscenico del Globe nella ricostruzione romana a Villa Borghese Questi luoghi, chiamati playhouses, erano aperti al pubblico ed erano distanti, per rozzezza, dai raffinati teatri europei che stavano sorgendo nel resto del continente, il cui momento di massimo splendore fu rappresentato dalla concezione dello spazio delteatro all'italiana. Tra le numerose strutture teatrali vi erano il celebre Globe Theatre, ilThe Curtain, il The Rose ed altri ancora. Le strutture lignee sorgevano fuori dal territorio comunale londinese dove il poterepuritano, avverso all'arte teatrale, era meno forte. Di forma circolare, erano sprovviste di tetto e l'illuminazione era garantita dalla luce diurna nell'orario delle rappresentazioni, che avvenivano dal primo pomeriggio, per poi passare a quella delle candele e delle torce. Il palcoscenico, provvisto di sgabelli laterali dove sedevano alcuni spettatori e privo di sipario e di arco scenico, aveva un proscenio aggettante rialzato che dava nella platea dov'era il popolo, che assisteva in piedi alle messinscene. Alle spalle del palco vi era la continuazione delle gallerie del pubblico che si divideva in due parti: una al livello del palco e praticabile detta inner stage , l'altra al secondo livello detta upper stage: entrambe erano utilizzate come luoghi dell'azione scenica, e alle spalle dell'upper stage, nascosta, si celava l'orchestra musicale, che suonava non a vista. La drammaturgia Frontespizio de La tragedia spagnola di Thomas Kyd Christopher Marlowe La produzione teatrale scritta destinata ad un pubblico d'élite prese il nome di University wits (tradotto, ingegni universitari), intendendo con questa una schiera di drammaturghiche alzarono il livello medio della drammaturgia d'epoca, inserendovi riferimenti colti e attingendo alla propria cultura universitaria. Tra questi vanno ricordati John Lyly,Thomas Lodge, Christopher Marlowe, Robert Greene, Thomas Nashe, George Peele.[13] Se Lyly riprese nelle commedie la mitologia classica e le leggende per celebrare i fasti del regno elisabettiano come una ripresa dell'età dell'oro, George Peele incentrò la sua produzione sui drammi patriottici e storici, mentre Robert Greene si riservò di attingere ampiamente alla letteratura fantastica derivante dalla novellistica. Christopher Marlowe, spirito inquieto e ribelle, rivendica fortemente l'autorialità del singolo a scapito della produzione plurale frutto di collaborazioni[14]: la tensione dialettica delle sue opere miste ad una dose di volontà di stupire e di stravolgere l'ordine costituito sono riscontrabili in opere come Tamerlano il grande del 1587-1588, dove il personaggio principale diviene stereotipo del protagonista marlowiano, ossia l'uomo venuto dal nulla che raggiunge il potere imponendo il suo pensiero al di sopra delle ipocrisie sociali con una dose di sarcasmo e sfacciataggine che lo pongono in atteggiamento di sfida. Ancor più celebre è il suo Doctor Faustus del 1588-1593, dove trasforma un libello in dramma dalle tinte fosche e luciferine, in una celebrazione del dramma dell'interiorità che lo renderà celebre ai posteri per l'innovativo messaggio contenuto. Lontano dalla formazione universitaria fu invece Thomas Kyd, di cui ci rimane il testo La tragedia spagnola (1582-1592) che si configura come la prima tragedia di vendetta (revenge tragedy) ed è articolato su più livelli metateatrali grazie all'utilizzo del discorso drammatico diviso tra i personaggi che agiscono le scene e il coro di fantasmi che le commenta. William Shakespeare William Shakespeare Il frontespizio del secondo quarto dell'Amleto William Shakespeare (1564-1616) è considerato all'unanimità uno dei maggioridrammaturghi a livello mondiale, per la ricchezza delle sue opere e l'universalità dei messaggi dalle forti tinte contenuti in esse . Dei suoi lavori ci sono giunte tragedie, commedie e drammi storici, per un totale di 40 opere, la maggior parte delle quali di certa attribuzione: Tragedie: Romeo e Giulietta, Macbeth, Re Lear, Amleto, Otello, Tito Andronico, Giulio Cesare, Antonio e Cleopatra, Coriolano, Troilo e Cressida, Timone di Atene. Commedie: Le allegre comari di Windsor, La bisbetica domata, Cimbelino, Come vi piace, La commedia degli errori, La dodicesima notte, I due gentiluomini di Verona, I due nobili congiunti, Il mercante di Venezia, Misura per misura, Molto rumore per nulla,Pene d'amor perdute, Pericle- principe di Tiro, Il racconto d'inverno, Sogno di una notte di mezza estate, La tempesta, Timone d'Atene, Tutto è bene quel che finisce bene. Drammi storici: Riccardo III, Riccardo II, Enrico VI-parte I, Enrico V,-parte II, Enrico VI- parte III, Enrico V, Enrico IV- parte I, Enrico IV- parte II, Enrico VIII, Re Giovanni,Edoardo III. Le opere di Shakespeare, più volte rimaneggiate e riadattate alla contemporaneità, furono in periodi diversi riprese con successo dalla maggior parte degli attori e delle compagnie inglesi. Ad oggi il suo lavoro è considerato tra i punti più alti delladrammaturgia di tutti i tempi. Altri protagonisti Dal punto di vista della produzione drammatica, oltre a Shakespeare agirono per le scene numerosi autori, alcuni dei quali di stampo profondamente classicheggiante quali Samuel Daniel, William Alexander, Fulke Greville, Lord Brooke e William Alabaster, che si rifacevano ai moduli tragici senechiani[15] e le cui opere, di rado rappresentate, erano destinate ad una cerchia elitaria distante dalle rumorose playhouses. Il gusto degli spettatori si spostò pian piano sullatragicommedia, sebbene tragedie e commedie furono ancora rappresentate fino alla chiusura dei teatri nel 1660 per volere dei puritani. John Fletcher Francis Beaumont Di altro stampo erano gli autori di mestiere i quali, ad eccezione di Thomas Dekker, possedevano una buona cultura di base pur senza farne puro esercizio di stile: la loro produzione era quindi finalizzata essenzialmente alla rappresentazione. Francis Beaumont e John Fletcher lavorarono in alcuni drammi in coppia e Fletcher in particolare collaborò con Shakespeare nella stesura de I due nobili congiunti. Sebbene Beaumont fosse più dotato di Fletcher[16] fu quest'ultimo ad assicurarsi larga fama presso i contemporanei. Dall'apice del teatro elisabettiano si giunse poi ad un sostanziale inaridimento delladrammaturgia[17], sebbene vi siano autori che si siano ampiamente distinti nel loro lavoro. La ricerca di precise fonti sul loro lavoro è però difficile, anche a causa della distruzione di numerosi fonti storiche nell'incendio di Londra del 1666. George Chapman fu autore di varie commedie e tragedie di stampo ampolloso e stereotipato[15] mentre John Marston lo fu di tragedie ideate per gruppi di fanciulli. Della produzione di Thomas Heywood ci sono giunti 24 lavori di cui uno, A Woman Killed wirh Kindness, si configura come dramma domestico, mentre autore principalmente di city comedies fu Thomas Middleton, la cui produzione è di difficile attribuzione per la elevata quantità di collaboratori di cui si servì per completare le proprie opere. Ben Jonson fu contemporaneo di Shakespeare, ma profondamente differente per la produzione drammaturgica. Erudito e raffinato quanto mondano socialmente ma schivo personalmente, lasciò ai posteri una copiosa produzione di masque e di drammi. Tra i più celebri vi sono Every Man in His Humour del 1598 o il Volpone del1606. In qualche modo Jonson fu portavoce di un'aspra critica nei confronti della mancanza di cultura del teatro del suo tempo, inneggiando questo a più alti valori di dignità e sapienza, senza essere però in alcun modo un ammonitore del genere. Altri autori minori furono Nathanael Field che fu autore di city comedies, Richard Browne, Robert Davenport, John Ford e James Shirley. Se Ford preferì il sensazionalismo scabroso, Shirley fu più pacato nei toni con le sue tragicommedie e commedie brillanti nelle quali si ravvisa una capacità letteraria notevole, adatta più alla lettura che alla messinscena.[18] Il sistema teatrale Edward Alleyn, uno tra i più celebri attori dell'epoca. Nel periodo di maggior fioritura del teatro elisabettiano Londra fu l'epicentro della vita dello spettacolo dal vivo inglese. Costruiti su terreni non assoggettati completamente all'autorità comunale, i teatri sorsero di grande capienza e prevalentemente in legno, a partire dalla seconda metà del sedicesimo secolo. Gli attori si costituivano in associazioni che si spartivano i dividendi degli introiti (costituiti dal pagamento del biglietto di ingresso da parte degli spettatori) in quote stabilite dal contratto iniziale sottoscritto, alla stregua di moderni azionisti di una società.[19] I drammaturghi scrivevano per specifiche compagnie che detenevano i diritti delle rappresentazioni, sebbene talvolta essi venissero violati, nella fattispecie di fronte ai successi di un lavoro. Ci sono giunti 24 nomi di compagnie operanti nel periodo elisabettiano[20], e tutte possedevano un "protettore" che dava il nome al gruppo: oltre ad agire nel teatro dove avevano sede, alla stregua delle moderne compagnie di produzione, che conteneva anche i costumi e la poca scenografiaoltre che le suppellettili di scena, esse agivano anche in tournée sia nazionali che internazionali. Sovente, poi, venivano introdotte a corte per spettacoli privati da allestire in saloni che possedevano una struttura differente rispetto al teatro classico elisabettiano. Richard Burbage, attore figlio dell'impresario teatrale James Burbagee a sua volta impresario. In particolar modo nell'età elisabettiana si ebbe la fioritura di numerose compagnie teatrali, come i The Admiral's Men o i Lord Chamberlain's Men, nella quale lavorava Shakespeare, oltre che di figure di spicco come gli impresari James Burbage e Philip Henslowe. Compagnie di giro, che si produssero in tournée europee furono quella diRobert Browne[21], allievo del celebre attore Edward Alleyn, altro protagonista dell'epoca particolarmente apprezzato dalla regina Elisabetta. Se Alleyn era però interprete del modo garbato di recitare, dalla parte del fool, il comico danzatore grottesco è da ricordare William Kempe, erede di Richard Tarlton. Altra compagnia fu quella di George Webster, mentre pare che un certo John Kempe fu celebre in Italia agli inizi del Seicento.[21] Inigo Jones ritratto da Anthony van Dyck Numerosi sono i tentativi di ricostruzione della recitazione dell'epoca, sebbene essa non sia possibile da delineare se non sommariamente e per deduzione, vista la mancanza di fonti dirette. Quasi sicuramente non esistevano veri e propri copioni, in quanto lastampa era una pratica costosa e non di certo possibile per ogni spettacolo in allestimento: stampare copie per tutti gli attori era dunque poco probabile. Di certo, era necessaria un'indubbia capacità vocale, visto che i teatri erano all'aperto e non vi era un sistema di diffusione del suono. La scarsa scenografia di scena lasciava al testo il compito di illustrare l'ambiente nel quale agivano i personaggi. Da ciò è possibile dedurre che all'elemento verbale fosse attribuita notevole importanza, proprio perché fungeva da elemento descrittivo della scena. Bisogna poi tener presente che alle donne era vietato intraprendere la carriera di attrice, per cui i ruoli femminili erano designati a giovinetti che, di certo, agivano molto diversamente da come agirebbe una donna. Giunto il genere del masque al momento del suo massimo splendore, acquisì fama e importanza nel campo teatrale il nome dello scenografo ed architetto Inigo Jones, al quale di accreditano importanti innovazioni in campo scenico quali l'inserimento dell'arco di proscenio, fino ad allora non utilizzato in Inghilterra, o lo studio e l'applicazione delle quinte prospettiche sulpalcoscenico. L'imprenditoria teatrale era ormai una professione a tutti gli effetti sebbene non regolamentata, come molte altre, da nessuna specifica norma legale. Tra gli imprenditori celebri si ricordano James Burbage, che fu alla guida degli stabili The Theatre e The Curtain, poi passati al figlio James Burbage; Philip Henslowe, sotto la cui direzione passarono il Globe Theatre, il Fortune Theatre in società con l'attore Edward Alleyn, The Rose e The Hope; Francis Langley, che diede vita al The Swan. La fine Il 1642 si configurò come un anno negativo per i teatri londinesi: convocato il Parlamento da Carlo I, alla vigilia della successiva guerra civile, i puritani imposero la chiusura dei teatri con il conseguente abbandono di ogni attività di intrattenimento.[22][23] Tale situazione perdurò per diciotto anni, fino alla restaurazione della monarchia e all'ascesa al trono di Carlo II. Sebbene la chiusura dei teatri valesse per l'intera nazione, alcuni spettacoli continuarono ad essere allestiti in clandestinità all'esterno della capitale. Sappiamo per certo che la Red Bull di Clerkenwell, un salone popolare dove si allestivano in gighe e farse alcune compagnie (tra cui, in seguito, quella della Regina Anna) lavorò clandestinamente, come dimostra l'arresto del comico Andrew Cane nel 1649.[24] Nei grandi palazzi privati, inoltre, era d'uso dare rappresentazioni private, come dimostra la grande attività culturale della Holland House a Kensington[25] sia dopo l'immediata chiusura delle playhouses sia nel corso della dittatura di Oliver Cromwell. Anche il poeta laureato William Davenant, protagonista del successivo periodo della restaurazione, mise in scena alcuni suoi lavori, come L'assedio di Rodi (The Siege of Rhodes) nel 1698 e arrivò a creare in Rutland House, una mansione affittata nella città di Londra, un vero e proprio teatro semi-clandestino nel1656. Soprattutto gli attori, privati del loro lavoro, si videro costretti o a ripiegare su altri mestieri o ad arruolarsi negli eserciti reali, mentre una minoranza preferì continuare la professione trasferendosi in altri paesi europei.[26] La Restaurazione Il poeta William Davenant Thomas Killigrew in un dipinto diAntoon van Dyck La Restaurazione fu il periodo successivo alla caduta del protettorato repubblicano diRichard Cromwell, figlio di Oliver e a lui succeduto, con la conseguente ascesa al potere di Carlo II, proclamato re, che ripristinò il potere monarchico della corona d'Inghilterra. Era il 1660: Carlo II, amante delle arti in genere, aveva vissuto un lungo periodo in Francia presso la corte del cugino Luigi XIV, dove aveva sviluppato una sensibilità verso un certo tipo di spettacoli di diversa fattura rispetto alla produzione teatrale precedente. Già nel 1662 il sovrano delegò due cortigiani di fiducia, Thomas Killigrew e Sir William Davenant, di ricomporre due compagnie: mentre il primo rifondò la Compagnia del Re (la King's Company) il secondo fu il direttore della Compagnia del Duca di York (laDuke's Company), in onore del più giovane fratello del monarca e futuro sovranoGiacomo II d'Inghilterra[27]. Il teatro della Restaurazione si basò fondamentalmente su questo duopolio che durò per quasi due secoli[28][29], ma cambiarono sia gli spazi della rappresentazione che le sue forme: da quest'ultimo punto di vista se da una parte si mantenne viva la tradizione del dramma elisabettiano, dall'altra nuovi lavori di gusto spiccatamente francese, debitrici del periodo che Carlo II passò alla corte del cugino, fecero il loro ingresso sulle scene inglesi. Carlo II ereditò dal re francese anche la volontà di creare un forte potere accentratore in nome di un assolutismo monarchico, senza però poi riuscirci. Nonostante l'apertura di nuove sale teatrali, infatti, le attività connesse a questa arte rimasero per lo più nella stretta cerchia delle corti, rendendo il teatro della Restaurazione strettamente elitario rispetto al periodo d'oro precedente. L'architettura e la scenografia Il palco del Drury Lane nel 1674 Le playhouses elisabettiane dalla loro tipica forma erano state ormai smantellate. Le nuove architetture teatrali rispecchiavano maggiormente le forme dei teatri europei, con riferimento al teatro all'italiana che acquisiva maggiore importanza sulla scena architettonica internazionale. Il più celebre architetto inglese del periodo, Christopher Wren, ricostruì il Drury Lane dotandolo di una sala rettangolare e disponendo in platea file di panche per far sedere il pubblico, che nei teatri elisabettiani rimaneva in piedi. Le gallerie divennero file di palchi mentre il palcoscenico acquisì profondità e uno spazio per i fondali che fungevano dascenografia per l'ambientazione. Veniva così modificato anche lo spazio per la recitazione rispetto a prima: si recitava davanti alla scenografia, in linea con la tradizione del continente, senza alcun praticabile. Lo studio dell'illuminotecnica non era ancora sviluppato: il lampadario centrale delle sale impediva la creazione del buio, costringendo così gli inservienti di scena ai cambi della stessa a vista.[28] Per dare maggiore risalto agli avvenimenti sul palcoscenico si utilizzavano delle lastre rifrangenti con cui direzionare la luce sugli attori[28] senza però riuscire a creare l'effetto occhio di bue, che sarà raggiunto solo nel XIX secolocon il limelight. Di contro, mutò profondamente la scenotecnica, per la quale ora c'era bisogno di valletti che facessero scorrere i fondali - che si aprivano nel mezzo come serrande - e che muovessero le suppellettili in scena. Poiché il sipario, altro nuovo elemento del teatro inglese, non si abbassava se non alla fine della rappresentazione, i cambi erano a vista e preceduti dal suono di un fischietto o di un campanello, caratteristica che rimarrà nel teatro nazionale fino a metà del XIX secolo.