Polo Liceale Statale “Saffo”
Roseto degli Abruzzi
Progetto didattico
Cinema Musica Filosofia
Aprile-maggio 2011
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Presentazione
Il corso dedicato a “Cinema, musica e filosofia” nasce per iniziativa del Prof. Donato Di Pasquale che, in qualità di docente di Musica e di Linguaggi non verbali, da sempre si relaziona con altri
insegnamenti per curare momenti di vera interdisciplinarità. In questo anno scolastico si sono volute sperimentare le potenzialità didattiche offerte dal cinema e dalla musica in relazione alla filosofia, insegnamento cardine dei nostri cinque indirizzi liceali.
Nelle discussioni tra i docenti di Filosofia (Di Marco, Ettorre, Celommi) e il docente di Musica è
stato messo a punto questo mini-corso sperimentale (4 incontri) riservato agli studenti delle classi
quarte e quinte. Purtroppo la limitata capienza dell’aula multimediale non consente di offrire questa
nuova opportunità didattica ad un numero consistente di alunni. Gli organizzatori del corso stanno
valutando la possibilità di utilizzare strutture esterne alla scuola. Nel prossimo anno scolastico il
corso verrà ampliato ad altre classi e arricchito nell’offerta complessiva.
Gli incontri si svilupperanno in ordine a questa scaletta: dopo una prima presentazione, segue la visione del film in oggetto (sono state scelte pellicole recenti della durata massima di 90-100 minuti);
al termine della proiezione i docenti relatori animeranno la discussione. I film sono di recente produzione; per linguaggio e tematiche sono sembrati adatti ad un pubblico giovanile di 17-19 anni. La
scelta è caduta su pellicole che presentano al tempo stesso tematiche adatte alla discussione filosofica e contenuti musicali non occasionali. Infatti, in questi lavori cinematografici la musica non è
solo colonna sonora ma è il vero “filo rosso” delle storie raccontate dalle immagini.
Le schede di lavoro serviranno agli studenti per avere una prima informazione sul film (dati tecnici)
e per poter sviluppare i percorsi filosofici. Il Prof. Di Donato si soffermerà con gli studenti sugli
aspetti salienti delle tecniche cinematografiche e musicali, i docenti di filosofia animeranno la discussione sui temi filosofici.
Ha scritto Andrè Bazin che il cinema ha la fortuna di soddisfare nell’uomo il bisogno psicologico
di “salvare l’essere mediante l’apparenza”. Così come Pier Paolo Pasolini non mancava di parlare
del cinema come della “lingua scritta della realtà”. Altri filosofi come Gilles Deleuze considerano il
cinema come una vera e propria filosofia. Ce n’è abbastanza per confermarci che il cinema, già dai
suoi inizi (la settima arte di Pudovkin), presenta forti connotazioni intellettive, ed è un buon veicolo per la pro-vocazione, il chiamar-fuori idee, concetti, intuizioni, meditazioni. Naturalmente il cinema (come racconta Jean Paul Sartre nella sua autobiografia “Le parole”) è anche divertimento,
spettacolo, passatempo e oggi, in particolare, consumo di massa, ma non ne rappresenta l’aspetto
decisivo.
Il corso organizzato dal Polo Liceale Saffo non intende proporre film d’essai da contrapporre al
cinema commerciale dei nostri tempi (che rimane pur sempre il dato caratterizzante della produzione cinematografica del momento), ma vuole utilizzare le risorse offerte dai film di varia provenienza per introdurre gli studenti alla conoscenza dei linguaggi non verbali, alla riflessione sui contenuti etici e filosofici offerti dal cinema e dalla musica, al dialogo educativo e al confronto con le opinioni altrui, all’acquisizione di un metodo di analisi e di studio interdisciplinare, alla rielaborazione personale delle conoscenze.
Secondo il parere di Umberto Curi, il cinema coinvolge non solo la sfera sensoriale ed emotiva dello spettatore ma soprattutto quella intellettiva, innescando un processo liberatorio. Non si può ridurre al semplice racconto o alla mera rappresentazione della realtà, quasi fosse relegato alla funzione
mimetica di un oggetto-realtà che lo trascende infinitamente. Secondo altri pensatori che possiamo
considerare temerari, il cinema nascerebbe nella Caverna di Platone, set ideale per la sceneggiatura
cinematografica.
Per rimanere al dato storico, occorre dire con Walter Benjamin (L’opera d’arte nell’epoca della
sua riproducibilità tecnica, 1936) che il cinema consente per la prima volta di porsi dialetticamente
a confronto con l’arte aristocratica ed offre l’opportunità di un’arte finalmente popolare che non si
esaurisce nel puro divertimento di massa, ma diventa uno straordinario strumento didattico prima
non disponibile.
Vincenzo Di Marco
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Finalità e obiettivi relativi ai linguaggi specifici: musica e cinema
La cosa ineffabile – davvero un tesoro alla portata di tutti! – è che i capolavori dei più grandi maestri del cinema sono accessibili oggigiorno a chiunque e in qualsiasi momento. L'enorme mercato
dei media è più che mai florido e in costante ascesa. Media e supporti quali: dvd, blu-ray, pendrive,
hardisk multimediali, tv generalista, digitale terrestre, Pay Per View, digitale terrestre, tv satellitare,
tv via cavo sono il costante veicolo di opere cinematografiche, sia le più recenti come anche le pietre miliari della storia del cinema.
