A13 432 - Aracne editrice

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A

Franco Piro
Breve storia economica dell’Europa
Copyright © MMXI
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
ISBN ––––
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: settembre 
Indice

Premessa

Capitolo I
Espansione europea e capitalismo

Capitolo II
Gli ultimi due secoli. I dati essenziali

Capitolo III
Il centro del mondo dal Mediterraneo all’Atlantico

Capitolo IV
La rivoluzione industriale in Inghilterra

Capitolo V
I risultati e l’espansione. Il Belgio e il Nord della Francia

Capitolo VI
La Germania

Capitolo VII
L’Italia

Capitolo VIII
La Russia

Capitolo IX
Alla periferia della crescita. La Spagna

Breve storia economica dell’Europa


Capitolo X
Lo sviluppo mancato. L’Impero Austroungarico

Capitolo XI
Uno sguardo d’insieme sullo sviluppo europeo

Capitolo XII
La rivoluzione dei trasporti

Capitolo XIII
L’Europa in movimento

Capitolo XIV
Avanza la Germania

Capitolo XV
La Prima Guerra Mondiale

Capitolo XVI
Le conseguenze economiche della pace

Capitolo XVII
La crisi del 

Capitolo XVIII
Il capitalismo e la crisi

Capitolo XIX
La Seconda Guerra Mondiale

Capitolo XX
La cooperazione nella pace

Capitolo XXI
L’economia dell’Est
Indice


Capitolo XXII
L’economia occidentale. Crescita ed esportazioni

Capitolo XXIII
Il miracolo economico dell’Italia

Capitolo XXIV
Lo Stato Sociale

Capitolo XXV
Piena occupazione e Stato sociale. L’Europa degli anni
Sessanta

Capitolo XXVI
Una moneta unica?

Capitolo XXVII
La crisi degli anni Settanta

Capitolo XXVIII
L’Europa dalla crescita alla crisi

Capitolo XXIX
La fine del sistema dei cambi fissi e le conseguenze in
Europa

Capitolo XXX
Il caso italiano

Capitolo XXXI
L’Europa degli anni Ottanta

Capitolo XXXII
Il crollo del comunismo

Breve storia economica dell’Europa

Capitolo XXXIII
L’unificazione tedesca

Capitolo XXXIV
Maastricht

Capitolo XXXV
Sintesi e problemi

Bibliografia
Premessa
Per comprendere i problemi dell’Europa contemporanea occorre conoscere i tratti essenziali delle storie del Continente.
Dall’Atlantico agli Urali si intrecciano storie diverse, condizionate dallo sviluppo delle forze produttive, dai conflitti tra lavoro
e capitale, dalle dimensioni della politica e dalle politiche dello
Stato moderno.
Lo sviluppo delle forze produttive condiziona l’assetto sociale, riduce il ruolo dell’agricoltura, favorisce l’urbanizzazione,
il ruolo della scienza e della tecnica, l’istruzione di base, la
scolarizzazione progressiva, la diffusione dei mezzi di comunicazione, la formazione della classe operaia. I conflitti tra
lavoro e capitale si svolgono sul terreno della redistribuzione
del reddito ma sollecitano lo sviluppo tecnico a risparmio di
lavoro. Tuttavia, una macchina che sostituisce il lavoro degli
uomini richiede altri uomini nella sua progettazione e nella
sua costruzione. Il progresso tecnico consente incrementi di
produttività che si diffondono per imitazione e innovazione ad
altri processi produttivi. Il conflitto tra capitale e lavoro non
è circoscritto solo ai luoghi della produzione. Esso genera richieste di protezione sociale che possono assumere la forma
dello Stato tutore, come nel caso delle assicurazioni sociali della
Germania di Bismarck, o la forma dello Stato del benessere,
come nell’Inghilterra immaginata da Lord Beveridge sul finire
della Seconda Guerra Mondiale. E tuttavia il conflitto tra lavoro
salariato e capitale si svolge anzitutto sul terreno della retribuzione e della condizione dei lavoratori. In definitiva, quanto
valore ha il lavoro. Con lo sviluppo economico dell’Ottocento
fanno il loro ingresso sulla scena politica i partiti di massa e si
ridefinisce il rapporto tra le masse e il potere. La politica non è


