Fondamenti del diritto privato italiano

Fondamenti del diritto privato italiano nella complessità delle fonti
Sommario: 1- Premessa; 2- Gli attuali sottili confini tra diritto privato e diritto pubblico; 3- La crisi
del principio di gerarchia delle fonti; 3.1- Costituzione e diritto privato; 3.2- Diritto comunitario,
diritto europeo e diritto privato; 3.3 Leggi e regolamenti. 4-Codice civile, decodificazione e
ricodificazione; 5- Il diritto consuetudinario e la soft law; 6-Il ruolo delle Corti e della dottrina; 7Conclusioni
1- Premessa
Il diritto privato italiano sta vivendo una fase particolare caratterizzata da una nuova complessità delle
fonti del diritto che pone l’interprete, e in particolare il giudice, al centro del sistema. La soluzione
dei problemi giuridici non si trova nel dettato della legge, ma piuttosto nelle pronunce dei giudici che
caso per caso individuano la regola applicabile.
Nel presente paper si prenderà in considerazione la crisi del principio di gerarchia delle fonti eroso
dai principi di competenza e di sussidiarietà. Si osserverà come il diritto costituzionale e il diritto
europeo abbiano portato a rivedere i rapporti tra potere giudiziario e potere legislativo; come la soft
law stia penetrando nel sistema delle fonti del diritto privato (1).
2- Gli attuali sottili confini tra diritto privato e diritto pubblico
Il diritto privato è di norma definito come quella parte del diritto che disciplina i rapporti tra privati
che non sono di diretto interesse per lo Stato.
Con riferimento al diritto italiano una simile definizione deve essere rivista sia riguardo alla
legislazione ordinaria sia riguardo alla Costituzione.
L’art. 1 bis della legge 241/1990 sul procedimento amministrativo dice che “La pubblica
amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto
privato salvo che la legge disponga diversamente.”
Anche l’ art. 2, comma 4 della legge 163/2006 sui contratti della pubblica amministrazione sancisce
che “per quanto non espressamente previsto nel presente codice, l'attività contrattuale dei soggetti di
cui all'articolo 1 si svolge nel rispetto, altresì, delle disposizioni stabilite dal codice civile.”
1
LIPARI, Le categorie del diritto civile, Giuffré, 2013; GROSSI, Ordine compatezza complessità. La funzione
inventiva del giurista, ieri ed oggi, Satura, 2012; PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo
il sistema italo-comunitario delle fonti, volumi I e II, Esi, 2006; IRTI, Sul Nichilismo giuridico, Laterza, 2005;
GALGANO, Il diritto privato tra codice e costituzione, Zanichelli, 1979.
Ne segue che, per quanto non è espressamente disciplinato dalle norme sull’attività della pubblica
amministrazione, anche in tale ambito trova applicazione il codice civile e le norme di diritto privato.
Non solo, ma con la sentenza della Cassazione a sezioni unite del 27 luglio 1999, n. 500 è stato
affermato il seguente principio di diritto in materia di responsabilità civile delle pubblica
amministrazione “la lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo o di
altro interesse (non di mero fatto ma) giuridicamente rilevante, rientra nella fattispecie della
responsabilità aquiliana solo ai fini della qualificazione del danno come ingiusto. Ciò non equivale
certamente ad affermare la indiscriminata risarcibilità degli interessi legittimi come categoria
generale. Potrà infatti pervenirsi al risarcimento soltanto se l'attività illegittima della P.A. abbia
determinato la lesione dell'interesse al bene della vita al quale l'interesse legittimo, secondo il
concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione
alla stregua dell'ordinamento. In altri termini, la lesione dell'interesse legittimo è condizione
necessaria, ma non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., poiché occorre
altresì che risulti leso, per effetto dell'attività illegittima (e colpevole) della P.A., l'interesse al bene
della vita al quale l'interesse legittimo si correla, e che il detto interesse al bene risulti meritevole di
tutela alla luce dell'ordinamento positivo". Quindi la responsabilità della pubblica amministrazione è
regolata dal codice civile (2).
L’art. 118 della Costituzione come modificato dalla Legge costituzionale 18-10-2001, n. 3 introduce
un’applicazione del principio di sussidiarietà prevedendo che “lo Stato, Regioni, Città metropolitane,
Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati per lo
svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.