Tutto ci dà l'opportunità di effettuare, a costi praticamente trascurabili, una delle più nobili, nonché
fruttifere, attività mentali dell'uomo: l'analisi.
Come è evidente, infatti, l'estrema accessibilità dei media e dei supporti ci dà la possibilità di analizzare singole scene, fissarle, rallentarle, reiterarne la visione, il tutto per una maggiore comprensione della tecnica e della grammatica del linguaggio cinematografico.
Il corso intende avviare l'allievo – oltre che ad una riflessione sui nessi tra musica, filosofia e cinema contemporaneo (si vedano le ottime schede delle singole opere cinematografiche, curate dal
Prof. Vincenzo DI MARCO) – anche alla conoscenza e all'analisi dei linguaggi specifici (cinema,
musica).
Il corso inoltre intende sollecitare e stimolare l'allievo ad una riflessione sulle nuove tecnologie,
soprattutto quelle cosiddette “low cost”; far acquisire competenze di base per un uso consapevole
di tali tecnologie.
Per ciò che concerne la musica, il suono e l'audio in generale, gli alunni comprenderanno qual è il
significato corretto del concetto di COLONNA SONORA; analizzeranno e impareranno quali sono
le varie funzioni di un commento musicale in un film; cosa vuol dire MUSICA IN e MUSICA
OFF; cosa vuol dire MUSICA CONVERGENTE e MUSICA DIVERGENTE; apprenderanno i
concetti di SONORIZZAZIONE, EFFETTI SONORI, SINCRONIZZAZIONE, ecc..
Per ciò che concerne il testo gli alunni conosceranno i concetti relativi alle parole SOGGETTO,
TRATTAMENTO, SCENEGGIATURA, DOPPIAGGIO, OVERSOUND, VOCE NARRANTE
STORYBOARD, ecc…
Le finalità dell’intero lavoro si riferiscono soprattutto ai modi di fruizione di un’opera cinematografica dal punto di vista tecnico/tecnologico e dal punto di vista critico/estetico, contribuendo ad affinare il gusto e la capacità di giudizio attraverso l’indagine analitica.
Donato DI PASQUALE
A cura di:
Donato Di Pasquale e Vincenzo Di Marco
Alunni coinvolti:
Classi quarte e quinte (max 30 alunni)
Docenti relatori:
Donato Di Pasquale, Vincenzo Di Marco,
Claudia Ettorre, Mariadele Celommi
Calendario:
Giovedì 7 aprile 2011
Lunedì 18 aprile 2011
Mercoledì 20 aprile 2011
Mercoledì 4 maggio 2011
Tutti gli incontri si svolgeranno dalle ore 14,30 alle ore 16,30.
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Primo tema:
lo straniero, l’ospitalità, l’amicizia
Film: L’ospite inatteso
REGIA: Thomas McCarthy
SCENEGGIATURA: Thomas McCarthy
ATTORI: Hiam Abbass, Amir Arison, Danai Jekesai Gurira, Richard Jenkins, Maggie Moore
MUSICHE: Jan A.P. Kaczmarek
PAESE: USA 2007
GENERE: Drammatico, Romantico
DURATA: 104 Minuti
Trama
Walter Vale, professore universitario di Economia, vedovo da cinque anni, vive una vita
monotona in una cittadina del Connecticut. Quando Walter di malavoglia accetta di sostituire un collega a una conferenza a New York City, scopre con sorpresa che il suo appartamento, da tempo disabitato, è stato affittato con un imbroglio a una giovane coppia, il siriano Tarek e l’africana Zainab. Dopo un primo momento di sconcerto Walter decide di
farli restare finché non si siano trovati un altro posto. Anche attraverso una comune passione per la musica, in breve, tra Walter e Tarek prende forma un’amicizia che la più guardinga Zainab disapprova. Quando però un contatto accidentale con la polizia fa finire Tarek,
immigrato irregolare, in un centro di detenzione dell’I.C.E. (Immigration and Customs Enforcement), Walter risulta essere l’unica persona che gli può far visita. L’impegno di Walter nei confronti del suo giovane amico si rafforza ancor di più con la comparsa di Mouna,
la madre di Tarek venuta in cerca del figlio. Mentre i quattro affrontano le desolanti realtà
del sistema di immigrazione americano e i problemi della loro vita, affiora la loro umanità
attraverso situazioni ora goffe e comiche, ora tenere e drammatiche.
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Spunti di lettura del film
Walter Vale, dopo la morte della moglie sembra aver perso interesse per la vita, e di conseguenza
scopre il grigiore di un lavoro che in realtà non ha mai amato, e passa le giornate tra studenti che
neanche conosce e imbarazzanti lezioni di piano, lasciandosi scivolare lentamente in una monotonia che inesorabilmente lo consuma. La sua vita è legata all’abitudine e alla solitudine, dove non
accade nulla di significativo, come se avesse perso ogni interesse. Aristotele direbbe che “si fa per
abitudine ciò che si fa perché si è sempre fatto” e non si capisce l’esigenza di dover cambiare.
