Organo ufficiale della Società Italiana di Medicina dell`Adolescenza

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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Vol. 2 - n.
3 - Settembre-Dicembre 2004
Volume 1, n. 1, 2003
Promozione ed educazione alla salute: prevenzione dei comportamenti a rischio
in età adolescenzialeLe patologie vulvari non neoplastiche nelle adolescenti
Calcio e adolescenza
Franco Antoniazzi, Milena Brugnara, Luisa Donadi, Silvana Lauriola,
Giorgio Zamboni
La dismenorrea primaria nell’adolescenza
Organo ufficiale
della Società Italiana
di Medicina
dell’Adolescenza
Vincenzo De Sanctis, Maria Rita Govoni, Alessandra Di Stasio
Carcinoma differenziato della tiroide nell’adolescente:
attualità e prospettive
Claudio Spinelli, Arianna Bertocchini, Silvano Bertelloni
Periodico quadrimestrale - Spedizione in abbonamento postale 45% - art. 2 comma 20/B legge 662/96 - Milano
In caso di mancata consegna restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa.
L’ANGOLO DELLO SPECIALISTA - FRONT LINE - MAGAM NOTES
Editoriale
Vincenzo De Sanctis
Questo numero della Rivista Italiana di Medicina
dell’Adolescenza (R.I.M.A.) chiude virtualmente un anno di lavoro e
ne apre un altro ed è quindi anche un anno di bilanci e progetti.
Il C.D. della Società Italiana di Medicina della Adolescenza
(S.I.M.A.) si è particolarmente impegnato in 3 settori: la formazione, la
diffusione della teoria e pratica adolescentologica, ed i rapporti con altre
Società Scientifiche Nazionali ed Internazionali.
La R.I.M.A., pertanto, continuerà a mantenere una impostazione editoriale in accordo con gli obiettivi Societari.
La comunicazione è uno dei temi che viene trattato nella rubrica Front line. Gli adolescenti con
malattie acute o croniche hanno bisogni particolari, diversi dai pazienti in età preadolescenziale: desiderano mantenere il rapporto con i coetanei, hanno bisogno di superare le sensazioni di noia e di vuoto che
caratterizzano la maggior parte del tempo trascorso in reparto, hanno bisogno di comunicare ed essere
ascoltati, hanno bisogno di figure di supporto opportunamente preparate che integrino l’assistenza durante la degenza.
I pazienti affetti da malattia cronica sono spesso i primi adolescenti che frequentano regolarmente un reparto pediatrico. Ciò accade perché durante gli anni della infanzia si sono stabiliti tra curanti e pazienti dei legami che nessuna delle due parti desidera o ha interesse a recidere.
Oggetto della comunicazione saranno non soltanto le informazioni riguardanti la diagnosi ed i
programmi di terapia, ma anche la discussione dei progetti per l’avvenire, delle problematiche relative
all’attività lavorativa ed alla vita di coppia. Nell’età adolescenziale la comunicazione assume, quindi, un
particolare valore ed ha una importanza che può essere determinante ai fini del controllo della malattia
in quanto solo essa permette di avere ragione, nel tempo, degli atteggiamenti di rifiuto che prima o poi
compaiono durante l’adolescenza.
L’approccio all’adolescente ed ai suoi problemi deve essere uguale da parte di tutto il personale di assistenza perché l’adolescente sarebbe molto disturbato dal ricevere messaggi non coerenti.
Tutto ciò richiede diverse competenze che dovranno essere sviluppate e discusse con il personale di
assistenza allo scopo di adattarle alle particolari esigenze dell’adolescente, man mano che esse cambiano con il passare degli anni.
In sostanza, il concetto di salute deve essere inteso non soltanto come cura della malattia, ma
anche come mantenimento di uno stato di benessere fisico, psichico e sociale.
Colgo l’occasione per ringraziare il CD della SIP, ed in particolare il prof. Giuseppe Saggese, per
aver voluto inserire tre temi di adolescentologia ed una lettura magistrale del prof. Pierre Michaud di
Losanna, nel 60° Congresso Nazionale della SIP, che si è tenuto recentemente a Napoli.
La Mediterranean and Middle East Action Group on Adolescent Medicine (M.A.G.A.M.) è una realtà. Nel
Giugno u.s., ad Istanbul, è stata approvata la costituzione della Società di cui fanno parte 16 Nazioni.
Un particolare ringraziamento alla dott.ssa Bernadette Fiscina di New York, che con grande
impegno e passione ha sostenuto la S.I.M.A. in questo progetto internazionale.
Alla dott.ssa Fiscina, in occasione dell’XI Congresso Nazionale S.I.M.A., organizzato nell’ottobre u.s. a
Chieti dal prof. Chiarelli, è stato consegnato il riconoscimento di Socio Onorario per l’impegno a favore
dei giovani. Il prof. Chiarelli non è soltanto uno studioso e ricercatore di fama internazionale ma anche
un ottimo organizzatore.
Grazie Franco, grazie anche ai Tuoi Collaboratori per aver preparato questo evento di alto valore scientifico. La presenza di numerosi Colleghi, provenienti da diverse regioni, è stato il segno tangibile del Tuo impegno per la Pediatria Italiana.
Un affettuoso ringraziamento al CD della S.I.M.A. ed a tanti altri Soci per avermi sostenuto e per
avere contribuito allo sviluppo della cultura adolescentologica nel nostro Paese (Vietri sul Mare, 14
Febbraio 2004 - dott.ssa Antonietta Cervo; Catanzaro, 23-25 Aprile 2004 - dott. Giuseppe Raiola; Lucca,
20 Marzo 2004 - dott. Raffaele Domenici e dott. Cristiano Meossi; Genova, 8-9 Marzo 2004 - prof.ssa
Teresa de Toni; Firenze, 18-20 Maggio 2004 - prof. Fabio Franchini).
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
Prima di concludere, vorrei ricordare un carissimo amico, Enzo Silvio. Enzo, dopo una lunga sofferenza, è scomparso nel Settembre u.s. È stato socio fondatore della S.I.M.A. ed appassionato studioso
delle problematiche dell’età adolescenziale. Ci mancheranno molto la Sua presenza ed i Suoi preziosi
consigli. Sono certo che resterà, per tutti coloro che lo hanno conosciuto, un esempio di professionalità
ed amore per i giovani.
Il 12 Ottobre dello scorso anno mi scrisse per comunicarmi che la corsa del male che lo aveva
assalito era stata più tempestosa del previsto. Avrebbe avuto “il piacere di rivedere la terra di Sardegna
e di sentire il calore umano che viene sprigionato sempre da queste riunioni (X Congresso Nazionale
S.I.M.A., Castiadas) aperte al desiderio del sapere”.
Il CD della S.I.M.A. ha accolto il Suo desiderio di istituire un premio annuale per un lavoro scientifico in medicina dell’adolescenza. Tale premio verrà consegnato ad un giovane Ricercatore che presenterà, in occasione del Congresso Nazionale S.I.M.A., la migliore ricerca in campo adolescentologico.
Essere in tanti, essere uniti, essere sempre di più ci dà maggiore forza. Una forza che alla nostra
Società serve per cercare, in concreto, l’attenzione della Società verso i giovani.
Un affettuoso benvenuto ai Colleghi che nell’ultimo anno si sono iscritti alla nostra Società:
Agnello Vittoria (Sciacca, AG);
Barioglio Maria Rosa (San Pietro Vernotico, BR);
Bertuglia Piero Manziana (Roma);
Campo Fabio (Palermo);
Corbo Serenella (Roma);
D’Andrea Cristina (Palermo);
De Luca Adriana (Palermo);
Di Matteo Maria Vittoria (Palermo);
Dubolino Rosaria (Bagheria, PA);
Faraci Marco (Caltanissetta);
Ferrara Dante (Palermo);
Gennaro Antonino (Palermo);
Gentile Maria (Palermo);
Girone Patrizia (Messina);
Gneci Giuseppe (Palermo);
Lo Cascio Antonina (Palermo);
Lo Cascio Domenico (S. Vito Lo Capo, TP);
Martini Marta (Alessandria);
Masignà Ricciardi Maria Giovanna (Faenza, RA);
Montalbano Vincenzo (Sciacca AG);
Morolli Giovanni (Rimini);
Pace Luciana (Palermo);
Papaleo Alessandra (Catanzaro Lido, CZ);
Poli Marina (Russi, RA);
Raso Aurora (Palermo);
Sanfilippo Elisabetta (Sciacca, AG);
Sirchia Nicolò (Palermo);
Sisto Maria Rosaria (Francavilla al Mare, CH);
Spataro Angelo (Palermo);
Tosi Maria Teresa (Faenza, RA);
Valmori Giovanna (Savana, RA).
A tutti Voi ed alle Vostre famiglie un cordiale augurio per un sereno Natale ed Anno Nuovo
da parte del CD della S.I.M.A.
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
Organo ufficiale
della Società Italiana
di Medicina dell’Adolescenza
SOMMARIO
DIRETTORE SCIENTIFICO
Vincenzo De Sanctis (Ferrara)
Editoriale
COMITATO EDITORIALE
Silvano Bertelloni (Pisa)
Antonietta Cervo (Pagani, Salerno)
Salvatore Chiavetta (Palermo)
Giampaolo De Luca (Amantea, Cosenza)
Ettore De Toni (Genova)
Teresa De Toni (Genova)
Carlo Pintor (Cagliari)
Giuseppe Raiola (Catanzaro)
Giuseppe Saggese (Pisa)
Calogero Vullo (Ferrara)
pag. 1
V. De Sanctis
Calcio e adolescenza pag. 5
F. Antoniazzi, M. Brugnara, L. Donadi, S. Lauriola,
G. Zamboni
La dismenorrea primaria
nell’adolescenza pag. 17
V. De Sanctis, M.R. Govoni, A. Di Stasio
Carcinoma differenziato della tiroide
nell’adolescente: attualità
e prospettive pag. 23
INTERNATIONAL EDITORIAL BOARD
Magdy Omar Abdou (Alexandria, Egypt)
Hala Al Rimawi (Irbid, Jordan)
Thanaa Amer (Jeddah, South Arabia)
Mike Angastiniotis (Nicosia, Cyprus)
Yardena Danziger (Petah-Tiqva, Israel)
Oya Ercan (Istanbul, Turkey)
Bernadette Fiscina (New York, USA)
Helena Fonseca (Lisbon, Portugal)
Daniel Hardoff (Haifa, Israel)
Christos Kattamis (Athens, Greece)
Ashraf Soliman (Doha, Qatar)
Joan-Carles Suris (Lausanne, Switzerland)
C. Spinelli, A. Bertocchini, S. Bertelloni
L’angolo dello Specialista
Follow-up longitudinale del trattamento
dietetico dell’obesità in età evolutiva:
comparazione dei risultati negli adolescenti
rispetto ai bambini pag. 31
L. Galli, S. Bertelloni, G.I. Baroncelli, M. Ferrari,
G. Saggese
La prevenzione del tabagismo: risultati di uno
studio controllato randomizzato in adolescenti
scolarizzati di Cassino pag. 36
SEGRETARIA DI REDAZIONE
Gianna Vaccari (Ferrara)
G. La Torre, C. Moretti, D. Capitanio, M.T. Alonzi,
M. Ferrara, A. Gentile, A. Mannocci, G.Capelli
Front Line
Direttore Responsabile
Direzione Marketing
Sviluppo e Nuove Tecnologie
Consulenza grafica
Come una mamma pediatra è diventata
adolescentologa pag. 41
Pietro Cazzola
Armando Mazzù
Antonio Di Maio
Piero Merlini
A. Cervo
“Perché la speranza non deve
morire. Mai” pag. 42
Registrazione Tribunale di Milano n. 404 del 23/06/2003
Scripta Manent s.n.c. Via Bassini, 41 - 20133 Milano
Tel. 0270608091 - 0270608060
Fax 0270606917
E-mail: [email protected]
Francesca
La comunicazione con l’adolescente:
il ruolo dell’infermiera pag. 45
U. Ferrato
Abbonamento annuale (3 numeri) Euro 30,00.
Pagamento: conto corrente postale n. 20350682 intestato a:
Edizioni Scripta Manent s.n.c., via Bassini 41, 20133 Milano
Lo scoutismo
pag. 47
A. Miranda
Stampa: Cromografica Europea s.r.l. Rho (MI)
È vietata la riproduzione totale o parziale, con qualsiasi mezzo, di articoli, illustrazioni e
fotografie senza l’autorizzazione scritta dell’Editore. L’Editore non risponde dell’opinione
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Ai sensi della legge 675/96 è possibile in qualsiasi momento opporsi all’invio della rivista
comunicando per iscritto la propria decisione a:
Edizioni Scripta Manent s.n.c. Via Bassini, 41 - 20133 Milano
MAGAM notes
Service provision and psychosocial aspects
of chronic diseases in adolescence pag. 49
M. Angastiniotis, M.D.
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
Calcio e adolescenza
Franco Antoniazzi, Milena Brugnara, Luisa Donadi, Silvana Lauriola, Giorgio Zamboni
Clinica Pediatrica, Università di Verona, Policlinico “Giambattista Rossi”, Verona
Riassunto
L’adolescenza è un periodo di rapida crescita scheletrica durante il quale si accumula circa la metà della
massa ossea adulta con il raggiungimento del picco di massa ossea (PBM), definito come la densità minerale ossea massimale. La magnitudo del PBM raggiunto dipende non solo dal potenziale genetico (razza, sesso, ereditarietà), ma anche da
fattori nutrizionali (introito di calcio), disturbi dello sviluppo puberale, deficit ormonali o trattamenti farmacologici e fattori
ambientali come la attività fisica. Lo sviluppo di un PBM più elevato durante gli anni adolescenziali protegge nei confronti
della osteoporosi postmenopausale. Questa epoca della vita permette quindi di influenzare il PBM e ridurre quindi il rischio
di osteoporosi nelle successive età. Il fatto di dovere raccomandare buone abitudini alimentari e di comportamento agli adolescenti non è in discussione. Più problematico è influenzare realmente il comportamento in questa età particolare che è l’adolescenza, promuovendo buone e sane abitudini alimentari e incoraggiando una moderata attività fisica e quindi combattendo la sedentarietà. È noto tuttavia quanto sia difficile nella pratica influenzare il comportamento degli adolescenti, i quali
sempre più sono condizionati da stereotipi estetici di magrezza e da abitudini alimentari incongrue piuttosto che dai buoni
consigli. È quindi utile promuovere già nei bambini, prima della adolescenza, le buone abitudini alimentari ed essere preparati ad approfittare di ogni momento utile per l’educazione alla salute durante l’adolescenza
Parole chiave: calcio, adolescenza, picco massa ossea, osteoporosi/osteopenia.
Calcium intake and adolescents
Summary
Adolescence is a period of rapid skeletal growth during which nearly half of the adult skeletal mass is accrued
and the peak bone mass (PBM) is reached. The magnitude of PBM achieved depends not only on genetic potential (race,
sex, and heredity), but also on nutritional factors (calcium intake), disorders in timing of puberty, hormonal deficiency or pharmacological treatments and environmental factors as well as physical activity. The development of a higher peak bone mass
during adolescent years protects against postmenopausal osteoporosis. This life stage is a window of opportunity for influencing PBM and reducing the risk of osteoporosis later in life. Recommending good nutritional and behavioural habits to adolescents for bone health is not particularly controversial. More problematic is how to influence the behavior of this particular
group, the adolescents, promoting good and healthy nutritional habits and encouraging a moderate physical activity. But teenagers, and expecially girls, are notoriously concerned about body image and frequently respond more to peer pressure than
to good advice. Therefore, it is wise to instill in children good eating habits before adolescence and to be armed with facts
for every teachable moment for adolescents.
Key words: calcium, adolescents, peak bone mass, osteoporosis/osteopenia.
Introduzione
Il calcio è un elemento essenziale per la salute ed per il benessere, ed è un costituente fondamentale del nostro organismo.
Il 99% di questo minerale si trova immagazzinato nelle ossa e nei
denti, sotto forma di fosfato tricalcico-idrossiapatite, fluoruro e car-
bonato, e svolge prevalentemente funzioni di sostegno e di riserva. La quota che resta in circolo, legata a proteine ed anioni o in
forma ionica, è invece coinvolta in molteplici e complesse funzioni
biologiche, come la regolazione della permeabilità delle membra-
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
ne cellulari, la modulazione dell’eccitabilità neuromuscolare e della
contrazione delle miofibre, i processi della coagulazione ed il funzionamento di numerose attività enzimatiche.
Il contenuto corporeo di calcio aumenta con l’età, passando dai
20-30 grammi alla nascita, a 900-1200 grammi circa in età adulta. È un micronutriente essenziale e deve essere introdotto dall’esterno con la dieta. Il suo complesso metabolismo è finemente controllato da un sistema di ormoni (paratormone, calcitonina, vitamina D, estrogeni, ormone della crescita ed altri
ancora) che ne regolano assorbimento, concentrazione plasmatica, escrezione e disponibilità per il tessuto osseo.
modificare in modo significativo la biodisponibilità del calcio per
le funzioni biologiche.
Alcuni costituenti della dieta inibiscono l’assorbimento del calcio mentre altri lo aumentano (Tabella 1). Alcuni zuccheri, tra cui
lattosio, fruttosio e xilosio, riescono a promuovere l’assorbimento di calcio; per esempio nei latticini la presenza del lattosio ed
in misura minore degli altri disaccaridi, favorendo i processi fermentativi che riducono il pH del lume intestinale, aumenta la
solubilizzazione e l’assorbimento del calcio. Alcuni aminoacidi,
per lo più L-lisina e L-arginina, ed in misura minore L-leucina, Ltriptofano e L-metionina, possono accrescere l’assorbimento
del calcio. Al contrario l’acido ossalico e gli ossalati, contenuti
negli spinaci, in molti altri vegetali a foglia larga, fagioli, rabarbaro e té sono potenti inibitori dell’assorbimento del calcio, chelandolo nell’intestino. L’acido fitico, la forma di stoccaggio del
fosforo nei semi e i fitati (fosfati inorganici) presenti nelle fibre
vegetali, o i fosfati, nelle carni, sono moderati inibitori dell’assorbimento del calcio, poiché tendono a formare dei complessi
insolubili che ne favoriscono l’eliminazione intestinale.
Gli effetti negativi di fibre, fitati e ossalati sull’assorbimento e
metabolismo del calcio sono intensificati in bambini che seguono diete macrobiotiche (riso grezzo, legumi e verdure ad alto
contenuto di fibre, alghe, alimenti fermentati, noci, semi e frutta,
specialmente cotta) e che spesso evitano anche latte e latticini.
L’eccesso dietetico di acidi grassi saturi a catena lunga, ed in
particolare di acido stearico e palmitico, riduce l’assorbimento
di calcio; essi infatti formano con il calcio saponi insolubili nel
lume intestinale. La disponibilità del calcio diminuisce con l’aumentare della lunghezza della catena degli acidi grassi.
Una dieta ricca in proteine ha l’effetto di favorire leggermente
l’assorbimento di calcio, ma anche di aumentarne l’escrezione
urinaria. La caffeina ed un elevato contenuto di sodio aumenta-
Biodisponibilità
La maggior parte del calcio negli alimenti è sotto forma di complessi con altri costituenti dietetici. Questi complessi vengono
decomposti ed il calcio è rilasciato in forma solubile, possibilmente ionizzata, prima di essere assorbito. L’assorbimento del
calcio avviene nel duodeno e digiuno prossimale, dove è assorbito con meccanismo di trasporto attivo e saturabile ed è ridotto in presenza di acloridria. I maggiori determinanti dell’assorbimento del calcio sono la quantità di calcio biodisponibile introdotto con la dieta e lo status della vitamina D.
Il calcio è contenuto in un gran numero di alimenti comuni; a
varie concentrazioni si trova anche nell’acqua, tuttavia i prodotti derivati dal latte e alcuni tipi di legumi e di verdura costituiscono la fonte principale di assunzione. Per calcolare l’introito di
calcio, oltre a quantificarne il contenuto nei singoli alimenti,
occorre considerarne la biodisponibilità, cioè la quantità dell’elemento che viene realmente assorbita e utilizzata dall’organismo. La composizione di un determinato alimento può infatti
Tabella 1. Fattori dietetici che influenzano, tramite l’assorbimento intestinale o l’escrezione urinaria, il bilancio del calcio.
Aumento dell’assorbimento di calcio
Diminuzione dell’assorbimento di calcio
Alcuni zuccheri (lattosio, fruttosio, xilosio)
Fibre
Alcuni aminoacidi (L-lisina, L-arginina)
Fitati
Trigliceridi a catena media
Ossalati
Citrati
Contenuto dietetico ricco di fosfati
Caseina
Acidi grassi a catena lunga (palmitico, stearico)
Contenuto dietetico ricco di proteine
Alcool
Competizione con altri minerali (Mg, Fe, Zn)
Aumento escrezione urinaria
Contenuto dietetico ricco di sodio
Contenuto dietetico ricco di proteine
Caffeina
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Calcio e adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
Tabella 2. Livelli di assunzione raccomandati di calcio (mg/die).
Età
1-3 anni
Italia: LARN 1996 12
800
USA: NAS 1997 2
500
4-6 anni
7-8 anni
800
1000
800
800
9-10 anni
11-18 anni
1000
1200
1300
1300
mente a favore di quest’ultimo, con conseguente riduzione dell’assorbimento di calcio. Un consumo eccessivo e protratto di
questi alimenti potrebbe indurre una stimolazione cronica della
secrezione di PTH con riassorbimento osseo.
no l’escrezione urinaria di calcio, mentre l’alcool influisce negativamente sul metabolismo del calcio e della vitamina D.
Il cloruro di sodio è un importante determinante della escrezione
urinaria di calcio. Un esagerato impiego di sale può forzare l’eliminazione urinaria del calcio, dato che l’escrezione del sodio coinvolge forzatamente il calcio. Per ogni grammo di sodio in più introdotto, vengono escreti e persi con le urine circa 26 mg di calcio in
ragazze adolescenti. Al contrario, per ogni grammo addizionale di
proteine consumate, viene escreto con le urine solo 1 mg di calcio
in più. Con una dieta ricca di sodio è quindi necessario un maggior apporto di calcio per la normalizzazione della calcemia che
altrimenti avverrebbe a spese della riserva ossea.
Negli ultimi anni il consumo di alimenti ad alto contenuto di fosfati, come additivo e nelle bibite, è aumentato considerevolmente.
L’alto contenuto dietetico di fosfati può causare maggiore escrezione di calcio con le feci; si può quindi sviluppare ipocalcemia
con iperparatiroidismo secondario e maggiore concentrazione di
1-25(OH)2D. L’aumentata funzione paratiroidea potrebbe influire
sul turnover osseo, riducendo il picco di massa ossea.
La competizione con altri minerali (cationi bivalenti come
magnesio e ferro) a livello dei siti di trasporto riduce l’assorbimento, mentre la formazione di complessi molecolari con il
citrato e con alcune proteine, come ad esempio la caseina, lo
favorisce. In pratica, quindi il fabbisogno di calcio per il singolo
individuo dipende dagli introiti di altri costituenti alimentari: ne
consegue incertezza nello stabilire anche i fabbisogni.