[30] Attori e attrici Nell Gwyn ritratta da Sir Peter Lely,1675 circa. Una vera innovazione dal punto di vista sociologico fu l'ingresso delle donne in scena, pratica severamente proibita fino a pochi decenni prima. Vi era stato un precedente, nel quale una compagnia francese aveva presentato al Blackfriars Theatredelle attrici nel 1629, ma la novità non era stata ben accolta dal pubblico.[30][31] Tra le prime donne a calcare le scene vi furono Ann e Rebecca Marshall, poi entrate stabilmente nella compagnia di Killigrew; la più celebre tra tutte rimase però Nell Gwyn, ex venditrice di arance, che passò alla storia per essere diventata l'amante del re Carlo II[32] dal quale ebbe due figli. Servì comunque del tempo per educare le prime donne all'esibizione scenica. Lo stesso valse per gli attori uomini, che modificarono lo stile recitativo stilizzandolo verso forme più raffinate, visto il pubblico di ceto più elevato che assisteva alle rappresentazioni[33]. Tra i più celebri nomi dell'epoca è da ricordare Thomas Betterton, attore e poi capocomico delle compagnie di Killigrew e Davenant nel periodo in cui esse si fusero sotto la sua guida. Specializzato in ruoli shakespeariani, venne ben pagato per le sue rappresentazioni e la sua fama crebbe a tal punto da essere sepolto nella Westminster Abbey. Tra le prime attrici del periodo fu anche Mary Saunderson, moglie di Betterton, anch'essa celebre per le interpretazioni dei personaggi del vecchio repertorio. Di un ventennio più giovane era Elizabeth Barry, che recitò assieme a Betterton e che era specializzata in ruoli tragici: il pathos che ispirava è riportato in diverse cronache d'epoca. Un dato importante da sottolineare è che proprio in questi anni va nascendo il fenomeno che sarà detto poi del divismo, che troverà con l'avvento del cinema il suo apice: gli attori iniziano ad essere celebri e ammirati. Non di rado vengono ammessi a corte (come nel caso di Nell Gwyn) e diventano vere e proprie icone di riferimento per il pubblico, che ne copia mode e comportamenti. Il sistema teatrale Il sipario fu una delle novità introdotte nel teatro Ad esclusione delle grandi sale destinate alle messinscene per i nobili, una serie di compagnie più o meno girovaghe si formò nel resto d'Inghilterra, lasciando poche tracce dietro di sé che possano permettere una ricostruzione storica precisa e attendibile del fenomeno. Se il duopolio delle compagnie maggiori trovava sostentamento nei finanziamenti dei protettori e nel pagamento del biglietto d'ingresso a teatro, quelle minori potevano configurarsi in due modi: stabili o itineranti. Mentre le prime si affidavano, come nel caso di Killigrew e Davenant, alla protezione di signori locali, le seconde vagavano per le province dividendosi gli introiti ricavati dalle rappresentazioni date non sempre nei luoghi deputati. Tra le compagnie stabili sappiamo essere esistite e aver operato quella del duca di Norfolk a Norwich, quella del duca di Grafton a Bath e Bristol, quella del duca di Southampton a Richmond più, successivamente, altre a Canterbury e a Newcastle[34]. Il repertorio era sempre quello di Londra, dando così origine a una scarsa produzione teatrale regionale. Le compagnie itineranti, che contavano ormai una dozzina di individui di sesso misto e che vivevano della suddivisione dei beni, erano spesso costrette ad allestire serate di beneficenza nelle quali un attore o un'attrice si recava nelle città più grandi tentando di allettare il pubblico ad assistere ai lavori della propria compagnia. La pratica, spesso umiliante e a scopo promozionale, permetteva all'artista di incamerare il denaro che gli astanti lasciavano come mancia simbolica oltre ad aver pagato il prezzo del biglietto, che di norma intascava l'impresario del teatro ospitante[35]. Gli spettacoli iniziavano verso le 16 del pomeriggio e nacque la moda del cartellone, con il quale si pubblicizzava l'evento in corso: il più antico cartellone sembra essere un annuncio di un burattinaio italiano che esercitava a Charing Cross nel 1672[36]. Il colore tipico dei teatri sembrava essere il verde, che padroneggiava nei rivestimenti delle poltrone e nei toni del sipario: forse è da qui che deriva il termine "green room", con il quale si indica la sala nei teatri - il camerino - in cui si raccolgono tuttora gli attori in procinto di entrare in scena o dove accolgono i loro ospiti[37][38]. La drammaturgia Colley Cibber Nel quarantennio che corre tra il 1660 e il 1700 vennero prodotti all'incirca 560 drammi, di cui 120 appartenenti al vecchiorepertorio e 440 di nuova fattura[39]. Gli autori del passato che trovarono maggiore rappresentazione furono Francis Beaumont, John Fletcher, William Shakespeare e Ben Jonson, sebbene molte opere furono rivisitate e adattate al gusto moderno, soprattutto tramite l'eliminazione del finale tragico.[39] Carlo II, più del successore del fratello Giacomo II Guglielmo III, amò circondarsi di letterati, il che spiega la provenienza aristocratica della nuova leva di drammaturghi. La nuova produzione spaziò in diversi generi, dei quali due in particolari divennero caratteristici dell'epoca, sebbene fossero mutuati da alcuni esempi del passato: la tragedia eroica (heroic tragedy) e la commedia di maniere o di maniera (comedy of manners). John Dryden La tragedia eroica si configurava con elementi esotici e lontani, rappresentanti un mondo di sentimenti altri che sfociavano a volte in un'eccessiva pomposità dialettica eretorica[40]. Il blank verse della drammaturgia elisabettiana venne rimpiazzato dall'heroic couplet o distico eroico, composto da coppie di decasillabi a rima baciata: di probabile derivazione dal verso alessandrino delle tragedie francesi, permise al linguaggio un naturale distacco dalla lingua del quotidiano[40]. Contrariamente alle tragedie antiche, il finale non era obbligatoriamente triste, in quanto la "giustizia poetica" permetteva il finale lieto. Lo scopo che si prefiggeva la tragedia eroica, infatti, non era tanto di ispirare pietà quanto quello di suscitare ammirazione per il comportamento e i sentimenti dei protagonisti[40]. Il creatore di tale genere tragico fu un irlandese, Lord Orrery al secolo Roger Boyle, autore di sei tragedie delle quali la più celebre è laMustapha del 1665 su richiesta di Carlo II che voleva che gli spettatori fossero ispirati dalle alte gesta e dal comportamento nobile dei protagonisti. La figura di maggior rilievo del secolo fu però il poeta laureato John Dryden che, dopo le prime tragedie di gusto altamente retorico e magniloquente seppe individuare i mutamenti di gusto del pubblico per indirizzarsi verso una più moderata ricerca formale tramite una revisione dei contenuti e il ripristino del blank verse. Tra gli altri autori vanno ricordati l'avversario di Dryden, Elkanah Settle, e John Crowne oltre John Banks e Thomas Southerne. Di estrazione non aristocratica furono inveceNathanael Lee e Thomas Otway, entrambi ex attori morti in miseria. Lee in particolare, con la sua dozzina di tragedie, si allontanò anch'egli dalla tragedia eroica regolare e, a causa di un'esistenza abbastanza travagliata che lo vide trascorrere diversi anni in manicomio, si avvicinò al sentimentalismo scenico dei secoli successivi, affidando al logorroico ed esasperato pianto delle protagoniste femminili lo sfogo di un'infelice esistenza; ciò gli permise di trovare una fortuna scenica anche negli anni successivi. Aphra Behn La commedia di maniere rappresentava un contraltare degli alti ideali della tragedia eroica. Come nello storia dei generi teatrali, mentre il genere tragico dava voce alle aspirazioni umane, la commedia rivelava una contemporaneità svelando alcuni tratti della coeva società. Ambientate nella Londra contemporanea erano costituite da un esile intreccio in cui spiccava la figura del wit, colto aristocratico nullafacente che era solito parlare per aforismi mettendo in ridicolo i repubblicani e i borghesi. I personaggi femminili, liberi e licenziosi, acquisirono importanza e sostanza, mentre frequenti erano i riferimenti spregiudicati al sesso e al libertinismo; quest'ultima caratteristica non permise il perpetrarsi delle rappresentazioni negli anni successivi se non a costo di una pesante edulcorazione dei contenuti licenziosi. La produzione delle commedie di maniere fu esigua, e vi si esercitò Dryden in prima persona, con esiti dubbi. Sir George Etherege produsse solo tre opere, delle quali va ricordata The Man of Mode del 1676; più moralista fu William Wycherley, autore di quattro pièces tra le quali vanno menzionate The Country Wife del 1675 e The Plain Dealer del 1676. Altri autori furono Sir Charles Sedley, Thomas Shadwell, Tom D'Urfey e Thomas Southerne, irlandese di nascita ma che si produsse sempre nella capitale inglese. Un discorso a parte va fatto per Aphra Behn, prima donna a scrivere per denaro senza servirsi di uno pseudonimo maschile tanto da attirarsi le critiche dei contemporanei. Nelle sue opere teatrali, che spaziano dagli intrecci cavallereschi dell'unica tragedia della quale fu autrice - l'Abdelazar del 1676 - ai più frequenti e complessi intrighi comici della produzione di maniera, spicca una critica feroce contro la condizione sottomessa della donna all'uomo, soprattutto al riguardo di matrimoni forzati. La fine Richard Steele Il periodo della Restaurazione fu caratterizzato da una maggiore licenziosità dei costumi teatrali, che si riversarono in opere di più ampia "modernità" rispetto ai periodi precedenti. Tuttavia il passaggio alla successiva età dei lumi si caratterizzò per una virata restrittiva della morale comune, istigata nel campo teatrale dal vescovo e critico Jeremy Collier che, col suo trattatoShort View of the Immorality and Profaneness of the English Stage condannò il teatro quale luogo di pubblica dimostrazione della corruzione umana tramite l'instillarsi del vizio nella società[31]. Già William Congreve, irlandese di nascita, autore di quattro commedie e una tragedia, sebbene figuri tra le personalità sottoposte al severo giudizio di Collier si distinse per uno stile meno colorito e sboccato dei suoi predecessori. Sono da ricordare poi Sir John Vanbrugh e John Farquhar. Il primo, architetto di fama e amico di Congreve, chiuse l'epoca della commedia di maniere mentre il secondo inserisce dei personaggi distanti dallo humour wit e meno licenziosi dei precedenti, ambientando le scene nella provincia inglese. Tra gli ultimi autori della commedy of manners vi furono il poeta laureato Colley Cibber, già direttore del Drury Lane ed ex attore comico, che si produsse in numerose commedie di una certa licenziosità dalle quali però traspare già una maggiore attenzione alla morale del tempo come per i suoi predecessori, e Susanna Carroll Centlivre, altra donna scrittrice e autrice di commedie sia mutuate da esempi stranieri che originali. Sir Richard Steele, personaggio poliedrico apertamente favorevole alle idee di Collier, segna un periodo di transizione piuttosto evidente: le sue commedie, nelle quali agiscono personaggi dignitosi e dal comportamento sobrio, tendono non più al riso ma alla commozione, inaugurando la commistione dei generi tragico e comico caratteristica dell'età successiva[41]. Inoltre non di rado ogni suo lavoro trattava un tema specifico dal quale si impartiva un insegnamento etico alla società. Il Settecento Il primo ministro Robert Walpole, che indisse il Licensing Act contro le dissolutezze del teatro. A seguito della gloriosa rivoluzione e dell'istituzione della monarchia costituzionale sotto Guglielmo III d'Orange, la classe borghese acquisì maggiori poteri. Tra le trasformazioni sociali vi fu una conseguente maggiore richiesta da parte di questa classe sociale rampante di sempre più numerose forme di spettacolo: incrementarono i locali adibiti a questo scopo, con il conseguente assottigliarsi del duopolio delle due compagnie teatrali maggiori, la King's Company e la Duke's Company, per un periodo guidate all'unisono da Thomas Betterton. L'ordine fu ristabilito da un'ordinanza dell'allora Primo Ministro Robert Walpole, che nel 1737 impose la chiusura dei locali clandestini ripristinando la primaria supremazia delle due formazioni con il famoso Licensing Act. L'architettura e la scenografia Il gusto aristocratico era andato via via spostandosi verso il melodramma o opera lirica, che richiedeva spazi teatrali sempre maggiori e complessi a causa della sempre più sofisticata macchineria teatrale. Il proscenio tipico dei palchi britannici andò progressivamente scomparendo, inghiottito dall'arco scenico che incorniciava ora una scena molto più profonda nella quale agivano quinte prospettiche che garantivano uno spazio recitativo differente: non si recitava più di fronte alla scena, ma all'interno di essa. Sul finire del secolo le novità introdotte in Italia da Ferdinando Galli da Bibbiena sul versante scenografico raggiunsero l'Inghilterra: la scenografia a punto di fuga prospettico unico venne presto soppiantata da quella a doppiaprospettiva[42]. La platea, con l'eliminazione del proscenio aggettante, acquistò spazio tanto che le panche per il pubblico vennero spostate più avanti per una maggiore capienza della sala. Sul finire del secolo vennero introdotte le lampade Argand al posto delle candele di sego dei lampadari, che permettevano sebbene con maggior costo, l'utilizzo dell'olio e una potenza di illuminazione decuplicata[43]. Dal punto di vista del trucco, valse l'uso di dipingersi la faccia di bianco grazie all'ossido di piombo o al gesso: oltre a rispecchiare la moda dei visi incipriati, la tecnica era usata poiché i visi pallidi erano maggiormente visibili negli ambienti di solito scarsamente illuminati dei teatri[44]. Attori David Garrick in un dipinto diAngelica Kauffman Sarah Siddons ritratta da Sir Joshua Reynolds L'innovatore del secolo fu considerato David Garrick, passato alla storia come uno dei più celebri attori dell'epoca, che fu da spunto per il celebre saggio di Denis Diderotsull'arte drammatica intitolato Paradosso sull'attore. Divenuto famoso per la sua interpretazione dello shakespeariano Riccardo III, fu anche drammaturgo e impresario teatrale; sul versante attoriale, Garrick sradicò l'artificiosità della recitazione pomposa di stampo francese per indirizzarsi verso toni più naturali e meno enfatici[45] ma non fu amante della ricercatezza storica dei costumi, ai quali preferì abiti di foggia contemporanea. Garrick fu però anche riformatore delle convenzioni sociali use a teatrofino ad allora: estremamente preciso e puntuale tanto da pretendere lo stesso dai suoi attori[46], tentò di eliminare l'usanza di far pagare il biglietto a coloro che entravano solo per assistere alla fine delle rappresentazioni[45]. Anche gli spettatori che erano usi assistere agli spettacoli sedendosi direttamente su appositi sgabelli sul palcoscenico, usanza mutuata dal teatro elisabettiano, videro tale privilegio eliminato grazie all'opera di Garrick[47], sebbene vi fossero stati dei precedenti[48]. Dal punto di vista del décorteatrale Garrick si mosse pagando 500£ per aggiudicarsi come supervisore dellascenografia l'artista di origine francese Philip James de Loutherbourg, mentre per l'illuminotecnica utilizzò lampade a olio per illuminare dai lati e dal basso la scena[45]. Il repertorio che promosse fu sempre raffinato, in linea con la scelta di rendere i teatri dei luoghi signorili e di buon gusto. Tra le attrici si ricordano la celebre Sarah Siddons, definita la regina del teatro tragico inglese[49] e Elizabeth O'Neillconosciuta come Lady Becher, nella quale i critici vedevano un'emula della grandezza della Siddons[50]. Il sistema teatrale Col duopolio delle compagnie autorizzate a rappresentare si era creata una strana situazione: poiché vi era la possibilità - combattuta aspramente da Garrick che non riuscì ad eliminarla - di assistere al finale delle rappresentazioni teatrali, la maggior parte del popolo si riuniva nelle sale a fine spettacolo con la voglia di garantirsi momenti di evasione ludica[51]. Fu così che le platee vennero ampliate ed i teatri si riempirono di gente che volentieri assisteva chiassosamente alle rappresentazioni, allontanandosi dalla raffinatezza tanto ricercata del maggior attore dell'epoca. Tale virata di gusto, che impose spettacoli a volte dozzinali con numerose attrazioni come animali e persino leoni[52], coincise anche con altre cause che crearono un generale decadimento dell'arte teatrale. La drammaturgia John Gay, tra le figure più celebri del Settecento teatrale inglese. Il Settecento teatrale inglese non impose grandi nomi alla storia letteraria mondiale per una serie di molteplici ragioni. Non ultima fu la fortuna del romanzo, che ben presto soppiantò l'opera teatrale in quanto maggiormente redditizio e sempre più diffuso[53]. Ispirati alla moralità e all'austerità, i drammaturghi settecenteschi compirono una fusione tra i generi: mentre la commedia si venò di sentimentalismo, la tragedia accennò toni patetici divenendo cronaca