1 Evoluzione e creazione1 Marcello Di Tora o.p. Parrocchia «S. Basilio», 17.3.2013 Schema: 1. Premessa 2. Distinzione e convergenze tra i campi della ragione e della fede 3. Precisazioni sul termine evoluzione A. L’evoluzione cosmologica B. L’evoluzione biologica 1. Il pensiero di Darwin 2. I neodarwinisti 3. Argomenti a favore di una interpretazione teista dell’evoluzione: critica alla dottrina darwinista 1. Premessa Il titolo di questa comunicazione offre già sia l’orientamento del cammino che intendo intraprendere (porre a confronto la scienza e la fede), sia la chiave di lettura per interpretarne i rapporti, data dalla e di congiunzione. Si capisce, inoltre che il tema può essere sviluppato almeno da due punti di vista, da cui potrebbero partire due filoni di riflessione di grandissima portata: o quello metodologico, dei rapporti tra scienza (evoluzione) e fede (creazione), oppure nel merito, individuando i fattori per cui è possibile credere all’evoluzione e nello stesso tempo e con lo stessa convinzione alla creazione di Dio. In realtà, sappiamo che con lo sviluppo tecnologico e scientifico, spesso per motivi ideologici la conoscenza della scienza e quella della fede sono visti in contrapposizione. Ne parla anche Benedetto nell’indizione dell’Anno della Fede, quando scrive che «la fede è sottoposta più che nel passato ad una serie di interrogativi che provengono da una mutata mentalità che riduce l’ambito delle certezze razionali a quelle delle conquiste scientifiche e tecnologiche. Ma la chiesa tuttavia non ha mai avuto timore di mostrare come tra fede e autentica scienza non vi possa essere alcun 1 Rielaborazione del primo capitolo del mio saggio su Cristianesimo e Religioni, EDI, Napoli 2008 (cf. http://framarcelloditora.blogspot.it/) 2 conflitto perché ambedue, anche se per vie diverse, tendono alla verità» (PF 12; FR 34, 106). Il conflitto tra Galileo (1564-1642), il fondatore della fisica moderna e le autorità ecclesiastiche, che interpretavano le idee sue idee copernicane come contrarie all’eliocentrismo biblico, ha segnato i rapporti tra la chiesa e la scienza nei secoli successivi, fu appianato con la dichiarazione del Vaticano II sulla legittima autonomia delle realtà terrene (36, 59), dal discorso di Giovanni Paolo II alla Pontificia Accademia delle Scienze del 10 novembre 1979, che deplorava gli interventi indebiti degli organismi di chiesa nel campo della scienza, e il 31 ottobre 1992 in cui si riabilitava lo scienziato pisano. L’esperienza dolorosa del caso Galileo ha permesso di comprendere sempre meglio che i rapporti tra scienza e fede, tra ragione e fede, possono mantenersi armonici nella misura in cui se ne stabiliscono le legittime autonomie, riconoscendo oggetti, principi e metodi propri alla scienza e alla fede. Su questa distinzione è ritornato solennemente GPII nell’enciclica Fides et ratio. 2. Distinzione di campi e convergenze tra i campi della ragione e della fede La scienza e la fede convengono nel porsi interrogativi che riguardano l’uomo e la sua origine, il senso della sua esistenza nel mondo e nell’universo, l’origine dell’universo. Ma subito divergono gli approcci alle risposte. La scienza spiega i meccanismi con cui funzionano i fenomeni fisici, e perciò anche il mondo e l’uomo, ma non è in grado di dare risposte pertinenti a tutti gli interrogativi che trascendono la sfera naturale sugli interrogatiti sul senso. È noto che la scienza ci dice come funziona la natura e quali sono le leggi e i meccanismi che presiedono al governo dell’universo, ma non ci dice perché il mondo è così come lo conosciamo. Ma il fatto che la scienza non possa dare una risposta non significhi che non vi possa essere una risposta; essa sarà data su un altro piano, che è quello della fede che accoglie la rivelazione. Del resto, che la scienza non dica tutto, è facilmente dimostrabile: né la matematica, né la biologia, o l’astronomia possono rispondere agli interrogativi di giustizia, verità e libertà che fanno parte della nostra vita quotidiana (e di cui si occupa la politica): dalla difesa dello stato sociale, alla tutela del diritto al lavoro, alla vita e così via; la dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948 o la costituzione italiana non sono stati forgiati a seguito dei risultati della chimica o dell’astrofisica. Ciò significa che ci sono valori, che concorrono a formarsi un’immagine di noi e del nostro rapporto con la società, che non trovano risposta nella scienza, ma che sono altrettanto vitali per noi tutti. Dunque l’uomo è il principale protagonista della ricerca scientifica e della conoscenza per rivelazione. Scienza e fede comprendono l’uomo da punti di vista differenti, e complementari. Il nostro organismo, per fare un esempio, può esser esaminato dal punti di vista dei vari sistemi e apparati, ossia gruppi di organi e tessuti che lavorano insieme per portare a termine un compito 3 specifico: sistema scheletrico, facendo una radiografia che mette in evidenza le ossa che lo compongono; oppure può essere studiato il suo sistema circolatorio, che mette in risalto il sangue che circola nell’organismo; oppure il sistema muscolare, l’apparato digerente, l’apparato riproduttivo il sistema endocrino. Dunque scienza e fede sono due campi distinti; i conflitti nascono quando si invadono i campi: quando l’esegesi o la teologia vuol proporre teorie scientifiche, o quando la scienza si lancia in valutazioni filosofiche o teologiche. E la chiesa cattolica, a differenza di talune correnti evangeliche americane, con il rinnovamento degli studi biblici avviato agli inizi del XX sec., ha mostrato come i primi capitoli della Genesi, sull’origine dell’universo e dell’uomo, non vadano letti in termini letterali, come se la Bibbia avesse intenti scientifici, ma religiosi. Ciò che il testo biblico vuol insegnare è che: - il mondo non è divino (a differenza della mentalità babilonese), ma dipendente da Dio; - Dio non crea mediante un demiurgo (filosofia greca) - l’uomo e la donna sono uguali e complementari e hanno una dignità unica perché creati col soffio divino - l’uomo diventa un vivente (nèfesh); questo principio vitale è detto psyckè = anima; - l’uomo è creato ad immagine e somiglianza, ossia dotato di intelligenza, coscienza, volontà La sua vocazione altissima (GS 12-22) è la relazione con Dio 3. Il termine evoluzione Posti i chiarimenti e le distinzioni sulle differenti metodologie tra scienza e fede, vediamo di entrare nel merito e comprendere come sia possibile essere evoluzionisti e creazionisti allo stesso tempo. Anzitutto una questione terminologica. In termini generali, per evoluzione intendiamo una trasformazione. Ma non una trasformazione qualunque; una trasformazione che fa progredire la realtà che si evolve. Altrimenti parleremmo di involuzione. Ciò vale anche per i rapporti sociali, in politica, ecc. Ebbene, applichiamo il termine evoluzione almeno a due realtà distinte, certamente interconnesse tra loro: quella dell’universo. Procediamo analizzando i risultati delle scienze cosmologiche e quelle biologiche; su un piano differente faremo delle considerazioni filosofiche e religiose. I piani, come detto, sono distinti. La scienza, in quanto tale, non ha argomenti a favore o contro l’esistenza di Dio dal momento che il suo metodo sperimentale non si occupa altro che di ciò di cui si può avere esperienza sensibile, che è riproducibile in laboratorio. E Dio esula da questa sfera. Semplicemente, si tratta di raccogliere alcune acquisizioni dalla ricerca scientifica odierna e di operare su di esse – su un piano differente – una riflessione razionale e filosofica dal momento 4 che, come scrive il fisico P. Davies2, sono gravide di «implicazioni che sconfinano nell’ambito filosofico e religioso»3. La domanda di fondo che ci accompagna è: l’universo che ci circonda, e la vita che pullula sul pianeta Terra, è frutto del caso o di un disegno intelligente di cui l’universo è parte? Siamo solo «polvere di stelle» (Novalis, Hack), costituiti soprattutto da atomi di carbonio e di ossigeno, o c’è dell’altro? Questa è una questione che la scienza, in quanto tale, non può sollevare perché «non è in grado di rivelare se la vita e l’universo abbiano un significato»4, ma che ogni uomo non può non porsi giacché rappresenta la domanda centrale per rispondere al senso ultimo della propria esistenza e imprimere l’orientamento alla propria vita. A. L’evoluzione cosmologica: l’origine e l’inizio dell’universo Sappiamo che l’universo ha avuto inizio circa 14 miliardi e mezzo di anni fa. Tutta la materia e l’energia esistente nell’universo era concentrata in un punto, miliardi di volte più piccolo della testa di uno spillo: precisamente 10 meno 33 alla potenza (10-33), ossia 1 cm3 di viso per 1 seguito da 33 zeri5. Questa materia è esplosa dando origine alla formazione dello spazio e al tempo, nonché all’aggregazione della materia e la nascita delle galassie. È la teoria del Big Bang, elaborata negli anni Sessanta dall’astronomo E. Hubble con la scoperta dell’espansione e dell’allontanamento delle galassie a velocità crescenti e in rapporto alla distanza. Gli spazi interminabili del nostro cosmo misurano circa 15 miliardi di anni luce, ossia 15 miliardi di volte 300.000 chilometri, moltiplicati per il numero dei secondi di un anno, ossia circa 30 milioni. Con il Big Bang hanno preso forma anche tutte le leggi della fisica e della chimica che ne regolano l’esistenza. Dal lungo processo di evoluzione cosmica, ha preso forma la Terra circa 4,55 miliardi di anni fa. Gli scienziati si chiedono se ci sarà una fine dell’universo, e coma sarà, e se l’universo è un sistema aperto (in cui la densità è inferiore al valore critico, perciò in espansione permanente), o chiuso, nel cui caso la sua densità sarebbe superiore al valore critico; in questa ipotesi, l’espansione 2 Sigle: S. ARCIDIACONO, L’evoluzione dopo Darwin. La teoria sintropica dell’evoluzione, Di Renzo Editore, Roma 1993 (Arcidiacono); P. DAVIES, Da dove viene la vita. Il mistero dell’origine sulla Terra e in altri mondi, Oscar Mondatori, Milano 2001 (DaviesV); ID., Il cosmo intelligente. Le nuove scoperte sulla natura e l’ordine dell’universo, Oscar Mondatori, Milano 2000 (DaviesC); ID., La mente di Dio. Il senso della nostra vita nell’universo, Arnoldo Mondatori Editore, Milano 1996 (DaviesM); ID., Dio e la nuova fisica. Con 26 illustrazioni nel testo, Arnoldo Mondatori Editore, Milano 1994 (DaviesF); F. FACCHINI, L’avventura dell’uomo. Caso o progetto?, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2006 (FacchiniA); F. FACCHINI, E l’uomo venne sulla terra, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2005 (FacchiniU); M. GUERRA Storia delle religioni, La Scuola, Brescia 19993 (Guerra). 3 DaviesD, p. 19; cf. p. 97; cf. DaviesC, p. 19; DaviesM, p. 25. 4 DaviesC, p. 253 5 Cf. R. LAURENTIN, Dio esiste. Ecco le prove, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1997, p. 41. 