Nella dieta della popolazione italiana i prodotti lattiero-caseari
forniscono circa i due terzi dei fabbisogni raccomandati; i vegetali il 12%, i cereali l’8,5%, le carni ed il pesce il 6,5% (1).
Nei prodotti lattiero-caseari, il calcio si trova in forma organica
(legato alla serina e all’acido glutammico della caseina) e inorganica (sotto forma di citrato e di fosfato) con buone premesse
per un corretto assorbimento. Il calcio nel latte (fosfato di calcio)
viene assorbito meglio di una uguale quantità di ossalato di calcio. Duecentocinquanta ml di latte (due bicchieri) forniscono
circa 310 mg di calcio altamente utilizzabile, mentre 125 g di
yogurth integrano altri 150 mg di calcio. Tutti i formaggi stagionati hanno un favorevole rapporto calcio-fosforo per un ottimo
assorbimento di calcio. In altri alimenti, come uova, carni, prodotti della pesca e legumi, il rapporto calcio-fosforo è netta-
Fabbisogni
Grazie alla disponibilità in natura ed alla precisa regolazione
ormonale, le situazioni carenziali di calcio non sono di frequente osservazione. Una dieta adeguata in calcio è benefica per lo
stato di salute dell’osso, ma sembra avere un effetto protettivo
anche nei confronti dell’ipertensione arteriosa, dell’assorbimento di ossalati e della calcolosi urinaria.
L’assunzione di calcio, ad ogni età, deve soddisfare le necessità dell’organismo, che variano in modo importante dall’età
infantile all’età adulta, come evidenziano le tabelle dei livelli di
assunzione raccomandati (Tabella 2) (2).
Per il raggiungimento di una buona ossificazione l’apporto dietetico di calcio deve essere adeguato alle esigenze della crescita e mantenere in questo periodo un bilancio netto positivo
tra le entrate e le uscite.
Studi di cinetica hanno dimostrato un aumento sia dell’assorbimento che della deposizione di calcio nello scheletro nelle
prime fasi della pubertà. La deposizione di calcio raggiunge un
massimo nelle femmine appena prima del menarca, quando il
rapporto di deposizione di calcio è approssimativamente cinque volte quello dell’adulto, mentre comincia a diminuire gradualmente dopo il menarca (3).
I valori più elevati di ritenzione del calcio si osservano durante
l’adolescenza e sono dell’ordine di 282 mg/die per i ragazzi e di
212 mg/die per le ragazze (4).
Con apporti di 930 mg/die, il coefficiente di assorbimento intestinale del calcio aumenta in maniera transitoria dal 27,7% nelle
bambine prepuberi di 7,7 anni, al 34,4% all’inizio della pubertà
a 10,9 anni, per ritornare al 25% alla fine della pubertà a 15,2
anni. Nello stesso periodo le adolescenti mobilizzano dallo
scheletro e ne depositano una maggior quantità di calcio
(rispettivamente 1177 e 1459 mg/die) in confronto alle donne
adulte (rispettivamente 542 e 501 mg/die) (5).
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
relativo della resistenza ossea e, di conseguenza, di un aumentato rischio di fratture; quindi il raggiungimento di un elevato PBM è
importante per diminuire le fratture non solo in epoca postmenopausale, ma anche in età adolescenziale. Una alterazione della
crescita ossea o una crescita ossea subottimale alla pubertà si traducono alla fine in un PBM meno elevato.
Per quanto riguarda la componente genetica, testimoniata da differenze razziali e da un’aggregazione familiare nell’incidenza della
patologia, sono stati candidati diversi geni. È stato indagato il ruolo
di polimorfismi nel gene che codifica per il recettore della vitamina
D (VDR) e in quello che codifica per il recettore degli estrogeni.
Sono stati anche studiati altri geni: IGF-1 (insulin-like growth factor
I), COLIA1 (collagen type 1 alfa1), IL-6 (interleukin-6); ma nessun
studio finora ha dato risultati traducibili nella pratica clinica.
I giovani di razza nera hanno una mineralizzazione ossea significativamente maggiore prima e dopo la pubertà con maggiore
PBM rispetto ai coetanei bianchi, dovute a differenze razziali nella
ritenzione di calcio durante l’adolescenza (9).
Sulla base di questa variabilità interetnica del PBM, è stato stimato che almeno il 60-80% della varianza del PBM sia secondario a fattori ereditari. L’identificazione dei fattori genetici è
importante per individuare tempestivamente i soggetti a rischio
di sviluppare osteoporosi; tuttavia su questo fronte le possibilità
di correggere la situazione sfavorevole sono al momento nulle,
né è possibile pianificare un programma di prevenzione.
Consentire uno sviluppo appropriato delle ossa vuol dire raggiungere un PBM massimale rispetto alle potenzialità individuali. Fattori ambientali come il calcio nella dieta e l’esercizio fisico
possono influenzare fino al 20 % del PBM.
Raggiunto il PBM, dopo alcuni anni di stazionarietà, nell’osso prevalgono i processi di riassorbimento che ne riducono il contenuto
minerale. Alla progressiva demineralizzazione dello scheletro, con
aumento della fragilità ossea e, oltre una certa soglia, delle fratture, consegue il quadro patologico dell’osteoporosi, una malattia
dall’impatto sociale continuamente crescente.
La resistenza dell’osso adulto riflette fattori che regolano la qualità dell’osso (determinata dall’architettura) e la densità (massa
ossea o quantità di calcio depositato per unità di osso) acquisita durante l’infanzia e l’adolescenza.
Poiché nella popolazione normale dopo una certa età è inesorabile la perdita di massa ossea, la magnitudo del PBM raggiunto determina il rischio individuale per lo sviluppo di osteopenia e osteoporosi e quindi di fragilità ossea e di fratture.
Sono molti i fattori, costituzionali o legati allo stile di vita, che determinano il declino strutturale dello scheletro e che fanno aumentare il rischio di fratture con il progredire dell’età, ma quanto migliore è il PBM di partenza, tanto più favorevoli sono le aspettative di
salute (10).
Come accade in molte patologie croniche che si manifestano in
età adulta, anche le radici dell’osteoporosi sono da ricercarsi in
epoca precoce: “l’osteoporosi è una patologia di interesse pediatrico”. Nella definizione data dall’Organizzazione Mondiale della
Nel periodo di massimo accrescimento l’incremento giornaliero di
calcio nello scheletro varia da 290 a 400 mg/die nei maschi e da
210 a 240 mg/die nelle femmine. Nelle ragazze adolescenti una
ritenzione aumentata di calcio nelle ossa, con elevati introiti di calcio, è attribuibile ad un aumento dell’assorbimento e a una diminuzione nel riassorbimento osseo.
Gli apporti dietetici raccomandati (RDA) italiani per il calcio suggeriscono un apporto di 1200 mg/die dai 10 ai 17 anni di età, mentre gli RDA USA suggeriscono un apporto ancora maggiore, 12001500 mg/die dagli 11 ai 24 anni.
Un introito di calcio di 1200 mg/die dà luogo ad una ritenzione
media pari al 57% del valore massimale mentre un introito di 1300
mg/die di calcio sarebbe il minimo introito che permetta ad alcune
adolescenti di raggiungere il 100% di ritenzione massima di calcio.
Questi dati supportano l’idea che la ritenzione di calcio ad un certo
punto arrivi ad un plateau, anche se continua ad aumentare fino
ad introiti superiori ai 2 g al giorno.
Picco di massa ossea (PBM)
La mineralizzazione ossea è un carattere multifattoriale, determinato dall’interazione di fattori genetici e ambientali. Ogni individuo
ha un potenziale genetico di sviluppo della massa ossea che viene
pienamente raggiunto solo se i fattori ambientali, come la attività
fisica e la nutrizione, sono ottimizzati.
Nei soggetti sani, la massa ossea si accresce durante tutta l’infanzia, con un massimo durante la fase puberale precoce e intermedia (PBM), mentre rallenta in fase puberale tardiva, raggiungendo il PBM definito come la densità minerale ossea (BMD: Bone
Mineral Density) massimale (6), alla fine dell’adolescenza.
Nei bambini e negli adolescenti un bilancio di calcio positivo è
necessario per l’accrescimento scheletrico. Una assunzione di
calcio dietetico deficitaria può causare un mancato raggiungimento del PBM, con osteoporosi, ridotta integrità scheletrica ed
aumentato rischio di fratture in età adulta.
Circa la metà della massa scheletrica adulta si accumula nei 3
anni precedenti e successivi l’età di picco massimo di crescita
puberale. L’età precisa alla quale il PBM viene raggiunto è dipendente sia dal metodo che dalla sede di misurazione. La gran parte
della BMD in sede lombare e femorale viene raggiunta circa a
14,5-16,0 anni nelle ragazze e a 16,5-18,0 anni nei ragazzi.
La BMD lombare continua ad aumentare dopo il completamento
della crescita, raggiungendo il PBM 1-2 anni più tardi.
La magnitudo del PBM raggiunto (6) dipende non solo dal potenziale genetico (razza, sesso, eredità), da fattori nutrizionali (introito
di calcio) e da fattori ambientali (attività fisica), ma anche da fattori ormonali (effetti del GH e IGF-I, steroidi sessuali) (7), e quindi da
alterazioni della maturazione puberale, deficit ormonali o trattamenti farmacologici (8).
Lo sviluppo rapido della massa muscolare al momento della accelerazione della crescita peripuberale è responsabile di un deficit
8
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Calcio e adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
bisogni e i contenuti in calcio dei vari alimenti. Questa mancanza
di informazioni può essere una delle cause dell’apporto subottimale di calcio in questa fascia di età.
In Italia è stato calcolato che l’assunzione media di calcio da parte
degli adolescenti sia di 757 mg/die, contro i 1200 mg raccomandati (12).
Migliore è la situazione nei Paesi del Nord, (superiori ai 1.000
mg/die in Danimarca e in Irlanda), per il maggior consumo di latte
e derivati. In uno studio Multicentrico Europeo (13) in ragazze dagli
11 ai 15 anni l’introito di calcio variava dai 609 mg/giorno in Italia ai
1267 mg/giorno in Finlandia, senza però variazioni significative del
BMD radiale.
Anche negli USA gli apporti medi sono molto al di sotto di quelli
raccomandati, essendo in media 889 mg/die tra i 9-13 anni e 713
mg/die tra 14-18 anni. Questi apporti risultano senz’altro deficitari,
e nel periodo puberale possono non essere sufficienti per una
ritenzione massimale del minerale, tanto che si consiglia di
aumentare l’intake di calcio in questo periodo. Che uno scarso
introito penalizzi il PBM è dimostrato dal fatto che i ragazzi/e con
valori densitometrici, espressi come Z-score, inferiori a –1, abbiano per il 93 % (a livello delle vertebre lombari) e per l’84 % (a livello del femore) un introito di calcio inferiore a 1000 mg/die (14).
Si stima che solo il 25% dei ragazzi e il 10% delle ragazze tra i 9 e
17 anni sia in linea con le raccomandazioni. I fattori che contribuiscono allo scarso apporto di calcio sono la restrizione dei derivati
del latte, un consumo generalmente basso di frutta e verdura e
invece un elevato consumo di bevande a basso contenuto di calcio, come bibite gasate e ricche di fosfati.
Sanità essa è presentata come “malattia generalizzata dello scheletro, caratterizzata da riduzione della massa ossea e alterazione
microstrutturale del tessuto osseo, responsabili di una incrementata fragilità dello stesso e di un conseguente aumento del rischio di
fratture”.
Nei Paesi dove maggiore è la speranza di vita, questa patologia si
configura come un vero problema di sanità pubblica a causa della
morbilità, della mortalità, dell’alto costo sociale delle fratture e dell’invalidità che spesso ne consegue.
In Italia, (International Osteporosis Fondation, 2001; Indagine CEISUniversità degli Studi di Roma Tor Vergata-FIMMG) soffrono di
osteoporosi circa 5 milioni di persone (il 4,4% delle donne dai 40
ai 49 anni e ben il 41,3% delle donne di età compresa fra i 70 e i
79 anni). Di questi pazienti circa 2 milioni sono considerati a rischio
di fratture con punte annue di 78.000 fratture di femore e 100.000
fratture vertebrali, con notevoli costi sanitari.
Di fronte a questi dati la prevenzione è un obbiettivo importante ed
il raggiungimento per il maggior numero di persone del PBM ottimale per le proprie caratteristiche è un risultato auspicabile.
Studi epidemiologici
sulla assunzione di calcio
La massa ossea viene influenzata dalla assunzione di calcio, con
un rapporto di correlazione positivo tra le due variabili.
In uno studio (11) condotto tramite questionari su una popolazione di 1.117 adolescenti (52% femmine e 48 % maschi) è emersa
una buona consapevolezza da parte dei ragazzi circa l’importanza del calcio per la crescita e la salute delle ossa (92%), mantenuta però in termini molto generici, mancando nello specifico
cognizione dei livelli di assunzione consigliati né del contenuto in
calcio degli alimenti. Solo il 60 % sapeva che l’adolescenza è un
periodo critico per l’accrescimento della massa ossea. Solo il 19
% conosceva i fabbisogni raccomandati di calcio e solo il 10 %
aveva una idea del contenuto in calcio di vari alimenti. Il 45% dei
giovani che hanno collaborato al questionario non sapeva che ci
sono altre fonti alimentari di calcio oltre ai latticini, consumati abitualmente dal 79% di essi. In base alle risposte dei non consumatori, le cause principali che portano ad evitare i derivati del latte
sono legate al gradimento o a forme allergiche o di intolleranza.
Il 55% dei ragazzi asserisce di aver ricavato le proprie informazioni dagli insegnanti, ed il 46% dai genitori; solo il 38% aveva avuto
informazioni da fonti sanitarie sui benefici del calcio nell’alimentazione. In un terzo dei casi era presente una supplementazione
giornaliera con polivitaminici e minerali, che apportavano nel 68%
dei casi in media 100-200 mg di calcio al giorno.
L’introito calcolato (cibi, bevande e supplementi) era di 536 ±19
mg/24 h (45% dei RDA) nelle ragazze e 681 ± 28 mg/24 h (57%
dei RDA) nei ragazzi.
Nel complesso gli adolescenti sono coscienti dei vantaggi per la
salute del calcio, ma mancano di conoscenze specifiche sui fab-
Studi con supplementazione di
calcio nell’infanzia e adolescenza
Molti studi randomizzati in bambini ed adolescenti hanno dimostrato che un’assunzione addizionale di calcio rispetto ad un introito adeguato, anche tramite cibi fortificati o prodotti lattiero-caseari, migliori il PBM dei giovani in crescita.
Già nel 1992 uno studio condotto in doppio cieco (15) in coppie di
gemelli identici in età puberale, evidenziò che un supplemento
giornaliero di 1.000 mg di Calcio, assunto da uno solo dei due
gemelli, comportava un significativo aumento della mineralizzazione ossea, per quanto nell’altro gemello l’introito giornaliero di calcio fosse considerato sufficiente. In un altro studio condotto su
adolescenti femmine, la supplementazione con calcio e con derivati del latte aveva un’influenza positiva sulla densità minerale
ossea dell’anca e dell’avambraccio (16).
Altri studi dimostrano un aumento della massa minerale ossea in
bambini ed adolescenti a basso introito di calcio, supplementati
per periodi da 12 a 36 mesi (17).
La supplementazione con calcio nel bambino prepubere sembra
essere più efficace sullo scheletro appendicolare (diafisi radiali e
femorali) che non sullo scheletro assiale, ricco di elementi trabe-
9
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
dell’osso erano ancora presenti dopo 3 anni dall’arresto della
supplementazione (21); pertanto il fosfato di calcio estratto dal
latte assunto durante il periodo prepuberale può modificare la
curva di crescita della massa ossea e determinare un persistente aumento dell’accrescimento della massa ossea che perdura oltre la sospensione dell’integrazione; naturalmente per
vedere l’effetto definitivo bisognerà seguire questi soggetti fino
al raggiungimento del PBM.
Al contrario sali diversi (citrato malato, carbonato), utilizzati in
femmine pre- o peripuberali, non sembrano avere effetti sulle
dimensioni ossee, né avere effetti duraturi dopo l’arresto della
supplementazione. Bisogna comunque sottolineare la grande
variabilità interindividuale nella risposta alla supplementazione
con calcio, imputabile forse in parte a polimorfismi dei geni
responsabili della massa ossea (es. VDR).
Dal momento che sono sufficienti piccoli accorgimenti dietetici per
rendere le fonti di calcio facilmente accessibili, il motivo di un’assunzione inadeguata va probabilmente ricercato nelle abitudini dei
nostri adolescenti. Un’informazione più completa, nell’ambito di un
programma di educazione alla salute, potrebbe migliorare il comportamento alimentare dei giovani; tuttavia possono sussistere
resistenze, come ad esempio il desiderio di incarnare stereotipi
estetici improntati alla magrezza, i conflitti alimentari collegati a
questo desiderio, l’abitudine a consumare frettolosi pasti nei fastfood e la frequente assunzione di bibite gassate che , contenendo
fosfati, riducono l’assorbimento intestinale di calcio.
Se questi errori dietetici rappresentano un rischio in situazioni di
sviluppo fisiologico, diventano seriamente pericolosi per la salute
dell’osso in altre condizioni.
La situazione è particolarmente importante poiché sembra che la
supplementazione con calcio non sia così efficace invece nelle età
più avanzate. Infatti una metaanalisi degli studi relativi agli effetti
del calcio sulla densità ossea e alle fratture nelle donne in menopausa (15 trials - 1.806 pazienti) ha evidenziato che il calcio è efficace nel ridurre il tasso di perdita ossea solo dopo 2 o più anni di
trattamento. La supplementazione con calcio ha quindi un piccolo effetto positivo sulla densità ossea, con un trend di riduzione
delle fratture vertebrali, ma senza un chiaro effetto nella riduzione
delle fratture non vertebrali a questa età (22).
La supplementazione con calcio non ha effetti avversi; infatti una
supplementazione a lungo termine con calcio (introito totale 1.500
mg/die) non ha influenze sul metabolismo del ferro, probabilmente per un aumento (up-regulation) del suo assorbimento, né altera
l’assorbimento o i depositi di magnesio e zinco.
colari (colonna lombare) o a livello dell’anca (collo femorale e trocantere). Lo scheletro sembra rispondere anche meglio ad una
supplementazione con calcio prima dell’inizio del periodo puberale o in corrispondenza del menarca (18), con beneficio particolarmente evidente in soggetti con una alimentazione spontanea
povera di calcio. Un aumento dell’apporto latteo, e quindi di calcio, potrebbe modificare la traiettoria di crescita ossea ed aumentare di fatto il PBM e proteggere dal rischio futuro di fratture osteoporotiche. Anche l’aumento dell’apporto dietetico di calcio tramite
cibi arricchiti (succo d’arancia, cornflakes, etc.) avrebbe un effetto
positivo sull’ossificazione.
L’uso di prodotti lattiero-caseari innalza la BMD senza innalzamento del peso e della percentuale di grasso corporeo. Tuttavia le
diete ricche di prodotti lattiero-caseari sono difficili da portare
avanti, almeno in modo autonomo; per cui dopo un certo periodo
(12 mesi) dalla fine della supplementazione, le ragazze, che in
genere temono di ingrassare, ritornano alle loro diete di base.
I prodotti lattiero-caseari avrebbero un ruolo positivo anche sulla
mineralizzazione della colonna, il che non avverrebbe con la supplementazione calcica. Il calcio agirebbe sull’accrescimento
influenzando prima di tutto la densità minerale ossea volumetrica,
mentre il latte potrebbe avere un ulteriore impatto sulla crescita
ossea e sulla espansione periostale ossea (19).
I sali di calcio utilizzati per la supplementazione sembrano modulare la natura della risposta ossea. La risposta al fosfato di calcio
estratto dal latte sarebbe diversa da quella osservata con altri sali,
con un aumento della BMD associato all’aumento delle dimensioni ossee, ma analoga a quella ottenuta con il latte intero.
Come per la attività fisica, la maggior parte dei dati sull’apporto
di calcio sono compatibili con un modello “a doppia soglia”. Da
un lato della distribuzione normale, esisterebbe una soglia
bassa, all’incirca su valori di 400-500 mg/die al di sotto della
quale si trova una relazione positiva tra PBM e gli apporti abituali
di calcio. Dall’altra parte esisterebbe una soglia “elevata”, fissata a circa 1.600 mg/die, al di sopra della quale, per altri meccanismi, gli apporti di calcio potrebbero avere una moderata
influenza positiva sull’accrescimento della massa ossea.
I valori di queste due soglie potrebbero inoltre variare in funzione dello stadio di sviluppo puberale. Tra i meccanismi ipotizzati
per spiegare come l’aumento dell’introito di calcio possa portare agli effetti descritti, c’è la riduzione del turnover dell’osso, in
quanto sono stati riscontrati bassi livelli sierici di osteocalcina,
marker di rimodellamento osseo. Sappiamo però da studi retrospettivi che donne con scarso apporto di latte durante l’infanzia
e l’adolescenza hanno una massa ossea minore nella vita adulta e un maggiore rischio di fratture (20).
Importante è, comunque, sapere se i guadagni risultanti dopo
un intervento di supplementazione persistono o meno dopo la
loro interruzione. La risposta è ambigua, perché potrebbe
dipendere dal tipo di risposta ossea osservata, essa stessa
condizionata dal tipo di sale utilizzato. Nel caso sempre del
fosfato di calcio le differenze positive sulla BMD e le dimensioni
a. Calcio e vitamina D
Essenziale per il metabolismo del calcio è la vitamina D, che stimola la sintesi di una proteina legante il calcio nelle cellule della
mucosa intestinale, intensificando in tal modo il trasporto attivo del
calcio ed aumentandone l’assorbimento. La vitamina D, inoltre,
contribuisce al riassorbimento osseo e a liberare calcio dallo scheletro rilasciandolo in circolo, mantenendo in tal modo concentra-
10
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Calcio e adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
zioni circolanti di ioni calcio favorevoli ad una normale mineralizzazione dell’osso. In una popolazione di giovani irlandesi è stato
dimostrato un effetto positivo dell’assunzione di vitamina D sulla
BMD (23).
I dati emersi indicano che in particolari condizioni, soprattutto nelle
regioni del Nord Europa in cui l’esposizione ai raggi ultravioletti può
essere sfavorevole alla trasformazione della vitamina D nei suoi
composti attivi, una supplementazione con la stessa può migliorare la calcificazione dell’osso e svolgere un’azione protettiva verso lo
sviluppo di osteoporosi. I risultati di questi lavori peraltro, proprio in
quanto limitati solo ad alcune situazioni, non hanno comportato la
revisione ufficiale dei livelli di assunzione consigliata, sottolineandone l’utilità di una profilassi solo in casi selezionati, ritenuti a rischio.
Ragazze, durante la pubertà, con ipovitaminosi D sembrano essere a rischio di non raggiungere il PBM massimale, particolarmente
alla colonna lombare. In questi casi occorre considerare un arricchimento della dieta o una supplementazione con vitamina D (24).
Un deficit di vitamina D è molto comune ad esempio nei giovani
maschi Finlandesi durante l’inverno e può avere effetti negativi sulla
acquisizione del PBM massimale; ne conseguirebbe la necessità di
una supplementazione come profilassi della osteoporosi (25).