Il principio di sussidiarietà si è progressivamente affermato nei vari ambiti della società moderna e
contemporanea quale espressione di differenti valori. In generale e, con riferimento all’ambito in
esame, indica il principio regolatore per cui se un ente inferiore è capace di svolgere bene un compito,
l’ente superiore non deve intervenire, ma può eventualmente sostenerne l’azione (3).
Ne segue che anche i privati possono svolgere funzioni di pubblico interesse con attività regolate
dalla normativa di diritto privato e lo Stato deve sostenerli.
Le suddette considerazioni portano a rivedere la distinzione passata tra diritto privato e diritto
pubblico e a pensare allo studio del diritto privato in chiave interdisciplinare. Una simile prospettiva
non può che condurre a rimettere in discussione le categorie dogmatiche tradizionali del diritto civile.
3- Crisi del principio di gerarchia delle fonti
2
Cass.
3
See Gelauff, Grilo, Lejour, Subsidiarity and Economic Reform in Europe, Springer, 2008
sez. un. 22.07.1999, n. 500, in Foro Amm. 2000, 349 con nota di: SORICELLI.
La pluralità delle fonti (leggi, regolamenti, consuetudini) trovava un chiaro ordine nel diritto privato
italiano attraverso il principio di gerarchia delle fonti del diritto.
L’articolo 1 delle disposizioni preliminari al codice civile del 1942 disegna la seguente gerarchia:
leggi, regolamenti, diritto consuetudinario.
Con la emanazione della Costituzione nel 1948 la gerarchia deve essere rivista ponendo al vertice la
Costituzione. In realtà come avremo modo di vedere la Costituzione non incide solo sull’ordine
gerarchico, ma sulla stessa centralità del potere legislativo del Parlamento.
Con l’adesione nel 1957 dell’Italia alla Comunità europea il sistema delle fonti interno si è complicato
essendo adesso necessario capire in che relazione porre direttive comunitarie e regolamenti
comunitari. L’art. 117 della Costituzione, modificato con la legge n. 3 del 18.10.2001, stabilisce che
“La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché
dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Lo Stato ha
legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
a) politica e rapporti internazionali dello Stato con l' Unione europea; diritto di asilo e condizione
giuridica
dei
cittadini
di
Stati
non
appartenenti
all'Unione
europea;
b) immigrazione;…”.
Sempre l’articolo 117, come modificato nel 2001 rivede i rapporti tra Stato e Regioni nella
emanazione di leggi secondo il principio di sussidiarietà.
È evidente, in queste brevi considerazioni, la crisi del principio di gerarchia delle fonti. Il numero di
norme (costituzione, normativa comunitaria, legislazione statale…) prodotte per venire incontro alle
necessità della nostra società e la forte interdipendenza tra le stesse sta minando la certezza del diritto
e accrescendo il potere dei giudici (4).
Il principio di gerarchia è eroso dai principio di sussidiarietà e di competenza.
Possiamo dire che non c’è più una stretta gerarchia delle fonti ma una protezione di diritti a differenti
livelli e i giudici devono governare una simile complessità applicando la legge ordinaria nel rispetto
della normativa comunitaria e della costituzione, integrata dai regolamenti e dalle norme
consuetudinarie.
3.1 Costituzione e diritto privato
La Costituzione italiana è composta da tre parti: principi fondamentali, diritti e doveri dei cittadini,
organizzazione della Repubblica.
GROSSI, Crisi delle fonti e nuovi orizzonti del diritto, 2009; GROSSI, A History of European Law,
2010
4
La Costituzione è espressione dei valori dell’ordinamento italiano e ogni legge dello Stato deve essere
conforme alle norme costituzionali. I giudici, se nell’applicare una norma dello Stato ne rilevano la
illegittimità a norme della Costituzione, rimettono la questione alla Corte Costituzionale.
Da ultimo la nostra Corte Costituzionale tende a non pronunciarsi sulla incostituzionalità ma a
richiedere ai giudici di adottare un’interpretazione della normativa conforme a Costituzione.
Ricordiamo la pronuncia della Corte del 2003 relativa all’art. 2059 del codice civile. Questo articolo
testualmente ammette il risarcimento dei danni non patrimoniali solo nelle ipotesi previste dalla legge
anche in caso di violazione di interessi costituzionalmente garantiti, come il diritto alla salute o diritti
della personalità. Afferma la Corte che “l’art. 2059 cod. civ. deve essere interpretato nel senso che il
danno non patrimoniale, in quanto riferito alla astratta fattispecie di reato, è risarcibile anche
nell’ipotesi in cui, in sede civile, la colpa dell’autore del fatto risulti da una presunzione di legge” e
quindi non sussista in concreto il reato mancando la prova della colpevolezza.