Breve storia economica dell’Europa
più riservata alle élites ma coinvolge moltitudini. Le politiche
economiche diventano domini dei governi, a volte agevolano,
a volte ostacolano, sempre orientano la natura dello sviluppo
che acquista natura nazionale tanto da assumere la forma dei
“modelli”: modello inglese, tedesco, russo, italiano e così via.
Vi è però una dimensione regionale dello sviluppo che sfugge ai confini politici temporalmente definiti. Belgio, Francia
e Olanda nel Nord–Ovest, Francia e Germania nel sud–ovest
della Lorena e dell’Alsazia, Torino e Lione legate tra loro come
Amburgo e le Repubbliche Baltiche fino a San Pietroburgo:
sono storie di macroregioni, studiate e lette con diverse sensibilità. Particolarmente significativa fu la lettura che ne diede
lo studioso inglese Pollard in uno studio (La conquista pacifica) del . In questo senso le dimensioni nazionali e quelle
transnazionali dello sviluppo si incrociano e si contagiano.
La dimensione ottimale dello sviluppo non è quella della
nazione ma quella di aree, di regioni con attività economiche
interconnesse, concentrazioni di dinamismo che si distaccano
dalla immobilità che le circonda. Lo sviluppo pare concentrarsi
per punti e poi diffondersi alle aree circostanti quasi come un
contagio benefico.
Che cosa intendiamo per sviluppo economico moderno?
La risposta più precisa ci è stata data da Simon Kuznets nel dicembre , in occasione della sua Nobel Lecture a Stoccolma
e appare utile riportare proprio le sue parole per definire le
caratteristiche dello sviluppo.
La prima e più ovvia caratteristica è rappresentata dagli elevati saggi
di crescita del prodotto pro capite e della popolazione nelle nazioni
sviluppate [. . . ].
La seconda caratteristica è data dal fatto che l’aumento della produttività, vale a dire del prodotto per ogni unità di fattore produttivo
è elevato, anche se comprendiamo tra i fattori produttivi elementi
diversi dal lavoro, che tra i fattori è il più importante [. . . ].
Terza caratteristica: il saggio di trasformazione dell’economia
è elevato. Tra gli aspetti principali di tale trasformazione si devono
annoverare: il passaggio dalle attività agricole a quelle extragricole e,
Premessa