L’abitudine sembrerebbe l’aspetto più similare alla natura delle cose, ciò che avviene “spesso”,
“sempre”, una ripetizione uniforme e meccanica degli eventi che mette al riparo dagli inconvenienti. Ma dentro di essa si annida un tarlo particolarissimo, l’evento imprevisto che può cambiare la
vita da cima a fondo. Anche lo stesso David Hume stima che nelle persone il valore di un atto sia
dato dalla sua ripetizione, dall’abitudine a conservare ciò che si fa senza ragionamenti di sorta, per
pura credenza nella bontà di ciò che si ripete.
Un viaggio a New York per la presentazione di un saggio, innescherà una serie di avvenimenti che
gli cambieranno per sempre la vita; nel suo vecchio appartamento Walter troverà due inquilini inaspettati e molto particolari, Tarek e la sua compagna Zainab, entrambi clandestini. Questa sequenza si può leggere come l’incontro con lo straniero, l’inaspettato, l’inatteso, l’aggettivo del titolo
del film, ma anche con l’ospite, il sostantivo. Dopo un incontro/scontro i tre si chiariranno e il professore deciderà di offrire ospitalità alla coppia in evidente imbarazzo. All’inizio l’incontro è difficile, violento, drammatico. Come dice George Simmel, “lo straniero è colui che arriva per rimanere”, anche se in questa storia non sarà così. E’ una presenza inquieta, minacciosa, poiché avvicina il
protagonista ad un altro modo di essere e di agire. I primi contatti sono all’insegna dell’imbarazzo e
del disagio profondo. Il disappunto per l’accaduto li porta quasi alla separazione, ma qualcosa è
cambiato in Vale, anche se lui non l’ha capito ancora. Dentro di sé c’è un turbamento positivo, nota
dei cambiamenti interiori già palpabili, avverte pensieri confusi nella mente ma si sente vivo, vuole
cominciare a vivere. Lui studia e insegna l’economia globalizzata, ma fino a quel momento non ha
avuto esperienza di ciò che incontra nei suoi libri. Pian piano comincia ad afferrare cosa vuol dire
tutto ciò.
L’arresto di Tarek, l’arrivo della madre di lui, Mouna, anch’essa vedova e lo scontro con la burocrazia post-11 settembre, risveglierà il Walter sopito, che tira fuori tutta la sua immensa passione e
la grande voglia di vivere, scoprendosi nuovamente capace d’amare e cercando in ogni modo di
salvare Tarek da una inevitabile espulsione. Walter comincia a suonare con Tarek, che insegna al
professore come destreggiarsi con il tamburo africano, vero punto di contatto (universale) tra i due,
a parte tutte le altre differenze. Fa l’esperienza dei centri di detenzione per gli immigrati clandestini, della durezza della detenzione, della burocrazia (bio-politica), e riscopre in questo modo il sentimento di amicizia e di fratellanza, la tolleranza tra gli uomini come quando dirà, rivolto ai carcerieri, che Tarek “non ha fatto niente di male”.
Importante è la sequenza della “finzione”, nel finale del film, quando confesserà a Mouna di essere
un uomo che “finge” di vivere e di fare qualcosa. Qui emerge il suo bisogno di autenticità, di amicizia e di amore, sentimenti che aveva dimenticato da tempo. In termini neo-kantiani si parlerebbe
del “come se”.
Nel film non manca la denuncia sociale e la paura del diverso, dopo l’11 settembre, anche se si tratta di un racconto dai toni leggeri, sentimentali, godibile. Forse per sottolineare che il sentimento
molte volte vince sulla cruda ragione.
Per riflettere
Nel film è assegnato un valore fondamentale alla musica, curata da Jan Kaczmarek, poiché con essa si sottolinea la rinascita di Walter Vale e il suo lento ridestarsi alla vita, soprattutto con il tamburo, uno strumento da cui non si separerà più, come nella scena finale
del film. La musica ha questo valore antico, ancestrale? Cerca di trovare una risposta.
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Secondo tema:
il dolore, il nulla, la libertà
Film: Film blu
REGIA: Krzysztof Kieslowski
SCENEGGIATURA: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz
ATTORI: Juliette Binoche, Benoit Regent, Florence Pernel, Charlotte Very, Hélène Vin-
cent, Philippe Volter, Claude Duneton, Hughes Quester, Emmanuelle Riva
MUSICHE: Zbigniew Preisner
PAESE: Francia/Polonia, 1993
GENERE: Drammatico
DURATA: 98’
Trama
In un incidente stradale, Julie (Juliette Binoche) perde il marito Patrice, un celebre compositore, e la piccola figlia Anna. Julie inizia così una nuova vita, anonima, indipendente, lasciandosi deliberatamente alle spalle tutto ciò di cui disponeva prima, in abbondanza. Un
giornalista musicale sospetta che in realtà fosse Julie l'autrice delle musiche del marito. Lei
nega, forse troppo bruscamente. Il giovane assistente di Patrice (Benoit Régent) ama Julie
da molto tempo. Per costringerla ad uscire dall'isolamento, decide di portare a termine il
Concerto per l'Europa: un'opera grandiosa lasciata incompiuta dal compositore morto. Julie
intanto si sforza per non cadere nelle trappole che minano la sua libertà. Cambia casa, vuole vivere sola, cerca di non intrattenere rapporti con gli altri, vorrebbe scomparire dal mondo. Lentamente i ricordi, gli incontri e il ritorno fatale della musica la riporteranno in vita.
