Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Vol. 2 - n. 3 - Settembre-Dicembre 2004 Volume 1, n. 1, 2003 Promozione ed educazione alla salute: prevenzione dei comportamenti a rischio in età adolescenzialeLe patologie vulvari non neoplastiche nelle adolescenti Calcio e adolescenza Franco Antoniazzi, Milena Brugnara, Luisa Donadi, Silvana Lauriola, Giorgio Zamboni La dismenorrea primaria nell’adolescenza Organo ufficiale della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza Vincenzo De Sanctis, Maria Rita Govoni, Alessandra Di Stasio Carcinoma differenziato della tiroide nell’adolescente: attualità e prospettive Claudio Spinelli, Arianna Bertocchini, Silvano Bertelloni Periodico quadrimestrale - Spedizione in abbonamento postale 45% - art. 2 comma 20/B legge 662/96 - Milano In caso di mancata consegna restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa. L’ANGOLO DELLO SPECIALISTA - FRONT LINE - MAGAM NOTES Editoriale Vincenzo De Sanctis Questo numero della Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza (R.I.M.A.) chiude virtualmente un anno di lavoro e ne apre un altro ed è quindi anche un anno di bilanci e progetti. Il C.D. della Società Italiana di Medicina della Adolescenza (S.I.M.A.) si è particolarmente impegnato in 3 settori: la formazione, la diffusione della teoria e pratica adolescentologica, ed i rapporti con altre Società Scientifiche Nazionali ed Internazionali. La R.I.M.A., pertanto, continuerà a mantenere una impostazione editoriale in accordo con gli obiettivi Societari. La comunicazione è uno dei temi che viene trattato nella rubrica Front line. Gli adolescenti con malattie acute o croniche hanno bisogni particolari, diversi dai pazienti in età preadolescenziale: desiderano mantenere il rapporto con i coetanei, hanno bisogno di superare le sensazioni di noia e di vuoto che caratterizzano la maggior parte del tempo trascorso in reparto, hanno bisogno di comunicare ed essere ascoltati, hanno bisogno di figure di supporto opportunamente preparate che integrino l’assistenza durante la degenza. I pazienti affetti da malattia cronica sono spesso i primi adolescenti che frequentano regolarmente un reparto pediatrico. Ciò accade perché durante gli anni della infanzia si sono stabiliti tra curanti e pazienti dei legami che nessuna delle due parti desidera o ha interesse a recidere. Oggetto della comunicazione saranno non soltanto le informazioni riguardanti la diagnosi ed i programmi di terapia, ma anche la discussione dei progetti per l’avvenire, delle problematiche relative all’attività lavorativa ed alla vita di coppia. Nell’età adolescenziale la comunicazione assume, quindi, un particolare valore ed ha una importanza che può essere determinante ai fini del controllo della malattia in quanto solo essa permette di avere ragione, nel tempo, degli atteggiamenti di rifiuto che prima o poi compaiono durante l’adolescenza. L’approccio all’adolescente ed ai suoi problemi deve essere uguale da parte di tutto il personale di assistenza perché l’adolescente sarebbe molto disturbato dal ricevere messaggi non coerenti. Tutto ciò richiede diverse competenze che dovranno essere sviluppate e discusse con il personale di assistenza allo scopo di adattarle alle particolari esigenze dell’adolescente, man mano che esse cambiano con il passare degli anni. In sostanza, il concetto di salute deve essere inteso non soltanto come cura della malattia, ma anche come mantenimento di uno stato di benessere fisico, psichico e sociale. Colgo l’occasione per ringraziare il CD della SIP, ed in particolare il prof. Giuseppe Saggese, per aver voluto inserire tre temi di adolescentologia ed una lettura magistrale del prof. Pierre Michaud di Losanna, nel 60° Congresso Nazionale della SIP, che si è tenuto recentemente a Napoli. La Mediterranean and Middle East Action Group on Adolescent Medicine (M.A.G.A.M.) è una realtà. Nel Giugno u.s., ad Istanbul, è stata approvata la costituzione della Società di cui fanno parte 16 Nazioni. Un particolare ringraziamento alla dott.ssa Bernadette Fiscina di New York, che con grande impegno e passione ha sostenuto la S.I.M.A. in questo progetto internazionale. Alla dott.ssa Fiscina, in occasione dell’XI Congresso Nazionale S.I.M.A., organizzato nell’ottobre u.s. a Chieti dal prof. Chiarelli, è stato consegnato il riconoscimento di Socio Onorario per l’impegno a favore dei giovani. Il prof. Chiarelli non è soltanto uno studioso e ricercatore di fama internazionale ma anche un ottimo organizzatore. Grazie Franco, grazie anche ai Tuoi Collaboratori per aver preparato questo evento di alto valore scientifico. La presenza di numerosi Colleghi, provenienti da diverse regioni, è stato il segno tangibile del Tuo impegno per la Pediatria Italiana. Un affettuoso ringraziamento al CD della S.I.M.A. ed a tanti altri Soci per avermi sostenuto e per avere contribuito allo sviluppo della cultura adolescentologica nel nostro Paese (Vietri sul Mare, 14 Febbraio 2004 - dott.ssa Antonietta Cervo; Catanzaro, 23-25 Aprile 2004 - dott. Giuseppe Raiola; Lucca, 20 Marzo 2004 - dott. Raffaele Domenici e dott. Cristiano Meossi; Genova, 8-9 Marzo 2004 - prof.ssa Teresa de Toni; Firenze, 18-20 Maggio 2004 - prof. Fabio Franchini). 1 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 Prima di concludere, vorrei ricordare un carissimo amico, Enzo Silvio. Enzo, dopo una lunga sofferenza, è scomparso nel Settembre u.s. È stato socio fondatore della S.I.M.A. ed appassionato studioso delle problematiche dell’età adolescenziale. Ci mancheranno molto la Sua presenza ed i Suoi preziosi consigli. Sono certo che resterà, per tutti coloro che lo hanno conosciuto, un esempio di professionalità ed amore per i giovani. Il 12 Ottobre dello scorso anno mi scrisse per comunicarmi che la corsa del male che lo aveva assalito era stata più tempestosa del previsto. Avrebbe avuto “il piacere di rivedere la terra di Sardegna e di sentire il calore umano che viene sprigionato sempre da queste riunioni (X Congresso Nazionale S.I.M.A., Castiadas) aperte al desiderio del sapere”. Il CD della S.I.M.A. ha accolto il Suo desiderio di istituire un premio annuale per un lavoro scientifico in medicina dell’adolescenza. Tale premio verrà consegnato ad un giovane Ricercatore che presenterà, in occasione del Congresso Nazionale S.I.M.A., la migliore ricerca in campo adolescentologico. Essere in tanti, essere uniti, essere sempre di più ci dà maggiore forza. Una forza che alla nostra Società serve per cercare, in concreto, l’attenzione della Società verso i giovani. Un affettuoso benvenuto ai Colleghi che nell’ultimo anno si sono iscritti alla nostra Società: Agnello Vittoria (Sciacca, AG); Barioglio Maria Rosa (San Pietro Vernotico, BR); Bertuglia Piero Manziana (Roma); Campo Fabio (Palermo); Corbo Serenella (Roma); D’Andrea Cristina (Palermo); De Luca Adriana (Palermo); Di Matteo Maria Vittoria (Palermo); Dubolino Rosaria (Bagheria, PA); Faraci Marco (Caltanissetta); Ferrara Dante (Palermo); Gennaro Antonino (Palermo); Gentile Maria (Palermo); Girone Patrizia (Messina); Gneci Giuseppe (Palermo); Lo Cascio Antonina (Palermo); Lo Cascio Domenico (S. Vito Lo Capo, TP); Martini Marta (Alessandria); Masignà Ricciardi Maria Giovanna (Faenza, RA); Montalbano Vincenzo (Sciacca AG); Morolli Giovanni (Rimini); Pace Luciana (Palermo); Papaleo Alessandra (Catanzaro Lido, CZ); Poli Marina (Russi, RA); Raso Aurora (Palermo); Sanfilippo Elisabetta (Sciacca, AG); Sirchia Nicolò (Palermo); Sisto Maria Rosaria (Francavilla al Mare, CH); Spataro Angelo (Palermo); Tosi Maria Teresa (Faenza, RA); Valmori Giovanna (Savana, RA). A tutti Voi ed alle Vostre famiglie un cordiale augurio per un sereno Natale ed Anno Nuovo da parte del CD della S.I.M.A. 2 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 Organo ufficiale della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza SOMMARIO DIRETTORE SCIENTIFICO Vincenzo De Sanctis (Ferrara) Editoriale COMITATO EDITORIALE Silvano Bertelloni (Pisa) Antonietta Cervo (Pagani, Salerno) Salvatore Chiavetta (Palermo) Giampaolo De Luca (Amantea, Cosenza) Ettore De Toni (Genova) Teresa De Toni (Genova) Carlo Pintor (Cagliari) Giuseppe Raiola (Catanzaro) Giuseppe Saggese (Pisa) Calogero Vullo (Ferrara) pag. 1 V. De Sanctis Calcio e adolescenza pag. 5 F. Antoniazzi, M. Brugnara, L. Donadi, S. Lauriola, G. Zamboni La dismenorrea primaria nell’adolescenza pag. 17 V. De Sanctis, M.R. Govoni, A. Di Stasio Carcinoma differenziato della tiroide nell’adolescente: attualità e prospettive pag. 23 INTERNATIONAL EDITORIAL BOARD Magdy Omar Abdou (Alexandria, Egypt) Hala Al Rimawi (Irbid, Jordan) Thanaa Amer (Jeddah, South Arabia) Mike Angastiniotis (Nicosia, Cyprus) Yardena Danziger (Petah-Tiqva, Israel) Oya Ercan (Istanbul, Turkey) Bernadette Fiscina (New York, USA) Helena Fonseca (Lisbon, Portugal) Daniel Hardoff (Haifa, Israel) Christos Kattamis (Athens, Greece) Ashraf Soliman (Doha, Qatar) Joan-Carles Suris (Lausanne, Switzerland) C. Spinelli, A. Bertocchini, S. Bertelloni L’angolo dello Specialista Follow-up longitudinale del trattamento dietetico dell’obesità in età evolutiva: comparazione dei risultati negli adolescenti rispetto ai bambini pag. 31 L. Galli, S. Bertelloni, G.I. Baroncelli, M. Ferrari, G. Saggese La prevenzione del tabagismo: risultati di uno studio controllato randomizzato in adolescenti scolarizzati di Cassino pag. 36 SEGRETARIA DI REDAZIONE Gianna Vaccari (Ferrara) G. La Torre, C. Moretti, D. Capitanio, M.T. Alonzi, M. Ferrara, A. Gentile, A. Mannocci, G.Capelli Front Line Direttore Responsabile Direzione Marketing Sviluppo e Nuove Tecnologie Consulenza grafica Come una mamma pediatra è diventata adolescentologa pag. 41 Pietro Cazzola Armando Mazzù Antonio Di Maio Piero Merlini A. Cervo “Perché la speranza non deve morire. Mai” pag. 42 Registrazione Tribunale di Milano n. 404 del 23/06/2003 Scripta Manent s.n.c. Via Bassini, 41 - 20133 Milano Tel. 0270608091 - 0270608060 Fax 0270606917 E-mail: [email protected] Francesca La comunicazione con l’adolescente: il ruolo dell’infermiera pag. 45 U. Ferrato Abbonamento annuale (3 numeri) Euro 30,00. Pagamento: conto corrente postale n. 20350682 intestato a: Edizioni Scripta Manent s.n.c., via Bassini 41, 20133 Milano Lo scoutismo pag. 47 A. Miranda Stampa: Cromografica Europea s.r.l. Rho (MI) È vietata la riproduzione totale o parziale, con qualsiasi mezzo, di articoli, illustrazioni e fotografie senza l’autorizzazione scritta dell’Editore. L’Editore non risponde dell’opinione espressa dagli Autori degli articoli. Ai sensi della legge 675/96 è possibile in qualsiasi momento opporsi all’invio della rivista comunicando per iscritto la propria decisione a: Edizioni Scripta Manent s.n.c. Via Bassini, 41 - 20133 Milano MAGAM notes Service provision and psychosocial aspects of chronic diseases in adolescence pag. 49 M. Angastiniotis, M.D. 3 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 Calcio e adolescenza Franco Antoniazzi, Milena Brugnara, Luisa Donadi, Silvana Lauriola, Giorgio Zamboni Clinica Pediatrica, Università di Verona, Policlinico “Giambattista Rossi”, Verona Riassunto L’adolescenza è un periodo di rapida crescita scheletrica durante il quale si accumula circa la metà della massa ossea adulta con il raggiungimento del picco di massa ossea (PBM), definito come la densità minerale ossea massimale. La magnitudo del PBM raggiunto dipende non solo dal potenziale genetico (razza, sesso, ereditarietà), ma anche da fattori nutrizionali (introito di calcio), disturbi dello sviluppo puberale, deficit ormonali o trattamenti farmacologici e fattori ambientali come la attività fisica. Lo sviluppo di un PBM più elevato durante gli anni adolescenziali protegge nei confronti della osteoporosi postmenopausale. Questa epoca della vita permette quindi di influenzare il PBM e ridurre quindi il rischio di osteoporosi nelle successive età. Il fatto di dovere raccomandare buone abitudini alimentari e di comportamento agli adolescenti non è in discussione. Più problematico è influenzare realmente il comportamento in questa età particolare che è l’adolescenza, promuovendo buone e sane abitudini alimentari e incoraggiando una moderata attività fisica e quindi combattendo la sedentarietà. È noto tuttavia quanto sia difficile nella pratica influenzare il comportamento degli adolescenti, i quali sempre più sono condizionati da stereotipi estetici di magrezza e da abitudini alimentari incongrue piuttosto che dai buoni consigli. È quindi utile promuovere già nei bambini, prima della adolescenza, le buone abitudini alimentari ed essere preparati ad approfittare di ogni momento utile per l’educazione alla salute durante l’adolescenza Parole chiave: calcio, adolescenza, picco massa ossea, osteoporosi/osteopenia. Calcium intake and adolescents Summary Adolescence is a period of rapid skeletal growth during which nearly half of the adult skeletal mass is accrued and the peak bone mass (PBM) is reached. The magnitude of PBM achieved depends not only on genetic potential (race, sex, and heredity), but also on nutritional factors (calcium intake), disorders in timing of puberty, hormonal deficiency or pharmacological treatments and environmental factors as well as physical activity. The development of a higher peak bone mass during adolescent years protects against postmenopausal osteoporosis. This life stage is a window of opportunity for influencing PBM and reducing the risk of osteoporosis later in life. Recommending good nutritional and behavioural habits to adolescents for bone health is not particularly controversial. More problematic is how to influence the behavior of this particular group, the adolescents, promoting good and healthy nutritional habits and encouraging a moderate physical activity. But teenagers, and expecially girls, are notoriously concerned about body image and frequently respond more to peer pressure than to good advice. Therefore, it is wise to instill in children good eating habits before adolescence and to be armed with facts for every teachable moment for adolescents. Key words: calcium, adolescents, peak bone mass, osteoporosis/osteopenia. Introduzione Il calcio è un elemento essenziale per la salute ed per il benessere, ed è un costituente fondamentale del nostro organismo. Il 99% di questo minerale si trova immagazzinato nelle ossa e nei denti, sotto forma di fosfato tricalcico-idrossiapatite, fluoruro e car- bonato, e svolge prevalentemente funzioni di sostegno e di riserva. La quota che resta in circolo, legata a proteine ed anioni o in forma ionica, è invece coinvolta in molteplici e complesse funzioni biologiche, come la regolazione della permeabilità delle membra- 5 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 ne cellulari, la modulazione dell’eccitabilità neuromuscolare e della contrazione delle miofibre, i processi della coagulazione ed il funzionamento di numerose attività enzimatiche. Il contenuto corporeo di calcio aumenta con l’età, passando dai 20-30 grammi alla nascita, a 900-1200 grammi circa in età adulta. È un micronutriente essenziale e deve essere introdotto dall’esterno con la dieta. Il suo complesso metabolismo è finemente controllato da un sistema di ormoni (paratormone, calcitonina, vitamina D, estrogeni, ormone della crescita ed altri ancora) che ne regolano assorbimento, concentrazione plasmatica, escrezione e disponibilità per il tessuto osseo. modificare in modo significativo la biodisponibilità del calcio per le funzioni biologiche. Alcuni costituenti della dieta inibiscono l’assorbimento del calcio mentre altri lo aumentano (Tabella 1). Alcuni zuccheri, tra cui lattosio, fruttosio e xilosio, riescono a promuovere l’assorbimento di calcio; per esempio nei latticini la presenza del lattosio ed in misura minore degli altri disaccaridi, favorendo i processi fermentativi che riducono il pH del lume intestinale, aumenta la solubilizzazione e l’assorbimento del calcio. Alcuni aminoacidi, per lo più L-lisina e L-arginina, ed in misura minore L-leucina, Ltriptofano e L-metionina, possono accrescere l’assorbimento del calcio. Al contrario l’acido ossalico e gli ossalati, contenuti negli spinaci, in molti altri vegetali a foglia larga, fagioli, rabarbaro e té sono potenti inibitori dell’assorbimento del calcio, chelandolo nell’intestino. L’acido fitico, la forma di stoccaggio del fosforo nei semi e i fitati (fosfati inorganici) presenti nelle fibre vegetali, o i fosfati, nelle carni, sono moderati inibitori dell’assorbimento del calcio, poiché tendono a formare dei complessi insolubili che ne favoriscono l’eliminazione intestinale. Gli effetti negativi di fibre, fitati e ossalati sull’assorbimento e metabolismo del calcio sono intensificati in bambini che seguono diete macrobiotiche (riso grezzo, legumi e verdure ad alto contenuto di fibre, alghe, alimenti fermentati, noci, semi e frutta, specialmente cotta) e che spesso evitano anche latte e latticini. L’eccesso dietetico di acidi grassi saturi a catena lunga, ed in particolare di acido stearico e palmitico, riduce l’assorbimento di calcio; essi infatti formano con il calcio saponi insolubili nel lume intestinale. La disponibilità del calcio diminuisce con l’aumentare della lunghezza della catena degli acidi grassi. Una dieta ricca in proteine ha l’effetto di favorire leggermente l’assorbimento di calcio, ma anche di aumentarne l’escrezione urinaria. La caffeina ed un elevato contenuto di sodio aumenta- Biodisponibilità La maggior parte del calcio negli alimenti è sotto forma di complessi con altri costituenti dietetici. Questi complessi vengono decomposti ed il calcio è rilasciato in forma solubile, possibilmente ionizzata, prima di essere assorbito. L’assorbimento del calcio avviene nel duodeno e digiuno prossimale, dove è assorbito con meccanismo di trasporto attivo e saturabile ed è ridotto in presenza di acloridria. I maggiori determinanti dell’assorbimento del calcio sono la quantità di calcio biodisponibile introdotto con la dieta e lo status della vitamina D. Il calcio è contenuto in un gran numero di alimenti comuni; a varie concentrazioni si trova anche nell’acqua, tuttavia i prodotti derivati dal latte e alcuni tipi di legumi e di verdura costituiscono la fonte principale di assunzione. Per calcolare l’introito di calcio, oltre a quantificarne il contenuto nei singoli alimenti, occorre considerarne la biodisponibilità, cioè la quantità dell’elemento che viene realmente assorbita e utilizzata dall’organismo. La composizione di un determinato alimento può infatti Tabella 1. Fattori dietetici che influenzano, tramite l’assorbimento intestinale o l’escrezione urinaria, il bilancio del calcio. Aumento dell’assorbimento di calcio Diminuzione dell’assorbimento di calcio Alcuni zuccheri (lattosio, fruttosio, xilosio) Fibre Alcuni aminoacidi (L-lisina, L-arginina) Fitati Trigliceridi a catena media Ossalati Citrati Contenuto dietetico ricco di fosfati Caseina Acidi grassi a catena lunga (palmitico, stearico) Contenuto dietetico ricco di proteine Alcool Competizione con altri minerali (Mg, Fe, Zn) Aumento escrezione urinaria Contenuto dietetico ricco di sodio Contenuto dietetico ricco di proteine Caffeina 6 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Calcio e adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 Tabella 2. Livelli di assunzione raccomandati di calcio (mg/die). Età 1-3 anni Italia: LARN 1996 12 800 USA: NAS 1997 2 500 4-6 anni 7-8 anni 800 1000 800 800 9-10 anni 11-18 anni 1000 1200 1300 1300 mente a favore di quest’ultimo, con conseguente riduzione dell’assorbimento di calcio. Un consumo eccessivo e protratto di questi alimenti potrebbe indurre una stimolazione cronica della secrezione di PTH con riassorbimento osseo. no l’escrezione urinaria di calcio, mentre l’alcool influisce negativamente sul metabolismo del calcio e della vitamina D. Il cloruro di sodio è un importante determinante della escrezione urinaria di calcio. Un esagerato impiego di sale può forzare l’eliminazione urinaria del calcio, dato che l’escrezione del sodio coinvolge forzatamente il calcio. Per ogni grammo di sodio in più introdotto, vengono escreti e persi con le urine circa 26 mg di calcio in ragazze adolescenti. Al contrario, per ogni grammo addizionale di proteine consumate, viene escreto con le urine solo 1 mg di calcio in più. Con una dieta ricca di sodio è quindi necessario un maggior apporto di calcio per la normalizzazione della calcemia che altrimenti avverrebbe a spese della riserva ossea. Negli ultimi anni il consumo di alimenti ad alto contenuto di fosfati, come additivo e nelle bibite, è aumentato considerevolmente. L’alto contenuto dietetico di fosfati può causare maggiore escrezione di calcio con le feci; si può quindi sviluppare ipocalcemia con iperparatiroidismo secondario e maggiore concentrazione di 1-25(OH)2D. L’aumentata funzione paratiroidea potrebbe influire sul turnover osseo, riducendo il picco di massa ossea. La competizione con altri minerali (cationi bivalenti come magnesio e ferro) a livello dei siti di trasporto riduce l’assorbimento, mentre la formazione di complessi molecolari con il citrato e con alcune proteine, come ad esempio la caseina, lo favorisce. In pratica, quindi il fabbisogno di calcio per il singolo individuo dipende dagli introiti di altri costituenti alimentari: ne consegue incertezza nello stabilire anche i fabbisogni. Nella dieta della popolazione italiana i prodotti lattiero-caseari forniscono circa i due terzi dei fabbisogni raccomandati; i vegetali il 12%, i cereali l’8,5%, le carni ed il pesce il 6,5% (1). Nei prodotti lattiero-caseari, il calcio si trova in forma organica (legato alla serina e all’acido glutammico della caseina) e inorganica (sotto forma di citrato e di fosfato) con buone premesse per un corretto assorbimento. Il calcio nel latte (fosfato di calcio) viene assorbito meglio di una uguale quantità di ossalato di calcio. Duecentocinquanta ml di latte (due bicchieri) forniscono circa 310 mg di calcio altamente utilizzabile, mentre 125 g di yogurth integrano altri 150 mg di calcio. Tutti i formaggi stagionati hanno un favorevole rapporto calcio-fosforo per un ottimo assorbimento di calcio. In altri alimenti, come uova, carni, prodotti della pesca e legumi, il rapporto calcio-fosforo è netta- Fabbisogni Grazie alla disponibilità in natura ed alla precisa regolazione ormonale, le situazioni carenziali di calcio non sono di frequente osservazione. Una dieta adeguata in calcio è benefica per lo stato di salute dell’osso, ma sembra avere un effetto protettivo anche nei confronti dell’ipertensione arteriosa, dell’assorbimento di ossalati e della calcolosi urinaria. L’assunzione di calcio, ad ogni età, deve soddisfare le necessità dell’organismo, che variano in modo importante dall’età infantile all’età adulta, come evidenziano le tabelle dei livelli di assunzione raccomandati (Tabella 2) (2). Per il raggiungimento di una buona ossificazione l’apporto dietetico di calcio deve essere adeguato alle esigenze della crescita e mantenere in questo periodo un bilancio netto positivo tra le entrate e le uscite. Studi di cinetica hanno dimostrato un aumento sia dell’assorbimento che della deposizione di calcio nello scheletro nelle prime fasi della pubertà. La deposizione di calcio raggiunge un massimo nelle femmine appena prima del menarca, quando il rapporto di deposizione di calcio è approssimativamente cinque volte quello dell’adulto, mentre comincia a diminuire gradualmente dopo il menarca (3). I valori più elevati di ritenzione del calcio si osservano durante l’adolescenza e sono dell’ordine di 282 mg/die per i ragazzi e di 212 mg/die per le ragazze (4). Con apporti di 930 mg/die, il coefficiente di assorbimento intestinale del calcio aumenta in maniera transitoria dal 27,7% nelle bambine prepuberi di 7,7 anni, al 34,4% all’inizio della pubertà a 10,9 anni, per ritornare al 25% alla fine della pubertà a 15,2 anni. Nello stesso periodo le adolescenti mobilizzano dallo scheletro e ne depositano una maggior quantità di calcio (rispettivamente 1177 e 1459 mg/die) in confronto alle donne adulte (rispettivamente 542 e 501 mg/die) (5). 