Cari Colleghi, Care Colleghe, amica Emma ed amico Giorgio

INTERVENTO DEL PAST PRESIDENT ING.ALBERTO TRUZZI
ASSEMBLEA CONFINDUSTRIA MANTOVA 03/06/2014
Cari Colleghi, Care Colleghe, amica Emma ed amico Giorgio,
illustre Prof. Fortis, sua eccellenza il Prefetto di Mantova
Carla Cincarilli, amico Giuseppe Reccia Questore di
Mantova, amici Alessandro e Nicola, sua eccellenza il
Vescovo Roberto Busti, egregi Colonnello Campana,
Colonnello …, Comandante Pilotti, On. …, Consigliere
Regionale
…,
egregi
sindaci,
esponenti
delle
amministrazioni comunali e provinciale, autorità militari e
civili, colleghi sindacalisti e rappresentanti delle Associazioni
…
E’ con grande emozione che vi saluto per la prima volta da
Past President, dopo questi intensi quattro anni in cui ho
avuto il privilegio di interagire con voi.
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E’ stata un’esperienza straordinaria e vi ringrazio per la
disponibilità che mi avete sempre riservato.
Ringrazio MPS ed il Dott. Elfo Bartalucci ed Umana per il
sostegno che hanno dato a questa Assemblea.
Un grazie particolare a tre persone che, due durante tutto il
mio mandato, una nell’ultima parte, hanno avuto un ruolo
determinante: il Direttore Mauro Redolfini, l’amico
predecessore e Presidente della CCIAA Carlo Zanetti ed il
nuovo Presidente Alberto Marenghi.
Siamo qui per entrare nel merito della prospettiva che ci dà
far parte della UE, all’alba post-elettorale del suo
parlamento e prima che la nuova Commissione prenda
forma.
In Europa ci sono situazioni di tensione come in Francia con
l’exploit del Front National e la crisi dei socialisti ed in
Inghilterra con l’antieuropeista Ukip primo partito, od in
Grecia con Tsipras al primo posto od in Danimarca ed
Irlanda. La Merkel ha rafforzato la leadership ma ciò
dimostra come la posizione dominante tedesca sia ben
accetta in patria ma mal digerita negli Stati membri.
Il risultato in Italia ha consolidato il Governo in carica,
respinto le spinte iconoclaste dell’antipolitica e dato un
segnale di stabilità.
Ci sono quindi tutte le condizioni per dare impulso all’azione
del Governo italiano in chiave europea, fatto fondamentale
in questa congiuntura, visto che la sovranità nazionale è
sensibilmente condizionata dall’appartenenza all’UE. Ed in
quella sede bisogna agire.
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Il dibattito è da tempo incentrato sulla compatibilità del
rigore con la crescita e non è questione campata per aria.
Come si fa a pensare di poter crescere tirando la cinghia,
diminuendo le risorse in un mondo ormai da tempo
globalizzato ed in concorrenza con sistemi che invece
praticano politiche opposte …
Paghiamo il prezzo di un unione monetaria non
accompagnata da unione politica, di una disomogeneità
articolata che vede tanti sistemi nazionali la cui interazione
è da sempre un’emulsione e non una miscela ed i risultati
delle elezioni lo dimostrano.
Il fiscal compact è un macigno che impone politiche di
bilancio estremamente limitanti ed imbrigliate, soprattutto
per una nazione come la nostra che invece ha fatto, nel
passato anche recente, della libertà di movimento non solo
un vizio, ma anche una virtù.
Non possiamo meravigliarci se in queste condizioni siamo
scesi più degli altri in termini di PIL e di ricchezza, se
cresciamo meno degli altri (addirittura nel primo trimestre
siamo calati) alla luce di questo piccolo accenno di ripresa.
Konrad Adenauer, tedesco, tra i padri dell’UE, ebbe
l’occasione di dire: ”Capisco perché i Dieci Comandamenti
sono tanto chiari e privi di ambiguità: non furono redatti da
un’Assemblea”.
Leggendo questa frase, assolutamente non priva di buon
senso, si capisce bene l’approccio attuale, in cui le regole
del gioco sono molto ben delineate ma purtroppo da pochi,
quasi da uno solo dei componenti dell’Unione.
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Ben si spiega con questa frase l’egemonia tedesca che tutti
dobbiamo subire.
L’Italia deve far sentire le proprie ragioni, ma non nella
logica del lassismo e del libero sforamento del deficit; non
possiamo non tener conto che il livello del nostro debito
pubblico è squilibrato e che le responsabilità di ciò sono
solo endogene.
Dobbiamo però considerare che il nostro modello, secondo
me non così virtuoso, è quello di Stato povero e Società
ricca; la ricchezza privata ha dimensioni nettamente
superiori rispetto ai nostri partner, comunitari e non e ciò
costituisce un’opportunità di cui i politici dovrebbero tenere
conto anche in senso redistributivo, data l’accentuazione
della sempre crescente disparità tra chi ha ricchezze
cospicue e chi è nella soglia della povertà.