in tempi più recenti, il passaggio dall’industria ai servizi, il cambiamento di scala delle attività produttive e la trasformazione, a essa
collegata, dell’impresa personale a varie forme di organizzazione societaria delle imprese, con ciò che ne deriva in tema di caratteristiche
occupazionali dei lavoratori. A tutto ciò si potrebbero aggiungere
le modifiche intervenute in molti aspetti della struttura economica
(nella struttura dei consumi, nelle quote di produzione interna e
estera e così via).
Quarta caratteristica: si sono avuti rapidi cambiamenti anche
nelle strutture sociali e nelle ideologie. L’urbanizzazione e la secolarizzazione sono le componenti che i sociologi definiscono di
modernizzazione che prima vengono alla mente. Quinta caratteristica: i paesi economicamente sviluppati, per mezzo dell’accresciuto
potere tecnologico di cui dispongono, specialmente nel settore dei
trasporti e delle comunicazioni (per uso di pace e di guerra), manifestano la tendenza a espandersi verso altri paesi, così giungendo,
per dir così, alla unificazione del mondo, come mai era avvenuto in
nessuna epoca premoderna.
Sesta caratteristica: la diffusione dello sviluppo economico moderno, nonostante sortisca effetti parziali su scala mondiale, è limitata nel
senso che i risultati economici conseguiti da paesi che annoverano i
tre quarti dell’intera popolazione mondiale sono molto inferiori ai
risultati che sarebbero consentiti dal potenziale tecnologico moderno.
Sono passati quarant’anni da queste affermazioni di Kuznets
e allo sviluppo economico moderno si sono affacciate prima le
tigri asiatiche, poi all’inizio di questo secolo il Brasile, la Russia,
l’India, la Cina tanto da far dire che la geografia economica
del mondo è profondamente cambiata. E tuttavia lo schema
interpretativo proposto presenta una sostanziale validità. Lo
sviluppo economico moderno parte dall’Europa e da lì si diffonde al mondo. I paesi che hanno conosciuto il più elevato
sviluppo e il miglior benessere sono i paesi europei e, a parte il
Giappone, nazioni come gli Stati Uniti e il Canada che hanno
avuto fin dalla loro fondazione stretti rapporti con l’Europa.
La grande trasformazione da un’economia prevalentemente
agricola a una basata sulla produzione industriale e sui prodotti
finiti è avvenuta in Europa. Dunque, appare particolarmente
significativo rintracciarne le origini.
Capitolo I
Espansione europea e capitalismo
La crescita del prodotto e della popolazione sono all’origine
dell’espansione europea e del capitalismo, tanto che il saggio
con questo titolo di Fernand Braudel, il più grande fra gli storici, si apre con queste parole: «Gli anni – sono stati per
l’Europa un’epoca gloriosa, caratterizzata da una vivace espansione economica e demografica e dalla vittoria del Vecchio
Continente nell’organizzazione della prima economia su scala
mondiale».
Il XVI secolo, o come dice Braudel, il “lungo XVI secolo”,
ha scoperto bruscamente «che il mondo è immenso, che lo spazio a sua disposizione è molto più vasto di quello che avevano
conosciuto e utilizzato i secoli precedenti». Le scoperte geografiche degli europei riconducono a unità culturali le terre e le vie
d’acqua conosciute dagli indigeni: i Mamelucos, meticci indio
portoghesi fanno conoscere agli europei le piste e le vie d’acque del sud America che gli abitanti originari conoscevano e si
tramandavano per tradizione orale. La conquista violenta trasmette all’Europa le conoscenze di queste vie che si sommano
alle conoscenze sull’Asia e sull’Oceano Indiano. Imponendosi
sulle vie della navigazione, l’Europa crea l’unità marittima del
mondo, prima di tutto assicurando collegamenti regolari tra le
capitali mercantili. Venezia, Ragusa, Barcellona, Genova, Marsiglia sono collegate con la Manica e il Mare del Nord, passando
per Bruges, Southampton, Londra. Le fiere continentali della
Champagne si collegano con le vie marittime e il mare diventa
un grande percorso del nuovo mercato. Fin nelle tecniche di
costruzioni navali lo scambio Nord Sud e viceversa porta le


Breve storia economica dell’Europa
robuste navi nordiche ad affrontare l’inverno mediterraneo e
gli scafi leggeri dalle vele immense, le caravelle, ad avventurarsi
sui punti di congiunzione del Mediterraneo con il Mare del
Nord e dalla penisola iberica salpare per il Nuovo Mondo. Il
vento è in quel momento l’energia da conoscere. All’altezza
delle Canarie Cristoforo Colombo trova l’Aliseo settentrionale
che lo spinge verso le Antille e al ritorno i venti di nord est lo
riporteranno seguendo la Corrente del Golfo dalla Florida alle
Azzorre e da lì alla penisola iberica.
Il timone di poppa, prima in uso nella marineria nordica,
consente di navigare controvento. All’inizio del Cinquecento sono anzitutto i portoghesi a rifornire le Fiandre di spezie
asiatiche e africane, avorio, pietre preziose. Gand, Bruges, Anversa diventano centri commerciali, bancari e assicurativi, contemporaneamente al declino delle città italiane come Venezia,
Genova, Firenze.
Nel XVI secolo l’Europa è investita da una crescita demografica forte e prolungata, cominciata già nel Quattrocento. Così
recuperava il livello toccato all’inizio del XIV secolo, prima di
essere falcidiata da un ciclo pandemico, forse il più devastante
della storia, che l’aveva ridotta della metà. All’inizio del Cinquecento gli europei sono ottanta milioni. Un secolo dopo sono
 milioni. La crescita più consistente è avvenuta in Gran Bretagna, Scandinavia, Olanda, Est europeo: tutte zone del centro
nord del Continente. A metà Settecento, si raggiungono i 
milioni, fino a toccare i trecento milioni a fine Ottocento. Già
nel Settecento l’Italia, la Spagna, il Portogallo rappresentavano un quinto della popolazione europea e non più un quarto,
come all’inizio del Cinquecento. In due secoli la popolazione
del Nord Europa aveva raddoppiato il suo peso. Più che alla
crescita quantitativa, dobbiamo guardare a quel salto qualitativo
che si creò durante il Rinascimento, nel periodo in cui, secondo
Wallerstein,
cominciò a formarsi un tipo di economia che potremmo chiamare
economia mondiale dell’Europa. Non era un impero ma era grande
. Espansione europea e capitalismo

