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Musica popolare
Le “filarmoniche”,
ovvero la musica in piazza
di Mauro Bocci
Le parole seguono a volte un percorso etimologico
che ce ne chiarisce l’intimo significato, e che è tanto
più importante quanto più il vocabolo, nell’uso, viene
ad assumere al tempo stesso significati diversi e magari
contraddittori.
Questo ragionamento può probabilmente valere per un
termine, “banda”, che evoca insieme immagini da cronaca nera e altre, all’opposto, festose e pacifiche come
quelle della banda musicale. Chico Buarque fissò queste ultime da grande poeta cariòca in una indimenticabile canzone del 1966, popolare anche in Italia nella versione di Mina: «Estava à toa na vida / O meu amor me
chamou / Pra ver a banda passar / Cantando coisas de
amor» (Stavo nella vita per caso / Il mio amore mi chiamò / per veder passare la banda / cantando cose d’amore).
Dunque, “banda” viene dal sanscrito bandh, “legare”, attraverso l’antico tedesco band e binde e a questa famiglia appartengono parole quali appunto l’ambivalente “banda”, ma anche “benda” e “bandiera”. Un convinto promotore genovese delle bande musicali (e a lungo “ban-
dista” nella “Giovanni XXIII” di Ceranesi), il cui nome e
cognome, Primo Maggio, già sembrano evocare il suono
di ottoni festivi, riprende il senso di quell’etimologia, quando sottolinea che appartenere a una filarmonica è soprattutto un fatto di educazione e di disciplina: il concetto
del “legame” – condiviso peraltro anche dalla banda criminale – trova in questo caso la più alta accezione. Del
resto, la storia delle bande, in particolare nel Genovesato, s’intreccia con gli eventi civici di quasi due secoli.
Nel secondo Settecento, i primi embrioni di bande musicali accompagnarono, cadenzandone le marce, le bandiere, gli eserciti che si muovevano con armonioso passo ordinato e lento; ma questo legame tra musica e guerra – sebbene le bande militari continuassero a sussistere, con una tradizione che oggi è ancora esaltata in Scozia e in Turchia, o, in Italia, dalla fanfara dei bersaglieri,
A fronte
Gli “ottoni” tipici strumenti delle bande musicali.
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che non è comunque tecnicamente una banda – venne
reciso dalle nuove tattiche di combattimento: dopo il convulso modo di dar battaglia inaugurato e Valmy (e ancor
più con gli assalti “alla garibaldina”) risultava assai pericoloso suonare mentre d’attorno scoppiava il finimondo. La transizione dalla banda militare a quella civile avvenne, non casualmente, all’inizio dell’età della Restaurazione, per ragioni insieme strutturali e politiche.
«Fu allora – scrive Mariangela Abramo nel suo La banda nella provincia di Genova (1988) – che si verificarono in Europa quei cambiamenti di organico decisivi per
la trasformazione del complesso militare settecentesco in
banda, sia pur sempre militare, quale noi l’intendiamo.
Essi sono essenzialmente l’adozione dei pistoni e dei cilindri per gli strumenti di ottone per facilitarne la tecnica e l’introduzione di strumenti come la cornetta a pistoni
e i flicorni d’ogni taglia, il cui suono e la cui immagine
richiamano subito alla mente la tipologia dell’organismo
musicale bandistico». L’emancipazione delle filarmoniche
dalla loro origine marziale non fu peraltro velocissima. Nel
1838, per esempio, al momento della nascita della prima banda musicale in Liguria, la “Società filarmonica voltrese” (oggi “Città di Voltri”), con sede in quella che oggi chiamiamo Villa Duchessa di Galliera, i musicanti vollero darsi una divisa che riprendeva in modo inequivocabile quella dei bersaglieri, il cui primo reggimento era
stato creato appena due anni prima dal Lamarmora. Altre bande, come la “Banda Lavagnese”, sorta nel 1853,
mentre cresceva l’entusiasmo in vista della spedizione piemontese in Crimea, operarono la stessa scelta.