Le istanze che dobbiamo far sentire con forza sono
moltissime.
A partire da
comunitario.
quelle
legate
all’eccesso
normativo
Franz Joseph Strauss diceva. “I dieci comandamenti
contengono 279 parole, la Dichiarazione Americana
d'Indipendenza 300 e le disposizioni della comunità Europea
sull'importazione di caramelle esattamente 25.911”
In un regime di direttive comunitarie eccessive, che noi a
livello di paese spesso, in modo autolesionistico,
aggraviamo secondo quel fenomeno rischiosissimo che
viene chiamato gold-plating, di eccessi burocratici e
normativi, come facciamo a competere in modo efficace in
un mondo dinamico come quello di oggi?
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E come facciamo a tollerare che all’interno dell’Unione ci
siano disparità di trattamento societario e fiscale tali che il
nostro maggior gruppo industriale, che ora si chiama Fiat
Chrysler Automobiles sposti la sede in Olanda e paghi le
tasse in Inghilterra?
Come facciamo a sopportare che gli interessi che il nostro
Stato paga sul debito pubblico, tra l’altro maggiore,
superino costantemente quelli che paga la Germania (e
molti altri paesi) di quel famigerato quid che si chiama
spread?
Sappiate che quel differenziale si traspone direttamente sul
tasso effettivo che il nostro sistema economico paga sui
prestiti bancari e non, dovendo fronteggiare concorrenti che
invece, nella scia dei propri paesi, pagano molto meno.
Vi pare logico che negli Usa i tassi che si pagano per
l’emissione di titoli del debito pubblico in dollari siano
omogenei mentre da noi non lo sono? Vi parrebbe possibile
che la Louisiana dovesse pagare tassi diversi dallo Stato di
Washington?
Ed invece da noi, pur in presenza di moneta unica, è così !
Non può la Germania usufruire a piene mani dal fatto di
mantenere tassi bassissimi per lo Stato e per le imprese e di
avere una valuta sì forte, ma molto meno di quanto lo
sarebbe un ipotetico Marco attuale, facendo pagare il conto
del rigore e dei tassi alti ai paesi più deboli.
Non so se un giorno si faranno gli Eurobond, ma se tal
giorno arriverà, sarà una giustizia tardiva !
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La ritengo cosa doverosa
fare sistema, ed anche i
dovrebbero essere più
draconiani tagli di spesa,
Stati partner interessati.
e congrua se davvero vogliamo
fondi di garanzia per gli Stati
agili e meno condizionati a
che finiscono per affossare gli
Come mai quando Kohl ha unito le due Germanie ha
determinato un cambio alla pari del Marco Federale con
quello della DDR, mentre adesso non vogliono che si
emettano titoli comuni?
E che dire del pasticcio legato all’immigrazione clandestina
dall’Africa verso tutta Europa che, per motivi di rotta
geografica, siamo costretti a gestire da soli senza la minima
compartecipazione degli altri paesi membri.
Onori ed oneri di far parte di una comunità vanno suddivisi!
Lascio a voi cari amici le riflessioni sul perché mi arrogo la
possibilità di dire che sono cose per le quali battersi !
Come facciamo a mantenere il deficit al 3% con un bilancio
primario positivo e non avere contraccolpi quando ai nostri
partner è consentito sforare in maniera maggiore ?
Come potremo risollevarci in queste condizioni; l’eccesso di
tasse affoga le possibilità di ripresa !
E come facciamo ad affrontare sui mercati gli Usa od il
Giappone quando là con inchiostro e carta a volontà
continuano a stampare moneta e noi no ? L’Euro continuerà
ad essere troppo forte e le nostre esportazioni penalizzate !
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A dire il vero le politiche della BCE di Draghi si sono mosse
in una direzione più tendente a rendere liquido il sistema,
ma ciò ha interessato soprattutto le banche e non si è
trasmesso direttamente al mondo economico e di
conseguenza alle famiglie, che continuano a soffrire per
carenza di liquidità; e ci si è aggiunto lo Stato, con la
nefanda “Legge di Stabilità”, confezionata per non sforare,
in modo però improprio, i tetti imposti da Bruxelles, ma che
provoca ingiuste tensioni per le aziende che hanno lavorato
per la PA e l’impossibilità di fare piani di investimento anche
per le Amministrazioni virtuose.
Vedremo se l’incipiente nuovo regime di vigilanza bancaria
che, per gli Istituti medio-grandi, passerà alla BCE, sarà
occasione per impedire che qualche Stato forte possa
salvare proprie banche decotte con aiuti di Stato, salvo poi
pretendere che a casa degli altri questo non possa
accadere.
Se non sarà invece l’ulteriore applicazione della regola “due
pesi e due misure” a cui purtroppo siamo supinamente
quasi abituati.