come un impero e ne aveva alcune caratteristiche. Ma era diversa e
nuova. Era un tipo di sistema sociale che il mondo non aveva ancora
conosciuto e che costituisce la caratteristica particolare del moderno
sistema mondiale. È un’entità economica ma non politica, diversa
dagli imperi, dalle città–Stato e dalle nazioni–Stato. Di fatto comprende dentro i suoi confini (non si può parlare di frontiere) imperi,
città–Stato e le emergenti “nazioni–Stato. È un sistema mondiale non
perché comprenda il mondo intero ma perché va al di là di qualsiasi
unità politica definita giuridicamente. Ed è un’economia mondiale
perché il legame particolare fra le parti del sistema è economico.
Alla fine del XVI secolo l’economia mondiale dell’Europa
non comprendeva solo l’Europa nordoccidentale e il Mediterraneo cristiano ma anche l’Europa centrale e la regione baltica.
E infine quella parte dell’America che era sotto il controllo di
spagnoli e portoghesi. Pierre Chaunu osserva che verso il 
la Spagna controllava più della metà della popolazione dell’emisfero occidentale. E nel periodo che va da allora al  la
superficie controllata dagli europei crebbe da circa tre milioni
di chilometri quadrati a sette.
L’importazione dei metalli preziosi dall’America determinò l’inflazione che è conosciuta sotto il nome di rivoluzione
dei prezzi. Studiando i prezzi in Andalusia e successivamente in Europa occidentale, Earl J. Hamilton sostenne la stretta
connessione
tra le importazioni di oro e argento americani e i prezzi [. . . ]. Gli
aumenti più considerevoli dei prezzi coincidono con gli aumenti
più consistenti nell’importazione di oro e argento. La correlazione
tra importazioni di preziosi e i prezzi permane anche dopo il ,
quando entrambi diminuirono.
Un primo articolo di Hamilton è del novembre  e il suo
libro sulla relazione tra il tesoro americano e la rivoluzione
dei prezzi in Spagna tra il  e il  è del . Hamilton è
chiaramente influenzato dalla teoria quantitativa della moneta.
Illustrata per la prima volta dal francese Jean Bodin nel ,
la teoria faceva discendere il livello dei prezzi dalla quantità di