Il danno non patrimoniale deve essere riconosciuto anche quando si è fuori dalla fattispecie legale di
cui all’art. 185 del codice penale che riconosce il risarcimento del danno morale da reato (5). La corte
non dichiara l’illegittimità dell’art. 2059, ma richiede un’interpretazione in senso costituzionale.
In altri casi i giudici hanno dato diretta applicazione della Costituzione, ad esempio, individuando nei
principi della Costituzione criteri per valutare la liceità dei negozi.
Così con riferimento alla nullità della clausola di divieto di ospitalità anche temporanea inserita nei
contratti di locazione i giudici della Cassazione hanno affermato che “I controlli insiti
nell'ordinamento positivo relativi all'esplicazione dell'autonomia negoziale, coincidenti con la
meritevolezza di tutela degli interessi regolati convenzionalmente e con la liceità della causa, devono
essere in ogni caso parametrati ai superiori valori costituzionali previsti a garanzia degli specifici
interessi, ivi compreso quello contemplato dall'art. 2 Cost. (che tutela i diritti involabili dell'uomo e
impone l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà). E' pertanto nulla la clausola di un
contratto di locazione nella quale, oltre alla previsione del divieto di sublocazione, sia contenuto il
riferimento al divieto di ospitalità non temporanea di persone estranee al nucleo familiare anagrafico,
siccome confliggente proprio con l'adempimento dei doveri di solidarietà che si può manifestare
attraverso l'ospitalità offerta per venire incontro ad altrui difficoltà, oltre che con la tutela dei rapporti
sia all'interno della famiglia fondata sul matrimonio sia di una convivenza di fatto tutelata in quanto
formazione sociale, o con l'esplicazione di rapporti di amicizia.”( Cass., 19 giugno 2009, n. 14343, in
Vita not., 2009, 1440 con nota di G. Caso, Fondamento costituzionale del dovere di ospitalità e
conformazione dell’autonomia privata, in Rass. dir. civ., 2011, p. 997. Da tempo la dottrina italiana
5
C. Cost. 11 luglio 2003, n. 233, in Giur. It 2003, 1777
afferma l’applicazione diretta della Costituzione da parte dei giudici PERLINGIERI P., Il diritto civile
nella legalità costituzionale, ESI, 1991).
Le norme della Costituzione sono in vero un’articolazione di principi il che pone il problema
dell’applicazione in via diretta dei principi, della possibilità di distinguere degli stessi dalle norme
nonché della creatività degli interpreti nell’applicazione degli stessi (nota).
3.2- Diritto comunitario, diritto europeo e diritto privato;
Come detto il diritto comunitario è una fonte di diritto in Italia: i regolamenti hanno un’applicazione
diretta, le direttive invece in genere richiedono di essere recepite in leggi dello Stato che devono
adeguare il diritto vigente al contenuto della direttiva. L'efficacia diretta delle direttive è stata
introdotta dalla Corte di giustizia con la sentenza Van Gend en Loos del 5 febbraio 1963. In tale
sentenza la Corte ha stabilito che il diritto europeo non solo impone obblighi agli Stati membri ma
attribuisce anche diritti ai singoli. I singoli possono pertanto avvalersi di tali diritti e invocare
direttamente le norme europee dinanzi alle giurisdizioni nazionali ed europee. Non è quindi
necessario che lo Stato membro recepisca la norma europea in questione nel proprio ordinamento
giuridico interno. Per quanto riguarda il diritto primario, ossia i testi fondanti dell'ordinamento
giuridico europeo, la Corte di giustizia, nella sentenza Van Gend en Loos, ha sancito il principio
dell'efficacia diretta, subordinandolo tuttavia alla condizione che gli obblighi siano precisi, chiari e
incondizionati e non richiedano misure complementari di carattere nazionale o europeo.
Inoltre l’Italia ha ratificato la Carta Europea dei diritti dell’uomo che è una convenzione
internazionale firmata a Roma il 4 novembre 1950.