Ma accanto alle questioni più generalmente legate all’aspetto artistico, la nascita delle bande ne portava altre,
di natura morale. In Italia, e ancor più in Germania, la
musica divenne attorno al 1815 uno strumento di diffusione di quelle idee alle quali non si poteva esplicitamente
alludere con le parole. Le bande della prima metà dell’Ottocento furono veicolatrici “popolari” della musica patriottica verdiana, così come, nella miriade di Stati tedeschi, la musica, pur egregiamente praticata da giovani
apprendisti, fu anche il paravento per iniziative di rinascita nazionale.
L’associativismo repubblicano – che Maria Drago, madre
di Giuseppe Mazzini, avrebbe esaltato tra l’altro con la
creazione delle prime cooperative di consumo – e quello cattolico – per il tramite delle confraternite, anch’esse prime in Italia, create a metà secolo per impulso di
monsignor Salvatore Magnasco, futuro arcivescovo di Genova – si mossero assiduamente sul piano del recupero
della musica in funzione ricreativo-educativa, nella stes-
A fronte dall’alto
Prove della Banca musicale “Giuseppe
Verdi” alla Spezia.
Accanto giovani clarinettisti suonano alla
festa patronale di S. Cipriano (Genova).
Musicanti alla Processione delle Ostie
a Dolceacqua (Imperia).
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Musica popolare
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sa logica che presiedeva le società di mutuo soccorso.
Già nel 1848 la “Società filarmonica voltrese” prese parte alle manifestazioni che precedettero la prima guerra
d’Indipendenza e fu questa banda a suonare per la prima volta quell’Inno di Mameli scritto nel novembre 1847
e ben presto musicato dal genovese Michele Novaro, buon
frequentatore di Voltri, come di Voltri era stato sindaco
Nicola Mameli, fratello di Goffredo. Anche Mazzini partecipò al grande corteo nel quale risuonarono le inedite
note di quello che sarebbe divenuto l’inno degli Italiani.
E i musicanti delle bande, a cominciare da quella voltrese, se ne videro (e ne condivisero) l’emergere come
leader politico, ne seguirono anche l’ultimo viaggio: in mezzo ai centomila che accompagnarono la salma di Mazzini a Staglieno domenica 17 marzo 1871, tra le rappresentanze delle società operaie e delle fratellanze, i labari massonici e le bandiere con decorazioni dei veterani, il partito d’Azione e le camicie rosse, c’erano anche
i suonatori di ben quattordici filarmoniche.
Non meno intenso, e ricco di significati, fu il sorgere di
associazioni musicali all’interno della realtà operaia cattolica, che non diversamente da quello repubblicano, ma
con altri strumenti e altre idealità, perseguiva forti obiettivi di emancipazione in chiave etico-pedagogica. La processione della festa del Corpus Domini – che dal 1877
divenne a Genova oggetto di una infuocata disputa tra
forze radicalmassoniche e mondo cattolico – aveva complemento bandistico, come avviene ancor oggi nelle pro-
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cessioni, anche in quelle più modeste e di quartiere, a
conferma di una tradizione solida nel tempo.
A quel punto, tuttavia, l’Unità d’Italia aveva già segnato
un punto di svolta nella storia delle filarmoniche popolari. Il definitivo distacco delle bande dai contenuti militari e apertamente patriottici del primo Ottocento avvenne intorno al 1860, con la nascita delle prime “bande municipali”, affidate a un maestro musicista e dotate ormai
di un repertorio di motivi sinfonico-operistici o ballabili.
Sarà il tipo di filarmonica che, con fortune diverse, sopravviverà alle due guerre mondiali del XX secolo, e la
cui attività si può riassumere in una colorata quartina della canzone Dove sta Zazà: «C’era la banda di Pignataro
/ che suonava il “Parsifallo”/ e il maestro, sul piedistallo, / ci faceva deliziá...». Quasi un assaggio della gag magistrale che un grande comico italiano, Totò, avrebbe dedicato al “maestro sul piedistallo”.
