La razionalità dei dettagli e l`irrazionalità del "sistema"

La razionalità dei dettagli e l'irrazionalità del "sistema"
Principali conclusioni di un brainstorming organizzato da Vision
Introduzione
Sommario
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Con che coraggio potremmo ancora sostenere che siamo esseri razionali se
dovessimo accorgerci che da dieci anni stiamo continuando ad aumentare ciò
che produciamo e che ci scambiamo e che tuttavia contemporaneamente sta
diminuendo in maniera significativa la quantità di serenità, sta addirittura
dilagando la depressione e si sta appiattendo la curva del miglioramento nella
qualità della salute? È perfettamente normale accorgersi che gli americani
hanno un PIL pro capite tre volte superiore a quello dei greci e che però i greci
riescono a vivere un po' più a lungo? Ed è razionale (chiederebbe l'economista
al suo Ministro del Tesoro, analogamente a quanto la moglie al marito super
stressato) muoversi in un'area di rendimenti marginali così drammaticamente
decrescenti senza neppure chiedersi se ha un senso tutto questo? La
sensazione è, però, che il sistema applichi un'attenzione quasi maniacale ai
dettagli, mentre il quadro complessivo dà segnali di squilibrio neurologico
sempre più evidente. Eppure, e quasi impossibile trovare il tempo per farsene
una ragione, per ipotizzare uno straccio di soluzione1 e confrontarla lealmente
con
quella
degli
altri.
La cosa bizzarra è che la domanda sulla razionalità dei comportamenti trova
ampio spazio tra quelle che ciascuno di noi come individuo si pone; tanti, quasi
tutti, si stanno chiedendo: che senso ha tutto questo? Perché tra automobili,
lavoro e cellulari stiamo perdendo quote di felicità? Perché questo senso di
logoramento, di invecchiamento, questo lento deteriorarsi della nostra capacità
di sognare e di sorridere, proprio quando la tecnologia può finalmente
consegnarci tutto o quasi tutto quello che per secoli l'uomo ha cercato? Molto
più raramente questa domanda ce la poniamo come Società, molto più
raramente i politici e gli economisti vi dedicano tempo e scelte. Questa è, forse
la questione vera che rende impossibile al singolo individuo trovare delle
soluzioni al proprio problema esistenziale, in quanto il problema della
divergenza tra reddito e benessere è problema politico2; la politica però ha le
armi per affrontarlo "completamente spuntate". Ma forse il punto è che come
Sistema, come Società non nusciamo ad esprimere quasi più niente, nessun
vero progetto (figurarsi un progetto di riallineamento nei ritmi tra tecnologia e
benessere) e ciò limita spaventosamente la coerenza del nostro progresso.
E legittimo aspettarsi che l'attività di Governo(policy making) di un dato
Sistema si ponga la felicita, o comunque una qualche categoria di benessere
più ampio del PIL (Prodotto Interno Lordo), quale proprio obiettivo? Non
dovrebbe essere così, principalmente in una Societa tecnologicamente molto
avanzata, ma che ha ancora obiettivi (PIL ad esempio) tipici di società più o
meno contadine che non esistono più e che erano costrette a definire la propria
priorità nell'accumulazione, cioè nell'allontanamento da uno stato di miseria?
Non è per caso un fatto psicologico questo dominio del PIL? Non è forse
l'espressione intellettuale di una delle nostre tante paure, dello smarrimento di
fronte alla modernità (che invece ci fa promesse terribili, forse persino la
liberazione dal lavoro, vero baluardo psicologico della nostra cultura)? Non è la
drammatica ed ennesima dislocazione tra il ritmo delle tecnologie - finite chissa
dove - ed il ritmo delle nostre ideologie che invece sono quasi immobili, forse
persino tanto immobili da correre il rischio di sbriciolarsi all'improvviso?
Siamo sicuri che la misura del PIL non sia peggiore e molto più approssimativa
di un altra più significativa del benessere per la previsione e la misurazione del
consenso (sociale e politico)? Quanti e quanto gravi sono le deviazioni tra PIL e
altre dimensioni di benessere? E se poi ci convincessimo che economisti e
politici dovrebbero fissare nuove modalità per definire il valore aggiunto sociale,
quanto tempo ci vorrebbe per ristrutturare Università, redazioni di giornali,
osservatori e centri di programmazione? Ne abbiamo voglia, ne abbiamo il
tempo? Vale la pena accettare la fatica che innovare comporta? E poi se anche
ci convincessimo, è lecito puntare i cannoni dell'economia e della politica verso
una nuova direzione? Come potremmo farlo senza farci seppellire
dall'umorismo al prossimo incontro tra capi di governo? Può esistere
innovazione se non c'è innovazione in contemporanea in diversi Paesi?
Questo contributo raccoglie un certo numero di risposte (più o meno parziali) a
delle questioni che sono a nostro avviso importanti; tuttavia deve essere
interpretato come work in progress, come appello ad ulteriori sviluppi ed
approfondimenti
che
devono
ancora
essere
fatti.
I tre contributi costituiscono sequenza di riflessioni in tre macro aree:
1.
Perché dobbiamo tornare ad occuparci di felicità? È legittimo farlo da
economisti o da policy maker o, invece, essa (felicità) può essere oggetto di
conversazioni solo personali? E se dobbiamo tornare a parlare di felicità, di
cosa esattamente parliamo, cosa intendiamo per felicità? Ha senso parlare di
felicità come traguardo politico o, invece, essa fa parte della sfera privata ed
individuale?
2.
Perché dobbiamo tornare ad occuparci di felicità se abbiamo già risolto la
questione di cosa gli uomini cercano, di cosa sia il benessere e se già abbiamo
indicatori consolidati per misurare di quanto aumenta e di come sia distribuito?
È possibile misurare la felicità, trattarla come grandezza macroeconomica o
macro sociale, includerla nelle strategie di programmazione e tra i momenti di
controllo?
3.
Qual’è la correlazione tra benessere percepito e consenso (politico e sociale)? E
se anche ci convincessimo che esiste, deve esistere un ruolo del policy maker
nella ricerca della felicità, cosa può fare il policy maker e quali in definitiva
sono le determinanti della felicità (in maniera tale che il governante sappia
quali leve azionare)?
-----------------------------------------------------------------------1 Prima di essere risucchiato nel contenitore di un qualche pregiudizio o di
essere sepolti dall'isteria del pensiero minimalista e dal cinismo che dominano
un mondo che invece altrove, nei laboratori, celebra il massimo trionfo della
logica.
2 Un po' come per gli automobilisti che cercano soluzioni al problema del
traffico mandandosi reciprocamente a quel paese ed identificando nel proprio
prossimo, prossimo di autovettura, la radice di tutti i mali.
SOMMMARIO
Rosalia d’Ali’, Angelo Ferracchiati
Definizione di un concetto sufficientemente operativo di felicita’
Francesco Grillo, Patrizia Bagnato
Sui paradossi del Prodotto Interno Lordo e sulla necessita’ di una
nuova misurazione del benessere
Jacopo Avogadro, Alessandro Schisano
Inventare strategie politiche orientate alla felicita’ e al benessere