Non meno importante è l’opera della Corte di Giustizia Europea (CGCE) che valuta la conformità
del diritto interno al diritto comunitario e l’opera della Corte Europea dei diritti dell’uomo (CEDU),
che a differenza della CGCE non è un organo comunitario. La CEDU può conoscere sia ricorsi
individuali che ricorsi da parte degli Stati contraenti in cui si lamenti la violazione di una delle
disposizioni della Convenzione o dei suoi protocolli addizionali. La CEDU può anche emettere pareri
consultivi, a richiesta del Comitato di ministri, su questioni giuridiche riguardanti la interpretazione
della Convenzione e i suoi protocolli addizionali.
L’opera di queste due corti (CGCE e CEDU) ha avuto un significativo impatto sul diritto nazionale.
La CGCE ha innovato il diritto nazionale liberandolo da alcune impostazioni dogmatiche.
Ad esempio possiamo ricordare pronunce sulla invalidità di protezione del consumatore. In Italia,
come in gran parte degli ordinamenti di civil law, è conosciuta una netta distinzione tra nullità e
annullabilità. Tra le varie differenze una è costituita dalla sanabilità della annullabilità e insanabilità
della nullità.
La questione è stata affrontata nel caso C-227/2008 Martin v. EDP. La domanda di pronuncia
pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 4 della direttiva del Consiglio 20 dicembre 1985,
85/577/CEE, per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali.
Con la sua questione l’Audiencia Provincial de Salamanca chiede, in sostanza, se l’art. 4 della
direttiva debba essere interpretato nel senso che consente ad un giudice nazionale di rilevare d’ufficio
la violazione di tale disposizione e di dichiarare la nullità di un contratto compreso nell’ambito di
applicazione della direttiva in parola in quanto il consumatore non è stato informato del suo diritto di
recesso, e ciò benché la nullità di cui trattasi non sia mai stata fatta valere dal consumatore dinanzi ai
giudici nazionali competenti. a». Afferma la Corte, dopo aver chiarito che il diritto comunitario
riconosce la rilevabilità di ufficio di tale nullità: “Va infine precisato che, da un lato, siffatta
conclusione non esclude affatto che altre misure possano ugualmente assicurare il livello di tutela in
parola, come, ad esempio, la riapertura dei termini applicabili in materia di recesso dal contratto, in
modo da consentire al consumatore di esercitare il diritto attribuitogli dall’art. 5, n. 1, della direttiva.
D’altro lato, il giudice nazionale adito potrebbe altresì dover tenere conto, in talune circostanze,
dell’eventualità che il consumatore non voglia che il contratto sia dichiarato nullo (v., per analogia,
sentenza 4 giugno 2009, causa C-243/08, Pannon GSM, non ancora pubblicata nella Raccolta,
punto 33)”.
Anche la CEDU ha avuto significativi impatti soprattutto per quanto riguarda il riconoscimento della
diritto di proprietà. L’ordinamento italiano, in caso di esproprio per pubblica utilità riconosceva
indennizzi non corrispondenti al valore del bene espropriato. Ciò in base alla funzione sociale della
proprietà riconosciuta nell’art. 42 della Costituzione. Sul punto recentemente si è creato un dialogo
tra la CEDU e la Corte Costituzionale che ha portato ad una modifica della legge sugli espropri.
La giurisprudenza costituzionale, in adesione alle pronunce della Corte Europea del diritto dell’uomo,
ha affermato che in materia di indennità di espropriazione esisterebbe un nucleo minimo di tutela del
diritto di proprietà, garantito dall'art. 42, comma 3, Cost., e dall'art. 1 del primo protocollo addizionale
della Cedu, in virtù del quale l'indennità di espropriazione non può ignorare "ogni dato valutativo
inerente ai requisiti specifici del bene", né può eludere un "ragionevole legame" con il valore di
mercato (CORTE COST., 22.12.2011, n.338; CORTE COST., 24.10.2007, n. 348 AMPLIA NOTE).
La Corte EDU, nella decisione adottata dalla Grande Chambre nel caso Scordino (Scordino c. Italia,
29 marzo 2006), aveva infatti affermato che, in numerosi casi di espropriazione legittima, solo un
indennizzo integrale può essere considerato ragionevole.
3.3- Leggi e regolamenti.
La più recente legislazione speciale è caratterizzata da un continuo rinvio del legislatore alla
normativa secondaria (i regolamenti) che regolamentano anche i rapporti tra privati. Pensiamo ai
regolamenti IVASS (autorità di vigilanza del mercato assicurativo) in materia di informativa
precontrattuale agli assicurati. Anche il rinvio alla normativa secondaria può essere considerato
un’ulteriore causa di decodificazione (FARE NOTA).