7 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 relativo della resistenza ossea e, di conseguenza, di un aumentato rischio di fratture; quindi il raggiungimento di un elevato PBM è importante per diminuire le fratture non solo in epoca postmenopausale, ma anche in età adolescenziale. Una alterazione della crescita ossea o una crescita ossea subottimale alla pubertà si traducono alla fine in un PBM meno elevato. Per quanto riguarda la componente genetica, testimoniata da differenze razziali e da un’aggregazione familiare nell’incidenza della patologia, sono stati candidati diversi geni. È stato indagato il ruolo di polimorfismi nel gene che codifica per il recettore della vitamina D (VDR) e in quello che codifica per il recettore degli estrogeni. Sono stati anche studiati altri geni: IGF-1 (insulin-like growth factor I), COLIA1 (collagen type 1 alfa1), IL-6 (interleukin-6); ma nessun studio finora ha dato risultati traducibili nella pratica clinica. I giovani di razza nera hanno una mineralizzazione ossea significativamente maggiore prima e dopo la pubertà con maggiore PBM rispetto ai coetanei bianchi, dovute a differenze razziali nella ritenzione di calcio durante l’adolescenza (9). Sulla base di questa variabilità interetnica del PBM, è stato stimato che almeno il 60-80% della varianza del PBM sia secondario a fattori ereditari. L’identificazione dei fattori genetici è importante per individuare tempestivamente i soggetti a rischio di sviluppare osteoporosi; tuttavia su questo fronte le possibilità di correggere la situazione sfavorevole sono al momento nulle, né è possibile pianificare un programma di prevenzione. Consentire uno sviluppo appropriato delle ossa vuol dire raggiungere un PBM massimale rispetto alle potenzialità individuali. Fattori ambientali come il calcio nella dieta e l’esercizio fisico possono influenzare fino al 20 % del PBM. Raggiunto il PBM, dopo alcuni anni di stazionarietà, nell’osso prevalgono i processi di riassorbimento che ne riducono il contenuto minerale. Alla progressiva demineralizzazione dello scheletro, con aumento della fragilità ossea e, oltre una certa soglia, delle fratture, consegue il quadro patologico dell’osteoporosi, una malattia dall’impatto sociale continuamente crescente. La resistenza dell’osso adulto riflette fattori che regolano la qualità dell’osso (determinata dall’architettura) e la densità (massa ossea o quantità di calcio depositato per unità di osso) acquisita durante l’infanzia e l’adolescenza. Poiché nella popolazione normale dopo una certa età è inesorabile la perdita di massa ossea, la magnitudo del PBM raggiunto determina il rischio individuale per lo sviluppo di osteopenia e osteoporosi e quindi di fragilità ossea e di fratture. Sono molti i fattori, costituzionali o legati allo stile di vita, che determinano il declino strutturale dello scheletro e che fanno aumentare il rischio di fratture con il progredire dell’età, ma quanto migliore è il PBM di partenza, tanto più favorevoli sono le aspettative di salute (10). Come accade in molte patologie croniche che si manifestano in età adulta, anche le radici dell’osteoporosi sono da ricercarsi in epoca precoce: “l’osteoporosi è una patologia di interesse pediatrico”. Nella definizione data dall’Organizzazione Mondiale della Nel periodo di massimo accrescimento l’incremento giornaliero di calcio nello scheletro varia da 290 a 400 mg/die nei maschi e da 210 a 240 mg/die nelle femmine. Nelle ragazze adolescenti una ritenzione aumentata di calcio nelle ossa, con elevati introiti di calcio, è attribuibile ad un aumento dell’assorbimento e a una diminuzione nel riassorbimento osseo. Gli apporti dietetici raccomandati (RDA) italiani per il calcio suggeriscono un apporto di 1200 mg/die dai 10 ai 17 anni di età, mentre gli RDA USA suggeriscono un apporto ancora maggiore, 12001500 mg/die dagli 11 ai 24 anni. Un introito di calcio di 1200 mg/die dà luogo ad una ritenzione media pari al 57% del valore massimale mentre un introito di 1300 mg/die di calcio sarebbe il minimo introito che permetta ad alcune adolescenti di raggiungere il 100% di ritenzione massima di calcio. Questi dati supportano l’idea che la ritenzione di calcio ad un certo punto arrivi ad un plateau, anche se continua ad aumentare fino ad introiti superiori ai 2 g al giorno. Picco di massa ossea (PBM) La mineralizzazione ossea è un carattere multifattoriale, determinato dall’interazione di fattori genetici e ambientali. Ogni individuo ha un potenziale genetico di sviluppo della massa ossea che viene pienamente raggiunto solo se i fattori ambientali, come la attività fisica e la nutrizione, sono ottimizzati. Nei soggetti sani, la massa ossea si accresce durante tutta l’infanzia, con un massimo durante la fase puberale precoce e intermedia (PBM), mentre rallenta in fase puberale tardiva, raggiungendo il PBM definito come la densità minerale ossea (BMD: Bone Mineral Density) massimale (6), alla fine dell’adolescenza. Nei bambini e negli adolescenti un bilancio di calcio positivo è necessario per l’accrescimento scheletrico. Una assunzione di calcio dietetico deficitaria può causare un mancato raggiungimento del PBM, con osteoporosi, ridotta integrità scheletrica ed aumentato rischio di fratture in età adulta. Circa la metà della massa scheletrica adulta si accumula nei 3 anni precedenti e successivi l’età di picco massimo di crescita puberale. L’età precisa alla quale il PBM viene raggiunto è dipendente sia dal metodo che dalla sede di misurazione. La gran parte della BMD in sede lombare e femorale viene raggiunta circa a 14,5-16,0 anni nelle ragazze e a 16,5-18,0 anni nei ragazzi. La BMD lombare continua ad aumentare dopo il completamento della crescita, raggiungendo il PBM 1-2 anni più tardi. La magnitudo del PBM raggiunto (6) dipende non solo dal potenziale genetico (razza, sesso, eredità), da fattori nutrizionali (introito di calcio) e da fattori ambientali (attività fisica), ma anche da fattori ormonali (effetti del GH e IGF-I, steroidi sessuali) (7), e quindi da alterazioni della maturazione puberale, deficit ormonali o trattamenti farmacologici (8). Lo sviluppo rapido della massa muscolare al momento della accelerazione della crescita peripuberale è responsabile di un deficit 8 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Calcio e adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 bisogni e i contenuti in calcio dei vari alimenti. Questa mancanza di informazioni può essere una delle cause dell’apporto subottimale di calcio in questa fascia di età. In Italia è stato calcolato che l’assunzione media di calcio da parte degli adolescenti sia di 757 mg/die, contro i 1200 mg raccomandati (12). Migliore è la situazione nei Paesi del Nord, (superiori ai 1.000 mg/die in Danimarca e in Irlanda), per il maggior consumo di latte e derivati. In uno studio Multicentrico Europeo (13) in ragazze dagli 11 ai 15 anni l’introito di calcio variava dai 609 mg/giorno in Italia ai 1267 mg/giorno in Finlandia, senza però variazioni significative del BMD radiale. Anche negli USA gli apporti medi sono molto al di sotto di quelli raccomandati, essendo in media 889 mg/die tra i 9-13 anni e 713 mg/die tra 14-18 anni. Questi apporti risultano senz’altro deficitari, e nel periodo puberale possono non essere sufficienti per una ritenzione massimale del minerale, tanto che si consiglia di aumentare l’intake di calcio in questo periodo. Che uno scarso introito penalizzi il PBM è dimostrato dal fatto che i ragazzi/e con valori densitometrici, espressi come Z-score, inferiori a –1, abbiano per il 93 % (a livello delle vertebre lombari) e per l’84 % (a livello del femore) un introito di calcio inferiore a 1000 mg/die (14). Si stima che solo il 25% dei ragazzi e il 10% delle ragazze tra i 9 e 17 anni sia in linea con le raccomandazioni. I fattori che contribuiscono allo scarso apporto di calcio sono la restrizione dei derivati del latte, un consumo generalmente basso di frutta e verdura e invece un elevato consumo di bevande a basso contenuto di calcio, come bibite gasate e ricche di fosfati. Sanità essa è presentata come “malattia generalizzata dello scheletro, caratterizzata da riduzione della massa ossea e alterazione microstrutturale del tessuto osseo, responsabili di una incrementata fragilità dello stesso e di un conseguente aumento del rischio di fratture”. Nei Paesi dove maggiore è la speranza di vita, questa patologia si configura come un vero problema di sanità pubblica a causa della morbilità, della mortalità, dell’alto costo sociale delle fratture e dell’invalidità che spesso ne consegue. In Italia, (International Osteporosis Fondation, 2001; Indagine CEISUniversità degli Studi di Roma Tor Vergata-FIMMG) soffrono di osteoporosi circa 5 milioni di persone (il 4,4% delle donne dai 40 ai 49 anni e ben il 41,3% delle donne di età compresa fra i 70 e i 79 anni). Di questi pazienti circa 2 milioni sono considerati a rischio di fratture con punte annue di 78.000 fratture di femore e 100.000 fratture vertebrali, con notevoli costi sanitari. Di fronte a questi dati la prevenzione è un obbiettivo importante ed il raggiungimento per il maggior numero di persone del PBM ottimale per le proprie caratteristiche è un risultato auspicabile. Studi epidemiologici sulla assunzione di calcio La massa ossea viene influenzata dalla assunzione di calcio, con un rapporto di correlazione positivo tra le due variabili. In uno studio (11) condotto tramite questionari su una popolazione di 1.117 adolescenti (52% femmine e 48 % maschi) è emersa una buona consapevolezza da parte dei ragazzi circa l’importanza del calcio per la crescita e la salute delle ossa (92%), mantenuta però in termini molto generici, mancando nello specifico cognizione dei livelli di assunzione consigliati né del contenuto in calcio degli alimenti. Solo il 60 % sapeva che l’adolescenza è un periodo critico per l’accrescimento della massa ossea. Solo il 19 % conosceva i fabbisogni raccomandati di calcio e solo il 10 % aveva una idea del contenuto in calcio di vari alimenti. Il 45% dei giovani che hanno collaborato al questionario non sapeva che ci sono altre fonti alimentari di calcio oltre ai latticini, consumati abitualmente dal 79% di essi. In base alle risposte dei non consumatori, le cause principali che portano ad evitare i derivati del latte sono legate al gradimento o a forme allergiche o di intolleranza. Il 55% dei ragazzi asserisce di aver ricavato le proprie informazioni dagli insegnanti, ed il 46% dai genitori; solo il 38% aveva avuto informazioni da fonti sanitarie sui benefici del calcio nell’alimentazione. In un terzo dei casi era presente una supplementazione giornaliera con polivitaminici e minerali, che apportavano nel 68% dei casi in media 100-200 mg di calcio al giorno. L’introito calcolato (cibi, bevande e supplementi) era di 536 ±19 mg/24 h (45% dei RDA) nelle ragazze e 681 ± 28 mg/24 h (57% dei RDA) nei ragazzi. Nel complesso gli adolescenti sono coscienti dei vantaggi per la salute del calcio, ma mancano di conoscenze specifiche sui fab- Studi con supplementazione di calcio nell’infanzia e adolescenza Molti studi randomizzati in bambini ed adolescenti hanno dimostrato che un’assunzione addizionale di calcio rispetto ad un introito adeguato, anche tramite cibi fortificati o prodotti lattiero-caseari, migliori il PBM dei giovani in crescita. Già nel 1992 uno studio condotto in doppio cieco (15) in coppie di gemelli identici in età puberale, evidenziò che un supplemento giornaliero di 1.000 mg di Calcio, assunto da uno solo dei due gemelli, comportava un significativo aumento della mineralizzazione ossea, per quanto nell’altro gemello l’introito giornaliero di calcio fosse considerato sufficiente. In un altro studio condotto su adolescenti femmine, la supplementazione con calcio e con derivati del latte aveva un’influenza positiva sulla densità minerale ossea dell’anca e dell’avambraccio (16). Altri studi dimostrano un aumento della massa minerale ossea in bambini ed adolescenti a basso introito di calcio, supplementati per periodi da 12 a 36 mesi (17). La supplementazione con calcio nel bambino prepubere sembra essere più efficace sullo scheletro appendicolare (diafisi radiali e femorali) che non sullo scheletro assiale, ricco di elementi trabe- 9 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 dell’osso erano ancora presenti dopo 3 anni dall’arresto della supplementazione (21); pertanto il fosfato di calcio estratto dal latte assunto durante il periodo prepuberale può modificare la curva di crescita della massa ossea e determinare un persistente aumento dell’accrescimento della massa ossea che perdura oltre la sospensione dell’integrazione; naturalmente per vedere l’effetto definitivo bisognerà seguire questi soggetti fino al raggiungimento del PBM. Al contrario sali diversi (citrato malato, carbonato), utilizzati in femmine pre- o peripuberali, non sembrano avere effetti sulle dimensioni ossee, né avere effetti duraturi dopo l’arresto della supplementazione. Bisogna comunque sottolineare la grande variabilità interindividuale nella risposta alla supplementazione con calcio, imputabile forse in parte a polimorfismi dei geni responsabili della massa ossea (es. VDR). Dal momento che sono sufficienti piccoli accorgimenti dietetici per rendere le fonti di calcio facilmente accessibili, il motivo di un’assunzione inadeguata va probabilmente ricercato nelle abitudini dei nostri adolescenti. Un’informazione più completa, nell’ambito di un programma di educazione alla salute, potrebbe migliorare il comportamento alimentare dei giovani; tuttavia possono sussistere resistenze, come ad esempio il desiderio di incarnare stereotipi estetici improntati alla magrezza, i conflitti alimentari collegati a questo desiderio, l’abitudine a consumare frettolosi pasti nei fastfood e la frequente assunzione di bibite gassate che , contenendo fosfati, riducono l’assorbimento intestinale di calcio. Se questi errori dietetici rappresentano un rischio in situazioni di sviluppo fisiologico, diventano seriamente pericolosi per la salute dell’osso in altre condizioni. La situazione è particolarmente importante poiché sembra che la supplementazione con calcio non sia così efficace invece nelle età più avanzate. Infatti una metaanalisi degli studi relativi agli effetti del calcio sulla densità ossea e alle fratture nelle donne in menopausa (15 trials - 1.806 pazienti) ha evidenziato che il calcio è efficace nel ridurre il tasso di perdita ossea solo dopo 2 o più anni di trattamento. La supplementazione con calcio ha quindi un piccolo effetto positivo sulla densità ossea, con un trend di riduzione delle fratture vertebrali, ma senza un chiaro effetto nella riduzione delle fratture non vertebrali a questa età (22). La supplementazione con calcio non ha effetti avversi; infatti una supplementazione a lungo termine con calcio (introito totale 1.500 mg/die) non ha influenze sul metabolismo del ferro, probabilmente per un aumento (up-regulation) del suo assorbimento, né altera l’assorbimento o i depositi di magnesio e zinco. colari (colonna lombare) o a livello dell’anca (collo femorale e trocantere). Lo scheletro sembra rispondere anche meglio ad una supplementazione con calcio prima dell’inizio del periodo puberale o in corrispondenza del menarca (18), con beneficio particolarmente evidente in soggetti con una alimentazione spontanea povera di calcio. Un aumento dell’apporto latteo, e quindi di calcio, potrebbe modificare la traiettoria di crescita ossea ed aumentare di fatto il PBM e proteggere dal rischio futuro di fratture osteoporotiche. Anche l’aumento dell’apporto dietetico di calcio tramite cibi arricchiti (succo d’arancia, cornflakes, etc.) avrebbe un effetto positivo sull’ossificazione. L’uso di prodotti lattiero-caseari innalza la BMD senza innalzamento del peso e della percentuale di grasso corporeo. Tuttavia le diete ricche di prodotti lattiero-caseari sono difficili da portare avanti, almeno in modo autonomo; per cui dopo un certo periodo (12 mesi) dalla fine della supplementazione, le ragazze, che in genere temono di ingrassare, ritornano alle loro diete di base. I prodotti lattiero-caseari avrebbero un ruolo positivo anche sulla mineralizzazione della colonna, il che non avverrebbe con la supplementazione calcica. Il calcio agirebbe sull’accrescimento influenzando prima di tutto la densità minerale ossea volumetrica, mentre il latte potrebbe avere un ulteriore impatto sulla crescita ossea e sulla espansione periostale ossea (19). I sali di calcio utilizzati per la supplementazione sembrano modulare la natura della risposta ossea. La risposta al fosfato di calcio estratto dal latte sarebbe diversa da quella osservata con altri sali, con un aumento della BMD associato all’aumento delle dimensioni ossee, ma analoga a quella ottenuta con il latte intero. Come per la attività fisica, la maggior parte dei dati sull’apporto di calcio sono compatibili con un modello “a doppia soglia”. Da un lato della distribuzione normale, esisterebbe una soglia bassa, all’incirca su valori di 400-500 mg/die al di sotto della quale si trova una relazione positiva tra PBM e gli apporti abituali di calcio. Dall’altra parte esisterebbe una soglia “elevata”, fissata a circa 1.600 mg/die, al di sopra della quale, per altri meccanismi, gli apporti di calcio potrebbero avere una moderata influenza positiva sull’accrescimento della massa ossea. I valori di queste due soglie potrebbero inoltre variare in funzione dello stadio di sviluppo puberale. Tra i meccanismi ipotizzati per spiegare come l’aumento dell’introito di calcio possa portare agli effetti descritti, c’è la riduzione del turnover dell’osso, in quanto sono stati riscontrati bassi livelli sierici di osteocalcina, marker di rimodellamento osseo. Sappiamo però da studi retrospettivi che donne con scarso apporto di latte durante l’infanzia e l’adolescenza hanno una massa ossea minore nella vita adulta e un maggiore rischio di fratture (20). Importante è, comunque, sapere se i guadagni risultanti dopo un intervento di supplementazione persistono o meno dopo la loro interruzione. La risposta è ambigua, perché potrebbe dipendere dal tipo di risposta ossea osservata, essa stessa condizionata dal tipo di sale utilizzato. Nel caso sempre del fosfato di calcio le differenze positive sulla BMD e le dimensioni a. Calcio e vitamina D Essenziale per il metabolismo del calcio è la vitamina D, che stimola la sintesi di una proteina legante il calcio nelle cellule della mucosa intestinale, intensificando in tal modo il trasporto attivo del calcio ed aumentandone l’assorbimento. La vitamina D, inoltre, contribuisce al riassorbimento osseo e a liberare calcio dallo scheletro rilasciandolo in circolo, mantenendo in tal modo concentra- 10 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Calcio e adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 zioni circolanti di ioni calcio favorevoli ad una normale mineralizzazione dell’osso. In una popolazione di giovani irlandesi è stato dimostrato un effetto positivo dell’assunzione di vitamina D sulla BMD (23). I dati emersi indicano che in particolari condizioni, soprattutto nelle regioni del Nord Europa in cui l’esposizione ai raggi ultravioletti può essere sfavorevole alla trasformazione della vitamina D nei suoi composti attivi, una supplementazione con la stessa può migliorare la calcificazione dell’osso e svolgere un’azione protettiva verso lo sviluppo di osteoporosi. I risultati di questi lavori peraltro, proprio in quanto limitati solo ad alcune situazioni, non hanno comportato la revisione ufficiale dei livelli di assunzione consigliata, sottolineandone l’utilità di una profilassi solo in casi selezionati, ritenuti a rischio. Ragazze, durante la pubertà, con ipovitaminosi D sembrano essere a rischio di non raggiungere il PBM massimale, particolarmente alla colonna lombare. In questi casi occorre considerare un arricchimento della dieta o una supplementazione con vitamina D (24). Un deficit di vitamina D è molto comune ad esempio nei giovani maschi Finlandesi durante l’inverno e può avere effetti negativi sulla acquisizione del PBM massimale; ne conseguirebbe la necessità di una supplementazione come profilassi della osteoporosi (25). In adolescenti con bassi introiti dietetici di calcio un trattamento “urto” con vitamina D3 è sufficiente a mantenere concentrazioni di 25(OH)D ai loro livelli estivi per tutto il periodo invernale, per prevenire un eccessivo rialzo dei livelli invernali di paratormone (26). Anche un intervento sul metabolismo fosfo-calcico limitato al primo anno di vita modificherebbe la traiettoria di crescita ossea. Un supplemento con vitamina D di 400 UI/die (10 µg/die) dato ai lattanti in media per un anno porterebbe ai 7-9 anni ad un aumento significativo del BMD per area, specie al collo femorale, al trocantere e alla metafisi radiale (27). Questi semplici esercizi possono essere utili nel promuovere la crescita ossea all’anca e, così, aumentare la massa ossea. L’attività fisica costante, la forma fisica e l’indice di massa corporea contribuiscono tutti alla massa ossea adulta. La rilevanza clinica di questo fatto è che questi aspetti appartengono allo stile di vita e sono aspetti che possono essere modificati in modo fattibile. Studi di intervento devono essere focalizzati per assicurare un adeguato apporto di calcio e a minimizzare le abitudini sedentarie durante la pubertà. Tabella 3. Fattori di rischio per lo sviluppo di osteopenia. NUTRIZIONALI O INTESTINALI • • • • • • • Rachitismo carenziale Malattie gastro-intestinali (malattie infiammatorie croniche intestinali, celiachia, intolleranza al lattosio) Fibrosi cistica Anoressia nervosa Allattamento di madre