delle sventure quotidiane. L'accesso di una più ampia classe sociale alle rappresentazioni, la borghesia nella fattispecie, permise la nascita del minidramma satirico mentre fecero il loro ingresso in scena la ballad opera e la pantomima. Quest'ultima, di derivazione dal masque elisabettiano, fu molto in voga all'inizio del secolo, comprendeva l'utilizzo di musica, effetti speciali e molti macchinari di scena. Il plot, di genere basato su un singolo avvenimento, comprendeva personaggi mutuati dalla Commedia dell'arte italiana come Arlecchino oPantalone, trasfigurati e trasformati in prodotti nuovi[54]. Il più celebre interprete del genere fu John Rich, al quale si deve l'introduzione della maschera di Arlecchino in Inghilterra[55]. Henry Fielding La ballad opera si configurava come una storia con personaggi di bassa estrazione sociale, di carattere satirico ed inframezzata da brevi canzoni. La più celebre fu The Beggar's Opera di John Gay del 1727, che fu un successo strepitoso per l'epoca e che sarebbe stata ripresa due secoli dopo dal tedesco Bertolt Brecht. Tra gli autori di teatro leggero vi fu poi Henry Fielding, autore di city comedies che virò poi verso farse brevi e burleschi. George Colman, gestore delCovent Garden e dunque avversario di David Garrick con il quale pure collaborò per la stesura della commedia The Clandestine Marriage del 1766, basata su un'opera di Domenico Cimarosa, si produsse in commedie e afterpieces. Richard Cumberland Samule Foote, che ebbe il permesso di fare rappresentazioni nel periodo estivo al di fuori del duopolio delle compagnie del Covent Garden e del Drury Lane, fu autore di pungenti satire che avevano tra i protagonisti personaggi dell'alata società inglese: non di rado alcuni gentiluomini facevano ritirare il testo riconoscendosi tra loro, come accadde con la commedia The Author del1757[56]. Le commedie sentimentali dette weeping comedies, cugine della comédie larmoyante francese, ebbero i loro massimi esponenti in Hugh Kelly, Richard Cumberland e Elizabeth Inchbald[57]. Irlandesi di nascita furono invece Oliver Goldsmith e Richard Brinsley Sheridan, le cui opere trovarono fortuna anche nel periodo successivo. Sul versante drammatico, la tragedia non registrò molto seguito nonostante i fallimentari tentativi di Joseph Addison di ristabilire l'austerità del modello classico di canone tragico, senza però avere seguito. Nicholas Rowe interpretò bene lo spirito del tempo venando di sentimentalismo il teatro tragico: Rowe riscosse un certo successo per essere stato autore delle "she-tragedies", o tragedie al femminile, nelle quali le protagoniste assumevano un'importanza maggiore rispetto alle opere dei predecessori: inevitabilmente, però, queste opere risentivano di eccessivo sentimentalismo che era ben lontano dal canone classico della tragedia propriamente detta, avvicinando quindi questi lavori più al dramma borghese. A Rowe si deve anche la divisione dei lavori di Shakespeare in atti e scene, divisione tuttora in uso. Maggiormente affine al domestic drama (antesignano del dramma borghese) fu il lavoro di George Lillo, rappresentato dalle opere più celebri The London Merchant del 1731 e Fatal Curiosity del 1736, mentre minor successo riscossero James Thomson e Edward Moore. L'Ottocento Il sempre maggiore successo della letteratura e del romanzo allontanarono i maggiori letterati inglesi dell'epoca dal teatro, che per un buon lasso di tempo non registrò notevoli sviluppi dal punto di vista della letteratura teatrale[58]. Fu per questo che i lavori teatrali di Shelley, John Keats, Byron e altri furono destinati alla sola lettura anziché alla rappresentazione. La prima parte del XIX secolo fu un misto di esperienze teatrali diverse, ancora debitrici dell'Illuminismo in piccola parte e aperte ai nuovi ideali neoclassici dall'altra. Fu solo dalla metà del secolo che, aprendosi alla nuova corrente romantica ma soprattutto grazie ai cambiamenti socio-politici europei, il teatro inglese trovò rinnovato vigore e annoverò nuovi drammaturghi come Oscar Wilde, nel periodo definito dell'età vittoriana[59]. L'architettura e la scenografia Un limelight Dal punto di vista architettonico si era ormai consolidato l'utilizzo del teatro all'italiana, mentre alcuni edifici per usi particolari vennero costruiti appositamente come il neonato Royal Circus o Surrey Theatre del 1782, adibito a spettacoli musicali e pantomime[60]. La sempre più specializzata maestria nella scenotecnica permise la riduzione di alcune macchinose pratiche di scorrimento di quinte sul palco, mentre l'illuminazione ebbe una svolta nel 1817 con l'introduzione nei teatri delle lampade a gas che, nonostante il cattivo odore e l'elevato costo, permettevano un controllo centralizzato consentendo il buio totale a comando per la prima volta nella storia del teatro[43]. Pochi anni dopo venne introdotto l'occhio di bue, il singolo fascio di luce direzionabile, grazie al limelight, una fiamma ossidrica direzionata su un cilindro di calce consumabile che un addetto era attento a non far terminare, che fu agli arbori degli odierni riflettori[43]. Il sistema teatrale Henry Irving ed Ellen Terry in un allestimento di Molto rumore per nulla diWilliam Shakespeare Nel 1843 tramite il Theatre Regulation Act finì definitivamente il duopolio delle compagnie principali di Londra, con la diretta abrogazione del divieto di costruire edifici ad suo spettacolo in città. A dire il vero, già precedentemente esistevano degliescamotages: poiché il divieto era riferito al solo teatro di prosa, si permise la costruzione di pochi teatri per l'opera e numerose piccole strutture per spettacoli minori, le cosiddette "burlette", composte da rappresentazioni con piccoli accompagnamenti musicali o intermezzi cantati[61]. Dopo il 1843 quindi vi fu regime di libera concorrenza, e l'Inghilterra tutta, e in particolare Londra, si animarono di nuovi edifici teatrali e nuove formazioni, tanto che dalle dieci sale presenti nel 1800 si passò alle ventinove del 1870, più altre sedici solo dal 1880 al 1900[61][62][63]. Alcune sale del secolo precedente - come l'Haymarket, il Lyceum o il Prince of Wales Theatre - sotto la guida di intraprendenti impresari che ne vollero ridisegnare la fisionomia degli interni rendendoli degni della frequentazione della migliore borghesia, si vestirono di interni di lusso attuando così un nuovo cambiamento di tendenza: dalla frequentazione assidua del popolo quest'ultimo abbandonò pian piano le platee a favore delle classi più agiate. Gli impresaripiù celebri furono anche gli attori principali del periodo: continuò così la tradizione dell'attore-capocomico-impresario teatrale, figura poco definita già dal teatro elisabettiano e ora posizione sociale ambita dai lavoratori dello spettacolo. Tra i più celebri si ricordano i fratelli Kemble, Charles, John Philip e Stephen, figli del capo-comico Roger, già attivo nella seconda metà del XVIII secolo, Madame Vestris e suo marito Charles Mathews, Squire Bancroft e sua moglie Effie Marie Wilton, Herbert Beerbohm Tree ma soprattutto Henry Irving e Ellen Terry, attori di successo. Molti di loro furono investiti di titoli regali come Sir o Dame. Attori Edmund Kean nella parte di Amleto Il nuovo secolo si aprì sotto il segno di uno dei più grandi attori della storia del teatro inglese: Edmund Kean, esempio di genio e sregolatezza[64] che venne preso spesso d'esempio per l'acceso dibattito nato in Europa sull'arte drammatica e nello specifico tra l'attore che recita seguendo il ritmo delle passioni e colui che al contrario lo fa partendo da una base razionale e tecnica. Kean, attore di statura minima e con una limitata gamma espressiva[65], aveva dalla sua la capacità di sviscerare potentemente - anche se in maniera discontinua - il pathos tragico necessario in alcuni celebri passi shakespeariani[65]. Criticato e amato dai coevi rappresentò una delle punte più alte dell'arte recitativa inglese e fu messo spesso a confronto con il collega David Garrick, celebre attore del secolo precedente che fondava la sua arte su una tecnica povera di retorica e di ampollosità, al contrario della smodata passionalità di Kean[65]. John Philip Kemble interpreta Amleto Kean ebbe un figlio che seguì la stessa professione: Charles, che dopo continue stroncature iniziale da parte dei critici dell'epoca causa la sua mancanza di ritmo vocale e la meno vivida personificazione dei personaggi rispetto al padre, seppe far rivalutare il suo nome grazie all'abile mimetismo conquistandosi un suo spazio[66]. Più innovatore sebbene secondo a Kean padre per fama fu William Charles Macready, attore e poi impresario che intraprese la via del palco solo come ripiego, rivelandosi poi ottimo attore più che gestore[67]. A Macready va il merito di aver compreso l'importanza dell'unità teatrale secondo la quale tutto l'ensemble artistico e tecnico del teatro doveva cooperare e lavorare assieme per il raggiungimento del miglior risultato possibile[67]. Istituì severe prove d'insieme e viene considerato tra gli antesignani della figura del regista teatrale moderno[67]. Dal punto di vista del lavoro scenico, perseguì l'ideale della correttezza filologica dei costumi di scena e del recupero degli originali testi shakespeariani, eliminando dalle sue rappresentazioni ogni edulcorazione o adattamento degli originali. Sulla scia del mattatore italiano l'attore acquista, in questo secolo, una centralità assoluta rispetto alle altre figure teatrali. Numerosi i nomi che passeranno agli annali, come quello di John Philip Kemble, fautore di messinscene con rigorose ricostruzioni dei costumi d'epoca[68], sebbene piene di sviste[69], e molti altri[70]. La drammaturgia Il nuovo secolo vide l'ascesa del dramma borghese come genere teatrale più diffuso e rappresentato anche se, parallelamente ad esso, molteplici esperienze possono essere individuate nell'arco dell'intero periodo. Sulla scia dell'enorme successo del drammaturgo tedesco August von Kotzebue, del quale furono tradotte in lingua inglese numerose opere sin dalla fine del XVIII secolo[71], si sviluppò una tendenza al dramma gotico, le cui trame erano piene di suspense ed elementi fantastici di carattere squisitamente macabro; la tendenza, prettamente romantica, si era già tuttavia sviluppata nel genere del romanzo, del quale si ricorda il celebre The Castle of Otranto del 1764 di Horace Walpole. Il dramma gotico prese piede assieme alla drammatizzazione di fatti di cronaca nera, del quale un celebre esempio è George Dibdin Pitt col suo Sweeney Todd: The Demon Barber of Fleet Street del 1842, nel quale viene narrata la storia di un barbiere impazzito che uccideva i suoi clienti per farne poi cibo da vendere. Mentre George Colman il giovane traeva ispirazione dal vecchio dramma della restaurazione tentando di ristabilirne inutilmente la centralità sulla scena inglese,Frederic Reynolds si fece autore di leggere pièce il cui intreccio si basava sugli animali come protagonisti assoluti (il cosiddetto dog drama); si sviluppò superficialmente anche il nautical drama, genere nel quale le storie di marinai erano trasposte con carattere allegro e piene di canzoni, spesso di derivazione dalle vecchie ballate popolari: tra i maggiori autori vi furono Thomas Dibdin, Edward Fitzball e Douglas William Jerrold. Notevole fu l'attività di James Robinson Planché, prolifico autore di teatro che sviluppò anche un nuovo stile di recitazione: dopo aver scritto numerosi drammi gotici come il celebre The Vampire del 1820 passò al nuovo genere del burlesque, nel quale mescolava ambientazioni fiabesche a leggere satire sulla quotidianità (Olympic Revels or Prometheus and Pandora, 1831, Puss in Boots, 1837). A lui si deve l'affiancamento di personaggi di diverse epoche e lo stile recitativo che impone ai personaggi l'assoluta serietà di fronte all'assurdità nel contesto nel quale si trovano, nello stile della tipica farsa surreale inglese[72]. Oscar Wilde nel 1894 circa Una certa serietà di argomentazioni e temi si riscontra nell'opera di Thomas William Robertson, innovativo nel campo dellaregia teatrale, noto per una serie di lavori realistici e naturalistici ma anche per aver scelto di curare maggiormente le scenografie e la recitazione degli attori, più volte lodata da diversi critici. Fu drammaturgo per il Prince of Wales Theatre, al tempo sotto la direzione dei coniugi Squire ed Effie Bancroft, e tra i suoi titoli si ricordano Society (1865), Caste (1867), Home(1869). Il teatro musicale ebbe vasto successo dalla metà del secolo. Si sviluppò il music-hall e dal 1842 il British Copyright Act offrì nuove garanzie ai lavori del nuovo genere, al punto che tale scelta determinò una rapida ascesa del già celebre intrattenimento[73]. Tra gli autori di operette va menzionato William Schwenk Gilbert, che scrisse sulle musiche di Albert Sullivan tredici operette ancora oggi rappresentate sulle scene inglesi. Arthur Wing Pinero John Galsworthy Alla fine del secolo i maggiori drammaturghi fanno il loro ingresso in scena: Oscar Wilde, irlandese di nascita, produsse il proprio repertorio proprio a Londra dove riscosse successo grazie alla satira delle sue commedie e all'anticonformismo presente in esse, grazie al quale lo scandalo e le situazione incresciose vengono trasposte con delicatezza all'interno dell'austero mondo vittoriano[74]. Fu proprio Wilde a permettere l'ingresso sulle scene inglesi del society drama, già precorso in Europa da Henrik Ibsen, grazie al quale l'alta borghesia veniva discussa nella propria intimità. Tra le opere più celebri di Wilde sono da ricordare le commedie L'importanza di chiamarsi Ernesto, Il ventaglio di Lady Windermere del 1892, Una donna senza importanza del 1894, Un marito ideale del 1895 e il dramma Salomè del 1891, nel quale si affacciano molteplici significati religiosi in una trasposizione di una vicenda biblica[75]. George Bernard Shaw Il society drama o dramma sociale ebbe numerosi epigoni in drammaturghi di minor successo come Arthur Wing Pinero, nella cui produzione teatrale, dopo qualche esperienza attoriale, si ritrovano sia farse che veri e propri drammi sulla società contemporanea come The Second Mrs Tanqueray del 1893 o His House in Order del 1906. A lungo termine vi si specializzò anche Henry Arthur Jones, concorrente più anziano di Pinero, che iniziò la sua carriera come autore di melodrammi. Meno celebri dei due furono poi Harley Granville Barker, il premio Nobel John Galsworthy, William Stanley Houghton e Harold Brighouse: questi ultimi due furono più attivi in provincia che nella capitale. Sul versante della commedia leggera sono da segnalare Henry Davies e Alfred Sutro. Un'altra delle maggiori figure del secolo fu l'irlandese George Bernard Shaw, il cui successo però arrivò solo nei primi anni del secolo successivo: Shaw, che iniziò la sua carriera come critico teatrale, fu forte oppositore della pièce bien fait utile solo all'intrattenimento e non alla diffusione di idee e di critica. Autore di sessantasei drammi, sperimentò differenti forme di teatro riversando in esse in parte le sue idee socialiste e affrontando dai temi religiosi e politici fino alla satira sociale. Celebre divenne il suo Pigmalione, di derivazione oraziana, grazie al musical e poi film My Fair Lady. Il Novecento Il Novecento teatrale inglese inizia, così come in molte altre nazioni, dopo la fine della prima guerra mondiale, che determinò un cambio di costumi a livello sociale tali da costituire un taglio netto con l'assetto della precedente società ottocentesca. Come per il secolo appena trascorso, anche il Novecento si prefigura carico di esperienze innovative e diversificate, proponendo un modello di teatro contemporaneo molto produttivo e vivo grazie all'incremento esponenziale delle sale teatrali (nella sola Londra saranno attive, agli inizi degli anni novanta, almeno 130 sale[76]) molte delle quali specializzate, grazie alla formazione di nuove compagnie, in specifiche tipologie di rappresentazioni legate a diversi movimenti culturali o di pensiero. L'architettura e la scenografia L'incendio del Drury Lane del 24 febbraio 1809 Dal punto di vista architettonico e scenografico, la storia del teatro inglese non si discosta molto da quella coeva delle nazioni europee. Se da un punto di vista strutturale i nuovi teatri tendono a porsi come poli di riqualificazione urbana e del tessutourbanistico, in linea con le moderne concezioni dell'architettura, dall'altro modificano la pianta del teatro all'italiana preferendo una platea e una balconata che permettano una migliore fruizione globale dell'evento scenico, anche in vista della polifunzionalità della struttura teatrale che si configura come spazio utile all'allestimento di eventi non solo strettamente legati all'arte drammatica. Nuovi materiali ignifughi, che col progresso della chimica industriale divennero sempre più sofisticati, divennero d'obbligo nelle strutture teatrali, onde evitare il rischio di incendi che, come nel caso del teatro Drury Lane di Londra, erano stati più volte nel corso dei secoli il motivo della distruzione di tali stabili. La scenotecnica abbracciò pienamente l'utilizzo della corrente elettrica, che se da un lato permise nuove e variegate funzionalità nell'illuminotecnica, dall'altra