In adolescenti con bassi introiti dietetici di calcio un trattamento
“urto” con vitamina D3 è sufficiente a mantenere concentrazioni di
25(OH)D ai loro livelli estivi per tutto il periodo invernale, per prevenire un eccessivo rialzo dei livelli invernali di paratormone (26).
Anche un intervento sul metabolismo fosfo-calcico limitato al primo
anno di vita modificherebbe la traiettoria di crescita ossea. Un supplemento con vitamina D di 400 UI/die (10 µg/die) dato ai lattanti
in media per un anno porterebbe ai 7-9 anni ad un aumento significativo del BMD per area, specie al collo femorale, al trocantere e
alla metafisi radiale (27).
Questi semplici esercizi possono essere utili nel promuovere la
crescita ossea all’anca e, così, aumentare la massa ossea.
L’attività fisica costante, la forma fisica e l’indice di massa corporea contribuiscono tutti alla massa ossea adulta.
La rilevanza clinica di questo fatto è che questi aspetti appartengono allo stile di vita e sono aspetti che possono essere
modificati in modo fattibile. Studi di intervento devono essere
focalizzati per assicurare un adeguato apporto di calcio e a
minimizzare le abitudini sedentarie durante la pubertà.
Tabella 3.
Fattori di rischio per lo sviluppo di osteopenia.
NUTRIZIONALI O INTESTINALI
•
•
•
•
•
•
•
Rachitismo carenziale
Malattie gastro-intestinali (malattie infiammatorie croniche intestinali, celiachia, intolleranza al lattosio)
Fibrosi cistica
Anoressia nervosa
Allattamento di madre adolescente
Allergia alle proteine del latte vaccino
Malnutrizione
STILI DI VITA
•
•
•
•
•
•
b. Calcio ed esercizio fisico
La supplementazione di calcio e l’esercizio fisico migliorano insieme lo stato minerale osseo nelle adolescenti femmine (28).
Se questo sia un beneficio duraturo che porti ad una ottimizzazione del PBM e a una riduzione del rischio di fratture, resta da determinare. Durante lo sviluppo del PBM, introiti di calcio inferiori a 1 g
sono associati a più bassi livelli di densità minerale ossea. Quando
l’introito si avvicina agli apporti raccomandati, l’attività fisica è un
fattore più importante di predizione della BMD che non l’introito di
calcio (29).
L’attività fisica ad elevato impatto meccanico è estremamente
importante e benefica per la acquisizione di BMD, specie all’anca, durante gli anni peripuberali. Le adolescenti che fanno attività fisica ogni giorno mostrano livelli di BMD all’anca significativamente più elevati rispetto a loro coetanee con abitudini
sedentarie. L’effetto benefico a livello del contenuto minerale
osseo (BMC) e l’area ossea al collo femorale dopo un periodo
di training di esercizi di elevato impatto meccanico, quali i salti,
viene mantenuto dopo un equivalente tempo di mancato allenamento (30).
Diete dimagranti esagerate
Sedentarietà
Abitudini alimentari incongrue (diete iper/ipoproteiche,
eccesso di sodio, di cola, di caffè, scarso apporto di
calcio, bevande gasate e succhi di frutta preconfezionati, alimenti da fast food, ridotta assunzione di latticini)
Tabagismo
Alcoolismo
Ridotta esposizione ai raggi solari
ORMONALI
•
•
•
•
•
Ipogonadismo/Deficit di steroidi sessuali
Morbo di Cushing
Diabete mellito
Deficit di GH
Ipertiroidismo
FARMACI
•
•
•
•
Glucocorticoterapia prolungata
Utilizzo cronico di anticonvulsivanti
Uso prolungato di chemioterapia antineoplastica
Analoghi del GnRH
IDIOPATICI
•
•
•
11
Osteoporosi idiopatica giovanile
Displasie scheletriche
Immobilizzazione prolungata
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
per il frequente danneggiamento del sistema endocrino ipotalamico-ipofisario.
L’aumento della durata della vita nei pazienti affetti da fibrosi
cistica ha fatto emergere in questa popolazione il problema
della fragilità ossea, responsabile di un’incidenza di fratture doppia rispetto ai controlli.
Sono stati studiati gli effetti delle diete di tipo macrobiotico (di
tipo vegetariano), scarse in apporto di calcio e vitamina D, consumate nelle prime fasi della vita, sul metabolismo minerale
osseo durante l’adolescenza. Il contenuto minerale osseo è
stato trovato significativamente più basso nei soggetti a dieta
macrobiotica, sia maschi che femmine (33).
c. Studi in situazioni particolari
Per una corretta mineralizzazione sono fattori di rischio le diete
incongrue, le malattie infiammatorie intestinali, la ridotta esposizione solare, la terapia cronica con anticonvulsivanti, epatopatie
croniche etc.. È infatti noto che molte condizioni patologiche si
accompagnano a una demineralizzazione ossea (Tabella 3).
Tra queste ricordiamo la sindrome di Turner, che è caratterizzata
da un basso valore di PBM, in parte correggibile con la terapia
ormonale a base di ormone della crescita (GH) ed estrogeni.
Anche nella sindrome di Klinefelter viene descritto un aumento
della fragilità ossea e delle fratture e in questo caso sembra che
il trattamento con il testosterone non migliori significativamente
la densità minerale dell’osso.
Disordini endocrini responsabili di una insufficiente formazione
di ormoni sessuali, quali le forme, permanenti o temporanee, di
ipogonadismo ipogonadotropo o, più a valle, i difetti nella produzione ormonale, come il deficit di aromatasi o le alterazioni
recettoriali, sono caratterizzati da scarsa ossificazione. È stato
osservato come uno sviluppo puberale ritardato possa accompagnarsi a PBM ridotto e ad un aumentato rischio di fratture,
anche se il dato è controverso (31); anche la pubertà precoce
trattata rappresenta una condizione di rischio, prevenibile con
una supplementazione adeguata (32).
Altre malattie endocrine che si associano a osteopenia sono i
deficit di GH non trattati, il morbo di Cushing, l’ipertiroidismo e il
diabete mellito insulino dipendente non adeguatamente trattato.
Sono situazioni a rischio le malattie che richiedono un prolungato trattamento con glucocorticoidi, con effetto negativo sull’osso dose-dipendente.
Tra le malattie croniche che possono minare la salute dell’osso
ricordiamo le malattie infiammatorie intestinali e tra queste più
deleterio per lo scheletro è il morbo di Crohn.
In questo gruppo di malattie l’osteopenia ha un’origine multifattoriale in cui giocano un ruolo importante le carenze nutrizionali, una curva di crescita di solito modesta, la pubertà ritardata e
le terapie utilizzate.
Anche i pazienti con celiachia sono a rischio di ridotta densità
ossea; una dieta priva di glutine sembra peraltro consentire la
ripresa di una corretta mineralizzazione.
L’anoressia nervosa è un’altra condizione di rischio molto
importante, soprattutto quando l’esordio è in età adolescenziale. Essa va a compromettere la maturazione ossea in un
momento cruciale dello sviluppo, sia per lo scarso introito alimentare di calcio che per la carenza di ormoni e il conseguente ritardo della pubertà e del menarca. La precoce insorgenza
dell’osteoporosi incombe sul futuro di queste ragazze come una
vera e propria complicanza a lungo termine della anoressia
stessa, prevenendo la formazione di uno scheletro “sano”.
I bambini e gli adolescenti colpiti da malattie oncologiche sviluppano frequentemente osteopenia, per i trattamenti chemioterapici di lunga durata, per l’immobilità conseguente alla gravità
della malattia e, qualora sia necessaria l’irradiazione cranica,
d. Strategie di intervento
L’osteoporosi, come molte affezioni croniche, si manifesta tardi
ma è la consapevolezza del suo lungo iter e dell’influenza dei
fattori ambientali che deve stimolarci ad adottare precocemente
un corretto stile di vita, tanto che la ottimizzazione della nutrizione materna e della crescita intrauterina dovrebbero essere
anch’esse incluse nelle strategie preventive contro le fratture da
osteoporosi, anche per le future generazioni.
Le conoscenze acquisite finora hanno dimostrato che in molti
casi è possibile migliorare sin dall’età pediatrica-adolescenziale
lo stato di salute dell’osso e limitare così le conseguenze del
successivo rimodellamento osseo, che rende lo scheletro più
fragile. In tutti i soggetti con bassa assunzione di calcio o con
condizioni che possono predisporre alla osteoporosi dovrebbe
essere valutata la BMD mediante una densitometria ossea.
Abbiamo attualmente la possibilità di identificare quei bambini e
ragazzi che sono geneticamente proni a sviluppare valori di
PBM bassi e verso i quali dovrebbe essere rivolto il massimo
sforzo preventivo.
Il primo passo per la prevenzione consiste nella ottimizzazione del
picco di massa ossea. Al di là di situazioni che richiedono approcci terapeutici, nella maggioranza dei casi semplici modifiche nello
stile di vita, dalla dieta all’esercizio fisico, basterebbero a consentire un’ossificazione corretta con il raggiungimento di un PBM ottimale. Una corretta nutrizione è la base essenziale per una buona
crescita: è importante assicurare con la dieta un apporto di calcio
e di vitamina D prossimo ai LARN; quando, per varie ragioni, ciò
non fosse possibile spontaneamente, è opportuno supplementare la dieta con integratori specifici.
Nella adolescenza questo si ottiene: elevando l’introito di calcio
(1.300 mg/die), sia sotto forma di prodotti lattiero caseari, cibi
fortificati, o supplementazioni, con un adeguato apporto di vitamina D (anche mediante una corretta esposizione al sole) (400
UI/die) e di altri macro e micro-nutrienti, anche incoraggiando
una moderata attività fisica contro gravità e comunque combattendo la sedentarietà.
Per raggiungere gli apporti raccomandati di 1.300 mg/die di calcio, gli adolescenti devono assumere almeno 4 bicchieri di latte
al giorno, o equivalenti, come una tazza di yogurth o 50 g di for-
12
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Calcio e adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
ha mostrato una frazione di assorbimento del 10% più elevata
rispetto al carbonato di calcio. Per migliorare l’assorbimento del
calcio l’integratore dovrebbe essere somministrato con il pasto
in dosi separate, non più di 400-500 mg per volta, evitando la
contemporanea ingestione di grandi quantità di fattori dietetici
che riducano l’assorbimento intestinale del calcio.
Per migliorarne l’effetto, potrebbe essere opportuno somministrare una dose di integrazione a colazione e un’altra prima di
dormire, visto che il riassorbimento osseo stimolato dal PTH
diminuisce durante la notte.
maggio. Le ragazze adolescenti tendono ad evitare i prodotti
lattiero caseari per paura di aumentare di peso, e rimpiazzano il
latte con altri tipi di bevande, soprattutto gasate e succhi di frutta. In questi casi, il calcio deve essere dato preferibilmente per
mezzo di cibi fortificati (il pane, i succhi di frutta si prestano facilmente ad essere arricchiti con il calcio) o attraverso supplementazione. Il vantaggio per lo scheletro di una supplementazione non è mantenuto almeno significativamente dopo la sua
cessazione, e questo suggerisce che per raggiungere un PBM
massimale, deve essere mantenuta una elevata assunzione di
calcio negli adolescenti.
Soggetti intolleranti al lattosio possono avere una ridotta assunzione di calcio in quanto escludono dalla dieta i latticini, alimenti ricchi di calcio. Quindi la carenza di lattasi sembra essere un
fattore che predispone allo sviluppo di osteopenia. In soggetti
con intolleranza al lattosio, si consiglia di utilizzare latte senza
lattosio o con quantitativo ridotto di lattosio, e formaggi stagionati, che contengono solo tracce di lattosio ad un mese dopo la
produzione, yogurth e latte fermentato, il cui contenuto di lattosio è ridotto del 30-40%, a seconda delle colture usate nel processo di fermentazione. Infatti i soggetti con intolleranza al lattosio riescono a tollerare meglio i latticini fermentati che non
quelli non fermentati, poiché i fermentati contengono una notevole quantità di lattasi, localizzata nei microoganismi viventi.
Non bisogna sopravvalutare il ruolo degli integratori e sottovalutare l’importanza di una dieta globalmente corretta, o il danno
rappresentato dal fumo, dall’abuso di bevande alcooliche o alla
cola, o da una vita troppo sedentaria. Una altro aspetto riguarda la particolare attenzione alla cura delle malattie nell’età adolescenziale, specialmente le malattie croniche, che influiscono
direttamente o in seguito a trattamenti medici, sulla salute dello
scheletro, ponendo particolare attenzione a mantenere il normale svolgersi dello sviluppo puberale.
L’introito alimentare di calcio sembra essere inversamente correlato al rischio di sviluppare calcoli, mentre l’assunzione di supplementi del minerale sembra mostrare una associazione positiva. Se l’integrazione viene fatta a digiuno o dopo una colazione leggera o povera di fibre si traduce in rapido assorbimento
del calcio ed in rapida eliminazione a livello renale, con possibilità di sovrasaturazione urinaria e di precipitazione. È importante sia il momento della assunzione dei supplementi per favorirne un assorbimento graduale, sia un adeguato apporto di
acqua. Inoltre l’assorbimento intestinale di calcio è più alto nel
contesto di un pasto che non a stomaco vuoto. Una dieta ricca
di calcio inoltre riduce l’assorbimento di acido ossalico, importante responsabile della formazione di calcoli.
In soggetti con intolleranza al lattosio e in quelli che evitano i latticini per altre ragioni, quali l’avversione, possono essere usati
integratori di calcio. L’assorbimento di calcio da sali di calcio
carbonato, acetato, lattato, gluconato, fosfato e citrato è simile
a quello con latte intero.
Un sale di calcio altamente solubile, il citrato-malato di calcio,
Conclusioni
L’adolescenza è un periodo molto importante per l’accumulo
della massa ossea e la progressione verso il picco di massa
ossea. Gli anni dell’adolescenza costituiscono, quindi, un
momento molto opportuno per influenzare la salute dell’osso
per tutto il resto della vita. Infatti buona parte del picco di massa
ossea viene raggiunto in questo breve periodo del ciclo della
vita ed è ormai accertato che lo sviluppo di un più elevato picco
di massa ossea durante gli anni dell’adolescenza protegge le
donne dall’osteoporosi e dalle fratture postmenopausa.
Fra i vari fattori, endogeni ed esogeni, che possono influenzare
ed ottimizzare il conseguimento del picco di massa ossea,
essenziale risulta il fattore nutrizionale legato all’apporto di calcio e di vitamina D. Infatti una nutrizione non adeguata durante
lo sviluppo puberale con un ridotto apporto calcico o un ridotto
apporto di vitamina D o un’insufficiente esposizione solare, possono risultare in un picco di massa ossea non ottimale e in un
rischio aumentato di fratture nell’adolescenza e nell’età futura.
Il consiglio largamente condiviso sarebbe quello di raggiungere
un apporto ottimale di calcio stimabile intorno a 1.300 mg al giorno. La risposta agli apporti di calcio in termini di guadagno di
massa ossea può essere influenzata da fattori genetici e ambientali, quali l’esercizio fisico. Si ritiene comunque essenziale promuovere ed indurre negli adolescenti buone e sane abitudini alimentari, che possono avere benefici potenzialmente enormi per
migliorare la salute dello scheletro. È noto, tuttavia, quanto sia difficile nella pratica influenzare il comportamento alimentare degli
adolescenti, che spesso sono preoccupati della loro immagine
corporea. Appare quindi molto più utile iniziare la promozione di
corrette abitudini alimentari nei bambini ancor prima dell’adolescenza; tanto più che l’influenza positiva di un aumento dell’apporto calcico con la dieta risulterebbe più sensibile prima della
pubertà che non durante o dopo la maturazione puberale.
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Dr. Franco Antoniazzi
Clinica Pediatrica, Università di Verona
Policlinico “Giambattista Rossi”
Piazza Ludovico Antonio Scuro, 10 - 37134 Verona, Italy
E-mail: [email protected]
20. Kalkwarf HJ, Khoury JC, Lanphear BP. Milk intake during childhood
14
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
La dismenorrea primaria
nell’adolescenza
Vincenzo De Sanctis*, Maria Rita Govoni*, Alessandra Di Stasio**
*U.O. di Pediatria ed Adolescentologia. Arcispedale S. Anna, Ferrara
**Scuola di Specializzazione in Pediatria. Università di Ferrara
Riassunto
La dismenorrea primaria è una condizione di comune osservazione nella età adolescenziale. La prevalenza varia dal 30% al 70% e tipicamente aumenta con l’età cronologica e ginecologica della ragazza. Il dolore mestruale nel 49% dei casi è lieve e nel 14% dei casi severo. Si può accompagnare a cefalea, nausea, vomito e crampi muscolari. Studi recenti indicano che la dismenorrea è principalmente dovuta alla aumentata secrezione di prostaglandine, a
livello endometriale. Attualmente i farmaci più comunemente usati per il trattamento della dismenorrea primaria sono gli
inibitori delle prostaglandine. La dismenorrea secondaria è associata a patologie pelviche ed in particolare alla endometriosi.
Parole chiave: dismenorrea, adolescente, endometriosi.
Primary dysmenorrhea in adolescents
Summary
Primary dysmenorrhea is a common gynaecologic compliant of female adolescents. The prevalence,
during adolescence, falls between 30%-70% and typically increases with chronological and gynaecological age. The
discomfort can range from mild (49%) to severe (14%) and is often accompanied by symptoms such as headache, nausea, vomiting and muscular cramps. Recent advances indicate that prostaglandin levels are elevated in the menstrual
fluid of women with primary dysmenorrhea and that suppression of prostaglandin levels can be improve dysmenorrhea
symptoms. The most common medical treatment for menstrual discomfort are nonsteroidal anti-inflammatory drugs.
Secondary dysmenorrhea is associated with pelvic pathology, particularly if the symptoms occur at a later age, and is
mainly due to endometriosis.
Key words: dysmenorrhea, adolescent, endometriosis.f
Introduzione
Il termine dismenorrea deriva dal greco e letteralmente significa
alterato flusso mestruale, ma è usato come sinonimo di
mestruazione dolorosa (1).
Quasi tutte le donne, in età fertile, riferiscono qualche dolore più
o meno accentuato all’addome all’inizio della mestruazione,
sotto forma di lievi crampi che cessano poco dopo l’inizio del
flusso; si parla propriamente di dismenorrea allorquando la sin-
tomatologia algica assume proporzioni quantitativamente maggiori ed impedisce le normali attività quotidiane della ragazza (1).
Si distinguono 2 forme di dismenorrea:
1. Primaria, si verifica in assenza di anormalità pelviche ed è il
tipo più frequente nel periodo adolescenziale.
2. Secondaria, è rara nell’adolescenza ed è associata ad una
patologia pelvica (endometriosi, adenomiosi, infezioni ed
17
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
infiammazioni pelviche, malformazione congenita degli organi di derivazione mulleriana).
re della dismenorrea primaria e lo score verbale pluridimensionale di valutazione della gravità della dismenorrea.
Un’indagine anamnestica attenta, volta ad evidenziare le caratteristiche del dolore (tipo e localizzazione), i tempi di presentazione rispetto al flusso mestruale, l’età di insorgenza e la familiarità, permettono di indirizzare la diagnosi differenziale, che nel
caso della dismenorrea primaria verrà confermata dalla positiva
risposta ai FANS o estroprogestinici.
La diagnosi di dismenorrea secondaria va invece sospettata in
alcune particolari circostanze:
1. Comparsa della dismenorrea già nel primo o secondo ciclo
mestruale dopo il menarca;
2. Mancata risposta alla terapia con FANS o contraccettivi orali,
eventulmente in associazione;
Epidemiologia
L’incidenza della dismenorrea varia a seconda delle diverse
casistiche (dal 14% al 60% della popolazione femminile). I fattori che determinano questa ampia variabilità dipendono dai campioni di popolazione scelti per lo studio, dal metodo di raccolta
dei dati, dalla definizione utilizzata e dall’età del paziente.
Klein e Litt (2) hanno riscontrato, in una popolazione di 2699
adolescenti, la presenza di dismenorrea nel 59.7% dei casi. Il
dolore veniva descritto come lieve nel 49% dei casi, moderato nel 37% e grave nel 14%. La prevalenza della dismenorrea
variava con l’età cronologica (39% a 12 anni, 72% a 17 anni)
e l’età ginecologica (31% nel primo anno ginecologico, 78%
nel quinto anno ginecologico). In questa sede rivolgeremo
l’attenzione quasi esclusivamente alla dismenorrea primaria,
poiché, oltre ad essere di gran lunga più comune, richiede un
trattamento terapeutico più semplice che può essere intrapreso anche da personale medico non specialistico.
Tabella 1. Fattori endocrini e dismenorrea.
17β estradiolo
Fa aumentare la produzione
endometriale di PGF2 alfa, sia in
fase proliferativa che secretiva.
Progesterone
Nella seconda metà del ciclo è
indispensabile per la formazione
dei fosfolipidi, da cui originano
l’acido arachidonico e quindi le
prostaglandine (Tabella 3).
Vasopressina
Potente stimolatore dell’utero in
fase pre-mestruale.
L’infusione di vasopressina provoca aumento della contrattilità e
diminuzione del flusso ematico,
con aumento dei metaboliti della
PGF2 alfa.
Eziopatogenesi
L’eziologia della dismenorrea non è totalmente chiara.
Nella maggior parte delle pazienti con dismenorrea primaria si è
potuto dimostrare l’esistenza di almeno una delle seguenti anomalie:
1. Aumento del tono basale uterino
2. Aumento delle pressioni intrauterine durante le contrazioni
3. Aumento del numero delle contrazioni
4. Attività incoordinata del muscolo uterino
5. Aumento del lavoro svolto dal miometrio
L’aumentata secrezione, a livello endometriale, di prostaglandine (PG) viene ritenuta la causa principale della dismenorrea primaria. Le PG agiscono sul miometrio determinando un aumento della contrattilità uterina che, a sua volta, provoca vasocostrizione ed ischemia uterina, responsabile del dolore (3).
Le PG sono sotto il controllo degli estrogeni, progesterone e
vasopressina. In particolare, il progesterone sarebbe indispensabile per la formazione di fosfolipidi da cui viene liberato l’acido arachidonico, precursore delle PG (Tabella 1).
Tabella 2. Caratteristiche della dismenorrea primaria.
Sintomatologia e diagnosi
La dismenorrea è caratterizzata da dolori più o meno intensi a
livello dei quadranti addominali inferiori ed in sede lombare,
accompagnata spesso da numerosi sintomi sistemici (3,4).
Nelle Tabelle 2 e 3 vengono riportate le caratteristiche del dolo-
18
Epoca di comparsa
Inizia 6-12 mesi dopo il menarca,
raggiunge la sua massima frequenza a 17-18 anni per poi ridursi nella seconda –terza decade di
vita
Inizio del dolore
Poche ore prima della mestruazione o con l’inizio del flusso
mestruale
Durata del dolore
Da poche ore ad alcuni giorni (in
genere non supera i 2-3 giorni)
Caratteristiche
del dolore
Di tipo crampiforme, ai quadranti
inferiori dell’addome con irradiazione lombare e sacrale. Si può
accompagnare a nausea e vomito (80%), cefalea (60%), disturbi
dell’alvo (50%), astenia (45%),
irritabilità (30%). Raramente si
associa a vertigini e collasso.