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Spunti di lettura del film
Primo in ordine dei “tre colori” (blu, bianco, rosso, ovvero libertà, uguaglianza, fraternità), il film
tratta il tema della libertà attraverso la storia, o meglio la vicenda psicologica, di Julie, che, coinvolta in un incidente stradale, perde marito e figlioletta. Lei è l’unica a salvarsi, ma ha difficoltà a
sopravvivere ad un dolore indicibile. Da principio, abbandona tutto, legami, affetti, casa; rifiuta
l’aiuto e la compagnia dell’amico del marito (Olivier), segretamente innamorato di lei. Si può dire
che diventa un carattere malinconico, bisognoso di silenzio e di abbandono. Freud ha collegato la
“malinconia” al lutto e a quelle situazioni dolorose che gli esseri umani provano di fronte ad esperienze tragiche, come la perdita improvvisa di una persona cara. Però la malinconia può diventare
un sentimento distruttivo, un precipizio senza fondo, se nasconde dentro di sé la volontà di annullamento. Le scene sono dominate dal colore blu: il blu della piscina in cui Julie si tuffa, nuota,
piange, elabora il proprio dramma interiore; il blu dei riflessi che magicamente si compongono sul
viso dolce e triste di una donna colpita, debole ma non vinta; il blu dell’ecografia nella corale scena
finale; il blu di un lampadario, unico oggetto di memoria cui Julie non rinuncia; il blu dello sfondo
che chiude il film. Il regista propone una riflessione impietosa e lucida, inquietante e misteriosa, sul
destino e sul caso, sulla finitezza e debolezza nostre e dei nostri sentimenti, sull’ambiguità delle
umane vicende: ma ciò che più affascina è che tale riflessione è condotta non in maniera fredda o
intellettualistica, ma attraverso la forza di una regia e sceneggiatura sapienti, di figure controverse,
di una rielaborazione del lutto che è pian piano favorita anche dalla scoperta che il marito aveva
un’amante ora incinta.
Non mancano esempi suggestivi e controversi: le luci, i silenzi, le sinfonie che a tratti illuminano le
scene, quasi ad esprimere le sofferenze interiori, altrimenti inesplicabili; l’immagine di Julie che
vede un’anziana signora che, a fatica, riesce a buttar via un vetro vuoto; l’incontro di Julie con la
mamma, che ha perso in parte la memoria e che fissa la televisione che proietta immagini che rievocano l’instabilità, il pericolo incombente che grava su ogni destino umano; il dolore di Julie madre nel dover uccidere una topolina ed i suoi piccoli; la figura del pifferaio, che suona un brano simile all’inno per l’unificazione, ma che lui dice di aver creato da solo; il ragazzo che di notte scappa e cerca aiuto, senza trovarlo a causa delle nostre paure e della nostra impotenza ed indifferenza.
Nel film siamo spesso introdotti nell’atmosfera di un personaggio alla ricerca del nulla, del proprio
annullamento personale. Con Hegel potremmo affermare che “in nessun luogo, né in cielo né in
terra, c’è qualcosa che non contenga in sé tanto l’essere quanto il nulla”. Anzi, l’uomo è quell’ente
di cui si può dire l’uno e l’altro senza cadere in contraddizione. Nella protagonista avviene pressappoco quello che Heidegger chiama “la negazione radicale della totalità dell’esistente”.
Nel finale accade qualcosa di diverso. La protagonista capisce molte cose: il tradimento del marito,
l’amante che aspetta un figlio da lui, l’intrusione continua della musica che cerca di emergere dal
suo animo nonostante le sue negazioni. Brandelli dell’inno risuonano spesso durante la visione, per
poi culminare alla fine nella sinfonia completa, accompagnata dall’Inno all’Amore di S. Paolo ai
Corinzi. “Ora perdurano Fede, Speranza e Amore… ma dei tre il più grande è l’Amore”: queste
sono le parole che dovrebbero dire fine al film, rappresentando (anche se solo laicamente) il ritorno
alla luce di una donna colpita nei suoi più intimi affetti.
Nel film c’è un ritorno vero e proprio alla vita? La protagonista ha trovato la sua libertà? Ed essa è
legata ai ricordi, anche ai più dolorosi? Che cos’è la libertà: un fantasma dell’animo? Un sentimento legato alla propria caducità? E’ un legame con qualcosa o qualcuno? Per Bergson infatti la libertà rimane un qualcosa di indefinibile e per Sartre addirittura di assurdo, ingiustificabile e infinitamente possibile. Il volto finale di Julie, assorta, piangente, vinta da un dolore che continua a lacerarla, che cosa ci indica? Come trascinato da immagini e sentimenti contrastanti, dalla speranza, da
un senso di dolce tristezza, dalla fede nella rinascita ad un senso di incombente ed irrimediabile sfinimento. E’ tutto questo?