Si nota in dottrina come tale normativa secondaria vada spesso ben oltre gli ambiti che le
spetterebbero. Così con riferimento ai regolamenti di Ivass, si può notare quanto segue.
La principale funzione dell’Isvap è l’esercizio della vigilanza nel settore assicurativo attraverso
l’esercizio dei poteri di natura autorizzativa, prescrittiva, accertativa, cautelare e repressiva (art. 5 cod. ass.
). Scopo dell’attività di vigilanza è la sana e prudente gestione delle imprese di assicurazione e di
riassicurazione nonché la trasparenza e la correttezza dei comportamenti delle imprese, degli intermediari
e degli altri operatori del settore assicurativo avuto riguardo non solo alla efficienza e competitività del
settore, ma anche alla tutela degli assicurati nonché all’informazione e protezione dei consumatori (art. 4
cod. ass.).
Al fine di esercitare detta funzione l’Isvap emana regolamenti in attuazione di norme di legge (art. 9,
comma 2 cod. ass.).
Si tratta di norme di ordine secondario (6) che non possono abrogare o modificare leggi vigenti, che
sono valide entro i limiti in cui è riconosciuta tale potestà all’Isvap, che non possono essere oggetto di
censure di legittimità costituzionale e che possono essere impugnate solo dinanzi all’autorità giudiziaria
secondo i criteri di riparto di giurisdizione amministrativa ed ordinaria (7).
Il collegamento, compiuto dal legislatore al sopraccitato art. 4 cod. ass. tra vigilanza e tutela degli
assicurati e dei consumatori, ha consentito all’ Isvap di disciplinare anche profili che interessano il contratto
di assicurazione.
I regolamenti, infatti, potranno, tra l’altro, avere ad oggetto: la correttezza della pubblicità e delle
tecniche di offerta dei prodotti assicurativi, gli obblighi informativi in fase precontrattuale e di esecuzione
6
Per contro parte della dottrina osserva come le autorità indipendenti non esercitano
propriamente una frazione del potere normativo come l’esecutivo tradizionale ma svolgono piuttosto
un ruolo di “supplenza” rispetto alla libertà economica. Le autorità indipendenti avrebbero il
“compito di sostituirsi all’autonomia negoziale dei privati, quando non c’è o viene meno la par
condicio concorrenziale o quando non esistono o fanno difetto le condizioni per l’esistenza di un
mercato nel quale possa esplicarsi la libertà economica…”: così MERUSI, Il potere normativo delle
autorità indipendenti, in Diritto dell’economia, 2003, 588. Secondo l’autore un simile potere
normativo sarebbe legittimato dalla stessa libertà economica riconosciuta nella norma costituzionale
con quel che ne segue in relazione alla possibilità di ammettere giudizi di legittimità costituzionale
direttamente sui regolamenti (p. 83 ss.) .
7
Cfr. NICODEMO, Gli atti normativi delle autorità indipendenti, Padova, 2002, 309 ss.;
MORBIDELLI, I regolamenti dell’Isvap, in Il nuovo codice delle assicurazioni. Commento sistematico,
a cura di Amorosino e Desiderio Milano, 2006, pp. 57-58.
del contratto nonché le cosiddette “forme contenuto” attraverso le quali si vengono a dare indicazioni sul
contenuto minimo del testo contrattuale (8).
Pensiamo in particolare al recentemente regolamento 23/2008 in tema di trasparenza dei premi e delle
condizioni nell’assicurazione per i veicoli a motore e natanti.
Viene al riguardo da interrogarsi sulla legittimità di simili interventi normativi dell’autorità di controllo,
al di là delle considerazioni che possono compiersi sulla loro sostanziale giustizia, tenuto conto della
funzione per cui Isvap è chiamata ad emanare atti regolamentari.
4
Codice civile, decodificazione e ricodificazione;
Anche le leggi dello Stato hanno incontrato fenomeni che hanno minato la certezza del diritto.
Intendiamo riferirci al processo di decodificazione che ha portato a rivedere la centralità del codice
civile nella disciplina dei rapporti tra privati.