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
La dismenorrea primaria nell’adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
Tabella 3. Score verbale pluridimensionale di valutazione della gravità della dismenorrea.
Grado
Capacità lavorativa
Sintomi sistemici
Grado 1 – La mestruazione è dolorosa ma impedisce solo raramente
le normali attività. Raramente sono necessari analgesici. Dolore lieve
Scarsamente alterata
Assenti
Grado 2 – Le attività quotidiane sono impedite.
Sono necessari analgesici, che permettono di non assentarsi
dal lavoro o dalla scuola. Dolore modesto.
Discretamente alterata
Alcuni
Nettamente alterata
Evidenti
Grado 3 – L’attività è chiaramente impedita. Gli analgesici sono poco efficaci.
Compaiono sintomi vegetativi come cefalea, astenia, nausea, vomito e diarrea.
Dolore importante.
3. Presenza, all’esame fisico, di alterazioni pelviche;
4. Inizio tardivo dei sintomi dopo un precedente periodo libero
e, in particolare, dopo i 20 anni di età.
L’endometriosi è la condizione ginecologica più comune nelle
adolescenti affette da dismenorrea secondaria (5). Altre diagnosi comuni comprendono: aderenze pelviche, cisti ovariche e
paratubariche, malformazioni uterine. Il dolore pelvico associato ad endometriosi può essere invalidante sia nelle forme più
lievi, sia in quelle più estese della malattia. In questi casi l’esame obiettivo può rilevare iperestesia o nodularità del cul di sac
uterino all’esame vagino-addominale o retto-addominale.
La diagnosi definitiva di endometriosi viene posta a seguito
della laparoscopia ed esame istologico dei campioni bioptici.
Le lesioni endometriosiche atipiche di un adolescente possono
subire una progressione naturale verso le lesioni classiche
osservate nelle donne adulte (5). Una diagnosi accurata e precoce è importante per alleviare i sintomi ed eliminare la progressione naturale della malattia che potrebbe compromettere
il potenziale riproduttivo della paziente. Per differenziare la
dismenorrea primaria dalla secondaria è stato proposto il test
alla NIFEPIDINA, farmaco ad azione calcio-antagonista che è in
grado di ridurre la contrattilità uterina. La mancata risposta a
questo test deporrebbe per una forma di dismenorrea secondaria (4,6).
Fosfolipidi cellulari
Acido
arachidonico
CICLO-OSSIGENASI
Inibitori tipo I
Endoperossidi
ciclici
ISOMERASI REDUTTASI
Inibitori tipo II
Prostaglandine
Figura 1.
Sito di azione
degli inibitori
tipo I e II.
Dolore
19
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
Acido arachidonico
Meclofenamato
CICLO-OSSIGENASI
LIPO-OSSIGENASI
Endoperossidi
ciclici
Leucotrieni
ISOMERASI REDUTTASI
PROSTAGLANDINE
Figura 2.
Sito di azione del
meclofenamato.
Dolore
A seconda del farmaco utilizzato variano sia le dosi terapeutiche che le modalità di somministrazione. L’utilizzo dei più
comuni analgesici (aspirina e paracetamolo) può risultare
utile nei casi di dolore mestruale di lieve entità e di breve
durata. In caso di dismenorrea importante la scelta del farmaco dovrà prevedere l’impiego dei derivati arilpropionici o
dei sulfonalidi.
Terapia
Sono disponibili diverse scelte terapeutiche che dovranno essere valutate in relazione:
1. All’età della ragazza
2. Alle caratteristiche e all’intensità del dolore
3. Alla risposta o meno a precedenti provvedimenti terapeutici
4. Al coinvolgimento psicologico della ragazza.
Prima di iniziare un intervento farmacologico bisognerà spiegare alla ragazza la fisiologia del fenomeno e rassicurarla sullo
scarso significato patologico del disturbo. Si dovrà, inoltre, non
sottovalutare i possibili rischi e gli eventuali effetti collaterali,
confrontandoli con i benefici del trattamento (1, 3-6).
Attualmente i farmaci più comunemente usati per il trattamento
della dismenorrea primaria sono sostanzialmente due:
- gli inibitori delle PG
- i contraccettivi orali
Gli inibitori delle prostaglandine possono essere suddivisi in
due grandi gruppi sulla base del loro meccanismo d’azione
(Figura 1): gli inibitori di tipo I e quelli di tipo II.
Gli inibitori di tipo I (fenamati, derivati dell’acido arilpropionico
ed indolacetico) inibiscono l’enzima ciclossigenasi e quindi
impediscono la conversione dell’acido arachidonico in endoperossidi ciclici.
Gli inibitori di tipo II (fenilbutazone) inibiscono la tappa successiva della biosintesi delle PG dopo la formazione degli endoperossidi ciclici.
Le dosi raccomandate sono le seguenti:
1. Derivati dell’acido benzoico
• acido acetilsalicilico 500 mg x 4 volte /die, per os
2. Derivati dell’acido arilpropionico:
• naproxene 500-250 mg x 3-4 volte/die, per os
• naproxene sodico 550-275 mg x 3-4 volte/die, per os
• flurbiprofene 100 mg x 2-3 volte/die, per os
• ibuprofene 400 mg x 3-4 volte/die, per os
3. Sulfonalidi:
• nimesulide 100 mg x 2 volte/die, per os.
La terapia va protratta per i primi 2-3 giorni del ciclo mestruale
(3, 6).
La maggior parte di questi preparati può provocare disturbi a
carico dell’apparato gastrointestinale, del sistema nervoso centrale, fegato e midollo osseo.
Non sempre i FANS riescono ad essere efficaci. In questi casi
sembra siano abnormemente elevati altri composti tipo i leuco-
20
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
La dismenorrea primaria nell’adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
Bibliografia
trieni (Figura 2). Su di essi ha dimostrato di essere attivo il
meclofenamato, inibitore della 5-lipo-ossigenasi (acido fenfenamico e meclofenamico).
L’utilizzo dei contraccettivi orali è efficace nell’80-90% dei casi.
L’azione si esplica attraverso la riduzione del flusso mestruale,
e quindi di prostaglandine, e la soppressione dell’ovulazione.
L’associazione di FANS ed estroprogestinici aumenta ulteriormente la probabilità di successo terapeutico, anche se permane una percentuale (circa 10%) di pazienti che non risponde
positivamente alla terapia.
Per questi casi o per le pazienti che presentano controindicazioni alle terapie comuni, esistono diverse terapie alternative,
con percentuali variabili di efficacia. Fra queste, ricorderemo la
stimolazione elettrica transcutanea (TENS), l’agopuntura, i miolitici ad azione diretta.
E’stato segnalato che l’integrazione dietetica con acidi grassi polinsaturi omega-3, a catena lunga, è in grado di ridurre
la dismenorrea primaria, limitando per competitività la quantità di acido arachidonico a livello dei fosfolipidi di membrana (6).
Nelle dismenorree secondarie il trattamento è volto alla correzione della malattia di base. La somministrazione di FANS o di
contraccettivi orali non è efficace o scarsamente efficace (5).
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Conclusione
Di fronte ad un caso di dismenorrea il primo passo che il medico deve compiere è un’accurata indagine anamnestica ed
esame obiettivo dell’adolescente.
Nelle forme primarie la sintomatologia ha inizio, generalmente,
6-12 mesi dopo il menarca.
Il dolore compare poche ore prima delle mestruazioni o coincide con essa. Di solito il dolore si localizza in zona sovrapubica con irradiazione lombare e si può accompagnare a sintomi gastroenterici, muscolari o nervosi che compromettono
più o meno gravemente le normali funzioni ed il comportamento dell’adolescente. La sintomatologia in genere persiste
per 24-48 ore. La dismenorrea secondaria va sospettata
quando compare al menarca o dopo i 20 anni; se ha una
durata superiore ai 3 giorni; se insorge prima della mestruazione e continua anche dopo di essa; se non risponde ad un
trattamento farmacologico.
I farmaci di prima scelta nella terapia della dismenorrea primaria sono gli antinfiammatori non steroidei. L’impiego dei
contraccettivi è da limitare alle adolescenti sessualmente attive. Nei casi di insuccesso della terapia medica bisognerà
prendere in considerazione la possibilità di trovarsi di fronte
ad una dismenorrea secondaria e, quindi, ripercorrere l’iter
diagnostico alla ricerca di una causa organica, servendosi
eventualmente di tecniche strumentali più sofisticate (laparoscopia).
Corrispondenza:
Dr. Vincenzo De Sanctis
Divisione di Pediatria ed Adolescentologia
Arcispedale S. Anna - Corso Giovecca, 203 - 44100 Ferrara
E-mail: [email protected]
21
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
Carcinoma differenziato della tiroide
nell’adolescente:
attualità e prospettive
Claudio Spinelli*, Arianna Bertocchini*, Silvano Bertelloni**
*Cattedra di Chirurgia Pediatrica e Infantile;
**Sezione di Medicina dell’Adolescenza,
Dipartimento di Medicina della Procreazione e dell’Età Evolutiva,
Università di Pisa
Riassunto
Il carcinoma differenziato della tiroide in età pediatrica rappresenta un argomento ancora controverso sia
da un punto di vista eziopatogenetico che terapeutico. Queste neoplasie negli adolescenti, al momento della diagnosi, si
presentano in uno stadio più avanzato rispetto a quanto avviene negli adulti e hanno una maggiore incidenza di ricadute di malattia. La prognosi è tuttavia eccellente, differenziandosi completamente da quella degli adulti. Il motivo di questo
comportamento biologico è ancora sconosciuto. Vengono riportati gli attuali aspetti clinici, terapeutici e prognostici di
questa non rara affezione.
Parole chiave: carcinoma differenziato della tiroide, adolescente, diagnosi, trattamento, outcome.
Thyroid cancer in adolescents: an up-to date
Summary
Differentiated thyroid carcinoma (DTC) remains a controversial issue in pediatric age, regarding pathogenesis and treatment lines. At diagnosis, DTC is more likely to be in an advanced stage compared to adults and have an
high incidence of recurrence. On the contrary, DTC in adolescents has a better prognosis than in adults and a little risk
of mortality. The reason for this different behaviour is still unknown. In this paper the Authors report the main clinical findings, therapeutical approaches and outcome of DTC.
Key words: differentiated thyroid carcinoma, adolescents, diagnosis, treatment, outcome.
Epidemiologia e patogenesi
Il carcinoma differenziato della tiroide (CDT), papillare e follicolare, da solo rappresenta l’1,4-3,0 % di tutti i carcinomi diagnosticati nei bambini. L’incidenza annua stimata è intorno a 0,20,4/milione nei soggetti da 0 a 17 anni. Essa non varia significativamente tra i diversi paesi europei o extraeuropei (1) fatta
eccezione per le Repubbliche della Bielorussia e dell’Ucraina,
colpite dal fall-out radioattivo successivo all’incidente di
Chernobyl (1986). A partire dal 1990, in queste regioni è stato
documentato un incremento di circa trenta volte del carcinoma
papillare tiroideo (Figura 1), specialmente nel gruppo di età
minore ad un anno al momento del disastro nucleare (2).
Il rapporto tra femmine e maschi del CDT varia a secondo dell’età: 1 : 6 per età comprese tra 5-9 anni, 1 : 1 tra 10-14 anni e
5 : 2 tra 15-18 anni; il picco di incidenza è compreso tra 15 e 18
anni di età (1). All’interno dell’età pediatrica, gli adolescenti sono
quindi i soggetti a maggior rischio per il CDT. Inoltre, nei soggetti
con età inferiore a 15 anni alla diagnosi, il CDT si presenta ad
uno stadio più avanzato rispetto a quanto avviene negli adolescenti più grandi e negli adulti; nei primi vi è anche una maggiore ricorrenza di recidive. La prognosi è comunque eccellente
e la mortalità più bassa rispetto a quella degli adulti. Il motivo di
questo differente comportamento biologico rimane sconosciuto.
Nell’eziopatogenesi del carcinoma papillare della tiroide è stata
implicata l’attivazione di alcuni oncogeni capaci di regolare la
proliferazione o la differenziazione cellulare. Vari tipi di riarrangiamenti genici che coinvolgono il protoncogene RET o il pro-
23
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
tooncogene TRK sono stati riconosciuti come specifici dei carcinomi papillari in età pediatrica. Poiché tali oncogeni sono stati
ritrovati solo nel carcinoma papillare della tiroide essi sono stati
denominati PTC (Papillary Thyroid Carcinoma).
Riarrangiamenti genici RET/PTC sono stati trovati nei carcinomi
papillari della tiroide sporadici dei bambini in una percentuale
maggiore (48-65%) rispetto a quella degli adulti (5-44% ), con
notevoli oscillazioni razziali e geografiche.
Un’incidenza particolarmente elevata (67-87%) è stata riportata
nei carcinomi papillari della tiroide nei soggetti esposti all’incidente nucleare di Chernobyl (3).
Il significato clinico degli oncogeni RET/PTC rimane incerto, ma
potrebbero giocare un ruolo nella fase precoce dello sviluppo
del carcinoma papillare della tiroide; essi si presentano infatti
con una maggiore incidenza nei micro-carcinomi o nelle forme
occulte rispetto alle forme clinicamente evidenti (4).
Numero casi / anno
120
100
80
60
40
20
0
86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98
Età (anni)
Bielorussia
Ucraina
istologiche, totalmente o prevalentemente, papillari. Le forme
follicolari pure sono invece più rare rispetto agli adulti (7).
Il carcinoma papillare può essere suddiviso in alcune varianti
(Tabella 1). La variante follicolare rappresenta la forma più frequente, mentre meno comune è la variante a cellule alte o carcinoma insulare e la variante a sclerosi diffusa. Queste ultime si presentano clinicamente come masse voluminose con interessamento spesso di entrambi i lobi e con estensione extra-tiroidea, essendo forme particolarmente aggressive e con alta incidenza di metastasi linfonodali e/o polmonari già al momento della diagnosi (8).
Il carcinoma papillare si presenta sotto forma di lesione solida non
capsulata o solo parzialmente capsulata; possono essere presenti calcificazioni o cisti.
Microscopicamente contiene aree papillari predominanti o focali
(Figura 2). I corpi psammomatosi si trovano nel 40-50% dei carcinomi papillari ed un infiltrato linfocitario tipo tiroidite cronica è presente nel 30% dei casi. Rimane controverso il significato della multifocalità, potendo rappresentare tumori indipendenti o metastasi
intraghiandolari diffuse per via linfatica a partenza da un singolo
tumore. La multicentricità del carcinoma papillare della tiroide,
comune negli adolescenti, di solito si associa a specifici riarrangimenti genici RET/PTC4.
Aspetti clinici
Nell’adolescente, la presentazione tipica del carcinoma della
tiroide è la scoperta, spesso occasionale, di una massa o di un
nodulo a carico della tiroide. Questa modalità di esordio non è
diversa da quella di un adulto, anche se un nodulo tiroideo singolo in un adolescente ha più probabilità di essere maligno, per
cui, specialmente se rilevato in un maschio, deve essere sempre considerato un carcinoma fino a dimostrazione contraria.
A differenza di un adulto, si ha una maggiore frequenza di interessamento linfonodale, spesso bilaterale, per cui un’adenopatia cervicale può essere la prima manifestazione clinica di un
carcinoma tiroideo in età pediatrica.
Una metastastizzazione dei linfonodi regionali è infatti presente
nel 35-85% degli adolescenti con CDT. Nel 10-20% dei ragazzi
sono poi presenti metastasi parenchimali a distanza, prevalentemente a livello polmonare (usualmente asintomatiche) (5, 6).
Tutti questi rilievi sottolineano la necessità di un accurato esame
clinico di ogni tumefazione tiroidea e dei linfonodi cervicali del
compartimento centrale, laterale e sovraclaveare; i linfonodi sottomentonieri e sottomandibolari sono invece raramente interessati.
Il rapido accrescimento della massa, l’aumentata consistenza,
l’adesione del nodulo ai tessuti circostanti unitamente alla presenza di linfonodi palpabili sono i principali segni clinici indicativi di una patologia maligna. Segni e sintomi da compressione
locale, come disfonia, disfagia, dispnea, sono piuttosto rari,
anche se devono essere accuratamente ricercati, in quanto indice di maggiore invasività.
Tabella 1. Classificazione anatomo-patologica.
Tipo istologico
Carcinoma papillare
Variante
- puro
- variante follicolare
- variante a cellule alte
- variante a sclerosi diffusa
Aspetti istologici
Carcinoma follicolare
Adenocarcinoma a
cellule di Hurtle
Le caratteristiche istologiche del CDT sono riassunte in Tabella 1.
Nel 70-90% degli adolescenti, il CDT è rappresentato da forme
*su una casistica di 56 pazienti (età 4-20 anni) (23)
24
%*
~ 65
~ 30
bassa
bassa
~5
bassa
Figura 1.
Casi/anno di carcinoma della tiroide dopo
l’incidente nucleare di
Chernobyl in soggetti
con età < 15 anni.
Da UNSCEAR, 2000.
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Carcinoma differenziato della tiroide nell’adolescente: attualità e prospettive
Volume 2, n. 3, 2004
ne altamente improbabile. Analogamente, elevati livelli di anticorLa tendenza del carcinoma papillare a diffondersi per via linfatipi antitiroide (Ab-TRG, Ab-TPO) e TSH sono indicativi di tiroidite di
ca giustificherebbe l’alta incidenza di metastasi linfonodali locoHashimoto, che può essere associata sia a gozzo, con consistenregionali. Il carcinoma follicolare, al contrario, diffonde prevalenza generalmente aumentata, che ad uno o più noduli.
temente per via ematogena. L’invasione della capsula e l’invaIl dosaggio della tireoglobulina non è di utilità ai fini diagnostici
sione all’interno delle vene rappresentano i criteri minimi di diae non dovrebbe essere richiesto a questo scopo.
gnosi differenziale tra il carcinoma follicolare e l’adenoma follicolare benigno. Per tale motivo
queste lesioni non sono diagnoEsame scintigrafico
sticabili citologicamente tramite
L’esame scintigrafico tiroideo non
agoaspirato. La disseminazione
risulta utile nella valutazione del
ematogena del carcinoma folliconodulo tiroideo dell’adolescente.
lare determina una metastatizzazione alle ossa, al polmone, al
Ecografia
cervello ed al fegato. Il carcinoma
L’ecografia della tiroide, che è in
follicolare, che interessa tipicagrado di discriminare lesioni cistimente gli adolescenti, si presenche fino ad 1 mm e solide fino a 3
ta usualmente come una massa
mm, rappresenta la tecnica più
isolata della tiroide; i carcinomi occulsemplice e rapida, ma di limitato
Figura 2. Aspetto istologico del carcinoma
ti di tipo follicolare sono rari, contrariamenvalore diagnostico differenziale
differenziato della tiroide.
te ai carcinomi di tipo papillare.
tra forme benigne e maligne, speL’adenocarcinoma a cellule di Hurthle si presenta clinicamente
cialmente in presenza di noduli solitari nei bambini e negli adocome una massa solitaria della tiroide con un parziale o comlescenti.
pleta capsula, di dimensioni variabili, da uno a molti centimetri
I caratteri eco-strutturali suggestivi di benignità sono l’anecogefino all’interessamento dell’intero lobo. All’interno si possono
nicità, l’iperecogenicità e la presenza di ampie aree colliquative
osservare piccole aree cistiche, emorragie e/o necrosi.
intranodulari. Caratteri orientativi per natura maligna del nodulo
Istologicamente le grosse cellule di Hurthle, con voluminoso
sono l’ipoecogenicità e le microcalcificazioni. Il riscontro di una
nucleo ipercromico e grande citoplasma finemente granulare,
lesione cistica non esclude la presenza di un carcinoma.
costituiscono un pattern di tipo macrofollicolare, microfollicolaL’esame ecografico risulta inoltre utile per la ricerca di infiltrare, trabecolare/solido o pseudopapillare. La forma trabecolare e
zione o invasione delle strutture peri-tiroidee e dei linfonodi cermicrofollicolare sono le più comuni. I criteri patologici di malivicali.
gnità di queste lesioni sono l’invasione vascolare e capsulare.
Esame citologico
L’esame citologico mediante agoaspirato “FNA” (Fine Needle
Aspiration biopsy) rappresenta la procedura più appropriata
nella diagnostica dei noduli della tiroide e l’esame guida per l’indicazione chirurgica negli adolescenti. L’applicazione di questa tecnica non evita necessaTabella 2. Valori di calcitonina (pg/ml) basali e dopo stimolo
con pentagastrina° .
riamente la chirurgia, in quanto
l’accuratezza diagnostica diBasale
Picco
pende dal tipo e dal diametro
Valori normali
della lesione. In presenza di
(soggetti con età > 20 anni)
<10
<30
citologia sospetta, l’exeresi chiValori normali
(soggetti con età > 20 anni)
<10
<15
rurgica del nodulo rappresenta
il trattamento di scelta per
Valori dubbi
>10 <30
>30 <50*
escludere la malignità.
Carcinoma follicolare
>35
>150
I noduli di diametro inferiore ad
Microcarcinoma follicolare
>50 <150
–
1 cm possono richiedere la
* rivalutare dopo 6 mesi
ripetizione dell’esame per l’ina(se soggetto non a rischio per neoplasia endocrina multipla tipo 2);
deguatezza del materiale agoa° 0.5 mg/kg, kit CIS-Bio assay per la calcitonina monomero
spirato (10).
(da Modigliani et al., Best Clin Endocrinol Metab 14: 631-649, 2000)
L’accuratezza diagnostica nei
Indagini diagnostiche
Indagini di laboratorio
Nessuna indagine di laboratorio
è in grado di poter distinguere
una lesione benigna da una
maligna ad eccezione della calcitonina; se elevata, è suggestiva per il carcinoma midollare.
In Tabella 2 sono riportati i valori di calcitonina normali e quelli
indicativi di carcinoma midollare in condizioni basali e dopo
stimolo con pentagastrina.
Ormoni tiroidei liberi elevati con
TSH soppresso sono indicativi
di un nodulo autonomo iperfunzionante. In questo caso, la
presenza di un carcinoma divie-
25
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
carcinomi papillari della tiroide risulta del 90%. Le lesioni follicolari benigne sono indistinguibili da quelle maligne all’esame
citologico e necessitano di una verifica istologica.
Interessamento linfonodale
I gruppi linfonodali cervicali più frequentemente interessati dalle
metastasi, negli adolescenti, per CDT sono rappresentati dal
compartimento centrale (pretracheali, paratracheali e mediastinici superiori), dai linfonodi della catena giugulare interna (II,
III e IV livello) e dai linfonodi distali della catena del
nervo accessorio spinale. Rare sono le metastasi
ai linfonodi del I livello.
Stadiazione
La stadiazione generalmente più
seguita è quella che fa riferimento al sistema TNM (T, le dimensioni e l’estensione del tumore primitivo; N, la presenza o meno di
metastasi ai linfonodi regionali;
M, la presenza o meno di metastasi a distanza) (11) (Tabella 3).