5 dell’universo si esaurirà per iniziare una fase di contrazione accelerata, in cui la radiazione di fondo, che attualmente ha una temperatura di 2,7 gradi Kelvin, diventerà sempre più calda e alla fine ogni realtà si schiaccerà e annienterà in un Big Crung (Grande Contrazione) dal quale, eventualmente, si potrebbe ricominciare daccapo. Quello che ci interessa più da vicino, perché è un tema sensibile dal punto di vista filosofico, è che l’universo si presenta con alcune caratteristiche che il fisico divulgatore P. Davies, riassume egregiamente come segue. - È ordinato: l’universo «obbedisce a leggi matematiche semplici […] dalle galassie più remote ai più fondi abissi dell’atomo; vediamo regolarità e complessa organizzazione. Vediamo che né la materia né l’energia sono distribuite in modo caotico: al contrario sono disposte secondo una gerarchia strutturale: atomi e molecole, cristalli, esseri viventi, sistemi planetari, ammassi stellari eccetera. Inoltre, i sistemi fisici non si comportano in modo casuale, ma sistematico, rispettando rigorosamente certe leggi»6. Dunque, «la materia e l’energia non sono distribuite né uniformemente né casualmente, ma sono organizzate in strutture chiaramente coerenti, talvolta dotate di grande complessità»7. - È regolare: «il corso della natura rivela evidenti regolarità. Le orbite dei pianeti, per esempio, sono descritte da semplici forme geometriche, e i loro movimenti manifestano precisi ritmi matematici. Schemi e ritmi si ritrovano anche negli atomi e nei loro componenti»8. L’esistenza di tali regolarità, che noi chiamiamo leggi naturali, rende armonico l’universo. Diversamente, precipiterebbe immediatamente nel caos9. È importante sottolineare che «queste regolarità della natura sono reali». Se è vero che da un lato l’intelligenza umana prova a cogliere il mondo reale a partire da schemi mentali, cioè da griglie interpretative di quanto ci circonda – anche in psicologia si verifica lo stesso fenomeno – tuttavia le leggi naturali non sono una proiezione della mente. «L’esistenza di regolarità nella natura è un fatto matematico oggettivo». Un conto sono gli enunciati che troviamo nei libri di scienza, che riflettono senz’altro della capacità di sintesi del pensiero umano, un altro è dimenticare che tali enunciati riflettono «proprietà effettivamente esistenti in natura»10. L’universo reale è quindi «altamente ordinato e ha leggi fisiche e rapporti di causa ed effetto ben definiti»11. 6 DaviesF, pp. 202-203. DaviesC, p. 13, cf. DaviesM, pp. 239-241. 8 DaviesM, p. 91. 9 DaviesM, pp. 22, 86. 10 DaviesM, p. 92. 11 DaviesM, p. 241. 7 6 - Le leggi della natura, inoltre, posseggono alcune proprietà12: a) sono universali e uniformi, valgono cioè in tutti i punti dell’universo e funzionano sempre, non ad intermittenza, in tutte le epoche della storia; le leggi fisiche sono quindi uniformi13. La fisica quantistica, con il suo principio di indeterminazione, riguarda l’infinitamente piccolo; b) sono assolute, ossia non dipendono dall’osservatore o dallo scienziato che le scopre o le studia; c) sono atemporali, vale a dire non sono condizionate dal tempo; d) hanno un potere assoluto, nel senso che niente le condiziona; e) sono semplici: le leggi naturali possono esser comprese ed espresse in funzioni matematiche14. Ma ritorniamo alle caratteristiche dell’universo. - L’ordine e la complessità sono di tipo organizzato. La regolarità dell’universo si è sviluppata a partire dal caos primordiale seguito all’evento del Big Bang. Attraverso una serie di processi autoorganizzativi il cosmo si è progressivamente arricchito e complessificato15. - Il mondo che ci circonda, dalle macro alle microstrutture, obbedisce alle stesse leggi rigorose e immutabili. L’insieme di queste leggi si regge su Tre Colonne e Tre Forze Fondamentali, che A. Zichichi ha descritto molto chiaramente nei suoi saggi16. L’universo è strutturato con queste forze fondamentali. Le Tre Colonne Fondamentali sono le tre famiglie di particelle, con cui è organizzata la materia. Ogni famiglia (o colonna) consiste di due quark e due leptoni. Tutta la realtà, noi compresi, è composta con i quark e i leptoni della prima famiglia. Le Forze Fondamentali sono: 3. La Forza di Gravità. È la forza che ha dato forma all’universo, consentendo la formazione di stelle e pianteti mediante il movimento dei gas, trasformati successivamente in nubi galattiche e quindi nelle masse rotanti dei corpi celesti. Essa tiene insieme l’universo legando la Terra e i pianeti al Sole, il Sole e le altre stelle nella Galassia e le Galassie nel cosmo. 12 DaviesM, pp. 90.93-95. DaviesM, p. 243. 14 DaviesM, pp. 107-138, 243-244; cf., pp. 22-24, 164. 15 DaviesM, pp. 168, 208-209, 241. 16 A. ZICHICHI, Perché credo in Colui che ha fatto il mondo, Il Saggiatore, Milano 1999, pp. 22-24, 73-75, 111, 121, 162-164, 216; cf. G. L. SCHROEDER, L’universo sapiente, Il Saggiatore, Milano 2001, pp. 44-49, R. LAURENTIN, op. cit., pp. 30-31, 45; DaviesF, pp. 122ss. 13 7 1. La Forza Subnucleare forte: tiene insieme protone e il neutrone, che formano il nucleo dell’atomo. Si differenziano perché la carica positiva del protone e zero per il neutrone (protone + neutrone [formati da quark e leptoni] = nucleo / elettrone gira attorno). È la forza che consente la formazione degli atomi, e impedisce il disintegrarsi delle particelle subatomiche dei protoni, e neutroni. 3. la Forza Elettrodebole che è la fusione di due Forze Fondamentali. Essa produce sia le Forze Elettromagnetiche, come i fulmini, sia le Forze Deboli, in forza delle quali il sole brucia ad un ritmo costante, e sono all’origine della radioattività (nella vita quotidiana non veniamo a contatto con essa). La forza elettrodebole sovrintende a tutta la chimica e la fisica. In sintesi: le forze sono gravitazione, elettricità e magnetismo e spiegano quasi tutti i fenomeni del mondo fisico quotidiano; - le quattro forze fondamentali che spigano tutte sono: gravità, elettromagnetismo, nucleare forte e debole Poiché il nostro universo è sostenuto dalle leggi della natura che interagiscono vicendevolmente, conferendo stabilità e armonia al cosmo, esso, come detto, si rende decifrabile da schemi e da leggi matematiche17. L’universo è quindi intelligibile. È proprio questo aspetto che ha determinato il successo della scienza galileana, fondata sull’osservazione, sull’ipotesi e sulla riproducibilità degli effetti in laboratorio. «L’intera impresa scientifica si regge sull’assunzione della razionalità della natura»18, che a sua volta suppone «un universo ordinato che obbedisce a leggi matematiche semplici. Compito dello scienziato è di studiare, catalogare e metter in relazione l’ordine della natura»19. FIN QUI I DATI. ORA PASSIAMO AD ALCUNE RIFLESSIONI Giunti a questo punto e tenendo conto dei risultati della scienza moderna ci possiamo anzitutto chiedere: perché l’universo è ordinato? Perché è sorretto da leggi ben definite e connesse le une alle altre e non è invece un mondo caotico regolato d forze cieche e imprevedibili20? E come è possibile che si sia evoluto, dal Big Bang, secondo un quadro di Colonne e di Forze che lo tengono 17 DaviesM, pp. 241, 244. DaviesM, pp. 198-199, 208-208. 19 DaviesF, p. 202, cf. p. 19; DaviesM, pp. 198-199; A. ZICHICHI, op. cit., pp. 67-78.119-120.164-166. 20 DaviesM, pp. 22, 25, 239-240; cf. DaviesF, p. 203; A. ZICHICHI, op. cit., pp. 164-166. 18 8 in esistenza? Queste domande, ed altre ancora21, si concentrano e racchiudono in un’altra, più pressante e incisiva: se l’universo è ordinato, è stato programmato da un creatore intelligente o è il frutto del puro caso?22 Perché vi è qualcosa e non piuttosto il nulla? Non si danno alternative. La nostra vita nell’universo o viene da un progetto o è un prodotto del tutto fortuito di circostanze favorevoli. È chiaro che queste domande non vengono sollevate dalla scienza in quanto tale, che è l’insieme delle discipline che si rifanno alla metodologia galileana, perché esulano dalla sua competenza. Gli studi di astrofisica non si pongono la questione del perché l’universo, con le sue leggi, ha avuto origine. Ma sono domande che nessun uomo, dotato di intelligenza, non può non porsi. Sono domande che rappresentano «l’interrogativo di fondo dell’esistenza»23. E perché sono importanti le galassie e i pianeti e le stelle? Perché forniscono le componenti essenziali con cui siamo composti, a cominciare dal carbonio, poi l’ossigeno, il neon, il magnesio e così la tavola periodica degli elementi24 Dunque, è che è molto più ragionevole ritenere che vi sia una mente organizzatrice dell’universo – che non è il demiurgo che organizza il materiale, perché la materia è già strutturata – (e benché non sia una conclusione che scaturisce direttamente dai dati scientifici), piuttosto che pensare che sia esso sia frutto del caso cieco, rifugiandosi così in una risposta che, in realtà, ha tutto il sapore dell’irrazionale. Si potrebbe parafrasare una espressione dello scienziato Stephen Hawking: Dio soffia sul fuoco delle equazioni; come dire: il mondo funziona perché ha le sue leggi (che gli scienziati studiano); ma Dio (il Lògos) le mantiene nell’essere; e così governa il mondo (At 17,28; Ap 4,11; Eb 1,2-3; Gv 1,3). LE PROVE Il caso, infatti, per definizione è ciò che non può essere spiegato. È l’irrazionale, l’imponderabile, ciò che sfugge al controllo della ragione. 1. «Se l’universo è un fatto del tutto casuale, le probabilità che nell’universo esista una quantità apprezzabile di ordine sono ridicolmente ridotte. Se il Big Bang è stato solo un evento casuale, con grandissima probabilità il materiale cosmico così prodotto avrebbe dovuto trovarsi in equilibrio termodinamico con entropia [disordine] massima e ordine zero. E poiché non è sicuramente così, non si può che concludere che lo stato attuale dell’universo è frutto di una scelta, di una selezione effettuata tra l’immenso numero degli stati possibili, tutti privi di ordine tranne una minuscola percentuale. E se uno stato così altamente 21 DaviesF, p. 202; cf. DaviesM, p. 25; DaviesD, pp. 117-118. DaviesM, pp. 210, 227-245, 244-263. 23 DaviesF, p. 246. 24 Cf. DaviesF, p. 177. 22 9 improbabile è frutto di una scelta, di una selezione, occorre che vi sia un selezionatore, un’intenzionalità che avvia fatto questa scelta»25. 2. «Una creazione casuale avrebbe comportato, con tutta probabilità e praticamente con certezza, un universo completamente disordinato»26. 3. R. Penrose27 l’ha calcolata la probabilità che l’universo sia comparso per caso: è pari a una su 10300. 4. Se l’esplosione iniziale avesse avuto un’energia diversa anche solo di 1/1060, l’universo e noi inclusi non esisteremmo28. Se fosse stato meno violenta, il cosmo sarebbe subito ricaduto su se stesso (Big Crunch); se fosse stato più energica, il materiale cosmico si sarebbe disperso così rapidamente che non ci sarebbe stato il tempo per la formazione delle galassie. L’universo che oggi conosciamo è quindi il risultato tra due forze antagoniste: quella esplosiva che lo fa espandere e quella di gravità che risucchia indietro le schegge di quell’esplosione. 5. L’alto grado di isotropia cosmica, ossia l’uniformità e l’orientamento in tutte le direzioni. La radiazione di fondo, che costituisce quanto rimane dell’energia scaturita dal Big Bang, «ci giunge pressoché identica da ogni direzione con variazioni minime. Se il Big Bang fosse stato un evento del tutto casuale, questa uniformità sarebbe estremamente improbabile e quasi impossibile»29. 