il Signore della vita, fondamento della nostra speranza.
Guardando a Pietro, illuminato dallo sguardo misericordioso
di Gesù, anche noi impariamo a far memoria della sua parola, della
sua promessa e della sua presenza amante che ci sostiene quando
lo smarrimento, lo sconforto e la delusione possono avere il sopravvento su di noi.
La fatica del cammino di ogni discepolo è costantemente sorretta dalla parola fedele di Gesù: “Ho pregato per te, perché non
venga meno la tua fede”. Nel cammino non siamo lasciati soli a noi
stessi; Gesù intercessore grande e fedele presso il Padre prega per
noi perché gli apparteniamo, siamo suoi e per noi tutti egli ha manifestato il suo amore consegnando interamente se stesso, perché
tutti abbiano vita definitiva nel suo nome.
E questa è la speranza che rinnova il mondo.
Bene ha intuito, in proposito, Dietrich Bonhoeffer quando
nella sua Etica scrive:
“Un esame di coscienza cristiano è
possibile soltanto sulla base del presupposto che Gesù Cristo è in noi; nel pronunciare questo nome nella sua interezza è
evidente che non si tratta di una qualche
astrazione, ma della persona storica di
Gesù. Nell’esame di coscienza dei cristiani
lo sguardo non si sposta da Gesù Cristo al
proprio io, ma rimane fisso in Gesù Cristo; e poiché Gesù Cristo è già presente e attivo in noi e ci appartiene,
sorgerà necessariamente la domanda se e in che modo gli apparteniamo,
crediamo in lui e gli obbediamo nella nostra vita quotidiana (...).
La risposta all’esame di noi stessi non può venire da un qualche
segno che attesti la nostra costanza e fedeltà (...). L’esame di coscienza
consisterà, dunque, sempre nel sottoporci senza riserve al giudizio di Gesù Cristo, senza trarre noi stessi le conclusioni, ma lasciando questa incombenza a colui di cui conosciamo e riconosciamo la presenza in noi”.
(D. Bonhoeffer, Etica, Bompiani, Milano 1969, pp. 32-33).
www.eremodeisantipietroepaolo.it
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EREMO DEI SANTI PIETRO E PAOLO
Esercizi Spirituali
…
nella vita corrente
Il volto umano del Signore
con DON OVIDIO VEZZOLI
24—28 novembre 2014, ore 20.15
Quarta sera: 27 novembre
Il volto del Rinnegato
Il volto del perdono
Lectio divina in Lc 22, 54-62
Introduzione
La narrazione dei rinnegamenti di Pietro nei confronti di Gesù
contempla sullo sfondo una particolare situazione che la Chiesa,
comunità dei discepoli del Signore, sta vivendo. E’ un contesto di
prova, nel quale la comunità dei credenti sperimenta notevoli difficoltà nel mantenersi fedele, perseverante e assidua alla parola e
all’insegnamento del Maestro; molti tra i credenti sono tentati di
abbandonare l’evangelo e di desistere dal cammino cristiano di discepoli che comporta una sequela perseverante del Signore (cfr. Gv
6,64.67); davanti alla tribolazione molti credenti si sentono scossi,
nutrono riserve, preferiscono ritornare alla vita di un tempo e ritengono che l’evangelo sia un’utopia, ovvero un’esperienza che
non trova spazio nel contesto della vita quotidiana
Per questi credenti Lc rievoca la vicenda di Pietro l’apostolo, la
roccia, nella sua debolezza radicale, nel suo tradimento ripetuto; il
suo è un invito esplicito a vigilare, a stare attenti, a non essere ingenui davanti al mondo (come del resto aveva ammonito Gesù stesso; cfr. Lc 10,1-3); se ciò è avvenuto per il primo tra i chiamati al
discepolato dietro a Gesù (cfr. Lc 5,1-11), può verificarsi anche per
tutti gli altri. Lc, pertanto, ricorda alla comunità dei credenti che la
prova fa parte del cammino dei discepoli dell’evangelo; nemmeno
essi sono esentati dalla tentazione e dalla possibilità di rinnegare il
Maestro unico (cfr. 1Cor 10,12).