A ogni buon conto, se l’Ottocento fu grande stagione per
la banda, uno dei suoi momenti di maggiore successo
fu la belle époque. Intanto, la presenza del corrispettivo
di un direttore d’orchestra conferiva maggiore compostezza
formale al gruppo e andava accentuando in senso artistico la logica del “legame”. Scrive ancora Mariangela
Abramo che «l’anno 1901 portò con sé l’ormai necessaria
riforma della banda. Venne stabilita la divisione degli strumenti a bocchino nelle due grandi famiglie secondo il possesso di timbro “chiaro” o “scuro”, una migliore distribuzione delle parti nella strumentazione e una maggio-
Musica popolare
A fronte
La banda musicale Anfossi di Taggia durante la festa
della Maddalena.
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Giovani musicanti a Montalto (Imperia).
La banda di Baiardo (Imperia) esegue un canto medievale
baiardese “A barca”.
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re preparazione per il maestro di banda». Alla vigilia della Grande Guerra, le bande genovesi erano particolarmente
forti nel numero: la già ricordata banda di Voltri, che negli anni Ottanta del XX secolo contava circa trentacinque
elementi, ne allineava allora non meno di sessanta. Il conflitto mondiale, però, stese i propri distruttivi artigli anche sulle bande.
Gli anni Venti segnarono tuttavia una fase di rinascita. Un
Comune relativamente piccolo come Rivarolo, all’inizio di
quel decennio (cioè prima della creazione nel 1926 della Grande Genova), poteva contare quattro complessi filarmonici, mentre andavano affermandosi bande costituite all’interno delle grandi imprese e godevano di rinnovati momenti di popolarità quelle legate a società operaie cattoliche o addirittura a parrocchie, come la filarmonica di Santa Zita, la cui nascita taluno vorrebbe far
risalire addirittura al 1825.
A metà degli anni Trenta lo scenario cambiò ancora. Molti musicanti genovesi approdarono in Africa, secondando sogni coloniali; altri accettarono l’ingaggio sui transatlantici, “zona franca” per nuove esperienze musicali all’insegna della libertà e del mito americano. La seconda
guerra mondiale fece il resto, riducendo notevolmente il
numero degli elementi a disposizione delle singole filarmoniche, al punto che due bande, a Sestri Ponente, dovettero unirsi per sopravvivere. Soltanto la banda di Masone e soprattutto quella di Lavagna attraversarono un
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momento piuttosto felice all’inizio degli anni Cinquanta.
Il dopoguerra portò una buona sorpresa, nel 1947, con
l’istituzione presso il ministero della Pubblica Istruzione
di un Comitato per l’educazione popolare, che nel giro
di un decennio – dopo essersi trasformato in Direzione
generale – varò corsi di orientamento musicale: molti giovani filarmonicisti trovarono questa strada per affinare la
propria competenza musicale. Da allora le bande genovesi hanno visto abbassarsi anche notevolmente l’età dei
loro elementi. Fu questo, per esempio, l’itinerario della
“banda Giovanni XXIII”, sorta a Ceranesi nel 1972 da una
costola della filarmonica di Campomorone. La crearono
un gruppo di ragazzi fra i diciotto e i vent’anni con l’aiuto del parroco locale e di appassionati di musica. Nel 1973
si è assistito infine alla piccola rivoluzione dell’introduzione di ragazze negli organici.
Il testimone dunque passa ai giovani, ancora all’insegna di
quel “legame” – che è anche storia di cultura viva, non “minore” – del quale si parlava all’inizio. Un “legame” tra le note che, in occasione del grande raduno-sfilata delle bande
per Genova 2004, offrì uno spettacolare intreccio internazionale all’insegna di un genuino amore per la musica.
La banda suona all’Acquasanta (Genova) in occasione
del pellegrinaggio della Confraternita di S.Ambrogio.
A fronte
La banda musicale di Voltri, fondata nel 1838, durante
il pellegrinaggio della Confraternita di S. Erasmo.
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