6. Le costanti fondamentali della natura, ossia le quantità esattamente determinate e ricorrenti con lo stesso valore in ogni punto dell’universo e in ogni momento. - Ad esempio, l’atomo di idrogeno possiede le medesime caratteristiche sia sulla Terra sia su Marte. Il suo protone è 1836 volte più pesante dell’elettrone. Scrive pertanto P. Davies: «il reale non è fatto soltanto di leggi matematiche e di complessi ordinamenti. Vanno spiegate anche altre cose, e soprattutto le cosiddette “costanti fondamentali” della natura: ed è proprio in quest’ambito che troviamo gli indizi più inquietanti di un disegno superiore»30. Già il fatto che esistono le leggi fisiche mostra che non il mondo non è caotico, un guazzabuglio di eventi senza connessione tra loro. Se invece possiamo comprendere il mondo che ci circonda, fino anche a prevedere i fenomeni che verranno (dai fenomeni atmosferici, al verificarsi di un’eclisse, ala parabola di un calcio di punizione…), è perché il mondo è regolato da 25 DaviesF, pp. 232-233. DaviesF, p. 235. 27 Cit. in DaviesF, p. 248. 28 DaviesF, pp. 248-249. 29 DaviesF, p. 251; cf. DaviesM, p. 243. 30 DaviesF, p. 259. 26 10 leggi strettamente connesse tra loro e di cui gli scienziati stanno cercando la formulazione in una super-stringa che le riassuma tutte. Ma l’aspetto ancora più impressionante che possiamo osservare in natura è che «una minima alterazione delle costanti fondamentali muterebbe radicalmente la struttura del mondo fisico, ma che questa stessa struttura è estremamente sensibile a tali alterazioni. Basta un minimo cambiamento delle leggi fondamentali per indurre sconvolgenti mutamenti strutturali»31. Questa particolarità di parametri fondamentali della fisica è chiamata principio ANTROPICO. Questo principio indica che l’universo è propizio alla vita (non solo alla vita dell’uomo, àntropos), e che se le leggi fossero leggermente diverse la vita (che richiede condizioni regolate con alta precisione) non esisterebbe. LE PROVE Facciamo qualche esempio: a) se l’interazione (forte) dei quark e gluoni, che tengono insieme l’atomo, fosse poco più debole produrrebbe instabilità e, alla fine, l’atomo si disintegrerebbe a causa del fattore quantico32. Gli effetti sarebbero evidenti nel sole e nelle stelle che sarebbero totalmente diverse da come le conosciamo. Se invece fosse stata poco più forte dopo il Big Bang, non vi sarebbe stato l’idrogeno: ciò significa che non avremmo le stelle e l’acqua. Dunque nell’uno e nell’altro caso l’universo o non esisterebbe o sarebbe privo di vita. b) Se l’intensità della forza di gravità fosse appena diversa di quello che è, poniamo di uno su 1040 avremmo un universo in cui tutte le stelle sarebbero o giganti blu o nane rosse. Certo non avremmo stelle come il sole e perciò neanche tutte le forme di vita che, come sul pianeta Terra, dipendono dal sole33. 6. Infine una curiosità: se non ci fosse la Luna, cosa accadrebbe alla Terra? Scomparirebbero le maree, dovute all’attrazione gravitazionale della Luna. Senza le maree cambierebbe l’ecosistema terrestre nella zona di confine tra terra e acqua; la Terra aumenterebbe la sua velocità di rotazione perché verrebbe a mancare il “freno” dovuto alla gravitazione lunare. L’aumento della velocità di rotazione farebbe diventare i giorni più corti. Si modificherebbe la circolazione atmosferica. La minore durata del giorno e i cambiamenti della circolazione atmosferica influenzerebbe il clima del pianeta e perciò gli ecosistemi e i ritmi biologico di piante ed animali. Insomma, il mondo non 31 DaviesF, pp. 260-261; cf. DaviesM, pp. 215, 244-254. Nel suo ultimo libro, P. DaviesF dedica molte pagine su questa caratteristica delle leggi fisiche. 32 DaviesF, pp. 259-261; cf. DaviesM, p. 252. 33 DaviesF, p. 261. 11 sarebbe come noi oggi lo vediamo. Se la Luna non ci fosse mai stata, non è detto che non saremmo qui a discuterne. Tenuto conto solo di questi dati, si presenta immediatamente il nodo davvero cruciale attorno a cui tutte le domande ruotano: si tratta solo di coincidenze numeriche, o le costanti fondamentali testimoniano un’intenzione per la vita? La risposta di P. Davies è sensata e consequenziale: «nel nostro universo le leggi e le condizioni iniziali sono uniche. Se è vero che l’esistenza della vita richiede che le leggi fisiche e le condizioni iniziali siano regolate con alta precisione e che questa regolazione fine sussiste realmente, l’idea che ci sia un progetto appare ineludibile»34. Da qui la conclusione: «la coincidenza, si direbbe miracolosa, dei valori numerici delle costanti fondamentali della natura resta la più convincente tra le testimonianze della presenza, nel cosmo, di un elemento di intenzionalità e di un disegno»35 che prepara la vita sulla Terra (clima adatto, abbondanza di acqua e ossigeno, forza di gravità perfetta, ecc.)36. A causa della forza persuasiva di questo ragionamento, diversi scienziati non hanno potuto fare a meno di riconoscere la sua plausibilità logica, o, se si preferisce, la sua evidenza: menzioniamo solo F. Hoyle37, R. Swinburne38, R. Boyle39, J. Jeans40. Come abbiamo notato, la conclusione cui siamo giunti, che cioè l’universo postula necessariamente un’intelligenza che lo ha progettato non scaturisce dal procedimento scientifico in quanto tale, che ha come obiettivo la spiegazione delle cause fisiche dei processi naturali41, ma da quanto la scienza propone all’attenzione dell’uomo che si interroga e riflette sulla realtà che lo circonda. Se ammettiamo che l’universo è intelligibile, non possiamo invocare il caso per decifrarne il mistero. Sarebbe un controsenso. Ma qui si cela anche un PARADOSSO. Se per ipotesi fosse stato il credente a dover difendere la sua posizione di fede invocando il caso, mentre il non credente avesse potuto disporre degli elementi forniti finora, la posizione del primo sarebbe apparsa chiaramente insostenibile, e la sua fede un atto del tutto irrazionale, mentre quella del secondo perfettamente razionale e sensata. Comunemente, invece, e questo è davvero singolare, è la fede del credente che viene ritenuta non sufficientemente supportata da una solida base razionale di prove, mentre la non credenza viene apprezzata come quella che offre maggiori garanzie di certezza e di scientificità. 34 DaviesM, pp. 252, 215; cf. DaviesD, pp. 275-308; Arcidiacono, pp. 117-120. DaviesF, p. 262. 36 DaviesM, p. 253. 37 DaviesM, pp. 245-246. 38 DaviesF, p. 229. 39 DaviesM, p. 248. 40 DaviesM, p. 250. 41 DaviesF, pp. 54ss.; 259. 35 12 Comunque sia, la convinzione che “dietro” il mondo della natura vi sia un disegno intelligente che lo regge e lo mantiene nell’esistenza attraverso le leggi fisico-chimiche si rinsalderà maggiormente se consideriamo il “mistero” della comparsa della vita sulla terra e l’evoluzione biologica che ha condotto fino all’uomo. È quanto faremo nel paragrafo seguente. B. L’evoluzione biologica 1. Darwin e l’evoluzione La pubblicazione de L’origine della specie, nel 1859, e de L’origine dell’uomo, nel 1871, di C. Darwin (12.2.1809-19.4.1882, ha rivoluzionato il modo di percepire la vita sulla terra. Per il naturalista inglese, l’evoluzione è un processo graduale di trasformazione, attraverso la differenziazione e l’adattamento, di una specie da un’altra, le cui fase intermedie costituiscono gli anelli di congiunzione che la paleontologia si preoccupa di ricercare. Oggi si ritiene che la formazione degli organismi unicellulari (procarioti: senza nucleo), come i batteri, risale a circa 3,8 miliardi di anni fa nel cosiddetto “brodo primordiale”, composto da metano, ammoniaca e idrogeno, in un contesto fortemente elettrizzato. La Terra si era già forma da circa 710 milioni di anni (risale a 4,5 miliardi di anni fa). I primi eucarioti (forniti di nucleo) unicellulari intorno a 1,5 miliardi di anni fa. Gli organismi pluricellulari si sono sviluppati circa 600/700 milioni di anni fa. I vertebrati 400 milioni di anni fa; i mammiferi 200 milioni di anni fa e i primati 70 milioni di anni fa. Tra i 6 e 7 milioni di anni fa si riconosce la divergenza tra la linea che ha portato agli ominidi e quella delle scimmie Antropomorfe africane (gorilla e scimpanzé); 3 milioni di anni fa gli australopiteci: scimmie che camminavano in posizione eretta in ambiente aperto come la savana ma che si arrampicavano anche sugli alberi. Se diamo un rapido sguardo alla grande ruota della diversità biologica sulla terra, restiamo stupefatti dinnanzi alla molteplicità dei viventi. Dell’1,7 milioni di tipi diversi già classificati, gli insetti e i miriapodi sono di gran lunga il gruppo che vanta la più alta varietà di specie, pari a 963.000, e di numero; si contano 270.000 tipi di piante, 100.000 funghi e licheni, 75.000 aracnidi (ragni e scorpioni), 70.000 molluschi, 40.000 crostacei, 22.000 pesci, 15.000 anellidi (lombrichi), 10.500 rettili e anfibi, 10.000 uccelli, 10.000 cnidari (meduse e anemoni), 4.500 mammiferi e 4.000 batteri. Ma torniamo a Darwin. Egli ritiene che i fattori che determinano il processo evolutivo siano i seguenti: a) le variazioni individuali ereditarie, che avvengono in natura come gli allevatori le 13 provocano negli animali domestici, selezionati per gli impieghi più diversi; b) la selezione naturale: in natura, a fronte di una sovrapproduzione di organismi viventi, solo una parte di questi sopravvive perché supera la competizione (dei maschi) per il cibo, per il territorio e per le femmine; c) l’adattamento: chi si adatta meglio all’ambiente in cui vive, ed è più prolifico, riesce a superare la competizione per la vita e trasmettere alle generazioni successive la sue caratteristiche fisiche. Per Darwin il vero motore dell’evoluzione è la selezione; l’ambiente è meno influente nelle variazioni di quanto pensasse Lamarck La dottrina darwiniana, in origine, si opponeva soprattutto alla concezione fissista (palesemente creazionista), secondo cui le specie viventi non hanno subito variazioni nel tempo, ma sono state create così come sono da Dio. In un primo momento Darwin la coniugava con una visione teista (da theòs, Dio). Ben presto la interpretò in forma sempre più atea, condizionato dalla frequenza dei circoli razionalisti e illuministi del tempo. Ma al di là delle sue vicende personali, ci interessa la formulazione dottrina. L’evoluzione è, dunque, un lento e graduale processo di trasformazione degli organismi viventi da forme semplici a forme sempre più complesse, uomo compreso., 2. I neodarwinisti A partire dagli anni ’20, e soprattutto con la scoperta del DNA nel 1935, le intuizioni di Darwin sono state riformulate tenendo conto delle nuove acquisizioni in campo scientifico. L’evoluzione viene ora spiegata, generalmente, secondo una concezione afinalistica – denominata “darwinismo”, o “teoria sintetica” – che fa leva su due fattori: 1. le mutazioni genetiche: è la fase della copiatura errata e accidentale dei geni, causata da fattori esterni (raggi x e ultravioletti, fattori ambientali, ecc.). Con la riproduzione, tali variazioni – sconosciute al tempo di Darwin – passano nelle generazioni successive. Sarà l’ambiente circostante e la competizione per la sopravvivenza a determinare se sono convenienti o no. Nel primo caso, la specie sopravvive, accumulando piccoli vantaggi nel corso di molte generazioni. In caso contrario soccombe e si estingue. 