I pazienti (M+) presentano al
momento della diagnosi frequentemente linfonodi metastatici ed invasione extratiroidea.
Essi hanno una sopravvivenza
uguale agli M0, quest’ultimo
dato rappresenta un paradosso
se confrontato con il carcinoma
differenziato della tiroide degli
adulti (6). Questa classificazione clinica è utile ai fini prognostici e terapeutici solo se corredata da una esatta definizione istologica della neoplasia, come le dimensioni e l’invasione extratiroidea (TNM postoperatorio).
Trattamento
chirurgico
L’estensione ottimale della resezione
chirurgica del
CDT negli adolescenti rimane
un argomento
controverso, in
quanto non esistono studi in età
pediatrica dove viene
confrontata, in modo
prospettico e randomizzato, l’estensione della chirurgia ed il tipo di
evoluzione post-operatoria. Soltanto con studi multicentrici, su
casistiche sufficientemente ampie e con un lungo follow-up si
potrà capire il reale impatto del trattamento chirurgico iniziale (tiroi-
BOX 1 - Aspetti clinici pratici
Negli adolescenti, il carcinoma differenziato della tiroide (CDT)
1. Presenta un decorso clinico diverso da quello degli adulti; pertanto deve essere considerato una malattia a se stante con
caratteristiche proprie, soprattutto dal punto di vista evolutivo;
2. Risulta, al momento della diagnosi, biologicamente più aggressivo rispetto a quello degli adulti con:
• maggiore incidenza di metastasi ai linfonodi cervicali (23-90 %)
• maggiore incidenza di metastasi a distanza (prevalentemente polmonari: 0-15%)
• maggiore incidenza di multifocalità (11-57 %)
• maggiore incidenza di invasione capsulare (54%) di estensione extratiroidea (7-38 %);
3. Presenta un’incidenza elevata, dopo la terapia chirurgica, di recidive (1-60 %), che avviene prevalentemente a livello dei linfonodi cervicali e del polmone. Le recidive non sono correlate con la mortalità
4. Dovrebbe essere trattato, secondo le linee guida nazionali della Società Italiana di Chirurgia Pediatrica, con emitiroidectomia,
in presenza di lesione microscopicamente confinata in un lobo, clinicamente ed ecograficamente rilevabile con assenza di
linfonodi cervicali metastatici ed assenza ed assenza di metastasi a distanza, o con tiroidectomia totale in caso di malattia
localizzata ad entrambi i lobi o in presenza di metastasi ai linfonodi cervicali. La linfectomia cervicale deve essere eseguita
solamente in caso di malattia metastatica linfonodale accertata;
5. Presenta una sopravvivenza a 5 anni nettamente migliore rispetto a quella degli adulti, con percentuali quasi del 100%.
26
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Carcinoma differenziato della tiroide nell’adolescente: attualità e prospettive
Volume 2, n. 3, 2004
dectomia totale vs emitiroidectomia) sulla prognosi. Gli studi sul
trattamento chirurgico del CDT nei bambini e negli adolescenti
riportano invece casistiche limitate di singole istituzioni. Negli adulti, i dati sul trattamento del CDT derivano invece da studi retrospettivi o prospettici a lungo termine; da cui sono stati spesso
estrapolati i protocolli terapeutici anche per l’età pediatrica (12).
Negli adulti, la terapia chirurgica ottimale del CDT esteso ed
aggressivo è rappresentata dalla tiroidectomia totale seguita dalla radioiodioterapia e dalla terapia ormonale soppressiva. La tiroidectomia totale rispetto alla emitiroidectomia
riduce le recidive locali e migliora la sopravvivenza (13, 14).
Nel CDT in stadi precoci (1° e 2° stadio), la scelta della tiroidectomia totale è meno certa; alcuni Autori (15, 16) riportano una significativa riduzione delle recidive locali nei pazienti trattati con una tiroidectomia totale (4%) rispetto a quelli
trattati con una tiroidectomia subtotale (17%), ma senza
vantaggi sulla sopravvivenza.
Tabella 3.
Sistema di stadiazione TNM per il CDT.
CLASSIFICAZIONE CLINICA
Tis
T0
T1
T2
T3
T4
Tx
N0
N1
N2
N3
Nx
M0
M1
Mx
Carcinoma preinvasivo (in situ)
Tumore non palpabile
Nodulo signolo in un lobo con o senza deformazione della ghiandola e senza limitazioni della mobilità
Noduli multipli in un lobo con o senza deformazione
della ghiandola e senza limitazione della mobilità
Tumore bilaterale con o senza deformazione della
ghiandola e senza limitazioni della mobilità, oppure
nodulo singolo dell’istmo
Tumore con estensione al di là della capsula ghiandolare
Assenza dei requisiti minimi per definire il tumore
primitivo
Nessun segno di interessamento dei linfonodi
regionali
Evidenza di interessamento di linfonodi regionali
omolaterali mobili
Evidenza di interessamento di linfonodi regionali
controlaterali o della linea mediana o bilaterali
mobili
Evidenza di interessamento di linfonodi regionali
fissi
Assenza di requisiti minimi per definire lo stato dei
linfonodi regionali
Nessun segno di metastasi a distanza
Evidenza di metastasi a distanza
Assenza di requisiti minimi per definire la presenza
di metastasi a distanza
Tiroidectomia Totale
La maggior parte degli Autori indica la tiroidectomia totale
come l’intervento di elezione in tutti gli adolescenti affetti da
carcinoma differenziato della tiroide. Questo trattamento è
supportato dai seguenti punti:
1) la chirurgia radicale rimuove il tessuto tiroideo sede della
neoplasia ed eventuali foci tumorali multicentrici nello
stesso lobo o nel controlaterale, che potrebbero rappresentare una potenziale sede di recidiva di malattia (17);
2) la presenza di tessuto tiroideo funzionante non permette
di utilizzare, in modo sensibile, il dosaggio della tireoglobulina circolante come marcatore tumorale di recidiva o
di residuo di malattia (18);
3) l’assenza di tessuto tiroideo permette di utilizzare in
maniera efficace il radioiodio nel trattamento delle metastasi a distanza da CDT, specialmente a livello polmonare dove l’incidenza è particolarmente elevata (19, 20);
4) il tessuto tiroideo normale concentra molto più facilmente il
radioiodio rispetto al tessuto con CDT; è sufficiente una quantità di tessuto tiroideo residuo superiore al 2% della ghiandola per captare attivamente il radioiodio, mascherando eventuali metastasi. Pertanto la tiroidectomia totale facilita l’utilizzo della scintigrafia totale corporea nella diagnostica delle
metastasi a distanza, specialmente quelle polmonari che, difficilmente, vengono identificate con altre tecniche (19). Senza
l’ausilio della scintigrafia totale corporea nel follow-up postoperatorio, queste sarebbero diagnosticate più tardivamente
e richiederebbero alte dosi di I-131 con un più elevato rischio
di effetti collaterali (21).
Di contro, la tiroidectomia totale è gravata da una maggiore
incidenza di complicanze post-operatorie, fino al 36% in
alcune casistiche (26). L’età minore o uguale a 16 anni rappresenta un fattore autonomo, correlato ad una maggiore
morbilità post-operatoria (23).
CLASSIFICAZIONE POSTCHIRURGICA
pTis Carcinoma preinvasivo (in situ)
pT0 Nessun tumore all’esplorazione del pezzo
pT1 Nodulo singolo del diametro fino a 1 cm non oltrepassante la capsula tiroidea
pT2 Nodulo singolo di diametro superiore a 1 cm non
oltrepassante la capsula tiroidea
pT3 Noduli multipli mono o bilaterali oppure dell’istmo,
non oltrepassanti la capsula tiroidea
pT4 Tumore invadente al di là della capsula tiroidea
pTx Impossibilità di definire l’entità dell’estensione
pN Le categorie pN corrispondono alle categorie N
pM Le categorie pM corrispondono alle categorie M
27
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
Outcome
Tabella 4. Sopravvivenza a 5 anni nel CDT
(diagnosi anni ‘90-‘94) negli adolescenti e nei giovani adulti
(età 15-24 anni): dati europei
La prognosi a distanza del CDT nel bambino e nell’adolescente è buona.
Il tasso di recidive varia dal 2 al 45 % e la percentuale di complicanze dallo 0 al 21%. Secondo Grigsby et al. (26), le recidive del CDT si hanno in media dopo 5.3 anni, con un range
da 8 mesi a 15 anni. I pazienti con malattia confinata alla tiroide hanno un basso rischio di ricorrenza della malattia, al contrario i pazienti con stadio più avanzato presentano un rischio
maggiore. I fattori prognostici statisticamente correlati con le
recidive sono l’invasione extra-tiroidea, la presenza al
momento della diagnosi di metastasi ai linfonodi cervicali e le
metastasi a distanza (27).
Per quanto riguarda le complicanze post-operatorie, l’ipoparatiroidismo permanente è presente nelle varie casistiche in
una percentuale variabile dallo 0 al 21 %, la paralisi del nervo
ricorrente dallo 0 al 17 %.
IL CDT, se correttamente trattato, è tra le neoplasia dell’età
pediatrica con i migliori tassi di sopravvivenza (28-30).
Recenti dati indicano in Europa una sopravvivenza a 5 anni
quasi del 100% senza differenze significative tra le varie aree
geografiche (Tabella 4).
(da Gatta et al, Eur J Cancer 39: 2600, 2003).
Paese
Regno Unito
Centro-sud Europa
Nord Europa
Est Europa
N.
221
215
211
63
Sopravvivenza (%)
99.1
99.1
98.5
96.8
Emitiroidectomia
Gli argomenti che inducono una minoranza di chirurghi (22)
ad eseguire, in pazienti selezionati, una chirurgia meno estesa sono legati al fatto che nei bambini e negli adolescenti:
1) il CDT è una malattia autonoma con un decorso clinico differente da quello osservato negli adulti (23);
2) la mortalità per CDT è nettamente migliore rispetto a quella degli adulti, anche se questi ultimi presentano, al
momento della diagnosi, una minore incidenza di metastasi linfonodali e polmonari (24);
3) la presenza di multifolalità microscopica è quasi la regola e
non influenza la sopravvivenza;
Bibliografia
4) la presenza di invasione vascolare, riportata in 1/3 dei
pazienti non influenza la sopravvivenza;
1.
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2.
5) la possibilità di differenziazione nel tempo di componente
eventualmente presente come microfocolai residui è molto
remota;
Baverstock K, Egloff B, Pinchera A. Thyroid cancer after
chernobyl. Nature 1992; 359:21-22
3.
6) le procedure chirurgiche estese, specialmente se applicate a pazienti di età uguale o inferiore a 16 anni sono correlate con un incremento di morbilità iatrogena (ipoparatiroidismo e lesione del nervo ricorrente) (25).
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BOX 2 - Spunti per la ricerca
• Definire le basi genetiche del carcinoma differenziato della tiroide (CDT)
• Individuare markers precoci della malattia.
• Realizzare studi prospettici su ampie casistiche per definire linee guida omogenee ed efficaci di trattamento.
• Valutare l’outcome su ampie casistiche relativamente a sopravvivenza a lungo termine, recidive e complicanze in
rapporto all’estensione del CDT alla diagnosi e al tipo di trattamento.
28
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Carcinoma differenziato della tiroide nell’adolescente: attualità e prospettive
Volume 2, n. 3, 2004
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children and adults:long term follow-up of 1039 patiets
conservatively treated at omne istitution durino three decades.
Surgery 1988; 104:1157-1166
Prof. Claudio Spinelli
Cattedra di Chirurgia Pediatrica e Infantile
Ospedale Santa Chiara, Via Roma 67 - 56125 Pisa, Italy
E-mail: [email protected]
29
Follow-up longitudinale del trattamento
dietetico dell’obesità in età evolutiva:
comparazione dei risultati
negli adolescenti rispetto ai bambini
Laura Galli, Silvano Bertelloni, Giampiero I. Baroncelli, Mara Ferrari, Giuseppe Saggese
Dipartimento di Pediatria, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, Pisa
Introduzione
maschi, 38 femmine, età media 7.9 ± 1.9 anni). Tutti i soggetti risultavano affetti da obesità essenziale [body mass index
(BMI) > 2 DS]; l’esame obiettivo ed eventuali indagini di laboratorio sono risultati negativi per patologie genetiche o endocrine; nessun paziente aveva assunto farmaci in grado di
determinare un aumento di peso negli ultimi 6 mesi prima
dello studio. Il consenso informato è stato ottenuto dai genitori di ciascun paziente.
Tutti i soggetti sono stati sottoposti a una dieta ipocalorica bilanciata (carboidrati 60-65%, di cui carboidrati semplici < 10%
calorie totali; proteine 10-15%; lipidi < 30%, di cui acidi grassi
saturi < 1/3 del totale, colesterolo < 100 mg ogni 1000 kcal;
fibre 10-12 gr ogni 1000 kcal). L’apporto calorico consigliato è
stato calcolato facendo riferimento ad una riduzione del 30%
dell’apporto energetico raccomandato per il peso ideale per età
e sesso (11).
I pazienti sono stati poi valutati periodicamente per quanto
riguarda: peso, altezza, BMI e BMI Z score e adeguamento del
regime dietetico. Statura e peso sono stati misurati rispettivamente con uno statimetro fissato a parete (Harpenden) e con
una bilancia clinica standard. I valori di BMI [peso (kg)/altezza
(m2)] sono stati espressi come valore assoluto e come Z score
utilizzando la formula: valore individuale – valore medio normale per età e sesso/DS della media normale, utilizzando i valori di
riferimento elaborati da Karlberg et al. (12). Un valore di BMI >
2 DS è stato considerato indice di obesità.
I risultati sono stati espressi come media ± DS. La comparazione del BMI, BMI Z score, peso ed altezza durante il follow-up
L’obesità rappresenta il principale problema nutrizionale nelle
società occidentali (1, 2). Diversi studi hanno dimostrato un
aumento della sua prevalenza unitamente a una maggiore incidenza delle complicanze, sia di tipo medico che psicologico,
già in età pediatrica (1-4). L’obesità infantile, inoltre, tende a
persistere in età adulta, rappresentando un importante fattore
di rischio per malattie metabolico-degenerative (2-6). In particolare, la prevalenza di obesità è maggiore in età adolescenziale e tende persistere in età adulta con una più alta frequenza rispetto a quella del soggetto prepubere (7, 8).
La terapia dell’obesità risulta ancora controversa; i vari approcci disponibili (terapia dietetica, comportamentale, chirurgica e
farmacologica) hanno dato risultati contrastanti anche in età
adulta (9, 10). In età pediatrica, le possibilità terapeutiche sono
limitate dalla mancata indicazione all’uso di terapie farmacologiche e/o chirurgiche (1).
Lo scopo del presente studio è stato quello di valutare l’efficacia della terapia dietetica a breve e a medio termine sull’eccesso ponderale, comparando i risultati ottenuti in un gruppo di
adolescenti rispetto a quelli rilevati in soggetti prepuberi.
Pazienti e Metodi
Sono stati valutati 125 adolescenti (51 maschi e 74 femmine,
età media 12.4 ± 1.7 anni) e un gruppo di 82 bambini (44
Tabella 1. Valori di BMI e BMI Z score all’inizio dello studio e durante il follow-up a 3 e 12 mesi.
Maschi
BMI
Femmine
BMI Z score
BMI
Visite
Prepuberi
Puberi
Prepuberi
Puberi
I
27.8 ± 6
29.2 ± 4.6
9.4 ± 5.5
6.6 ± 2.9§
II
28.5 ± 7.8
29.2 ± 4.8
9.5 ± 5.2
6.3 ± 2.9**
24.5 ± 3.7°
24.9 ± 3.6* ^ 30.5 ± 3.5
7.3 ± 2.7°
6.5 ± 3.2
26.3 ± 3.4*
V
Prepuberi
BMI Z score
Puberi
Prepuberi
Puberi
6.4 ± 3.2°°
6.6 ± 2.9
29.1 ± 6.4
6.4 ± 2.7
5.8 ± 2.8
27.5 ± 3.7
6.9 ± 2.4
5.3 ± 2.6
24.5 ± 4.4§§ ° 28.2 ± 5.9
§§p < 0.002 vs puberi femmine 1° visita; °p < 0,01 vs prepuberi maschi, vs puberi femmine, vs prepuberi maschi 1° visita;
°°p < 0.05 e§ p < 0.02 vs prepuberi maschi 1° visita; *p < 0.05 vs prepuberi maschi 1° visita; ^p < 0.0001 vs puberi maschi 5° visita;
**p < 0.0005 vs prepuberi maschi 2a visita
31
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
è stata effettuata con il test t di Student per i dati appaiati. I dati
tra i due gruppi sono stati comparati con il test “t” per dati non
appaiati.
Follow-up a medio termine (12 mesi)
A 12 mesi di follow-up, i prepuberi maschi (n = 29) hanno
mostrato una significativa riduzione dei valori di BMI e BMI Z
score (Tabella 1). Nelle femmine prepuberi (n = 28) è stato invece rilevato un incremento del valore di BMI ma non di quello del
BMI Z score (Tabella 1).
Negli adolescenti sia maschi (n = 36) che femmine (n = 58) non
si sono avute variazioni significative nè del BMI che del BMI Z
score (Tabella 1).
I valori di BMI delle prepuberi e puberi femmine sono risultati
non significativamente differenti, mentre i valori di BMI Z score
sono risultati significativamente ridotti nelle adolescenti rispetto
alle bambine prepuberi (Figura 1).
I valori di BMI dei prepuberi maschi sono risultati significativamente ridotti, mentre i valori di BMI Z score sono risultati simili
nei due gruppi (Figura 2).
Risultati
Le caratteristiche dei due gruppi di pazienti all’inizio dello studio
sono riportate in Tabella 1. Nei bambini prepuberi sono stati rilevati valori di BMI e BMI Z score statisticamente maggiori nei
maschi rispetto alle femmine (Tabella 1). Negli adolescenti non
sono state rilevate differenze statisticamente significative per
quanto riguarda il BMI e BMI Z score (Tabella 1).
I valori di BMI dei gruppi prepuberi e puberi maschi comparati
tra loro sono risultati non statisticamente significativi, mentre la
significatività era presente per i valori di BMI Z score. Nelle femmine prepuberi e puberi i valori di BMI comparati tra loro sono
risultati statisticamente significativi; tale significatività non è
risultata presente per i valori di BMI Z score (Tabella 1).
Drop-out a breve e medio termine
A breve termine il drop-out complessivo è stato del 6.8% senza
differenze tra femmine (7.1%) e maschi (6.3%). A medio termine
il drop-out è risultato del 27%, con una percentuale significativamente maggiore nei maschi (31,6%) rispetto alle femmine
(23.2%, p < 0.05). Analizzando i valori di drop-out in base al
gruppo di appartenenza è emerso che a breve termine il gruppo degli adolescenti è stato quello con drop-out maggiore
rispetto ai pazienti prepuberi (Tabella 2). A medio termine i prepuberi e gli adolescenti maschi hanno mostrato la maggior percentuale di drop-out, senza differenze significative tra loro. Le
adolescenti femmine hanno avuto il valore più basso di drop-out
(Tabella 2).
Follow-up a breve termine (3 mesi)
Dopo tre mesi dall’inizio del trattamento dietetico, nei prepuberi maschi (n = 42) e femmine (n = 36) i valori medi di BMI e BMI
Z score sono risultati non significativamente differenti rispetto a
quelli osservati alla 1° visita (Tabella 1). In ambedue i gruppi di
adolescenti (Tabella 1) (maschi n = 47; femmine n = 68) i valori di BMI e BMI Z score hanno mostrato un comportamento analogo a quello osservato nei prepuberi, infatti tali valori sono risultati non significativamente differenti (p = NS) rispetto a quelli
osservati all’inizio dello studio (Tabella 1).
I valori di BMI dei gruppi prepuberi e puberi femmine comparati tra loro sono risultati significativamente differenti; tale significatività non è risultata presente per i valori di BMI Z score
(Figura 1).
I valori di BMI dei gruppi dei prepuberi e puberi maschi comparati tra loro sono risultati non significativamente differenti, mentre sono risultati significativamente differenti i valori di BMI Z
score (Figura 2).
38
34
30
26
22
18
##
1°
^
2°
I risultati di questo studio non hanno messo in evidenza alcun
incremento dell’eccesso ponderale durante il trattamento dietetico in tutti i gruppi esaminati (1, 13, 14). Tale rilievo può
essere considerato un risultato parzialmente positivo, in
BMI Z score
BMI
Prepuberi
Discussione
Adolescenti
^
3°
4°
5°
Prepuberi
12
10
12
8
4
2
0
Adolescenti
^
1°
2°
3°
Visite
Visite
32
^
4°
^
5°
Figura 1.
A sinistra andamento
del BMI nelle femmine
prepuberi ed adolescenti:
##
p < 0.001, ^p < 0.01
vs adolescenti.
A destra andamento
del BMI Z score:
^p < 0.01 vs adolescenti.
Follow-up longitudinale del trattamento dietetico dell’obesità in età evolutiva
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Prepuberi
BMI
Figura 2.
A sinistra andamento
del BMI nei maschi
prepuberi ed adolescenti:
*
p < 0.02, **p < 0.0001
vs adolescenti.
A destra andamento
del BMI Z score:
#
p < 0.002, °p < 0.0005,
^
p < 0.01, **p < 0.0001
vs adolescenti.
38
34
30
26
22
18
Adolescenti
**
*
1°
2°
3°
4°
5°
BMI Z score
Volume 2, n. 3, 2004
Prepuberi
20
16
12
8
4
0
#
1°
Visite
Adolescenti
^
°
2°
**
3°
4°
5°
Visite
prepubere (1, 3). D’altra parte, come emerge dal mancato
conseguimento di analoghi risultati da parte del gruppo delle
femmine, il controllo dei genitori non può essere considerato
l’unico fattore coinvolto nell’efficacia del trattamento dietetico
(7). Tale risultato potrebbe essere anche riconducibile alla
diversa tendenza all’accumulo di tessuto adiposo nei due
sessi nel periodo prepuberale (16, 17).
Nelle bambine si è osservato un aumento del BMI a 12 mesi
di follow-up, ma non del BMI Z score, sottolineando l’importanza di un corretto uso degli indici antropometrici nella valutazione dell’obesità in età evolutiva (16), anche tenendo in
considerazione il fatto che il BMI aumenta con l’età. Tale valore presenta infatti un fisiologico incremento nelle bambine tra
9 e 10 anni da mettere in relazione alle variazioni della composizione corporea associate con il pattern crescita. (16).
Tuttavia, la presenza di valori di BMI Z score significativamente differenti tra femmine prepuberi e puberi al termine del
periodo di follow-up è un indice del fatto che che nelle bambine vi è stato un reale aumento dell’adiposità. Nei maschi
prepuberi, la significativa riduzione dei valori di BMI a medio
termine è espressione di un reale calo ponderale, poiché le
variazioni dei valori di BMI in tale fascia di età sono indipendenti dalla statura (16).