adolescente Allergia alle proteine del latte vaccino Malnutrizione STILI DI VITA • • • • • • b. Calcio ed esercizio fisico La supplementazione di calcio e l’esercizio fisico migliorano insieme lo stato minerale osseo nelle adolescenti femmine (28). Se questo sia un beneficio duraturo che porti ad una ottimizzazione del PBM e a una riduzione del rischio di fratture, resta da determinare. Durante lo sviluppo del PBM, introiti di calcio inferiori a 1 g sono associati a più bassi livelli di densità minerale ossea. Quando l’introito si avvicina agli apporti raccomandati, l’attività fisica è un fattore più importante di predizione della BMD che non l’introito di calcio (29). L’attività fisica ad elevato impatto meccanico è estremamente importante e benefica per la acquisizione di BMD, specie all’anca, durante gli anni peripuberali. Le adolescenti che fanno attività fisica ogni giorno mostrano livelli di BMD all’anca significativamente più elevati rispetto a loro coetanee con abitudini sedentarie. L’effetto benefico a livello del contenuto minerale osseo (BMC) e l’area ossea al collo femorale dopo un periodo di training di esercizi di elevato impatto meccanico, quali i salti, viene mantenuto dopo un equivalente tempo di mancato allenamento (30). Diete dimagranti esagerate Sedentarietà Abitudini alimentari incongrue (diete iper/ipoproteiche, eccesso di sodio, di cola, di caffè, scarso apporto di calcio, bevande gasate e succhi di frutta preconfezionati, alimenti da fast food, ridotta assunzione di latticini) Tabagismo Alcoolismo Ridotta esposizione ai raggi solari ORMONALI • • • • • Ipogonadismo/Deficit di steroidi sessuali Morbo di Cushing Diabete mellito Deficit di GH Ipertiroidismo FARMACI • • • • Glucocorticoterapia prolungata Utilizzo cronico di anticonvulsivanti Uso prolungato di chemioterapia antineoplastica Analoghi del GnRH IDIOPATICI • • • 11 Osteoporosi idiopatica giovanile Displasie scheletriche Immobilizzazione prolungata Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 per il frequente danneggiamento del sistema endocrino ipotalamico-ipofisario. L’aumento della durata della vita nei pazienti affetti da fibrosi cistica ha fatto emergere in questa popolazione il problema della fragilità ossea, responsabile di un’incidenza di fratture doppia rispetto ai controlli. Sono stati studiati gli effetti delle diete di tipo macrobiotico (di tipo vegetariano), scarse in apporto di calcio e vitamina D, consumate nelle prime fasi della vita, sul metabolismo minerale osseo durante l’adolescenza. Il contenuto minerale osseo è stato trovato significativamente più basso nei soggetti a dieta macrobiotica, sia maschi che femmine (33). c. Studi in situazioni particolari Per una corretta mineralizzazione sono fattori di rischio le diete incongrue, le malattie infiammatorie intestinali, la ridotta esposizione solare, la terapia cronica con anticonvulsivanti, epatopatie croniche etc.. È infatti noto che molte condizioni patologiche si accompagnano a una demineralizzazione ossea (Tabella 3). Tra queste ricordiamo la sindrome di Turner, che è caratterizzata da un basso valore di PBM, in parte correggibile con la terapia ormonale a base di ormone della crescita (GH) ed estrogeni. Anche nella sindrome di Klinefelter viene descritto un aumento della fragilità ossea e delle fratture e in questo caso sembra che il trattamento con il testosterone non migliori significativamente la densità minerale dell’osso. Disordini endocrini responsabili di una insufficiente formazione di ormoni sessuali, quali le forme, permanenti o temporanee, di ipogonadismo ipogonadotropo o, più a valle, i difetti nella produzione ormonale, come il deficit di aromatasi o le alterazioni recettoriali, sono caratterizzati da scarsa ossificazione. È stato osservato come uno sviluppo puberale ritardato possa accompagnarsi a PBM ridotto e ad un aumentato rischio di fratture, anche se il dato è controverso (31); anche la pubertà precoce trattata rappresenta una condizione di rischio, prevenibile con una supplementazione adeguata (32). Altre malattie endocrine che si associano a osteopenia sono i deficit di GH non trattati, il morbo di Cushing, l’ipertiroidismo e il diabete mellito insulino dipendente non adeguatamente trattato. Sono situazioni a rischio le malattie che richiedono un prolungato trattamento con glucocorticoidi, con effetto negativo sull’osso dose-dipendente. Tra le malattie croniche che possono minare la salute dell’osso ricordiamo le malattie infiammatorie intestinali e tra queste più deleterio per lo scheletro è il morbo di Crohn. In questo gruppo di malattie l’osteopenia ha un’origine multifattoriale in cui giocano un ruolo importante le carenze nutrizionali, una curva di crescita di solito modesta, la pubertà ritardata e le terapie utilizzate. Anche i pazienti con celiachia sono a rischio di ridotta densità ossea; una dieta priva di glutine sembra peraltro consentire la ripresa di una corretta mineralizzazione. L’anoressia nervosa è un’altra condizione di rischio molto importante, soprattutto quando l’esordio è in età adolescenziale. Essa va a compromettere la maturazione ossea in un momento cruciale dello sviluppo, sia per lo scarso introito alimentare di calcio che per la carenza di ormoni e il conseguente ritardo della pubertà e del menarca. La precoce insorgenza dell’osteoporosi incombe sul futuro di queste ragazze come una vera e propria complicanza a lungo termine della anoressia stessa, prevenendo la formazione di uno scheletro “sano”. I bambini e gli adolescenti colpiti da malattie oncologiche sviluppano frequentemente osteopenia, per i trattamenti chemioterapici di lunga durata, per l’immobilità conseguente alla gravità della malattia e, qualora sia necessaria l’irradiazione cranica, d. Strategie di intervento L’osteoporosi, come molte affezioni croniche, si manifesta tardi ma è la consapevolezza del suo lungo iter e dell’influenza dei fattori ambientali che deve stimolarci ad adottare precocemente un corretto stile di vita, tanto che la ottimizzazione della nutrizione materna e della crescita intrauterina dovrebbero essere anch’esse incluse nelle strategie preventive contro le fratture da osteoporosi, anche per le future generazioni. Le conoscenze acquisite finora hanno dimostrato che in molti casi è possibile migliorare sin dall’età pediatrica-adolescenziale lo stato di salute dell’osso e limitare così le conseguenze del successivo rimodellamento osseo, che rende lo scheletro più fragile. In tutti i soggetti con bassa assunzione di calcio o con condizioni che possono predisporre alla osteoporosi dovrebbe essere valutata la BMD mediante una densitometria ossea. Abbiamo attualmente la possibilità di identificare quei bambini e ragazzi che sono geneticamente proni a sviluppare valori di PBM bassi e verso i quali dovrebbe essere rivolto il massimo sforzo preventivo. Il primo passo per la prevenzione consiste nella ottimizzazione del picco di massa ossea. Al di là di situazioni che richiedono approcci terapeutici, nella maggioranza dei casi semplici modifiche nello stile di vita, dalla dieta all’esercizio fisico, basterebbero a consentire un’ossificazione corretta con il raggiungimento di un PBM ottimale. Una corretta nutrizione è la base essenziale per una buona crescita: è importante assicurare con la dieta un apporto di calcio e di vitamina D prossimo ai LARN; quando, per varie ragioni, ciò non fosse possibile spontaneamente, è opportuno supplementare la dieta con integratori specifici. Nella adolescenza questo si ottiene: elevando l’introito di calcio (1.300 mg/die), sia sotto forma di prodotti lattiero caseari, cibi fortificati, o supplementazioni, con un adeguato apporto di vitamina D (anche mediante una corretta esposizione al sole) (400 UI/die) e di altri macro e micro-nutrienti, anche incoraggiando una moderata attività fisica contro gravità e comunque combattendo la sedentarietà. Per raggiungere gli apporti raccomandati di 1.300 mg/die di calcio, gli adolescenti devono assumere almeno 4 bicchieri di latte al giorno, o equivalenti, come una tazza di yogurth o 50 g di for- 12 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Calcio e adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 ha mostrato una frazione di assorbimento del 10% più elevata rispetto al carbonato di calcio. Per migliorare l’assorbimento del calcio l’integratore dovrebbe essere somministrato con il pasto in dosi separate, non più di 400-500 mg per volta, evitando la contemporanea ingestione di grandi quantità di fattori dietetici che riducano l’assorbimento intestinale del calcio. Per migliorarne l’effetto, potrebbe essere opportuno somministrare una dose di integrazione a colazione e un’altra prima di dormire, visto che il riassorbimento osseo stimolato dal PTH diminuisce durante la notte. maggio. Le ragazze adolescenti tendono ad evitare i prodotti lattiero caseari per paura di aumentare di peso, e rimpiazzano il latte con altri tipi di bevande, soprattutto gasate e succhi di frutta. In questi casi, il calcio deve essere dato preferibilmente per mezzo di cibi fortificati (il pane, i succhi di frutta si prestano facilmente ad essere arricchiti con il calcio) o attraverso supplementazione. Il vantaggio per lo scheletro di una supplementazione non è mantenuto almeno significativamente dopo la sua cessazione, e questo suggerisce che per raggiungere un PBM massimale, deve essere mantenuta una elevata assunzione di calcio negli adolescenti. Soggetti intolleranti al lattosio possono avere una ridotta assunzione di calcio in quanto escludono dalla dieta i latticini, alimenti ricchi di calcio. Quindi la carenza di lattasi sembra essere un fattore che predispone allo sviluppo di osteopenia. In soggetti con intolleranza al lattosio, si consiglia di utilizzare latte senza lattosio o con quantitativo ridotto di lattosio, e formaggi stagionati, che contengono solo tracce di lattosio ad un mese dopo la produzione, yogurth e latte fermentato, il cui contenuto di lattosio è ridotto del 30-40%, a seconda delle colture usate nel processo di fermentazione. Infatti i soggetti con intolleranza al lattosio riescono a tollerare meglio i latticini fermentati che non quelli non fermentati, poiché i fermentati contengono una notevole quantità di lattasi, localizzata nei microoganismi viventi. Non bisogna sopravvalutare il ruolo degli integratori e sottovalutare l’importanza di una dieta globalmente corretta, o il danno rappresentato dal fumo, dall’abuso di bevande alcooliche o alla cola, o da una vita troppo sedentaria. Una altro aspetto riguarda la particolare attenzione alla cura delle malattie nell’età adolescenziale, specialmente le malattie croniche, che influiscono direttamente o in seguito a trattamenti medici, sulla salute dello scheletro, ponendo particolare attenzione a mantenere il normale svolgersi dello sviluppo puberale. L’introito alimentare di calcio sembra essere inversamente correlato al rischio di sviluppare calcoli, mentre l’assunzione di supplementi del minerale sembra mostrare una associazione positiva. Se l’integrazione viene fatta a digiuno o dopo una colazione leggera o povera di fibre si traduce in rapido assorbimento del calcio ed in rapida eliminazione a livello renale, con possibilità di sovrasaturazione urinaria e di precipitazione. È importante sia il momento della assunzione dei supplementi per favorirne un assorbimento graduale, sia un adeguato apporto di acqua. Inoltre l’assorbimento intestinale di calcio è più alto nel contesto di un pasto che non a stomaco vuoto. Una dieta ricca di calcio inoltre riduce l’assorbimento di acido ossalico, importante responsabile della formazione di calcoli. In soggetti con intolleranza al lattosio e in quelli che evitano i latticini per altre ragioni, quali l’avversione, possono essere usati integratori di calcio. L’assorbimento di calcio da sali di calcio carbonato, acetato, lattato, gluconato, fosfato e citrato è simile a quello con latte intero. Un sale di calcio altamente solubile, il citrato-malato di calcio, Conclusioni L’adolescenza è un periodo molto importante per l’accumulo della massa ossea e la progressione verso il picco di massa ossea. Gli anni dell’adolescenza costituiscono, quindi, un momento molto opportuno per influenzare la salute dell’osso per tutto il resto della vita. Infatti buona parte del picco di massa ossea viene raggiunto in questo breve periodo del ciclo della vita ed è ormai accertato che lo sviluppo di un più elevato picco di massa ossea durante gli anni dell’adolescenza protegge le donne dall’osteoporosi e dalle fratture postmenopausa. Fra i vari fattori, endogeni ed esogeni, che possono influenzare ed ottimizzare il conseguimento del picco di massa ossea, essenziale risulta il fattore nutrizionale legato all’apporto di calcio e di vitamina D. Infatti una nutrizione non adeguata durante lo sviluppo puberale con un ridotto apporto calcico o un ridotto apporto di vitamina D o un’insufficiente esposizione solare, possono risultare in un picco di massa ossea non ottimale e in un rischio aumentato di fratture nell’adolescenza e nell’età futura. Il consiglio largamente condiviso sarebbe quello di raggiungere un apporto ottimale di calcio stimabile intorno a 1.300 mg al giorno. La risposta agli apporti di calcio in termini di guadagno di massa ossea può essere influenzata da fattori genetici e ambientali, quali l’esercizio fisico. Si ritiene comunque essenziale promuovere ed indurre negli adolescenti buone e sane abitudini alimentari, che possono avere benefici potenzialmente enormi per migliorare la salute dello scheletro. È noto, tuttavia, quanto sia difficile nella pratica influenzare il comportamento alimentare degli adolescenti, che spesso sono preoccupati della loro immagine corporea. Appare quindi molto più utile iniziare la promozione di corrette abitudini alimentari nei bambini ancor prima dell’adolescenza; tanto più che l’influenza positiva di un aumento dell’apporto calcico con la dieta risulterebbe più sensibile prima della pubertà che non durante o dopo la maturazione puberale. Bibliografia 1. 13 Tabelle di composizione deglia alimenti, INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e Nutrizione), Edizione 2000. 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Arcispedale S. Anna, Ferrara **Scuola di Specializzazione in Pediatria. Università di Ferrara Riassunto La dismenorrea primaria è una condizione di comune osservazione nella età adolescenziale. La prevalenza varia dal 30% al 70% e tipicamente aumenta con l’età cronologica e ginecologica della ragazza. Il dolore mestruale nel 49% dei casi è lieve e nel 14% dei casi severo. Si può accompagnare a cefalea, nausea, vomito e crampi muscolari. Studi recenti indicano che la dismenorrea è principalmente dovuta alla aumentata secrezione di prostaglandine, a livello endometriale. Attualmente i farmaci più comunemente usati per il trattamento della dismenorrea primaria sono gli inibitori delle prostaglandine. La dismenorrea secondaria è associata a patologie pelviche ed in particolare alla endometriosi. Parole chiave: dismenorrea, adolescente, endometriosi. Primary dysmenorrhea in adolescents Summary Primary dysmenorrhea is a common gynaecologic compliant of female adolescents. The prevalence, during adolescence, falls between 30%-70% and typically increases with chronological and gynaecological age. The discomfort can range from mild (49%) to severe (14%) and is often accompanied by symptoms such as headache, nausea, vomiting and muscular cramps. Recent advances indicate that prostaglandin levels are elevated in the menstrual fluid of women with primary dysmenorrhea and that suppression of prostaglandin levels can be improve dysmenorrhea symptoms. The most common medical treatment for menstrual discomfort are nonsteroidal anti-inflammatory drugs. Secondary dysmenorrhea is associated with pelvic pathology, particularly if the symptoms occur at a later age, and is mainly due to endometriosis. Key words: dysmenorrhea, adolescent, endometriosis.f Introduzione Il termine dismenorrea deriva dal greco e letteralmente significa alterato flusso mestruale, ma è usato come sinonimo di mestruazione dolorosa (1). Quasi tutte le donne, in età fertile, riferiscono qualche dolore più o meno accentuato all’addome all’inizio della mestruazione, sotto forma di lievi crampi che cessano poco dopo l’inizio del flusso; si parla propriamente di dismenorrea allorquando la sin- tomatologia algica assume proporzioni quantitativamente maggiori ed impedisce le normali attività quotidiane della ragazza (1). Si distinguono 2 forme di dismenorrea: 1. Primaria, si verifica in assenza di anormalità pelviche ed è il tipo più frequente nel periodo adolescenziale. 2. Secondaria, è rara nell’adolescenza ed è associata ad una patologia pelvica (endometriosi, adenomiosi, infezioni ed 17 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 infiammazioni pelviche, malformazione congenita degli organi di derivazione mulleriana). re della dismenorrea primaria e lo score verbale pluridimensionale di valutazione della gravità della dismenorrea. Un’indagine anamnestica attenta, volta ad evidenziare le caratteristiche del dolore (tipo e localizzazione), i tempi di presentazione rispetto al flusso mestruale, l’età di insorgenza e la familiarità, permettono di indirizzare la diagnosi differenziale, che nel caso della dismenorrea primaria verrà confermata dalla positiva risposta ai FANS o estroprogestinici. La diagnosi di dismenorrea secondaria va invece sospettata in alcune particolari circostanze: 1. Comparsa della dismenorrea già nel primo o secondo ciclo mestruale dopo il menarca; 2. Mancata risposta alla terapia con FANS o contraccettivi orali, eventulmente in associazione; Epidemiologia L’incidenza della dismenorrea varia a seconda delle diverse casistiche (dal 14% al 60% della popolazione femminile). I fattori che determinano questa ampia variabilità dipendono dai campioni di popolazione scelti per lo studio, dal metodo di raccolta dei dati, dalla definizione utilizzata e dall’età del paziente. Klein e Litt (2) hanno riscontrato, in una popolazione di 2699 adolescenti, la presenza di dismenorrea nel 59.7% dei casi. Il dolore veniva descritto come lieve nel 49% dei casi, moderato nel 37% e grave nel 14%. La prevalenza della dismenorrea variava con l’età cronologica (39% a 12 anni, 72% a 17 anni) e l’età ginecologica (31% nel primo anno ginecologico, 78% nel quinto anno ginecologico). In questa sede rivolgeremo l’attenzione quasi esclusivamente alla dismenorrea primaria, poiché, oltre ad essere di gran lunga più comune, richiede un trattamento terapeutico più semplice che può essere intrapreso anche da personale medico non specialistico. Tabella 1. Fattori endocrini e dismenorrea. 17β estradiolo Fa aumentare la produzione endometriale di PGF2 alfa, sia in fase proliferativa che secretiva. Progesterone Nella seconda metà del ciclo è indispensabile per la formazione dei fosfolipidi, da cui originano l’acido arachidonico e quindi le prostaglandine (Tabella 3). Vasopressina Potente stimolatore dell’utero in fase pre-mestruale. L’infusione di vasopressina provoca aumento della contrattilità e diminuzione del flusso ematico, con aumento dei metaboliti della PGF2 alfa. Eziopatogenesi L’eziologia della dismenorrea non è totalmente chiara. Nella maggior parte delle pazienti con dismenorrea primaria si è potuto dimostrare l’esistenza di almeno una delle seguenti anomalie: 1. Aumento del tono basale uterino 2. Aumento delle pressioni intrauterine durante le contrazioni 3. Aumento del numero delle contrazioni 4. Attività incoordinata del muscolo uterino 5. Aumento del lavoro svolto dal miometrio L’aumentata secrezione, a livello endometriale, di prostaglandine (PG) viene ritenuta la causa principale della dismenorrea primaria. Le PG agiscono sul miometrio determinando un aumento della contrattilità uterina che, a sua volta, provoca vasocostrizione ed ischemia uterina, responsabile del dolore (3). Le PG sono sotto il controllo degli estrogeni, progesterone e vasopressina. In particolare, il progesterone sarebbe indispensabile per la formazione di fosfolipidi da cui viene liberato l’acido arachidonico, precursore delle PG (Tabella 1). Tabella 2. Caratteristiche della dismenorrea primaria. Sintomatologia e diagnosi La dismenorrea è caratterizzata da dolori più o meno intensi a livello dei quadranti addominali inferiori ed in sede lombare, accompagnata spesso da numerosi sintomi sistemici (3,4). Nelle Tabelle 2 e 3 vengono riportate le caratteristiche del dolo- 18 Epoca di comparsa Inizia 6-12 mesi dopo il menarca, raggiunge la sua massima frequenza a 17-18 anni per poi ridursi nella seconda –terza decade di vita Inizio del dolore Poche ore prima della mestruazione o con l’inizio del flusso mestruale Durata del dolore Da poche ore ad alcuni giorni (in genere non supera i 2-3 giorni) Caratteristiche del dolore Di tipo crampiforme, ai quadranti inferiori dell’addome con irradiazione lombare e sacrale. Si può accompagnare a nausea e vomito (80%), cefalea (60%), disturbi dell’alvo (50%), astenia (45%), irritabilità (30%). Raramente si associa a vertigini e collasso. Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza La dismenorrea primaria nell’adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 Tabella 3. Score verbale pluridimensionale di valutazione della gravità della dismenorrea. Grado Capacità lavorativa Sintomi sistemici Grado 1 – La mestruazione è dolorosa ma impedisce solo raramente le normali attività. Raramente sono necessari analgesici. Dolore lieve Scarsamente alterata Assenti Grado 2 – Le attività quotidiane sono impedite. Sono necessari analgesici, che permettono di non assentarsi dal lavoro o dalla scuola. Dolore modesto. Discretamente alterata Alcuni Nettamente alterata Evidenti Grado 3 – L’attività è chiaramente impedita. Gli analgesici sono poco efficaci. Compaiono sintomi vegetativi come cefalea, astenia, nausea, vomito e diarrea. Dolore importante. 