2. la selezione naturale: è il processo per il quale, nella lotta per le risorse, sopravvivono e si riproducono gli organismi meglio adatti, ossia i più forti. La selezione naturale agisce come meccanismo di controllo che impedisce la sovrappopolazione dei viventi. Il darwinismo, quindi, non si limita a descrivere i fenomeni, ma esclude positivamente che vi siano altre ragioni (progetto o finalità) che non siano il puro caso e la necessità delle leggi naturali. Dunque nega che alla base dell’evoluzione vi sia un qualche orientamento alla vita, inteso o in senso trascendente (come il teismo cristiano) o in senso immanente (insito nella materia). In linea 14 di massima i darwinisti escludono le spiegazioni teleologiche, interpretando la biodiveristà come una lunga serie di coincidenze fortuite, prive di significato e di direzione42. Nella corsa della vita nulla è preordinato. Anche gli organi più complessi come l’occhio43, o l’orecchio, secondo la concezione darwinista, non sono stati progettati per vedere o sentire. L’occhio, ad esempio, vede perché le diverse componenti di cui si compone sono disposte in modo tale che esso non può non vedere. Ma perché sono disposte così? Perché attraverso un lungo processo di mutazioni casuali dell’apparato visivo i fattori ambientali hanno favorito nel tempo – a mo’ di collo di bottiglia – quegli individui che meglio hanno mantenuto, accumulato e integrato quelle porzioni di possibilità vantaggiose che la “roulette” della natura ha offerto nelle variazioni del DNA, determinando così la stabilità e la variabilità delle specie viventi che posseggono la vista. Dal momento che quanto più si perfezionava la vista tanto più aumentava il successo della specie che la possedevano, sono state scartate dal gioco, perché perdenti, tutte quelle altre variazioni di combinazioni – altrettanto fortuite – che invece ne impedivano il perfetto funzionamento. Un animale che vede, e che vede perfettamente, ha più probabilità di sopravvivere rispetto ad uno cieco o con una vista difettosa. Essendo vincente, la vista si è mantenuta, con tutte le sue proprie innumerevoli varianti, negli uccelli, nei mammiferi, nei rettili, e così via. Lo stesso discorso vale per tutti gli altri organi dei viventi. Proviamo a fare un esempio portando l’analogia tra l’occhio e la macchina fotografica, che è l’artefatto che gli è più simile visto si basa sullo stesso processo ottico. Ebbene, in termini darwinisti si potrebbe dire che se la macchina fotografica fosse un essere vivente, essa non è stata costruita per catturare le immagini, ma le cattura perché dispone, casualmente, della camera oscura all’interno. Altro esempio: le ali degli uccelli. Se le ali di un aeroplano sono state costruite perché l’aeromobile voli, per un darwinista gli uccelli volano non perché qualcuno abbia progettato le loro ali, ma perché attraverso nel processo evolutivo si è presentata questa eventualità. Dal momento che consente ai volatili di muoversi agevolmente, di procurarsi il cibo, di fuggire dai predatori, insomma si è trattato di una eventualità senz’altro favorevole, le ali si sono mantenute e perfezionate nel corso dell’evoluzione. Certo, aggiungono i darwinisti, non si può negare che, per lo stretto legame tra struttura e funzione, l’occhio è fatto per vedere, l’orecchio per udire e così via. E tuttavia non c’è alcuna intenzionalità esterna; essa è solo interna (teleonomia: Monod) e perciò apparente. Come si può notare si tratta di interpretazioni riduzioniste basate sul principio dell’adattamento. I darwinisti sono consapevoli che la probabilità che le combinazioni favorevoli è 42 43 DaviesD, p. 277; cf. DaviesC, p. 140. DaviesM, pp. 250-251; cf. DaviesC, p. 142; Arcidiacono, pp. 36, 53, 115; DaviesC, p. 145. 15 talmente bassa da rendere impossibile la formazione di una cellula o di un organo. Ma l’ostacolo è aggirato facendo ricorso al tempo. L’evoluzione è un processo graduale, per cui, a forza di lavorare, la natura ha senz’altro potuto produrre quelle causali piccole variazioni che, negli anni, si sono accumulate per dare vita all’attuale varietà biologica. La CONCLUSIONE momentanea importante cui giungiamo è la seguente. - La dottrina dell’evoluzione, nella formulazione che ne abbiamo dato, puramente descrittiva, è compatibile con la fede in Dio perché il processo evolutivo può essere spiegato (in sede filosofica, non empirica) col fatto che tale processo possa essere guidato da un disegno, un progetto, di Dio. Perciò la parola creazione indica solo il fatto dell’atto creativo di Dio, non ci dice come; la creazione può avvenire mediante la creazione delle specie così come le consociamo (fissismo, che è più immediato da comprendere), oppure secondo un processo evolutivo. È come se dicessimo: una casa automobilistica vuol costruire un automobile; stabilisce di farlo, ma per la realizzazione occorrono l’acquisizione delle materie prime, la lavorazione negli stabilimenti con tutte le fasi fino a quella finale della coloratura a macchina già realizzata. - I darwinisti non si limitano a constatare il fatto dell’evoluzione, ma la intendono spiegare ricorrendo a due fattori che escludono espressamente Dio: il caso e la selezione naturale. ECCO IL PUNTO: si può accettare la dottrina dell’evoluzione (che in sé si oppone non al creazionismo, ma al fissismo) e nello stesso ritenere che la sua spiegazione ultima (non empirica) sia nella luce di un disegno superiore che la orienta (finalismo) verso forme sempre più complesse, e in ultima analisi l’uomo. Perciò, lo ribadisco, occorre distinguere tra creazione, evoluzione e fissismo 44. La frizione tra darwinisti e teisti in questi ultimi anni si è riaccesa a motivo del presunto conflitto tra creazionismo ed evoluzionismo, favorito dalle interpretazioni letterali della Bibbia da parte degli evangelici americani; la comunità protestante, negando l’evoluzione tout court, si è rivolta alla corte delle Pennsylvania, nel dicembre 2005, per chiedere che le teorie sull’Intelligent design (“disegno intelligente”, Id.), fossero insegnate alla pari del darwinismo. Il giudice ha dato torto ai genitori che si opponevano all’evoluzione. Il bicentenario della nascita di Darwin (nel 2009, che ha coinciso anche col 150° anniversario della pubblicazione de L’origine della specie, 44 In sintesi: il creazionismo (il mondo è creato da Dio) può essere inteso: in senso fissista o in senso evoluzionista. L’evoluzionismo può essere inteso: o in senso anticreazionista, comunque si voglia intendere la creazione (i neodarwinisti); o in senso contrario solo al fissismo (e qui è compatibile con la fede in Dio). 16 nel 1859) hanno acuito la polemica, innescata anche dalla tesi dell’ Id. egli evangelici americani45. Ma la polemica è divampata in questi ultimi anni negli Stati Uniti. Il dibattito è rimbalzato in Europa, in particolare in Italia46. Ma dalle precisazioni appena fatte, va ribadito che la Chiesa cattolica ha ufficialmente accettato pacificamente la dottrina dell’evoluzione: - gli interventi di Giovanni Paolo II (il più rilevante dei quali in occasione dell’Assemblea Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze il 22 ottobre 1996). «Una fede rettamente intesa nella creazione e un insegnamento rettamente inteso della evoluzione non creano ostacoli. L’evoluzione presuppone la creazione e la creazione si pone nella luce dell’evoluzione come un avvenimento che si estende nel tempo, come una creatio continua in cui Dio diventa visibile agli occhi del credente come il Creatore del cielo e della Terra» («L’Osservatore Romano», 27 aprile 1985) «Si può dunque dire che, dal punto di vista della dottrina della fede, non si vedono difficoltà nello spiegare l’origine dell’uomo, in quanto corpo, mediante l’ipotesi dell’evoluzionismo. Bisogna tuttavia aggiungere che l’ipotesi propone soltanto una probabilità, non una certezza scientifica. La dottrina della fede invece afferma invariabilmente che l’anima spirituale dell’uomo è stata creata direttamente da Dio. È cioè possibile secondo l’ipotesi accennata, che il corpo umano, seguendo l’ordine impresso dal Creatore nelle energie della vita, sia stato gradatamente preparato nelle forme di esseri viventi antecedenti. L’anima umana, però, da cui dipende in definitiva l’umanità dell’uomo, essendo spirituale, non può essere emersa dalla materia» (Catechesi, 16.4.1986) - i nn. 283-284 del CCC, e: - «la creazione non è uscita dalle mani del Creatore interamente compiuta» (n. 302). - Dio ha creato un mondo non perfetto, ma «in stato di via verso la sua perfezione ultima. Questo divenire nel disegno di Dio comporta con la comparsa di certi esseri la scomparsa di altri, con il più perfetto anche il meno perfetto, con le costruzioni della natura, anche le distruzioni» (n. 310) - le catechesi di Benedetto XVI del 10 novembre 2005 ne sono la riprova. 45 Anche qui: l’ID può essere inteso o in senso evangelico, che esclude l’evoluzione; o in senso cattolico: è l’orientamento trascendente all’evoluzione 46 Si veda il serrato dibattito tra evoluzionismo e creazionismo che ha tenuto banco su alcuni quotidiani italiani ed è ancora in corso. Ci limitiamo a segnalare quello sul «Corriere della Sera», con gli interventi del 25 gennaio 2007 (di C. Magris), di febbraio, nei giorni 5 (G. Girello), 8 (M. Ceruti), 10 (G. Laras) e 22 (F. Facchini); infine quello del 2 marzo (E. Boncinelli). Su «Avvenire», ci limitiamo a menzionare gli articoli di L. Dell’Aglio (1.9.2005, 15.3.2007 e 21.3.2006), F. Facchini (8.11.2006 e 20.12.2006), A. Gavazza (29.9.2005), G. Sermonti (2.2.2006). Infine, suggeriamo la lettura di una serie di articoli su «La Civiltà Cattolica» che bene illustrano la problematica nel suo insieme: G. COYNE, Le leggi della natura e finalità nell’universo: una panoramica storica, 157/4 (2006), pp. 315-329; G. DE ROSA, L’origine dell’uomo. Evoluzione e creazione, 156/2 (2005), pp. 3-14; ID., L’evoluzione dei viventi. Il fatto e i meccanismi, 157/3 (2006), pp. 232-241; ID., Caso o finalismo nell’evoluzione dei viventi?, 157/3 (2006), pp. 483-492; ID., Evoluzione dei viventi e fede cristiana. Creazione ed evoluzione, 157/4 (2006), pp. 127-137. 17 L’Id. – nell’interpretazione cattolica rilanciata dal card. C. Schönborn, arcivescovo di Vienna, nel suo articolo del 7 luglio 2005 sul «New york Times»47 – si limita a decifrare il percorso dell’evoluzione alla luce dell’intervento di Dio, pur attraverso i meccanismi biologici che la scienza studia e controlla. L’Id., quindi, non nega l’evoluzione. È solo negli USA, dove sono forti le pressioni dei protestanti, che è la stessa dottrina evoluzionista che viene messa in discussione. Ma la disputa statunitense ha ridato voce a quei biologi darwinisti i quali, nascondendosi dietro la difesa di una dottrina scientifica attaccata dall’oscurantismo religioso, ne approfittano per divulgare la tesi – o meglio il dogma laicista – che l’evoluzione sarebbe la prova che Dio non esiste e che la fede si oppone alla scienza. Non esiste pertanto l’alternativa tra l’evoluzione e la creazione. Le polemiche sono spesso condizionate da un elevato tasso di inquinamento ideologico. Più volte F. Facchini, illustre docente di Paleolontologia umana all’Università di Bologna, ha osservato che non vi è conflitto tra le tesi di Darwin che spiegano, sia pure non in modo esauriente, l’evoluzione dagli organismi unicellulari all’uomo, e la fede cristiana. Riconoscere che dietro il corso evolutivo vie è Dio non è una conclusione che la scienza può offrire, perché non rientra, come detto, nella sua metodologia. Ma è la risposta più ragionevole per comprender come siamo arrivati ad essere ciò che siamo48. 