I differenti risultati ottenuti con un analogo regime dietetico nei
quanto nei soggetti obesi non trattati si ha spesso un ulteriore incremento di peso nel tempo (15). Analizzando i risultati
nei singoli gruppi di pazienti, è emerso che negli adolescenti
non sono state registrate variazioni statisticamente significative né del BMI né del BMI Z score sia a breve che a medio termine. Tuttavia, in ambedue i sessi era presente una tendenza
alla riduzione dei valori di BMI Z score nel follow-up a medio
termine, suggerendo la necessità di più lunghi periodi di
osservazione per giudicare l’efficacia del trattamento. Infatti,
l’acquisizione di un più corretto comportamento alimentare e
la stabilizzazione del BMI potrebbero portare ad una successiva riduzione dell'eccesso ponderale, anche sfruttando l’incremento di crescita lineare dei soggetti in età puberale (9).
Purtroppo, non sono disponibili dati relativi ad un gruppo di
controllo ne quelli dei soggetti in drop-out, che potrebbero
aver messo in evidenza un diverso comportamento del BMI
nei soggetti con minore aderenza al programma dietetico.
Per quanto riguarda i bambini, solo nel gruppo dei maschi
prepuberi si è ottenuta una costante e significativa riduzione
sia dei valori di BMI che di BMI Z score. Tale rilievo suggerisce che la terapia dietetica potrebbe essere maggiormente
efficace nei periodi della vita in cui il soggetto obeso è sotto
un più stretto controllo da parte della famiglia anche per
quanto riguarda il comportamento alimentare, come nell'età
Tabella 2. Drop-out a breve e medio termine
1° visita (n)
3 mesi (n)
Drop out
12 mesi (n)
Drop out
Prepuberi maschi
44
42
4,5%
29
34,1%
Prepuberi femmine
38
36
5,3%
28
26,3%
Puberi maschi
51
47
7,8%
36
29,4%
Puberi femmine
74
68
8,1%
58
21,6%
33
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
La crescente prevalenza dell’obesità in età evolutiva
e le sue note conseguenze sulla salute della popolazione rendono urgente la ricerca di programmi terapeutici efficaci.
La sanità mondiale non può arrendersi all’assenza di
terapie fattibili ed efficaci, denunciate da tutta la letteratura scientifica. Pertanto mi sembrano degni di
grande interesse scientifico i pochi lavori, come questo, che prendono in esame questo tema, anche se
limitati dall’elevato drop out e dalla difficoltà di ottenere un follow-up adeguato (5-10 anni) ed un gruppo di
controllo.
Con queste limitazioni a tutti note, il lavoro della
scuola pediatrica Pisana è molto interessante perché
sottolinea la possibilità di raggiungere, ma anche le
difficoltà di accettare, i piccoli risultati (1) possibili
nella cura dell’obesità.
In età evolutiva, in cui l’eccesso ponderale muove i
suoi primi passi ed evolve, oggi sempre più spesso,
verso l’obesità morbigena, tale terapia di “mantenimento” dovrebbe ricevere un maggior credito.
La nostra popolazione oggi è per lo più bene informata sui consigli per un corretto stile di vita alimentare e motorio, ma confusa dai messaggi contraddittori
provenienti da un ambiente “tossico”(2). Un intervento dietetico non “direttivo” associato ad una sana attività motoria con un maggior coinvolgimento attivo
del paziente e della sua famiglia nell’autogestione
delle scelte piacevoli e sane “per la vita” potrebbe
forse migliorare l’approccio terapeutico al soggetto in
età evolutiva.
Rita Tanas
U.O. Pediatria ed Adolescentologia
Arcispedale S. Anna, Ferrara
Bibliografia
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crisis, common sense cure. Lancet 2002; 360: 473-482
livello, dedicato al controllo dell’eccesso ponderale in età
evolutiva. Questo, permettendo ai soggetti sottoposti al trattamento dietetico di entrare in contatto con ragazzi affetti
dalla medesima condizione, può aver evitato forme di disagio
ai pazienti ed innescato fenomeni di emulazione verso comportamenti alimentari più corretti. I due gruppi femminili sono
stati quelli con minore drop-out, probabilmente in conseguenza di un differente impatto psicologico del problema
obesità nei due sessi che ha determinato una maggiore adesione al programma di trattamento in quello femminile (20).
Le motivazioni psicologiche alla riduzione di peso sembrano
essere particolarmente importanti in età adolescenziale,
come indicato dal valore più basso in assoluto di drop-out in
questa fascia di età.
bambini e negli adolescenti potrebbero inoltre essere dovuti ad
un background culturale o ad un assetto genetico diversi tra le
famiglie dei due gruppi (7, 18, 19); tuttavia, questi aspetti non
sono stati indagati in questo studio.
La mancata riduzione di peso negli adolescenti ribadisce la
difficoltà del trattamento dell’obesità in questa fascia di età.
L’adolescente, anche se più attento al problema della propria
immagine corporea (18, 20), ha spesso una ridotta compliance con il trattamento dietetico, poichè ricerca una terapia che gli permetta di perdere peso in poco tempo e senza
sacrificio (18, 21, 22). Inoltre, un adolescente obeso può
essere in tale condizione già dalla pre-adolescenza (21, 23),
per cui l’intervento terapeutico inizia in ritardo e su una condizione ormai “inveterata” che riduce la possibilità di successo. Nell’adolescente obeso si ha inoltre un aumento maggiore, rispetto a quanto avviene nel soggetto normopeso, del
volume e soprattutto del numero delle cellule adipose (23).
La terapia dietetica può portare a una riduzione del loro volume ma non del loro numero (23).
La riduzione dell’eccesso ponderale potrebbe anche essere
percepita dal sistema nervoso centrale come un depauperamento delle riserve energetiche e quindi orientare in modo
erroneo il controllo dei comportamenti alimentari e dell’efficienza energetica per cercare di mantenere lo “steady state”
precedentemente raggiunto (17, 18).
In questo studio, è stato rilevato un drop out a breve e medio
termine minore di quanto riportato in letteratura (13, 24).
Questo risultato potrebbe essere dipeso dall'inserimento dei
pazienti in un programma di follow-up piuttosto ravvicinato,
dal coinvolgimento dei genitori e dei ragazzi nel programma
dietetico e dall’afferenza ad un ambulatorio specializzato di 3°
Conclusioni
I dati di questo studio confermano che il solo intervento dietetico è scarsamente efficace in un programma di riduzione
ponderale a breve e medio termine nell’adolescente. Tale
approccio sembra dare migliori risultati nei soggetti in età
prepubere, in particolare in quelli di sesso maschile.
Si deve, inoltre, sottolineare l’importanza dell’uso di indici di
adiposità appropriati per l’età evolutiva nell’interpretazione
corretta dei risultati ottenuti in un programma di riduzione
ponderale. Nella riduzione ponderale del soggetto obeso
sono probabilmente coinvolti non solo fattori nutrizionali,
spiegandosi così la scarsa efficacia del trattamento in alcuni
gruppi di pazienti, nonostante l’adesione al programma di
follow-up (25-27).
34
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Follow-up longitudinale del trattamento dietetico dell’obesità in età evolutiva
Volume 2, n. 3, 2004
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Pediatria. Milano: Masson; 1995, p. 2-3
Corrispondenza:
Dr. Silvano Bertelloni
18. Meyer EE, Neumann CG. Trattamento dell’adolescente obeso.
Clin Pediatr Nord Am 1977; 10: 138-150
Divisione di Pediatria II, Dipartimento di Medicina della Procreazione
e dell’Età Evolutiva, Università di Pisa, Ospedale Santa Chiara
Via Roma, 67 - 56125 Pisa
E-mail: [email protected]
19. De Sanctis V. Accrescimento e problematiche auxo-endocrinologiche.
In: De Sanctis V. editors. Manuale di Adolescentologia.
Pisa: Pacini editore Medicina; 2002, p.64-69
35
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
La prevenzione del tabagismo: risultati
di uno studio controllato randomizzato
in adolescenti scolarizzati di Cassino
Giuseppe La Torre*, Claudia Moretti***, Daniele Capitanio**, Maria Teresa Alonzi**,
Maria Ferrara**, Adele Gentile**, Alice Mannocci*, Giovanni Capelli**
*Laboratorio di Epidemiologia e Biostatistica, Istituto di Igiene, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma;
**Cattedra di Igiene, Università degli Studi di Cassino; ***Liceo Scientifico “Pellecchia”, Cassino (FR)
Introduzione
comincia a fumare, corrispondente alla frequenza delle scuole medie superiori, e le motivazioni per l'avvio al tabagismo
riscontrate in letteratura confermano il modello etiologico
basato sulle pressioni psicologiche ed ambientali, in particolare da parte dei genitori e dei coetanei e l’importanza della
pubblicità nell'indurre e nel perpetuare l'abitudine al fumo di
tabacco (2-5).
E' pertanto evidente che l'approccio preventivo più efficace
deve essere condotto precocemente, deve porre particolare
attenzione alle esigenze dei soggetti di sesso femminile, ma
non deve essere basato, come spesso succede, solo sulla
informazione, bensì sullo sviluppo e rafforzamento delle
capacità di resistenza alle pressioni sociali che spingono a
fumare.
Sul periodo in cui poter realizzare questo tipo di intervento,
alcuni Autori sostengono l'importanza di avviarli sin dai primi
anni di scolarizzazione. Gli studi condotti sulla valutazione
delle esperienze di prevenzione realizzate riguardano,
comunque, quasi esclusivamente le fasce di età adolescenziali e giovanili (4, 6-8).
Al fine di verificare l’efficacia di un programma di educazione
alla salute per prevenire il tabagismo negli studenti delle
scuole medie superiori, è stato condotto uno studio rando-
Ogni giorno si stima che nel mondo il fumo uccida 8000 persone e sia causa dell' 80-90% delle malattie respiratorie croniche, dell' 80-90% dei cancri del polmone e del 43% delle
malattie coronariche. Il tabagismo può essere attualmente
considerata la prima causa evitabile di malattia e morte, rappresenta attualmente la più diffusa abitudine voluttuaria nei
giovani del nostro Paese, così come in tutte le nazioni occidentali.
Secondo una recente indagine campionaria (DOXA 2004),
basata su 3050 interviste personali ad un campione rappresentativo della popolazione italiana adulta di 15 anni ed oltre,
il 26.2% degli italiani dichiara di essere fumatore (il 30.0% dei
maschi e il 22.5% delle femmine (1). Fra i giovani di 15-24
anni i fumatori correnti sono il 32.9% dei maschi ed il 26.7%
delle femmine. Tali valori aumentano rispettivamente a 38.7%
e 30.5% nella fascia d’età che va dai 25 ai 44 anni (1).
Mediamente l’età in cui si inizia a fumare risulta essere di
poco superiore ai 17 anni, con il 20.7% prima dei 15 anni, il
40.9% tra i 15 ed i 17 anni. I maschi si avvicinano al fumo un
po’ prima rispetto alle femmine (16,8 anni l’età media di
accesso al fumo degli uomini, contro i 18.2 delle donne).
Un’efficace lotta all’abitudine al fumo può essere
basata su tre direttrici:
1) il divieto della pubblicità,
diretta ed indiretta;
2) il divieto di fumare in
locali pubblici;
3) l’educazione alla salute.
Quest’ultimo punto è stato
nel nostro Paese scarsamente programmato ed
attuato sia a livello centrale
(Ministero della Sanità) che
periferico (Regioni e ASL),
lasciando all’iniziativa sporadica dei singoli individui o
delle Associazioni il compito di affrontare un tema così
complesso ed articolato.
La fascia di età in cui la
maggioranza dei giovani
36
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Prevenzione del tabagismo
Volume 2, n. 3, 2004
I Anno a.s.1998-1999
Questionario
somministrato
nel febbraio 1999
9 classi del Liceo Scientifico
6 classi del Liceo Classico
di Cassino (FR) N = 308
Studenti partecipanti
all’intervento educativo
N = 162 (52.6%)
Randomizzazione
Studenti non partecipanti
all’intervento educativo
N = 146 (47.4%)
II Anno a.s. 1999-2000
Persi alla fine del Trial
N=2
Persi alla fine del Trial
N=2
Studenti nel gruppo di
partecipanti all’intervento
N = 160 (52.6%)
Studenti nel gruppo
di controllo
N = 144 (47.4%)
Questionario
somministrato tra settembre
e dicembre 1999
III Anno a.s.2000-2001
Studenti nel gruppo di
controllo
N = 144 (47.4%)
Studenti nel gruppo di
partecipanti all’intervento
N = 160 (52.6%)
Figura 1.
Schema
della randomizzazione.
Questionario
somministrato nel
febbraio 2001
mizzato controllato nei Licei Classico e Scientifico della città di
Cassino (Frosinone).
bitudine al fumo in 15 classi del primo anno dei suddetti istituti
superiori della città di Cassino (9 dello Scientifico e 6 del
Classico), selezionate con estrazione random, un questionario
anonimo per la valutazione della prevalenza dell'abitudine al fumo
di tabacco.
Il questionario, già validato in precedenti indagini (9) conteneva
informazioni di carattere socio-demografico riguardanti lo studente ed i propri familiari, le abitudini e le attitudini nei confronti del
tabagismo ed il fumo passivo.
Fra i mesi di settembre e di dicembre 1999 (anno scolastico
1999-2000, II anno), quindi, è stato somministrato nuovamente il
Materiali e Metodi
Disegno dello studio e setting
Il disegno relativo alla randomizzazione ed alla distribuzione delle
classi nel trial randomizzato viene presentato nella Figura 1. Nel
mese di Febbraio 1999 (anno I), è stato somministrato, prima dell'effettuazione di un intervento educativo sulla prevenzione dell'a-
37
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
Tabella 1. Classificazione e principali criteri diagnostici dei disturbi dell’alimentazione (1, 3, 7).
Fumatori (%)
Non fumatori (%)
Ex fumatori (%)
Totale
Prevalenza inizio studio
17 (10.4)
135 (83.1)
10 (6.5)
162
Prevalenza a distanza di 6-9 mesi
25 (15.6)
134 (83.8)
1 (0.6)
160
Prevalenza a distanza di 24 mesi
41 (25.6)
113 (70.6)
6 (3.8)
160
Prevalenza inizio studio
16 (10.8)
119 (81.5)
11 (7,7)
146
Prevalenza a distanza di 6-9 mesi
27 (18.8)
116 (80.6)
1 (0.7)
144
Prevalenza a distanza di 24 mesi
40 (27.8)
96 (66.7)
8 (5.6)
144
Intervento educativo
Gruppo di controllo
questionario per valutare i cambiamenti nella prevalenza dell'abitudine al fumo negli studenti.
Lo stesso questionario, infine, è stato somministrato agli studenti
partecipanti a 2 anni di distanza dall’intervento educativo (anno
scolastico 2000-2001, III anno).
Attraverso la collaborazione degli insegnanti referenti per l’educazione alla salute degli istituti coinvolti è stato possibile seguire longitudinalmente la carriera degli studenti, recuperando i nominativi di coloro che non erano presenti nella classe di partenza (per
una bocciatura nel corso degli anni, o per un cambio di sezione).
con garbo e fermezza, l'offerta della sigaretta da parte del gruppo
dei pari nell'ambito del gruppo e della capacità di conversazione
per saper sostenere adeguatamente le proprie posizioni di rifiuto.
Analisi statistica
E' stata quindi condotta un'analisi di regressione logistica multipla
per valutare l'influenza sullo status di fumatore di sigaretta dei fattori socio-demografici (età, sesso, livello educativo dei genitori)
dei partecipanti e dell’abitudine fumatoria dei loro genitori.
L’analisi statistica multivariata, eseguita con pacchetto statistico
SPSS, ha previsto l’impiego della tecnica stepwise (metodo
backward elimination), secondo la procedura descritta dal
Hosmer e Lemeshow (1991).
Per valutare l’efficacia dell’intervento educativo sono stati calcolati le percentuali di eventi (status di fumatore) nel gruppo randomizzato all’intervento educativo (experimental event rate, EER), e
nel gruppo di controllo (control event rate, CER), la riduzione del
rischio assoluto (absolute risk reduction, ARR), la riduzione del
rischio relativo (relative risk reduction, RRR), ed il numero di persone da sottoporre all’intervento per prevenire un evento (NNT =
1/ARR).
Intervento
Nelle classi in cui si è svolta l'attività educativa sono stati effettuati tre incontri sulle seguenti tematiche:
a) informazione sui rischi del fumo di tabacco;
b) analisi dei meccanismi che spingono adolescenti ed adulti a
fumare;
c) approfondimento e sperimentazione pratica di tecniche per
resistere alle pressioni sociali che inducono gli adolescenti a
fumare.
Gli interventi sono stati condotti da un’équipe multidisciplinare
costituita da un medico specialista in igiene e medicina preventiva, da uno psicologo e da un assistente sociale.
In particolar modo, negli incontri con gli studenti sono stati enfatizzati soprattutto gli effetti a breve termine, piuttosto che a lungo
termine, dell'abitudine al fumo.
In sede di discussione e di dibattito sono state fornite una serie di
informazioni tese a smitizzare e correggere i luoghi comuni associati spesso al consumo del fumo di tabacco.
Le problematiche psico-sociali (fra cui lo stress relazionale nell'ambito del gruppo dei pari e della famiglia), che influenzano e
perpetuano l'atteggiamento verso il tabacco, sono state al centro
dell'attenzione degli incontri.
L'intervento, attraverso anche la partecipazione diretta ed attiva
da parte degli studenti in attività di drammatizzazione in classe,
ha riguardato lo sviluppo dell'abilità dei singoli a saper rifiutare,
Risultati
Hanno aderito alle attività del primo anno (anno scolastico 19981999) 308 studenti, distribuiti in due gruppi: il primo costituito da
162 (52.6%) studenti appartenenti alle classi partecipanti all’intervento educativo, il secondo formato da 146 individui che non
hanno seguito l’iniziativa (gruppo di controllo). Nell’anno successivo si sono registrati 2 persi per ciascun gruppo: il gruppo randomizzato all’intervento prevedeva 160 alunni (52.6%), il gruppo
di controllo con 144 (47.4%) studenti. Nel terzo anno hanno partecipato gli stessi studenti del secondo anno.
In Tabella 1 viene presentata la prevalenza dell'abitudine al fumo
negli studenti nelle classi randomizzate prima dell'intervento
38
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Prevenzione del tabagismo
Volume 2, n. 3, 2004
Tabella 2. Calcoli sull’efficacia dell’intervento educativo
Periodo
EER
CER
ARR
RRR
NNT
II anno
5.2
8
2.8
35%
35
III anno
15.2
17
1.8
10.6%
56
Discussione
educativo, ed a distanza di 6-9 mesi e 24 mesi da questo. Come
si può osservare, la prevalenza dei fumatori nei due gruppi è
sostanzialmente sovrapponibile all’inizio dello studio (10.4% nel
gruppo randomizzato all’intervento educativo e 10.8% nel gruppo di controllo), mentre dopo 6-9 mesi e 24 mesi dall’intervento, nel gruppo di studenti selezionati per l'intervento educativo la
prevalenza dei fumatori è di 15.6% e 25.6%, mentre nel gruppo
di controllo il tabagismo è presente nel 18.8% e 27.8% dei partecipanti.
Per entrambi i gruppi vi è una diminuzione percentuale dello status di non fumatore: nel gruppo dei controlli si passa dall’ 80.6%
a 6-9 mesi al 66.7% a distanza di 24 mesi; nel gruppo randomizzato all’intervento di prevenzione al tabagismo si passa
dall’83,8% al 70.6%, dopo due anni dalla fine dell’intervento.
Evidente per tutti e due i gruppi è l’aumento della prevalenza
della condizione di ex-fumatori, risulta maggiore nel gruppo di
controllo.
Dall'analisi di regressione logistica relativamente al primo anno
emerge che gli studenti fumatori hanno a loro volta il padre che
fuma con una probabilità di gran lunga maggiore rispetto agli
studenti non fumatori (OR = 10.37; IC 95% = 2.18 – 22.98). Nel
terzo anno le variabili che sono associate significativamente
all’abitudine al fumo degli studenti sono l’istruzione materna
(OR = 2.31 per i figli di donne laureate; IC 95% = 1.15 – 6.88),
il gruppo di età (OR = 2.11 per gli ultradiciassettenni nei confronti dei più giovani; IC 95% = 1.02 – 4.75), e lo status di fumatore del padre (OR = 1.51; IC 95% = 1.03 – 3.24).
In Tabella 2 vengono riportati i calcoli relativi all’efficacia dell’intervento educativo, valutata a 6-9 mesi di distanza (II anno), e a
24 mesi di distanza (III anno).
È possibile osservare che nel II anno la riduzione relativa del
rischio (RRR) di essere fumatori per coloro che hanno partecipato all’intervento è pari al 35%, mentre per III anno tale riduzione si attesta al 10.6%. Un interessante indice per valutare l’efficacia dell’intervento è fornito dall’NNT (numero necessario di
persone da sottoporre all’intervento per avere un evento favorevole, in questo caso 1 persona non fumatrice). Nel II anno il
valore dell’NNT è 35 e nel III anno diventa 56. Ciò significa che
è necessario sottoporre all’intervento educativo 35-56 persone
(equivalenti a 1-2 classi di scuola) per ottenere che una persona rimanga non fumatrice.
In conclusione, l'intervento condotto sembra efficace nel tenere basso lo status di fumatore, mentre non risulta particolarmente utile come strumento per far smettere di fumare gli adolescenti che hanno già cominciato l’abitudine. L’intervento
educativo di prevenzione dell’abitudine al fumo di tabacco,
condotto nei licei Classico e Scientifico di Cassino, basato in
particolar modo sugli aspetti cognitivo-comportamentali, è
risultato efficace nel mantenere inferiore, nel gruppo di intervento rispetto al gruppo di controllo, la percentuale dei fumatori, sia a medio termine che a lungo termine.
Purtuttavia, a distanza di 24 mesi dall’intervento la riduzione
relativa del rischio di fumare è pari al 10%, rispetto al 35% raggiunto a breve termine (RRR Tab.2). Ciò sottolinea la necessità
di rinforzare l’intervento iniziale con dei richiami a distanza, e
con l’attivo coinvolgimento degli studenti in attività di prevenzione, al fine di poter consolidare gli effetti preventivi raggiunti
a seguito dell’intervento. Particolarmente significative al proposito sono le esperienze realizzate nell’ambito delle campagne educative “Scuola senza fumo” e “Ospedali senza fumo”,
che prevedono l’interazione costante fra gli educatori e gli
utenti, che in maniera sistematica prendono parte ad iniziative
per la difesa dal fumo passivo, per il rispetto dei diritti dei non
fumatori, e per lo sviluppo di un mondo “smoke-free”. Il coinvolgimento dei mass media può risultare determinante, così
come dimostrato dalla scelta per il 2003 dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità di puntare allo sviluppo della cultura dei
film senza fumo.
Studi recenti sostengono che la sinergia tra prevenzione e
interventi legislativi-regolatori sia fondamentale, attraverso
campagne informative aggressive, costituzione di comunità di
intervento, cambiamenti nell’ambiente sociale, incremento del
prezzo delle sigarette (10). Inoltre si è evidenziato che ragazzi
con basso livello educativo, sottoposti ad un intervento di prevenzione del tabagismo, tendono a non iniziare a fumare, e si
sono osservati significativi incrementi della conoscenza del
tabacco, ma non riguardo le attitudini al fumo (11-14).