ridusse la forza lavoro necessaria ai movimenti della scenografia, meccanizzando i movimenti dei praticabili e della torre scenica in funzione di un'ampia libertà di realizzazione delle necessità artistiche di registi e scenografi con maggiore funzionalità degli apparati meccanici. Le innumerevoli sperimentazioni in tali campi sono quindi impossibili da elencare. Il sistema teatrale Come in ogni parte dell'occidente, il teatro nel secolo scorso subisce la concorrenza di cinema prima e della televisione poi. A pagarne le spese sarà soprattutto ilmusic-hall, soppiantato ben presto dalle pellicole cinematografiche, proprio nel periodo tra le due guerre quando al teatro si richiede maggiore spensieratezza in funzione di passatempo ludico e non come strumento di denuncia sociale o di informazione. L'elevato costo della conduzione manageriale dei teatri, fino al secolo appena trascorso affidata alla figura dell'actor-manager, rende necessario l'intervento delloStato per la sopravvivenza delle maggiori sale teatrali: nel 1946 nasce l'Arts Council[77], un ente statale con il compito di distribuire denaro pubblico sotto forma di contributi senza scopo di lucro. A beneficiarne saranno in molti, non ultime le due principali compagnie nazionali, la Royal Shakespeare Company (abbreviata RSC) con sede inizialmente all'Aldwych Theatre e il Royal National Theatre (RNT) con sede iniziale all'Old Vic, sorte quasi in contemporanea tra gli anni cinquanta e glianni sessanta e la cui importanza ricorda il dualismo delle compagnie patentate di Carlo II d'Inghilterra. Un polo teatrale di interesse divenne il West End[78], ancora oggi considerato uno dei centri della vita culturale londinese, sede di numerose compagnie le cui esperienze diversificate spaziarono dal teatro agit-prop al musical, dal teatro dei burattini al teatro ragazzi alla prosa nazionale e straniera. Nel 1968 un importante avvenimento modificò radicalmente la drammaturgia e la messa in scena: in quell'anno fu difatto abolita la censura nei teatri principali (il veto del censore non si applicava, infatti, ai circoli privati dove spesso si agivano spettacoli controversi), allargando il bacino di utenza del teatro alternativo. Un ulteriore circuito di diffusione delle opere teatrali divennero poi i festival, sempre più numerosi, di cui va doverosamente citato l'importante Festival di Edimburgo che si svolge tuttora in Scozia, teatro di prime rappresentazioni di numerosi capolavori contemporanei. Nel 1976 venne istituito il The Society of West End Theatre Award, che nel 1984 cambiò nome in Laurence Olivier Award in onore dell'attore Laurence Olivier, che ad oggi rappresenta il più prestigioso premio teatrale inglese. Precedentemente, nel 1955, venne istituito con patrocinio del giornale Evening Standard l'Evening Standard Award: mentre il primo premia le produzioni del West End, la seconda è aperta a tutti gli eventi dei teatri di Londra. Un bacino più ampio abbraccia, invece, il Critics' Circle Theatre Award, che premia annualmente le produzioni dell'intera Gran Bretagna. Gli attori Laurence Olivier John Gielgud La maggiore distribuzione di denaro pubblico sancita dall'Arts Council permise una politica di formazione degli attori all'interno delle nuove compagnie già all'inizio del nuovo secolo. In questa politica si formarono attori del calibro di Laurence Olivier, pluripremiato interprete di numerose pièce drammatiche come di pellicole cinematografiche e capofila della RNT, o John Gielgud, suo rivale nella RSC, fautore di alcune tra le più celebri interpretazioni shakespeariane del secolo scorso. Sempre tra le fila della RSC crebbero talenti come Edith Evans, Peggy Ashcroft, Paul Scofield e l'irlandese di nascita Peter O'Toole, mentre nella RNT si formarono altre celebrità come Maggie Smith. La drammaturgia Teatro elisabettiano Palcoscenico di un teatro dell'epoca elisabettiana Il teatro elisabettiano è stato uno dei periodi artistici di maggior splendore del teatro britannico. Esso viene collocato tradizionalmente fra il 1558 e il 1625, durante i regni dei sovrani britannici Elisabetta I d'Inghilterra e Giacomo I d'Inghilterra[1]. Il termine, nella sua accezione di teatro rinascimentale inglese, si estende ai fenomeni teatrali fioriti nel periodo che va dalla riforma anglicana alla chiusura dei teatri nel 1642, a causa del sopraggiungere della Guerra Civile, comprendendo quindi anche buona parte del regno di Carlo I. La produzione del periodo successivo al 1603 (anno della morte della regina) è talvolta definita in modo distinto come il teatro dell'età giacobita (jacobean) e presenta caratteri differenti dal precedente, di cui è l'evoluzione. Il teatro di tutto il periodo viene tradizionalmente associato a due grandi figure: la regina Elisabetta (1533-1603), da cui trae il nome, e il drammaturgo William Shakespeare (1564-1616), massimo esponente di questo periodo e considerato tuttora uno dei maggiori autori teatrali in assoluto. Contesto storico Il periodo elisabettiano coincide cronologicamente solo in parte col Rinascimento europeo e meno ancora con quello italiano, recando in sé forti accenti di Manierismo e di Barocco in quanto più tardivo. Questo periodo storico fu idealizzato dalla storiografia vittoriana e del primo Novecento come una sorta di età dell'oro. Gli studi storici più recenti tendono a ridimensionare questa visione idilliaca, sottolineando la povertà della stragrande maggioranza della popolazione, il sostegno allo schiavismo e le grandi tensioni interne al paese che sfoceranno, quarant'anni dopo la morte di Elisabetta, nella Guerra civile inglese. È tuttavia opinione generale degli storici che l'età elisabettiana consentì all'isola un periodo di relativa pace, un governo che utilizzò con parsimonia la tortura, una riduzione consistente delle persecuzioni religiose e un grado di libertà e prosperità di gran lunga superiore alle monarchie precedenti e immediatamente successive. Elisabetta I d'Inghilterra (1533-1603) L'età elisabettiana segnò l'ingresso dell'Inghilterra nell'età moderna sotto la spinta delle innovazioni scientifico-tecnologiche come la rivoluzione copernicana e delle grandi esplorazioni geografiche (è l'inizio della colonizzazione inglese dell'America settentrionale).La tempesta si ambienta non a caso in un'isola dei Caraibi la cui popolazione (rappresentata simbolicamente dal "selvaggio" Calibano e da sua madre, la strega Sicorace) è stata sottomessa dalle arti magiche di Prospero, cioè dalla tecnologia e dal progresso dei colonizzatori europei. L'ascesa al trono di Elisabetta, dopo il tragico quinquennio di regno di Maria la cattolica, si caratterizzò per un consolidamento del protestantesimo e uno sviluppo deciso dei commerci e delle conquiste territoriali del regno. Il distacco dall'orbita del papato e delSacro Romano Impero, con la sconfitta di Filippo II di Spagna e della sua Invencible Armada (1588), il maggior benessere economico dovuto all'espansione dei commerci oltre Atlantico, suggellarono il trionfo di Elisabetta e la nascita dell'Inghilterra moderna. Una nuova classe mercantile acquistava potere, e con i commerci aumentarono anche gli scambi culturali con l'estero. Si accrebbe l'interesse verso le humanae litterae e quindi verso l'Italia, dove gli intellettuali fuggiti da Costantinopoli (1453) avevano portato con sé gli antichi manoscritti dei grandi classici greci e latini facendo esplodere un interesse senza precedenti per l'antichità greco-romana e lo studio della lingua ebraica. Nasceva allora in Italia l'Umanesimo (a vocazione soprattutto filologica e archeologica), destinato a maturare nel XVI secolo nel Rinascimento, con la creazione di un'arte e un'architettura moderna e un rinnovamento tecnologico su larga scala (si pensi soltanto a Leonardo da Vinci). Se in Italia il Rinascimento si esaurì verso la metà del XVI secolo, nell'Europa settentrionale (dove arriva più tardi) esso perdurò fino ai primi decenni del XVII secolo. Un fattore sociale che segnò la nuova realtà inglese, oltre alla crescente intraprendenza dei commercianti, fu l'aumento della popolazione. Le differenze economiche tra i ceti ricchi e i meno abbienti durante la Dinastia Tudor si approfondirono. La crescita demografica e l'emigrazione dalle campagne investirono Londra, che quadruplicò la sua popolazione in meno di un secolo. Nel 1600 la capitale contava circa 200.000 abitanti. Lo sviluppo del teatro inglese di quest'epoca ha il suo centro proprio a Londra, diffondendosi poi nella provincia. Origini Rappresentazione di unmystery play a Chester Nel periodo immediatamente precedente all'era del teatro elisabettiano, erano molto diffuse le rappresentazioni sacre, i Corpus Christie plays e i Miracle plays, interrotti solo dal re scismatico Enrico VIII (1548), e definitivamente messi al bando sotto Elisabetta. Vennero rappresentati in oltre centoventicinque città britanniche e per alcune loro caratteristiche, come il passaggio improvviso dal serio al comico e viceversa, la narrazione per episodi priva della classica strutturazione dei cinque atti tradizionali, anticiparono il teatro elisabettiano. Quest'ultimo fu maggiormente influenzato, invece dalle Moralities, testi allegorici con fini educativi che seppur legati alla sfera sacra, introdussero il gusto della visualizzazione di concetti astratti, ottenuta grazie a figure simboliche, ovverosia personaggi che rappresentano idee o atteggiamenti.[2] Inoltre un altro filone teatrale, questa volta laico, precedette quello elisabettiano: gli Interludes ("interludi"), che ebbero l'apice del loro successo dalla metà del Quattrocento fino alla seconda metà delCinquecento, il cui protagonista era solitamente il monarca, l'ambientazione era Londra, la trama insisteva sull'enfatizzazione della felicità terrena. Fondamentale fu la nascita dei cosiddetti minidrammi, influenzati dalle opere latine e classiche che inventeranno il metro del teatro in versi che caratterizzerà la produzione successiva. Frontespizio medievale dellamorality Everyman Le compagnie di attori sotto la protezione dei casati nobiliari, che eseguivano periodicamente rappresentazioni nelle corti e in altri luoghi, esistevano anche prima del regno di Elisabetta, e prepararono la strada agli attori professionisti del teatro elisabettiano. I sovrani Tudor si circondarono spesso di artisti, giullari, musicisti e attori. Enrico VII manteneva a corte una piccola compagnia di attori, i King's Players (Lusores Regis), allo scopo di intrattenere e divertire gli ospiti. I nobili più potenti, come il duca di Northumberland o quello di Buckingham, non erano da meno nell'affermare il proprio prestigio arruolando attori e menestrelli, impegnandoli in sfarzose celebrazioni, in occasione delle festività natalizie o per inaugurare un nuovo palazzo. Gli attori, pedine nei giochi politici, legavano il proprio successo a quello del protettore, di cui portavano la livrea. Spesso venivano 'prestati' ad altre corti, allo scopo di accrescere il prestigio del proprio mecenate, e compivano viaggi nei quali a volte erano impiegati anche come informatori. Le lotte di potere e le rivalità tra la monarchia e le casate più potenti diventarono argomento degli stessi drammi rappresentati, in una finzione che rifletteva e si confondeva con la realtà. Le tournée di queste compagnie di attori in livrea soppiantarono gradualmente le altre forme di rappresentazione sacre e profane. Un articolo della Poor Law (legge sui poveri) del 1572 eliminò le rimanenti compagnie che operavano senza una formale protezione, equiparandole al vagabondaggio. Le autorità di Londra furono generalmente ostili alle pubbliche rappresentazioni. Nonostante le protezioni reali e nobiliari, i teatri pubblici della città furono edificati nelle liberties fuori dalla giurisdizione comunale, quali il quartiere di Southwark, e per mettersi al riparo dai divieti le compagnie dovettero ricorrere frequentemente allo stratagemma di presentare le rappresentazioni come semplici prove di spettacoli destinati alla corte reale. A Londra, città in forte espansione nella quale fiorivano le attività economiche, l'edificazione e la gestione di un teatro assunse il carattere allora inedito di impresa commerciale autonoma, facendo emergere la figura dell'impresario. Thomas Dekker giunse ad equiparare i teatri alla Borsa Reale di Londra costruita nel 1565 daThomas Gresham, affermando come le Muse si fossero «trasformate in mercanti, scambiandosi la merce leggera delle parole»[3] I teatri Particolare di una mappa di Londra del 1616 dove si vede la riva delTamigi sulla quale sorgevano le playhouses elisabettiane: sulla destra è visibile il Globe Theatre Quando nel Cinquecento sorsero i primi teatri nelle liberties fuori dalla City (sorta di zone franche non completamente assoggettate all'autorità comunale), essi conservarono molto della antica semplicità medievale. Senza l'aiuto di macchine o luci artificiali, gli attori inglesi svilupparono al massimo creatività e fantasia personale prima ancora che fossero scritte le prime grandi opere elisabettiane (Shakespeare si fece le ossa esordendo come attore, e così fecero molti altri). Ricavato in origine da circhi dell'epoca per le lotte tra orsi o tra cani oppure da "inn", locandeeconomiche di provincia, l'edificio teatrale consisteva in una costruzione molto semplice in legno o in pietra, spesso circolare e dotata di un ampio cortile interno chiuso tutt'intorno ma senza tetto. Tale corte diventò la platea del teatro, mentre i loggioni derivavano dalle balconate interne della locanda. Quando la locanda o il circo divennero teatro, poco o nulla mutò dell'antica costruzione: le rappresentazioni si svolgevano nella corte, alla luce del sole. L'attore elisabettiano recitava in mezzo, non davanti alla gente: infatti il palcoscenico si "addentrava" in una platea che lo circondava da tre lati (solo la parte posteriore era riservata agli attori restando a ridosso dell'edificio). Come nel Medioevo, il pubblico non era semplice spettatore, ma partecipe della rappresentazione scenica. L'assenza degli "effetti speciali" raffinava le capacità gestuali, mimiche e verbali dell'attore, che sapeva creare con maestria luoghi e mondi invisibili (le magie di Prospero ne La Tempesta alludono metaforicamente proprio a questa magia "evocativa"). E nello stesso tempo, lo spettatore sopperiva alla carenza della componente visiva con un’altrettanto raffinata fruizione, fatta di straordinaria sensibilità nei confronti della parola recitata e di vivida immaginazione[4]. Il primo grande anfiteatro aperto al pubblico dell'età elisabettiana fu quello denominato semplicemente The Theatre, Il teatro, costruito dall'attore e impresario James Burbage e dal cognato John Brayne nel quartiere periferico di Shoreditch nel 1576, su un terreno preso in affitto dal puritano Giles Allen (il quale venti anni più tardi ne pretenderà la restituzione e la demolizione del teatro). Nello stesso anno la regina Elisabetta aveva infatti accordato ai Leicester's men di Burbage una licenza grazie alla quale essi erano esenti dal vigente divieto alle pubbliche rappresentazioni teatrali. Il prototipo per il nuovo teatro era stato il Red Lion, fatto costruire da Brayne nove anni prima, nel 1567, a Mile End, un villaggio ad est di Londra: nelle sue forme essenziali (uno spazio aperto recintato, con gallerie intorno e il palcoscenico sopraelevato), la sua impostazione strutturale influenzò l'architettura teatrale successiva. Seguirono il Curtain Theatre (1577), il Rose (1587), lo Swan (1595), il Globe (del 1599, costruito con il legname del Theatre, dopo la rescissione del contratto di affitto del terreno), il Fortune (1600), e il Red Bull (1604). Questi teatri erano altri tre piani, e costruiti anch'essi intorno ad uno spazio aperto al centro. In genere la pianta era poligonale per ottenere un effetto circolare (anche se il Red Bull e il primo Fortune erano a pianta quadrata). I tre livelli di gallerie, rivolti all'interno, circondavano lo spazio aperto centrale. Il palcoscenico era essenzialmente una piattaforma circondata dai tre lati dal pubblico, sollevata dal terreno di un metro e mezzo circa e coperta da un tetto. Sul fondo erano collocate le porte di ingresso e uscita degli attori e le sedie per i musicisti. La parte superiore dietro al palcoscenico poteva essere utilizzata come balcone, come nella famosa scena di Romeo e Giulietta, oppure come un luogo da cui un attore poteva arringare la folla, come in Giulio Cesare. In genere costruiti in legno, i primi teatri erano soggetti agli incendi. Quando nel giugno del 1613 il Globe andò a fuoco, fu ricostruito con un tetto di tegole. Nel dicembre del 1621, quando il fuoco distrusse il Fortune, questo fu interamente ricostruito in mattoni. La capienza degli anfiteatri si aggirava tra i 1500 e i 3000 spettatori. Un modello differente fu sviluppato con il Blackfriars Theatre, ricavato da un ex convento, che cominciò a essere utilizzato con regolarità nel 1599.