3. Argomenti a favore di una interpretazione teista dell’evoluzione: critica alla dottrina darwinista Chiarito, quindi, che la concezione tesita dell’evoluzione non mette in discussione il nocciolo della dottrina darwiniana, ma solo la sua interpretazione scientista e laicista, passiamo ora a presentare pacatamente le principali argomentazioni che possiamo svolgere a favore di una tesi creazionista ed evoluzionista. Esse prendono di mira alcuni tasselli importanti della dottrina darwinista. 1. L’origine della vita L’origine della vita (biogenesi) rimane un profondo mistero. Gli scienziati non si sanno spiegare come sia nata la vita dalla non vita (nascita della vita da materiale inorganico). E la vita significa la presenza del DNA 47 Rilanciato sul «Corriere della Sera», 10.7.2005, pp. 1.142. Si veda anche C. SCHÖNBORN, Darwin, mancano prove, in «Avvenire», 18.4.2007, p. 29. La posizione della Chiesa cattolica è stata illustrata da F. FACCHINI con l’intervento su Evoluzione e creazione, pubblicato su «L’Osservatore Romano» del 16.1.2006 e riportato su FacchiniA, pp. 63-69. 48 Si veda l’ultimo libro, appena pubblicato, di F. FACCHINI, Evoluzione. Cinque questioni nel dibattito attuale, Jaca Book, Milano 2012. 18 Non c’è da sorprendersi che alcuni si siano aggrappati alla possibilità che la vita venga dallo spazio. Ma si tratta solo di spostare il problema, non risolverlo49. Caratteristiche della vita50. a. Complessità. Ogni forma di vita conosciuta, anche quella degli organismi unicellulari come i batteri, è costituita da milioni di componenti. Si tratta di una complessità informata e istruita, vale a dire che ogni componente ha uno scopo preciso (= olismo), il cui funzionamento è disposto secondo un compito preciso fissato nei geni del DNA. b. Organizzazione. Ciò che sorprende i biologi non è tanto il fatto che ogni cellula vivente è composta da un numero elevato di atomi, ma l’organizzazione con la quale la cellula si struttura. I diversi elementi della cellula, ognuno dei quali è altamente specializzato, agiscono insieme per un unico scopo, ossia la sopravvivenza della medesima cellula – mediante l’azione coordinata delle sue componenti – e, insieme, dell’individuo stesso. c. Ordine. Apparentemente contro il 2° principio della termodinamica, il quale stabilisce l’aumento costante del disordine (principio antropico) e la dispersione dell’energia, l’evoluzione stranamente procede in salita con un progressivo aumento di ordine e di complessità. A mano a mano che i sistemi biologici si evolvono, essi assumono forme sempre più complesse ed elaborate, con conseguente incremento di ordine. d. Teleonomia. I sistemi viventi sono dotati di uno scopo o progetto, che manifestano nella loro struttura ed eseguono attraverso i loro atti. Perfino il biologo J. Monod, benché convinto darwinista, non nega questa caratteristica dei viventi individuata già dal filosofo Aristotele. La sostanziale differenza rispetto a qualunque altra struttura della materia inanimata è data proprio dal fatto che tutte le parti degli organismi viventi, nella loro struttura e nei loro atti, decidono secondo uno scopo e lo perseguono51. Le singole parti sono interdipendenti e coordinate da una forza organizzatrice – i geni del DNA – che collega i processi fisici e chimici di un organismo in conformità con l’obiettivo prossimo (la funzione di un organo) e remoto (la sopravvivenza dell’individuo). e. Interattività. Ogni organismo vivente interagisce con il mondo esterno: assimila, metabolizza, cresce, si adatta, si riproduce. 49 DaaviesD, pp. 249-274, 278-281. DaviesC, pp. 123-139; cf. DaviesF, pp. 87-105; DaviesD, pp. 25-40, 103-132. 51 Cf. Arcidiacono, pp. 81ss. 50 19 f. Unicità. I viventi rappresentano la forma più sviluppata che conosciamo di materia ed energia organizzate. In definitiva, osserva P. Davies, «il mistero della vita non sta tanto nella natura delle forze agenti sulle singole molecole che costituiscono un organismo, ma nel modo in cui l’intera struttura si comporta collettivamente in maniera coerente e cooperativa»52. Ed è proprio su questa cooperazione delle singole componenti che interagiscono in vista di un bene più altro, la vita e il benessere dell’individui, che si inserisce la riflessione che muove dall’argomento teleologico, o sintropico. Il principio razionale secondo cui un’organizzazione complessa di parti differenti, ognuna con il proprio ruolo, che cooperano in vista di un obiettivo comune (e ciò comporta simmetria e dunque bellezza: Cor 59,24; 2,73 / Sap 13,1-9; Rm 1,19-20), suppone un progettista che lo abbia disegnato, è applicabile sia alla cellula sia a qualunque artefatto umano, come ad esempio un orologio53. Se trovassimo su un pianeta dell’universo un meccanismo che si comporta con le medesime caratteristiche non avremmo forse la prova dell’esistenza di altre forme di vita? Dal momento che l’universo, nel suo insieme, si presenta con una complessità simile a quella dell’orologio, deve esistere un intelligenza creatrice che ha disposto il mondo in vista di uno scopo, che non può essere altro che la comparsa dell’uomo. Si tratta, certo, di un ragionamento analogico. La forza probativa dell’argomento non si basa su una semplice analogia tra gli organismi naturali e gli artefatti, come pensano I. Kant e D. Hume, ma «sul concetto oggettivo di ordine, come effetto proprio ed esclusivo di un’intelligenza, e assolutamente mai del caso […] L’ordine, l’armonia, la proporzione a un fine, il quale fine è il meglio che le cose sempre o quasi sempre producono, implica, come sola causa possibile, un’intelligenza direttrice, come ogni effetto implica una causa proporzionata»54. Del resto, il principio di finalità non intacca l’autonomia della scienza perché non esclude affatto che l’organizzazione complessa degli esseri viventi possa essere spiegata ricorrendo ai processi naturali. Ma tale spiegazione si pone sul piano della descrizione dei meccanismi naturali e sul loro funzionamento, non ci spiega il perché gli organismi biologici si presentano con la caratteristica della complessità e dell’orientamento teleologico55. Interrogarsi sul “perché” rientra in un altro ordine di valutazioni, non meno logiche e razionali. E in ogni caso, P. Davies presenta l’argomento teleologico «immune dagli attacchi darwiniani», perché nella sua «nuova forma non considera gli oggetti materiali dell’universo in quanto tali, ma le leggi a essi sottostanti» e queste non devono fare i conti con la selezione tra una collezione di individui simili 52 DaviesC, p. 133. DaviesF, pp. 228-229; cf. DaviesM, pp. 248, 264-265. 54 M. DAFFARA, commento a TOMMASO D’AQUINO, La Somma Teologica, ESD, Bologna 1984, parte I, questione 2, articolo 3, pp. 87-88 n. 2. 55 DaviesM, pp. 247-254; cf. DaviesF, pp. 228-229. 53 20 in competizione fra di loro. «Quando passiamo alle leggi fisiche e alle condizioni cosmologiche iniziali, non c’è un insieme di competitori. Nel nostro universo le leggi e le condizioni iniziali sono uniche. Se è vero che l’esistenza della vita richiede che le leggi fisiche e le condizioni iniziali dell’universo siano regolate con alta precisione e che questa regolazione fine sussiste realmente, l’idea che ci sia un progetto appare ineludibile» 56. 2. Il principio entropico (da non confondere col principio antropico) Se già il passaggio dalla non vita alla vita resta uno dei più grandi enigmi della scienza, il percorso “in salita” di tutta l’evoluzione è un fatto contrario al secondo principio della termodinamica. Secondo questo principio in natura l’energia, pur conservandosi costante (primo principio), procede verso forme sempre più “degradate”, ossia inadatte a compire un lavoro, dette antropiche. I fenomeni si evolvono da uno stato di ordine ad uno finale caotico e di disordine. L’entropia è quindi sinonimo di disordine, di caos. Lasciando cadere una palla da una mano. Questa compirà una serie di rimbalzi, sempre più ridotti, fino a fermarsi definitivamente. Una sequenza di carte ordinata, secondo il modello di ordine stabilito in partenza, sarà certamente meno ordinata, rispetto a quel tipo di ordine, quanto più si procede nel mescolamento del mazzo. «Allo stesso modo si dovrebbe supporre che le mutazioni casuali in biologia tenderebbero a degradare, piuttosto che a migliorare, la complessità degli organismi. Per la verità succede proprio così, come è stato mostrato da esperimenti diretti: la maggior parte delle mutazioni sono dannose. E tuttavia si sostiene ancora che il casuale “mescolamento dei geni” è responsabile della comparsa di occhi, orecchie, cervello, e di tutti gli altri meravigliosi accessori degli esseri viventi […] La casualità non può essere una sorgente di ordine»57. Dunque, l’aumento dell’entropia (di disordine), in accordo con il secondo principio della termodinamica «è chiaramente l’opposto di quello che accade in biologia, il che naturalmente non significa che gli organismi biologici violino il secondo principio»58. Per questa ragione diversi scienziati ritengono profondamente insufficienti le spiegazioni del darwinismo e rileggono l’evoluzione delle forme viventi in senso sintropico, ossia «orientate finalisticamente verso forme sempre più complesse»59. Tra coloro che sono critici nei confronti del darwinismo, ne menzioniamo alcuni di diversa provenienza ed estrazione: da J. Maynard-Smith60 a P. Gressé61, da Sermonti e Fondi62 a G. C. Webster e B. C. Goodwin63, da Boyle64 a R. Chauvin fino a Ravalico, da B. Disertori65 a 56 DaviesM, pp. 251-252; cf. FacchiniA, p. 15-18. DaviesC, pp. 142-143; cf. Arcidiacono, pp. 52-53. 58 DaviesC, p. 148; cf. DaviesD, pp. 92-94, 299-205. 59 Arcidiacono, p. 83. 60 DaviesC, p. 147. 61 Arcidiacono, pp. 45-46, 85, 98, 110-111. 