Una delle principali cause della decodificazione è il proliferare di norme speciali di diritto privato
contenute in norme speciali (LUIS DIEZ PICAZO Y PONCE DE LEON, Decodificación,
Descodificación y Recodificación, ANUARIO DEDERECHO CIVIL, Apr.–Jun. 1992, 473).
Come nota Dies Picazo, accanto al proliferare di leggi speciali, si hanno due altre cause di
decodificazione: incremento del ruolo dei giudici nella creazione del diritto attraverso
l’interpretazione delle norme e il costituzionalismo che porta ad un diretto ingresso dei principi
contenuti nella costituzione tra le norme di diritto privato (ALEXANDER L., Constitutionalism.
Philosophical Foundations, Cambridge University Press, 1998; ALEXY R. Theorie der Grundrechte,
Nomos Verlag, 1985). Come afferma Merryman “il codice civile ha perso la sua funzione di norma
fondamentale” (JOHN MERRYMAN ET AL., The civil law tradition: Europe, Latin America and
east Asia , 3 (1994), 1244).
Per recuperare certezza del diritto recentemente si è dato vita ad un opera di “ricodificazione”
attraverso l’inserimento di norme nuove nel codice civile (pensiamo all’art. 2645 ter sul vincolo di
destinazione) oppure attraverso la riunione di nuove norme in nuovi codici (pensiamo al codice delle
assicurazioni private, al codice del consumo, al codice della privacy).
Né si può dire che i codici di settore hanno recuperato certezza del diritto introducendo norme
8
In argomento VALENTINO, Obblighi di informazioni, contenuto e forma negoziale, Napoli, 1999;
MOSCARINI, Diritti e obblighi di informazione e forma del contratto, in Diritto privato e interessi
pubblici, 2, Milano, 2001, 353; E. GABRIELLI, Sulla nozione di consumatore, in Riv. trim dir. proc.
civ., 2003, 1176 ss.; PAGLIANTINI, La forma del contratto: appunti per una voce, in Studi senesi,
2004,114; GENTILI, Informazione contrattuale e regole dello scambio, in Riv. dir. privato, 2004, 578
ss; ROSSI CARLEO, Il diritto all’informazione: dalla conoscibilità al documento informativo, ivi,
2004, 363.
dettagliate. Così non è per due ragioni a nostro avviso.
In primo luogo perché è la stessa lingua italiana che presenta anfibolie e che si presta a letture diversi
dello stesso testo normativo applicato in contesti diversi (fare nota su chiarezza del testo e
interprezione).
In secondo luogo queste norme di settore presentano una complicazione ulteriore. Si tratta in genere
di norme di derivazione comunitaria e nascono dalla traduzione di direttive comunitarie che
normalmente sono redatte in francese o in inglese. Ne segue che il recepimento delle direttive pone
spesso problemi e apre a diverse interpretazioni. Ricordiamo ad esempio il problema posto dalla
definizione di clausola vessatoria di cui alla direttiva 93/13/CE.
Ancora possiamo ricordare il caso della definizione di clausola vessatoria di cui all'art. 1469 bis del
codice civile ora art. 33 del codice del consumo (decreto legislativo 206/2005) "si considerano
vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un
significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto".
Varie sarebbero le osservazioni che potrebbero compiersi su tale definizione, ma noi intendiamo
soffermarci su un aspetto che è espressione della plurivocità del linguaggio giuridico: l'espressione
"malgrado la buona fede" se intesa secondo il senso ordinario delle parole significherebbe "nonostante
la buona fede", "in dispetto della buona fede".
Ora dell'espressione buona fede si danno due accezioni nel linguaggio giuridico: una soggettiva intesa
come mancata conoscenza di una data condizione, l'altra oggettiva intesa come correttezza.
E' evidente che secondo il significato comune di "malgrado"si dovrebbe adottare la prima accezione
del termine: saranno vessatorie le clausole che determinano a carico del consumatore un significativo
squilibrio nonostante l'ignoranza della controparte di tale condizione (9).
Per contro la giurisprudenza e la dottrina maggioritarie hanno ritenuto di dover dare una lettura della
norma che tenga conto delle costruzioni concettuali che si sono compiute in punto di abuso
dell'autonomia privata da parte del c.d. contraente forte, abuso che, secondo la stessa dottrina, sarebbe
alla base della stessa idea di vessatorietà delle clausole contrattuali (10).Allora la buona fede che
avrebbe rilevanza al fine di delimitare i confini del comportamento abusivo sarebbe quella oggettiva
ovvero quella correttezza che dovrebbe guidare l'autonomia dei privati nelle relazioni contrattuali
dalla fase delle trattative a quella dell'esecuzione
9
Tale interpretazione per quanto minoritaria è presente in dottrina S. MAIORCA, Tutela dell'aderente
e regole di mercato nella disciplina generale dei "contratti del consumatore", Torino, 1998, p. 51 ss.