Per riflettere
Anche in questo film la musica sembra rappresentare il filo conduttore dell’intera vicenda.
Si tratta di una musica coinvolgente, passionale, drammatica, ma anche liberatoria, aperta,
diretta. Che rapporto c’è per te tra musica, emozione e sentimento? Sapresti rispondere?
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Terzo tema:
la violenza, la solidarietà, la dignità
Film: Quattro minuti
REGIA: Chris Kraus
SCENEGGIATURA: Chris Kraus
ATTORI: M. Bleibtreu, R. Müller, H. Herzsprung, S. Pippig
MUSICHE: Annette Focks
PAESE: Germania 2006
GENERE: Drammatico
DURATA: 112 min
Trama
L’ottantenne Traude Krüger si reca ogni giorno presso il carcere femminile di Lickau dove
insegna a suonare il pianoforte a un numero sempre più esiguo di allieve. Il corso rischia di
essere chiuso ma la donna, grazie anche alla solidarietà di un guardiano, riesce a convincere il direttore. Un giorno però sarà la stessa guardia carceraria, massacrata di botte da una
detenuta, Jenny, a cambiare idea. Jenny è infatti in carcere accusata di omicidio. Ha uno
straordinario talento per il piano ma è preda di crisi di violenza che la gettano nello sconforto. Traude, inizialmente diffidente nei suoi confronti, deciderà di insistere riuscendo,
nonostante i vincoli burocratici e non posti dal personale del carcere, a portarla fino alle
soglie di un Concorso per giovani pianisti. C'è però un altro ostacolo che pare insuperabile:
Jenny ama svisceratamente l'hip hop col quale riesce ad esprimere sulla tastiera la sua creatività e la sua rabbia. Traude invece lo detesta.
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Spunti di lettura del film
I film sul rapporto insegnante-allieva in cui l'una cerca di spingere l'altra ad esprimere il suo talento
rischiano sempre di fare la stessa fine: conflitti, incomprensioni, progressi e poi il trionfo che fa
contenti tutti. Non è così, in 4 minuti, la cui storia è molto più complessa, affronta direttamente non
solo il tema dell'arte e di chi ne è dotato ma anche quelli, altrettanto importanti, dell'influsso di un
passato il cui peso è difficile da portare e della rieducazione in ambito carcerario.
Traude e Jenny non sono due personaggi da "romanzo di formazione". Sono due esseri reali fatti di
nervi, di rigidità, di scarsi abbandoni e di improvvisa (per Jenny) quanto incontrollabile violenza.
Sono due donne ferite nel profondo che cercano (l'una chiudendosi in un rigore quasi ottocentesco
e l'altra cercando la regola del “senza regola”) una via d'uscita. Che passa anche attraverso il rifiuto
dell'altro come persona. Come se fosse possibile insegnare e apprendere senza mettersi in relazione
al di là della “tecnica”. La violenza raccontata nel film assume i tratti di una violenza “metafisica”,
come direbbero Severino e Vattimo, in cui non è possibile “tacitare le domande ulteriori solo per
soddisfare la perentorietà autoritaria di un primo principio appagante”. No, qui la violenza non è
fine a se stessa, non è spettacolare, sfoggio della potenza della tecnica muscolare, è un tratto
dell’uomo e un suo modo specifico di “comunicare”.
Il film inizia con un fatto brutale. Nella cella dove è confinata Jenny una compagna si è impiccata
nella notte. Lei è “indifferente” all’accaduto, addirittura fuma una sigaretta sottratta dalla tasca della morta. Le guardie corrono in grande fretta e subito dopo un’altra scena mostra la vecchia insegnante che, aiutata da due “omoni” poco di buono, sta trasportando con un camioncino un nuovo
pianoforte nel carcere. L’arrivo dello strumento è salutato dalle detenute con strida confuse, anche
il direttore fa presente alla vecchia insegnante che i fondi stanno finendo e che non potrà avere più
di 4 allievi, di cui una deceduta. Nella mente della donna riaffiorano i ricordi di guerra, quando ostacolata anche in quel periodo da un ufficiale nazista, cercava invano di dare lezioni di piano ad
una reclusa, una “nemica del popolo”, una comunista, di cui si era innamorata. Comincia a farsi
strada l’innominabile, il segreto, l’enigmaticità della vita delle due protagoniste, che si scioglieranno solo nel finale della storia.
La nuova allieva viene accolta male, la giovane reagisce aggredendo con violenza il secondino di
guardia. La signora Krüger prova orrore per il carattere irruento della ragazza, per i suoi gusti musicali (“la musica negra non vale nulla”), la definisce una “spregevole che ha talento” ed è disposta
ad aiutarla solo per amore della musica e della bellezza. Le dice che l’aiuterà “come pianista ma
non come persona”. Dopo questo episodio Jenny verrà legata a letto ma si deciderà comunque di
aiutarla. Qui, direbbe Lévinas, l’Altro viene calpestato, anzi non viene riconosciuto per la prevalenza del Medesimo, dell’Amor Proprio.