57 21 3. Le mutazioni. Il tema è strettamente connesso al punto precedente. Per il darwinismo le mutazioni genetiche sono la condizione necessaria per l’evoluzione. Si tratta di “errori di copiatura” di parti del DNA che, con la riproduzione, danno vita a nuove specie. Nella competizione per la vita, quelle specie con le mutazioni più efficienti e più adatte alla vita si affermano, mentre le altre soccombono. In primo luogo, le mutazioni spontanee, che avvengono nelle condizioni naturali, «sono eventi rari con frequenza dell’ordine di 1/10.000 e di 1/1.000.000 per generazione»66. In secondo luogo, è un fatto statistico facilmente documentabile, come emerge dagli studi di S. Arcidiacono, che nella stragrande maggioranza le mutazioni «sono nocive e molto rare sono quelle benefiche o vantaggiose»67. Le variazioni al DNA rappresentano un DNA danneggiato perché il DNA è fortemente conservativo e non tollera variazioni al suo interno. Nel momento in cui il DNA non replica il messaggio originario ciò si verifica perché è stato danneggiato. Diversamente dall’opinione dei darwinisti, una variazione è una variazione. Solo la selezione dirà se essa è vantaggiosa o no. In realtà, il DNA variato è già un DNA danneggiato. E il DNA danneggiato è un handicap perché anziché favorire, riduce la probabilità di sopravivenza. «La mutazione, non costruisce nulla. Essa, in quanto derivata da errori, trasforma e distrugge ciò che esiste»68. Del resto, è molto difficile dimostrare che vi sia un «accumulo sistematico di miriadi di tali variazioni [lentissime] tale da produrre uno schema coerente di avanzamento della specie»69. La probabilità statistiche che dalle mutazioni, prodotte dalle radiazioni, possono derivare in buona parte solo danni per l’organismo è facilmente documentabile anche ai nostri giorni. Basti pensare ai danni fisici e ai morti alle persone causati da Hiroshima, come anche alle malattie provocate dalla nube tossica di Chernobyl in Russia. Da una specie non nascono nuove specie. Tutt’al più si possono dare delle mutazioni non dannose – non proprio vantaggiose – nell’ambito della medesima specie, con sottospecie, come le piccole variazioni nella tonalità del colore della pelliccia nei felini. Ma in questo caso, come per le tigri con la pelliccia bianca, hanno scarsa probabilità di sopravvivenza perché facilmente individuabili dalle prede. Non è un caso che vivono solo negli zoo (Buenos Aires, Londra, ecc.). Peraltro, ciò che smentisce la derivazione di 62 Arcidiacono, pp. 48-49, 50, 99. Arcidiacono, pp. 87-88. 64 DaviesM, p. 248. 65 Arcidiacono, pp. 98-99, 100. 66 Arcidiacono, p. 39, cf. pp. 37-44, 48-50, 57-61, 93-103, 107-109, 122; DaviesC, pp. 141ss. 67 Arcidiacono, p. 39. 68 Arcidiacono, p. 98. 69 DaviesC, p. 145. 63 22 una specie dall’altra solo per via di mutazione casuale e attraverso specie intermedie, sta nell’infecondità delle nuove specie eventualmente prodotte. Gli ibridi sono sterili e ciò rende di fatto impossibile la transizione in nuove specie. Se sono sterili, come possono riprodursi con quelle precedenti e trasmettere alle generazioni successive i nuovi caratteri ereditari? In definitiva, sappiamo bene che le mutazioni sono dannose e non producono vantaggi: per questo abbiamo rifiutato con referendum la costruzioni di centrali nucleari; e nessuno andrebbe a costruire la propria abitazione a ridosso di una centrale, sperando che una fuga di radiazioni possa accrescere i poteri, diventando superman… 4. Gli anelli di congiunzione Altre obiezioni, più incalzanti, si muovono non contro l’evoluzione delle specie viventi come tale – che suppone che l’orientamento finalistico delle mutazioni, ossia le «mutazioni sintropiche»70 – bensì contro la concezione puramente casuale delle mutazioni. Se è vero, infatti, che diversi esemplari fossili possono essere pensati come anelli di congiunzione tra una specie e un’altra – pensiamo agli equidi o all’Archaeopteryx, che ha caratteristiche comuni ai rettili e ai pesci, o al Phenocodus, che presenta nelle ossa caratteristiche che ritroviamo in varai gruppi di mammiferi71 – in realtà mancano i più importanti resti di specie di transizione: il pesce con le zampe, ad esempio, che dà il via all’evoluzione sulla terra. Ma soprattutto nel periodo Cambriano (c.ca 600 milioni d anni fa) compaiono improvvisamente tutti i tipi viventi che avrebbero occupato la terra e gli oceani, senza che nelle rocce precambiane si trovino i loro fossili progenitori72. Mancano gli anelli di congiunzione degli invertebrati. Altre obiezioni che possono esser mosse all’evoluzionismo, osserva S. Arcidiacono, sono l’esistenza di certe specie viventi che hanno mantenuto immutata la loro forma per centinaia di milioni di anni (per esempio certe forme radiolari e di foraminiferi e certi artropodi, come gli scorpioni)»73. Difficile da spiegare, infatti, è «l’esistenza delle forma pancroniche. Molte specie – scrive ancora S. Arcidiacono – non si sono evolute o quasi dall’origine. Per esempio gli insetti collemboli sono antichissimi di circa 300-400 milioni di anni e risalgono al periodo devoniano. Essi presentano una ricca gamma di mutazioni, eppure il loro piano di organizzazione è rimasto immutato. Tenendo conto che le mutazioni avvengono in tutti gli organismi e la selezione agisce sempre, tutte le forme dovrebbero derivare. Non si capisce allora perché alcune forme si sono 70 Arcidiacono, p. 114. Cf. Arcidicono, p. 22. 72 Cf. Arcidiacono, pp. 50-51, 53, 22. 73 Arcidiacono, pp. 22-23. 71 23 trasformate da unicellulari in mammiferi ed altre non sono affatto variate», come i coccodrilli e gli squali. «I neodarwinisti per spiegare ciò ricorrono alle “nicchie ecologiche”: tali specie non hanno mutato perché hanno trovato un ambiente adatto al loro genere di vita. Questa spiegazione non è però soddisfacente e si deve osservare che anche in ambienti che cambiano spesso si trovano animali pancronici»74. Vi è anche « il fenomeno dell’evoluzione regressiva. Quest’ultimo consiste in una degenerazione di una specie o di un gruppo: un esempio del genere si riscontra in certi ammoniti in cui si osservano degli strani avvolgimenti anormali delle conchiglie. Inoltre, l’esplosione di vita nel paleozoico, per cui si passa da forme di estrema complessità, mal si concilia con il fenomeno di una lenta e graduale evoluzione»75. Ancora: «l’idea che strutture ed organi omologhi esistano in animali diversi per eredità da un comune antenato non è avvalorata da prove scientifiche. Le strutture omologhe dovrebbero essere codificate da geni omologhi, ma non è così. L’uomo e il pesce hanno lo stesso tipo di occhio, ma l’apparato genetico di questi due esseri è del tutto diverso […] Quindi, tutte le forme di vita non possono provenire da un antenato comune»76. Proprio per la mancanza della prova principale del darwinismo, le forme di passaggio – che fa dire ad A. Zichichi che il darwinismo non è una dottrina scientifica77 – alcuni studiosi, come S. J. Gould e N. Eldredge, che pure non contestano la dottrina darwinista, hanno avanzato la teoria dell’evoluzione per «equilibri punteggiati»78. L’espressione vuole sostanzialmente descrivere come, dopo lunghi periodi di stasi evolutiva, nuove specie sarebbero apparse all’improvviso per effetto delle mutazioni genetiche conseguenti a qualche catastrofe naturale. È così che viene giustificata l’assenza dei fossili di congiunzione. Da qui la polemica sollevata dai darwinisti ortodossi i quali la ritengono controproducente per la causa darwinista. Questi ultimi, infatti, proprio per aggirare l’ostacolo dell’alta improbabilità della formazione di nuove specie a partire da mutamenti improvvisi e vistosi del DNA, preferiscono diluire nel tempo le variazioni pensando ad accumulazioni gradatamente. La dottrina degli equilibri punteggiati sconfessa la tesi principale del darwinismo. Fin qui rileviamo che non sono stati trovati TUTTI gli anelli mancanti del passaggio da una specie all’altra; ma soprattutto il fatto rilevante è che non ne ESISTONO PROPRIO altri di altra natura: quelli con il rimescolamento casuale degli organi nelle singole specie. Se, come dicono i darwinisti, la creazione degli organi è puramente casuale, e sarà il rapporto con mondo circostante a stabilire ciecamente se sono vantaggiosi o no, dovremmo aspettarci: 74 Ardiciacono, p. 54. Arcidiacono, pp. 22-23. 76 Aricidiacono, p. 54. 77 Cf. A. ZICHICHI, op. cit., p. 81-93. 78 Cf. Arcidiacono, pp. 61-63. 75 24 a. tutti i passaggi intermedi di ogni organo; b. la collocazione a caso nelle varie parti del corpo: gli occhi al posto delle orecchie, lo stomaco al posto del cervello e simili….Tra tutte le innumerevoli possibilità, solo quelle attuali consentono la vita, e perciò sono state mantenute: ma dove sono le altre infinite possibili varianti? 5. La selezione naturale. Il concetto darwinista della selezione, inteso come il meccanismo di controllo che impedisce la sovrappopolazione dei viventi, «non può eliminare la questione del finalismo o sostituirsi ad esso, in quanto la selezione di per sé non crea nulla di nuovo; essa tende a eliminare le cause dell’eterogeneità e funziona più conservando il patrimonio ereditario della specie che trasformandolo»79. Essa «non può agire finché un qualche tipo di forma di vita non si manifesta»80. Dunque, la selezione suppone che vi sia già il materiale biologico su cui intervenire e perciò esistano già le mutazioni favorevoli. In realtà, la formulazione del principio della selezione naturale, secondo cui “gli organismi più adatti a sopravvivere sopravvivranno meglio»” «è fondamentalmente tautologica»81, dal momento che non spiega perché i più adatti prevalgono. Non è sufficiente rispondere che prevalgono perché sono i migliori82. 6. Il caso L’impianto darwinistico esclude ogni progetto finalistico che viene sostituito con il puro caso e la cieca necessità. Il meccanismo di mutazione, lento, graduale e cumulativo è in grado di fare derivare ogni vivente da un altro. La selezione mantiene in vita i più forti e prolifici. Ora, per verificare la fondatezza matematiche di questo impianto, non possiamo fare a meno di svolgere qualche considerazione sul concetto di “caso”, la materia prima della sintesi darwinistica. Le leggi del caso sono studiate da quella branca della matematica che è la statistica. Il caso è un evento aleatorio, ossia un concorso di circostanze non preferenziali, per cui dire “caso” significa dire sostanzialmente “equiprobabilità”. Nessun evento è privilegiato rispetto ad un altro. Pertanto, la probabilità che si verifichi un dato evento è data dal rapporto tra i casi favorevoli e quelli possibili: p (probabilità) = x (casi favorevoli) / n (casi possibili). 79 Arcidiacono, p. 110, cf. pp. 82-83, 85, 111. DaviesC, p. 156. 81 DaviesC, p. 141. 82 Arcidiacono, pp. 111, 102. 80 25 Ebbene, le leggi che ricaviamo dell’osservazione sui fenomeni casuali sono le seguenti: il caso è irregolare, manca di un piano, è incostante e non graduale. 1. Se gettiamo in aria un mazzo di carte, è improbabile che, cadendo, formino una figura geometrica. Il caso è irregolare. 2. D’altra parte, ogni carta è isolata rispetto al resto del mazzo, per cui nella figura che si viene a creare ogni pezzo non è coordinato con gli altri secondo un piano, ma ognuna si dispone secondo la forza del lancio, la direzione, l’eventuale vento che ne può variarne il percorso, ecc. Il caso non conosce un piano che coordini le parti. 3. Se rilanciamo le carte è improbabile che si dispongano come prima. Il caso è incostante, perché non privilegia nessuna combinazione su un’altra conservandola e mantenendola a dispetto di altre. 