10
Sulla ricostruzione della disciplina delle clausole vessatorie all'interno della figura dell'abuso dell'autonomia
contrattuale v. in particolare U. BRECCIA, L’abuso del diritto, in Dir. Priv., vol. III, 1997, pp. 41-42
5-Il diritto consuetudinario e Soft law
Il diritto consuetudinario ovvero quell’insieme di condotte che i consociati osservano con la
convinzione di adempiere ad una norma di legge continua ad avere notevole rilevanza nel sistema
normativo italiano.
Al fine di garantire certezza del diritto le camere di commercio delle diverse province italiane
redigono raccolte di usi distinte per settore.
Recentemente si è avuta una rinnovata attenzione al diritto consuetudinario con riguardo alla necessità
di distinguere il diritto consuetudinario (che è comunque hard law) dalla cosiddetta soft law ovvero
quell’insieme di regole che non sono vincolanti per i consociati, ma che importano meri vincoli
politici o morali.
Varie sono le varianti del fenomeno della soft law: codici di autoregolamentazione adottati da singole
imprese o altre organizzazioni, codici deontologici o simili adottati da associazioni professionali o di
categoria; taluni atti di diritto internazionale, raccolte di principi e regole, di origine spontanea,
elaborate da organizzazioni nazionali o internazionali, governative o non governative, sebbene le loro
norme possano essere successivamente recepite in un trattato.
Va detto che spesso codici di condotta e linee guida risultano elaborati da associazioni di operatori
economici, ecc. che ne impongono l’adozione in via convenzionale ai propri associati attraverso
appunto il contratto di associazione. L’inadempimento a tale vincolo può importare l’esclusione
dall’associazione e dai benefici collegati. Con riferimento a queste ultime ipotesi, si può ancora
parlare di atti non aventi una vera e propria efficacia normativa? Sembra che l’interprete debba
confrontarsi anche con nuove fondi del diritto.
6-Il ruolo delle Corti e della dottrina
Abbiamo già più volte richiamato la funzione creativa dei giudici. Riprendendo l’idea di Betti, per
il quale l’interpretazione ad un tempo presuppone e contiene una rappresentazione di senso (E. BETTI,
Teoria generale dell’interpretazione, Milano, 1955, I, p. 5 ss.), si può concludere che l’elemento
rappresentativo di senso, non solo precede l’attività interpretativa, ma la segue potendo l’interprete
anche giungere a fissare una rappresentazione diversa da quella che pareva essere prima
dell’intervento interpretativo. La chiarezza del testo non precede ma segue l’interpretazione e
l’attività dell’interprete non riconosce il senso, ma lo crea.
Anche le opinioni dottrinali partecipano all’opera di creazione del diritto. I giudici non possono
citare gli autori cui si ispirano in base a quanto previsto all’art. 118 delle disposizioni di attuazione
del codice di procedura civile. Leggendo molte sentenze è però evidente il dialogo tra dottrina e
giurisprudenza. È infatti frequente la ripresa di opinioni dottrinali da parte dei giudici.
Afferma Hessenlink con riferimento alla creatività degli interpreti nel diritto privato europeo “in
un sistema codificato i tribunali e gli studiosi insieme padroneggiano il divario tra le regole astratte e
casi concreti che legislatore ha lasciato. Legislatore (necessariamente) prevede regole astratte, gli
studiosi sono gli esperti delle loro specifiche implicazioni, e le corti (ispirate da questi studiosi)
decidono che cosa significano in caso specifico” (HESSELINK, The New European Private Law, The
Hague-London- New York, 2002, 16).
7- Conclusioni
La crisi del principio di gerarchia delle fonti, il ruolo della Costituzione, del diritto comunitario e del
diritto europeo rispetto alla soluzione di problemi giuridici di diritto privato, la presenza di “nuove
fonti del diritto” finiscono per porre al centro della scena del diritto privato l’interprete.
Da più parti si lamenta la crisi della certezza del diritto.
Sul punto recentemente Paolo Grossi ha affermato……