Breve storia economica dell’Europa
moneta in circolazione. Hamilton aveva sottomano la versione
più raffinata e sistematica pubblicata nel  da Irving Fischer,
secondo il quale PQ = MV. I prezzi (P) moltiplicati per la quantità di beni e servizi (Q) danno un risultato uguale alla quantità
di denaro (M) moltiplicata per la velocità di circolazione (V).
Questa identità fu criticata nella successione temporale e fu
fatto osservare che i prezzi salirono prima dell’arrivo dei preziosi americani: è l’aumento generale dell’attività che spiega
l’uso fatto dei metalli preziosi. Fu fatto tuttavia osservare che
la massa monetaria derivante dall’incremento dei metalli preziosi aumentò più dell’espansione della produzione. Era stato
l’eccesso dell’offerta di moneta a determinare l’inflazione. Al
fenomeno certamente contribuirono le guerre, lo svilimento
della moneta, le epidemie con la conseguente riduzione dell’offerta di lavoro. Tuttavia l’offerta di moneta aumentò e con essa
l’inflazione. E questa fu utile soprattutto agli indebitamenti degli Stati che poterono dotarsi di eserciti a più basso costo reale.
La circostanza fu evidenziata da Schumpeter che per la Spagna
del XVI secolo fece osservare che”la nuova ricchezza servì a
finanziare la politica degli Asburgo. L’afflusso fornì un’alternativa alla svalutazione della moneta a cui altrimenti sarebbe stato
necessario ricorrere molto prima, e divenne quindi lo strumento dell’inflazione di guerra e il veicolo del processo interno di
impoverimento e di conseguente organizzazione sociale”.
Per Schumpeter l’inflazione ebbe effetti negativi sullo sviluppo del capitalismo. Ma ci sono elementi che fanno dubitare di
questa affermazione. L’inflazione favorì i debitori e rosicchiò le
rendite, specialmente quelle finanziarie. Certamente agì sulla
diminuzione dei tassi di interesse reali: secondo Cipolla, mentre nel tardo Medio Evo il tasso di interesse si collocava tra il  e
il % salì al ,% tra il  e il  per poi scendere al % tra il
 e il . I metalli preziosi svalutarono la moneta e ne resero
più basso il costo reale. L’illusione monetaria fece scendere i salari reali, anche perché questi si contrattavano singolarmente a
intervalli durante i quali l’inflazione agiva sul potere d’acquisto
e spesso i lavoratori erano pagati alla fine dell’anno. Facevano
. Espansione europea e capitalismo

eccezione le città del Nord Italia e delle Fiandre, dove l’organizzazione della produzione era più antica e i lavoratori erano più
forti. Vi fu quindi anche per questa via un declino della competitività a favore dell’Olanda e dell’Inghilterra, anche se queste
due zone furono favorite dall’incremento della tecnologia e del
commercio estero. Come scrive Wallerstein (p. ):
Un livello salariale troppo alto (Venezia) incideva fortemente sui
margini di profitto mentre un livello salariale troppo basso (Francia
e a maggior ragione Spagna) incideva sulla dimensione del mercato
locale per nuove industrie. L’Inghilterra e l’Olanda si avvicinarono
molto a questa dimensione ottimale nel sistema europeo. Il fatto
che questo sistema fosse un’economia mondiale, tuttavia, era la
premessa necessaria perché fosse possibile che i profitti derivanti
dall’inflazione venissero investiti con vantaggio dalle nuove industrie.
Dunque l’inflazione ebbe importanza sia perché funzionò da meccanismo di risparmio forzato e quindi di accumulazione del capitale
sia perché servì a distribuire questi profitti in modo non uniforme
nel sistema.
L’inflazione favorì il processo di divergenza tra l’Europa
occidentale e quella orientale. Il processo di divergenza ha
origini economiche e istituzionali. Quelle economiche sono
riassumibili nel fatto che le terre incolte si restringevano a Ovest
mentre erano abbondanti a Est. Ciò significava sostanzialmente
la ricerca del progresso nelle tecniche agricole e nell’agricoltura
intensiva in Occidente. I fattori istituzionali sono rintracciabili
anzitutto nella nascita e lo sviluppo delle città dopo l’anno ,
con la conseguente crescita di una borghesia degli affari.
I proprietari fondiari intravidero le nuove possibilità date dal
maggior profitto derivante dal pascolo o dall’affitto ai piccoli
contadini: in un caso e nell’altro si rinunciava alle pretese servili,
si intensificava la produzione per lo scambio e si investivano i
profitti nel commercio o nell’industria nascente. In Inghilterra lo
Stato si impegnava a fondo per le recinzioni e gli allevamenti ovini
che fornivano la materia prima all’industria della lana. A Oriente
invece si favoriva la creazione dei latifondi per la coltivazione del
grano e si difendeva tenacemente la servitù della gleba.