3. Presenza, all’esame fisico, di alterazioni pelviche; 4. Inizio tardivo dei sintomi dopo un precedente periodo libero e, in particolare, dopo i 20 anni di età. L’endometriosi è la condizione ginecologica più comune nelle adolescenti affette da dismenorrea secondaria (5). Altre diagnosi comuni comprendono: aderenze pelviche, cisti ovariche e paratubariche, malformazioni uterine. Il dolore pelvico associato ad endometriosi può essere invalidante sia nelle forme più lievi, sia in quelle più estese della malattia. In questi casi l’esame obiettivo può rilevare iperestesia o nodularità del cul di sac uterino all’esame vagino-addominale o retto-addominale. La diagnosi definitiva di endometriosi viene posta a seguito della laparoscopia ed esame istologico dei campioni bioptici. Le lesioni endometriosiche atipiche di un adolescente possono subire una progressione naturale verso le lesioni classiche osservate nelle donne adulte (5). Una diagnosi accurata e precoce è importante per alleviare i sintomi ed eliminare la progressione naturale della malattia che potrebbe compromettere il potenziale riproduttivo della paziente. Per differenziare la dismenorrea primaria dalla secondaria è stato proposto il test alla NIFEPIDINA, farmaco ad azione calcio-antagonista che è in grado di ridurre la contrattilità uterina. La mancata risposta a questo test deporrebbe per una forma di dismenorrea secondaria (4,6). Fosfolipidi cellulari Acido arachidonico CICLO-OSSIGENASI Inibitori tipo I Endoperossidi ciclici ISOMERASI REDUTTASI Inibitori tipo II Prostaglandine Figura 1. Sito di azione degli inibitori tipo I e II. Dolore 19 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 Acido arachidonico Meclofenamato CICLO-OSSIGENASI LIPO-OSSIGENASI Endoperossidi ciclici Leucotrieni ISOMERASI REDUTTASI PROSTAGLANDINE Figura 2. Sito di azione del meclofenamato. Dolore A seconda del farmaco utilizzato variano sia le dosi terapeutiche che le modalità di somministrazione. L’utilizzo dei più comuni analgesici (aspirina e paracetamolo) può risultare utile nei casi di dolore mestruale di lieve entità e di breve durata. In caso di dismenorrea importante la scelta del farmaco dovrà prevedere l’impiego dei derivati arilpropionici o dei sulfonalidi. Terapia Sono disponibili diverse scelte terapeutiche che dovranno essere valutate in relazione: 1. All’età della ragazza 2. Alle caratteristiche e all’intensità del dolore 3. Alla risposta o meno a precedenti provvedimenti terapeutici 4. Al coinvolgimento psicologico della ragazza. Prima di iniziare un intervento farmacologico bisognerà spiegare alla ragazza la fisiologia del fenomeno e rassicurarla sullo scarso significato patologico del disturbo. Si dovrà, inoltre, non sottovalutare i possibili rischi e gli eventuali effetti collaterali, confrontandoli con i benefici del trattamento (1, 3-6). Attualmente i farmaci più comunemente usati per il trattamento della dismenorrea primaria sono sostanzialmente due: - gli inibitori delle PG - i contraccettivi orali Gli inibitori delle prostaglandine possono essere suddivisi in due grandi gruppi sulla base del loro meccanismo d’azione (Figura 1): gli inibitori di tipo I e quelli di tipo II. Gli inibitori di tipo I (fenamati, derivati dell’acido arilpropionico ed indolacetico) inibiscono l’enzima ciclossigenasi e quindi impediscono la conversione dell’acido arachidonico in endoperossidi ciclici. Gli inibitori di tipo II (fenilbutazone) inibiscono la tappa successiva della biosintesi delle PG dopo la formazione degli endoperossidi ciclici. Le dosi raccomandate sono le seguenti: 1. Derivati dell’acido benzoico • acido acetilsalicilico 500 mg x 4 volte /die, per os 2. Derivati dell’acido arilpropionico: • naproxene 500-250 mg x 3-4 volte/die, per os • naproxene sodico 550-275 mg x 3-4 volte/die, per os • flurbiprofene 100 mg x 2-3 volte/die, per os • ibuprofene 400 mg x 3-4 volte/die, per os 3. Sulfonalidi: • nimesulide 100 mg x 2 volte/die, per os. La terapia va protratta per i primi 2-3 giorni del ciclo mestruale (3, 6). La maggior parte di questi preparati può provocare disturbi a carico dell’apparato gastrointestinale, del sistema nervoso centrale, fegato e midollo osseo. Non sempre i FANS riescono ad essere efficaci. In questi casi sembra siano abnormemente elevati altri composti tipo i leuco- 20 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza La dismenorrea primaria nell’adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 Bibliografia trieni (Figura 2). Su di essi ha dimostrato di essere attivo il meclofenamato, inibitore della 5-lipo-ossigenasi (acido fenfenamico e meclofenamico). L’utilizzo dei contraccettivi orali è efficace nell’80-90% dei casi. L’azione si esplica attraverso la riduzione del flusso mestruale, e quindi di prostaglandine, e la soppressione dell’ovulazione. L’associazione di FANS ed estroprogestinici aumenta ulteriormente la probabilità di successo terapeutico, anche se permane una percentuale (circa 10%) di pazienti che non risponde positivamente alla terapia. Per questi casi o per le pazienti che presentano controindicazioni alle terapie comuni, esistono diverse terapie alternative, con percentuali variabili di efficacia. Fra queste, ricorderemo la stimolazione elettrica transcutanea (TENS), l’agopuntura, i miolitici ad azione diretta. E’stato segnalato che l’integrazione dietetica con acidi grassi polinsaturi omega-3, a catena lunga, è in grado di ridurre la dismenorrea primaria, limitando per competitività la quantità di acido arachidonico a livello dei fosfolipidi di membrana (6). Nelle dismenorree secondarie il trattamento è volto alla correzione della malattia di base. La somministrazione di FANS o di contraccettivi orali non è efficace o scarsamente efficace (5). 1. Twigg J. Dysmenorrhoae. Curr Ob Gyn 2002; 12:341 2. Klein JR, Litt I F, Rosemberg A, Effect of aspirin on dismenorrea in adolescents. J Pediatr 1978; 98: 987 3. Benassi L. Dismenorrea nell’adolescenza. Gin Inf Adol 1989; 5:1 4. De Cecco L, Galero F. Dismenorrea primitiva. 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La dismenorrea secondaria va sospettata quando compare al menarca o dopo i 20 anni; se ha una durata superiore ai 3 giorni; se insorge prima della mestruazione e continua anche dopo di essa; se non risponde ad un trattamento farmacologico. I farmaci di prima scelta nella terapia della dismenorrea primaria sono gli antinfiammatori non steroidei. L’impiego dei contraccettivi è da limitare alle adolescenti sessualmente attive. Nei casi di insuccesso della terapia medica bisognerà prendere in considerazione la possibilità di trovarsi di fronte ad una dismenorrea secondaria e, quindi, ripercorrere l’iter diagnostico alla ricerca di una causa organica, servendosi eventualmente di tecniche strumentali più sofisticate (laparoscopia). Corrispondenza: Dr. Vincenzo De Sanctis Divisione di Pediatria ed Adolescentologia Arcispedale S. Anna - Corso Giovecca, 203 - 44100 Ferrara E-mail: [email protected] 21 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 Carcinoma differenziato della tiroide nell’adolescente: attualità e prospettive Claudio Spinelli*, Arianna Bertocchini*, Silvano Bertelloni** *Cattedra di Chirurgia Pediatrica e Infantile; **Sezione di Medicina dell’Adolescenza, Dipartimento di Medicina della Procreazione e dell’Età Evolutiva, Università di Pisa Riassunto Il carcinoma differenziato della tiroide in età pediatrica rappresenta un argomento ancora controverso sia da un punto di vista eziopatogenetico che terapeutico. Queste neoplasie negli adolescenti, al momento della diagnosi, si presentano in uno stadio più avanzato rispetto a quanto avviene negli adulti e hanno una maggiore incidenza di ricadute di malattia. La prognosi è tuttavia eccellente, differenziandosi completamente da quella degli adulti. Il motivo di questo comportamento biologico è ancora sconosciuto. Vengono riportati gli attuali aspetti clinici, terapeutici e prognostici di questa non rara affezione. Parole chiave: carcinoma differenziato della tiroide, adolescente, diagnosi, trattamento, outcome. Thyroid cancer in adolescents: an up-to date Summary Differentiated thyroid carcinoma (DTC) remains a controversial issue in pediatric age, regarding pathogenesis and treatment lines. At diagnosis, DTC is more likely to be in an advanced stage compared to adults and have an high incidence of recurrence. On the contrary, DTC in adolescents has a better prognosis than in adults and a little risk of mortality. The reason for this different behaviour is still unknown. In this paper the Authors report the main clinical findings, therapeutical approaches and outcome of DTC. Key words: differentiated thyroid carcinoma, adolescents, diagnosis, treatment, outcome. Epidemiologia e patogenesi Il carcinoma differenziato della tiroide (CDT), papillare e follicolare, da solo rappresenta l’1,4-3,0 % di tutti i carcinomi diagnosticati nei bambini. L’incidenza annua stimata è intorno a 0,20,4/milione nei soggetti da 0 a 17 anni. Essa non varia significativamente tra i diversi paesi europei o extraeuropei (1) fatta eccezione per le Repubbliche della Bielorussia e dell’Ucraina, colpite dal fall-out radioattivo successivo all’incidente di Chernobyl (1986). A partire dal 1990, in queste regioni è stato documentato un incremento di circa trenta volte del carcinoma papillare tiroideo (Figura 1), specialmente nel gruppo di età minore ad un anno al momento del disastro nucleare (2). Il rapporto tra femmine e maschi del CDT varia a secondo dell’età: 1 : 6 per età comprese tra 5-9 anni, 1 : 1 tra 10-14 anni e 5 : 2 tra 15-18 anni; il picco di incidenza è compreso tra 15 e 18 anni di età (1). All’interno dell’età pediatrica, gli adolescenti sono quindi i soggetti a maggior rischio per il CDT. Inoltre, nei soggetti con età inferiore a 15 anni alla diagnosi, il CDT si presenta ad uno stadio più avanzato rispetto a quanto avviene negli adolescenti più grandi e negli adulti; nei primi vi è anche una maggiore ricorrenza di recidive. La prognosi è comunque eccellente e la mortalità più bassa rispetto a quella degli adulti. Il motivo di questo differente comportamento biologico rimane sconosciuto. Nell’eziopatogenesi del carcinoma papillare della tiroide è stata implicata l’attivazione di alcuni oncogeni capaci di regolare la proliferazione o la differenziazione cellulare. Vari tipi di riarrangiamenti genici che coinvolgono il protoncogene RET o il pro- 23 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 tooncogene TRK sono stati riconosciuti come specifici dei carcinomi papillari in età pediatrica. Poiché tali oncogeni sono stati ritrovati solo nel carcinoma papillare della tiroide essi sono stati denominati PTC (Papillary Thyroid Carcinoma). Riarrangiamenti genici RET/PTC sono stati trovati nei carcinomi papillari della tiroide sporadici dei bambini in una percentuale maggiore (48-65%) rispetto a quella degli adulti (5-44% ), con notevoli oscillazioni razziali e geografiche. Un’incidenza particolarmente elevata (67-87%) è stata riportata nei carcinomi papillari della tiroide nei soggetti esposti all’incidente nucleare di Chernobyl (3). Il significato clinico degli oncogeni RET/PTC rimane incerto, ma potrebbero giocare un ruolo nella fase precoce dello sviluppo del carcinoma papillare della tiroide; essi si presentano infatti con una maggiore incidenza nei micro-carcinomi o nelle forme occulte rispetto alle forme clinicamente evidenti (4). Numero casi / anno 120 100 80 60 40 20 0 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 Età (anni) Bielorussia Ucraina istologiche, totalmente o prevalentemente, papillari. Le forme follicolari pure sono invece più rare rispetto agli adulti (7). Il carcinoma papillare può essere suddiviso in alcune varianti (Tabella 1). La variante follicolare rappresenta la forma più frequente, mentre meno comune è la variante a cellule alte o carcinoma insulare e la variante a sclerosi diffusa. Queste ultime si presentano clinicamente come masse voluminose con interessamento spesso di entrambi i lobi e con estensione extra-tiroidea, essendo forme particolarmente aggressive e con alta incidenza di metastasi linfonodali e/o polmonari già al momento della diagnosi (8). Il carcinoma papillare si presenta sotto forma di lesione solida non capsulata o solo parzialmente capsulata; possono essere presenti calcificazioni o cisti. Microscopicamente contiene aree papillari predominanti o focali (Figura 2). I corpi psammomatosi si trovano nel 40-50% dei carcinomi papillari ed un infiltrato linfocitario tipo tiroidite cronica è presente nel 30% dei casi. Rimane controverso il significato della multifocalità, potendo rappresentare tumori indipendenti o metastasi intraghiandolari diffuse per via linfatica a partenza da un singolo tumore. La multicentricità del carcinoma papillare della tiroide, comune negli adolescenti, di solito si associa a specifici riarrangimenti genici RET/PTC4. Aspetti clinici Nell’adolescente, la presentazione tipica del carcinoma della tiroide è la scoperta, spesso occasionale, di una massa o di un nodulo a carico della tiroide. Questa modalità di esordio non è diversa da quella di un adulto, anche se un nodulo tiroideo singolo in un adolescente ha più probabilità di essere maligno, per cui, specialmente se rilevato in un maschio, deve essere sempre considerato un carcinoma fino a dimostrazione contraria. A differenza di un adulto, si ha una maggiore frequenza di interessamento linfonodale, spesso bilaterale, per cui un’adenopatia cervicale può essere la prima manifestazione clinica di un carcinoma tiroideo in età pediatrica. Una metastastizzazione dei linfonodi regionali è infatti presente nel 35-85% degli adolescenti con CDT. Nel 10-20% dei ragazzi sono poi presenti metastasi parenchimali a distanza, prevalentemente a livello polmonare (usualmente asintomatiche) (5, 6). Tutti questi rilievi sottolineano la necessità di un accurato esame clinico di ogni tumefazione tiroidea e dei linfonodi cervicali del compartimento centrale, laterale e sovraclaveare; i linfonodi sottomentonieri e sottomandibolari sono invece raramente interessati. Il rapido accrescimento della massa, l’aumentata consistenza, l’adesione del nodulo ai tessuti circostanti unitamente alla presenza di linfonodi palpabili sono i principali segni clinici indicativi di una patologia maligna. Segni e sintomi da compressione locale, come disfonia, disfagia, dispnea, sono piuttosto rari, anche se devono essere accuratamente ricercati, in quanto indice di maggiore invasività. Tabella 1. Classificazione anatomo-patologica. Tipo istologico Carcinoma papillare Variante - puro - variante follicolare - variante a cellule alte - variante a sclerosi diffusa Aspetti istologici Carcinoma follicolare Adenocarcinoma a cellule di Hurtle Le caratteristiche istologiche del CDT sono riassunte in Tabella 1. Nel 70-90% degli adolescenti, il CDT è rappresentato da forme *su una casistica di 56 pazienti (età 4-20 anni) (23) 24 %* ~ 65 ~ 30 bassa bassa ~5 bassa Figura 1. Casi/anno di carcinoma della tiroide dopo l’incidente nucleare di Chernobyl in soggetti con età < 15 anni. Da UNSCEAR, 2000. Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Carcinoma differenziato della tiroide nell’adolescente: attualità e prospettive Volume 2, n. 3, 2004 ne altamente improbabile. Analogamente, elevati livelli di anticorLa tendenza del carcinoma papillare a diffondersi per via linfatipi antitiroide (Ab-TRG, Ab-TPO) e TSH sono indicativi di tiroidite di ca giustificherebbe l’alta incidenza di metastasi linfonodali locoHashimoto, che può essere associata sia a gozzo, con consistenregionali. Il carcinoma follicolare, al contrario, diffonde prevalenza generalmente aumentata, che ad uno o più noduli. temente per via ematogena. L’invasione della capsula e l’invaIl dosaggio della tireoglobulina non è di utilità ai fini diagnostici sione all’interno delle vene rappresentano i criteri minimi di diae non dovrebbe essere richiesto a questo scopo. gnosi differenziale tra il carcinoma follicolare e l’adenoma follicolare benigno. Per tale motivo queste lesioni non sono diagnoEsame scintigrafico sticabili citologicamente tramite L’esame scintigrafico tiroideo non agoaspirato. La disseminazione risulta utile nella valutazione del ematogena del carcinoma folliconodulo tiroideo dell’adolescente. lare determina una metastatizzazione alle ossa, al polmone, al Ecografia cervello ed al fegato. Il carcinoma L’ecografia della tiroide, che è in follicolare, che interessa tipicagrado di discriminare lesioni cistimente gli adolescenti, si presenche fino ad 1 mm e solide fino a 3 ta usualmente come una massa mm, rappresenta la tecnica più isolata della tiroide; i carcinomi occulsemplice e rapida, ma di limitato Figura 2. Aspetto istologico del carcinoma ti di tipo follicolare sono rari, contrariamenvalore diagnostico differenziale differenziato della tiroide. te ai carcinomi di tipo papillare. tra forme benigne e maligne, speL’adenocarcinoma a cellule di Hurthle si presenta clinicamente cialmente in presenza di noduli solitari nei bambini e negli adocome una massa solitaria della tiroide con un parziale o comlescenti. pleta capsula, di dimensioni variabili, da uno a molti centimetri I caratteri eco-strutturali suggestivi di benignità sono l’anecogefino all’interessamento dell’intero lobo. All’interno si possono nicità, l’iperecogenicità e la presenza di ampie aree colliquative osservare piccole aree cistiche, emorragie e/o necrosi. intranodulari. Caratteri orientativi per natura maligna del nodulo Istologicamente le grosse cellule di Hurthle, con voluminoso sono l’ipoecogenicità e le microcalcificazioni. Il riscontro di una nucleo ipercromico e grande citoplasma finemente granulare, lesione cistica non esclude la presenza di un carcinoma. costituiscono un pattern di tipo macrofollicolare, microfollicolaL’esame ecografico risulta inoltre utile per la ricerca di infiltrare, trabecolare/solido o pseudopapillare. La forma trabecolare e zione o invasione delle strutture peri-tiroidee e dei linfonodi cermicrofollicolare sono le più comuni. I criteri patologici di malivicali. gnità di queste lesioni sono l’invasione vascolare e capsulare. Esame citologico L’esame citologico mediante agoaspirato “FNA” (Fine Needle Aspiration biopsy) rappresenta la procedura più appropriata nella diagnostica dei noduli della tiroide e l’esame guida per l’indicazione chirurgica negli adolescenti. L’applicazione di questa tecnica non evita necessaTabella 2. Valori di calcitonina (pg/ml) basali e dopo stimolo con pentagastrina° . riamente la chirurgia, in quanto l’accuratezza diagnostica diBasale Picco pende dal tipo e dal diametro Valori normali della lesione. In presenza di (soggetti con età > 20 anni) <10 <30 citologia sospetta, l’exeresi chiValori normali (soggetti con età > 20 anni) <10 <15 rurgica del nodulo rappresenta il trattamento di scelta per Valori dubbi >10 <30 >30 <50* escludere la malignità. Carcinoma follicolare >35 >150 I noduli di diametro inferiore ad Microcarcinoma follicolare >50 <150 – 1 cm possono richiedere la * rivalutare dopo 6 mesi ripetizione dell’esame per l’ina(se soggetto non a rischio per neoplasia endocrina multipla tipo 2); deguatezza del materiale agoa° 0.5 mg/kg, kit CIS-Bio assay per la calcitonina monomero spirato (10). (da Modigliani et al., Best Clin Endocrinol Metab 14: 631-649, 2000) L’accuratezza diagnostica nei Indagini diagnostiche Indagini di laboratorio Nessuna indagine di laboratorio è in grado di poter distinguere una lesione benigna da una maligna ad eccezione della calcitonina; se elevata, è suggestiva per il carcinoma midollare. In Tabella 2 sono riportati i valori di calcitonina normali e quelli indicativi di carcinoma midollare in condizioni basali e dopo stimolo con pentagastrina. Ormoni tiroidei liberi elevati con TSH soppresso sono indicativi di un nodulo autonomo iperfunzionante. In questo caso, la presenza di un carcinoma divie- 25 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 carcinomi papillari della tiroide risulta del 90%. Le lesioni follicolari benigne sono indistinguibili da quelle maligne all’esame citologico e necessitano di una verifica istologica. Interessamento linfonodale I gruppi linfonodali cervicali più frequentemente interessati dalle metastasi, negli adolescenti, per CDT sono rappresentati dal compartimento centrale (pretracheali, paratracheali e mediastinici superiori), dai linfonodi della catena giugulare interna (II, III e IV livello) e dai linfonodi distali della catena del nervo accessorio spinale. Rare sono le metastasi ai linfonodi del I livello. Stadiazione La stadiazione generalmente più seguita è quella che fa riferimento al sistema TNM (T, le dimensioni e l’estensione del tumore primitivo; N, la presenza o meno di metastasi ai linfonodi regionali; M, la presenza o meno di metastasi a distanza) (11) (Tabella 3). I pazienti (M+) presentano al momento della diagnosi frequentemente linfonodi metastatici ed invasione extratiroidea. Essi hanno una sopravvivenza uguale agli M0, quest’ultimo dato rappresenta un paradosso se confrontato con il carcinoma differenziato della tiroide degli adulti (6). Questa classificazione clinica è utile ai fini prognostici e terapeutici solo se corredata da una esatta definizione istologica della neoplasia, come le dimensioni e l’invasione extratiroidea (TNM postoperatorio). Trattamento chirurgico L’estensione ottimale della resezione chirurgica del CDT negli adolescenti rimane un argomento controverso, in quanto non esistono studi in età pediatrica dove viene confrontata, in modo prospettico e randomizzato, l’estensione della chirurgia ed il tipo di evoluzione post-operatoria. Soltanto con studi multicentrici, su casistiche sufficientemente ampie e con un lungo follow-up si potrà capire il reale impatto del trattamento chirurgico iniziale (tiroi- BOX 1 - Aspetti clinici pratici Negli adolescenti, il carcinoma differenziato della tiroide (CDT) 1. Presenta un decorso clinico diverso da quello degli adulti; pertanto deve essere considerato una malattia a se stante con caratteristiche proprie, soprattutto dal punto di vista evolutivo; 2. Risulta, al momento della diagnosi, biologicamente più aggressivo rispetto a quello degli adulti con: • maggiore incidenza di metastasi ai linfonodi cervicali (23-90 %) • maggiore incidenza di metastasi a distanza (prevalentemente polmonari: 0-15%) • maggiore incidenza di multifocalità (11-57 %) • maggiore incidenza di invasione capsulare (54%) di estensione extratiroidea (7-38 %); 3. Presenta un’incidenza elevata, dopo la terapia chirurgica, di recidive (1-60 %), che avviene prevalentemente a livello dei linfonodi cervicali e del polmone. Le recidive non sono correlate con la mortalità 4. Dovrebbe essere trattato, secondo le linee guida nazionali della Società Italiana di Chirurgia Pediatrica, con emitiroidectomia, in presenza di lesione microscopicamente confinata in un lobo, clinicamente ed ecograficamente rilevabile con assenza di linfonodi cervicali metastatici ed assenza ed assenza di metastasi a distanza, o con tiroidectomia totale in caso di malattia localizzata ad entrambi i lobi o in presenza di metastasi ai linfonodi cervicali. La linfectomia cervicale deve essere eseguita solamente in caso di malattia metastatica linfonodale accertata; 5. Presenta una sopravvivenza a 5 anni nettamente migliore rispetto a quella degli adulti, con percentuali quasi del 100%. 