A questa Chiesa che sperimenta la fatica della sequela, Lc ricorda sì il pentimento e il pianto di Pietro, ma ancor di più richiama
l’attenzione dei credenti sullo sguardo compassionevole del Signore sul discepolo amato. E’ da quello sguardo, infatti, che scaturisce
un cammino di ritorno, di conversione e di vera conoscenza del
Signore Gesù.
Dunque, un messaggio di speranza traspare dalla narrazione
della pagina evangelica che riferisce dei rinnegamenti di Pietro;
questa speranza è consegnata alla Chiesa perché perseveri vigilante nella memoria della parola del Signore che non l’abbandona nel
tempo della prova (cfr. Sir 2,1-2. 10-11), ma la sostiene con sguardo
di misericordia.
di incominciare un cammino di sequela dietro a lui. Il pianto e
l’uscita di Pietro dal cortile del palazzo del Sommo sacerdote non
sono un fuggire, ma un cercare tempo e luogo in cui fare memoria
vivificante di quello sguardo compassionevole del Maestro schernito, vilipeso e crocifisso.
Si tratta dell’inizio di un autentico cammino di conversione
bagnato dalle lacrime non della disperazione, ma del ricordo amante del suo Signore che l’aveva chiamato per primo ad essere
tra i suoi amici, ma che l’aveva costituito anche ‘roccia’ della sua
Chiesa (cfr. Mt 16,18), punto di riferimento per il cammino e la fede dei suoi fratelli.
Il dono delle lacrime diventa, nella tradizione monastica, il
vero segno della compunzione del cuore che lascia spazio alla misericordia di Dio che intenerisce il nostro intimo in un vero pentimento. Non si tratta di incupire il nostro sguardo a tutti i costi o
rifiutare ogni atteggiamento di letizia, ma di lasciare spazio alla
compunzione del cuore per riconoscere il nostro peccato e permettere alla grazia di avvolgerlo con la compassione di Dio.
Conclusione
Dopo l’arresto al Getsemani, il luogo del frantoio dove Gesù
si è ritirato con i suoi a pregare dopo aver condiviso con loro
l’ultima cena pasquale, nella notte Gesù è condotto nella casa del
Sommo sacerdote per un primo interrogatorio e Pietro lo segue ‘da
lontano’ (makróthen).
Paolo, in 1Cor 10,12 ammonisce i forti della comunità: “Chi
crede di stare in piedi, stia attento di non cadere”.
Nel cammino di sequela dietro a Gesù, il discepolo
dell’evangelo è chiamato a fare continuamente memoria della parola del Maestro e non a confidare su se stesso, sulle proprie forze
o sulle sue presunte conoscenze a proposito di Gesù e
dell’evangelo.
Non basta confessare una retta fede in Gesù il Signore; è necessario stare dietro a lui in umiltà e obbedienza imparando ogni
giorno ad acquisire il pensiero di Cristo, il servo obbediente (cfr.
Mc 8,34).
In Pietro, la roccia scossa dalla prova non calcolata né prevista, ogni credente è chiamato gradatamente ad imparare a conoscere sempre meno se stesso per apprendere ad incontrare e conoscere
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Due momenti particolari scandiscono la narrazione:
vv. 54-60: i tre rinnegamenti dell’apostolo
vv. 61-62: lo sguardo di Gesù e il pentimento di Pietro.
Pietro rinnega per tre volte il Maestro (vv. 54-60)
Nel racconto, però, vi è anche un intento ecclesiologico che
sta a cuore all’evangelista, il quale ha davanti a sé una Chiesa che,
come Pietro, è tentata di rinnegare e misconoscere il suo Signore.
Come è possibile superare la tentazione nel tempo della prova e
della fatica del cammino? L’evangelista risponde: ‘facendo
memoria’ continua della parola – promessa di Gesù.
Infatti, nel contesto della visita delle donne mirofore al sepolcro il mattino di Pasqua, i due messaggeri celesti dicono ad esse di
‘ricordarsi’ di come egli parlò ad essi quando era ancora in Galilea,
quando preannnciava la sua morte di croce e la sua risurrezione
(cfr. Lc 24,5-7): “Ed esse si ricordarono delle sue parole” (cfr. At
20,35).
Pertanto, alla Chiesa comunità dei discepoli del Signore, è dato di superare la prova della fede mantenendo vivo il ricordo della
parola efficace del suo Signore; questa parola è una promessa di
vicinanza, di prossimità, di protezione provvidente e di presenza
mai venuta meno.