Sembrano due mondi incomunicabili: la più giovane non manca di offendere l’insegnante (“brutta
troia”, “cagate psicologiche”, “Mozart del cazzo”), l’anziana donna continuerà imperterrita a maledire la psiche violenta della ragazza e il suo gusto barbarico per la musica negra. Però le prime prove del concorso pianistico dimostrano la bravura di Jenny e riaccendono nell’insegnante
l’entusiasmo giovanile, contrassegnato nel film dai continui flash-back del periodo di guerra.
Jenny confesserà di aver avuto una relazione occasionale con un ragazzo orientale, Oscar, di cui era
incinta. Il parto fu doloroso, perse il bambino, ma soprattutto racconta di aver subito continue violenze da parte del padre, verso il quale nutre un odio profondissimo. E’ finita in carcere per
l’accusa di decapitazione del padre del ragazzo, ma sembra un’autoaccusa per salvarlo. Da qui la
sua infinita rabbia e disperazione. La prima delle vite nascoste, segrete; la seconda è
dell’insegnante, che si porta dietro il dramma della sua omosessualità e l’abbandono di feriti agonizzanti durante un bombardamento alleato. Una prima traccia di solidarietà tra le due.
Il finale, i 4 minuti che sono concessi a Jenny nella serata conclusiva del concorso pianistico è spettacolare ed entusiasmante, ma i dubbi restano e la storia non trova un facile scioglimento, forse un
parziale ravvedimento, o redenzione?
Per riflettere
Le due attrici saranno costrette ad accettare pregi e difetti l’una dell'altra. Secondo te, riescono a
dare un senso alla “rieducazione” che dovrebbe essere lo scopo di ogni carcerazione? La musica
(quale?) può rappresentare, per la sua bellezza, un tramite essenziale per questo scopo?
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Quarto tema:
la morte, la passione, l’irrazionalità
Film: Il soffio
REGIA: Kim Ki-duk
SCENEGGIATURA: Kim Ki-duk
ATTORI: Chang Chen, Park Ji-a, Ha Jung-woo, Hang In-Hyung, Kim Ki-duk, Lee Joo-Seok
PAESE: Corea del Sud 2007
GENERE: Drammatico
DURATA: 84 min
Trama
Una donna in crisi col marito adultero sfoga la propria frustrazione nella scultura, fino a
quando non sente al telegiornale la notizia di un condannato a morte che per la seconda
volta ha tentato di togliersi la vita conficcandosi un oggetto appuntito in gola. Affascinata
dalla morte che ha accarezzato tanto spesso prima, trattenendo il respiro a lungo sott'acqua,
si finge ex del prigioniero e va a visitarlo in carcere. Un po' per curiosità e un po' perché
impossibilitato a parlare a causa della ferita, l'uomo, Jin, sta al gioco, ed è così che al primo
incontro ne seguono altri, in cui la bella Yeon non si limita a parlargli ma esprime il proprio senso artistico con canzoni e costumi dedicati ogni volta ad una stagione diversa. Gli
incontri inducono gradualmente una passione fra i due, sotto lo sguardo attento del direttore del carcere che segue le loro mosse tramite le telecamere di videosorveglianza, provocando così la gelosia del marito di Yeon e dei compagni di cella di Jin.
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Spunti di lettura del film
La morte sembra la protagonista del film, anzi il fascino, la fascinazione della morte, assieme al
conflitto tra l'amore e la passione che si fa tutt'uno con il sesso, tra lo spirito e la carne che sembra a
volte pretendere la violenza. Sono problemi che attraversano tutto il modo di fare cinema di questo
regista coreano, e che anche in questa occasione si ripropongono.
Ancora una volta l'irrazionale irrompe in una vita “normale”, così come in quella di qualcuno che
ha la morte con sé per averla procurata ad altri e aver cercato di darla a se stesso. La donna offre al
condannato quel respiro che lui si è sottratto ma di cui anche lei sente il bisogno. Un respiro che
può però anche trasformarsi repentinamente nel suo contrario: la soffocazione. L’impasto di amoresesso-passione-morte rende bene l’atmosfera di irrazionalità con cui è giocato tutto il film. Un sado-masochismo filtrato in immagini erotico-sensuali, che “trova in se stesso la sua felicità, si crede
il solo ricco, il solo savio, il solo re, il solo libero: in una parola si crede il tutto”, come Erasmo apostrofa la pazzia.
Nella cella del condannato a morte c’è odore di violenza e di macabra sensualità, poche le parole,
molti i gesti, i sottintesi, i simboli. Come in una scena sartriana, dietro il “muro”, i condannati si
lasciano andare agli impulsi distruttivi, perdono l’umanità, seguono la necessità del caso e della costrizione. A casa di lei le cose non vanno certamente meglio. Il marito si accorge del lieve malessere della moglie e le dice di guardarsi “una soap-opera” e non i notiziari sui condannati a morte. Avverte che la fascinazione macabra della morte può colpire una moglie, per giunta, artista (“stai
sempre a scolpire”). Amore e morte di nuovo, la passione che non ha lingua, misura, contegno. Ma
dovremmo dar ragione a Nietzsche che vede nella passione “la forma suprema della salute”?