26 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Carcinoma differenziato della tiroide nell’adolescente: attualità e prospettive Volume 2, n. 3, 2004 dectomia totale vs emitiroidectomia) sulla prognosi. Gli studi sul trattamento chirurgico del CDT nei bambini e negli adolescenti riportano invece casistiche limitate di singole istituzioni. Negli adulti, i dati sul trattamento del CDT derivano invece da studi retrospettivi o prospettici a lungo termine; da cui sono stati spesso estrapolati i protocolli terapeutici anche per l’età pediatrica (12). Negli adulti, la terapia chirurgica ottimale del CDT esteso ed aggressivo è rappresentata dalla tiroidectomia totale seguita dalla radioiodioterapia e dalla terapia ormonale soppressiva. La tiroidectomia totale rispetto alla emitiroidectomia riduce le recidive locali e migliora la sopravvivenza (13, 14). Nel CDT in stadi precoci (1° e 2° stadio), la scelta della tiroidectomia totale è meno certa; alcuni Autori (15, 16) riportano una significativa riduzione delle recidive locali nei pazienti trattati con una tiroidectomia totale (4%) rispetto a quelli trattati con una tiroidectomia subtotale (17%), ma senza vantaggi sulla sopravvivenza. Tabella 3. Sistema di stadiazione TNM per il CDT. CLASSIFICAZIONE CLINICA Tis T0 T1 T2 T3 T4 Tx N0 N1 N2 N3 Nx M0 M1 Mx Carcinoma preinvasivo (in situ) Tumore non palpabile Nodulo signolo in un lobo con o senza deformazione della ghiandola e senza limitazioni della mobilità Noduli multipli in un lobo con o senza deformazione della ghiandola e senza limitazione della mobilità Tumore bilaterale con o senza deformazione della ghiandola e senza limitazioni della mobilità, oppure nodulo singolo dell’istmo Tumore con estensione al di là della capsula ghiandolare Assenza dei requisiti minimi per definire il tumore primitivo Nessun segno di interessamento dei linfonodi regionali Evidenza di interessamento di linfonodi regionali omolaterali mobili Evidenza di interessamento di linfonodi regionali controlaterali o della linea mediana o bilaterali mobili Evidenza di interessamento di linfonodi regionali fissi Assenza di requisiti minimi per definire lo stato dei linfonodi regionali Nessun segno di metastasi a distanza Evidenza di metastasi a distanza Assenza di requisiti minimi per definire la presenza di metastasi a distanza Tiroidectomia Totale La maggior parte degli Autori indica la tiroidectomia totale come l’intervento di elezione in tutti gli adolescenti affetti da carcinoma differenziato della tiroide. Questo trattamento è supportato dai seguenti punti: 1) la chirurgia radicale rimuove il tessuto tiroideo sede della neoplasia ed eventuali foci tumorali multicentrici nello stesso lobo o nel controlaterale, che potrebbero rappresentare una potenziale sede di recidiva di malattia (17); 2) la presenza di tessuto tiroideo funzionante non permette di utilizzare, in modo sensibile, il dosaggio della tireoglobulina circolante come marcatore tumorale di recidiva o di residuo di malattia (18); 3) l’assenza di tessuto tiroideo permette di utilizzare in maniera efficace il radioiodio nel trattamento delle metastasi a distanza da CDT, specialmente a livello polmonare dove l’incidenza è particolarmente elevata (19, 20); 4) il tessuto tiroideo normale concentra molto più facilmente il radioiodio rispetto al tessuto con CDT; è sufficiente una quantità di tessuto tiroideo residuo superiore al 2% della ghiandola per captare attivamente il radioiodio, mascherando eventuali metastasi. Pertanto la tiroidectomia totale facilita l’utilizzo della scintigrafia totale corporea nella diagnostica delle metastasi a distanza, specialmente quelle polmonari che, difficilmente, vengono identificate con altre tecniche (19). Senza l’ausilio della scintigrafia totale corporea nel follow-up postoperatorio, queste sarebbero diagnosticate più tardivamente e richiederebbero alte dosi di I-131 con un più elevato rischio di effetti collaterali (21). Di contro, la tiroidectomia totale è gravata da una maggiore incidenza di complicanze post-operatorie, fino al 36% in alcune casistiche (26). L’età minore o uguale a 16 anni rappresenta un fattore autonomo, correlato ad una maggiore morbilità post-operatoria (23). CLASSIFICAZIONE POSTCHIRURGICA pTis Carcinoma preinvasivo (in situ) pT0 Nessun tumore all’esplorazione del pezzo pT1 Nodulo singolo del diametro fino a 1 cm non oltrepassante la capsula tiroidea pT2 Nodulo singolo di diametro superiore a 1 cm non oltrepassante la capsula tiroidea pT3 Noduli multipli mono o bilaterali oppure dell’istmo, non oltrepassanti la capsula tiroidea pT4 Tumore invadente al di là della capsula tiroidea pTx Impossibilità di definire l’entità dell’estensione pN Le categorie pN corrispondono alle categorie N pM Le categorie pM corrispondono alle categorie M 27 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 Outcome Tabella 4. Sopravvivenza a 5 anni nel CDT (diagnosi anni ‘90-‘94) negli adolescenti e nei giovani adulti (età 15-24 anni): dati europei La prognosi a distanza del CDT nel bambino e nell’adolescente è buona. Il tasso di recidive varia dal 2 al 45 % e la percentuale di complicanze dallo 0 al 21%. Secondo Grigsby et al. (26), le recidive del CDT si hanno in media dopo 5.3 anni, con un range da 8 mesi a 15 anni. I pazienti con malattia confinata alla tiroide hanno un basso rischio di ricorrenza della malattia, al contrario i pazienti con stadio più avanzato presentano un rischio maggiore. I fattori prognostici statisticamente correlati con le recidive sono l’invasione extra-tiroidea, la presenza al momento della diagnosi di metastasi ai linfonodi cervicali e le metastasi a distanza (27). Per quanto riguarda le complicanze post-operatorie, l’ipoparatiroidismo permanente è presente nelle varie casistiche in una percentuale variabile dallo 0 al 21 %, la paralisi del nervo ricorrente dallo 0 al 17 %. IL CDT, se correttamente trattato, è tra le neoplasia dell’età pediatrica con i migliori tassi di sopravvivenza (28-30). Recenti dati indicano in Europa una sopravvivenza a 5 anni quasi del 100% senza differenze significative tra le varie aree geografiche (Tabella 4). (da Gatta et al, Eur J Cancer 39: 2600, 2003). Paese Regno Unito Centro-sud Europa Nord Europa Est Europa N. 221 215 211 63 Sopravvivenza (%) 99.1 99.1 98.5 96.8 Emitiroidectomia Gli argomenti che inducono una minoranza di chirurghi (22) ad eseguire, in pazienti selezionati, una chirurgia meno estesa sono legati al fatto che nei bambini e negli adolescenti: 1) il CDT è una malattia autonoma con un decorso clinico differente da quello osservato negli adulti (23); 2) la mortalità per CDT è nettamente migliore rispetto a quella degli adulti, anche se questi ultimi presentano, al momento della diagnosi, una minore incidenza di metastasi linfonodali e polmonari (24); 3) la presenza di multifolalità microscopica è quasi la regola e non influenza la sopravvivenza; Bibliografia 4) la presenza di invasione vascolare, riportata in 1/3 dei pazienti non influenza la sopravvivenza; 1. Berstain L, Gurney JG. Carcinoma and othermalignant epithelial neoplasms. ICCC XI. Pediatric monograph, NCI SEER 2001 2. 5) la possibilità di differenziazione nel tempo di componente eventualmente presente come microfocolai residui è molto remota; Baverstock K, Egloff B, Pinchera A. Thyroid cancer after chernobyl. Nature 1992; 359:21-22 3. 6) le procedure chirurgiche estese, specialmente se applicate a pazienti di età uguale o inferiore a 16 anni sono correlate con un incremento di morbilità iatrogena (ipoparatiroidismo e lesione del nervo ricorrente) (25). Nikiforov YE. Distinct pattern of ret oncogene arrangement in morphological variants of radiation-induced and sporadic thyroid papillary carcinomas in children. Cancer Res 1997; 57:1690-1694 4. Sugg L. Distinct multiple ret/ptc gene rearrangement in multifocal papillary thyroid neoplasia. J Clin Endocrinol Metab 2001; 83:4116-4122 BOX 2 - Spunti per la ricerca • Definire le basi genetiche del carcinoma differenziato della tiroide (CDT) • Individuare markers precoci della malattia. • Realizzare studi prospettici su ampie casistiche per definire linee guida omogenee ed efficaci di trattamento. • Valutare l’outcome su ampie casistiche relativamente a sopravvivenza a lungo termine, recidive e complicanze in rapporto all’estensione del CDT alla diagnosi e al tipo di trattamento. 28 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Carcinoma differenziato della tiroide nell’adolescente: attualità e prospettive Volume 2, n. 3, 2004 5. Haveman JW, Karin M et al. Surgical experience in children with differentiated thiroyd carcinoma. Ann Surg Oncol 2003; 10:15-20 6. La Quaglia MP. Differentiated thyroid cancer: clinical characteristics, treatment, and outcome in patients under 21 years of age who present with distant metastasys. J Ped Surg 2000; 35:955-959 7. Hung W. 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Surgery 1988; 104:1157-1166 Prof. Claudio Spinelli Cattedra di Chirurgia Pediatrica e Infantile Ospedale Santa Chiara, Via Roma 67 - 56125 Pisa, Italy E-mail: [email protected] 29 Follow-up longitudinale del trattamento dietetico dell’obesità in età evolutiva: comparazione dei risultati negli adolescenti rispetto ai bambini Laura Galli, Silvano Bertelloni, Giampiero I. Baroncelli, Mara Ferrari, Giuseppe Saggese Dipartimento di Pediatria, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, Pisa Introduzione maschi, 38 femmine, età media 7.9 ± 1.9 anni). Tutti i soggetti risultavano affetti da obesità essenziale [body mass index (BMI) > 2 DS]; l’esame obiettivo ed eventuali indagini di laboratorio sono risultati negativi per patologie genetiche o endocrine; nessun paziente aveva assunto farmaci in grado di determinare un aumento di peso negli ultimi 6 mesi prima dello studio. Il consenso informato è stato ottenuto dai genitori di ciascun paziente. Tutti i soggetti sono stati sottoposti a una dieta ipocalorica bilanciata (carboidrati 60-65%, di cui carboidrati semplici < 10% calorie totali; proteine 10-15%; lipidi < 30%, di cui acidi grassi saturi < 1/3 del totale, colesterolo < 100 mg ogni 1000 kcal; fibre 10-12 gr ogni 1000 kcal). L’apporto calorico consigliato è stato calcolato facendo riferimento ad una riduzione del 30% dell’apporto energetico raccomandato per il peso ideale per età e sesso (11). I pazienti sono stati poi valutati periodicamente per quanto riguarda: peso, altezza, BMI e BMI Z score e adeguamento del regime dietetico. Statura e peso sono stati misurati rispettivamente con uno statimetro fissato a parete (Harpenden) e con una bilancia clinica standard. I valori di BMI [peso (kg)/altezza (m2)] sono stati espressi come valore assoluto e come Z score utilizzando la formula: valore individuale – valore medio normale per età e sesso/DS della media normale, utilizzando i valori di riferimento elaborati da Karlberg et al. (12). Un valore di BMI > 2 DS è stato considerato indice di obesità. I risultati sono stati espressi come media ± DS. La comparazione del BMI, BMI Z score, peso ed altezza durante il follow-up L’obesità rappresenta il principale problema nutrizionale nelle società occidentali (1, 2). Diversi studi hanno dimostrato un aumento della sua prevalenza unitamente a una maggiore incidenza delle complicanze, sia di tipo medico che psicologico, già in età pediatrica (1-4). L’obesità infantile, inoltre, tende a persistere in età adulta, rappresentando un importante fattore di rischio per malattie metabolico-degenerative (2-6). In particolare, la prevalenza di obesità è maggiore in età adolescenziale e tende persistere in età adulta con una più alta frequenza rispetto a quella del soggetto prepubere (7, 8). La terapia dell’obesità risulta ancora controversa; i vari approcci disponibili (terapia dietetica, comportamentale, chirurgica e farmacologica) hanno dato risultati contrastanti anche in età adulta (9, 10). In età pediatrica, le possibilità terapeutiche sono limitate dalla mancata indicazione all’uso di terapie farmacologiche e/o chirurgiche (1). Lo scopo del presente studio è stato quello di valutare l’efficacia della terapia dietetica a breve e a medio termine sull’eccesso ponderale, comparando i risultati ottenuti in un gruppo di adolescenti rispetto a quelli rilevati in soggetti prepuberi. Pazienti e Metodi Sono stati valutati 125 adolescenti (51 maschi e 74 femmine, età media 12.4 ± 1.7 anni) e un gruppo di 82 bambini (44 Tabella 1. Valori di BMI e BMI Z score all’inizio dello studio e durante il follow-up a 3 e 12 mesi. Maschi BMI Femmine BMI Z score BMI Visite Prepuberi Puberi Prepuberi Puberi I 27.8 ± 6 29.2 ± 4.6 9.4 ± 5.5 6.6 ± 2.9§ II 28.5 ± 7.8 29.2 ± 4.8 9.5 ± 5.2 6.3 ± 2.9** 24.5 ± 3.7° 24.9 ± 3.6* ^ 30.5 ± 3.5 7.3 ± 2.7° 6.5 ± 3.2 26.3 ± 3.4* V Prepuberi BMI Z score Puberi Prepuberi Puberi 6.4 ± 3.2°° 6.6 ± 2.9 29.1 ± 6.4 6.4 ± 2.7 5.8 ± 2.8 27.5 ± 3.7 6.9 ± 2.4 5.3 ± 2.6 24.5 ± 4.4§§ ° 28.2 ± 5.9 §§p < 0.002 vs puberi femmine 1° visita; °p < 0,01 vs prepuberi maschi, vs puberi femmine, vs prepuberi maschi 1° visita; °°p < 0.05 e§ p < 0.02 vs prepuberi maschi 1° visita; *p < 0.05 vs prepuberi maschi 1° visita; ^p < 0.0001 vs puberi maschi 5° visita; **p < 0.0005 vs prepuberi maschi 2a visita 31 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 è stata effettuata con il test t di Student per i dati appaiati. I dati tra i due gruppi sono stati comparati con il test “t” per dati non appaiati. Follow-up a medio termine (12 mesi) A 12 mesi di follow-up, i prepuberi maschi (n = 29) hanno mostrato una significativa riduzione dei valori di BMI e BMI Z score (Tabella 1). Nelle femmine prepuberi (n = 28) è stato invece rilevato un incremento del valore di BMI ma non di quello del BMI Z score (Tabella 1). Negli adolescenti sia maschi (n = 36) che femmine (n = 58) non si sono avute variazioni significative nè del BMI che del BMI Z score (Tabella 1). I valori di BMI delle prepuberi e puberi femmine sono risultati non significativamente differenti, mentre i valori di BMI Z score sono risultati significativamente ridotti nelle adolescenti rispetto alle bambine prepuberi (Figura 1). I valori di BMI dei prepuberi maschi sono risultati significativamente ridotti, mentre i valori di BMI Z score sono risultati simili nei due gruppi (Figura 2). Risultati Le caratteristiche dei due gruppi di pazienti all’inizio dello studio sono riportate in Tabella 1. Nei bambini prepuberi sono stati rilevati valori di BMI e BMI Z score statisticamente maggiori nei maschi rispetto alle femmine (Tabella 1). Negli adolescenti non sono state rilevate differenze statisticamente significative per quanto riguarda il BMI e BMI Z score (Tabella 1). I valori di BMI dei gruppi prepuberi e puberi maschi comparati tra loro sono risultati non statisticamente significativi, mentre la significatività era presente per i valori di BMI Z score. Nelle femmine prepuberi e puberi i valori di BMI comparati tra loro sono risultati statisticamente significativi; tale significatività non è risultata presente per i valori di BMI Z score (Tabella 1). Drop-out a breve e medio termine A breve termine il drop-out complessivo è stato del 6.8% senza differenze tra femmine (7.1%) e maschi (6.3%). A medio termine il drop-out è risultato del 27%, con una percentuale significativamente maggiore nei maschi (31,6%) rispetto alle femmine (23.2%, p < 0.05). Analizzando i valori di drop-out in base al gruppo di appartenenza è emerso che a breve termine il gruppo degli adolescenti è stato quello con drop-out maggiore rispetto ai pazienti prepuberi (Tabella 2). A medio termine i prepuberi e gli adolescenti maschi hanno mostrato la maggior percentuale di drop-out, senza differenze significative tra loro. Le adolescenti femmine hanno avuto il valore più basso di drop-out (Tabella 2). Follow-up a breve termine (3 mesi) Dopo tre mesi dall’inizio del trattamento dietetico, nei prepuberi maschi (n = 42) e femmine (n = 36) i valori medi di BMI e BMI Z score sono risultati non significativamente differenti rispetto a quelli osservati alla 1° visita (Tabella 1). In ambedue i gruppi di adolescenti (Tabella 1) (maschi n = 47; femmine n = 68) i valori di BMI e BMI Z score hanno mostrato un comportamento analogo a quello osservato nei prepuberi, infatti tali valori sono risultati non significativamente differenti (p = NS) rispetto a quelli osservati all’inizio dello studio (Tabella 1). I valori di BMI dei gruppi prepuberi e puberi femmine comparati tra loro sono risultati significativamente differenti; tale significatività non è risultata presente per i valori di BMI Z score (Figura 1). I valori di BMI dei gruppi dei prepuberi e puberi maschi comparati tra loro sono risultati non significativamente differenti, mentre sono risultati significativamente differenti i valori di BMI Z score (Figura 2). 38 34 30 26 22 18 ## 1° ^ 2° I risultati di questo studio non hanno messo in evidenza alcun incremento dell’eccesso ponderale durante il trattamento dietetico in tutti i gruppi esaminati (1, 13, 14). Tale rilievo può essere considerato un risultato parzialmente positivo, in BMI Z score BMI Prepuberi Discussione Adolescenti ^ 3° 4° 5° Prepuberi 12 10 12 8 4 2 0 Adolescenti ^ 1° 2° 3° Visite Visite 32 ^ 4° ^ 5° Figura 1. A sinistra andamento del BMI nelle femmine prepuberi ed adolescenti: ## p < 0.001, ^p < 0.01 vs adolescenti. A destra andamento del BMI Z score: ^p < 0.01 vs adolescenti. Follow-up longitudinale del trattamento dietetico dell’obesità in età evolutiva Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Prepuberi BMI Figura 2. A sinistra andamento del BMI nei maschi prepuberi ed adolescenti: * p < 0.02, **p < 0.0001 vs adolescenti. A destra andamento del BMI Z score: # p < 0.002, °p < 0.0005, ^ p < 0.01, **p < 0.0001 vs adolescenti. 38 34 30 26 22 18 Adolescenti ** * 1° 2° 3° 4° 5° BMI Z score Volume 2, n. 3, 2004 Prepuberi 20 16 12 8 4 0 # 1° Visite Adolescenti ^ ° 2° ** 3° 4° 5° Visite prepubere (1, 3). D’altra parte, come emerge dal mancato conseguimento di analoghi risultati da parte del gruppo delle femmine, il controllo dei genitori non può essere considerato l’unico fattore coinvolto nell’efficacia del trattamento dietetico (7). Tale risultato potrebbe essere anche riconducibile alla diversa tendenza all’accumulo di tessuto adiposo nei due sessi nel periodo prepuberale (16, 17). Nelle bambine si è osservato un aumento del BMI a 12 mesi di follow-up, ma non del BMI Z score, sottolineando l’importanza di un corretto uso degli indici antropometrici nella valutazione dell’obesità in età evolutiva (16), anche tenendo in considerazione il fatto che il BMI aumenta con l’età. Tale valore presenta infatti un fisiologico incremento nelle bambine tra 9 e 10 anni da mettere in relazione alle variazioni della composizione corporea associate con il pattern crescita. (16). Tuttavia, la presenza di valori di BMI Z score significativamente differenti tra femmine prepuberi e puberi al termine del periodo di follow-up è un indice del fatto che che nelle bambine vi è stato un reale aumento dell’adiposità. Nei maschi prepuberi, la significativa riduzione dei valori di BMI a medio termine è espressione di un reale calo ponderale, poiché le variazioni dei valori di BMI in tale fascia di età sono indipendenti dalla statura (16). I differenti risultati ottenuti con un analogo regime dietetico nei quanto nei soggetti obesi non trattati si ha spesso un ulteriore incremento di peso nel tempo (15). Analizzando i risultati nei singoli gruppi di pazienti, è emerso che negli adolescenti non sono state registrate variazioni statisticamente significative né del BMI né del BMI Z score sia a breve che a medio termine. Tuttavia, in ambedue i sessi era presente una tendenza alla riduzione dei valori di BMI Z score nel follow-up a medio termine, suggerendo la necessità di più lunghi periodi di osservazione per giudicare l’efficacia del trattamento. Infatti, l’acquisizione di un più corretto comportamento alimentare e la stabilizzazione del BMI potrebbero portare ad una successiva riduzione dell'eccesso ponderale, anche sfruttando l’incremento di crescita lineare dei soggetti in età puberale (9). Purtroppo, non sono disponibili dati relativi ad un gruppo di controllo ne quelli dei soggetti in drop-out, che potrebbero aver messo in evidenza un diverso comportamento del BMI nei soggetti con minore aderenza al programma dietetico. Per quanto riguarda i bambini, solo nel gruppo dei maschi prepuberi si è ottenuta una costante e significativa riduzione sia dei valori di BMI che di BMI Z score. Tale rilievo suggerisce che la terapia dietetica potrebbe essere maggiormente efficace nei periodi della vita in cui il soggetto obeso è sotto un più stretto controllo da parte della famiglia anche per quanto riguarda il comportamento alimentare, come nell'età Tabella 2. Drop-out a breve e medio termine 1° visita (n) 3 mesi (n) Drop out 12 mesi (n) Drop out Prepuberi maschi 44 42 4,5% 29 34,1% Prepuberi femmine 38 36 5,3% 28 26,3% Puberi maschi 51 47 7,8% 36 29,4% Puberi femmine 74 68 8,1% 58 21,6% 33 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 La crescente prevalenza dell’obesità in età evolutiva e le sue note conseguenze sulla salute della popolazione rendono urgente la ricerca di programmi terapeutici efficaci. La sanità mondiale non può arrendersi all’assenza di terapie fattibili ed efficaci, denunciate da tutta la letteratura scientifica. Pertanto mi sembrano degni di grande interesse scientifico i pochi lavori, come questo, che prendono in esame questo tema, anche se limitati dall’elevato drop out e dalla difficoltà di ottenere un follow-up adeguato (5-10 anni) ed un gruppo di controllo. Con queste limitazioni a tutti note, il lavoro della scuola pediatrica Pisana è molto interessante perché sottolinea la possibilità di raggiungere, ma anche le difficoltà di accettare, i piccoli risultati (1) possibili nella cura dell’obesità. In età evolutiva, in cui l’eccesso ponderale muove i suoi primi passi ed evolve, oggi sempre più spesso, verso l’obesità morbigena, tale terapia di “mantenimento” dovrebbe ricevere un maggior credito. La nostra popolazione oggi è per lo più bene informata sui consigli per un corretto stile di vita alimentare e motorio, ma confusa dai messaggi contraddittori provenienti da un ambiente “tossico”(2). Un intervento dietetico non “direttivo” associato ad una sana attività motoria con un maggior coinvolgimento attivo del paziente e della sua famiglia nell’autogestione delle scelte piacevoli e sane “per la vita” potrebbe forse migliorare l’approccio terapeutico al soggetto in età evolutiva. Rita Tanas U.O. Pediatria ed Adolescentologia Arcispedale S. Anna, Ferrara Bibliografia 1. Müller MJ, Mast M, Asbeck I, Langnäse K, Grund A. Prevention of obesity. Is it possible? Obesity Reviews 2001; 2:15-28 2. Ebbeling CB, Dorota BP, Ludwig DS. Childhood obesity: public-health crisis, common sense cure. Lancet 2002; 360: 473-482 livello, dedicato al controllo dell’eccesso ponderale in età evolutiva. Questo, permettendo ai soggetti sottoposti al trattamento dietetico di entrare in contatto con ragazzi affetti dalla medesima condizione, può aver evitato forme di disagio ai pazienti ed innescato fenomeni di emulazione verso comportamenti alimentari più corretti. I due gruppi femminili sono stati quelli con minore drop-out, probabilmente in conseguenza di un differente impatto psicologico del problema obesità nei due sessi che ha determinato una maggiore adesione al programma di trattamento in quello femminile (20). Le motivazioni psicologiche alla riduzione di peso sembrano essere particolarmente importanti in età adolescenziale, come indicato dal valore più basso in assoluto di drop-out in questa fascia di età. bambini e negli adolescenti potrebbero inoltre essere dovuti ad un background culturale o ad un assetto genetico diversi tra le famiglie dei due gruppi (7, 18, 19); tuttavia, questi aspetti non sono stati indagati in questo studio. La mancata riduzione di peso negli adolescenti ribadisce la difficoltà del trattamento dell’obesità in questa fascia di età. L’adolescente, anche se più attento al problema della propria immagine corporea (18, 20), ha spesso una ridotta compliance con il trattamento dietetico, poichè ricerca una terapia che gli permetta di perdere peso in poco tempo e senza sacrificio (18, 21, 22). Inoltre, un adolescente obeso può essere in tale condizione già dalla pre-adolescenza (21, 23), per cui l’intervento terapeutico inizia in ritardo e su una condizione ormai “inveterata” che riduce la possibilità di successo. Nell’adolescente obeso si ha inoltre un aumento maggiore, rispetto a quanto avviene nel soggetto normopeso, del volume e soprattutto del numero delle cellule adipose (23). La terapia dietetica può portare a una riduzione del loro volume ma non del loro numero (23). La riduzione dell’eccesso ponderale potrebbe anche essere percepita dal sistema nervoso centrale come un depauperamento delle riserve energetiche e quindi orientare in modo erroneo il controllo dei comportamenti alimentari e dell’efficienza energetica per cercare di mantenere lo “steady state” precedentemente raggiunto (17, 18). In questo studio, è stato rilevato un drop out a breve e medio termine minore di quanto riportato in letteratura (13, 24). Questo risultato potrebbe essere dipeso dall'inserimento dei pazienti in un programma di follow-up piuttosto ravvicinato, dal coinvolgimento dei genitori e dei ragazzi nel programma dietetico e dall’afferenza ad un ambulatorio specializzato di 3° Conclusioni I dati di questo studio confermano che il solo intervento dietetico è scarsamente efficace in un programma di riduzione ponderale a breve e medio termine nell’adolescente. Tale approccio sembra dare migliori risultati nei soggetti in età prepubere, in particolare in quelli di sesso maschile. Si deve, inoltre, sottolineare l’importanza dell’uso di indici di adiposità appropriati per l’età evolutiva nell’interpretazione corretta dei risultati ottenuti in un programma di riduzione ponderale. Nella riduzione ponderale del soggetto obeso sono probabilmente coinvolti non solo fattori nutrizionali, spiegandosi così la scarsa efficacia del trattamento in alcuni gruppi di pazienti, nonostante l’adesione al programma di follow-up (25-27). 