4. Infine, anche se si dovesse formare un figura, il primo piano di un castello, ad esempio, nei lanci successivi le carte non si disporrebbero come nei lanci precedenti e per di più aggiungendo nuovi piani del castello così da formarlo compiutamente dopo un certo numero di lanci. Ogni volta si ricomincerebbe daccapo buttando giù il livello eventualmente costruito. Il caso non è graduale. Già queste indicazioni ci presentano il punto debole della dottrina darwinista: l’accumulo lento, graduale e cumulativo di variazioni genetiche che danno origine a nuove specie. Ma facciamo anche qualche esempio matematico per rendere più evidente l’alta improbabilità che dal caso si sia evoluta tutta la varietà delle specie viventi83. 1) Calcoliamo la probabilità (p) che, lanciando una moneta, esca consecutivamente 10 volte Testa84. Il numeratore è sempre 1 perché i lanci successivi non sono influenzati dai precedenti. p=1x1x1x1x1x1x1x1x1x1 2 2 2 2 2 2 2 2 2 = 1 = 0,0009765 = 0,0975 % 2 1024 2) Calcoliamo la p che, al gioco della roulette, esca un dato numero (es. il “2”, o il 29”, ecc.) per 20 volte di seguito. I settori numerati del disco sono 37, tra cui anche la casella dello 0. p= 1 x 1 x 1 x 1 x 1 x 1 …. fino a 37 volte = 37 37 37 37 37 37 83 1 105551349557778 e 44 zeri Basterà qui ricordare soltanto il testo classico (dal quale abbiamo tratti gli esempi) di P. F. FONTANI, Linguaggio matematico, struttura algebrica, probabilità e statistica, Litografia Felici, Pisa 1981; B. DE FINETTI, Teoria delle probabilità. Sintesi introduttiva con appendice critica, Giuffrè, Milano 2005; P. NEGRINI – M. RAGAGNI, La probabilità, Carocci, Roma 2005. Sul web sono disponibili diverse dispense di docenti universitari: http://www.matematicamente.it/sociologia/Appunti%20Probabilit%C3%A0.pdf; http://www1.mate.polimi.it/dispense/ 0506CP/ 84 Si tratta di una provabilità «composta perché i tentativi si ripetono. In caso contrario avremmo la probabilità «totale». 26 3) Calcoliamo ora la p che da un mazzo di 52 carte si estraggano (successivamente o contemporaneamente) 4 carte dello stesso colore. Dal momento che l’evento successivo dipende da quello precedente, il numeratore decresce. I colori, ognuno dei quali comprende 13 carte, sono quattro; pertanto il risultato va moltiplicato per 4. p = 13 x 12 x 11 x 10 52 51 50 x 4= 17.160 x 4 = 49 17.160 6.497.400 = 1.624.350 p = 0,010564226 4) E la p che si verifichi un poker determinato (es. di “9”)? p=4 x 3 x 2 x 1 = 52 51 50 49 24 = 0,0000037 = 0,00037 % 6.497.400 5) E quattro poker di seguito? 0,0000037 x 0,0000037 x 0,0000037 x 0,0000037 che equivalgono a 0,0000000000000000000001874, cioè un numero con 21 zeri dopo la virgola… Ora, proviamo a considerare la probabilità che si sia formata a caso una proteina, che è una componente importante di una cellula. Gli organismi più semplici ne hanno milioni85. Le nostre cellule ne contengono 200 milioni di milioni. Il nostro organismo è composto da circa 60 mila miliardi di cellule. In ognuna di esse è avvolto il DNA, che se srotoliamo per esteso corrisponde a 1 metro e 70 centimetri; è sottile 2 milionesimi di millimetro, pari a 10 atomi. La lunghezza totale di tutto il nostro DNA è di 102 miliardi di Km86. Una proteina è composta da 20 tipi amminoacidi, che possiamo rappresentare come una collana di perline collegate in ordine l’una dopo l’altra mediante un acido che funge da uncino e da un occhiello (gruppo amminico). La possibilità che si formi a caso una sola molecola di proteina è pari a «20!», ossia il fattoriale di 20: 1 x 2 x 3 x 4 e così via fino a 20. La moltiplicazione dà il seguente risultato: 2,4 x 1018, che corrisponde a 2.400.000.000.000.000.000 (2 mila e 400 milioni di miliardi)87. Se «una piccola proteina contiene tipicamente un centinaio di amminoacidi di 20 tipi diversi. In una molecola di questa lunghezza gli amminoacidi possono disporsi in circa 10130 (1 85 DaviesD, pp. 92-96. D. RAVALICO, La Creazione non è una favola, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1986, pp. 96-97, 59-63, 19ss. Una cellula, e ne abbiamo più di 60 miliardi, è composta da proteine; le proteine sono composte da amminoacidi; gli amminoacidi da atomi. 87 ID., pp. 79-80. 86 27 seguito da 130 zeri!) sequenze diverse. Centrare a caso quella giusta non sarebbe un’impresa da poco»88. Nessuno, in definitiva, osservando l’efficienza e il disegno di una proteina formata da 2000 atomi, potrebbe mai pensare che tutti questi atomi si siano disposti per puro caso nella loro disposizione. La mutazione casuale potrebbe avvenire su una volta su 10 alla 320 potenza (10320), e quindi non basterebbe a realizzare la proteina P. Davies fa perciò notare, al riguardo del cosiddetto brodo primordiale89, che «è stato calcolato che una soluzione concentrata di amminoacidi, lasciata a se stessa, dovrebbe avere un volume pari all’universo visibile perché in un suo punto, andando contro la marea termondicamica, si formasse un solo breve polipeptide» (cioè una proteina)90. E in ogni caso, aggiunge D. Ravalico, quand’anche si formasse tale proteina, dal momento che il caso non è graduale, tale polipeptide sia sarebbe unito e disunito continuamente senza sosta e senza risultato. Allungando il tempo aumentano le difficoltà perché aumentano le possibilità di distruzione91. Dunque il caposaldo del darwinismo, secondo cui aumentando innumerevolmente i tentativi alla fine “per forza” si sarebbe formata la vita non regge. Quindi, se le probabilità che vanno contro l’eventualità di ottenere una molecola proteica, con una data sequenza, accozzando amminoacidi a caso, sono «fantasmagoriche», quanto più riducono le probabilità che il processo spontaneo che conduca ad un vivente. Scrive ancora P. Davies: «la vita, come la conosciamo oggi, richiede centinaia di migliaia di proteine specializzate, per non parlare degli acidi nucleici» LE PROVE Ecco, allora, qualche dato altamente significativo in merito alla probabilità della formazione casuale della vita. 1. «Le probabilità contrarie alla sintesi puramente casuale delle sole proteine sono circa 1040.000. Ciò significa 1 seguito da 40.000 zeri, un numero che, scritto per esteso, occuperebbe un intero capitolo di questo libro. Al confronto, ottenere un poker 1000 volte di fila è un gioco da ragazzi. È nota l’osservazione dell’astronomo britannico Fred Hoyle, secondo cui le probabilità che un processo spontaneo metta insieme un essere vivente sono analoghe a quelle che una tromba d’aria, spazzando un deposito di robivecchi, produca un Boeing 747 perfettamente funzionante»92. Infatti, sostenere «che la complessità e varietà della vita siano 88 DaviesD, p. 95. DaviesD, pp. 83-100. 90 DaviesD, p. 94. 91 Cf. D. RAVALICO, op. cit., pp. 90-92; DaviesD, p. 93. 92 DaviesD, p. 100. 89 28 derivate da mutazioni casuali, cioè da errori e dalla loro cieca selezione» è anche «come aspettarsi che una moltitudine di scimmie, dotate di macchine da scrivere, scrivano, insieme ad un mare di inesattezze, un libro leggibile»93. 2. «È possibile calcolare approssimativamente la probabilità che il continuo spezzarsi e riformarsi delle molecole complesse presenti nel brodo primordiale abbia prodotto, dopo un miliardo di anni, un piccolo virus. Il numero di combinazioni chimiche differenti è talmente enorme che tale probabilità è minore di 1 su 102.000.000. Cioè, per capirsi meglio, meno probabile che ottenere testa sei milioni di volte di seguito lanciando una moneta. Se anziché un virus si prende invece in considerazione una qualunque ipotetica molecola più semplice capace di riprodursi le probabilità favorevoli potrebbero considerevolmente aumentare, ma con numeri di questo tipo la conclusione non cambia: la spontanea generazione della vita a partire dal mescolamento molecolare casuale è un evento ridicolmente improbabile»94. 7. L’evoluzione dell’uomo Le considerazioni svolte finora valgono, a fortiori, anche per l’evoluzione dell’uomo. Tanto più che il processo evolutivo che dai primati conduce all’uomo è di una rapidità sorprendente. Per capirci, tracciamo la linea evolutiva umana, per rendercene conto. 1. Tra i più remoti antenati comuni a uomini e scimmie troviamo il Proconsul (o Dryopithecus africanus), vissuto circa 30 milioni di anni fa. 2. La prima scimmia antropomorfa che discese dagli alberi per vivere al suolo è il Ramapiteco, vissuto tra i 12 e gli 11 milioni di anni fa. È il primo ominide, ossia un essere che mantiene la posizione eretta. Il Ramapiteco va annoverato tra gli stadi evoluti delle scimmie, per la precisione dell’Orango asiatico. 3. Le scimmie e gli uomini cominciano a differenziarsi tra i 6 e i 4 milioni di anni fa. 4. I primi resti fossili di un certo rilievo sono quelli rinvenuti circa 3,6 milioni di anni fa in Etiopia, di un celebre individuo femminile, battezzato Lucy. Appartiene al genere Australopitecus afarensis. Lucy si pone su una linea laterale rispetto alla linea evolutiva dell’uomo perché è una forma preumana, anche se viene ritenuto un antenato o un cugino dell’uomo95. Questo ominide misura circa un metro, la capacità cranica ospita un cervello piccolo, di ca. 500 cm3 (oggi è di ca. 1400). Tra i 4 milioni di anni fa fino a 1,5, compaiono altre specie di Australopiteco: Ramidus, Anamensis (più antico di Lucy), da 4.2 a 3,9; Africanus, dai 3 ai 2,3 milioni di anni fa, con capacità cranica di 500 cm3 ; Aethiopicus, circa 2,8 milioni di anni fa; Garhi, circa 2,5 di 93 Arcidiacono, pp. 111, 48; R. LAURENTIN, op. cit., p. 48. DaviesC, pp. 153-154. 95 FacchiniU, pp. 19, 26-28. 94 29 milioni di anni fa); Boisei, dai 2,3 a 1,4 di milioni di anni fa; Robustus, da 1,9 a 1,5 di milioni di anni fa. 5. Il genere Homo appare circa 2,5 milioni di anni fa con l’Homo habilis. Il genere Homo si differenzia dai precedenti a motivo di alcune caratteristiche particolari: il cervello è più sviluppato (da 700 a 800 cm3); possiede la capacità di fabbricare rudimentali strumenti di pietra o legno; è altro tra 1,25 e 1,35 m. La peculiarità è nel comportamento intenzionale, per cui conosce la connessione mezzo-fine96. Forse preceduto dall’Homo ergaster, vissuto da 1,7 a 1,5 milioni di anni fa, compare l’Homo erectus (o Pithecantrhropus erectus) tra 1,7 e 100 mila anni fa. È il primo ominide ad utilizzare il fuoco: per cuocere, cacciare i predatori, ecc. Costruisce raffinati utensili utilizzando l’amigdala, una selce a forma di mandorla lavorata su due lati e quindi appuntita come una lama. Ciò dimostra la capacità astratta della simmetria97. La capacità cranica oscilla tra gli 800 e i 1200 cm3. Possiede l’articolazione della parola. La prima forma di religiosità, ma ancora, dubbia, si presenta con l’Erectus con il culto dei crani, 400.000 anni fa. Secondo alcuni studiosi dall’Homo erectus si passa al Neanderthal tramite l’Heidelbengensis, vissuto circa 500 mila anni fa. L’Homo antecessor è vissuto circa 800 mila anni fa. L’Homo neaderthalensis vive dagli 80 mila ai 37 mila anni fa. È tra le specie umane più studiate. Si tratta di un individuo più robusto e muscoloso dell’uomo moderno e ha una capacità cranica ancora maggiore della nostra. Il volto è prominente. Compaiono le prime forme certe di spiritualità perché usa seppellire i morti, spesso con cibo e armi, dando prova di un elevato livello di civiltà e attestando la diffusione di convinzioni religiose come la sopravvivenza dopo la morte. La più antica sepoltura conosciuta risale a 80.000 anni fa98. Recentemente è stato escluso che vi siano stati incontri fecondi con l’Homo sapiens sapiens, che la specie alla quale apparteniamo. Dunque non abbiamo un legame diretto con i Neandertaliani. I primi individui di Homo sapiens sapiens sono stati trovati 40 mila anni fa a Cro Magnon, in Francia. È con il Sapiens che abbiamo maggiori testimonianze di produzioni culturali e perciò simboliche, soprattutto in tre direzioni: le sepolture, le pitture e le raffigurazioni umane99. - Le sepolture. la posizione dei cadaveri è rannicchiata, in forma fetale, che è il tipico atteggiamento del bimbo nel seno materno; inoltre sono orientati a oriente, in sintonia con l’ascesa dell’anima con il sorgere del sole. I corredi funerari si arricchiscono di lame di selce, pendagli di 96 Ibid., p. 41. Ibid. 98 P. ANGELA – A. ANGELA, La straordinaria storia dell’uomo, Osar Mondatori, Milano 1993, p. 272; cf. FacchiniU, pp. 78-85. 