[5] Il Blackfriars era più piccolo, confrontato con i precedenti, ed era interamente coperto. Assomigliava più degli altri ad un moderno teatro. L'illuminazione interna era ottenuta concandele, che venivano sostituite durante uno o più intermezzi del dramma. Altri piccoli teatri coperti seguirono, quali il Whitefriars (1608) e il Cockpit (1617). Questi teatri erano più raccolti, e contenevano circa 500 spettatori, in un ambiente raccolto. Venivano detti privati, benché fossero anch'essi aperti al pubblico: essendo molti di essi situati dentro le mura della città, era questo un ennesimo stratagemma per sfuggire alle rigide disposizioni della legge. Alla grande O di legno di cui si parla nel prologo dell'Enrico V progressivamente si sostituiscono le sale dei palazzi barocchi, relegando gli anfiteatri a sede di spettacoli estivi o, come nel caso dello Hope, ai combattimenti tra cani e orsi. Con la costruzione del Salisbury Court Theatre nel 1629 vicino al luogo del dismesso Whitefriars, il pubblico londinese aveva sei teatri tra cui scegliere, tre dei quali ampi e a cielo aperto (il Globe, il Fortune e il Red Bull), e tre più piccoli, privati (il Blackfriars, il Cockpit e il Salisbury Court). Intorno al 1580, quando sia il Theatre che il Curtain erano pieni, con il bel tempo, la capacità totale dei teatri a Londra era di circa 5.000 spettatori. Quando furono costruiti i nuovi edifici e si formarono nuove compagnie, il numero di posti disponibili aumentò fino a superare i 10.000 spettatori dopo il 1610.[6] Ricostruzione dell'interno di un teatro elisabettiano Mentre il dramma rinascimentale italiano si evolveva verso una forma di arte elitaria, il teatro elisabettiano diventava un grande contenitore che affascinava tutte le classi. Alle rappresentazioni che si svolgevano nei teatri pubblici potevano incontrarsi principi e contadini, uomini, donne e bambini, anche perché il biglietto era alla portata di tutti: i posti in piedi al centro del teatro costavano un penny; gli spettatori più abbienti potevano sedersi nelle gallerie pagando due penny (oppure, con una somma superiore, potevano recarsi nei teatri coperti); la frequentazione del teatro era fortemente radicata nei costumi dell'epoca. Per questo ogni dramma doveva incontrare gusti diversi: quelli del soldato che voleva vedere guerre e duelli, quelli della donna che cercava amore e sentimento, quelli dell'avvocato che si interessava di filosofia morale e di diritto, e così via. Anche il linguaggio teatrale riflette questa esigenza, arricchendosi dei registri più vari e acquistando grande flessibilità espressiva. Le tariffe minime non mutarono nel tempo: nel 1580, i cittadini più poveri potevano acquistare l'ingresso al Curtain o al Theatre per un penny; nel 1640 l'ingresso al Globe o al Red Bull costava esattamente la stessa somma, mentre l'ingresso per i teatri privati ammontava a cinque o sei volte tanto. Lista delle playhouses elisabettiane Blackfriars Theatre Curtain Theatre Fortune Theatre Globe Theatre The Rose The Swan The Theatre Esponenti Gli autori William Shakespeare (1564-1616) Ben Jonson (1572-1637) La popolazione in aumento di Londra, la ricchezza crescente di alcuni dei suoi cittadini e la crescente domanda di intrattenimento, frustrata dalla soppressione delle forme medioevali di spettacolo, produsse una letteratura drammaturgica di notevole varietà, qualità ed estensione. Il repertorio del teatro inglese si formò in un lasso di tempo brevissimo, seguendo la necessità di dover offrire sempre nuovi spettacoli (le cui repliche consecutive erano sempre molto limitate) nei nuovi teatri che venivano via via edificati. Malgrado la maggior parte dei testi scritti per il palcoscenico elisabettiano siano andati perduti ne rimangono oltre 600, a testimonianza di un'epoca culturalmente vivace. Gli uomini - non vi sono donne, per quanto si sappia, che scrissero per il teatro in quest'epoca - che inventavano questi drammi erano anzitutto autodidatti di modeste origini, nonostante alcuni di essi avessero avuto un'istruzione a Oxford o aCambridge. Alcuni, come William Shakespeare, furono innanzitutto attori, tuttavia la maggior parte di essi non lo erano e a partire dal 1600 non è noto il nome di alcun autore che abbia calcato le scene come attore per arrotondare le proprie entrate. Quella dell'autore teatrale era una professione remunerativa, ma soltanto per coloro che riuscivano a produrre due pezzi teatrali all'anno. Dato che i drammaturghi guadagnavano poco dalla vendita delle loro opere, per vivere dovevano scrivere moltissimo. La maggior parte dei drammaturghi professionisti guadagnava una media di 25 sterline all'anno, una cifra notevole per l'epoca. Erano in genere pagati per stati di avanzamento nel corso della stesura e se infine il loro testo era accettato potevano inoltre ricevere i proventi di un giornata di rappresentazione. Essi tuttavia non godevano di alcun diritto su ciò che scrivevano. Quando il testo era stato venduto ad una compagnia, questa lo possedeva e l'autore non aveva alcun controllo sulla scelta degli attori o sulla rappresentazione, né sulle successive revisioni e pubblicazioni. John Lyly, il primo drammaturgo elisabettiano a noi noto di una certa rilevanza, fu essenzialmente un autore di corte, poco interessato a sviluppare una drammaturgia adatta ad un pubblico popolare[7]. Le sue opere erano destinate a compagnie di adolescenti che recitavano in teatri privati e le sue trame erano il pretesto per raffinate dissertazioni, scritte in un linguaggio ricercato. Il suo stile, detto eufuismo, incoraggiò la ricerca di un linguaggio ricco e colto, reso complesso da figure retoriche e da strutture simmetriche o ricorrenti. Un esempio della sua influenza sulla produzione successiva è la commedia scespirianaPene d'amore perdute. Non tutti i drammaturghi corrispondono tuttavia alle moderne immagini di poeti o intellettuali: Christopher Marlowe fu ucciso nel corso di una rissa in una taverna, Shakespeare si accompagnava a personaggi dei bassifondi di Londra e arrotondava le proprie entrate prestando denaro, mentre Ben Jonson uccise un attore in duello. Molti altri furono probabilmente soldati. Forse in nessuna altra epoca il dramma è più reale e tocca la sensibilità di tutti: cospirazioni, assassini politici, condanne a morte eviolenza sono all'ordine del giorno, anche perché il Rinascimento è un'epoca di cambiamenti traumatici in tutta Europa. Per sfuggire alla censura i temi trattati sono sempre presentati come lontani o estranei, ma non mancano le fonti di ispirazione: in Italia, e soprattutto a Firenze, i complotti politici di palazzo e le guerre intestine hanno insanguinato le città, come si apprende dalle cronache e dalla novellistica italiana tradotta in inglese. Queste e altre vicende europee offrono ottimi spunti per rappresentare in modo esotico le tensioni con le quali convivono i cittadini del Regno. La grandezza dell'epoca contempla così la sua stessa crisi, che è anche la crisi e il tramonto definitivo dell'età di mezzo. Marlowe compose opere su temi molto controversi, rompendo molti del tabù dell'epoca. Nei suoi drammi, tramite allegorie ben dissimulate in vicende apparentemente lontane nel tempo - come è il caso dell'Edoardo II - si affronta l'omosessualità, le guerre intestine per la conquista del potere, il regicidio. Tamerlano il Grande(Tamburlaine the Great, 1587) fu il dramma che lo consacrò all'attenzione del pubblico inglese, messo in scena dagli Admiral's Men durante la guerra con la Spagnae interpretato con successo da Edward Alleyn. Il trionfo del re barbaro che annienta regni di raffinata cultura interpretava i sinistri timori del popolo inglese nei confronti di Filippo II di Spagna e della sua costruenda Invincibile Armata. Questa modalità narrativa provocatoria, apparentemente innocente ma facilmente decodificabile dal pubblico, non fu sanzionata né censurata e fu il modello a cui si attennero i drammaturghi successivi nell'affrontare tematiche politiche. Se le caratterizzazioni di Alleyn già avevano reso necessaria una scrittura teatrale che si affidasse e offrisse spunti al talento dell'attore, con Shakespeare si assiste a una più completa fusione tra il testo e la sua esecuzione. Shakespeare, a differenza di Marlowe, scrisse drammi corali, vere e proprie macchine teatrali in cui ogni personaggio contribuisce all'incisività dell'insieme. Non si affidò alla perizia del solo Richard Burbage (che pure fu in grado di veri e propri virtuosismi, innanzitutto vocali, alle prese con i personaggi maggiori) ma a quella di un gruppo affiatato. Si trattò del perfezionamento di un vero e proprio "artigianato teatrale", come già riconobbe la studiosa britannica Muriel Bradbrook nell'intitolare un suo studio, appunto, Shakespeare l'artigiano[8], nel quale la scrittura del copione procedeva di pari passo con il lavoro di palcoscenico, misurando i ruoli sugli interpreti, le cui doti migliori dovevano essere valorizzate nella costruzione dei personaggi. Vita degli attori Il palcoscenico del Globe Theatre Per costruire un personaggio vero, umanamente vicino alla gente, non era in uso l'abitudine, che diverrà via via prassi nel teatro romantico e nel teatro borghese, di una precisa fedeltà al periodo storico dal punto di vista scenografico e costumistico. Impiegare delle attrici era inoltre proibito dalla legge, e lo fu per tutto il Seicento, anche dopo la dittatura puritana. I personaggi femminili erano dunque rappresentati da adolescenti maschi, ma questo non diminuì il successo delle rappresentazioni, provato dai testimoni dell'epoca e dalle continue proteste contro le compagnie teatrali da parte degli amministratori puritani della City. Solo la protezione accordata alle troupe dai prìncipi e dai reali - se l'attore vestiva la loro livrea non poteva essere infatti arrestato - poté salvare Shakespeare e i suoi compagni dalle condanne di empietà lanciate dalle municipalità puritane. I nomi di molte compagnie teatrali derivano proprio da questa forma di patrocinio: The Admiral's Men e The King's Men erano appunto "gli uomini dell'ammiraglio" e "gli uomini del sovrano". Una compagnia che non avesse avuto un potente sponsor alle spalle poteva andare incontro a serie difficoltà e vedersi cancellati gli spettacoli da un giorno all'altro. A questi problemi si aggiungevano, per gli attori, i salari molto bassi. Compagnie teatrali The Admiral's Men The King's Men Lord Chamberlain's Men Queen Anne's Men Worcester's Men Le opere Interesse per l'Italia Questa voglia di rinnovamento e di modernità si diffuse anche a Londra. Neanche i sinistri resoconti di presunti viaggi nel paese di Niccolò Machiavelli, come ilViaggiatore sfortunato di Thomas Nashe, parvero diminuire l'entusiasmo del grande pubblico: l'amoralità del Il Principe e le voci delle congiure papali contribuirono invece a tenere vivo l'interesse per l'Italia. Proprio nella capitale vi era cospicua una comunità di immigrati italiani (molti dei quali drammaturghi e attori): con essi Shakespeare, Christopher Marlowe, il secondo più grande drammaturgo, e i contemporanei dovettero probabilmente intrattenere rapporti di amicizia e di frequente collaborazione professionale. Il successo di Seneca Nell'età di Shakespeare non erano in molti a leggere i drammi in latino e meno ancora in greco, lingua che solo allora si cominciava a conoscere. Le opere diSeneca, già oggetto di grande interesse per gli umanisti italiani si diffusero perciò soprattutto attraverso adattamenti italiani che si discostano non poco dallo spirito dell'originale. Furono inserite nella rappresentazione quelle scene di violenza e crudeltà che dall'autore erano invece affidate al racconto di testimoni. Ma fu proprio la versione italianizzata, dove il male è presentato nella sua interezza, a piacere ai drammaturghi elisabettiani e a incontrare l'interesse del pubblico. La tragicommedia e il romanzesco Ferdinando e Miranda, da La tempesta, E.R. Frampton (British, 1870-1923). Un dramma molto legato all'effetto di scena e che fa presa sulle emozioni più violente associa talora a sé le passioni d'amorepiù morbose: il quadro antico dipinto con mano tanto leggera è restaurato con tinte tanto forti da cancellare quasi il tocco del suo artista. Non fu forse un caso che gli stessi drammaturghi rinascimentali lavorassero contemporaneamente ad opere di tipo "misto", come le pastorali o le tragicommedie, fusioni di commedia e tragedia, insieme di tragico, di comico e di romanzesco. La contaminazione dei generi in voga nel rinascimento fu accolta anche dagli elisabettiani, le cui tragedie e commedie mantengono però un maggiore distacco ironico e realistico. La tempesta ha molto della tragicommedia, ma l'ironia e lacomicità dei personaggi, la profondità dell'esplorazione filosofica le conferiscono più respiro. Lo stesso può dirsi di molte altre grandi commedie scespiriane ed elisabettiane, in cui il comico si mescola fatalmente al tragico, come d'altra parte avviene nelcinema moderno. Le battute del buffone di Re Lear e la follia dello stesso re caduto in disgrazia per il tradimento delle figlie a cui tutto aveva affettuosamente donato danno il necessario sollievo comico al pubblico facendo contemporaneamente risaltare, come per l'effetto del chiaroscuro, la tragedia personale di Lear e quella nazionale dell'Inghilterra dilaniata dalla guerra civile. Innovazioni rispetto al teatro continentale L'era elisabettiana tuttavia non si limitò ad adattare i modelli: rinnovò felicemente il metro col blank verse, o pentametro giambico, che ricalca abbastanza fedelmente quello latino senechiano, liberando il dialogo drammatico dall'artificiosità della rima, mentre restò la regolarità dei cinque piedi del verso. Il blank verse fu introdotto dal Conte di Surrey quando nel 1540 pubblicò una traduzione dell'Eneide usando proprio questa forma metrica, ma si dovette aspettare il Gorboduc di Sackville eNorton (1561) perché esso entrasse nel dramma (e farà poi furore nell'epopea biblica di John Milton, il Paradiso perduto del 1667). L'idea di usare un metro simile era venuta al Surrey proprio dalla traduzione in versi sciolti dell'Eneide del Caro. Il teatro elisabettiano introdusse anche tutta una serie di tecniche teatrali d'avanguardia che vennero utilizzate secoli più tardi dal cinema e dalla televisione. Il palcoscenico inglese della fine del Cinquecento (soprattutto in Shakespeare) si serve di un frequente e rapido susseguirsi di scene che fanno passare presto da un luogo all'altro saltando ore, giorni, mesi con un'agilità quasi pari a quella del cinema moderno. Il blank verse gioca una parte non indifferente conferendo alla poesia la spontaneità della conversazione e la spigliatezza della recitazione. La Poetica di Aristotele, che definì le unità di tempo e di azione (l'unità di luogo è un'aggiunta degli umanisti) nel dramma, riuscì ad imporsi meglio nel Continente: solo alcuni classicisti di stampo accademico come Ben Jonson ne seguirono alla lettera i precetti, ma questi personaggi non hanno la vita di quelli di Shakespeare, rimanendo (soprattutto nel caso di Jonson) dei "tipi" o delle "maschere". Fu proprio grazie alla rinuncia delle regole che il teatro elisabettiano poté sviluppare quelle forme nuove nelle quali Shakespeare, Beaumont, Fletcher, Marlowe e molti altri trovarono campo fertile per loro genio. Modernità e realismo dei personaggi Romeo e Giulietta, dipinto di Ford Madox Brown La rilettura elisabettiana dei classici portò dunque una ventata di innovazione a storie ormai millenarie, esaltando anzi le qualità universali dei grandi personaggi storici o leggendari. Oltre allo stile e alle tecniche, anche le tematiche sociali sono affrontate in modo moderno, in tutta la loro complessità psicologica infrangendo consolidati tabù sociali (sessualità, morte,cannibalismo, follia). Si pensi all'amore "proibito" tra Romeo e Giulietta, due ragazzi di quattordici anni che decidono in pochi giorni di sposarsi e fuggire di casa; si pensi alla rappresentazione del suicidio degli amanti. Nel Re Lear l'abbandono del vecchio re da parte delle figlie è il tema dominante. Qualità queste che, lungi dal "peggiorare" i personaggi, li rendono più simili a noi, dimostrando come questa epoca ci tocchi ancora profondamente. Il teatro nel teatro Il Globe Theatre Che il teatro elisabettiano sia un "teatro aperto" non solo nel suo significato più letterale sembra dimostrato anche dal senso di autoironia degli attori e dei drammaturghi elisabettiani. L'attore ama parlare al pubblico "tra le righe", magari per prendere in giro il personaggio stesso che sta recitando, anticipando il distacco ironico del teatro diBertolt Brecht. Per questo genere di attore il drammaturgo elisabettiano inventa il teatro nel teatro. Lo si è visto nella maschera de La tempesta, ma l'esempio più emblematico è forse quello dell'Amleto, in cui il giovane erede al trono di Danimarca ingaggia una troupe di attori itineranti per fare rappresentare di fronte agli occhi di Claudio, sospettato di avere ucciso suo padre, un dramma che ne ricostruisce il presunto assassinio. Al finale a sorpresa Claudio si alza sconvolto e terrorizzato, lasciando la corte. Da qui il giovane Amleto si convincerà della colpevolezza del patrigno, architettando la sua uccisione. Potremmo trovare tanti altri esempi di questo tipo tra gli elisabettiani, in seguito ripresi con successo con il "cinema nel cinema", ma anche col "teatro nel cinema". Influenza nei secoli Mentre il teatro elisabettiano conservò la sua semplicità strutturale, quello continentale, sull'esempio