1. La struttura dei circuiti Nelle scienze moderne ha acquistato sempre piú importanza il concetto di sistema. La parola sistema, già nel linguaggio comune fa pensare a parti interconnesse, a una connessione di parti tra loro collegate che si vogliono vedere nel loro reciproco comportamento e nella loro reciproca interazione. Ad esempio una automobile e' un sistema complesso, una struttura della quale si può studiare il comportamento (e quindi la posizione, la velocità, l'accelerazione, la posizione del volante, la pressione sul pedale) al quale contribuiscono diverse parti connesse tra loro. Anche i circuiti elettrici sono esempi di sistemi. Chiameremo circuito elettrico ogni sistema fisico nel quale può stabilirsi una migrazione permanente di cariche elettriche. La struttura e la costituzione dei circuiti elettrici varia notevolmente da caso a caso, e può essere molto semplice ma anche molto complessa. Un esempio di circuito elettrico e' un insieme di conduttori metallici collegati fra loro, che nell'insieme costituiscono un percorso chiuso e continuo per la corrente. In effetti però un circuito elettrico può anche comprendere elementi non metallici (soluzioni elettrolitiche o condensatori) e consentire il passaggio della corrente in determinate condizioni. Nel caso particolare dei sistemi a corrente continua, dal momento che le cariche si muovono sempre nello stesso senso, questo movimento e' possibile in via permanente soltanto se il circuito e' costituito da una catena ininterrotta di corpi conduttori nella quale le cariche possono circolare in continuazione, cioè se il circuito e', come si suole dire, chiuso. E' inoltre necessario che nel circuito sia inserito un generatore che produca forze di natura elettrica le quali spingono le cariche mobili, cosicché nel circuito si stabilisce una corrente elettrica che perdura finché permane l'azione del generatore. Se la catena viene interrotta, cioè, come si suole dire, se il circuito viene aperto, la circolazione delle cariche e' impedita e quindi non ci può piú essere alcuna corrente nel circuito stesso. La corrente viene quindi a cessare. Diremo quindi che il circuito e' aperto quando, per una interruzione prestabilita, si impedisce che la corrente circoli; chiuso quando, circolando corrente, si esercitano le funzioni per le quali il circuito stesso e' stato realizzato. Il circuito deve comunque essere costituito da almeno tre elementi: - da un generatore (ad esempio una pila), che e' l'elemento che produce una forza di natura elettrica (forza elettromotrice) la quale spinge gli elettroni a muoversi lungo il circuito, dando origine alla corrente; - da un apparecchio utilizzatore della corrente, detto anche di solito carico (ad esempio una lampada, o una stufa, o una qualsiasi apparecchiatura), e che costituisce l'utenza. Tale elemento, percorso dalla corrente prodotta dal generatore, da' luogo all'effetto che si vuole ottenere dalla corrente (termico, elettrochimico, magnetico, ecc.). - dai conduttori di collegamento (ad esempio due o piú fili metallici, oppure linee aeree, cavi, sbarre, ecc.), che chiudono il circuito ed hanno come scopo quello di connettere il carico al generatore. Essi costituiscono la linea. Ognuna delle parti che costituiscono il circuito elettrico può avere varie forme ed ha caratteristiche differenti dalle altre. Il generatore e il carico ad esempio hanno funzioni differenti e si comportano diversamente. Dal punto di vista elettrico sono comunque caratterizzati dal fatto di avere due terminali o morsetti per l'entrata e l'uscita della corrente. Per studiare un circuito elettrico conviene considerare ciascuna delle singole parti isolata dalle altre, a se stante. In questo modo si possono studiare singolarmente le caratteristiche del generatore, dell'utilizzatore, della linea elettrica e poi unire il tutto facendone cioè la sintesi. Ogni porzione del circuito, comunque composta, e' pertanto detta un bipolo. Un circuito elettrico si può considerare in generale costituito da piú bipoli aventi i morsetti collegati tra loro in modo che esso sia chiuso. Pertanto un circuito elettrico