Breve storia economica dell’Europa
Così gli inglesi favorirono l’emergenza del lavoro salariato
più di quanto non riuscirono a fare gli stessi proprietari fondiari
francesi, costretti dalle magistrature locali a inseguire antiche
forme di sfruttamento. In Inghilterra i magistrati erano soggetti
al potere centrale che si affermò definitivamente in Francia
solo nella seconda metà del XVII secolo. Questo è il periodo,
dalla rivoluzione di Cromwell alla Gloriosa Rivoluzione del
, in cui i nobili perdono i poteri di casta (che in Francia
continuarono a resistere per un secolo). La Banca di Inghilterra
nasceva un lustro dopo, nel . Si deve aspettare il  per
vederla all’opera in Francia, per decisione di Napoleone colpito
dalla facilità con la quale gli inglesi affrontavano le guerre con
l’emissione di titoli del debito pubblico garantiti dal sistema
finanziario. L’antico regime della Francia si reggeva sulla cooptazione dei privilegi: la monarchia diventata forte consentiva
ai ricchi di diventare nobili e per questa via ci si sottraeva agli
obblighi fiscali. In Spagna il nobile non doveva sporcarsi le mani
con il lavoro e il commercio. In Inghilterra invece si sviluppò
uno strato di piccoli proprietari indipendenti che, come scrisse
Marx, si arricchirono «a spese sia dei loro lavoratori sia dei grandi proprietari terrieri». Dai primi ottennero l’impiego a bassi
salari, dai secondi l’affitto a canoni fissi dei latifondi e poi la proprietà grazie ai profitti delle loro aziende. La ricerca del profitto
tramite il lavoro proprio e degli altri diventò una caratteristica
dei tempi nuovi. E così l’isola si venne trasformando. Sostenuta
da una forte marina mercantile, rafforzata dal Navigation Act
del , un atto protezionistico giudicato estremamente utile
un secolo dopo dal liberista Adam Smith, riuscì a sostenere le
sue esportazioni sul mercato internazionale, nel Mediterraneo
e oltre l’Atlantico. Non esportava più lana ma tessuti di lana.
Non più materie prime ma prodotti semilavorati o finiti. Così
nella prima metà del Seicento centomila inglesi, soprattutto
commercianti e artigiani, si trasferirono verso la Virginia e la
costa atlantica del Nord America, verso i campi di tabacco e di
cotone, che diventava sempre più importante per l’economia
inglese. Si conquistavano la Giamaica e le Bermude, utili per
. Espansione europea e capitalismo

lo zucchero ma soprattutto per le bande di pirati e corsari che
attaccavano l’egemonia spagnola sul mare. Nel , la prima
colonia in Africa, il Gambia, fu la prima base di partenza del
traffico degli schiavi controllato direttamente dagli inglesi. Frattanto in patria cambiava il paesaggio agrario e quello sociale.
L’industria o sarebbe meglio dire la proto– industria della lana
richiedeva l’ampliamento dei terreni dedicati al pascolo e la
diffusione della produzione nelle campagne tenuta saldamente
in mano ai mercanti imprenditori. L’ampliamento delle enclosures coincise con l’accaparramento dei campi aperti, su cui
i contadini poveri accampavano diritti consuetudinari, come
quello di far torba, legname, caccia, pascolo, piccole coltivazioni. Su questi terreni il grande proprietario mise le pecore o le
coltivazioni del malto da birra. I contratti colonici a lungo termine ed ereditari furono trasformati in contratti a breve e non
ereditabili. Infine, la caduta dei prezzi mise in difficoltà i piccoli
contadini, che furono costretti a vendere. Nuovi proprietari si
affacciavano allora nella vita delle campagne: potevano essere
fittavoli diventati autonomi o ceti urbani che investivano nella
proprietà della terra. I nobili inglesi, lo abbiamo detto, non avevano i pregiudizi continentali. Il calcolo economico riduceva
l’autoconsumo e aumentava la produzione per il mercato, ma
anche la produttività della terra e del lavoro. L’occupazione si
riduceva sulla terra, aumentava nel commercio e nelle manifatture delle città. Più in generale, i nuovi ceti si avvantaggiavano
dai rivolgimenti politici che a metà del Seicento e sul suo finire
diedero vita a un Parlamento che garantiva la continuità dello
sviluppo, si riservava il potere fiscale, dava garanzie per il debito pubblico, faceva nascere la Banca Centrale e il sistema delle
banche di provincia che, tenendo bassi i tassi di interesse, sollecitavano il rischio e l’investimento. I mercanti–imprenditori
cercavano nuove occasioni di produzioni e di vendita.
Questo processo era possibile perché il mercato internazionale funzionava, consentendo l’approvvigionamento di grano
dall’Europa orientale, dove, è bene notarlo, i profitti non sempre
finivano per premiare i nobili locali. L’acquisto spesso veniva