Sempre Adenauer diceva: “Viviamo tutti sotto il medesimo
cielo ma non tutti abbiamo lo stesso orizzonte”
Compito della costituenda Commissione Europea è ovviare
quanto più possibile a questa condizione. Non deve essere
presa come condizione ineluttabile, ma come difficoltà da
superare, come nuova strada a cui tendere. Questo ci
aspettiamo dai nostri rappresentanti sia a Roma sia a
Bruxelles !
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Del resto lo statista francese Robert Shuman nel famoso
discorso del 9 Maggio 1950 ebbe a dire: “L'Europa non
potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme;
essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto
una solidarietà di fatto”.
Che dire allora delle disparità del costo dell’energia (+30%
rispetto alla Germania, addirittura +50% rispetto alla
Francia), delle politiche ambientali che fanno sì che i rifiuti
sparsi per strada a Napoli debbano essere mandati, insieme
ad ingenti somme di denaro, in Olanda e Germania, del
costo del lavoro che penalizza così tanto il nostro paese in
termini di disparità tra costo per l’azienda e netto per il
lavoratore.
E del livello della tassazione sulle società, con quel mostro
dell’Irap ancora ad incombere soprattutto sulle ditte in
perdita e su quelle ad alto tasso di lavoro.
L’Industrial Compact, il piano per il 2020 di incidenza del
manifatturiero al 20% sul PIL, lo Small Business Act sono
tutte cose virtuose da tenere al centro dell’agenda, ma per
fare ciò bisogna mettere mano agli squilibri in essere,
altrimenti l’assenza della possibilità di svalutare la moneta
per le economie più esposte, diretta conseguenza del
battere moneta comune, non può che creare continue
tensioni alla tenuta della moneta unica, come così
pesantemente abbiamo visto nel recente passato.
Invece assistiamo a chi vuole la botte piena e la moglie
ubriaca ed in tali condizioni i progressi delle economie più
forti, la Germania in particolare, saranno prima o poi
vanificate da un’Europa che non starà più insieme.
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Allora è quanto mai necessario, in un mondo in cui i valori
sociali delle democrazie evolute sono in grave difficoltà, con
la crisi della rappresentanza politica e dei partiti,
testimoniata, ma non solo, dalla cospicua, seppur in calo,
presenza dei “movimenti”, che politica ed economia si
compattino per stringere un grande patto fatto di rispetto
reciproco e di appoggio vitale l’una all’altra, vigilando di non
incorrere nel collateralismo e nel deleterio favoritismo verso
questo o quel potentato.
Anche l’occasione dell’Expo 2015 ha segnato pesanti
sconfitte che spero possano essere rimarginate
opportunamente.
La responsabilità della politica è quella di attivare le
Associazioni, che invece hanno la responsabilità di fornire
studi, approfondimenti ed elaborare soluzioni.
Non è possibile che i nostri rappresentanti vadano a
Bruxelles non sapendo cosa chiedere, ad ottenere risorse
che di fatto vengono utilizzate in piccola parte, perché non
deputate in modo strategico e nemmeno ben recepite dal
sistema economico.
Ricerca, innovazione, infrastrutture, agenda digitale,
istruzione, ambiente, energia sono alcuni dei campi in cui
riversare le risorse.
Occorre una profonda condivisione delle strategie e degli
obiettivi per rendere efficace l’appartenenza all’UE. Occorre
una stretta alleanza tra la politica e le associazioni per
elaborare i piani ed incanalare gli sforzi per mantenerli, con
una missione per il sistema paese non più rinviabile.
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Altrimenti rimarremo sempre bloccati nel dilemma tra
uniformarsi alla disciplina comunitaria ed il bisogno di
emanciparsi su scala nazionale.
Rimarremmo in balia del rischio di condividere i rischi senza
cogliere le opportunità.
E le colpe non sono solo della politica ma anche del sistema
economico che non è stato capace di integrarsi in questi
meccanismi.
Ben venga quindi, nella riforma di Confindustria, lo
spostamento verso Bruxelles del baricentro dell’azione
associativa confederale.
Il peso delle decisioni è sulle nostre spalle, è il momento
delle scelte, il momento dell’azione, di chiarirsi le idee e di
metterle in pratica.
Capisco che non sia né comodo né facile, e chiaramente
non senza pericoli.
Oscar Wilde diceva: “Un'idea che non sia pericolosa, è
indegna di chiamarsi idea".
Ma ancora maggiore è il pericolo di non farsi venire delle
idee, perché l’eccessiva durata della bassa crescita prima ed
il vistoso calo dal 2008 in poi stanno incancrenendo la
nostra economia, col rischio che sia troppo tardi anche per
risollevarla, come un malato che ormai non reagisce più alle
cure.
La celebre frase attribuita a De Gasperi dice: “Un politico
guarda alle prossime elezioni, uno statista alle prossime
generazioni”.
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E Dio solo sa quanto abbiamo bisogno di statisti, che
dovrebbero emergere con un processo Bottom-Up da una
trasformazione profonda della Società.
Altrimenti prenderà sempre più corpo il dubbio di Paul
Valery:”L'Europa diventerà quello che in realtà è, cioè un
piccolo promontorio del continente asiatico?”
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