e' un sistema nel quale le parti interconnesse tra di loro sono i bipoli e dall'esame di essi consegue il comportamento del circuito nel suo complesso. Nei prossimi paragrafi affronteremo lo studio dei casi piu' semplici di circuiti elettrici. La corrente elettrica e la forza elettromotrice Per studiare il comportamento di un circuito elettrico e' necessario incominciare a considerare il bipolo fondamentale che e' presente nel circuito stesso, cioe' il generatore. All'interno di un generatore elettrico, comunque esso sia fatto, si manifestano delle forze di accumulo che tendono a fare accumulare gli elettroni liberi presenti su uno dei due poli o morsetti del generatore stesso. Il polo verso il quale sono sospinti gli elettroni costituisce il morsetto negativo del generatore, quello opposto prende il nome di morsetto positivo. E' chiaro che le cariche disposte sui poli opposti si attraggono reciprocamente per cui esiste la forza elettrostatica che agisce in verso opposto. Il meccanismo di accumulo si fermerà quindi quando si sarà raggiunto l'equilibrio tra le forze di accumulo e le forze della reazione elettrostatica. Per capire meglio il funzionamento del circuito elettrico conviene utilizzare l'analogia idraulica, nella quale si osserva il funzionamento di un circuito idraulico, piú intuitivo da comprendere. Il meccanismo di accumulo delle cariche in un generatore elettrico e' qualcosa di analogo a quando con una pompa si manda acqua su per un tubo. L'acqua raggiungerà una certa altezza di equilibrio che non potrà essere superata, quando la forza premente della pompa e' equilibrata dalla pressione dovuta all'acqua sovrastante. Se si inserisce una pompa che esercita una forza maggiore l'altezza a cui potrà essere spinta l'acqua sarà maggiore. Analogamente l'accumulo di cariche elettriche nei due morsetti del generatore dipende dalla forza di accumulo propria di quel generatore. Se ora si collega il generatore in modo da chiudere un circuito elettrico che lo comprende le cariche accumulate nei due "serbatoi" costituiti dai morsetti provocano una corrente elettrica nel circuito, dovuto allo scorrimento degli elettroni nei conduttori. Il fenomeno e' perfettamente analogo al seguente: se si spinge acqua con una pompa in un serbatoio posto in alto prelevandola da un recipiente a valle, quando si collega il serbatoio con il recipiente a valle attraverso un condotto l'acqua comincia a scorrere nel condotto e si ha una corrente di acqua nel condotto stesso. Man mano che il serbatoio si svuota diminuisce la pressione sulla pompa e quindi prevale la forza della pompa che ristabilisce nel serbatoio superiore l'acqua che va via attraverso il condotto prelevandola sempre dal recipiente inferiore. Allo stesso modo quando il circuito contenente il generatore elettrico e' chiuso la corrente nei conduttori porta a diminuire la quantità di cariche ai terminali e quindi diminuisce la reazione elettrostatica all'interno del generatore per cui prevale nuovamente la forza di accumulo e continuano indefinitivamente ad accumularsi elettroni sul morsetto negativo. La forza di tipo elettrico che si manifesta all'esterno, quella cioè che provoca la corrente elettrica nei conduttori del circuito viene detta forza elettromotrice (abbreviato con f.e.m.). Si faccia bene attenzione al fatto che il generatore non genera gli elettroni che esistono già liberi in seno ai metalli ma ne determina solo il movimento. Sfruttando l'analogia idraulica, si può quindi pensare ai due terminali di un generatore come a due serbatoi di cariche elettriche (le une positive, le altre negative) fra i quali c'e' una "pressione elettrica", cioè una forza elettromotrice. Se si collegano questi due serbatoi con un conduttore si avrà un flusso di cariche. Fra i due serbatoi, cioè tra i due terminali del generatore ci sarà quindi uno squilibrio elettrico e la corrente elettrica incomincerà a fluire in modo tale da tendere ad equilibrare lo squilibrio esistente. Fra due punti generici del conduttore di collegamento si avrà una parte, una frazione di questo squilibrio elettrico, che viene detta differenza di