Questa necessità del ricordo del Signore è bene espressa dalla
tradizione monastica antica. Al vescovo Filocristo (3,278), Nilo di
Ancira (monaco del IV secolo) rivolge un appello fraterno:
Dallo sguardo di Gesù a Pietro scaturisce anche il pianto di
pentimento, vero lavacro di purificazione che permette all’apostolo
Da questa prima annotazione non si può certo affermare che Pietro
manchi di coraggio. E’ l’unico tra i discepoli a seguirlo in questo
momento; degli altri non vi è traccia. Anche nella condizione di arrestato egli segue Gesù il Maestro, seppure da lontano ossia lasciando intervenire uno spazio di distanza tra lui e il Maestro. Pietro entra nel cortile del palazzo del Sommo sacerdote; non si muove di soppiatto né si sottrae agli sguardi di quanti hanno arrestato
Gesù con la complicità di Giuda, uno dei Dodici.
Di fatto, il testo dell’evangelo ci narra che Pietro si siede in
mezzo a loro in quanto nel cortile del palazzo è stato acceso un
fuoco; anche Pietro sta con loro attorno alla fiamma. L’apostolo,
inoltre, occupa una posizione nella quale può intravedere Gesù,
ma anche essere visto da lui. Dunque, Pietro non intende nascondersi o procedere nell’anonimato; in qualche modo si espone e si
compromette.
In tale contesto, una donna fissando insistentemente lo sguardo (atenísasa) su di lui e richiamando l’attenzione degli astanti afferma una verità profonda: ‘Anche questi era con lui’ (v. 56: sùn
autō). Essa lo dichiara discepolo di Gesù ovvero facente parte di
quella cerchia di persone che Gesù aveva scelte e chiamate perché
stessero ‘con lui’ (cfr. Mc 3,13-14; Lc 5,10-11).
Alla provocazione Pietro risponde dichiarando di non appartenere a Gesù: ‘Non lo conosco’ (Ouk oida autón). In effetti, anche
Pietro rivela una verità profonda, quando dichiara esplicitamente
di non conoscerlo ancora. Infatti, dal testo evangelico si può sottolineare che solamente dopo lo sguardo compassionevole di Gesù e il
pianto che ne scaturirà, l’apostolo incomincerà a conoscerlo. Nel
Maestro arrestato e vilipeso, Pietro fa difficoltà ad intravedere quel
Gesù che l’ha chiamato alla sequela. Non è stato sufficiente, infatti,
aver camminato con Gesù, aver condiviso con il Maestro la tavola,
aver visto i suoi segni, aver ascoltato le sue parabole, essere stato
con lui al monte santo della trasfigurazione, essere stato con lui al
Getsemani nel giardino dell’arresto e aver condiviso con lui la fatica della preghiera nell’ora della prova. Infatti, sarà solo dopo la pasqua di croce e di gloria che Pietro incomincerà a conoscere il Si-
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“Se vuoi cancellare i ricordi cattivi che sono rimasti nel profondo del tuo cuore e annientare le insidie svariate del nemico, armati intrepidamente, giorno e notte, del ricordo del nostro Salvatore e della fervente invocazione del Nome venerabile, segnandoti
spesso la fronte e il petto con il segno della croce del Signore, perché quando viene invocato il Nome del Signore nostro Gesù Cristo
e viene posto il segno della croce sul cuore, sulla fronte e sulle altre
membra, subito è dissolta la potenza del nemico e i demoni malvagi fuggono via impauriti. Ugualmente, anche la meditazione delle
parole dello Spirito santo annienta la selva dei pensieri malvagi,
generando il fuoco spirituale”.
gnore Gesù e ad appartenergli radicalmente (cfr. Gv 21,15-19).
Trascorre un poco di tempo e un altro tra i presenti rimette in
questione la posizione di Pietro dichiarandolo ‘dei discepoli’ (ex
autōn). Quest’uomo vede in Pietro un discepolo ovvero uno appartenente alla fraternità – comunità di Gesù. Anche a lui Pietro risponde senza esitare: ‘No. Non sono’ (v. 58: ouk eimí). Pietro in questo caso, in realtà, non rinnega solo Gesù, ma anche la comunità di
appartenenza, i legami di fraternità che lo univano agli altri discepoli. Qui vi è nascosta un’altra profonda verità: quando si mette in
discussione l’appartenenza a Gesù il Signore, fondamento della
Chiesa e della sua missione, non c’è più alcun motivo per il quale
ci si senta legati alla sua comunità.