Breve storia economica dell’Europa
fatto per forniture da consegnare in futuro, riducendo la vendita
sul mercato libero. Erano dunque i mercanti a decidere quando
rivendere i beni e in Europa orientale specialmente i mercanti
stranieri che disponevano di adeguate risorse finanziarie. Con
la rivoluzione dei prezzi le risorse in mano ai mercanti erano
cresciute. Nella seconda metà del XVI secolo molti mercanti
erano diventati finanzieri e anticipavano i capitali acquisendo
in cambio il controllo del flusso delle merci. Era una tecnica
applicata dai genovesi agli Spagnoli e nel Mare del Nord diventarono specialisti gli Olandesi, che a questi scopi raccoglievano
capitali anche alla Borsa di Anversa. Con una sostanziale differenza: i genovesi finanziavano prevalentemente le spese della
Corona Spagnola, gli Olandesi finanziavano il commercio internazionale, comprando in anticipo le derrate alimentari e anche
i prodotti e i semilavorati tessili. All’inizio del XVI secolo le
industrie tessili si sviluppavano nei vecchi centri, come l’Italia
del Nord, la Germania meridionale, la Lorena e nel sud–ovest
dell’Inghilterra per l’industria della lana. Nuovi centri sorsero
successivamente in Inghilterra e nel Nord dei Paesi Bassi. L’espansione dell’Europa in America e l’importazione dei metalli
preziosi che permisero all’Europa di vivere al di sopra dei propri
mezzi, ”di investire più dei suoi risparmi” (Braudel), furono alla
base dell’espansione della produzione e della crescita demografica agevolata dallo sviluppo del commercio e dalla produzione
per un mercato distante. L’Europa si è collocata al centro di
una vasta economia mondiale e la sua realtà è, più delle altre,
permeata — dice Braudel — delle realtà e dei simboli monetari:
monete sonanti, biglietti, cedole del debito pubblico, lettere di
cambio. Questa realtà esisteva prima delle grandi scoperte e la
creazione di una economia mondo premiò la realtà finanziaria
più evoluta, attraendo verso i suoi mezzi di pagamento le zone che via via conquistava. L’argento estratto in Sudamerica
prende la via dell’Asia sotto la forma di pezze da otto (reales
de ocho). «Dopo il  un servizio annuale collega Acapulco,
porto della Nuova Spagna sul Pacifico, a Manila nelle Filippine
dove affluiscono le giunche provenienti dalle coste meridionali
. Espansione europea e capitalismo