potenziale (abbreviato d.d.p.) o tensione tra i due punti del conduttore. In pratica la differenza di potenziale viene definita come una pressione elettrica, piú precisamente come la differenza di pressione tra due punti. Il simbolo della forza elettromotrice e' E, quello della tensione e' U (simbolo adottato secondo la normativa internazionale), ma e' anche ammesso l'uso del simbolo V. L'unita' di misura di queste grandezze e' il volt (dal nome dell'italiano Alessandro Volta). Il simbolo dell'unita' di misura e' V. Sappiamo che se su una massa viene esercitata una forza la massa continuerà ad accelerare finché e' presente la forza. Allo stesso modo possiamo pensare che nel circuito elettrico la corrente possa crescere indefinitivamente se niente si oppone ad essa. Ora, in un condotto idraulico esiste l'attrito sulle pareti del condotto stesso e delle forze di tipo viscoso sulle molecole di acqua (cioè proporzionali alla velocità di scorrimento delle molecole di acqua) per cui la quantità di acqua che fluisce (cioè la portata) non aumenta indefinitivamente ma raggiunge un valore costante di equilibrio che dipende dalla pressione tra i due terminali del condotto e dalle caratteristiche del condotto stesso (sezione, forma del condotto, ecc.). Analogamente nello stesso modo la corrente elettrica nel circuito elettrico chiuso non cresce indefinitamente perché esistono delle forze di tipo viscoso (cioè proporzionali alla velocità di scorrimento degli elettroni) e si raggiunge un equilibrio costituito da una corrente elettrica unidirezionale costante, cioe' da una corrente continua che si richiude su se stessa lungo tutto il circuito. Come si' e' gia' detto il verso convenzionale della corrente elettrica e' opposto a quello degli elettroni, e in base alle norme si dice che una corrente I che fluisce nel circuito esterno collegato ai morsetti di un generatore, esce dal morsetto positivo per richiudersi poi, lungo il circuito interno del generatore stesso, nel verso che va dal morsetto negativo al morsetto positivo. Coerentemente con il verso convenzionale della corrente si stabilisce (sempre per convenzione) il verso della f.e.m. di un generatore, che e' diretta dal suo morsetto negativo verso il suo morsetto positivo all'interno del generatore stesso. C'e' quindi una relazione di causa ed effetto tra f.e.m. e corrente. La f.e.m. e' la causa che provoca la corrente (effetto), allo stesso modo in cui la pressione tra due serbatoi (causa) provoca una portata di acqua (effetto) in un condotto che li collega. Nell'utilizzatore vengono sfruttati gli effetti della corrente elettrica producendo così luce, o calore, o movimento, o altri effetti ancora, a seconda di quello che e' lo scopo per il quale e' stato necessario realizzare quel circuito. Si dice che nell'utilizzatore l'energia elettrica viene trasformata e utilizzata in una nuova forma. Questa trasformazione avviene a scapito del movimento degli elettroni, che vengono ostacolati nel loro fluire, cioè, come si suole dire, incontrano una resistenza elettrica. Sfruttando l'analogia idraulica l'utilizzatore può essere paragonato a una turbina idraulica nella quale si trasforma il flusso di acqua per muovere delle pale e far ruotare quindi un albero meccanico. Anche in questo caso le pale della turbina si oppongono al flusso e tendono a frenarlo. 2. Misurazione delle grandezze elettriche Ogni misura che noi effettuiamo consiste in un confronto tra due grandezze, quella da misurare e quella stabilita come unità di misura. Dire che abbiamo misurato una corrente di 2 A, vuol dire che la grandezza misurata (corrente elettrica) risulta essere due volte l'unita' di misura (l'ampere). Analogamente dire che la misura di una f.e.m. e' di 5 V vuol dire che la f.e.m. ai capi di un generatore che si e' misurata risulta essere cinque volte l'unita' di misura (il volt). Ancora, dire che tra due punti di un circuito si misura una tensione di 2,4 V vuol dire che si e' misurata una differenza di potenziale che risulta essere 2,4 volte l'unita' di misura (sempre il volt). Oggi esiste una grande varietà di strumenti di misura per