34 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Follow-up longitudinale del trattamento dietetico dell’obesità in età evolutiva Volume 2, n. 3, 2004 Bibliografia 1. Iughetti L, Beccaria L, Brambilla P, De Simone M, Maffeis C, Salvatoni A, Seminara S. Obesità. In: Bernasconi S, Iughetti L, Ghizzoni L, editors. Endocrinologia Pediatrica., Milano: Mc Graw-Hill Libri Italia; 2001, p.263-293 2. 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Clin Pediatr Nord Am 1977; 10: 138-150 Divisione di Pediatria II, Dipartimento di Medicina della Procreazione e dell’Età Evolutiva, Università di Pisa, Ospedale Santa Chiara Via Roma, 67 - 56125 Pisa E-mail: [email protected] 19. De Sanctis V. Accrescimento e problematiche auxo-endocrinologiche. In: De Sanctis V. editors. Manuale di Adolescentologia. Pisa: Pacini editore Medicina; 2002, p.64-69 35 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 La prevenzione del tabagismo: risultati di uno studio controllato randomizzato in adolescenti scolarizzati di Cassino Giuseppe La Torre*, Claudia Moretti***, Daniele Capitanio**, Maria Teresa Alonzi**, Maria Ferrara**, Adele Gentile**, Alice Mannocci*, Giovanni Capelli** *Laboratorio di Epidemiologia e Biostatistica, Istituto di Igiene, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma; **Cattedra di Igiene, Università degli Studi di Cassino; ***Liceo Scientifico “Pellecchia”, Cassino (FR) Introduzione comincia a fumare, corrispondente alla frequenza delle scuole medie superiori, e le motivazioni per l'avvio al tabagismo riscontrate in letteratura confermano il modello etiologico basato sulle pressioni psicologiche ed ambientali, in particolare da parte dei genitori e dei coetanei e l’importanza della pubblicità nell'indurre e nel perpetuare l'abitudine al fumo di tabacco (2-5). E' pertanto evidente che l'approccio preventivo più efficace deve essere condotto precocemente, deve porre particolare attenzione alle esigenze dei soggetti di sesso femminile, ma non deve essere basato, come spesso succede, solo sulla informazione, bensì sullo sviluppo e rafforzamento delle capacità di resistenza alle pressioni sociali che spingono a fumare. Sul periodo in cui poter realizzare questo tipo di intervento, alcuni Autori sostengono l'importanza di avviarli sin dai primi anni di scolarizzazione. Gli studi condotti sulla valutazione delle esperienze di prevenzione realizzate riguardano, comunque, quasi esclusivamente le fasce di età adolescenziali e giovanili (4, 6-8). Al fine di verificare l’efficacia di un programma di educazione alla salute per prevenire il tabagismo negli studenti delle scuole medie superiori, è stato condotto uno studio rando- Ogni giorno si stima che nel mondo il fumo uccida 8000 persone e sia causa dell' 80-90% delle malattie respiratorie croniche, dell' 80-90% dei cancri del polmone e del 43% delle malattie coronariche. Il tabagismo può essere attualmente considerata la prima causa evitabile di malattia e morte, rappresenta attualmente la più diffusa abitudine voluttuaria nei giovani del nostro Paese, così come in tutte le nazioni occidentali. Secondo una recente indagine campionaria (DOXA 2004), basata su 3050 interviste personali ad un campione rappresentativo della popolazione italiana adulta di 15 anni ed oltre, il 26.2% degli italiani dichiara di essere fumatore (il 30.0% dei maschi e il 22.5% delle femmine (1). Fra i giovani di 15-24 anni i fumatori correnti sono il 32.9% dei maschi ed il 26.7% delle femmine. Tali valori aumentano rispettivamente a 38.7% e 30.5% nella fascia d’età che va dai 25 ai 44 anni (1). Mediamente l’età in cui si inizia a fumare risulta essere di poco superiore ai 17 anni, con il 20.7% prima dei 15 anni, il 40.9% tra i 15 ed i 17 anni. I maschi si avvicinano al fumo un po’ prima rispetto alle femmine (16,8 anni l’età media di accesso al fumo degli uomini, contro i 18.2 delle donne). Un’efficace lotta all’abitudine al fumo può essere basata su tre direttrici: 1) il divieto della pubblicità, diretta ed indiretta; 2) il divieto di fumare in locali pubblici; 3) l’educazione alla salute. Quest’ultimo punto è stato nel nostro Paese scarsamente programmato ed attuato sia a livello centrale (Ministero della Sanità) che periferico (Regioni e ASL), lasciando all’iniziativa sporadica dei singoli individui o delle Associazioni il compito di affrontare un tema così complesso ed articolato. La fascia di età in cui la maggioranza dei giovani 36 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Prevenzione del tabagismo Volume 2, n. 3, 2004 I Anno a.s.1998-1999 Questionario somministrato nel febbraio 1999 9 classi del Liceo Scientifico 6 classi del Liceo Classico di Cassino (FR) N = 308 Studenti partecipanti all’intervento educativo N = 162 (52.6%) Randomizzazione Studenti non partecipanti all’intervento educativo N = 146 (47.4%) II Anno a.s. 1999-2000 Persi alla fine del Trial N=2 Persi alla fine del Trial N=2 Studenti nel gruppo di partecipanti all’intervento N = 160 (52.6%) Studenti nel gruppo di controllo N = 144 (47.4%) Questionario somministrato tra settembre e dicembre 1999 III Anno a.s.2000-2001 Studenti nel gruppo di controllo N = 144 (47.4%) Studenti nel gruppo di partecipanti all’intervento N = 160 (52.6%) Figura 1. Schema della randomizzazione. Questionario somministrato nel febbraio 2001 mizzato controllato nei Licei Classico e Scientifico della città di Cassino (Frosinone). bitudine al fumo in 15 classi del primo anno dei suddetti istituti superiori della città di Cassino (9 dello Scientifico e 6 del Classico), selezionate con estrazione random, un questionario anonimo per la valutazione della prevalenza dell'abitudine al fumo di tabacco. Il questionario, già validato in precedenti indagini (9) conteneva informazioni di carattere socio-demografico riguardanti lo studente ed i propri familiari, le abitudini e le attitudini nei confronti del tabagismo ed il fumo passivo. Fra i mesi di settembre e di dicembre 1999 (anno scolastico 1999-2000, II anno), quindi, è stato somministrato nuovamente il Materiali e Metodi Disegno dello studio e setting Il disegno relativo alla randomizzazione ed alla distribuzione delle classi nel trial randomizzato viene presentato nella Figura 1. Nel mese di Febbraio 1999 (anno I), è stato somministrato, prima dell'effettuazione di un intervento educativo sulla prevenzione dell'a- 37 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 Tabella 1. Classificazione e principali criteri diagnostici dei disturbi dell’alimentazione (1, 3, 7). Fumatori (%) Non fumatori (%) Ex fumatori (%) Totale Prevalenza inizio studio 17 (10.4) 135 (83.1) 10 (6.5) 162 Prevalenza a distanza di 6-9 mesi 25 (15.6) 134 (83.8) 1 (0.6) 160 Prevalenza a distanza di 24 mesi 41 (25.6) 113 (70.6) 6 (3.8) 160 Prevalenza inizio studio 16 (10.8) 119 (81.5) 11 (7,7) 146 Prevalenza a distanza di 6-9 mesi 27 (18.8) 116 (80.6) 1 (0.7) 144 Prevalenza a distanza di 24 mesi 40 (27.8) 96 (66.7) 8 (5.6) 144 Intervento educativo Gruppo di controllo questionario per valutare i cambiamenti nella prevalenza dell'abitudine al fumo negli studenti. Lo stesso questionario, infine, è stato somministrato agli studenti partecipanti a 2 anni di distanza dall’intervento educativo (anno scolastico 2000-2001, III anno). Attraverso la collaborazione degli insegnanti referenti per l’educazione alla salute degli istituti coinvolti è stato possibile seguire longitudinalmente la carriera degli studenti, recuperando i nominativi di coloro che non erano presenti nella classe di partenza (per una bocciatura nel corso degli anni, o per un cambio di sezione). con garbo e fermezza, l'offerta della sigaretta da parte del gruppo dei pari nell'ambito del gruppo e della capacità di conversazione per saper sostenere adeguatamente le proprie posizioni di rifiuto. Analisi statistica E' stata quindi condotta un'analisi di regressione logistica multipla per valutare l'influenza sullo status di fumatore di sigaretta dei fattori socio-demografici (età, sesso, livello educativo dei genitori) dei partecipanti e dell’abitudine fumatoria dei loro genitori. L’analisi statistica multivariata, eseguita con pacchetto statistico SPSS, ha previsto l’impiego della tecnica stepwise (metodo backward elimination), secondo la procedura descritta dal Hosmer e Lemeshow (1991). Per valutare l’efficacia dell’intervento educativo sono stati calcolati le percentuali di eventi (status di fumatore) nel gruppo randomizzato all’intervento educativo (experimental event rate, EER), e nel gruppo di controllo (control event rate, CER), la riduzione del rischio assoluto (absolute risk reduction, ARR), la riduzione del rischio relativo (relative risk reduction, RRR), ed il numero di persone da sottoporre all’intervento per prevenire un evento (NNT = 1/ARR). Intervento Nelle classi in cui si è svolta l'attività educativa sono stati effettuati tre incontri sulle seguenti tematiche: a) informazione sui rischi del fumo di tabacco; b) analisi dei meccanismi che spingono adolescenti ed adulti a fumare; c) approfondimento e sperimentazione pratica di tecniche per resistere alle pressioni sociali che inducono gli adolescenti a fumare. Gli interventi sono stati condotti da un’équipe multidisciplinare costituita da un medico specialista in igiene e medicina preventiva, da uno psicologo e da un assistente sociale. In particolar modo, negli incontri con gli studenti sono stati enfatizzati soprattutto gli effetti a breve termine, piuttosto che a lungo termine, dell'abitudine al fumo. In sede di discussione e di dibattito sono state fornite una serie di informazioni tese a smitizzare e correggere i luoghi comuni associati spesso al consumo del fumo di tabacco. Le problematiche psico-sociali (fra cui lo stress relazionale nell'ambito del gruppo dei pari e della famiglia), che influenzano e perpetuano l'atteggiamento verso il tabacco, sono state al centro dell'attenzione degli incontri. L'intervento, attraverso anche la partecipazione diretta ed attiva da parte degli studenti in attività di drammatizzazione in classe, ha riguardato lo sviluppo dell'abilità dei singoli a saper rifiutare, Risultati Hanno aderito alle attività del primo anno (anno scolastico 19981999) 308 studenti, distribuiti in due gruppi: il primo costituito da 162 (52.6%) studenti appartenenti alle classi partecipanti all’intervento educativo, il secondo formato da 146 individui che non hanno seguito l’iniziativa (gruppo di controllo). Nell’anno successivo si sono registrati 2 persi per ciascun gruppo: il gruppo randomizzato all’intervento prevedeva 160 alunni (52.6%), il gruppo di controllo con 144 (47.4%) studenti. Nel terzo anno hanno partecipato gli stessi studenti del secondo anno. In Tabella 1 viene presentata la prevalenza dell'abitudine al fumo negli studenti nelle classi randomizzate prima dell'intervento 38 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Prevenzione del tabagismo Volume 2, n. 3, 2004 Tabella 2. Calcoli sull’efficacia dell’intervento educativo Periodo EER CER ARR RRR NNT II anno 5.2 8 2.8 35% 35 III anno 15.2 17 1.8 10.6% 56 Discussione educativo, ed a distanza di 6-9 mesi e 24 mesi da questo. Come si può osservare, la prevalenza dei fumatori nei due gruppi è sostanzialmente sovrapponibile all’inizio dello studio (10.4% nel gruppo randomizzato all’intervento educativo e 10.8% nel gruppo di controllo), mentre dopo 6-9 mesi e 24 mesi dall’intervento, nel gruppo di studenti selezionati per l'intervento educativo la prevalenza dei fumatori è di 15.6% e 25.6%, mentre nel gruppo di controllo il tabagismo è presente nel 18.8% e 27.8% dei partecipanti. Per entrambi i gruppi vi è una diminuzione percentuale dello status di non fumatore: nel gruppo dei controlli si passa dall’ 80.6% a 6-9 mesi al 66.7% a distanza di 24 mesi; nel gruppo randomizzato all’intervento di prevenzione al tabagismo si passa dall’83,8% al 70.6%, dopo due anni dalla fine dell’intervento. Evidente per tutti e due i gruppi è l’aumento della prevalenza della condizione di ex-fumatori, risulta maggiore nel gruppo di controllo. Dall'analisi di regressione logistica relativamente al primo anno emerge che gli studenti fumatori hanno a loro volta il padre che fuma con una probabilità di gran lunga maggiore rispetto agli studenti non fumatori (OR = 10.37; IC 95% = 2.18 – 22.98). Nel terzo anno le variabili che sono associate significativamente all’abitudine al fumo degli studenti sono l’istruzione materna (OR = 2.31 per i figli di donne laureate; IC 95% = 1.15 – 6.88), il gruppo di età (OR = 2.11 per gli ultradiciassettenni nei confronti dei più giovani; IC 95% = 1.02 – 4.75), e lo status di fumatore del padre (OR = 1.51; IC 95% = 1.03 – 3.24). In Tabella 2 vengono riportati i calcoli relativi all’efficacia dell’intervento educativo, valutata a 6-9 mesi di distanza (II anno), e a 24 mesi di distanza (III anno). È possibile osservare che nel II anno la riduzione relativa del rischio (RRR) di essere fumatori per coloro che hanno partecipato all’intervento è pari al 35%, mentre per III anno tale riduzione si attesta al 10.6%. Un interessante indice per valutare l’efficacia dell’intervento è fornito dall’NNT (numero necessario di persone da sottoporre all’intervento per avere un evento favorevole, in questo caso 1 persona non fumatrice). Nel II anno il valore dell’NNT è 35 e nel III anno diventa 56. Ciò significa che è necessario sottoporre all’intervento educativo 35-56 persone (equivalenti a 1-2 classi di scuola) per ottenere che una persona rimanga non fumatrice. In conclusione, l'intervento condotto sembra efficace nel tenere basso lo status di fumatore, mentre non risulta particolarmente utile come strumento per far smettere di fumare gli adolescenti che hanno già cominciato l’abitudine. L’intervento educativo di prevenzione dell’abitudine al fumo di tabacco, condotto nei licei Classico e Scientifico di Cassino, basato in particolar modo sugli aspetti cognitivo-comportamentali, è risultato efficace nel mantenere inferiore, nel gruppo di intervento rispetto al gruppo di controllo, la percentuale dei fumatori, sia a medio termine che a lungo termine. Purtuttavia, a distanza di 24 mesi dall’intervento la riduzione relativa del rischio di fumare è pari al 10%, rispetto al 35% raggiunto a breve termine (RRR Tab.2). Ciò sottolinea la necessità di rinforzare l’intervento iniziale con dei richiami a distanza, e con l’attivo coinvolgimento degli studenti in attività di prevenzione, al fine di poter consolidare gli effetti preventivi raggiunti a seguito dell’intervento. Particolarmente significative al proposito sono le esperienze realizzate nell’ambito delle campagne educative “Scuola senza fumo” e “Ospedali senza fumo”, che prevedono l’interazione costante fra gli educatori e gli utenti, che in maniera sistematica prendono parte ad iniziative per la difesa dal fumo passivo, per il rispetto dei diritti dei non fumatori, e per lo sviluppo di un mondo “smoke-free”. Il coinvolgimento dei mass media può risultare determinante, così come dimostrato dalla scelta per il 2003 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di puntare allo sviluppo della cultura dei film senza fumo. Studi recenti sostengono che la sinergia tra prevenzione e interventi legislativi-regolatori sia fondamentale, attraverso campagne informative aggressive, costituzione di comunità di intervento, cambiamenti nell’ambiente sociale, incremento del prezzo delle sigarette (10). Inoltre si è evidenziato che ragazzi con basso livello educativo, sottoposti ad un intervento di prevenzione del tabagismo, tendono a non iniziare a fumare, e si sono osservati significativi incrementi della conoscenza del tabacco, ma non riguardo le attitudini al fumo (11-14). Sarebbe interessante prendere in considerazione altre tipologie di scuole, come le professionali, per cercare di capire se anche la tipologia di struttura possa influenzare significativa- 39 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 3, 2004 lescenti. Educazione sanitaria e promozione della salute 1999;22:29-35 mente le attività di prevenzione. È, inoltre, dimostrato che interventi non sistematici e di breve durata non portano ad una risoluzione duratura del problema (11, 15-17), palesando la necessità di programmare interventi addizionali che si protraggano durante gli anni scolastici, in maniera tale da permettere un più efficace messaggio e per mantenere l’effetto di un attività di prevenzione. 8. Hu FB, Hedeker D, Flay BR, Sussman S, Day LL, Siddiqui O. The Patterns and predictors of Smokeless Tobacco Onset Among Urban Public School Teenagers. Am J Prev Med 1996; 12:22-28 9. La Torre G, Langiano E, De Vito E, Soave G, Ricciardi G. Abitudine al fumo di tabacco negli studenti universitari: risultati di un'indagine campionaria sugli studenti di Cassino. Ig Mod 1998; 110:377-387 10. Lantz PM, Jacobson PD, Warner KE, et al. Investing in youth tabacco control : a review of smoking prevention and control strategies. Tob Control 2000; 9:47-63 Bibliografia 11. Crone MR, Reijneveld SA, Willemsen MC, et al. Prevention of smoking in adolescents with lower education: a school based intervention study. J Epidemiol Community Health 2003; 57:675-80 1. Istituto Superiore di Sanità. Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri. Lega Italiana per la Lotta contro il Tumore. Il fumo in Italia. Indagine Doxa 2004 12. Aveyard P, Markham WA, Almond J, et al. The risk of smoking in relation to engagement with a school-based smoking invention. Soc Sci Med 2003; 56:869-82 2. Amodio Cocchieri R, et al. Valutazione dell'esposizione al fumo passivo in un campione di popolazione infantile napoletana. Ig Mod 1990; 94:263 13. Winleby MA, Feighery E, Dunn M, et al. Effects of an advocacy invention to reduce smoking among teenagers. Arch Pediatr Adolesc Med 2004; 158:269-75 3. Bruce J, Va Teijlingen E. A review of the effectiveness of Smokebusters: community-based smoking prevention for young people. Health Educ Res 1999; 14:109-120 14. Heimann K.J. A school-based intervention program to prevent adolescent smoking. J Sch Nurs 2000; 16:22-7 4. Del Prete U, et al. L’abitudine al fumo degli studenti di Scuola Media superiore della Provincia di Catanzaro. Tecnica sanitaria 1991; 29:87-105 15. Porcellato L, Dugdill L, Springett J, Sanderson FH. Primary schoolchildrens' perceptions of smoking: implications for health education. Health Educ Res 1999; 14:71-83 5. Donato F, Monarca S, Coppini C, Olivetti A, Zanardini A, Tomasoni V, Nardi G. Risultati di un intervento di prevenzione dell'abuso di alcol e tabacco in una USSL della Lombardia. Epidemiol Prev 1996; 20: 24-30 16. Talamin R, et al. Indagine sulle abitudini e le opinioni nei confronti del fumo di sigaretta. Epidemiol Prev 1989; 38:35-40 6. Focarile F, Scaffino L. Risultati di uno studio controllato randomizzato sulla prevenzione dell'abitudine al fumo degli adolescenti. Epidemiol Prev 1994; 18:157-163 17. The COMMIT Research Group. Community Intervention Trial for Smoking Cessation (COMMIT): I. Cohort Results from a Four-Year Community Intervention. Am J Public Health 1995; 85:183-191 7. Graziosi G. Prevenzione al tabagismo: un intervento attuato tra gli ado- Corrispondenza: Dott. Giuseppe La Torre Laboratorio di Epidemiologia e Biostatistica, Istituto di Igiene, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma Largo F. Vito 1 – 00168 Roma E-mail: [email protected] 40 Come una mamma pediatra è diventata adolescentologa Antonietta Cervo Pediatra di famiglia Circa 12 anni fa la mia primogenita Annamaria aveva 10 anni. Fin dalla sua tenera età era stata sempre una ragazzina gioviale, affettuosa, ubbidiente, ordinata, diligente a scuola, con tanta gioia di vivere ed entusiasmo per la pratica degli sports e la danza; di buon appetito, soprattutto per i cibi saporiti. Era tutto quello che un genitore potesse desiderare da una figlia! Ma come se fosse caduta una bacchetta “magica” sulla sua testa, cominciò a cambiare personalità: diventò aggressiva e scostante con noi genitori. Si chiudeva in se stessa, spesso si isolava in camera, qualche volte piangeva e litigava con le amiche. Inoltre, cominciò ad avere problemi con l’alimentazione ed iniziò ad osservare una dieta rigida e poco calorica. Pretendeva che le cucinassi ogni giorno pesce ai ferri o bollito e verdure cotte o crude (questo andava bene!) senza olio. Abolì dalla dieta il latte e i derivati e tutte le carni, le uova, perché erano piene di grassi. Non accettava di assumere integratori alimentati, come il calcio e il ferro. Lasciò perfino la danza che era la sua passione. Avevamo avuto fino ad allora quasi sempre un buon rapporto basato sulla sincerità e stima reciproca. Da allora, per un bel po’ di tempo, cominciò a non “ubbidirmi”, a non seguire i miei consigli di mamma e pediatra e tutti i giorni erano lotte, discussioni per farle capire che stava seguendo una condotta sbagliata che le avrebbe portato conseguenze sullo stato di salute, in un periodo così delicato dell’accrescimento, e conseguenze psicologiche per la sua autostima ed i rapporti con i coetanei. Nonostante l’amore materno, con tutta la pazienza e la comprensione che mi ero imposta, ho immaginato che potesse trattarsi di un problema legato all’adolescenza, non riuscivo ad avere risultati positivi di cambiamento e non mi capacitavo che il percorso per diventare una persona adulta doveva passare attraverso tutte queste crisi. Allora cominciai a sentirmi impotente, come madre e come professionista, e a nulla mi servivano i confronti con le altre mamme che si trovavano nella mia stessa situazione. Cominciai a comprare libri, consultare riviste scientifiche dove si parlava di “Adolescenza”. Trovai che era nata la “SIMA” (Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza) a cui subito mi iscrissi e partecipai a tutti i congressi nazionali cominciando da quello di Modena presieduto dalla prof.ssa Teresa de Toni, partecipai alla Biennale sull’Adolescenza a Cagliari presieduta dal prof. Carlo Pintor. Tutto questo per avere un aiuto, per migliorare le mie conoscenze ed il rapporto di mamma con mia figlia. Durante tali convegni, sempre ricchi di argomenti interessanti che abbracciavano molte tematiche adolescenziali da quelle mediche a quelle psicologiche e sociali, mi convinsi di studiare sempre di più e di prendere in carico gli adolescenti del mio ambulatorio, di sensibilizzare le altre mamme, le istituzioni locali, i miei colleghi pediatri, di stare a fianco ai ragazzi con sacrificio e abnegazione per effettuare una buona prevenzione e trattamento delle problematiche adolescenziali. Cominciai a fare volontariato nelle scuole medie inferiori e superiori, mettendo a disposizione le conoscenze da poco acquisite. In questi 12 anni, grazie alla fiducia delle mamme e all’affetto dei miei piccoli assistiti, ora diventati adolescenti, mi sento utile, gratificata e consapevole di poter aiutare i genitori e i ragazzi. Grazie a questa cultura adolescentologica e a questa esperienza non ho avuto problemi con il mio secondogenito Michele, che ora ha 19 anni. Mia figlia Annamaria, che indirettamente ha motivato la mia scelta di diventare adolescentologa, oggi è una ragazza serena, soddisfatta, prossima alla laurea in psicologia. Sono una mamma felice ed una pediatra che oltre al suo lavoro quotidiano con 1100 assistiti, di cui solo 300 adolescenti, ha tanto entusiasmo di continuare a migliorare le conoscenze sulle tematiche della età adolescenziale e di metterle in pratica nell’ambulatorio e nel sociale. Un sincero ringraziamento ai componenti del CD della SIMA, che si sono succeduti negli ultimi 11 anni, ed ai numerosi Esperti che hanno diffuso la cultura adolescentologica nel nostro Paese. Grazie a loro ho potuto allargare i miei orizzonti e conoscenze a favore dei giovani. 41 “Perché la speranza non deve morire. Mai” Francesca Centro di Solidarietà Calabrese, Catanzaro Avevo perso tutto: la mia famiglia, la mia libertà, i miei genitori… Mio padre non voleva più vedermi, e neanche mia sorella, mentre mia madre….. Mia madre non c’era più, era morta da due anni; lei la mia unica sicurezza in una vita sballata, senza responsabilità, né certezze, né risposte, ma lei nei momenti più disperati mi teneva sempre la mano, lei mi confortava, mi aiutava, mi curava e mi riempiva d’amore, lei la persona più cara al mondo, se ne era andata ed io mi sentivo maledettamente sola, in crisi con la mia vita ormai da troppi anni calpestata e ridotta a brandelli. Vivevo con un uomo, che detestavo, finito in galera per la mia “dolce e velenosa compagna“, i due piccoli pulcini Gianluca e Carla, venuti al mondo senza presupposti, senza una normale famiglia ma con già tanti problemi, con una sola certezza, la loro mamma. Ogni giorno, quando li portavo all’asilo, pensavo: ”Speriamo che an-che oggi va tutto bene” il rischio era enorme, ogni giorno quel buco nella pelle poteva essere l’ultimo. Non potrò mai dimenticare quel giorno… Ero collassata e mi risvegliai con Carla sopra di me che mi dava i pizzicotti in faccia e urlava ripetutamente: “Mamma, mamma!!!!” Appena ho riaperto gli occhi ho visto i suoi occhi disperati, terrorizzati…Poi nel vedermi di nuovo lì, con lei i suoi occhi sono tornati a brillare. Dio solo sa come mi sentivo dentro…… Fallita… finita…… distrutta… stanca… e inutile…dove era finita Francesca??? Gianluca e Carla erano con me ed io non volevo perderli, assolutamente no!! Ho deciso così di intraprendere un cammino terapeutico, certa solo di non avere più alternative, che da sola non potevo farcela e che sarebbe stata dura. Il mio percorso è stato molto duro e difficile sin dall’inizio: sono arrivata al centro con un bel biglietto da visita “un giudizio” che mi sono purtroppo portata appresso per tutto il programma, quello di “ragazza facile”. Dico così e non “puttana” perché per me sono due termini molto diversi. Ecco perché per tutto il percorso ho sempre negato di dirlo, quel termine non mi apparteneva. Quando ero piccola regalavo spesso le mie cose per accaparrarmi l’affetto degli altri, non davo il giusto valore alle cose, tutto si poteva donare pur di non deludere gli altri, le amiche in particolare, altrimenti sarei rimasta sola… Poi è arrivato il collegio…con quelle stanze grandi, fredde e silenziose. Tutte le sere quando andavo a letto, prima di spegnere la luce stringevo la mano alla mia amica Cristina e poi a Monica e ci davamo la buonanotte, e appena la luce si spegneva le lacrime prendevano il sopravvento… Mi mancava la mia mamma…mia sorella…mio padre, ogni giorno quando finiva la scuola vedevo le altre ragazze tornare a casa ed io no; io salivo su nell’internato….perché? mi chiedevo perché io no? Cosa ho di diverso, di sbagliato? E’ atroce sentirsi esclusi dal mondo, non amati , né voluti….il vuoto dentro aveva bisogno di essere riempito… Francesca è stata facile…facile all’affetto, facile all’infatuazione, facile al corteggiamento e alle lusinghe, disposta a concedere tutto, senza tanti preamboli, per un po’ di affetto, per sentirsi importante, coccolata, protetta, e forse amata. 42 prezioso al cui interno si trova un tesoro , ma che non è visibile a tutti; ricordo quando dissi questo a Don Mimmo e lui si commosse… con questo non voglio dire che ho raggiunto la pace dei sensi, assolutamente no; so di potere ancora ricadere perché la solitudine è una brutta bestia ma ho anche imparato dopo tante umiliazioni e ricadute che in questo mondo ci sono ben altre sofferenze più gravi, e che lassù c’è un Dio che è sempre pronto ad amarmi e a darmi conforto e grazie a Lui che oggi anche senza un uomo accanto mi sento degna di essere me stessa, perché Dignità è Amore, è Perdono, è anche sofferenza e solitudine ma è soprattutto Riscatto verso una vita nuova. Ogni azione della propria vita lascia delle conseguenze,siano esse buone o cattive, l’importante è farne tesoro, per migliorare se stessi e di conseguenza il rapporto con gli altri. Sono consapevole di non avere un carattere abbastanza forte e deciso per non riuscire sempre in questo intento ma mi sforzo ogni giorno e cerco di essere coerente con i miei principi, per poterli trasmettere ai miei figli. Sto cercando di essere una buona mamma per loro, sto crescendo insieme a loro, non si finisce mai di imparare nella vita e soprattutto con i figli. E così iniziavo a cercare conferme nei ragazzi, “almeno tu, tu che sei diverso, almeno tu nell’universo “ dicevo al mio uomo… Ed è stato così anche per tutto il mio percorso… soprattutto quando arrivavano quei sentimenti di sempre… solitudine, diversità, paura…non li sopportavo e mi appoggiavo ad un uomo per non sentire, per stare meglio, per colmare i miei bisogni e le mie angosce. Prima Roberto, poi Luca, poi Fabio in Comunità e Marco al Rientro, con loro ho segnato le mie ricadute, in un percorso dove sto lottando a denti stretti, con le lacrime e sangue, per crescere, per fortificarmi, per abituarmi a camminare da sola, per diventare autonoma, lotta che mi affascinava ma mi scoraggiava… Ho camminato sempre con alti e bassi, ho avuto momenti di vera crescita, durante i quali ho imparato a “leccarmi le ferite da sola” come i gatti, a riempire i vuoti di me stessa, di nuovi valori, di piccole ma meritate conquiste; si alternavano periodi in cui la solitudine e l’insicurezza prendevano il sopravvento ed io facevo più grande il bisogno di un uomo accanto, cedendo e rinunciando a quegli ideali che stavano germogliando dentro di me. Nonostante le mie ricadute, ho sempre lottato per il mio principale obiettivo: la mia dignità. Per arrivarci ho imparato a volermi bene, a guardarmi allo specchio, ad osservare il mio naso senza più odiarlo ma accettandolo come parte integrante del mio viso, d’altronde senza di lui non sarei più la stessa ed io oggi mi accetto così come sono! Ho imparato ad accarezzarmi, a prendere cura del mio corpo e del mio spirito, riempiendo me stessa del mio affetto, le mie paure con le mie incertezze. Ho imparato a valorizzarmi e considerarmi una bella persona, ho imparato a perdonare i miei sbagli perché non serve colpevolizzarsi fino a sentirsi una nullità.una donna sa sempre rialzarsi e guardare al suo domani a testa alta… l’importante è non perseverare… E questo è fondamentale. Oggi non sono disponibile a donare il mio affetto a chiunque, neanche in amicizia, sono diventata esigente e a volte troppo critica sia con me stessa che con gli altri, io seguo la mia strada. A secondo di dove va la corrente io seguo la mia strada con decisione. Non sono più così importanti le lusinghe altrui perché io so quanto valgo e basta questo, mi considero come uno scrigno 43 che io tanto contestavo sono gli stessi che io dico ai miei figli perché li ho fatti miei. Spero solo che loro saranno meno ribelli di me… io cercherò di essere sempre al loro fianco, di farli sentire amati, e prima di andare al letto ogni sera darò loro la mano e gli sussurrerò: “Vi voglio tanto bene”. Oggi guardo al mio presente con positività, con speranza ed amore…un amore immensurabile per la vita, che anche se difficile e talvolta ingiusta e crudele, è tuttavia un dono prezioso da rispettare ed apprezzare giorno per giorno. La perdita recente di un caro amico mi ha insegnato ad apprezzare ogni singolo giorno della mia vita, a rispettare per quanto mi è possibile la mia salute e quella dei miei figli e soprattutto a ringraziare il Signore del suo immenso amore. Mi sto avvicinando alla fede perché la sento presente dentro di me, sto entrando a far parte di una nuova comunità: quella cristiana, e questo mi da un senso di continuità con il percorso fatto finora. Anzi forse era proprio l’ultimo pezzo mancante del puzzle della mia vita da ricostruire, oggi con me a darmi forza c’è il Signore. Tante volte io passo da una grande forza a tanta paura e sconforto, e questi ultimi sono momenti molto difficili per me ma sto imparando ad accettarli come parte di me e provo ad affrontarli con serenità; ho i miei punti di riferimento a cui rivolgermi e sembrerà strano per la mia storia ma la persona a cui mi rivolgo quasi sempre è mio padre, poi Margherita e come guida,spirituale oggi c’è Don Mimmo da cui mi sono sempre sentita voluta bene sin dal primo colloquio in Accoglienza, che ancora ricordo come se fosse ieri; ma se andiamo a ritroso nel cammino la mia guida terapeutica è stata inizialmente Giovanni che con la sua grande pazienza e umanità è riuscito a leggere dentro di me e lentamente mi ha fatto entrare nel programma conquistando la mia totale fiducia. Lui non è mai stato autoritario con me, lui con calma e comprensione riusciva a tirar fuori il meglio di me ed io gli sono tanto grata per questo… perché in Accoglienza avevo bisogno proprio di questo… altrimenti probabilmente sarei fuggita via. Poi c’è stata Sara, un esempio da seguire, una persona da amare, ed io l’ ho amata come fosse una seconda mamma… lei a volte molto dura, a volte molto tenera, mi ha fatto crescere e mi ha rassicurato quando ne avevo bisogno. Oggi sento una profonda gratitudine verso di loro e verso tutti gli altri operatori, che mi anno aiutata a ritrovare me stessa, l’amore per la vita e tanta di voglia di guardare al mio domani con la luce della speranza negli occhi. Durante il percorso ho dovuto mettere in discussione il mio essere “mamma” e non è stato facile. Non volevo accettare di avere delle carenze e tanti comportamenti da modificare. Con l’aiuto dell’operatrice di Comunità, sono molto cambiata con la mia bambina; ho avuto la netta sensazione di averla partorita per una seconda volta, perché sentivo crescere in me la voglia di occuparmi di lei, la voglia di sacrificarmi anche per lei, e la voglia di prendermi cura, con tanto amore per lei. Quel senso di rifiuto, quel senso di limite che mia figlia rappresentava lentamente, durante il mio percorso,con alti e bassi, è tutto scomparso. Oggi a casa, ho ripreso con me anche mio figlio Gianluca anche se con lui le problematiche sono un po’ diverse… Non sento più la difficoltà nell’accettarmi come mamma, anzi oggi per me è il mio ruolo principale e loro sono la linfa della mia vita. Con Gianluca ho dovuto lentamente ricucire un rapporto interrotto da ben due anni di distanza, due anni tanto sofferti per entrambi. Gianluca era diventato molto timido, molto impaurito da qualsiasi cosa, iperattivo e distaccato, non voleva nessun contatto fisico e urlava sempre. Ho avuto paura, e ho dovuto fare i conti con i miei sensi di colpa ma ormai era tutto chiaro in me sapevo come agire, l’ avevo già fatto… e con tanto amore e pazienza ho ricucito il rapporto con lui. Oggi siamo una famiglia serena ed unita: Gianluca e Carla vanno finalmente d’accordo, la competizione tra loro va scemando sempre più, sono due bambini felici, sicuri e pieni di vita ed io sono soddisfatta di come sto portando avanti la mia vita con loro. Ecco oggi i miei figli non rappresentano più un limite ma una fortuna. Amo il mondo dei bambini, amo giocare con loro, emozionarmi con loro per le cose più semplici, con loro torno anche io bambina e a sorridere alla vita senza alcuna paura. Sono anche esigente per quanto riguarda la loro educazione; a volte mi accorgo di esagerare, pretendo molto e allora allento un po’ la corda, a volte penso di essere un po’ “rompiscatole” perché troppe regole fanno male (per esperienza personale !!!) e allora torno paziente. Quando poi vedo Carla che si mette ad apparecchiare di sua spontanea volontà o che mette il pigiama sotto il cuscino o Gianluca che aiuta sua sorella a vestirsi, allora dall’emozione mi vengono le lacrime e mi ritengo soddisfatta di come stanno crescendo. Oggi mi rendo conto di quanto sia difficile essere un buon genitore perché non ci sono schemi o regole da seguire, si impara ogni giorno insieme; oggi quei consigli di mio padre Grazie. 44 La comunicazione con l’adolescente: il ruolo dell’infermiera Umberta Ferrato Infermiera Professionale - Dipartimento Pediatrico, Ferrara Da alcuni anni, da quando è stata allargata l’età di competenza pediatrica fino ai 18 anni, hanno iniziato ad affluire nelle unità operative pediatriche gli adolescenti. Per questo motivo è stato richiesto un adeguamento di conoscenze e un cambiamento di atteggiamenti nel comportamento a tutto il team, medici e infermieri compresi, per accogliere soggetti appartenenti ad una particolare fascia dell’età evolutiva che è “l’adolescenza”, alla quale non eravamo preparati. La famiglia: secondo alcuni psicologi sembra che la contrattazione tra la libertà che si conquista in cambio della fiducia concessa non solo fra genitori e figli ma anche tra adulti e adolescenti e istituzioni e giovani sia il giusto percorso da seguire perché l’adolescente si responsabilizzi e accresca la sua autonomia. Spesso, invece, quando gli adolescenti maturano e tendono ad essere indipendenti, procurano ansia e paura in molti genitori che, nell’intento di mantenere un più stretto controllo, cercano di imporre restrizioni e limitazioni improponibili all’adolescente. Inoltre, i problemi dei genitori spesso si riflettono sul comportamento dell’adolescente e sulle sue capacità di azione. La scuola: per la maggior parte degli adolescenti la scuola costituisce la principale occupazione e preoccupazione. Un improvviso peggioramento sul rendimento scolastico può far rilevare una crisi personale o famigliare. Il capire se l’impegno dell’adolescente è rivolto alla realizzazione delle sue mete future, se il rapporto con gli insegnanti è buono, se ci sono materie che ama di più ed altre che risultano ostiche, se nei suoi riguardi i genitori hanno aspirazioni particolari e se lui stesso le condivide e ritiene adeguate, sono interrogativi che possono aiutare a trovare una risposta che induca l’adolescente a superare il suo disagio. Deve essere fatto un invito ad una attenta riflessione che ci permetta di cogliere e valutare l’importanza che possono assumere le azioni che nel quotidiano svolgiamo spesso con leggerezza e superficialità. Noi adulti dobbiamo essere consapevoli che ad ogni azione corrisponde una reazione e quindi, interagendo con l’adolescente, abbiamo la responsabilità dell’influenza che i nostri gesti, il nostro atteggiamento e le nostre parole possono esercitare. Gli amici: quando incomincia il processo di emancipazione dalla famiglia, gli amici incominciano ad assumere una grande importanza per l’adolescente. Spesso il tipo di amicizie scelto influenza l’atteggiamento dell’adolescente e si riflette sul suo adattamento sociale. È importante capire se ha degli amici, se ha una/un ragazza/o che gli è particolarmente cara/o e importante, se si sente a proprio agio nei rapporti con l’altro sesso. È importante ed essenziale in questa età far parte di “un gruppo”, quindi è anche importante stabilire come si sente egli stesso all’interno del gruppo: se emarginato, se preoccupato per il proprio adattamento. Definizione di adolescenza Cosa deve sapere l’infermiera dell’adolescente Con il termine “adolescenza” si indica un periodo dell’età evolutiva che si colloca tra l’infanzia e il momento dell’inserimento nel mondo adulto. È un periodo ricco di esperienze e caratterizzato dalla maturazione dei caratteri sessuali primari e secondari, da un rapido accrescimento corporeo generale e da una serie di processi di carattere intellettuale, emotivo e sociale che portano alla configurazione della personalità e alla definizione dell’identità individuale che aiutano l’adolescente a staccarsi dalla famiglia e a esercitare scelte per le attività della vita futura. Quindi l’adolescente non è più un bambino ma non è ancora un adulto. Inoltre i giovani tendono ad entrare nell’età puberale con modalità diverse e varia è anche la velocità con la quale si verificano i processi di maturazione biologica. In quest’epoca della vita l’età cronologica è di scarsa importanza per la valutazione dello stadio di sviluppo dell’adolescente. Cosa deve sapere l’infermiera della sfera del vivere dell’adolescente Due distinte categorie di adolescenti si presentano per essere assistiti e curati: quelli affetti da malattia o disturbi di natura organica acuta o cronica e quelli che presentano anomalie di comportamento o difficoltà di adattamento. Nel trattare questo secondo gruppo di adolescenti si incontrano le maggiori difficoltà perché alcuni non desiderano parlare, alcuni di questi non lo fanno per scarsa capacità verbale ed esperienza al colloquio o perché sono molto ansiosi o perché sono stati accompagnati forzatamente e quindi sono irritati. Per riuscire a comprendere il malessere dell’adolescente è necessario conoscere le dinamiche di relazione (con la famiglia, la scuola, i coetanei) che spesso diventano conflittuali e causano malessere nel vivere quotidiano, tristezza, depressione. Inoltre, prendere in esame eventuali esperienze con il fumo, alcool, droga insieme alle sue conoscenze sulla attività sessuale, 45 sui mezzi anticoncezionali, sulle malattie veneree e sulla gravidanza, è un’eccellente possibilità che abbiamo di istruire il giovane su questi argomenti. Sappiamo che in questa fase della vita sono maggiormente esposti al rischio di fobie e di episodi depressivi, di condotte che possono sviluppare dipendenza da sostanze illegali e legali come droga e alcool. Difficile è identificare la causa che avvicina i giovani alla droga e all’alcool. La possibilità di modificare, attraverso l’uso di una sostanza, il modo di stare insieme agli altri, può esercitare una indubbia attrazione su adolescenti introversi, che vivono sentimenti di esclusione, inferiorità ed emarginazione nel gruppo di coetanei, nella scuola, nella famiglia. L’accresciuto benessere economico in combinazione con situazioni di stress sembrano fattori responsabili della diffusione e della crescita del consumo di queste sostanze. Inoltre non si deve perdere la possibilità di indagare sulle abitudini alimentari e di conseguenza offrire nozioni sulla nutrizione perché obesità e magrezza possono essere migliorate, recuperando una migliore accettazione della propria immagine corporea. Pensando se l’anoressia può essere definita come un male del nostro secolo, credo che si possa rispondere che l’anoressia è sempre esistita ma che probabilmente la pressione culturale volta a imporre il valore della magrezza come panacea contro ogni malessere, abbia incrementato un fenomeno già esistente. spensabile sviluppare una capacità di attenzione, di ascolto attivo e di interesse per l’adolescente nella sua complessità e globalità. Per occuparsi empaticamente dell’adolescente bisogna sviluppare una cultura della solidarietà che è alla base della nostra professione dove esiste il “prendersi cura di”, comprendere ciò che l’adolescente prova. È una cultura che non è innata ma che si apprende con la formazione continua: quella che noi infermiere chiediamo e che i nostri medici producono, per poter perseguire l’obiettivo difficile ma chiaro a tutti: far sentire l’adolescente una persona speciale. Instaurare con lui un rapporto di reciproca fiducia, di rispetto, di calore umano, di disponibilità di ascolto senza velleità di giudizio. Tutto ciò a far parte