italiano, diventava dipendente dagli effetti speciali (si pensi alle macchine da scena e perfino agli automi inventati da Leonardo). Da qui al teatro "illusionistico" moderno il passo fu breve. Vero è che a partire dal Novecentonumerose sono state le avanguardie che hanno introdotto soluzioni nuove (come il Futurismo, il Dadaismo, il Surrealismo e il Bauhaus), ma raramente il grande pubblico si è sentito coinvolto da queste iniziative e si può dire che resti ancora molta strada da percorrere per portare nel teatro la popolarità del cinema e della televisione. Un teatro che si fa cinema Che il teatro elisabettiano e Shakespeare in particolare fossero in anticipo sui tempi pare dimostrato affermò Anthony Burgess - dal successo delle trasposizioni cinematografiche e delle drammatizzazioni televisive, quasi quei drammi fossero stati scritti proprio per lo spettatore moderno. È noto il successo del Romeo e Giulietta di Zeffirelli (1968). Paradossalmente, tale adattabilità al cinema sembra essere dovuta proprio all'eredità medioevale lasciata dai misteri, dai miracoli e dallemoralità, rappresentazioni di carattere popolare che si svolgevano prima sul sagrato delle chiese e poi nelle grandi piazze o nelle fiere. Lì la mancanza di fondali e costumi teatrali riponeva il successo della rappresentazione nelle mani dell'attore. La necessità di improvvisazione (spesso aiutata da un pizzico di umorismo) insieme alla mancanza di architetture teatrali sofisticate più che mettere l'attore in crisi lo liberarono dalle eccessive costrizioni della messa in scena mentre alla mancanza di effetti speciali supplì l'invenzione poetica ricreando nelle sue ricche descrizioni, un po' come avviene per la radio rispetto alla televisione ciò che "mancava", arricchendo oltre misura il linguaggio drammatico. Ecco alcuni film tratti dal teatro elisabettiano. Shakespeare Shakespeare in Love (1998) The Tragedy of Macbeth Diversi film tratti dal Re Lear Hamlet The Tempest (1979) Romeo e Giulietta, di Franco Zeffirelli (1968) Marlowe Doctor Faustus Ben Jonson Volpone Storia del teatro La storia del teatro, nella sua definizione più moderna di disciplina autonoma, interpreta e ricostruisce l'evento teatrale basandosi su due elementi principali: l’attore e lo spettatore e più precisamente sulla relazione che li lega, la relazione teatrale. Entrambi hanno una funzione primaria necessaria all'esistenza del fatto teatrale: mentre l'attore rappresenta un corpo in movimento (non necessariamente fisico o accompagnato dalla parola) in uno spazio, con precise finalità espressive e narrative, lo spettatore è il fruitore attivo e partecipe dell'avvenimento, che ne condiziona l'andamento e decodifica l'espressività dell'evento artistico. La storia del teatro è una scienza giovane, che solo recentemente (in Francia e Germania alla fine degli anni cinquanta, in Italia all'alba degli anni sessanta) si è affrancata da una interpretazione riduttiva che la limitava allastoria della letteratura drammatica. In particolare la moderna storia del teatro analizza il fatto teatrale prendendo in considerazione il suo più ampio contesto storico, sociale, culturale ed esistenziale, ed ha come protagonisti non solo drammaturghi e attori, ma tutti gli artisti che hanno collaborato alla nascita e all'evoluzione del fenomeno teatrale: musicisti, scenografi, architetti, registi e impresari, per citarne alcuni. Questa disciplina, nata e sviluppatasi in Europa, tende in genere a restringere il campo di indagine alle forme di teatro occidentali, e a fondarne le origini nel teatro classico dell'Atene del V secolo a.C., allargando la visuale ad un'ottica mondiale solo a partire dal teatro contemporaneo. Tuttavia, specialmente in opere più recenti, grande attenzione è rivolta alla tradizione teatrale precolombiana, africana e asiatica. In particolare, per quanto riguarda quest'ultima, l'interesse da parte degli artisti e studiosi europei e statunitensi risale alla seconda metà delnovecento, e contribuì non poco alla evoluzione delle forme teatrali occidentali e alla nascita di una antropologia teatrale. Occorre specificare che la nascita dell'arte teatrale nei vari continenti è profondamente legata ai culti religiosi dai quali derivano momenti di accomunamento tra gli individui e i rituali di celebrazione: l'evoluzione del teatrooccidentale permise il discostamento della letteratura drammatica dall'argomento religioso, mantenendone tuttavia gli elementi caratterizzanti. Solo la nascita delle moderne discipline teatrali e gli studi in materia hanno permesso l'individuazione del rito nelle pratiche teatrali, permettendo l'accomunamento e la comparazione delle diverse tradizioni mondiali all'interno dell'antropologia teatrale. Teatro nei popoli primitivi Sebbene lo studio delle manifestazioni teatrali nei popoli primitivi sia di difficile ricostruzione, sappiamo per certo che alcuni rituali che sfociavano in vere e proprie rappresentazioni erano presenti nel quotidiano di molte culture. Riti propiziatori con carattere di spettacolarità erano infatti allestiti secondo il ciclo stagionale allo scopo di venerare, pregare o ringraziare gli dei per la stagione futura. Gli eschimesi, ad esempio, erano soliti rappresentare un dramma per celebrare la fine della notte polare: la drammatizzazione dell'evento avveniva tramite un narratore che accompagnava gli attori ed il coro, composto da sole donne. Sempre a carattere propiziatorio e segnati dal trascorrere del tempo, ma slegati dai ricorsi della natura erano i riti sociali, che sottolineavano un avvenimento quotidiano. Il passaggio dall'adolescenza all'età adulta, le nascite e le morti erano celebrate, in maniera differente, con caratteri drammatici e pubblici che ne giustificano la teatralità. Soprattutto le cerimonie iniziatiche comprendevano rituali e celebrazioni di forte caratterizzazione drammatica. Anche la caccia, la pesca o l'agricoltura offrivano spunti per rappresentazioni teatrali. Una componente importante per il teatro dei primitivi era l'azione mimica, che poteva essere sia stilizzata che naturalistica, accompagnata da danze e musica; non meno importanti erano, inoltre, quelli che oggi definiremmo trucco e costume: molteplici culture sottolineavano l'estraneità dell'avvenimento al mondo reale (e quindi la finzione o il ribaltamento della realtà) tramite il mascheramento e l'ornamento. L'uso della maschera, tuttavia, non era pratica comune a tutte le popolazioni: ipigmei ed i boscimani non ne facevano uso. La maschera era infatti simbolo di potere, di solito prerogativa di personalità importanti della comunità, come glisciamani. I Kono, popolazione primitiva dell'attuale Papua Nuova Guinea, utilizzavano le maschere per impersonare gli dei, attribuendo al mascheramento da parte dell'attore anche il conferimento, a quest'ultimo, dei poteri del dio rappresentato[1]. L'apporto della danza e della musica è un punto non molto chiaro, poiché non sempre queste avevano le caratteristiche di teatralità: sebbene il confine tra le manifestazioni artistiche sia nel contesto labile, alcune di esse rientrano propriamente nella storia dei generi suddetti. In ultima analisi è importante sottolineare l'estrema diversità della relazione teatrale esistente tra il teatro come comunemente lo si intende nel mondo occidentale ed il teatro dei primitivi. Accadeva infatti che l'attore, incline a spostare la sua soggettività al personaggio rappresentato, potesse essere preda di trance o possessioni: non di rado ciò accadeva anche al pubblico, come la moderna avanguardia teatrale ha dimostrato. L'estremizzazione del processo è distante dalle comuni pratiche teatrali odierne, nelle quali l'attore non perde mai la propria soggettività e non vi è rischio di spersonalizzazione. Già dal XX secolo, tuttavia, registi e teorici del teatro hanno dimostrato un forte interesse verso una più massiccia partecipazione del pubblico alla rappresentazione se non all'azione scenica stessa, modificando il ruolo da fruitore passivo a partecipatore attivo dell'evento, ristabilendo così un legame con il teatro del passato. Storia del teatro occidentale La divisione temporale del fenomeno teatrale occidentale che generalmente viene utilizzata si può così schematizzare: il teatro classico, che comprende la rappresentazione teatrale antica greca e romana; il teatro medioevale, riferita al periodo del medioevo europeo, con la nascita della sacra rappresentazione; il teatro moderno, dal rinascimento fino al romanticismo; il teatro contemporaneo, che comprende le esperienze teatrali del novecento fino ai giorni nostri. Teatro classico Antica Grecia L'origine del teatro occidentale come lo conosciamo è senza alcun dubbio riferibile alle forme drammatiche sorte nell'antica Grecia, così come sono di derivazione greca le parole teatro, scena, dramma, tragedia, coro, dialogo. La tradizione attribuisce le prime forme di teatro a Tespi, giunto ad Atene dall'Icaria, verso la metà del VI secolo. La tradizione vuole che sul suo carro trasportasse i primi attrezzi di scena, arredi scenografici, costumi e maschere teatrali. Molto importanti per l'evoluzione del genere comico furono i Phlyakes (Fliaci), attori già professionisti, girovaghi. I Fliaci provenivano dalla Sicilia e, dato il loro carattere nomade, erano soliti muoversi su carri che fungevano anche da spazio scenico. Gli attori portavano maschere molto espressive, una stretta camicia e rigonfiamenti posticci; per gli uomini il costume prevedeva anche un grande fallo, esibito o coperto dalla calzamaglia. Gli Ateniesi svilupparono la consuetudine di organizzare regolarmente grandi festival in cui i maggiori autori teatrali dell'epoca gareggiavano per conquistarsi il favore del pubblico. La forma d'arte di ispirazione più elevata era considerata la tragedia, i cui temi ricorrenti erano derivati dai miti e dai racconti eroici. Da sottolineare il fatto che la tragedia aveva, come anche la commedia, scopo educativo.Le commedie, che spesso fungevano da intermezzo tra le tragedie, di carattere più leggero e divertente, prendevano spesso di mira la politica e i personaggi pubblici del tempo. I principali tragediografi greci furono Eschilo, Sofocle ed Euripide; i commediografi più importanti furono Aristofane e Menandro. Teatro latino Scena teatrale. Affresco romano.Palermo, museo archeologico. Nella Roma antica il teatro, che raggiunge il suo apice con Livio Andronico, Plauto e Terenzio per la commedia e Seneca per la tragedia, è una delle massime espressioni della cultura latina. I generi teatrali che ci sono rimasti e meglio documentati sono di importazione greca: la palliata (commedia) e la cothurnata(tragedia). Si sviluppano altresì una commedia e una tragedia di ambientazione romana, dette rispettivamente togata (o trabeata) e praetexta. La togata viene distinta da generi comici più popolari, quali l'atellana e il mimo. La tragedia di argomento romano (praetexta) si rinnova negli avvenimenti, considerando fatti storici. La tabernaria era invece un'opera comica di ambientazione romana. Il genere popolare dell'atellana è stato accostato alla commedia dell'arte. Teatro medievale Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente sembrò che il teatro fosse destinato a non esistere più. La Chiesa cattolica, ormai diffusa in tutta Europa, non apprezzava il Teatro ed addirittura scomunicava gli attori. A questa situazione, però, sopravvissero i giullari, eredi del mimo e della farsa atellana che intrattenevano la gente nelle città o nelle campagne con canti ed acrobazie. Su di loropendeva lo stesso la condanna della Chiesa, la quale, dal canto suo, diede origine ad un'altra forma di teatro: il dramma religioso o sacra rappresentazione, per mezzo del quale i fedeli, spesso analfabeti, apprendevano gli episodi cruciali delle Sacre scritture. Rilevante in ambito tedesco fu l'opera della monaca Roswitha di Gandersheim che nel X secolo fece rinascere il dramma inGermania, utilizzandolo come mezzo per attrarre i fedeli e colpirne la fantasia. Teatro moderno Teatro nel Rinascimento Il Rinascimento fu l'età dell'oro del teatro per molti paesi europei (in particolare in Italia, Spagna, Inghilterra e Francia), rinascita preparata dalla lunga tradizione teatrale medioevale. Autori di commedie furono, in Italia, Niccolò Machiavelli, il cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena, gli eruditi Donato Giannotti, Annibal Caro, Anton Francesco Grazzini, il nobile senese Alessandro Piccolomini, gli intellettuali cortigiani Pietro Aretino, Ludovico Ariosto e Ruzante; Gian Giorgio Trissino, Torquato Tasso eGiovan Battista Guarini composero tragedie di carattere epico. Riscoperta e valorizzazione degli antichi classici da parte degli umanisti permise lo studio delle opere concernenti il teatro non solo dal punto di vista drammaturgico ma anche dal punto di vista architettonico, scenografico e teorico, che permisero la costruzione e l'allestimento di nuovi teatri. Il teatro del XVII secolo Il Seicento fu un secolo molto importante per il teatro. In Francia nacque e si consolidò il teatro classico basato sul rispetto delle tre unità aristoteliche. La grandiosa opera drammatica di Pierre Corneille (1606-1684) già delineò un gusto teatrale francese e aprì le porte al siècle d'or, ben rappresentato dalla commedia di Molière(1622-1673), di costume ma soprattutto di carattere, frutto di un'acuta osservazione e rappresentazione della natura umana e dell'esistenza, e dalla tragedia alta, umana e tormentata di Jean Racine (1639-1699). Non meno significativa fu l'impronta lasciata dal teatro seicentesco spagnolo, dalla imponente produzione del maestro Lope de Vega (1562-1635), fondatore di una scuola che ebbe in Tirso de Molina (1579-1648) con il suo L'ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra, e in Pedro Calderón de la Barca (1600-1681) con le sue vette poetiche immerse nella realtà, nel sogno e nella finzione, i migliori discepoli. In Italia il teatro dei professionisti, i comici della Commedia dell'arte, soppiantò il teatro erudito rinascimentale. Per circa due secoli la commedia italiana rappresentò il "Teatro" tout court, per il resto d'Europa. La sua influenza si fece sentire dalla Spagna alla Russia e molti personaggi teatrali furono direttamente influenzati dalle maschere della commedia dell'arte: Punch la versione inglese di Pulcinella, Pierrot la versione francese di Pedrolino e Petruška la versione russa di Arlecchino. Sempre in Italia c'erano già delle prove di tragediografi come Federico Della Valle e Carlo de' Dottori e anche commediografi ancora legati alle corti come Jacopo Cicognini alla corte fiorentina dei Medici. In Inghilterra operò uno degli autori forse più noti a livello mondiale, William Shakespeare (1564 - 1616) quale principale esponente del teatro elisabettiano la cui opera poetica e drammaturgica costituisce una parte fondamentale della letteratura occidentale ed è continuamente studiata e rappresentata in ogni parte del globo. Altri esponenti del teatro elisabettiano furono Christopher Marlowe (1564-1593) e Thomas Kyd (1558-1594). Il vero rivale di Shakespeare fu tuttavia Ben Jonson(1572-1637), le cui commedie furono anch'esse influenzate dalla commedia dell'arte; fu attraverso di lui che certi personaggi scespiriani sembrano tratti da una commedia italiana, come ad esempio Stefano e Trinculo de La tempesta. Teatro del XVIII secolo Fu un secolo buio per quanto riguarda la Spagna, ben lontana dai fasti dei periodi precedenti, transitorio per la produzione britannica ad esclusione delle legitimate comedy, delle commedie giovanili di Henry Fielding (1707-1754) e delle innovazioni tecniche di David Garrick (1717-1779), illuminista nei drammi tedeschi di Lessing(1729-1781) e un'età ricca di riforme ed innovazioni in Francia.