elettrotecnica, e possiamo stabilire una prima grossa catalogazione differenziando tra strumenti analogici e strumenti digitali. Negli strumenti analogici la grandezza misurata e' rappresentata da un tratto di lunghezza o da un angolo di spostamento di un indice, il cui valore può essere letto di solito su una scala appositamente graduata. La lettura di uno strumento analogico può pertanto andare incontro a numerosi errori dovuti ad una errata interpretazione, ad esempio, della posizione dell'ago. Negli strumenti digitali il valore della misurazione appare su un indicatore o su un display sotto forma di numero. La lettura risulta quindi piu' agevole. A fronte della maggior facilità di utilizzo va tenuto presente che il costo di questi strumenti e' molto maggiore di quelli analogici. La differenza di potenziale tra due punti e' misurata con il voltmetro, mentre l'intensità' di corrente e' misurata con l'amperometro. Oggi sono presenti strumenti elettronici di costo relativamente basso, quale il multimetro digitale (Digital Multi Meter - DMM) che racchiude in se le funzioni di voltmetro e di misuratore di corrente, nonché di altre grandezze. La misura di differenza di potenziale in corrente continua e' alla base della pratica di tutti i lavori di elettronica. E' importante prendere confidenza con questa strumentazione. Volendo misurare una corrente lo strumento di misura (amperometro) deve essere attraversato dalla corrente stessa, pertanto occorre che la corrente sia fatta circolare all'interno dello strumento, che così deve essere inserito completamente all'interno del circuito (o come si suole dire in serie). Volendo misurare una tensione, invece, si deve tenere presente che la tensione e' una "pressione elettrica" tra due punti del circuito, per cui occorrerà semplicemente collegare i morsetti dello strumento (voltmetro) in corrispondenza dei punti tra i quali si vuole misurare la tensione senza modificare il resto del circuito, cioè lo strumento va collegato in derivazione o parallelo. Oltre agli errori che si possono commettere nell'interpretare i risultati della lettura degli strumenti, esistono anche errori dovuti al tipo di costruzione degli strumenti stessi. Questi errori sono rappresentati dalla classe di precisione, che per ogni strumento indica in percentuale il massimo errore assoluto che può essere presente rispetto al valore di fondo scala. Per limitare tali errori conviene usare lo strumento in modo che la misura ricada nella parte finale della scala. 3. La legge di Ohm Si e' visto che collegando un filo metallico ai due poli di un generatore elettrico che abbia una f.e.m. costante, si stabilisce nel circuito una corrente continua di intensità costante. Se ad uno stesso tratto di conduttore (mantenuto a temperatura costante) si applicano successivamente diverse tensioni continue U1, U2, U3, ..., e si determina ogni volta la intensità della corrente generata I1, I2, I3, ..., si trova che il rapporto fra il valore della tensione ed il corrispondente valore della corrente e' sempre lo stesso: U1/I1 = U2/I2 = U3/I3 = ... = costante. La costante di proporzionalità e' evidentemente un coefficiente che dipende unicamente dalle caratteristiche fisiche del tratto di conduttore impiegato. Essa perciò rappresenta un parametro caratteristico di quel particolare bipolo costituito da quel tratto di conduttore. Questo parametro caratteristico costante e' detto resistenza elettrica del bipolo (simbolo R). L'unita' di misura della resistenza e' l'ohm (simbolo Ω), che si può definire come la resistenza di quel bipolo che, sottoposto alla tensione di 1 V, viene percorso da una corrente di 1 A. Le dimensioni fisiche della resistenza sono quelle di una tensione divisa per una corrente. La grandezza inversa della resistenza si dice conduttanza (simbolo della grandezza: G): G = 1/R = I1/U1 = I2/U2 = I3/U3 e la sua unità di misura e' il siemens (simbolo dell'unita' di misura: S). Esempio: un bipolo e' sottoposto ad una tensione di 40 V e risulta percorso da una corrente di 8 A. Qual e' il valore della sua resistenza?. Si trova: R = U/I = 40/8 = 5 Ω analogamente il valore