99 Cf. FaccchhiniU, pp. 78-98, Sulla problematica, si veda anche A. N. TERRIN, Introduzione allo studio comparato delle religioni, Morcelliana, Brescia 19982, pp. 41-53. 97 30 avori, collane di denti di cervo. È la dotazione per un’altra vita, simbolizzata anche dall’uso dei defunti dell’ocra rossa (il colore del sangue)100. - Le pitture. Infatti, la produzione artistiche del paleolitico superiore (35 mila – 10 mila anni fa) dimostra che l’uomo raggiunge la piena consapevolezza di sé e del mistero che lo circonda, documentata dalle raffigurazioni animali sulle pareti delle grotte101 – la cui interpretazione non si può limitare al senso sciamanico, visto che solo il 10% delle frecce colpisce i grandi i bisonti affrescati102 – ed anche umane, divine e astratte103. Nell’ambito dell’arte rupestre vanno segnalati i dipinti nella grotte di Altamira, in Spagna, i cui affreschi più antichi risalgono ad un periodo compreso tra i 27.000 e i 20.000 anni fa. Per la loro bellezza sono stati definiti la “Cappella Sistina” della preistoria. Sempre in ambito di raffigurazioni di animali, vanno ricordate anche le grotte di Lascaux, in Francia, risalenti a 17.000 anni fa. Le statuette. Nel Paleolitico superiore (da 30.000 a 12.000 anni fa) comincia un’ampia e capillare produzione di statuette raffiguranti la Dea Madre, la divinità suprema e unica, legata al culto della fertilità per lo sviluppo esagerato dei caratteri sessuali secondari (le mammelle)104.Le più note sono la Venere di Willendorf, in Austria, risalente a circa 25.000 anni fa; e quella di Dorgogna, in Francia, di 20.000 anni fa. Questa breve carrellata del processo evolutivo umano vuole mettere in rilievo almeno due aspetti. In primo luogo, il rapido processo di cerebralizzazione, accompagnato da modificazioni, oltre che nel cranio, anche nella mano, che diventa capace di fabbricare strumenti, nonché di deambulare105. Ciò significa uno sviluppo esponenziale di cellule, in particolare di tipo neuronale. Ciò va chiaramente contro la tesi della lento accumulo di variazioni a livello biologico. In secondo luogo, il salto qualitativo che differenzia l’uomo rispetto alla linea evolutiva delle scimmie, rappresentato da alcuni importanti fattori: il linguaggio articolato, simbolico e astratto – diverso da quello dei segnali degli animali e derivato dallo sviluppo cerebrale –, l’autocosciensa e autodeterminazione; infine la tecnologia. Sono tutti aspetti di una natura spirituale che segna la differenza con il mondo delle scimmie. L’uomo, quindi, non è una scimmia particolarmente evoluta106. 100 Cf. FaccchiniU, pp. 83-85. FacchiniU, pp. 87-96. Tale produzione può essere visionata, tra gli altri, in D. VIALOU, Preistoria. Le origini dell’arte, Corriere della Sera – Rizzoli, Milano 2005, pp. 23-33, 89-146. 102 Cf. Guerra, pp. 312, 230. 103 Cf. F. VIALOU, op. cit., pp. 190-229. 104 Cf. Guerra, pp. 19-28, 233-234, FacchiniU, pp. 85-87. Per la documentazione delle Veneri scolpite, si veda D. VIALOU, op. cit., pp. 37-87, 48-53, 84-89, 176-181, 51-52, 64, 67-69. 105 Cf. FacchiniU, p. 42. 106 Cf. FacchiniU, pp. 36-48, 56-63. 101 31 4. Valutazioni conclusive In questo lungo percorso abbiamo focalizzato l’attenzione sulla prima questione connessa alla ragionevolezza della fede: l’esistenza di Dio. È una conoscenza che non appartiene, propriamente, alla fede, ma alla ragione. La fede nella sua Parola suppone, come presupposto o fondamento, che Dio esiste. Le obiezioni che possono essere sollevate contro l’esistenza di Dio vanno risolte esclusivamente sul piano razionale. Se la ragione non è in grado di conoscere con certezza e con le sue forze che Dio esiste ed è all’origine del mondo, la fede non potrà in alcun modo garantirla. Dalla formazione dell’universo alla comparsa dell’uomo, tutta una serie infinita di fattori, così incastonati e connessi, sembra che sia costruita da un progetto teso alla comparsa della vita e, in particolare, dell’Homo sapiens sapiens. Dalle costanti fondamentali della natura alla la presenza sulla Terra di una serie di circostanze concomitanti favorevoli (acqua, ossigeno, distanza dal Sole giusta, ecc.), tutto fa pensare che “dietro” vi sia un progetto. La scienza si limita a spiegare i processi fisico-chimichi, ma non spiega il senso dell’esistenza. Anche il cammino evolutivo dei viventi, sorprendentemente in ascesa lascia intuire che vi sia un disegno sottostante. Ebbene, l’insieme di questi elementi può avere solo due spiegazioni possibili: o che le leggi fisico-chimiche siano preferenziali verso la vita107, e c’è da chiedersi perché, o è tutto frutto del caso. È senz’altro possibile statisticamente possibile che tra le infinite probabilità noi ci troviamo proprio in quella giusta, plausibilmente l’unica, che ci consente di esistere. Ma è più ragionevole credere «che siamo solo un bizzarro scherzo della natura, o il prodotto atteso di un universo ingegnosamente predisposto alla vita?»108. Siamo capitati nell’unica probabilità favorevole tra gli infiniti casi possibili, o piuttosto, proprio perché tutto è così altamente improbabile, «vi è qualcosa dietro a tutto ciò. [Infatti] l’impressione dell’esistenza di un disegno globale è schiacciante»109. Ma proprio questo è il punto: non è solo un’impressione, ma una certezza matematica. Per esser più esatti, non si tratta tecnicamente di una certezza matematica, ma di una certezza di fatto matematica. Infatti le probabilità a favore della formazione casuale dell’universo e della nostra esistenza in esso, come abbiamo visto, sono talmente basse da rasentare pressoché lo zero. In questo senso, la certezza di fatto matematica è una dimostrazione, ossia, in senso lato, un ragionamento certo, inconfutabile, incontrovertibile. Il filosofo B. Pascal parlava di Dio in termini di scommessa. Ma la scommessa cui si riferiva non è quella nella quale si hanno 50% di probabilità che Dio ci sia e altrettante che non esista, bensì di 107 FacchiniA, p. 15; DaviesD, pp. 275-308. DaviesD, p. 278. 109 DaviesC, p. 261. 108 32 una scommessa sicuramente “vincente”110. Si può scommettere che Dio esiste perché la stessa matematica ci garantisce che si tratta della scelta più ragionevole. La riprova? Se giocando alla roulette cominciasse a uscire un dato numero per la prima volta, poi la seconda, e la terza, poi la quarta, e quinta fino alla ventesima volta consecutiva, e oltre, chi di noi affermerebbe sensatamente che si tratta di pura casualità e non sospetterebbe, a ragione invece, che il gioco è truccato? Perché è altamente improbabile che lo stesso numero esca così tante volte? Perché, lo abbiamo visto, il caso è assolutamente equiprobabile, a meno che la ruota non sia orientata, come nel caso di una calamita posto sotto il disco o la casella del numero “fortunato” molto più grande degli altri, così da orientare il risultato. È esattamente quanto accade in natura. Le leggi naturali sono preferenziali, ossia orientate alla formazione della vita e dell’uomo111. Capovolgiamo la situazione della nostra roulette per rendere più incisivo il ragionamento. Sostenere che noi e il nostro mondo siamo frutto del caso è come scommettere tutto quanto si possiede che esca di seguito, su una roulette perfettamente funzionante, “almeno” venti volte un numero desiderato. Venti volte è un numero indicato a dir poco per eccesso di difetto. P. Davies ci ha offerto, invece, una seppur minima idea delle vere proporzioni in campo. E tuttavia, quale persona, sana di mente, scommetterebbe una somma di rilievo anche solo per venti volte? Non si tratterebbe, piuttosto, di una scelta scellerata e irragionevole, vista la certezza di fatto matematica di non avere nessuna possibilità di vittoria? Ebbene, affermare che Dio non esiste equivale proprio a dichiarare di essere certi che il numero desiderato esca per venti volte di seguito, pur con la sua elevata probabilità, tanto da scommetterci sopra. Per concludere, la Mente sapiente e potente (cf. Rm 1,19-21; CCC 268, 279ss.) che sta dietro le leggi e le proprietà dell’universo, è Dio, che le ha così determinate e le mantiene continuamente nell’esistenza. Diversamente non esisterebbero né leggi né cosmo. L’universo si può spiegare facendo ricorso diretto alle leggi che lo reggono. E ciò ha favorito lo sviluppo autonomo delle scienze empiriche. Ma indirettamente è Dio «la causa prima» dell’universo perché Egli «opera nelle e per mezzo delle cause seconde» (CCC 308). La storia evolutiva dell’universo, fino all’uomo, si lascia interpretare come «una serie di fotogrammi successivi» che rappresentano «una serie di eventi che sembrano finalizzati all’uomo, anche se molte direzioni evolutive non hanno un rapporto con la linea umana La comparsa dell’uomo viene vista da Teilhard de Chardin come “la freccia dell’evoluzione”. Guardando il processo evolutivo nel suo insieme e nella successione di comparsa dei vertebrati (pesci, anfibi, rettili, mammiferi, uccelli) tutto si svolge come se l’uomo 110 111 B. PASCAL, Pensieri, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1988, nn. 184-241. DaviesD, pp. 275-308. 33 costituisca il punto di arrivo privilegiato dell’evoluzione»112. Si tratta di un «finalismo reale, realizzato attraverso una catena di eventi naturali, determinati da cause seconde, presenti nella mente di Dio»113. Pertanto, «che l’universo risposta a un disegno di Dio (in qualunque modo sia realizzato, anche con modalità apparentemente casuali) è da ammettersi sulla base di un retto ragionare»114. Raggiungiamo così il vertice più alto e nobile di quanto la conoscenza umana possa indagare con le sue forze, ossia l’esistenza del Creatore cui protendersi e cui elevare il culto e la lode con la religione115. Non resta che aprirsi all’azione di Dio che cerca l’uomo per comunicarli la propria vita divina. È quanto si realizza in particolare nella storia della salvezza, cominciata dai progenitori e culmina in Gesù Cristo, il Figlio di Dio, credendo il quale si ha la vita (Gv 3,16; 17,3). 112 FacchiniA, pp. 20-21. Ibid., p. 21. 114 Ibid., p. 23. 115 È questo, secondo F. FIORNETINO, Filosofia e religione in S. Tommaso e Kant, Editrice Domenicana Italiana, Napoli-Bari 1997, pp. 196-200, 224, 259, 294, 303, il senso ultimo della dimostrazione tomista dell’esistenza di Dio. 113