Subentra nella giovane moglie l’ossessione del detenuto, lo deve cercare, deve parlargli, oramai
non ha nulla di più che questo, con un marito che la tradisce tranquillamente con un’altra. Il film è
“silenzioso”, solo intervallato da qualche “tocco” musicale, epidermico, sensuale. Si reca in carcere, chiede di vedere il detenuto. Gli racconta dei suoi problemi, delle sue sensazioni di morte, dei
suoi soffocamenti (“morta per 5 minuti”). La cosa si ripeterà per altre quattro volte, in una stanza
allestita con carta da parati che rappresentano le stagioni dell’anno, dalla primavera fino all’esiziale
inverno. Lei gli canta canzoncine intonate alla stagione, poi gli parla dei suoi “malanni”, spiati dalla telecamera del direttore e guardati a vista da un carceriere interdetto e indifferente. Si fa toccare
il viso, lo bacia, racconta i suoni profondi che sente, dei dolori che avverte, gli spasmi “mortali”, è
come in “trance”, piange, crede di essere un uccello o come il vento. E’ quasi in preda alla “follia.
Descrive la morte (“quando la volontà non conta più”).
Non può evitare i sospetti del marito, le scenate dopo la scoperta del fatto, ma alla fine sarà proprio
lui ad accompagnarlo nell’ultimo incontro, dove si consumerà anche un rapporto sessuale con la
permissione del direttore-guardone.
L'interiorità di lei si è trasformata in un angelo con un'ala ripiegata che ha bisogno di spiccare il volo e che trova lo spazio nell'angusta dimensione di un carcere. Il regista sudcoreano sa bene come
esprimere le tensioni interpersonali filtrandole attraverso l'uso delle immagini. L'uomo ha bisogno
di immagini e di simulacri e questo film in particolare se ne occupa. La televisione, il circuito interno della prigione che registra gli incontri tra i due, i graffiti sul muro, le foto che la donna dona
al condannato, gli stessi fondali iperrealistici che utilizza come sfondo con cui “ricreare” il parlatorio sono tutti legati alla necessità di trasformare in immagini l'esperienza e al contempo fissarla per
poterla in qualche modo possedere. Ma si tratta di un possesso fragile e reversibile. Come pupazzi
di neve destinati a liquefarsi.
Per riflettere
In questo film l’apporto della musica sembra essere inferiore agli altri, anche se i silenzi
delle inquadrature sembrano molto eloquenti. Quale rapporto credi si instauri tra la sollecitazione delle note musicali, il piacere sensuale e i comportamenti umani? Può davvero la
sensualità rappresentare “tutto” per l’uomo? Che cosa ne pensi?
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Quinto tema:
l’ideologia, la verità, l’apparenza
Film: Le vite degli altri
REGIA: Florian Henckel von Donnersmarck
SCENEGGIATURA: Florian Henckel von Donnersmarck
ATTORI: Martina Gedeck, Ulrich Mühe, Sebastian Koch, Ulrich Tukur, Thomas Thieme
PAESE: Germania 2006
MUSICA: Stéphane Moucha, Gabriel Yared
GENERE: Drammatico
DURATA: 137 min
Trama
Berlino Est, 1984. Il capitano Gerd Wiesler è un abile e inflessibile agente della Stasi, la
polizia di stato che spia e controlla la vita dei cittadini della DDR. Dopo aver assistito alla
pièce teatrale di Georg Dreyman, un noto drammaturgo dell'Est che si attiene alle linee del
partito, gli viene ordinato di sorvegliarlo. Il ministro della cultura Bruno Hempf si è invaghito della compagna di Dreyman, l'attrice Christa-Maria Sieland, e vorrebbe trovare prove
a carico dell'artista per avere campo libero. Ma l'intercettazione sortirà l'esito opposto,
Wiesler entrerà nelle loro vite non per denunciarle ma per diventarne complice discreto. La
trasformazione e la sensibilità dello scrittore lo toccheranno profondamente fino ad abiurare una fede incompatibile con l'amore, l'umanità e la compassione.
All'epoca dei fatti, quando le Germanie erano due e un muro lungo 46 km attraversava le
strade e il cuore dei tedeschi, il regista Florian Henckel von Donnersmarck era poco più
che un bambino. Per questa ragione ha riempito il suo film dei dettagli che colpirono il
fanciullo che era allora. La riflessione e l'interesse per il comportamento della popolazione,
degli artisti e degli intellettuali nei confronti del regime comunista appartengono invece a
uno sguardo adulto e documentato sulla materia. Ricordi personali e documenti raccolti
rievocano sullo schermo gli ultimi anni di un sistema che finirà per implodere e abbattere il
Muro.