[2][3][4][5] La situazione italiana dopo un lungo secolo di Commedia dell'Arte dedicò l'inizio di questo secolo all'analisi delle forme teatrali e la riconquista degli spazi scenici di una nuova drammaturgia che oltrepassasse le buffonerie del teatro all'improvviso. Per la commedia il confronto con il teatro dell'arte è subito conflittuale. Poiché in tutta Europa la commedia delle maschere è considerata la "commedia italiana" con i suoi pregi ma anche i difetti di una drammaturgia quasi assente e la poca cura dei testi rappresentati, spesso quasi mai pubblicati, il confronto con la commedia del resto d'Europa penalizza molto il teatro italiano. All'inizio del XVIII secolo la commedia cortigiana s'avvale della produzione della scuola toscana della commedia detta pregoldoniana del fiorentino Giovan Battista Fagiuoli e dei senesi Girolamo Gigli e Jacopo Nelli. L'esempio di Molière e il lento distacco del francese dalla commedia italiana per costituire una forma intermedia di dramma a metà tra quella dell'arte e la commedia erudita, (pur mantenendo fisse le presenze di ruoli classici della commedia dell'arte), fa sì che per la prima volta si scoprano i volti degli attori e che le maschere cedano il posto a nuove figure come quella del Borghese gentiluomo, del Tartufo, del Malato immaginario ecc. Su questo modello i pregoldoniani costruiscono e stendono le trame delle loro commedie, alle volte anche sin troppo simili a Molière; in particolare il personaggio diDon Pilone di Girolamo Gigli è costruito su quello del Tartufo in modo da rischiare il plagio. Altri come Fagiuoli partono invece dalle maschere per ripulire gli eccessi degli zanni; infatti uno dei ruoli fissi delle sue commedie è quello di Ciapo, contadino toscano, che richiama lo zanni ma anche i servi scaltri della commedia rinascimentale. Se per la commedia la situazione italiana è oscurata dalla ormai centenaria tradizione della commedia dell'arte, per la tragedia, la situazione in Italia è peggiore. In Italia non era mai esistita una tradizione tragica alla quale ricondursi, anche il '500 aveva espresso ben poco oltre Trissino, Guarini e un Tasso decisamente minore rispetto a quello della Gerusalemme liberata. In compenso esisteva un ampio patrimonio tragico all'interno del melodramma ma che non rispondeva certo alle esigenze di coloro che ammiravano il secolo d'oro francese di Corneille e Racine. L'erudito e teorico del teatro tragico Gian Vincenzo Gravina, già maestro di Metastasio, tentò una via italiana alla tragedia che rispettasse le unità aristoteliche ma le sue tragedie sono fredde, preparate a tavolino e poco adatte alla rappresentazione. Nacque comunque sulla spinta di Gravina uno dei migliori tragediografi italiani del '700 prima di Alfieri: Antonio Conti che insieme a Scipione Maffei che scrisse La Merope, la tragedia italiana più rappresentativa di questo inizio secolo e aprì le porte alla tragedia di Alfieri. Il teatro italiano riprese un ruolo di primo piano all'interno del panorama europeo, nel melodramma con Metastasio (1698-1782) e nella commedia con Goldoni(1707-1793). Metastasio ridiede spessore al libretto, anche a scapito della musica e del canto, purificando il linguaggio poetico e migliorando la caratterizzazione dei personaggi, al punto da divenire non solo il librettista più ricercato fra i musicisti europei, ma persino un autore teatrale rappresentato anche in assenza della musica. Goldoni fu un riformatore e uno sperimentatore, spaziando dalla commedia di carattere a quella di ambiente, dalla drammaturgia borghese a quella popolare, dalla commedia dialettale esaustiva alla rappresentazione della realtà veneziana focalizzata nelle contraddizioni sociali, politiche e economiche.[6] Per la tragedia, tra gli altri, va ricordato Pier Iacopo Martello (1665-1727), che si rifà al teatro francese del Seicento. Teorici del Settecento Il Settecento pose le basi anche dello sviluppo teorico della recitazione e della funzione dell'arte teatrale per la società. Il teorico di maggior prestigio fu Denis Diderot, filosofo illuminista ma anche autore di tre testi teatrali che s'inseriscono nel nuovo filone del dramma borghese, che con il suo trattato Paradosso sull'attore(1773) gettò le basi di una nuova visione della recitazione che precorse la teoria brechtiana dello straniamento in opposizione alla teoria dell'immedesimazione. Già sin dal 1728 l'attore italiano Luigi Riccoboni con il trattato Dell'arte rappresentativa e L'Histoire du Théâtre Italien (1731) aveva cercato di fare il punto sulla recitazione partendo dalla sua esperienza di attore della Commedia dell'Arte. Questo trattato aprì una discussione alla quale parteciparono il figlio di Luigi Antoine François Riccoboni con L'Art du thèâtre (1750) e la moglie di lui Marie Jeanne de la Boras detta Madame Riccoboni grande amica di Goldoni, vi parteciparono anche Antonio Fabio Sticotti, colui che introdusse il personaggio di Pierrot sulle scene francesi, con Garrick ou les acteurs anglais (1769) e lo stesso David Garrick il più grande interprete scespiriano del '700. Nel frattempo in Francia l'arte drammatica si era evoluta con la comédie larmoyante di Pierre-Claude Nivelle de La Chaussée e il dramma rivoluzionario di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais l'inventore del personaggio di Figaro ripreso da Mozart e Rossini. Il medico Giovanni Bianchi (Rimini 1693-1775), rifondatore nel 1745 dell'Accademia dei Lincei, compose nel 1752 una Difesa dell'Arte comica, messa dalla Chiesa di Roma all'Indice dei libri proibiti. Nella vicenda rimase coinvolta l'attrice romana Antonia Cavallucci. Raccontiamo quanto accadde. È l'ultimo venerdì di Carnovale del 1752. Prima di leggere il suo discorso sull'Arte comica all'Accademia dei Lincei riminesi, Giovanni Bianchi fa esibire una giovane e bella cantante romana, Antonia Cavallucci. Il concerto della Cavallucci provoca scandalo in città. Bianchi allontana la ragazza, spedendola a Bologna e Ravenna con lettere di raccomandazione che, praticamente, a nulla servono. Contro la Cavallucci il vescovo di Rimini, Alessandro Guiccioli, inoltra a Roma «illustrissime e reverendissime insolenze», come riferisce a Bianchi un suo corrispondente, Giuseppe Giovanardi Bufferli. Attraverso la Cavallucci si vuole colpire il suo protettore. Bianchi è stato sempre insofferente verso l'ortodossia filosofico-scientifica della Chiesa, ed è in stretta concorrenza rispetto al monopolio pedagogico e culturale dei religiosi, sia con il proprio Liceo privato sia con i rinnovati Lincei. Le manovre ecclesiastiche riminesi producono l'effetto desiderato. Contro il discorso dell'Arte comica si celebra presso il Sant'Uffizio un processo, affrettato ed irrituale, che porta alla condanna del testo. L'accusa è formalmente di aver esaltato la Chiesa anglicana, più tollerante di quella romana, nella considerazione degli attori. In sostanza, non piace la difesa dei classici che Bianchi ha tentato. Antonia Cavallucci nelle lettere a Bianchi racconta la sua vita disperata. Ha dovuto sposare, per imposizione della madre, un uomo violento ed avaro, da cui vorrebbe separarsi con la pronuncia di un tribunale ecclesiastico: e proprio a Bianchi lei chiede una memoria da recitare in quella sede. A Bologna ed a Ravenna, deve contrastare gli assalti galanti di chi avrebbe dovuto aiutarla. Invoca così l'aiuto economico di Bianchi. Lo chiama «mio padre» ed anche «nonno», mentre sul medico ricade il sarcasmo degli amici che lo accusano di essersi innamorato di una ragazza allegra. Il teatino padre Paolo Paciaudi chiama Antonia «infame sgualdrina» e «cortigiana svergognata», d'accordo con il padre Concina, grande avversario di Bianchi, che definisce «putidulæ meretriculae», leziose puttanelle, quante come lei sono artiste teatrali. Antonia cerca un ruolo di cantatrice: soltanto «per non fare la puttana mi è convenuto fare la comica», confida a Bianchi da Ravenna, respingendo le accuse che volevano la sua casa frequentata da troppi «abatini e zerbinotti». Antonia si difende incolpando un nemico di Bianchi. Usano insomma lei, per colpire lui. Talora i rapporti epistolari tra l'attrice ed il medico sono burrascosi. Quando Bianchi, accusato da Antonia di essere la causa delle sue sfortune presenti, assume un tono distaccato, lei lo accusa: «Mostrate tutte finzioni». Ma Bianchi ha altri pensieri per la testa, appunto il processo all'Indice. Non ha tempo per ciò che forse considera non un dramma umano, ma le stravaganze di una donna. Di una ragazza. Di un'attrice, per giunta. Teatro dell'Ottocento Il teatro europeo all'inizio dell'Ottocento fu dominato dal dramma romantico. Gli ideali romantici vennero esaltati in modo particolare in Germania. Nel romanticismo si situano Johann Wolfgang von Goethe e Friedrich Schiller, che videro nell'arte la via migliore per ridare dignità all'uomo. Degli ideali romantici e neoclassici si nutrirono molte tragedie di soggetto storico o mitologico. Al romanticismo teatrale fecero riferimento anche gli autori italiani come Alessandro Manzoni con tragedie come l'Adelchi e Il Conte di Carmagnola, oltre a Silvio Pellico con la tragedia Francesca da Rimini , ambientazioni analoghe tornarono anche nel melodramma. Molto importante fu anche il teatro romantico inglese fra i maggiori rappresentanti ci furono Percy Bysshe Shelley, John Keats e Lord Byron. Ma è anche il secolo degli anticonformisti sia a livello artistico sia nella giustizia sociale, ben rappresentati dal society drama portato in scena da Oscar Wilde e degli innovatori come Georg Büchner che precorsero il dramma novecentesco. In Inghilterra, in Francia ed in Italia, in concomitanza con la nascita del naturalismo e del verismo (perenne ricerca della realtà in maniera oggettiva), intorno alla metà del secolo le grandi tragedie cedettero il posto al dramma borghese, caratterizzato da temi domestici, intreccio ben costruito e abile uso degli espedienti drammatici. Il maggiore esponente del teatro naturalista fu Victor Hugo e del teatro verista Giovanni Verga, nell'America Latina Florencio Sánchez seguì la loro scuola e si mise in evidenza. Teatro contemporaneo Primo Novecento Il Novecento si apre con la rivoluzione copernicana della centralità dell'attore. Il teatro della parola si trasforma in teatro dell'azione fisica, del gesto, dell'emozione interpretativa dell'attore con il lavoro teorico di Kostantin Sergeevič Stanislavskij e dei suoi allievi, Vsevolod Emil'evic Mejerchol'd su tutti. Il Novecento aprì anche una nuova fase che portò al centro dell'attenzione una nuova figura teatrale, quella del regista che affiancò le classiche componenti di autore e attore. Fra i grandi registi di questo periodo vanno citati l'austriaco Max Reinhardt e il francese Jacques Copeau e l'italiano Anton Giulio Bragaglia. Con l'affermarsi delle avanguardie storiche, come il Futurismo, il Dadaismo e il Surrealismo, nacquero nuove forme di teatro come il teatro della crudeltà di Antonin Artaud, la drammaturgia epica di Bertolt Brecht e, nella seconda metà del secolo, il teatro dell'assurdo di Samuel Beckett e Eugene Ionesco modificarono radicalmente l'approccio alla messa in scena e determinano una nuova via al teatro, una strada che era stata aperta anche con il contributo di autori del calibro diJean Cocteau, Robert Musil, Hugo von Hofmannsthal, gli scandinavi August Strindberg e Henrik Ibsen; ma coloro che spiccarono tra gli altri, per la loro originalità furono Frank Wedekind con la sua Lulù e Alfred Jarry l'inventore del personaggio di Ubu Roi. Contemporaneamente però il teatro italiano fu dominato, per un lungo periodo, dalle commedie di Luigi Pirandello, dove l'interpretazione introspettiva dei personaggi dava una nota in più al dramma borghese che divenne dramma psicologico. Mentre per Gabriele D'Annunzio il teatro fu una delle tante forme espressive del suodecadentismo e il linguaggio aulico delle sue tragedie va dietro al gusto liberty imperante. Una figura fuori dalle righe fu quella di Achille Campanile il cui teatro anticipò di molti decenni la nascita del teatro dell'assurdo. La Germania della Repubblica di Weimar fu un terreno di sperimentazione molto proficuo, oltre al già citato Brecht molti artisti furono conquistati dall'idealecomunista e seguirono l'influenza del teatro bolscevico, quello dell'agit-prop di Vladimir Majakovskij, fra questi Erwin Piscator direttore del Teatro Proletario di Berlinoe Ernst Toller il principale esponente teatrale dell'espressionismo tedesco. Nella Spagna del primo dopoguerra spicca la figura di Federico García Lorca (1898-1936) che nel 1933 fece rappresentare la tragedia Bodas de sangre (Nozze di sangue) ma le sue ambizioni furono presto represse nel sangue dalla milizia franchista che lo fucilò vicino a Granada. Teatro italiano nel regime fascista Necessarie premesse nell'esaminare il rapporto tra il regime dittatoriale e il teatro sono quelle che riguardano l'ideologia culturale fascista, la sua organizzazione e le condizioni dell'arte dello spettacolo nell'Italia dell'epoca. La critica[7] concorda quasi all'unanimità nel ritenere che non vi sia stato un "teatro fascista" interamente rappresentativo della ideologia e dei valori fascisti. Questo non significa che il fascismo si disinteressò di quanto veniva rappresentato anzi «intuì subito l'importanza (o la pericolosità) del palcoscenico».[8] come uno degli elementi per l'organizzazione del consenso da parte dell'opinione pubblica borghese, di quel ceto medio che allora preferiva assistere alle rappresentazioni della commedia di costume, quella che fu poi chiamata «delle rose scarlatte», o del teatro dei «telefoni bianchi» di Aldo De Benedetti dove la presenza di un telefono bianco in scena stava ad indicare l'adesione alla modernità della classe media rappresentata in commedie stereotipate incentrate prevalentemente su trame basate sul classico triangolo amoroso il cui fine era primariamente quello di svagare e divertire il pubblico e non di indottrinarlo politicamente. Da questo punto di vista il regime prese atto che il teatro italiano non aveva colto le novità ideologiche portate dal fascismo. Il Ministro della Cultura Popolare Dino Alfieri parlando alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni nel 1939 dichiarava che nella produzione teatrale italiana «...al risultato quantitativo non ha corrisposto un pari risultato qualitativo, specialmente per quanto riguarda l’auspicata nascita di un teatro drammatico che esprima i motivi ideali ed i valori dello spirito fascista».[9] Ossequenti all'invito del Duce, durante tutto il periodo fascista, una congerie di compagnie filodrammatiche, espresse da quella stessa classe media che aveva sostenuto il fascismo, si esercitò nella produzione di testi teatrali inneggianti al regime e spesso direttamente dedicati a Mussolini «per gratitudine verso colui che l’Italia tutta guida e anima, ammaestra e comanda». Lo stesso Mussolini si avventurò nella scrittura di tre canovacci teatrali che il noto drammaturgo e registaGiovacchino Forzano completò e mise in scena naturalmente con grande successo. Di un teatro fascista si può quindi parlare riferendolo a quegli autori che, in modo dilettantesco e per ottenere i favori del regime, scrissero una serie di copioni dai contenuti ideologici fascisti celebranti la nascita del fascismo e le sue conquiste militari e sociali; lavori questi che non ebbero però mai risonanza presso il grande pubblico. Dell'assenza di una produzione teatrale fascista dai toni elevati ebbe modo di lamentarsi lo stesso Mussolini in un discorso tenuto[10] il 28 aprile 1933, al teatro Argentina di Roma, in occasione del cinquantenario della SIAE (Società Italiana Autori ed Editori): «Ho sentito parlare di crisi del teatro. Questa crisi c’è, ma è un errore credere che sia connessa con la fortuna toccata al cinematografo. Essa va considerata sotto un duplice aspetto, spirituale e materiale. L’aspetto spirituale concerne gli autori: quello materiale, il numero dei posti. Bisogna preparare il teatro di massa, che possa contenere 15 o 20 mila persone. La Scala rispondeva allo scopo quando un secolo fa la popolazione di Milano contava 180 mila abitanti. Non risponde più oggi che la popolazione è di un milione. La limitazione dei posti crea la necessità degli alti prezzi e questi allontanano le folle. Invece il teatro, che, a mio avviso, ha più efficacia educativa del cinematografo, deve essere destinato al popolo, così come l’opera teatrale deve avere il largo respiro che il popolo le chiede. Essa deve agitare le grandi passioni collettive, essere ispirata ad un senso di viva e profonda umanità, portare sulla scena quel che veramente conta nella vita dello spirito e nelle ricerche degli uomini. Basta con il famigerato “triangolo”, che ci ha ossessionato finora. Il numero delle complicazioni triangolari è ormai esaurito... Fate che le passioni collettive abbiano espressione drammatica, e voi vedrete allora le platee affollarsi. Ecco perché la crisi del teatro non può risolversi se non sarà risolto questo problema.» Nei teatri italiani non mancava invece il grande pubblico, quello affezionato al teatro di varietà che con le sue ricche scene, le musiche, la bellezza delle ballerine ma soprattutto le irriverenti battute degli attori comici, il cui copione si adattava in modo estemporaneo all'attualità immediata degli avvenimenti politici, rendendolo quasi impossibile controllarlo dalla censura, rappresentava veramente quel teatro di massa che avrebbe voluto il fascismo che in fondo però accettava di buon grado questa forma di spettacolo atta ad allontanare la sensibilità pubblica dai gravi avvenimenti che segnavano la politica del regime. Così nonostante l'opposizione allelingue dialettali trionfava il teatro dialettale, le farse alla De Filippo, che in assenza, per le sanzioni alla Francia, del vaudeville e della pochade, offriva al pubblico italiano un valido sostituto. Le ingerenze però soprattutto della censura fascista impedirono un originale sviluppo del teatro che sino alla caduta della dittatura rimase fermo alle innovazioni teatrali dell'inizio del 900, al teatro Dannunziano e Pirandelliano, ambedue del resto legittimati dal fascismo. Agli inizi del 900, prima dell'avvento del fascismo il teatro italiano era caratterizzato da uno spirito anarchico, individualistico e pessimistico[11] ma ora questi temi non potevano essere affrontati con un regime dichiaratamente ottimista sulle sorti della società italiana dalla produzione teatrale che in realtà si paralizzò e si isterilì. Secondo dopoguerra La ricerca degli anni '60 e '70 tenta di liberare l'attore dalle tante regole della cultura in cui vive (seconda natura), per mettersi in contatto con la natura istintiva, quella