I popoli Djerma e Songhai vivono nella valle del fiume Niger, che nelle lingue locali è chiamato ‘il grande fiume’. Secondo le convinzioni ancestrali, l’universo (Andunya) è stato creato in sette giorni da Irkoy (Nostro Signore). Esistono sette terre, abitate rispettivamente dalle stelle e dagli uomini. A ciascun essere umano corrisponde una stella, la cui grandezza e il cui splendore sono proporzionali al successo sociale, al valore morale e all’importanza pubblica dell’individuo. Dopo l’universo, Dio creò Adamo ed Eva. Un giorno decise di rendere loro visita, ma la coppia, timorosa, nascose nella boscaglia i figli più robusti, più belli e più intelligenti, per mostrargli soltanto i meno dotati. Perciò Dio, cui nulla può sfuggire, decise di punirli: volle benedire i figli visibili, ma fece calare la propria maledizione su quelli nascosti. Questi si trasformarono così in entità invisibili, chiamate gangi boro (gli abitanti dei boschi), mentre i primi rimanevano umani (koyra boro, gli abitanti dei villaggi). Gli uomini, tuttavia, per poter padroneggiare la natura e apprendere le tecniche per la caccia, la pesca, l’agricoltura, devono fare ricorso agli abitanti dei boschi, che detengono poteri magici. Non vi sembra quasi che si stia parlando del Piccolo Popolo dei Celti irlandesi, nani, fate e folletti? Nel mondo invisibile dei gangi boro abitano anche gli holley (mitici antenati o numi protettori, come i manes degli antichi romani). I più importanti fra loro (tooru) sono, secondo le diverse tradizioni, sette od otto, sono giunti direttamente dall’Egitto e sono i geni tutelari dei principali ceppi delle popolazioni che abitano la vallata del fiume Niger. Occorre elencarli, e ci scusiamo con chi non conosce la complessità etnica di quella valle. Zaa Beri (il grande Zaa) è il più antico e, secondo le differenti versioni, è il nume protettore dell’etnia kurumba oppure dei songhai. Dikko, la regina delle acque (Harakoy), è la figlia di Zaa e di una donna peulh (Fulbe o Fulani). I cinque geni che seguono sono, a loro volta, i figli avuti da Dikko con uomini delle altre varie stirpi circostanti. Per consiglio dei saggi, Dikko fu obbligata a cambiare marito dopo la nascita di ciascun figlio. Questi risultarono per tre quarti umani (koyra boro) e solo per un quarto eredi di Zaa Beri. Kirey o Cirey (Songhai), il genio dei sapienti; Mahama Surgu o Zangina (Tuareg), il pastore nomade; Mussa Niawri (Gurma, Gurmancé), il cacciatore; Hawsakoy Manda (Haussa), il fabbro (ricordiamo la rigida suddivisione in caste di molte società africane); Farun Baru Koda (la beniamina Tuareg): questo genio è spesso raffigurato come un androgino. Infine la regina Dikko, secondo certe tradizioni, avrebbe ‘adottato’ un sesto figlio, Dongo, di origine Bariba. La figura di Dikko è la più pittoresca fra quelle degli holley il cui culto è stato rivelato agli uomini. È una sirena dalle fattezze di una bellissima donna peulh, con i capelli chiari, che al calare della sera esce dalle acque profonde, si siede sulla sponda del fiume e attende un nuovo amante. Il suo culto è molto diffuso anche nei Paesi della costa del Golfo (Togo, Ghana), ove prende il nome di Mami Wata (dall’espressione in pidgin’ english che significa ‘Mamy of the Waters’, la Signora delle acque). In Brasile, la Regina delle acque si è incrociata con il culto della Vergine cristiana ed è diventata Yemanjà, la Vergine incinta. I figli di Dikko, antenati mitici dei vari popoli, si dispersero per la vasta regione, mentre Dikko viveva a Katakambe, nelle acque del fiume Niger. Un giorno, però, commise l’errore di sposarsi con un ginn (genio) che si chiamava Sangay Moto. Quando volle divorziare da lui, tutti i ginn si unirono, la scacciarono dal fiume e la costrinsero a stare sulla terra ferma, nel villaggio di Latakabiyey. Se fosse rimasta a lungo fuor d’acqua avrebbe rischiato la morte. I primi sei figli, uno dopo l’altro, accorsero per salvarla, ma furono sconfitti dagli spiriti e rimasero essi stessi prigionieri. Rimase solo Mussa, il cacciatore, il quale, ignaro di tutto, conduceva una vita spensierata presso il nonno Gurmancé. Correva tutto il giorno in mezzo alla natura, si appostava, tendeva trappole agli animali. Dikko riuscì a inviargli una richiesta di aiuto, grazie a una gru coronata che poté sfuggire in volo alla vigilanza dei ginn. Mussa, il grande cacciatore, accorse prontamente e (dopo lunghi accostamenti e tranelli) sconfisse i geni. La sua grande esperienza, l’allenamento al confronto con la natura e con gli animali dei boschi gli furono preziosi. Così Mussa liberò la madre e le consentì di ritornare nelle acque del grande fiume. Potrete sentire Dikko, nelle notti serene, quando tutti gli uomini dormono. Dopo queste vicende, la gru coronata è ritenuta un uccello benefico, quasi un animale sacro. La leggenda che abbiamo raccontato vuole ricollegare a un’origine comune la nascita di tutti i popoli della grande vallata del fiume Niger. Popoli che non sono stati sempre fratelli, ma che si sono combattuti e sopraffatti l’uno con l’altro. Ciascuna delle stirpi nominate è stata, di volta in volta, dominatrice o dominata. La gerarchia dei geni tutelari indica con raffinata precisione i rapporti di potere che nel tempo si sono venuti a creare tra le diverse stirpi. L’elemento unificante, per tutti, è la matrice dell’acqua che dà la vita, la linfa acquatica, e la sirena, che senza l’elemento acquatico non potrebbe vivere, vista come la madre comune, colei per la quale tutti e ciascuno si muoverebbe in difesa, in caso di bisogno. Dikko, la Regina delle acque, è perciò veramente la ‘Grande Madre’ comune di tutti i popoli del grande bacino fluviale. [Estratto da: A. Arecchi e M. Gadji, Fiabe e miti dal mondo. Storie d’Africa, Edizioni dell’Arco, 2008]