Sarebbe interessante prendere in considerazione altre tipologie di scuole, come le professionali, per cercare di capire se
anche la tipologia di struttura possa influenzare significativa-
39
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 3, 2004
lescenti. Educazione sanitaria e promozione della salute 1999;22:29-35
mente le attività di prevenzione. È, inoltre, dimostrato che
interventi non sistematici e di breve durata non portano ad una
risoluzione duratura del problema (11, 15-17), palesando la
necessità di programmare interventi addizionali che si protraggano durante gli anni scolastici, in maniera tale da permettere un più efficace messaggio e per mantenere l’effetto di
un attività di prevenzione.
8. Hu FB, Hedeker D, Flay BR, Sussman S, Day LL, Siddiqui O. The
Patterns and predictors of Smokeless Tobacco Onset Among Urban
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control : a review of smoking prevention and control strategies. Tob
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7. Graziosi G. Prevenzione al tabagismo: un intervento attuato tra gli ado-
Corrispondenza:
Dott. Giuseppe La Torre
Laboratorio di Epidemiologia e Biostatistica, Istituto di Igiene,
Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Largo F. Vito 1 – 00168 Roma
E-mail: [email protected]
40
Come una mamma pediatra
è diventata adolescentologa
Antonietta Cervo
Pediatra di famiglia
Circa 12 anni fa la mia primogenita Annamaria aveva
10 anni. Fin dalla sua tenera età era stata sempre una ragazzina
gioviale, affettuosa, ubbidiente, ordinata, diligente a scuola, con
tanta gioia di vivere ed entusiasmo per la pratica degli sports e
la danza; di buon appetito, soprattutto per i cibi saporiti.
Era tutto quello che un genitore potesse desiderare da una
figlia! Ma come se fosse caduta una bacchetta “magica” sulla
sua testa, cominciò a cambiare personalità: diventò aggressiva
e scostante con noi genitori. Si chiudeva in se stessa, spesso si
isolava in camera, qualche volte piangeva e litigava con le amiche. Inoltre, cominciò ad avere problemi con l’alimentazione ed iniziò ad
osservare una dieta rigida e poco calorica. Pretendeva che le cucinassi ogni
giorno pesce ai ferri o bollito e verdure
cotte o crude (questo andava bene!)
senza olio. Abolì dalla dieta il latte e i
derivati e tutte le carni, le uova, perché
erano piene di grassi. Non accettava di
assumere integratori alimentati, come il
calcio e il ferro. Lasciò perfino la danza
che era la sua passione.
Avevamo avuto fino ad allora quasi sempre un buon rapporto basato sulla sincerità e stima reciproca.
Da allora, per un bel po’ di tempo,
cominciò a non “ubbidirmi”, a non
seguire i miei consigli di mamma e
pediatra e tutti i giorni erano lotte,
discussioni per farle capire che stava
seguendo una condotta sbagliata che le avrebbe portato conseguenze sullo stato di salute, in un periodo così delicato dell’accrescimento, e conseguenze psicologiche per la sua autostima ed i rapporti con i coetanei.
Nonostante l’amore materno, con tutta la pazienza e la comprensione che mi ero imposta, ho immaginato che potesse trattarsi di un problema legato all’adolescenza, non riuscivo ad
avere risultati positivi di cambiamento e non mi capacitavo che
il percorso per diventare una persona adulta doveva passare
attraverso tutte queste crisi.
Allora cominciai a sentirmi impotente, come madre e come professionista, e a nulla mi servivano i confronti con le altre mamme
che si trovavano nella mia stessa situazione.
Cominciai a comprare libri, consultare riviste scientifiche dove si
parlava di “Adolescenza”. Trovai che era nata la “SIMA” (Società
Italiana di Medicina dell’Adolescenza) a cui subito mi iscrissi e
partecipai a tutti i congressi nazionali cominciando da quello di
Modena presieduto dalla prof.ssa Teresa de Toni, partecipai alla
Biennale sull’Adolescenza a Cagliari presieduta dal prof. Carlo
Pintor.
Tutto questo per avere un aiuto, per migliorare le mie conoscenze ed il rapporto di mamma con mia figlia.
Durante tali convegni, sempre ricchi di argomenti interessanti
che abbracciavano molte tematiche adolescenziali da quelle
mediche a quelle psicologiche e sociali,
mi convinsi di studiare sempre di più e di
prendere in carico gli adolescenti del mio
ambulatorio, di sensibilizzare le altre
mamme, le istituzioni locali, i miei colleghi
pediatri, di stare a fianco ai ragazzi con
sacrificio e abnegazione per effettuare
una buona prevenzione e trattamento
delle problematiche adolescenziali.
Cominciai a fare volontariato nelle scuole
medie inferiori e superiori, mettendo a
disposizione le conoscenze da poco
acquisite.
In questi 12 anni, grazie alla fiducia delle
mamme e all’affetto dei miei piccoli assistiti, ora diventati adolescenti, mi sento
utile, gratificata e consapevole di poter
aiutare i genitori e i ragazzi.
Grazie a questa cultura adolescentologica e a questa esperienza non ho avuto
problemi con il mio secondogenito Michele, che ora ha 19 anni.
Mia figlia Annamaria, che indirettamente ha motivato la mia scelta di diventare adolescentologa, oggi è una ragazza serena,
soddisfatta, prossima alla laurea in psicologia.
Sono una mamma felice ed una pediatra che oltre al suo lavoro
quotidiano con 1100 assistiti, di cui solo 300 adolescenti, ha
tanto entusiasmo di continuare a migliorare le conoscenze sulle
tematiche della età adolescenziale e di metterle in pratica nell’ambulatorio e nel sociale.
Un sincero ringraziamento ai componenti del CD della SIMA,
che si sono succeduti negli ultimi 11 anni, ed ai numerosi Esperti
che hanno diffuso la cultura adolescentologica nel nostro
Paese. Grazie a loro ho potuto allargare i miei orizzonti e conoscenze a favore dei giovani.
41
“Perché la speranza
non deve morire. Mai”
Francesca
Centro di Solidarietà Calabrese, Catanzaro
Avevo perso tutto: la mia famiglia, la mia libertà, i
miei genitori…
Mio padre non voleva più vedermi, e neanche mia sorella, mentre mia madre…..
Mia madre non c’era più, era morta da due anni; lei la mia unica
sicurezza in una vita sballata, senza responsabilità, né certezze,
né risposte, ma lei nei momenti più disperati mi teneva sempre
la mano, lei mi confortava, mi aiutava, mi curava e mi riempiva
d’amore, lei la persona più cara al mondo, se ne era andata ed
io mi sentivo maledettamente sola, in crisi con la mia vita ormai
da troppi anni calpestata e ridotta a
brandelli.
Vivevo con un uomo, che detestavo,
finito in galera per la mia “dolce e
velenosa compagna“, i due piccoli
pulcini Gianluca e Carla, venuti al
mondo senza presupposti, senza
una normale famiglia ma con già
tanti problemi, con una sola certezza, la loro mamma.
Ogni giorno, quando li portavo all’asilo, pensavo: ”Speriamo che an-che
oggi va tutto bene” il rischio era
enorme, ogni giorno quel buco nella
pelle poteva essere l’ultimo.
Non potrò mai dimenticare quel giorno… Ero collassata e mi risvegliai
con Carla sopra di me che mi dava i
pizzicotti in faccia e urlava ripetutamente: “Mamma, mamma!!!!”
Appena ho riaperto gli occhi ho visto i suoi occhi disperati, terrorizzati…Poi nel vedermi di nuovo lì, con lei i suoi occhi sono
tornati a brillare.
Dio solo sa come mi sentivo dentro…… Fallita… finita……
distrutta… stanca… e inutile…dove era finita Francesca???
Gianluca e Carla erano con me ed io non volevo perderli, assolutamente no!!
Ho deciso così di intraprendere un cammino terapeutico, certa
solo di non avere più alternative, che da sola non potevo farcela e che sarebbe stata dura.
Il mio percorso è stato molto duro e difficile sin dall’inizio:
sono arrivata al centro con un bel biglietto da visita “un giudizio”
che mi sono purtroppo portata appresso per tutto il programma,
quello di “ragazza facile”.
Dico così e non “puttana” perché per me sono due termini molto
diversi.
Ecco perché per tutto il percorso ho sempre negato di dirlo,
quel termine non mi apparteneva.
Quando ero piccola regalavo spesso le mie cose per accaparrarmi l’affetto degli altri, non davo il giusto valore alle cose, tutto
si poteva donare pur di non deludere gli altri, le amiche in particolare, altrimenti sarei rimasta sola…
Poi è arrivato il collegio…con quelle stanze grandi, fredde e
silenziose.
Tutte le sere quando andavo a letto, prima di spegnere la luce
stringevo la mano alla mia amica Cristina e poi a Monica e ci
davamo la buonanotte, e appena la luce si spegneva le lacrime
prendevano il sopravvento… Mi mancava la mia mamma…mia
sorella…mio padre, ogni giorno quando finiva la scuola vedevo
le altre ragazze tornare a casa ed io no; io salivo su nell’internato….perché? mi chiedevo perché io no? Cosa ho di diverso, di
sbagliato?
E’ atroce sentirsi esclusi dal mondo, non amati , né voluti….il
vuoto dentro aveva bisogno di essere riempito…
Francesca è stata facile…facile all’affetto, facile all’infatuazione,
facile al corteggiamento e alle lusinghe, disposta a concedere
tutto, senza tanti preamboli, per un po’ di affetto, per sentirsi
importante, coccolata, protetta, e forse amata.
42
prezioso al cui interno si trova un tesoro , ma che non è visibile
a tutti; ricordo quando dissi questo a Don Mimmo e lui si commosse… con questo non voglio dire che ho raggiunto la pace
dei sensi, assolutamente no; so di potere ancora ricadere perché la solitudine è una brutta bestia ma ho anche imparato
dopo tante umiliazioni e ricadute che in questo mondo ci sono
ben altre sofferenze più gravi, e che lassù c’è un Dio che è sempre pronto ad amarmi e a darmi conforto e grazie a Lui che oggi
anche senza un uomo accanto mi sento degna di essere me
stessa, perché Dignità è Amore, è Perdono, è anche sofferenza
e solitudine ma è soprattutto Riscatto verso una vita nuova.
Ogni azione della propria vita lascia delle conseguenze,siano
esse buone o cattive, l’importante è farne tesoro, per migliorare
se stessi e di conseguenza il rapporto con gli altri.
Sono consapevole di non avere un carattere abbastanza forte e
deciso per non riuscire sempre in questo intento ma mi sforzo
ogni giorno e cerco di essere coerente con i miei principi, per
poterli trasmettere ai miei figli.
Sto cercando di essere una buona mamma per loro, sto crescendo insieme a loro, non si finisce mai di imparare nella vita
e soprattutto con i figli.
E così iniziavo a cercare conferme nei ragazzi, “almeno tu, tu
che sei diverso, almeno tu nell’universo “ dicevo al mio uomo…
Ed è stato così anche per tutto il mio percorso… soprattutto
quando arrivavano quei sentimenti di sempre… solitudine,
diversità, paura…non li sopportavo e mi appoggiavo ad un
uomo per non sentire, per stare meglio, per colmare i miei bisogni e le mie angosce.
Prima Roberto, poi Luca, poi Fabio in Comunità e Marco al
Rientro, con loro ho segnato le mie ricadute, in un percorso
dove sto lottando a denti stretti, con le lacrime e sangue, per
crescere, per fortificarmi, per abituarmi a camminare da sola,
per diventare autonoma, lotta che mi affascinava ma mi scoraggiava…
Ho camminato sempre con alti e bassi, ho avuto momenti di
vera crescita, durante i quali ho imparato a “leccarmi le ferite
da sola” come i gatti, a riempire i vuoti di me stessa, di nuovi
valori, di piccole ma meritate conquiste; si alternavano periodi
in cui la solitudine e l’insicurezza prendevano il sopravvento ed
io facevo più grande il bisogno di un uomo accanto, cedendo
e rinunciando a quegli ideali che stavano germogliando dentro di me.
Nonostante le mie ricadute, ho sempre
lottato per il mio principale obiettivo: la
mia dignità. Per arrivarci ho imparato a
volermi bene, a guardarmi allo specchio, ad osservare il mio naso senza
più odiarlo ma accettandolo come
parte integrante del mio viso, d’altronde
senza di lui non sarei più la stessa ed io
oggi mi accetto così come sono!
Ho imparato ad accarezzarmi, a prendere cura del mio corpo e del mio spirito, riempiendo me stessa del mio affetto, le mie paure con le mie incertezze.
Ho imparato a valorizzarmi e considerarmi una bella persona, ho imparato a
perdonare i miei sbagli perché non
serve colpevolizzarsi fino a sentirsi una
nullità.una donna sa sempre rialzarsi e
guardare al suo domani a testa alta…
l’importante è non perseverare…
E questo è fondamentale.
Oggi non sono disponibile a donare il
mio affetto a chiunque, neanche in amicizia, sono diventata esigente e a volte
troppo critica sia con me stessa che
con gli altri, io seguo la mia strada. A
secondo di dove va la corrente io
seguo la mia strada con decisione.
Non sono più così importanti le lusinghe
altrui perché io so quanto valgo e basta
questo, mi considero come uno scrigno
43
che io tanto contestavo sono gli stessi che io dico ai miei figli
perché li ho fatti miei.
Spero solo che loro saranno meno ribelli di me… io cercherò di
essere sempre al loro fianco, di farli sentire amati, e prima di
andare al letto ogni sera darò loro la mano e gli sussurrerò: “Vi
voglio tanto bene”.
Oggi guardo al mio presente con positività, con speranza ed
amore…un amore immensurabile per la vita, che anche se difficile e talvolta ingiusta e crudele, è tuttavia un dono prezioso da
rispettare ed apprezzare giorno per giorno.
La perdita recente di un caro amico mi ha insegnato ad apprezzare ogni singolo giorno della mia vita, a rispettare per quanto
mi è possibile la mia salute e quella dei miei figli e soprattutto a
ringraziare il Signore del suo immenso amore.
Mi sto avvicinando alla fede perché la sento presente dentro di
me, sto entrando a far parte di una nuova comunità: quella cristiana, e questo mi da un senso di continuità con il percorso
fatto finora.
Anzi forse era proprio l’ultimo pezzo mancante del puzzle della
mia vita da ricostruire, oggi con me a darmi forza c’è il Signore.
Tante volte io passo da una grande forza a tanta paura e
sconforto, e questi ultimi sono momenti molto difficili per me ma
sto imparando ad accettarli come parte di me e provo ad affrontarli con serenità; ho i miei punti di riferimento a cui rivolgermi e
sembrerà strano per la mia storia ma la persona a cui mi rivolgo
quasi sempre è mio padre, poi Margherita e come guida,spirituale oggi c’è Don Mimmo da cui mi sono sempre sentita voluta bene sin dal primo colloquio in Accoglienza, che ancora ricordo come se fosse ieri; ma se andiamo a ritroso nel cammino la
mia guida terapeutica è stata inizialmente Giovanni che con la
sua grande pazienza e umanità è riuscito a leggere dentro di me
e lentamente mi ha fatto entrare nel programma conquistando la
mia totale fiducia.
Lui non è mai stato autoritario con me, lui con calma e comprensione riusciva a tirar fuori il meglio di me ed io gli sono tanto
grata per questo… perché in Accoglienza avevo bisogno proprio di questo… altrimenti probabilmente sarei fuggita via.
Poi c’è stata Sara, un esempio da seguire, una persona da
amare, ed io l’ ho amata come fosse una seconda mamma… lei
a volte molto dura, a volte molto tenera, mi ha fatto crescere e
mi ha rassicurato quando ne avevo bisogno.
Oggi sento una profonda gratitudine verso di loro e verso tutti gli
altri operatori, che mi anno aiutata a ritrovare me stessa, l’amore per la vita e tanta di voglia di guardare al mio domani con la
luce della speranza negli occhi.
Durante il percorso ho dovuto mettere in discussione il mio
essere “mamma” e non è stato facile.
Non volevo accettare di avere delle carenze e tanti comportamenti da modificare.
Con l’aiuto dell’operatrice di Comunità, sono molto cambiata
con la mia bambina; ho avuto la netta sensazione di averla partorita per una seconda volta, perché sentivo crescere in me la
voglia di occuparmi di lei, la voglia di sacrificarmi anche per lei,
e la voglia di prendermi cura, con tanto amore per lei.
Quel senso di rifiuto, quel senso di limite che mia figlia rappresentava lentamente, durante il mio percorso,con alti e bassi, è
tutto scomparso.
Oggi a casa, ho ripreso con me anche mio figlio Gianluca anche
se con lui le problematiche sono un po’ diverse…
Non sento più la difficoltà nell’accettarmi come mamma, anzi
oggi per me è il mio ruolo principale e loro sono la linfa della mia
vita.
Con Gianluca ho dovuto lentamente ricucire un rapporto interrotto da ben due anni di distanza, due anni tanto sofferti per
entrambi.
Gianluca era diventato molto timido, molto impaurito da qualsiasi cosa, iperattivo e distaccato, non voleva nessun contatto
fisico e urlava sempre.
Ho avuto paura, e ho dovuto fare i conti con i miei sensi di colpa
ma ormai era tutto chiaro in me sapevo come agire, l’ avevo già
fatto… e con tanto amore e pazienza ho ricucito il rapporto con lui.
Oggi siamo una famiglia serena ed unita: Gianluca e Carla
vanno finalmente d’accordo, la competizione tra loro va scemando sempre più, sono due bambini felici, sicuri e pieni di vita
ed io sono soddisfatta di come sto portando avanti la mia vita
con loro. Ecco oggi i miei figli non rappresentano più un limite
ma una fortuna.
Amo il mondo dei bambini, amo giocare con loro, emozionarmi
con loro per le cose più semplici, con loro torno anche io bambina e a sorridere alla vita senza alcuna paura.
Sono anche esigente per quanto riguarda la loro educazione; a
volte mi accorgo di esagerare, pretendo molto e allora allento un
po’ la corda, a volte penso di essere un po’ “rompiscatole” perché troppe regole fanno male (per esperienza personale !!!) e
allora torno paziente.
Quando poi vedo Carla che si mette ad apparecchiare di sua
spontanea volontà o che mette il pigiama sotto il cuscino o
Gianluca che aiuta sua sorella a vestirsi, allora dall’emozione mi
vengono le lacrime e mi ritengo soddisfatta di come stanno crescendo. Oggi mi rendo conto di quanto sia difficile essere un
buon genitore perché non ci sono schemi o regole da seguire,
si impara ogni giorno insieme; oggi quei consigli di mio padre
Grazie.
44
La comunicazione con l’adolescente: il ruolo dell’infermiera
Umberta Ferrato
Infermiera Professionale - Dipartimento Pediatrico, Ferrara
Da alcuni anni, da quando è stata allargata l’età di
competenza pediatrica fino ai 18 anni, hanno iniziato ad affluire
nelle unità operative pediatriche gli adolescenti. Per questo
motivo è stato richiesto un adeguamento di conoscenze e un
cambiamento di atteggiamenti nel comportamento a tutto il
team, medici e infermieri compresi, per accogliere soggetti
appartenenti ad una particolare fascia dell’età evolutiva che è
“l’adolescenza”, alla quale non eravamo preparati.
La famiglia: secondo alcuni psicologi sembra che la contrattazione tra la libertà che si conquista in cambio della fiducia concessa non solo fra genitori e figli ma anche tra adulti
e adolescenti e istituzioni e giovani sia il giusto percorso da
seguire perché l’adolescente si responsabilizzi e accresca la
sua autonomia. Spesso, invece, quando gli adolescenti
maturano e tendono ad essere indipendenti, procurano
ansia e paura in molti genitori che, nell’intento di mantenere
un più stretto controllo, cercano di imporre restrizioni e limitazioni improponibili all’adolescente. Inoltre, i problemi dei
genitori spesso si riflettono sul comportamento dell’adolescente e sulle sue capacità di azione.
La scuola: per la maggior parte degli adolescenti la scuola costituisce la principale occupazione e preoccupazione.
Un improvviso peggioramento sul rendimento scolastico
può far rilevare una crisi personale o famigliare. Il capire
se l’impegno dell’adolescente è rivolto alla realizzazione
delle sue mete future, se il rapporto con gli insegnanti è
buono, se ci sono materie che ama di più ed altre che
risultano ostiche, se nei suoi riguardi i genitori hanno aspirazioni particolari e se lui stesso le condivide e ritiene adeguate, sono interrogativi che possono aiutare a trovare
una risposta che induca l’adolescente a superare il suo
disagio. Deve essere fatto un invito ad una attenta riflessione che ci permetta di cogliere e valutare l’importanza
che possono assumere le azioni che nel quotidiano svolgiamo spesso con leggerezza e superficialità. Noi adulti
dobbiamo essere consapevoli che ad ogni azione corrisponde una reazione e quindi, interagendo con l’adolescente, abbiamo la responsabilità dell’influenza che i
nostri gesti, il nostro atteggiamento e le nostre parole possono esercitare.
Gli amici: quando incomincia il processo di emancipazione
dalla famiglia, gli amici incominciano ad assumere una grande importanza per l’adolescente. Spesso il tipo di amicizie
scelto influenza l’atteggiamento dell’adolescente e si riflette
sul suo adattamento sociale. È importante capire se ha degli
amici, se ha una/un ragazza/o che gli è particolarmente
cara/o e importante, se si sente a proprio agio nei rapporti
con l’altro sesso. È importante ed essenziale in questa età
far parte di “un gruppo”, quindi è anche importante stabilire
come si sente egli stesso all’interno del gruppo: se emarginato, se preoccupato per il proprio adattamento.
Definizione di adolescenza
Cosa deve sapere l’infermiera
dell’adolescente
Con il termine “adolescenza” si indica un periodo dell’età evolutiva che si colloca tra l’infanzia e il momento dell’inserimento
nel mondo adulto.
È un periodo ricco di esperienze e caratterizzato dalla maturazione dei caratteri sessuali primari e secondari, da un rapido
accrescimento corporeo generale e da una serie di processi di
carattere intellettuale, emotivo e sociale che portano alla configurazione della personalità e alla definizione dell’identità individuale che aiutano l’adolescente a staccarsi dalla famiglia e a
esercitare scelte per le attività della vita futura. Quindi l’adolescente non è più un bambino ma non è ancora un adulto. Inoltre
i giovani tendono ad entrare nell’età puberale con modalità
diverse e varia è anche la velocità con la quale si verificano i processi di maturazione biologica. In quest’epoca della vita l’età
cronologica è di scarsa importanza per la valutazione dello stadio di sviluppo dell’adolescente.
Cosa deve sapere l’infermiera della sfera
del vivere dell’adolescente
Due distinte categorie di adolescenti si presentano per essere
assistiti e curati: quelli affetti da malattia o disturbi di natura
organica acuta o cronica e quelli che presentano anomalie di
comportamento o difficoltà di adattamento. Nel trattare questo
secondo gruppo di adolescenti si incontrano le maggiori difficoltà perché alcuni non desiderano parlare, alcuni di questi non
lo fanno per scarsa capacità verbale ed esperienza al colloquio
o perché sono molto ansiosi o perché sono stati accompagnati forzatamente e quindi sono irritati.