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Spunti di lettura del film
Nella Berlino Est dell'anno 1984, il capitano della Stasi ("Ministero per la Sicurezza di Stato")
Gerd Wiesler, nome in codice "HGW XX/7", viene incaricato di spiare e tenere sotto controllo Georg Dreyman, famoso scrittore di teatro ma ritenuto non troppo in linea con l'ideologia del regime.
Insieme alla sua squadra, Wiesler approfitta di una breve assenza di Dreyman dal suo appartamento
e lo riempie di microfoni e microspie, e organizza un punto d'ascolto all'interno dello stesso edificio
per poter spiare lo scrittore. Occorre “sapere tutto degli altri”, è il motto dell’organizzazione. Non
c’è più libertà personale, questo chiede l’ideologia del regime comunista. La vita di queste persone
è legata ad una facciata di apparenza, mentre la verità dei fatti è un’altra. Sospetti, sotterfugi, denuncie, invidie, sopraffazione costituiscono gli elementi su cui fonda una società falsa e violenta.
Mentre vigila l'appartamento, Wiesler sente che durante la festa di compleanno di Dreyman, Albert
Jerska – un regista suo amico, colpito dalla censura per le sue idee politiche – legge un volume di
Bertolt Brecht. Wiesler lo ruba di nascosto dall'appartamento ed inizia a leggerlo segretamente, restandone folgorato. Pochi giorni dopo Jerska, ormai stanco di non poter più lavorare, si suicida.
Questo fatto porta Georg Dreyman a cambiare definitivamente opinione sul regime. Dopo aver
suonato la sonata per pianoforte Die Sonate vom guten Menschen, “la sonata per le persone buone” (che gli aveva regalato proprio Jerska per il suo compleanno), Dreyman decide di fare qualcosa
per ribellarsi alla società in cui vive. Contemporaneamente, sotto l'azione della vita degli altri,
Wiesler si sottrae sempre più all'incarico di trovare materiale compromettente sullo scrittore. I suoi
resoconti diventano irrilevanti.
Intanto, con un macchina per scrivere portata a Berlino Est clandestinamente da un giornalista della
rivista tedesco-occidentale Der Spiegel, Dreyman scrive un saggio sulla percentuale sorprendentemente alta – e tenuta segreta dalle autorità – di suicidi nella DDR e lo fa pubblicare sullo Spiegel.
Wiesler non fa nulla per ostacolarlo. Quando Christa-Maria, psicologicamente debole, viene portata
alla sede centrale della Stasi a Berlino per un interrogatorio finisce col rivelare al superiore di Wiesler, Anton Grubitz, il coinvolgimento di Dreyman nell’articolo dello Spiegel; l'appartamento viene
subito ispezionato, ma fortunatamente la macchina per scrivere non viene rinvenuta. Grubitz, comunque, per provare la lealtà di Wiesler, fissa un nuovo interrogatorio dell'attrice sotto la sua supervisione, in cui lei rivela definitivamente a Wiesler il nascondiglio della macchina per scrivere:
viene allora incaricata di pedinare Dreyman in qualità di collaboratrice non ufficiale. Appena prima
dell'ispezione nell'appartamento, condotta personalmente da Grubitz, Wiesler si affretta verso l'abitazione di Dreyman e di nascosto porta via la macchina per scrivere. Quando il tenente colonnello
della Stasi Grubitz inizia a cercare proprio nel nascondiglio escogitato da Dreyman e rivelato da
Christa-Maria, questa – non sapendo che il nascondiglio è vuoto – non può reggere la vergogna del
tradimento: si precipita fuori di casa e si getta sotto un camion di passaggio, che la ferisce a morte.
La carriera di Wiesler, a questo punto, è finita: passerà il resto della sua vita in uno scantinato ad
aprire buste da lettere con il vapore, fino alla pensione, per i successivi vent'anni.
Dopo un paio d'anni, in seguito alla riunificazione, Dreyman riesce a leggere i documenti dell'indagine della Stasi relativa alla sua persona. Dreyman capisce finalmente che l'agente "HGW XX/7" lo
ha coperto. Riesce a rintracciarlo, vorrebbe andare a parlargli, ma non trova parole o gesti che possano esprimere la gratitudine per avergli salvato la vita. E così va via senza incontrarlo.
Due anni dopo Wiesler vede per caso il manifesto pubblicitario del romanzo Die Sonate vom Guten
Menschen, scritto proprio da Dreyman. La dedica interna del libro reca la scritta: «HGW XX/7 gewidmet, in Dankbarkeit» («Dedicato a HGW XX/7, con gratitudine»). Decide di acquistarlo. Alla
cassa, il negoziante gli chiede se debba fare un pacchetto regalo per il libro, e Wiesler risponde
simbolicamente: «No, lo prendo per me»).
Per riflettere
Il drammaturgo Dreyman, dopo aver suonato un brano di Beethoven al pianoforte, esclama: “Come fa chi ha ascoltato questa musica a rimanere cattivo!”. Vuoi commentare questa frase con un tuo pensiero?
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I film in programma
L’ospite inatteso
Lo straniero, l’ospitalità, l’amicizia
Film blu
Il dolore, il nulla, la libertà
Quattro minuti
La violenza, la solidarietà, la dignità
Il soffio
La morte, la passione, l’irrazionalità
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