natura capace di rispondere in modo efficiente e immediato. In questo percorso, il teatro entra in contatto con le discipline del teatro orientale, con lo yoga, learti marziali, le discipline spirituali di Gurdjeff e le diverse forme di meditazione. L'obiettivo di perfezionamento dell'arte dell'attore diventa insieme momento di crescita personale. La priorità dello spettacolo teatrale, l'esibizione di fronte ad un pubblico, diventa in alcuni casi solo una componente del teatro e non il teatro stesso: il lavoro dell'attore comincia molto prima. L'influenza di questo approccio sul movimento teatrale del Nuovo Teatro è stato immenso, basti pensare all'Odin Teatret diEugenio Barba, al teatro povero di Jerzy Grotowski, al teatro fisico del Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina. Anche in Italia si assiste ad uno "svecchiamento" del repertorio tradizionale, grazie al lavoro di drammaturghi come Eduardo De Filippo e Dario Fo, allo sperimentalismo di Carmelo Bene e Leo De Berardinis, al lavoro di grandi registi come Giorgio Strehler e Luchino Visconti. In Germania fu fondamentale l'apporto diBotho Strauss e Rainer Werner Fassbinder, in Francia, fra gli altri, Louis Jouvet che i testi estremi di Jean Genet, degno figlio della drammaturgia di Artaud. Anche la Svizzera ha contribuito nel corso del '900 all'evoluzione del teatro europeo con autori come Friedrich Dürrenmatt (1921-1990) e Max Frisch (1911-1991). Dalla Polonia arrivano grandi innovazioni nella concezione di una messinscena grazie a Tadeusz Kantor (19151990) pittore, scenografo e regista teatrale tra i maggiori teorici del teatro del Novecento. Il suo spettacolo La classe morta (1977) è tra le opere fondamentali della storia del teatro. Intanto, si approfondisce la lezione di Stanislavskij sul lavoro dell'attore, fino alle applicazioni "commerciali" dell'Actor's Studio di Stella Adler e Lee Strasberg (da cui provengono Marlon Brando, Al Pacino, Robert De Niro). Teatro orientale Teatro nel subcontinente indiano La storia del teatro dell'asia meridionale, nonostante siano presenti tradizioni spettacolari in Pakistan, Bangladesh, Nepal, Sri Lanka, ha il suo centro originario in India. Il Natya Sastra, (scritto in sanscrito tra il 200 a.C. e il 200 d.C.), ne racconta la genesi mitologica da parte di Brahma, che ne fissò anche gli scopi: istruzione e divertimento. La recitazione nel teatro indiano tradizionale conserva elementi rituali, ad esempio nella preparazione del corpo, e si caratterizza per la convenzionalità dei gesti e dei personaggi. Il drammaturgo più prolifico fu Bhasa (IV secolo), di cui ci restano tredici drammi, tra cui Il sogno di Vasavadatta(Svapnaasavadatta). Il più celebre drammaturgo fu Kālidāsa (V secolo), autore de Il riconoscimento di Sakuntala (Abhijñānaśākuntalā). Teatro in Estremo Oriente Cina e Giappone hanno tradizioni teatrali differenti, ma caratterizzate entrambe dalla stilizzazione dei gesti e dei costumi teatrali e dalla integrazione di danza, musica, canto e recitazione. Nel XIII secolo, in Cina, fiorì lo zaju (teatro vario); nel XVI secolo Wei Liangfu diede origine al Kunqu, un genere teatrale regionale della zona della odierna Shangai. In seguito si svilupparono diversi stili regionali, dei quali il più importante (e il maggiormente praticato anche oggi fra gli stili tradizionali) fu l'Opera di Pechino (Jīngjù, 京劇). In Giappone emersero due forme principali, il Nō (能) e il Kabuki (歌舞伎), che raggiunsero la loro forma compiuta rispettivamente nel tardo XIV secolo e nel XVII secolo. Teatro nel sud-est asiatico La maggior parte delle tradizioni di spettacolo presenti nella zona occupata dagli attuali stati del sud-est asiatico ha origini indiane o, in alcuni casi come il Vietnam, cinesi.[12] Nella attuale Birmania le tradizioni teatrali risalgono al IX secolo, e conobbero un momento di grande diffusione durante la dinastia Pagan (1044 - 1287), poi distrutte dalla invasione dei mongoli. Nel 1767, dopo la conquista da parte dei birmani della cittàthailandese di Ayutthaya, gran parte della cultura, della danza e dei testi teatrali thailandesi (come il Ramakien, adattamento thailandese del Ramayana) furono importati e riadattati. In Cambogia le forme più antiche di rappresentazione consistono negli spettacoli musicali di Funan, di cui si ha traccia a partire dal 243. Le spettacolari danze Khmer, eseguite a corte da molte centinaia di danzatori, ebbero origine dalle danze giavanesi (bedaya) e si svilupparono ad Angkor a partire dal 802, con la fondazione del regno Khmer da parte di Jayavarman II. La tradizione teatrale subì come in altri casi con l'influenza indiana, con l'acquisizione del corpus drammaturgico del Ramayana, tradotto e adattato nel Ramker. In Indonesia gli spettacoli teatrali svilupparono forme originali e vivaci, spaziando dalla danza al teatro di marionette al teatro delle ombre (Wayang Kulit). Il centro dell'attività teatrale era situato a Bali. Oltre al Ramayana e al Mahabharata, la drammaturgia si basò su storie locali, i Panji. Del teatro indonesiano antico non ci sono fonti certe, anche se è possibile fissarne l'origine intorno alX secolo. Nella tradizione thailandese i lakhon sono drammi danzati elaborati e a volte giocosi, e hanno origine dalle danze classiche indiane, di cui vennero elaborati in modo originale i gesti e il movimento, in particolare nell'uso delle mani e delle dita. L'origine delle diverse forme di teatro thailandese risalgono al XV secolo, periodo nel quale si integrarono con le forme di danza Khmer, in concomitanza con la conquista di Angkor da parte dei thailandesi. Teatro in Africa Il teatro africano è ancora poco noto in occidente, nonostante si occupi di tematiche sociali, politiche, psicologiche e storiche di notevole importanza, mescolate all'interno di un crogiolo con le tradizioni mitologiche ancestrali orali, le rappresentazioni sacre e le narrazioni drammatiche. Data la vastità geografica del territorio, le diversità storico-culturali e etniche prese in esame, risulta ardua una classificazione netta e precisa delle correnti teatrali africane. È comunque possibile suddividere il teatro africano in alcune fasi storiche: antico (Egitto), tradizionale, coloniale, postcoloniale e contemporaneo.[13] Teatro nell'antico Egitto Da iscrizioni risalenti al 2600 a.C. circa è documentata l'esistenza in Egitto di cerimonie pubbliche in cui erano previste rappresentazioni sotto forma di processioni e feste, nelle quali venivano utilizzate varie arti performative, come la danza, la musica, unitamente alla narrazione di racconti mitologici. Diversi documenti testimoniano il carattere teatrale delle feste egizie. Suipapiri rinvenuti nel Ramesseo di Luxor sono descritti i preparativi per la festa per il trentesimo anno di regno del faraoneSesostris, e vengono precisati i dialoghi, le azioni, le posizioni degli attori in scena, oltre a dettagli riguardo alle scenografie, alla musica e alla presenza di danzatori e comparse. Nelle iscrizioni autobiografiche sulla stele di Ikhernofret (1820 a.C. circa), il tesoriere e organizzatore di feste del faraone Sesostris III racconta di aver lui stesso impersonato «l'amato figlio di Osiride» in una scena di combattimento tra divinità. Teatro tradizionale L'Africa è stata caratterizzata da un'ampia gamma di tradizioni teatrali, accostabili grazie ad alcune tendenze comuni, come la scarsa incidenza dei testi, del copionee delle strutture tradizionali classiche, e invece la rilevanza dell'oralità, dei riti, dei miti, delle danze, e della musicalità; tipiche sono state le rappresentazioni in costume e in maschera e i tentativi di annullare la separazione tra spettatori e scena.[13][14] Durante il XVI secolo si svilupparono i primi spettacoli organizzati da compagnie di praticanti professionisti come quella degli Alarinjo, nel regno Yoruba (ora Nigeria), in massima parte a sfondo religioso e mitologico. Teatro coloniale Nel periodo coloniale l'influenza dei missionari mutò alcuni aspetti del teatro, rendendo le rappresentazioni sempre più vicine al messaggio cristiano e alle sacre scritture, grazie a riadattamenti di drammi biblici, e questo spesso a scapito di elementi originari africani, come la danza; in questo periodo storico sono state realizzate opere "impegnate", i cui contenuti trattarono tematiche quali l'ingiustizia sociale, come nel caso della compagnia itinerante nigeriana di Hubert Ogunde.[13]Non mancarono le recite a sfondo politico-satirico, che criticarono la nuova aristocrazia africana rinnegante la tradizione a favore degli usi e costumi europei, come nel caso dell'opera del ghanese Kobina Sekyi del 1915. Teatro postcoloniale e contemporaneo L'indipendenza ottenuta ha consentito la nascita di una nuova classe dirigente e di una nuova classe media. Questo fatto ha provocato una nuova svolta nel corso del teatro africano, che si è proiettato verso una commistione fra le tradizioni locali e le strutture europee, pur mantenendo un'attenzione prioritaria alla tematiche politiche e sociali, sia nella veste di strumento di propaganda o di appoggio ai governi sia in quella di voce dissidente e denunciante.[13] Tra gli autori più apprezzati vi è il Nobel nigeriano Wole Soyinka, l'ugandese Robert Serumaga e la ghanese Efua Sutherland. In questa fase storica rilevanti sono state le collaborazioni inSudafrica di artisti bianchi e neri, sfidanti l'ancora vigente apartheid, e la nascita di temi e contenuti legati ai problemi sociali e quotidiani. Attualmente l'atmosfera politica più tollerante rispetto al passato consente una maggiore libertà di espressione e un impulso alla sperimentazione. TEATRO ELISABETTIANO Con "teatro elisabettiano" si intende la produzione drammatica che ebbe luogo in Inghilterra dal 1576, anno di costruzione del primo teatro, al 1642, anno in cui il parlamento puritano ordinò la chiusura dei teatri. Il teatro elisabettiano rappresentò il più importante fenomeno culturale dell’Inghilterra rinascimentale, sia perché celebrava la potenza della nazione, sia perché offriva un intrattenimento molto popolare, accessibile a qualsiasi classe sociale. Rappresentò anche un’evoluzione nelle arti teatrali: prima dell’avvento dei teatri le compagnie si esibivano in luoghi pubblici, come i cortili delle locande, ma quando nel 1574 le rappresentazioni pubbliche furono bandite perché considerate immorali dai puritani, si costruirono dei teatri fuori dalla cerchia cittadina, nelle cosiddette Liberties. Il primo teatro, The Theatre, fu costruito nel 1576, a esso seguirono The Curtain (1577), The Rose (1587), The Swan (1595) eThe Globe (1599). La struttura di questi teatri era quasi circolare, il tetto copriva solo il perimetro dell’edificio, cioè sopra alle galleries, dove gli spettatori si potevano sedere al costo di 2 penny. Igroundlings invece, ovvero gli spettatori che pagavano solo 1 penny e stavano in piedi, non avevano un tetto sulla testa ed erano quindi esposti alle intemperie. La platea era partecipe e movimentata: il pubblico parlava, mangiava, beveva e commentava ad alta voce ciò che avveniva sul palco. Un palco chiamato apron stage, ovvero "a grembiule", dato che era aggettante verso il pubblico. Alle spalle vi era l’inner stage, dove si svolgevano le scene in interni o dal quale si rivelavano personaggi particolari, e l’upper stage, una sorta di balcone dove potevano stare i musicisti o gli spettatori ma che veniva anche usato per rappresentare le scene che dovevano svolgersi su due livelli (come la celebre scena del balcone nel Romeo e Giulietta). STORIA DEL TEATRO ELISABETTIANO Prima del 1576 le opere teatrali venivano rappresentate in case private, in arene e in cortili di locande dette Inns e il numero degli spettatori non era altissimo. Ma dal 1576 al 1642, in Inghilterra, si assiste a un fenomeno raro e unico: il "boom" del teatro. Tale fenomeno consiste nella produzione, da parte di numerosi scrittori di talento, tra cui Shakespeare e Marlowe, di migliaia di opere che vengono rappresentate all’interno di nuovi teatri. Per assistere a questi spettacoli le persone pagano prezzi relativamente bassi (un penny per la platea e due pennies per la galleria), e l’ingresso è aperto a tutti, spettatori colti e pubblico popolare. Viene indicata come data di inizio il 1576 perché in questo anno, un falegname di nome Burbage (il cui figlio, Richard Burbage sarebbe diventato uno dei più grandi attori della sua epoca) costruì il primo teatro, The Theatre, che nel 1599 fu smantellato e ricostruito al di là del Tamigi col nuovo nome di THE GLOBE, a sua volta riedificato dopo l'incendio del 1612. In seguito furono costituiti altri teatri come: The Curtain, The Rose, The Swan, The Fortune, The Red Bull, The Hope. I teatri prendono il nome di Play Houses, sul cui aspetto, anche se si fanno supposizioni, non si ha certezza poiché, dopo la loro chiusura del 1642, vennero distrutti e mai più ricostruiti. Le Play Houses suscitavano, all’epoca, la meraviglia dei visitatori, provenienti da tutti le parte dell’Europa, alcuni dei quali le paragonarono alle arene romane. Qualunque fosse il loro aspetto, vennero chiamate così per differenziarle dai Private Theatres, ovvero i teatri dei nobili.Durante l'epoca elisabettiana vennero allestite 2.000 opere teatrali e in quel periodo a Londra 15.000 persone la settimana andavano a teatro (numero consistente se si conta che gli abitanti totali erano 160.000), mentre due persone su quindici "visitavano" il teatro almeno una volta la settimana. I teatri del momento arrivarono a contenere 3.000 persone. La vasta affluenza a teatro è dovuta in parte al linguaggio molto diretto e vivo, interpretabile quindi anche da coloro che non sapevano leggere e scrivere; inoltre, non essendoci distinzione tra i gusti dei cortigiani e quelli del popolo, i frequentatori dei teatri pubblici costituivano un campionario rappresentativo di tutte le classi sociali. I teatri furono collocati subito fuori dei limiti della City che era la parte più austera di Londra, avversa a spettacoli che comportavano un grande numero di persone, che potevano creare confusione o diffondere gravi epidemie. Le Play Houses furono costruite quindi sulla sponda meridionale del Tamigi (quartiere di Southwalk). Fu solo nel 1608, con l'avvento al potere di Giacomo I, molto amante del teatro, che la compagnia teatrale dei King’s Men potè usufruire di una sede collocata nella City, la Blackfrias, all'interno di un monastero sconsacrato. Il teatro dell’epoca fu soprattutto dominato dagli attori che si raggruppavano in varie compagnie. Tra le più famose si ricordano: The Earl of Sussex’s Men, The Earl of Leicester’s Men, The Earl of Warwick’s Men, The Earl of Lincoln’s Men. La parola EARL significa conte. Il funzionario che sovrintendeva agli allestimenti degli spettacoli, ai pagamenti e agli ingaggi degli attori, era The Master of The Revels (il maestro delle feste). Questa nuova carica, istituita dalla Regina, fu ricoperta per 30 anni, dal 1579 al 1609, da EDMUND TILNEY. Nel 1642, tutti i teatri vennero chiusi per ordine di Cromwell. Furono riaperti solo per i nobili, dopo l'ascesa al trono di Carlo II Stuart, nel 1660. STRUTTURA DEI TEATRI Prima dell'innovazione apportata da Burbage, spesso gli spettacoli erano rappresentati all’aperto, nelle arene dove si svolgevano anche i combattimenti tra animali (tori, orsi, leoni…). In seguito, nelle Play Houses, la cui forma era circolare o ottagonale, il palcoscenico si trovava ad un’estremità del teatro, appoggiato ad una parete. Era di forma rettangolare e di dimensioni superiori a quelle degli attuali palcoscenici. Era sollevato da terra e sorretto da botti; i bordi erano coperti da teli che impedivano la visione al pubblico del sottopalco. Sopra il palcoscenico vi era una tettoia generalmente di colore azzurro. Per coprire la parete di fondo si usavano tende o arazzi scelti in base alle esigenze della rappresentazione, ai lati dei quali vi erano due porte attraverso cui gli attori entravano ed uscivano dalla scena. Il sottopalco, che prendeva il nome di Hell (inferno), veniva utilizzato, durante le rappresentazioni, dagli attori, i quali vi accedevano tramite una botola posizionata nella parte anteriore del palco. Lo scopo era quello di ampliare la scena e di ambientare le vicende in luoghi particolari, quali per esempio l’inferno, le prigioni, ecc. che, pur non essendo visti dagli spettatori, potevano essere immaginati. La tettoia sovrastante il palcoscenico veniva chiamata Heaven (paradiso) dal momento che rappresentava il cielo. Tramite carrucole si potevano calare tende che avevano funzione di sipari provvisori visto che non esisteva un sipario vero e proprio. Gli "effetti speciali" erano ottenuti utilizzando lastre metalliche percosse per imitare il tuono, la pioggia. Addirittura dei cannoni da sparare a salve determinarono l’incendio del Globe nel 1612. Molti erano gli attrezzi mobili (alberi, sedili, manti, troni, corone, letti…) che potevano essere portati in scena direttamente dagli attori per simboleggiare luoghi o ruoli specifici. Il "buio" scenico era impossibile: le rappresentazioni venivano svolte alla luce naturale nel primo pomeriggio e nella buona stagione. Ogni spettacolo si chiudeva con la GIGA o JIG, una danza burlesca, realizzata degli attori comici.