Per riuscire a comprendere il malessere dell’adolescente è
necessario conoscere le dinamiche di relazione (con la famiglia,
la scuola, i coetanei) che spesso diventano conflittuali e causano malessere nel vivere quotidiano, tristezza, depressione.
Inoltre, prendere in esame eventuali esperienze con il fumo,
alcool, droga insieme alle sue conoscenze sulla attività sessuale,
45
sui mezzi anticoncezionali, sulle malattie veneree e sulla gravidanza, è
un’eccellente possibilità
che abbiamo di istruire il
giovane su questi argomenti.
Sappiamo che in questa
fase della vita sono maggiormente esposti al
rischio di fobie e di episodi depressivi, di condotte
che possono sviluppare
dipendenza da sostanze
illegali e legali come
droga e alcool. Difficile è
identificare la causa che
avvicina i giovani alla
droga e all’alcool.
La possibilità di modificare, attraverso l’uso di una
sostanza, il modo di stare
insieme agli altri, può
esercitare una indubbia
attrazione su adolescenti
introversi, che vivono
sentimenti di esclusione,
inferiorità ed emarginazione nel gruppo di coetanei, nella scuola, nella
famiglia.
L’accresciuto benessere
economico in combinazione
con situazioni di stress sembrano fattori responsabili della diffusione e della crescita del consumo di
queste sostanze. Inoltre non si deve
perdere la possibilità di indagare sulle abitudini alimentari e di
conseguenza offrire nozioni sulla nutrizione perché obesità e
magrezza possono essere migliorate, recuperando una migliore
accettazione della propria immagine corporea. Pensando se l’anoressia può essere definita come un male del nostro secolo,
credo che si possa rispondere che l’anoressia è sempre esistita
ma che probabilmente la pressione culturale volta a imporre il
valore della magrezza come panacea contro ogni malessere,
abbia incrementato un fenomeno già esistente.
spensabile sviluppare una capacità di attenzione, di ascolto attivo e di interesse per l’adolescente nella sua complessità e globalità. Per occuparsi empaticamente dell’adolescente bisogna
sviluppare una cultura della solidarietà che è alla base della
nostra professione dove esiste il “prendersi cura di”, comprendere ciò che l’adolescente prova. È una cultura che non è innata ma che si apprende con la formazione continua: quella che
noi infermiere chiediamo e che i nostri medici producono, per
poter perseguire l’obiettivo difficile ma chiaro a tutti: far sentire
l’adolescente una persona speciale. Instaurare con lui un rapporto di reciproca fiducia, di rispetto, di calore umano, di disponibilità di ascolto senza velleità di giudizio. Tutto ciò a far parte
della comprensione profonda che rispecchia l’atteggiamento
dei professionisti che collaborano affinché questo sia principalmente l’obiettivo da raggiungere ogni qualvolta un adolescente
si presenti per ricovero. Per far comprendere quanto sia importante la formazione per raggiungere questo obiettivo mi piace
chiudere con una frase che rispecchia la volontà dell’apprendere per aiutare: “nessun vento aiuta colui che non ha un porto nel
quale dirigersi”.
L’azione comunicativa
dell’infermiera
Dopo aver descritto le conoscenze del mondo degli adolescenti come può l’infermiera, in ambiente ospedaliero, trovare uno
spunto dal quale iniziare e continuare la comunicazione con l’adolescente? Certo non è possibile determinare a priori tecniche
di comunicazione standard né metodi rigidi che possano essere applicati con successo in ogni caso. E’ indubbio che sia indi-
46
Lo scoutismo
Andrea Miranda
Sarno, Salerno
Lo scoutismo sembrerebbe roba
da figli di papà, e invece è comunità, allegria,
gioia, divertimento, avventura, contatto con la
natura, ma anche regole, adattamento, stile
ed educazione. A parlarvi è un ragazzo di
sedici anni, che in questi ultimi cinque, proprio
grazie allo scoutismo, ha avuto la possibilità di
crescere, maturare, fare nuove esperienze ed
assumersi responsabilità. Maturai la voglia di essere uno scout all’età di otto anni in quanto mi era sempre piaciuta
l’avventura e testare il mio coraggio. Così, dopo tre anni, quando si
aprirono le iscrizioni per i lupetti, la branca dei più piccoli dell’associazione, entrai a far parte dell’A.G.E.S.C.I. (Associazione Guide E
Scout Cattolici Italiani). La branca dei più piccoli è quella dove si
vive l’essere scout attraverso la storia del Libro della Giungla. Infatti
tutti i lupetti impersonano e vivono un’avventura simile a quella di
Mowgli. All’inizio aiutati dai capi, i quali rappresentano i personaggi
adulti della storia, come per esempio Akela, il grande capo, Ka, il
pitone, Baghera, la pantera nera, Baloo l’orso buono e altri ancora.
Ricordo che nella prima riunione ero emozionantissimo e non
conoscevo nessuno. Avevo una gran paura ma non riuscivo a sentirmi solo perché i capi crearono un atmosfera di amicizia tra loro e
noi che piano, piano si estese tra tutti i piccoli lupetti, in modo da
legarci fino ad oggi. In questo anno mi divertii da matto grazie al
lavoro dei capi,che proponevano giochi, bans e sempre nuove
cacce, ovvero avventurose lotte con gli acerrimi nemici degli ideali
scout, rappresentati nella storia dalle bandarlog e dalla tigre cacciatrice di Mowgli, ma soprattutto mi divertii stando insieme a bambini della mia età, e condividendo con loro giochi ed esperienze
completamente nuove. Dopo qualche tempo mi trovai a dover promettere dinanzi a Dio e ai capi di essere un buon lupetto; era la mia
prima responsabilità da mantenere. Dei lupetti fanno parte bambini di età compresa tra i sei e gli undici anni e siccome quando io
entrai avevo già l’età massima mi ritrovai assieme ad altri tre bambini a ricoprire il ruolo di capo sestiglia. Un ruolo che per l’età che
avevo mi dava giuste responsabilità che dovevo rispettare. Questi
doveri mi hanno dato tanto facendomi crescere e maturare.
Essendo capo avevo, infatti, la “responsabilità”dei miei sestiglieri e
rispondevo delle loro marachelle, dei litigi e dei compiti non rispettati. Così dopo un anno, in cui si erano susseguiti campeggi dove
avevo provato, assieme alla mia sestiglia le nostre capacità fisiche,
artigianali, teatrali e di apprendimento, e dove avevo stretto ancora
più amicizia con tutti, mi ritrovai da lupo anziano, come Mogli, a
ritornare nella civiltà umana passando nel reparto. Il reparto rappresenta la branca degli esploratori e delle guide: ragazzi e ragazze con un età compresa tra gli undici e i quindici anni. Passare in
reparto è il traguardo più ambito di un lupetto,
e ricordo che ero emozionatissimo. Era sera e
Akela e gli altri mi raccontavano di fianco al
fuoco la parte finale della storia di Mowgli,
dove il giovane lupetto era ornai pronto per
tornare nella civiltà umana. Così, anche per
me era giunto il momento di crescere. Entrai
così nella squadriglia degli orsi dove ho trascorso i quattro anni di reparto, i quattro anni
più belli della mia vita. Infatti è nel reparto che mi sono formato, nel
reparto che ho imparato ad essere più uomo, nel reparto che ho
imparato ad essere autosufficiente, autonomo ed efficiente senza
nulla ed in condizioni avverse. Ho imparato cosa vuol dire il sacrificio,che tutto è utile e nulla è superfluo,ad adattarmi e vivere bene
senza i confort del quotidiano: senza TV, senza cellulare, senza
videogiochi, senza comodi letti o pranzi già pronti; ma armato solo
di sacco a pelo, tende, stoviglie, pali e corde, e soprattutto di una
manciata di amicizia, fratellanza, gioia di vivere l’avventura, allegria
e spensieratezza. Nei primi due anni sono stato un semplice squadrigliere, ed ho imparato le tecniche scout. Negli ultimi due mi sono
trovato ad essere vice capo squadriglia e ad insegnare ai nuovi
squadriglieri quello che avevo in precedenza imparato. Questi due
anni sono stati i più intensi, segnati dalla spensieratezza tipica adolescenziale, dalle prime cotte, ma soprattutto dai primi scontri tra
me e i capi dovuti ai miei primi caparbi, testardi e contraddittori
no.Gli esploratori e le guide durante gli anni del reparto sono spronati alla crescita attraverso il raggiungimento di quattro tappe, che
possono essere conquistate una alla volta attraverso procedimenti
sempre più ardui a seconda della tappa. L’anno scorso poi dovetti
lasciare il reparto e la magia che lo avvolge per intraprendere il cammino da uomo impegnato nel sociale. Fui posto davanti ad una
prima scelta di vita, che si ripresenterà poi al termine del quinto
anno trascorso nella branca R/S (rover e scolte), la branca più
anziana del gruppo, che comprende i ragazzi dai sedici ai ventuno.
Questa scelta la prima volta, a sedici anni, ti si presenta come
gioco, dove puoi scegliere realmente, in senso figurato, tra due strade, una che ti porta a casa, e l’altra che ti porta al servizio per gli
altri. Scegliendo la seconda si entra nel noviziato, che dura un anno
e serve da preparazione al clan dove si resta per altri quattro anni.Il
noviziato dove io mi trovo è appunto un anno di transizione tra l’adolescenza e la maturità. Qui vengono a mancare tutti i supporti su
cui prima si era sicuri di poter contare, come la squadriglia, e ti trovi
solo tu e la tua vita e spetta a te decidere come governarla.
In questa branca i ragazzi, seguiti dai capi, percorrono un processo di formazione di fede di comunità, di servizio e di strada, ovvero il percorso spirituale da intraprendere.
47
O
PRIM CIO
N
ANNU
XII CONGRESSO NAZIONALE
SOCIETÀ ITALIANA
DI MEDICINA
DELL’ADOLESCENZA
Palermo, 20-22 ottobre 2005
Consiglio Direttivo
S.I.M.A.
TOPICS
Moduli formativi:
Presidente
Dermatologia - Abuso
Ecografia dei genitali
Medicina d’urgenza
Diagnostica strumentale
Vincenzo De Sanctis, Ferrara
Vice Presidente
Carlo Pintor, Cagliari
Segretario
Workshop
Silvano Bertelloni, Pisa
“I Bisogni di Salute:
la parola agli adolescenti”
Tesoriere
Giuseppe Raiola, Catanzaro
Sessioni
Consiglieri
Patologie endocrine
emergenti in età
adolescenziale
Problemi di comune
o rara osservazione
nell’ambulatorio
dell’adolescente
Il Pediatra, l’Adolescente
e la Scuola
Disabilità - Immigrazione
Aspetti medico-legali e
psicologici nell’approccio
con gli adolescenti
La formazione in Medicina
dell’Adolescenza.
Antonietta Cervo, Salerno
Salvatore Chiavetta, Palermo
Giampaolo De Luca, Cosenza
Presidenti del Congresso
Salvatore Chiavetta, Palermo
Piernicola Garofalo, Palermo
SEGRETERIA SCIENTIFICA
Salvatore Anastasi, Catania
Piernicola Garofalo, Palermo
Calogera Gerardi, Sciacca (Ag)
Antonino Mangiagli, Siracusa
Salvatore Chiavetta, Palermo
Tel. e fax 0918984532
e-mail [email protected]
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
CHRONOS s.n.c.
Organizzazione e Servizi
Via Scesa Gradoni, 11
88100 Catanzaro
Tel. 0961.744565-707833
fax 0961.709250
[email protected]
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 2, n. 3, 2004
MAGAM NOTES
MAGAM NOTES
Service provision
and psychosocial
aspects of
chronic diseases
in adolescence
Section Editor: Bernadette Fiscina, New York
Michael Angastiniotis, M.D.
Former Director, Paediatric Department and Thalassaemia Centre, Archbishop Makarios III Hospital, Nicosia, Cyprus.
Summary
Comprehensive, age-appropriate care for adolescents is lacking in many parts of the world. Such care is
important especially for the sizable population of chronically ill adolescents, who need psychosocial support in order to
deal with the physical and psychological burdens of their disease and often, its treatment. An adequate program to care
for these patients must include trained adolescent medicine specialists or physicians with a special interest in adolescents as coordinators, a multidisciplinary team, separate treatment areas, links with school health services, and inclusion of the primary care or family doctor. To build such services governmental support is necessary, and to obtain this
support, pediatricians and other health workers, with the support of epidemiological data and knowledge of the quality
of services required, should become the strongest advocates for young people.
Keywords: adolescence, chronic illness, health services delivery
Introduction
The recognition of adolescent health as a field of medicine meriting special attention started in the 19th century. The need to
manage adolescent health problems by dealing not only with the
physical ailment, but also with educational and psychosocial
aspects was pointed out by Amelia Gates(1) as far back as
1918. She also described a medical department specializing in
the needs of adolescents. This concept of a holistic approach,
provided in a specialized clinic, was developed mostly on the
American continent over the course of the 20th century (2). In
westernized European countries such services have appeared
only in the last 30-40 years (3). Globally the focus on adolescence is even more recent, having been given a boost by the
1987 World Health Assembly during which member states were
“urged to strengthen programs relating to youth and adolescents at all levels”, placing “health for youth” as a policy priority for the World Health Organization (4). Despite this, much of
the developing world, including many countries of the
Mediterranean region (5), has not developed special services
and still tends to this age group in age-inappropriate wards and
with little consideration of the need for multidisciplinary care.
The purpose of this paper is to explore ways in which the paediatrician and the adolescentologist can promote the development of services appropriate for this age group, especially to
meet the needs of those suffering from chronic conditions.
Chronic health conditions
in adolescence
According to the policy statement of the American Academy of
Pediatrics (6), 2% of those aged 0-21 years have a chronic
condition severe enough to have an impact on their daily lives
and another tenfold number have milder conditions. In a recent
report (7) 7-8% of children aged 5-17 years have activity limitations, while up to 30% are classified as children with special
needs. There is a wide range of diagnoses that can be included in this category, asthma and diabetes being the most
common, while in the Mediterranean area inherited blood
49
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 2, n. 3, 2004
MAGAM NOTES
disorders, thalassaemia and sickle cell disease are major contributors. Other conditions are
cystic fibrosis, juvenile rheumatoid arthritis, epilepsy
and many others. Apart from the symptoms inherent in these
disorders, they are accompanied by an ever-present threat of
death and the need to adhere to a treatment regime that is in
itself a source of suffering. There are limitations to activities,
schooling and social life. Diabetes is an example, since it involves daily injections, frequent blood checks and a special diet,
all of which constitute a daily stress and make the adolescent
aware of being ‘different’ from peers. Similarly thalassaemia
major involves daily subcutaneous infusions and regular blood
transfusions as well as other medications; moreover, short stature, deformities, delayed puberty and other complications (8)
all lead to a significant psychosocial burden (9). Despite this,
in many studies it has been shown that adolescents with chronic conditions do not differ greatly from their healthy peers
(10). On the contrary, social support, knowledge about the
disease and family support lead to adaptation and acceptance
(5,11,12).
There are various issues involved in the chronic disorders which
must be addressed. The one most worrying to the treating physician, because of the long-term dangers, is non-adherence to
treatment. Psychosocial and family supports are central to the
solution of this problem (13,14). Other issues are:
Education problems which are only partially attributable to
frequent absences. They are influenced by the nature of the
disability, the degree of social adjustment and the relationship with peers (10,15).
Physical appearance – the presence of deformities or short
stature and distortion of body image (16,17).
Limitations in various activities including exercise.
Social relationships, sexuality and concerns about fertility (18).
Physical pain and suffering.
cialties are needed also to support the varied pathologies
and complications that accompany chronic disorders.
General practitioners, psychiatrists, endocrinologists,
gynaecologists, nutritionists and others have a significant
role but the coordinating role of adolescent medicine is central (20).
The need for multidisciplinary care is accepted universally
and the team should include not only medical specialists,
but also psychologists, educators/teachers, sociologists
and specialized nurses. This acknowledges the global
needs of the patients and their interaction with family and
society, and reinforces the idea that quality of life must be a
serious consideration in addition to survival.
The need for separate treatment areas for adolescents
must be recognized to ensure privacy and good communication, while management in children’s wards and clinics and adult areas that cater more to the elderly must be
avoided. Care should be appropriate for the teens’ stage
of development.
There must be a close link of the management to school
health services where adolescents spend much of their
time. School services, by virtue of close contact with the
specialist team, should know how to deal not only with day
to day problems in school, but also with emergencies such
as hypoglycaemia or epilepsy. They can play an important
role in support, counseling and prevention. They observe
the patients in a natural setting and should be able to recognize early any changes in behaviour, giving warning of
possible complications. This is a great advantage since the
specialist teams see patients only periodically. Health education is another important function of school health.
Primary care and family doctors can contribute by assisting
in the improvement of self-care skills as well as having
immediate access to families and knowledge of their home
conditions.
In members of the management team there is always need
to improve communication skills with adolescents.
Interventions
It is apparent that simply providing a treatment protocol to deal
with the physical condition is not enough in adolescent chronic
disorders. This is of course necessary and the quality of care will
contribute to the reduction of the psychosocial burden (19).
However experience has shown that other interventions are
necessary and these health needs are not adequately dealt with
by most health systems, even though they have been well documented for many years:
The need for paediatricians with a special interest or adolescentologists who are trained in the skills necessary to be
effective in the management of this sensitive group of
patients. This was recognized many years ago in the USA
and training programs were initiated (2) and a specialty in
adolescent medicine was developed. Other medical spe-
Planning service provision
The complexity of the required services, which must accommodate physical as well as psychosocial needs within the context of all
the natural changes taking place in the patients’ lives, leads to the
conclusion that governmental policy and adequate budgetary provision are required to build a firm foundation for adolescent health
care especially when chronic disorders are involved. Health authorities act only when they are sensitized and sometimes if they are
pressured. Such sensitization must come from paediatricians and
other health workers who must ‘become more active and courageous as advocates for the health rights and health care of young
people” (21). These health professionals should be armed with
50
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 2, n. 3, 2004
MAGAM NOTES
15. Logan DE, Radcliffe J, Smith-Whitley K, Parent factors and adolescent
sickle cell disease: associations with patterns of health service use. J
Pediatr Psychol 2002; 27:475-84
epidemiological data, but also with a good knowledge of the
quality of the services required. Some of the issues to be tackled at the ministerial level include:
The multidisciplinary nature of the services is costly.
Financial support for team building and supporting is
necessary. Team coordination and inter-sectoral collaboration also need financial and logistics support.
Hospital re-planning is often needed to accommodate facilities such as wards and clinics.
The recognition by Ministries of Health of the need for specialized physicians, nurses and others is required so that
plans for training and career structure can be promoted.
Once a comprehensive plan has been put together, budgetary
allocation and a roadmap for building up the services will ensure that a truly patient–centered service will be provided.
Legislative provisions may also be necessary.
Political will must complement goodwill.
16. Georganda ET. The impact of thalassaemia on body image, self image
and self-esteem. Ann NY Acad of Sciences 1998; 612:466-472
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Michael Angastiniotis M.D.
Paediatric Department and Thalassaemia Centre
Makarios III Hospital
Nicosia (Cyprus)
14. Samperi P, Schiliro G. Adolescence and sickle cell disease. Minerva
Pediatr 2002; 54:517-19
51
Istruzioni agli Autori
Obiettivo della rivista
La Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza, organo ufficiale della Società Italiana di Medicina
dell'Adole-scenza, si propone di favorire la cultura e
la conoscenza degli aspetti medici, etici, educativi e
psicosociali della età adolescenziale con l’obiettivo di
migliorare l’approccio all’assistenza ed alle problematiche dell’età evolutiva.
La Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
pubblica articoli di aggiornamento, articoli originali,
casi clinici, note di laboratorio, rassegne specialistiche di Esperti di diverse discipline mediche (pediatria, medicina legale, dermatologia, ginecologia,
andrologia, odontoiatria, diagnostica di laboratorio
e per immagini, medicina dello sport).
Articoli in supplementi al fascicolo
Payne DK, Sullivan MD, Massie MJ. Women’s psychological reactions to breast cancer. Semin Oncol
1996; 23 (Suppl 2):89
Preparazione degli articoli
Gli articoli devono essere dattiloscritti con doppio
spazio su fogli A4 (210 x 297 mm), lasciando 20 mm
per i margini superiore, inferiore e laterali.
La prima pagina deve contenere: titolo, nome e
cognome degli autori, istituzione di appartenenza e
relativo indirizzo.
La seconda pagina deve contenere un riassunto in
italiano ed in inglese e 2-5 parole chiave in italiano
ed in inglese.
Per la bibliografia, che deve essere essenziale,
attenersi agli “Uniform Requirements for Manuscript
submitted to Biomedical Journals” (New Eng J Med
1997; 336:309).
Più precisamente, le referenze bibliografiche devono essere numerate progressivamente nell’ordine
in cui sono citate nel testo (in numeri arabi tra
parentesi).
I titoli delle riviste devono essere abbreviate secondo lo stile utilizzato nell’Index Medicus (la lista può
essere eventualmente ottenuta al seguente sito
web:
http://www.nlm.nih.gov).
Figure e Tabelle
Per favorire la comprensione e la memorizzazione
del testo è raccomandato l’impiego di figure e
tabelle.
Per illustrazioni tratte da altre pubblicazioni è
necessario che l’Autore fornisca il permesso scritto
di riproduzione. Le figure (disegni, grafici, schemi,
fotografie) devono essere numerate con numeri
arabi secondo l’ordine con cui vengono citate nel
testo ed accompagnate da didascalie redatte su un
foglio separato.
Le fotografie possono essere inviate come stampe,
come diapositive, o come immagini elettroniche
(formato JPEG; EPS, o TIFF).
Ciascuna tabella deve essere redatta su un singolo
foglio, recare una didascalia ed essere numerata
con numeri arabi secondo l’ordine con cui viene
citata nel testo
Articoli standard di riviste
Parkin MD, Clayton D, Black RJ, Masuyer E, Friedl
HP, Ivanov E., et al. Childhood leukaemia in Europe
after Chernobil: 5 year follow-up. Br J Cancer 1996;
73:1006
Libri
Ringsven MK, Bond D. Gerontology and leadership
skill for nurses. 2nd ed. Albany (NY): Delmar
Publisher; 1996
Capitolo di un libro
Phillips SJ, Whisnant JP. Hypertension and stroke.
In: Laragh JH, Brenner BM, editors. Hypertension:
pathophysiology, diagnosis, and management. 2nd
ed. New York: Raven Press; 1995, p.465
Come e dove inviare gli articoli
Oltre al dattiloscritto in duplice copia, è necessario
inviare anche il dischetto magnetico (formato PC o
Mac) contenente il file con il testo e le tabelle. Gli
articoli vanno spediti al seguente indirizzo:
Dott. Vincenzo De Sanctis
Società Italiana
di Medicina della Adolescenza
Arcispedale S. Anna
Corso Giovecca 203
44100 Ferrara
Articoli con organizzazioni come autore
The Cardiac Society of Australia and New Zealand.
Clinical exercise stress testing. Safety and performance guidelines. Med J Aust 1996; 164:282
E-mail: [email protected]
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