Un altro incalza dopo un’ora riportando Pietro al centro di quel
gruppo attorno al fuoco: ‘Anche questo era con lui (met’autoû); è
anche lui un galileo’ (v. 59). Oltre a riconoscere Pietro come un discepolo di Gesù, come aveva fatto la donna, quest’uomo aggiunge
un particolare che rimanda al suo territorio di origine, riconoscibile
probabilmente dalla sua parlata. Ma la cosa diventava, di fatto,
molto pericolosa e imbarazzante in quel contesto, perché ‘galileo’
equivaleva a fare di lui un rivoluzionario, un sovvertitore e violento. Anche in questa occasione la risposta di Pietro è decisa: ‘O uomo, non so (ouk oida) quello che dici’.
Pietro, dunque, rinnega anche la sua provenienza. Ora egli è
nella sua più radicale solitudine. Non ha più un maestro, una terra,
un’identità, una fraternità. Pietro è solo nella sua povertà più miserevole; è abbandonato a se stesso senza più punti di riferimento: né
maestro, né amici – fratelli, né comunità, né terra di appartenenza.
Il quadro drammaticamente risulta fosco se si considera anche l’annotazione del canto del gallo (v. 60: ephōnēsen aléktōr), come
del resto Gesù aveva preannunciato in Lc 22,34. In quel momento,
durante la cena ultima con i suoi, dopo aver annunciato il tradimento di Giuda uno dei dodici, Pietro aveva dichiarato di essere
più forte di qualsiasi insidia di Satana e di essere pronto a dare la
vita per Gesù il Maestro. A quell’entusiasmo di Pietro, Gesù aveva
risposto che in quello stesso giorno (oggi) egli l’avrebbe rinnegato
tre volte (cfr. Lc 22,31-34); ma Gesù gli aveva anche assicurato che
avrebbe pregato per lui (cfr. Lc 22,32), perché Pietro doveva, comunque, compiere una missione: confermare i suoi fratelli nella
fede.
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2. Lo sguardo di Gesù e il pentimento di Pietro (vv. 61-62)
L’importanza che Lc attribuisce allo sguardo di Gesù nei confronti di Pietro è veramente straordinaria.
Anzitutto, si può notare come davanti al triplice rinnegamento dell’apostolo è Gesù stesso a prendere l’iniziativa e a volgere lo
sguardo sul volto di Pietro (ho Kyrios enéblepsen tō Petrō). E’ una vera iniziativa compassionevole e misericordiosa quella di Gesù verso l’apostolo comunque amato, anche nel suo tradimento.
In secondo luogo, non è ingenuo osservare come da quello
sguardo scaturisce un duplice atteggiamento dell’apostolo: Pietro,
‘si ricordò della parola’ (hypemnēsthē toû rēmatos) e uscito dal cortile
del palazzo del Sommo sacerdote ‘pianse amaramente’ (eklausen
pikrōs).
Dallo sguardo di Gesù, dunque, scaturisce in Pietro, anzitutto, il ricordo. Quella di Gesù non è un’occhiata di giudizio, di condanna e nemmeno di denuncia fine a se stessa. E’ uno sguardo
compassionevole che ravviva la memoria, certamente del rinnegamento messo in atto dall’apostolo, ma anche e soprattutto la memoria di quanto Gesù stesso gli aveva preannunciato durante
l’ultima cena con i suoi: ‘Ho pregato per te (hedeēthēn perì soû), perché non venga meno la tua fede’ (Lc 22,32).
Pietro, da un lato, è invitato a riflettere sul suo comportamento, sulle sue dichiarazioni e a pentirsi del suo triplice rinnegamento, ma soprattutto è chiamato a ricordarsi della parola - promessa
(toû rēmatos) di Gesù, il quale non ha mai smesso di pregare per
l’apostolo amico, anche nel tempo della prova e del tradimento.
Tutto ciò rivela il particolare interesse di Gesù per Pietro,
l’apostolo che gli è caro e al quale ha affidato una missione ben
precisa all’interno della sua comunità.