della comprensione profonda che rispecchia l’atteggiamento dei professionisti che collaborano affinché questo sia principalmente l’obiettivo da raggiungere ogni qualvolta un adolescente si presenti per ricovero. Per far comprendere quanto sia importante la formazione per raggiungere questo obiettivo mi piace chiudere con una frase che rispecchia la volontà dell’apprendere per aiutare: “nessun vento aiuta colui che non ha un porto nel quale dirigersi”. L’azione comunicativa dell’infermiera Dopo aver descritto le conoscenze del mondo degli adolescenti come può l’infermiera, in ambiente ospedaliero, trovare uno spunto dal quale iniziare e continuare la comunicazione con l’adolescente? Certo non è possibile determinare a priori tecniche di comunicazione standard né metodi rigidi che possano essere applicati con successo in ogni caso. E’ indubbio che sia indi- 46 Lo scoutismo Andrea Miranda Sarno, Salerno Lo scoutismo sembrerebbe roba da figli di papà, e invece è comunità, allegria, gioia, divertimento, avventura, contatto con la natura, ma anche regole, adattamento, stile ed educazione. A parlarvi è un ragazzo di sedici anni, che in questi ultimi cinque, proprio grazie allo scoutismo, ha avuto la possibilità di crescere, maturare, fare nuove esperienze ed assumersi responsabilità. Maturai la voglia di essere uno scout all’età di otto anni in quanto mi era sempre piaciuta l’avventura e testare il mio coraggio. Così, dopo tre anni, quando si aprirono le iscrizioni per i lupetti, la branca dei più piccoli dell’associazione, entrai a far parte dell’A.G.E.S.C.I. (Associazione Guide E Scout Cattolici Italiani). La branca dei più piccoli è quella dove si vive l’essere scout attraverso la storia del Libro della Giungla. Infatti tutti i lupetti impersonano e vivono un’avventura simile a quella di Mowgli. All’inizio aiutati dai capi, i quali rappresentano i personaggi adulti della storia, come per esempio Akela, il grande capo, Ka, il pitone, Baghera, la pantera nera, Baloo l’orso buono e altri ancora. Ricordo che nella prima riunione ero emozionantissimo e non conoscevo nessuno. Avevo una gran paura ma non riuscivo a sentirmi solo perché i capi crearono un atmosfera di amicizia tra loro e noi che piano, piano si estese tra tutti i piccoli lupetti, in modo da legarci fino ad oggi. In questo anno mi divertii da matto grazie al lavoro dei capi,che proponevano giochi, bans e sempre nuove cacce, ovvero avventurose lotte con gli acerrimi nemici degli ideali scout, rappresentati nella storia dalle bandarlog e dalla tigre cacciatrice di Mowgli, ma soprattutto mi divertii stando insieme a bambini della mia età, e condividendo con loro giochi ed esperienze completamente nuove. Dopo qualche tempo mi trovai a dover promettere dinanzi a Dio e ai capi di essere un buon lupetto; era la mia prima responsabilità da mantenere. Dei lupetti fanno parte bambini di età compresa tra i sei e gli undici anni e siccome quando io entrai avevo già l’età massima mi ritrovai assieme ad altri tre bambini a ricoprire il ruolo di capo sestiglia. Un ruolo che per l’età che avevo mi dava giuste responsabilità che dovevo rispettare. Questi doveri mi hanno dato tanto facendomi crescere e maturare. Essendo capo avevo, infatti, la “responsabilità”dei miei sestiglieri e rispondevo delle loro marachelle, dei litigi e dei compiti non rispettati. Così dopo un anno, in cui si erano susseguiti campeggi dove avevo provato, assieme alla mia sestiglia le nostre capacità fisiche, artigianali, teatrali e di apprendimento, e dove avevo stretto ancora più amicizia con tutti, mi ritrovai da lupo anziano, come Mogli, a ritornare nella civiltà umana passando nel reparto. Il reparto rappresenta la branca degli esploratori e delle guide: ragazzi e ragazze con un età compresa tra gli undici e i quindici anni. Passare in reparto è il traguardo più ambito di un lupetto, e ricordo che ero emozionatissimo. Era sera e Akela e gli altri mi raccontavano di fianco al fuoco la parte finale della storia di Mowgli, dove il giovane lupetto era ornai pronto per tornare nella civiltà umana. Così, anche per me era giunto il momento di crescere. Entrai così nella squadriglia degli orsi dove ho trascorso i quattro anni di reparto, i quattro anni più belli della mia vita. Infatti è nel reparto che mi sono formato, nel reparto che ho imparato ad essere più uomo, nel reparto che ho imparato ad essere autosufficiente, autonomo ed efficiente senza nulla ed in condizioni avverse. Ho imparato cosa vuol dire il sacrificio,che tutto è utile e nulla è superfluo,ad adattarmi e vivere bene senza i confort del quotidiano: senza TV, senza cellulare, senza videogiochi, senza comodi letti o pranzi già pronti; ma armato solo di sacco a pelo, tende, stoviglie, pali e corde, e soprattutto di una manciata di amicizia, fratellanza, gioia di vivere l’avventura, allegria e spensieratezza. Nei primi due anni sono stato un semplice squadrigliere, ed ho imparato le tecniche scout. Negli ultimi due mi sono trovato ad essere vice capo squadriglia e ad insegnare ai nuovi squadriglieri quello che avevo in precedenza imparato. Questi due anni sono stati i più intensi, segnati dalla spensieratezza tipica adolescenziale, dalle prime cotte, ma soprattutto dai primi scontri tra me e i capi dovuti ai miei primi caparbi, testardi e contraddittori no.Gli esploratori e le guide durante gli anni del reparto sono spronati alla crescita attraverso il raggiungimento di quattro tappe, che possono essere conquistate una alla volta attraverso procedimenti sempre più ardui a seconda della tappa. L’anno scorso poi dovetti lasciare il reparto e la magia che lo avvolge per intraprendere il cammino da uomo impegnato nel sociale. Fui posto davanti ad una prima scelta di vita, che si ripresenterà poi al termine del quinto anno trascorso nella branca R/S (rover e scolte), la branca più anziana del gruppo, che comprende i ragazzi dai sedici ai ventuno. Questa scelta la prima volta, a sedici anni, ti si presenta come gioco, dove puoi scegliere realmente, in senso figurato, tra due strade, una che ti porta a casa, e l’altra che ti porta al servizio per gli altri. Scegliendo la seconda si entra nel noviziato, che dura un anno e serve da preparazione al clan dove si resta per altri quattro anni.Il noviziato dove io mi trovo è appunto un anno di transizione tra l’adolescenza e la maturità. Qui vengono a mancare tutti i supporti su cui prima si era sicuri di poter contare, come la squadriglia, e ti trovi solo tu e la tua vita e spetta a te decidere come governarla. In questa branca i ragazzi, seguiti dai capi, percorrono un processo di formazione di fede di comunità, di servizio e di strada, ovvero il percorso spirituale da intraprendere. 47 O PRIM CIO N ANNU XII CONGRESSO NAZIONALE SOCIETÀ ITALIANA DI MEDICINA DELL’ADOLESCENZA Palermo, 20-22 ottobre 2005 Consiglio Direttivo S.I.M.A. TOPICS Moduli formativi: Presidente Dermatologia - Abuso Ecografia dei genitali Medicina d’urgenza Diagnostica strumentale Vincenzo De Sanctis, Ferrara Vice Presidente Carlo Pintor, Cagliari Segretario Workshop Silvano Bertelloni, Pisa “I Bisogni di Salute: la parola agli adolescenti” Tesoriere Giuseppe Raiola, Catanzaro Sessioni Consiglieri Patologie endocrine emergenti in età adolescenziale Problemi di comune o rara osservazione nell’ambulatorio dell’adolescente Il Pediatra, l’Adolescente e la Scuola Disabilità - Immigrazione Aspetti medico-legali e psicologici nell’approccio con gli adolescenti La formazione in Medicina dell’Adolescenza. Antonietta Cervo, Salerno Salvatore Chiavetta, Palermo Giampaolo De Luca, Cosenza Presidenti del Congresso Salvatore Chiavetta, Palermo Piernicola Garofalo, Palermo SEGRETERIA SCIENTIFICA Salvatore Anastasi, Catania Piernicola Garofalo, Palermo Calogera Gerardi, Sciacca (Ag) Antonino Mangiagli, Siracusa Salvatore Chiavetta, Palermo Tel. e fax 0918984532 e-mail [email protected] SEGRETERIA ORGANIZZATIVA CHRONOS s.n.c. Organizzazione e Servizi Via Scesa Gradoni, 11 88100 Catanzaro Tel. 0961.744565-707833 fax 0961.709250 [email protected] Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 2, n. 3, 2004 MAGAM NOTES MAGAM NOTES Service provision and psychosocial aspects of chronic diseases in adolescence Section Editor: Bernadette Fiscina, New York Michael Angastiniotis, M.D. Former Director, Paediatric Department and Thalassaemia Centre, Archbishop Makarios III Hospital, Nicosia, Cyprus. Summary Comprehensive, age-appropriate care for adolescents is lacking in many parts of the world. Such care is important especially for the sizable population of chronically ill adolescents, who need psychosocial support in order to deal with the physical and psychological burdens of their disease and often, its treatment. An adequate program to care for these patients must include trained adolescent medicine specialists or physicians with a special interest in adolescents as coordinators, a multidisciplinary team, separate treatment areas, links with school health services, and inclusion of the primary care or family doctor. To build such services governmental support is necessary, and to obtain this support, pediatricians and other health workers, with the support of epidemiological data and knowledge of the quality of services required, should become the strongest advocates for young people. Keywords: adolescence, chronic illness, health services delivery Introduction The recognition of adolescent health as a field of medicine meriting special attention started in the 19th century. The need to manage adolescent health problems by dealing not only with the physical ailment, but also with educational and psychosocial aspects was pointed out by Amelia Gates(1) as far back as 1918. She also described a medical department specializing in the needs of adolescents. This concept of a holistic approach, provided in a specialized clinic, was developed mostly on the American continent over the course of the 20th century (2). In westernized European countries such services have appeared only in the last 30-40 years (3). Globally the focus on adolescence is even more recent, having been given a boost by the 1987 World Health Assembly during which member states were “urged to strengthen programs relating to youth and adolescents at all levels”, placing “health for youth” as a policy priority for the World Health Organization (4). Despite this, much of the developing world, including many countries of the Mediterranean region (5), has not developed special services and still tends to this age group in age-inappropriate wards and with little consideration of the need for multidisciplinary care. The purpose of this paper is to explore ways in which the paediatrician and the adolescentologist can promote the development of services appropriate for this age group, especially to meet the needs of those suffering from chronic conditions. Chronic health conditions in adolescence According to the policy statement of the American Academy of Pediatrics (6), 2% of those aged 0-21 years have a chronic condition severe enough to have an impact on their daily lives and another tenfold number have milder conditions. In a recent report (7) 7-8% of children aged 5-17 years have activity limitations, while up to 30% are classified as children with special needs. There is a wide range of diagnoses that can be included in this category, asthma and diabetes being the most common, while in the Mediterranean area inherited blood 49 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 2, n. 3, 2004 MAGAM NOTES disorders, thalassaemia and sickle cell disease are major contributors. Other conditions are cystic fibrosis, juvenile rheumatoid arthritis, epilepsy and many others. Apart from the symptoms inherent in these disorders, they are accompanied by an ever-present threat of death and the need to adhere to a treatment regime that is in itself a source of suffering. There are limitations to activities, schooling and social life. Diabetes is an example, since it involves daily injections, frequent blood checks and a special diet, all of which constitute a daily stress and make the adolescent aware of being ‘different’ from peers. Similarly thalassaemia major involves daily subcutaneous infusions and regular blood transfusions as well as other medications; moreover, short stature, deformities, delayed puberty and other complications (8) all lead to a significant psychosocial burden (9). Despite this, in many studies it has been shown that adolescents with chronic conditions do not differ greatly from their healthy peers (10). On the contrary, social support, knowledge about the disease and family support lead to adaptation and acceptance (5,11,12). There are various issues involved in the chronic disorders which must be addressed. The one most worrying to the treating physician, because of the long-term dangers, is non-adherence to treatment. Psychosocial and family supports are central to the solution of this problem (13,14). Other issues are: Education problems which are only partially attributable to frequent absences. They are influenced by the nature of the disability, the degree of social adjustment and the relationship with peers (10,15). Physical appearance – the presence of deformities or short stature and distortion of body image (16,17). Limitations in various activities including exercise. Social relationships, sexuality and concerns about fertility (18). Physical pain and suffering. cialties are needed also to support the varied pathologies and complications that accompany chronic disorders. General practitioners, psychiatrists, endocrinologists, gynaecologists, nutritionists and others have a significant role but the coordinating role of adolescent medicine is central (20). The need for multidisciplinary care is accepted universally and the team should include not only medical specialists, but also psychologists, educators/teachers, sociologists and specialized nurses. This acknowledges the global needs of the patients and their interaction with family and society, and reinforces the idea that quality of life must be a serious consideration in addition to survival. The need for separate treatment areas for adolescents must be recognized to ensure privacy and good communication, while management in children’s wards and clinics and adult areas that cater more to the elderly must be avoided. Care should be appropriate for the teens’ stage of development. There must be a close link of the management to school health services where adolescents spend much of their time. School services, by virtue of close contact with the specialist team, should know how to deal not only with day to day problems in school, but also with emergencies such as hypoglycaemia or epilepsy. They can play an important role in support, counseling and prevention. They observe the patients in a natural setting and should be able to recognize early any changes in behaviour, giving warning of possible complications. This is a great advantage since the specialist teams see patients only periodically. Health education is another important function of school health. Primary care and family doctors can contribute by assisting in the improvement of self-care skills as well as having immediate access to families and knowledge of their home conditions. In members of the management team there is always need to improve communication skills with adolescents. Interventions It is apparent that simply providing a treatment protocol to deal with the physical condition is not enough in adolescent chronic disorders. This is of course necessary and the quality of care will contribute to the reduction of the psychosocial burden (19). However experience has shown that other interventions are necessary and these health needs are not adequately dealt with by most health systems, even though they have been well documented for many years: The need for paediatricians with a special interest or adolescentologists who are trained in the skills necessary to be effective in the management of this sensitive group of patients. This was recognized many years ago in the USA and training programs were initiated (2) and a specialty in adolescent medicine was developed. Other medical spe- Planning service provision The complexity of the required services, which must accommodate physical as well as psychosocial needs within the context of all the natural changes taking place in the patients’ lives, leads to the conclusion that governmental policy and adequate budgetary provision are required to build a firm foundation for adolescent health care especially when chronic disorders are involved. Health authorities act only when they are sensitized and sometimes if they are pressured. Such sensitization must come from paediatricians and other health workers who must ‘become more active and courageous as advocates for the health rights and health care of young people” (21). These health professionals should be armed with 50 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 2, n. 3, 2004 MAGAM NOTES 15. Logan DE, Radcliffe J, Smith-Whitley K, Parent factors and adolescent sickle cell disease: associations with patterns of health service use. J Pediatr Psychol 2002; 27:475-84 epidemiological data, but also with a good knowledge of the quality of the services required. Some of the issues to be tackled at the ministerial level include: The multidisciplinary nature of the services is costly. Financial support for team building and supporting is necessary. Team coordination and inter-sectoral collaboration also need financial and logistics support. Hospital re-planning is often needed to accommodate facilities such as wards and clinics. The recognition by Ministries of Health of the need for specialized physicians, nurses and others is required so that plans for training and career structure can be promoted. Once a comprehensive plan has been put together, budgetary allocation and a roadmap for building up the services will ensure that a truly patient–centered service will be provided. Legislative provisions may also be necessary. Political will must complement goodwill. 16. Georganda ET. The impact of thalassaemia on body image, self image and self-esteem. Ann NY Acad of Sciences 1998; 612:466-472 17. Bertelloni S, Navari S, Sodini F, Bertacca L, Saggese G. Clinical problems in managing adolescents with short stature. Minerva Pediatr 2002; 54:559-65 18. Suris JC, Resnick MD, Casutto N, Blum RW. Sexual behaviour of adolescents with chronic disease and disability. J Adolesc Health 1996; 19:124-31 19. Ratip S, Modell B. Psychological and social aspects of the thalassaemias. Semin Hematol 1996; 33:53-65 20. Saggese G, Bertelloni S. The pediatrician and adolescent risk behaviour. Minerva Pediatr 2002; 54:483-8 21. Bennett DL, Eisenstein E. Adolescent health in a globalised world: a picture of health inequalities. Adolesc Med 2001; 12:411-26 References 1. Gates AE. The work of the adolescent clinic of Stanford University Medical School. Arch Pediatr 1918; 35:236-43 2. Gallagher JR. A clinic for adolescents. Children 1954;1:165. 3. Bennett DL, Tonkin RS. International developments in adolescent health care: a story of advocacy and achievement. J Adolesc Health 2003; 33:240-51 4. WHO 1989 Reports of Expert Committees and Study Groups. Health of young people 5. De Sanctis V, Saggese G, Angastiniotis M, Soliman AT, Jeandel G, Kattamis C, et al. Adolescent health care in the Mediterranean area. Ital J Pediatr 2002; 28:183-7 6. American Academy of Pediatrics. Psychosocial risk of chronic health conditions in childhood and adolescence (RE9338). Pediatrics 1993; 92:876-8 7. Beers NS, Kemeny A, Sherritt C, Palfrey JS. Variations in state-level definitions: children with special health care needs. Public Health Reports 2003; 118:434-47 8. Capellini D, Cohen A, Eleftheriou A, Piga A, Porter J. Guidelines for the clinical management of thalassaemia. Thalassaemia International Federation (TIF) April 2000 9. Angastiniotis M. The adolescent thalassaemic. The compliant rebel. Minerva Pediatr 2002; 54:511-5 10. Suris JC. 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Semin Oncol 1996; 23 (Suppl 2):89 Preparazione degli articoli Gli articoli devono essere dattiloscritti con doppio spazio su fogli A4 (210 x 297 mm), lasciando 20 mm per i margini superiore, inferiore e laterali. La prima pagina deve contenere: titolo, nome e cognome degli autori, istituzione di appartenenza e relativo indirizzo. La seconda pagina deve contenere un riassunto in italiano ed in inglese e 2-5 parole chiave in italiano ed in inglese. Per la bibliografia, che deve essere essenziale, attenersi agli “Uniform Requirements for Manuscript submitted to Biomedical Journals” (New Eng J Med 1997; 336:309). Più precisamente, le referenze bibliografiche devono essere numerate progressivamente nell’ordine in cui sono citate nel testo (in numeri arabi tra parentesi). I titoli delle riviste devono essere abbreviate secondo lo stile utilizzato nell’Index Medicus (la lista può essere eventualmente ottenuta al seguente sito web: http://www.nlm.nih.gov). Figure e Tabelle Per favorire la comprensione e la memorizzazione del testo è raccomandato l’impiego di figure e tabelle. Per illustrazioni tratte da altre pubblicazioni è necessario che l’Autore fornisca il permesso scritto di riproduzione. Le figure (disegni, grafici, schemi, fotografie) devono essere numerate con numeri arabi secondo l’ordine con cui vengono citate nel testo ed accompagnate da didascalie redatte su un foglio separato. Le fotografie possono essere inviate come stampe, come diapositive, o come immagini elettroniche (formato JPEG; EPS, o TIFF). Ciascuna tabella deve essere redatta su un singolo foglio, recare una didascalia ed essere numerata con numeri arabi secondo l’ordine con cui viene citata nel testo Articoli standard di riviste Parkin MD, Clayton D, Black RJ, Masuyer E, Friedl HP, Ivanov E., et al. Childhood leukaemia in Europe after Chernobil: 5 year follow-up. Br J Cancer 1996; 73:1006 Libri Ringsven MK, Bond D. Gerontology and leadership skill for nurses. 2nd ed. Albany (NY): Delmar Publisher; 1996 Capitolo di un libro Phillips SJ, Whisnant JP. Hypertension and stroke. In: Laragh JH, Brenner BM, editors. Hypertension: pathophysiology, diagnosis, and management. 2nd ed. New York: Raven Press; 1995, p.465 Come e dove inviare gli articoli Oltre al dattiloscritto in duplice copia, è necessario inviare anche il dischetto magnetico (formato PC o Mac) contenente il file con il testo e le tabelle. Gli articoli vanno spediti al seguente indirizzo: Dott. Vincenzo De Sanctis Società Italiana di Medicina della Adolescenza Arcispedale S. Anna Corso Giovecca 203 44100 Ferrara Articoli con organizzazioni come autore The Cardiac Society of Australia and New Zealand. Clinical exercise stress testing. Safety and performance guidelines. Med J Aust 1996; 164:282 E-mail: [email protected] 52