della Cina». Le estremità del flusso si ricongiungono e al centro
c’è l’Europa.
Qui un ruolo determinante è svolto dai grandi mercanti, il
cui antesignano è Francesco Datini morto a Prato nel . Ci
ha lasciato centocinquantamila lettere che testimoniano i suoi
rapporti internazionali negli affari. Ma molti sono i nomi dei
grandi mercanti: Jacob Fugger ad Augusta, Simon Ruiz (–
) a Medina del Campo (ci ha lasciato circa centomila lettere).
In queste lettere, concluse quasi sempre con il corso dei cambi,
risulta evidente una nuova cultura della contabilità fondata sulla
partita doppia. I suoi rapporti d’affari con i Bonvisi di Lione,
con Baldasar Suarez a Firenze con gli Ximenes a Lisbona gli
consentono di incassare commissioni e di far circolare le lettere
di cambio e le merci in suo possesso.
Alla fine del XVI secolo diventano sempre più attive le banche come quella di Rialto a Venezia, il Banco di San Giorgio a
Genova, la Banca di Amsterdam (che nei primi anni del XVII
secolo comincia a operare con la una grande ed efficiente Borsa
Valori). Proprio in Olanda e in Inghilterra nascono le società
per azioni rappresentate nelle grandi Compagnie per le Indie.
Mentre i capitali erano prima gestiti per famiglie ora si associano con strumenti nuovi e per imprese nuove. Così mentre nel
Nord Europa i mercanti avventurieri si associano per guadagnare nuovi mondi, nel Sud Europa, a Venezia come a Barcellona,
i capitali fanno ritorno alla terra come garanzia contro l’inflazione e suggello del prestigio sociale. Questo è un fenomeno
da tenere in considerazione nella spiegazione dei diversi destini
del capitalismo nascente nelle macroregioni d’Europa. La più
grande potenza finanziaria del XVI secolo è la città di Genova,
associata al finanziamento dei debiti della Corona di Spagna. Le
cinque bancherotte dello Stato Spagnolo nel , nel , ,
,  finiranno per condizionare le sorti della Repubblica,
dilaniata tra nobili vecchi, dediti alla finanza e alle concessioni spagnole che ne derivavano, e nobili nuovi, più dediti al
commercio delle merci e a primi tentativi di industria.
Saranno gli olandesi a soppiantare i genovesi nella finan-

Breve storia economica dell’Europa
za internazionale. Ma essi pure saranno attratti nell’orbita del
finanziamento del commercio e non della produzione. Gli olandesi trasportavano le merci prodotte da altri e persero realmente il loro primato man mano che gli inglesi svilupparono il
commercio della loro produzione.
Ai primi di aprile del  con la pace di Cateau–Cambrésis
l’Europa occidentale diventò il motore dell’economia mondiale.
Si poneva fine alle guerre d’Italia, al conflitto tra la Francia e gli
Asburgo, ma con la figura di Elisabetta I emergeva una nuova
grande potenza, non toccata dalla lunga guerra e capace di trasformazioni interne. L’Inghilterra frazionò la proprietà terriera,
incentivò il meccanismo delle recinzioni, passò dalle esportazioni di cereali all’esportazione di stoffe. Si stava preparando
al grande salto. Alla fine del Cinquecento la città che cresceva di più era Londra, che aveva ormai duecentomila abitanti.
Diventarono seicentomila nel . In poco più di un secolo la
popolazione della capitale si era triplicata.
La potenza inglese aveva sconfitto nel  l’invincibile Armata di Filippo II. Durante la guerra dei Trent’anni (–)
la popolazione dell’Europa Centrale, della Penisola Iberica e
dell’Italia fu colpita anche dalla peste. La riduzione della domanda provocò un crollo generalizzato dei prezzi agricoli, tranne
che in Inghilterra: la caduta dei prezzi si verificò solo in seguito, nei primi anni del secolo XVIII grazie all’incremento della
produttività dell’agricoltura. In un secolo, tra il  e il ,
i salari reali dei lavoratori giornalieri urbani migliorarono del
% in Germania, del % in Francia, del % in Inghilterra
(Guenzi, p. ). Il livello dei salari determinava due conseguenze. Risparmiare lavoro vivo diventava un potente incentivo alla
meccanizzazione.
La crescita della domanda interna ampliava il mercato immediatamente raggiungibile e innalzava la quota di prodotto
destinabile al mercato. Non si può certo stabilire un’unica determinante nello sviluppo economico successivo ma è certo che
la gerarchia dei progressi discende dall’espansione del lavoro
salariato e dalla sua valorizzazione.
. Espansione europea e capitalismo

Ora, interrompiamo il filo cronologico della trattazione e
guardiamo ai dati recenti. Diamo subito la percezione di quanto
è successo e cerchiamo di capire dopo come è successo.
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