della sua conduttanza risulta essere: G = 1/R = 0,2 S La relazione che intercorre tra la tensione, la corrente e la resistenza e' detta legge di Ohm, dal nome dello scienziato che l'ha scoperta. Attraverso la legge di Ohm si ha il legame tra la causa (tensione) e l'effetto (corrente) che, come si vede, e' di tipo lineare. Infatti l'effetto si ottiene moltiplicando direttamente la causa per un numero costante (cioè per la conduttanza): I=UG=U/R (noto cioè il valore di una resistenza e il valore della tensione applicata, si trova subito il valore della corrente). Il valore della resistenza elettrica ci da' una indicazione dell'ostacolo che il flusso di elettroni incontra nell'attraversare un determinato materiale. Tutti gli utilizzatori e i tratti di linee elettriche sono caratterizzati da una resistenza. E' proprio perché ogni materiale ha una resistenza elettrica che il flusso degli elettroni non cresce indefinitamente ma raggiunge un valore di intensità di corrente di equilibrio. Applicando le formule inverse, noto il valore di una resistenza e il valore della corrente che la attraversa si può risalire alla tensione applicata: V = R I. Determinazione della resistenza Come si e' detto, il rapporto costante tra tensione applicata ad un bipolo e corrente che lo attraversa, cioè la resistenza, dipende unicamente dalle sue caratteristiche fisiche. Queste caratteristiche fisiche sono principalmente la forma e le dimensioni geometriche del conduttore che costituisce il bipolo, il materiale di cui e' costituito e la sua temperatura. Per quanto riguarda la forma teniamo presente che il piú comune tipo di forma utilizzato nella elettrotecnica e' quello dei conduttori costituiti da fili. Se si cerca di determinare la resistenza di diversi conduttori si trova sperimentalmente che la resistenza dipende da: • sezione del conduttore filiforme • lunghezza del conduttore • materiale di cui e' costituito. La sezione del conduttore e' la superficie che si ottiene tagliandolo perpendicolarmente al suo asse longitudinale. Qui useremo per la sezione il simbolo S. Sperimentalmente si trova che: - a parità di materiale impiegato e di area della sua sezione il filo piú lungo ha resistenza piú grande; - a parità di materiale impiegato e di lunghezza il filo con l'area della sua sezione maggiore presenta una resistenza inferiore; - a parita' di sezione e di lunghezza, fili costituiti da differenti materiali hanno resistenza differente, in particolare il filo di argento e quello di rame presentano i valori piú bassi di resistenza. Le considerazioni sperimentali portano a calcolare la resistenza con la seguente formula: R=ρl/S dove con l si e' indicata la lunghezza del filo; con S si e' indicata l'area della sezione del filo; con ρ si e' indicato il coefficiente di proporzionalità che dipende dalla natura del materiale impiegato. Tale coefficiente prende il nome di resistività o resistenza specifica. 2 In altre parole la resistività e' la resistenza di un conduttore di 1 m di lunghezza e di 1 m di sezione. L'unita' di misura e' quindi l'ohm per metro (simbolo Ωm). Ogni materiale e' caratterizzato da un suo valore di resistività. Per comodità ci si riferisce ad un tratto di materiale lungo un metro ma 2 2 con una sezione di 1 mm . Viene quindi usata in pratica, come unità di misura l' Ω⋅mm /m. Alcuni valori tipici per la resistività dei materiali conduttori piú usati sono: argento rame alluminio acciaio ρ = 0,0164 Ω⋅mm2/m ρ = 0,01724 Ω⋅mm2/m ρ = 0,0278 Ω⋅mm2/m ρ = 0,2 Ω⋅mm2/m Dalla relazione R = ρ ⋅ l / S moltiplicando entrambi i membri per S e dividendoli per R si ottiene la formula inversa: S=ρl/R dalla quale può essere ricavata la sezione S del conduttore, nota la resistività, la lunghezza e la resistenza. Analogamente, se sono note la resistenza e la sezione di un certo tratto di un particolare materiale si può ricavare la lunghezza con l'altra formula inversa: l = R S / ρ. I valori della resistività ρ non sono costanti, ma variano al variare della temperatura. Quelli che sono stati elencati per i vari materiali precedentemente si riferiscono infatti a una temperatura di 20° C.